25 Agosto 1993

1. La comunione, voluta da Gesù tra quanti partecipano del sacramento dell’Ordine, deve manifestarsi in modo tutto particolare nelle relazioni dei Presbiteri con i loro Vescovi.

Il Concilio Vaticano II parla a questo proposito di una “comunione gerarchica”, derivante dall’unità di consacrazione e di missione.

Leggiamo: “Tutti i Presbiteri, assieme ai Vescovi, partecipano in tal grado del medesimo e unico sacerdozio e ministero di Cristo, che la stessa unità di consacrazione e di missione esige la comunione gerarchica dei Presbiteri con l’Ordine dei Vescovi, che viene a volte ottimamente espressa nella concelebrazione liturgica, quando ( Vescovi e Presbiteri ) uniti professano di celebrare la sinassi eucaristica” ( Presbyterorum Ordinis, 7 ).

Come si vede, anche qui si riaffaccia il mistero dell’Eucaristia come segno e fonte di unità.

Con l’Eucaristia è collegato il sacramento dell’Ordine, che determina la comunione gerarchica fra tutti coloro che partecipano del sacerdozio di Cristo: “Per ragione dell’Ordine e del ministero, – aggiunge il Concilio – tutti i Sacerdoti, sia diocesani che religiosi, sono associati al corpo episcopale” ( Lumen Gentium, 28 ).

2. Questo legame tra i Sacerdoti di qualsiasi qualifica e grado e i Vescovi è essenziale nell’esercizio del ministero presbiterale.

I Sacerdoti ricevono dal Vescovo la potestà sacramentale e l’autorizzazione gerarchica per tale ministero.

Anche i Religiosi ricevono tale potestà e tale autorizzazione dal Vescovo che li ordina Sacerdoti e da colui che governa la diocesi dove essi svolgono il ministero.

Anche quando appartengono a Ordini esenti dalla giurisdizione dei Vescovi diocesani per il loro regime interno, ricevono dal Vescovo, a norma delle leggi canoniche, il mandato e il consenso per l’inserimento e l’attività nell’ambito della diocesi, salva sempre l’autorità con cui il Pontefice Romano, come capo della Chiesa, può conferire agli Ordini religiosi o ad altri Istituti il potere di reggersi secondo le loro costituzioni e di operare a raggio universale.

A loro volta, i Vescovi hanno nei Presbiteri dei “necessari collaboratori e consiglieri nel ministero e nella funzione di istruire, santificare e governare il Popolo di Dio” ( PO 7 ).

3. Per questo legame tra Sacerdoti e Vescovi nella comunione sacramentale, i Presbiteri sono “aiuto e strumento” dell’Ordine episcopale, come scrive la Costituzione Lumen gentium ( n. 28 ).

Essi prolungano in ogni comunità l’azione del Vescovo, del quale in certo modo rendono presente la figura di Pastore nei diversi luoghi.

È chiaro che, in forza della sua stessa identità pastorale e della sua origine sacramentale, il ministero dei Presbiteri si esercita “sotto l’autorità del Vescovo”.

Sempre secondo la Lumen gentium, è sotto questa autorità che essi portano “il loro contributo al lavoro pastorale di tutta la diocesi”, santificando e governando la porzione del gregge del Signore loro affidata ( n. 28 ).

È vero che i Presbiteri rappresentano Cristo e agiscono in suo nome, partecipando, nel loro grado di ministero, al suo ufficio di unico Mediatore.

Ma essi possono agire solo come collaboratori del Vescovo, estendendo così il ministero del Pastore diocesano nelle comunità locali.

4. Su questo principio teologico di partecipazione, nell’ambito della comunione gerarchica, si fondano relazioni tra Vescovi e Presbiteri cariche di spiritualità.

La Lumen gentium le enuncia così: “A ragione di questa loro partecipazione nel sacerdozio e nel lavoro apostolico, i Sacerdoti riconoscono nel Vescovo il loro padre e gli obbediscono con rispettoso amore.

Il Vescovo, poi, consideri i Sacerdoti suoi cooperatori come figli e amici, al pari di Cristo che chiama i suoi discepoli non servi, ma amici ( cf. Gv 15,15 )” ( n. 28 ).

L’esempio di Cristo è anche qui la regola del comportamento, sia per i Vescovi che per i Presbiteri.

