4 Maggio 1977

La teologia della Pasqua

Ancora il mistero pasquale noi dobbiamo meditare.

Non potremo mai terminare la nostra « Via Crucis » senza avvertire il suo valore universale e perenne, cioè senza connettere la Passione del Signore e la sua Risurrezione alle sorti del genere umano, alla relazione che esse hanno con la nostra salvezza.

Non basta assistere alla scena dei fatti evangelici, che riguardano la divina Persona di Cristo, e lasciare che la straziante e poi trionfante vicenda di Lui ci commuova e ci avvinca, come può succedere davanti ad una tragedia greca, o ad uno spettacolo impressionante, ma che non ci riguarda personalmente; bisogna afferrare il rapporto che la storia della morte e del ritorno alla vita di Gesù ha con la nostra esistenza.

Il mistero pasquale altro non è che l'opera della Redenzione, per ineffabile disegno del Padre, compiuta da Gesù Cristo, nello Spirito Santo.

Si veda, ad esempio, il capitolo primo della lettera di S. Paolo agli Efesini ( Cfr. F. Prat, La Théologie de St Paul ).

Questa è un'osservazione importantissima.

Noi non siamo solo spettatori davanti ai fatti che hanno concluso la vita temporale del Signore e inaugurato per Lui una nuova forma di vita ultra-temporale; noi siamo, volere o no, coinvolti col dramma di Cristo.

Esso ha un significato sacrificale.

Cioè Cristo ha patito per noi; per noi è risorto.

San Paolo applicherà il sacrificio di Cristo a se stesso: « Egli ha amato me - scrive egli ai Galati - e si è immolato per me » ( Gal 2,20 ).

E ciascuno può dire, anzi deve dire la stessa cosa per se stesso: « Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato » ( 1 Cor 5,7 )

Anzi, il pensiero dell'Apostolo prosegue fino ad associare la sorte d'un seguace di Cristo, battezzato appunto in Cristo Gesù, a quella di Lui; con Lui siamo « consepolti » ( Rm 6,4 ) e « conresuscitati » ( Ef 2,6; Gal 3,27 ).

Non si tratta d'una semplice figura, si tratta d'una fusione, d'una incorporazione della nostra vita con quella di Cristo.

Causa meritoria della nostra giustificazione, Cristo vittima sulla Croce, Egli diventa causa esemplare e principio vivificante con la sua risurrezione ( Denz-Schön., 1529 ).

Ed è vano sostenere che questa visione divina cosmica antropologica sia frutto del genio Paolino ( Ibid. 3438 ), quando già la troviamo espressa in uno dei primi discepoli di S. Pietro a Gerusalemme: « Non vi è salvezza che nel Signore nostro Gesù Cristo Nazareno » ( At 4,10-11 ).

Quante cose, quanta dottrina resta ancora per la nostra formazione cristiana!

Ma anche fermando il nostro pensiero a queste poche ma capitali verità noi possiamo chiedere a noi stessi se esse sono veramente presenti nella nostra « forma mentis » di cristiani autentici, quali tutti dovremmo avere la giusta pretesa di essere!

Innanzitutto il proposito d'avere con Cristo una « comunione », un'amicizia, una fiducia, quale tanto facilmente - e beati noi! - ci concediamo con l'accostarci sovente all'Eucaristia: sì, dobbiamo vivere con Lui, di Lui, per Lui; ma questo comporta ch'Egli sia davvero l'ispiratore della nostra nuova, cioè cristiana, mentalità, il nostro « Pane » vitale, che alimenti pensiero, azione, sentimenti, desideri e speranze.

Cioè Egli deve produrre in noi un « senso », un animo, uno stile di pensiero e di vita che sia almeno tendenzialmente coerente con la convivenza, che Cristo si è degnato, con la fede e con i sacramenti, che da Lui ci vengono, di stabilire in noi.

Il che vuol dire che la Pasqua, cioè il pensiero del suo mistero, l'impegno ch'esso comporta, il gaudio di cui è sorgente, l'energia di bene che da essa deriva, deve rimanere in noi, e spingere i passi del nostro spirito sul sentiero della vita cristiana, che sale a spirale nei giorni consecutivi alla Pasqua stessa e che ci prepara all'incontro finale con Lui, Cristo Signore.

Così sia per tutti voi, con la nostra Benedizione Apostolica.