3 Settembre 1969

L'ansia di essere ed operare con la Chiesa

Diletti Figli e Figlie!

Noi stiamo parlando da qualche tempo della necessità per coloro i quali vogliono mantenersi cristiani, crescere anzi in Cristo ( Ef 4,15 ), di ravvivare in se stessi la fede soprannaturale, e di riaccendere perciò nello spirito e nella pratica la propria vita d'orazione.

Adorare il Padre « nello spirito e nella verità »

E Noi siamo convinti che sia il culto divino, istituito e celebrato dalla Chiesa gerarchica, cioè la sacra Liturgia, sia la pietà popolare e privata, che la Chiesa approva e promuove, possono alimentare, « nello spirito e nella verità », come Cristo ha presagito ( Gv 4,23 ) l'adorazione del Padre, cioè l'autentica ed efficace relazione con Dio; possono interpretare il cuore dell'uomo, non meno quello d'oggi di quello d'ieri, e offrirgli le espressioni più alte e più belle; possono aprirgli tanto il sentiero della speculazione spirituale, contenta « ne' pensier contemplativi » ( Par. 21,117 ), quanto l'arte di tradurre in preghiera le voci gementi o osannanti dell'umanità circostante; e possono mettergli sulle labbra le sillabe semplici e profonde delle ore decisive della vita.

Dovremo rileggere, Figli carissimi, quella grande pagina del Concilio, ch'è la Costituzione sulla Sacra Liturgia, e procurare di capire ciò che essa ha di fedele alla tradizione orante della Chiesa, e ciò ch'essa ci propone di nuovo, quando specialmente ci ricorda come nella celebrazione liturgica si rifletta e si compia in pienezza il mistero della Chiesa peregrinante nel tempo ( cfr. n. 2 ), e quando ci vuole non solo assistenti, ma partecipi, « specialmente nel divino Sacrificio dell'Eucaristia », al sacro rito.

La preghiera corale del corpo mistico

Noi benediciamo il Signore osservando che il movimento liturgico, assunto e promosso dal Concilio, ha invaso la Chiesa e arriva alle coscienze del Clero e dei Fedeli.

La preghiera corale del Corpo mistico, ch'è la Chiesa, si va estendendo ed animando il Popola di Dio; si fa cosciente e comunitaria; un aumento di fede e di grazia già lo percorre; e così la fede soprannaturale si risveglia, la speranza escatologica guida la spiritualità ecclesiale, la carità riprende il suo primato vivificante ed operante, e proprio in questo secolo sordo alle voci dello spirito, profano e quasi pagano.

E Noi vogliamo incoraggiare quanti prestano talento, opera e cuore a questo immane sforzo per infondere in tutta la comunità cattolica nuovo e vivo respiro di sapiente orazione.

La revisione in corso delle forme e dei testi liturgici esige grande studio e lavoro in chi la dispone, grande pazienza ed assiduità in chi deve eseguirla, grande fiducia e filiale collaborazione in chi deve ad essa uniformarsi, modificando le proprie devote abitudini e rinunciando ai propri gusti.

Sfuggire ogni arbitrio e indesciplina

Questa riforma presenta qualche pericolo; uno specialmente, quello dell'arbitrio, e quello perciò d'una disgregazione dell'unità spirituale della società ecclesiale, della eccellenza della preghiera e della dignità del rito.

Vi può dare pretesto la molteplicità dei cambiamenti introdotti nella preghiera tradizionale e comune; e sarebbe grande danno se la sollecitudine della madre Chiesa nel concedere l'uso delle lingue parlate, certi adattamenti a desideri locali, certa abbondanza di testi e novità di riti, e non pochi altri sviluppi del culto divino, generasse l'opinione che non esiste più norma comune, fissa e obbligatoria nella preghiera della Chiesa, e che ciascuno può presumere di organizzarla e di disorganizzarla a suo talento.

Non sarebbe più pluralismo nel campo del lecito, ma difformità, e talvolta non solo rituale, ma sostanziale ( come nelle intercomunioni con chi non ha sacerdozio valido ).

Questo disordine, che pur troppo si avverte qua e là, reca pregiudizio grave alla Chiesa: per l'ostacolo che oppone alla disciplinata riforma qualificata e autorizzata da lei; per la nota stonata che introduce nella armonia formale e spirituale del concerto della preghiera ecclesiale; per il criterio religioso soggettivista, che alimenta nel Clero e nei Fedeli; per la confusione e la debolezza che genera nella pedagogia religiosa delle comunità: un esempio né fraterno, né buono.

Pretesto a tale arbitrio può essere il desiderio d'avere un culto modellato sui propri gusti, un culto più compreso e più aderente alle condizioni di chi vi partecipa, quando perfino non si pretenda di esprimere un culto più spirituale.

Noi vogliamo intravedere in simile pretesa qualche buon sentimento, di cui la saggezza dei Pastori saprà tener conto.

La nostra Congregazione per il Culto divino ha emanato una Istruzione sulla celebrazione delle Messe in ambienti particolari, fuori degli edifici consacrati.

Ma vorremmo esortare le persone di buona volontà, Sacerdoti e Fedeli, a non indulgere a questo indocile particolarismo.

Esso offende, oltre la legge canonica, il cuore del culto cattolico, ch'è la comunione: la comunione con Dio, e la comunione con i fratelli, della quale è mediatore il Sacerdozio ministeriale autorizzato dal Vescovo.

Tale particolarismo tende a fare la « chiesola », la setta forse; a staccarsi cioé, dalla celebrazione della carità totale, a prescindere dalla « struttura istituzionale » ( come ora si dice ) della Chiesa autentica, reale ed umana, per illudersi di possedere un cristianesimo libero e puramente carismatico, ma in realtà amorfo, evanescente ed esposto « al soffiare d'ogni vento » ( cfr. Ef 4,14 ) della passione o della moda, o dell'interesse temporale e politico.

« Un solo altare come un solo vescovo »

Questa tendenza ad affrancarsi gradualmente e ostinatamente dall'autorità e dalla comunione della Chiesa purtroppo può portare lontano.

Non, come è stato detto da alcuni, nelle catacombe, ma fuori della Chiesa.

Può alla fine costituire una fuga, una rottura; e perciò uno scandalo, una rovina.

Non costruisce, demolisce.

Chi non ricorda le ripetute e tuttora squillanti esortazioni d'Ignazio d'Antiochia, il celebre martire agli albori del secondo secolo: « Un solo altare, come un solo Vescovo » ( Ad Philad. 4 ); « nulla fate senza il Vescovo » ( Ad Trall. II, 2 ); etc.?

Perché il Vescovo è il principio e il fondamento della Chiesa locale, come il Papa lo è della Chiesa intera ( cfr. Denz. 1821-1826 ).

Qui si vede il rapporto fra Chiesa e preghiera.

Ora non ne parliamo; ma pensiamo che per quanti hanno, da un lato, il « senso della Chiesa », dall'altro l'ansia d'una preghiera valida e viva, sia facile intuirlo.

Bisogna, Figli carissimi, pregare con la Chiesa e per la Chiesa.

Ed è ciò che Noi vi esortiamo a fare con la Nostra Benedizione Apostolica.