30 Luglio 1975

Noi guardiamo ancora alla formula riassuntiva e fondamentale del nostro Anno Santo: il rinnovamento.

Essa ci obbliga e nello stesso tempo ci abilita ad un'indagine sopra noi stessi, la quale dovrà poi estendersi al campo sociale circostante; e pone a noi una domanda fondamentale: rinnovare che cosa?

San Paolo ci risponde: « rinnovate lo spirito informatore della vostra mentalità » ( Ef 4,23 ).

Cioè rinnovate la vostra concezione della vita, la vostra, come ben dicono i Tedeschi, Weltanschauung, la vostra maniera di pensare, di valutare il mondo, le cose, la vita.

Dobbiamo, in altri termini, abituarci, di nuovo se necessario, a pensare e ad agire cristianamente.

Il nostro statuto vitale deriva dal nostro battesimo, dal fatto cioè che siamo cristiani, e che siamo inseriti, mediante la fede, la grazia, la nostra appartenenza alla Chiesa, in Gesù Cristo; dobbiamo derivare la nostra norma esistenziale da questo fatto capitale.

Il cristianesimo, in fondo, è tutto qui; essere cristiani autentici.

E questa autenticità si esprime, ben lo sappiamo, nell'orientamento della nostra vita verso Dio, mediante Cristo, nello Spirito Santo, che da Dio stesso ci viene, quando appunto noi siamo entrati nella sfera del suo disegno salvatore.

Un'altra parola fondamentale e riassuntiva può esprimere questa nuova e necessaria forma di vita: l'amore, quell'amore che chiamiamo carità, agàpe, un amore cioè animato da Dio stesso, che è Amore; un Amore che è infuso in noi per farci capaci di amare con forma, con energia, con fine soprannaturale.

La carità è la novità, è la verità, è la felicità, è la facilità della vita cristiana.

Noi vogliamo pensare che voi tutti, Fratelli e Figli carissimi, « pellegrini d'amore » verso questo Dio, che col giubileo riprende il suo posto nella scala dei valori a cui deve aspirare la nostra vita cristiana, il primo posto, il più alto, il più ordinatore, il più ambito, siete per ciò stesso in grado di avvertire in voi stessi questa primaria esperienza spirituale: la necessità, il bisogno, il conforto della preghiera.

L'espressione religiosa, la preghiera, l'orazione, come linguaggio umano e sovrumano, verso il mistero di Dio, verso la Realtà di Dio, nasce appunto dall'amore, dalla carità, quando appunto questa, celebrando l'Anno Santo, si è accesa nei nostri cuori ( Cfr. Rm 5,5; 2 Cor 4,6; Ef 5,19; etc. ).

Ce ne avverte, con la consueta semplicità e con magistrale sicurezza, San Tommaso, quando ci ricorda che la « causa dell'orazione è il desiderio della carità, dal quale l'orazione procede » ( S. Thomae Summa Theologiae, II-IIæ, 83, 1 et 14 ).

Qui cento cose sarebbero da dire; ma basti una, notissima, ma fermissima per noi, che abbiamo confermato, o ripreso il nostro contatto vitale con Dio: quello dell'importanza della preghiera personale, per dare senso, per dare equilibrio, per dare forza alla nostra esistenza.

Diciamo questo pensando ad una tendenza assai diffusa nella vita moderna: oggi, pur troppo molti non pregano più, non pregano affatto.

Un tempo non era così.

Anche persone impegnate nella vita profana avevano, almeno qualche istante ogni giorno, qualche tempo nei giorni festivi, per un pensiero, un atto cosciente, un momento interiore di orazione.

Ogni fanciullo era abituato a considerare suo dovere, com'è giusto, rivolgere in ciascuna giornata incipiente e al suo termine una preghiera, un saluto, un'invocazione, al Dio vivente, al Padre celeste.

Oggi le labbra dell'uomo moderno sembrano sigillate da una prevalente incoscienza dell'ordine religioso e da una illusa coscienza che la realtà, tutta la realtà, sia quella dell'ordine sensibile, quella dell'esperienza temporale e materiale: il contatto professionale, utilitario, scientifico con le cose del mondo profano, con le occupazioni sperimentali e con le relazioni sociali segna, per tanti che sono assorbiti dal lavoro e dallo studio, il confine dell'interesse umano;

dottrine pesanti ed esclusiviste, come sono quelle del materialismo, hanno praticamente prevalso sopra la visione totale dell'essere, riducendo il sapere entro l'ambito dei corpi e delle leggi fisiche e quantitative, e sostenendo la necessità fatale, propria della materia, come motore primordiale del divenire della natura e della storia.

Escluso così Dio, come Principio trascendente dell'universo, e perciò ogni suo libero e sapiente intervento nel mondo della nostra esperienza, come potrebbe l'uomo rivolgere al Dio-ignoto una parola, tentare con lui un dialogo, invocare una sua amorosa Provvidenza?

Il nulla, proclamato alla sommità dell'universo, si riflette subito nella coscienza resa incapace di preghiera, e subito tesa a fortificare in sé una mistificazione di autosufficienza: l'uomo basterebbe a se stesso, senza ricorrere al riconoscimento, o all'invocazione d'una Sorgente superiore dell'essere e del divenire.

La difficoltà di oltrepassare col pensiero, privo di certezze spirituali, il cerchio del mondo materialista si è fatta mentalità teorica e pratica dell'ateismo moderno, al quale la nostra antica filosofia, cioè la nostra religione tradizionale può ben dare ancor oggi una plausibile risposta; se non che, quasi in suo soccorso, vediamo folle di gioventù avanzarsi per denunciare da sé il vuoto prodotto nello spirito moderno dalla negazione di Dio; questa gioventù avanza triste e tormentata dalla necessità d'una religione autentica, che consenta ancora di colloquiare con Dio, di pregarlo, di saperlo accessibile e vicino, provvido ed amoroso.

Così che questo Anno Santo aprirà, noi speriamo, la sua porta, aprirà la sua luce, aprirà il suo cuore per accogliere i figli della nuova generazione in cerca d'un soccorso liberatore e ispiratore, in cerca d'una nuova parola, d'una nuova poesia riconoscendo la difficoltà propria della vera preghiera ( Cfr. Rm 8,26 ) e facendo propria la stupenda domanda degli Apostoli nel Vangelo al Maestro e Signore Gesù: « Insegnaci a pregare! » ( Lc 11,1 ).

Sia questa una riconquista dell'Anno Santo: il bisogno, il dovere, la gioia della preghiera cristiana!

Con la nostra Benedizione Apostolica.