Se Colui che aveva un’autorità divina non ha voluto trattare i suoi discepoli da servi ma da amici, il Vescovo non può considerare i suoi Sacerdoti come persone al suo servizio.

Con lui, essi servono il Popolo di Dio.

E da parte loro i Presbiteri devono rispondere al Vescovo come richiede la legge della reciprocità dell’amore nella comunione ecclesiale e sacerdotale: cioè da amici e da “figli” spirituali.

L’autorità del Vescovo e l’obbedienza dei suoi collaboratori, i Presbiteri, devono dunque esercitarsi nel quadro della vera e sincera amicizia.

Questo impegno si basa non solo sulla fraternità che esiste in virtù del Battesimo fra tutti i cristiani e su quella che deriva dal sacramento dell’Ordine, ma sulla parola e l’esempio di Gesù, che anche nel suo trionfo di Risorto, si chinò da quell’incommensurabile altezza sui suoi discepoli chiamandoli “miei fratelli” e dichiarando il Padre suo anche il “loro” ( cf. Gv 20,17; Mt 28,10 ).

Così, sull’esempio e l’insegnamento di Gesù, il Vescovo deve trattare come fratelli e amici i Sacerdoti suoi collaboratori, senza che la sua autorità di Pastore e di superiore ecclesiastico ne sia diminuita.

Un clima di fraternità e di amicizia favorisce la fiducia dei Presbiteri e la loro volontà di cooperazione e di corrispondenza nell’amicizia e nella carità fraterna e filiale verso i loro Vescovi.

5. Il Concilio scende anche ad alcuni particolari sui doveri dei Vescovi verso i Presbiteri.

Basti qui rammentarli: i Vescovi devono aver a cuore, in tutto ciò che possono, il benessere materiale e soprattutto spirituale dei loro Sacerdoti; promuoverne la santificazione curandone la continua formazione, esaminando con loro i problemi riguardanti le necessità del lavoro pastorale e il bene della diocesi ( cf. PO 7 ).

Ugualmente i doveri dei Presbiteri verso i loro Vescovi sono riassunti in questi termini: “I Presbiteri, avendo presente la pienezza del sacramento dell’Ordine di cui godono i Vescovi, venerino in essi l’autorità di Cristo, supremo Pastore.

Siano dunque uniti al loro Vescovo con sincera carità e obbedienza” ( PO 7 ).

Carità e obbedienza: il binomio essenziale dello spirito con cui comportarsi col proprio Vescovo.

Si tratta di un’obbedienza animata dalla carità.

L’intenzione fondamentale del Presbitero, nel suo ministero, non può che essere quella si cooperare col suo Vescovo.

Se egli ha spirito di fede, riconosce la volontà di Cristo nelle decisioni del Vescovo.

È comprensibile che talora, particolarmente nei momenti di confronto tra pareri diversi, l’obbedienza possa essere più difficile.

Ma l’obbedienza è stata la disposizione fondamentale di Gesù nel suo sacrificio e ha prodotto il frutto di salvezza che tutto il mondo ha ricevuto.

Anche il Presbitero che vive di fede sa di essere chiamato a un’obbedienza che, attuando la massima di Gesù sull’abnegazione, gli dà il potere e la gloria di condividere la fecondità redentiva del Sacrificio della Croce.

6. Si deve infine aggiungere che, come a tutti è noto, oggi più che in altri tempi, il ministero pastorale richiede la cooperazione dei Presbiteri e quindi la loro unione coi Vescovi, in ragione della sua complessità e vastità.

Come scrive il Concilio, “l’unione tra i Presbiteri e i Vescovi è particolarmente necessaria ai nostri giorni, dato che oggi, per diversi motivi, le imprese apostoliche debbono non solo rivestire forme molteplici, ma anche trascendere i limiti di una parrocchia o di una diocesi.

Nessun Presbitero è quindi in condizione di realizzare a fondo la propria missione se agisce da solo e per proprio conto, senza unire le proprie forze a quelle degli altri Presbiteri, sotto la guida di coloro che governano la Chiesa” ( PO 7 ).

Per questo anche i “Consigli presbiteriali” hanno cercato di rendere sistematica e organica la consultazione dei Presbiteri da parte dei Vescovi ( cf. Sinodo dei Vescovi del 1971: Ench. Vat., IV, 1224 ).

Da parte loro, i Presbiteri parteciperanno a questi Consigli con spirito di collaborazione illuminata e leale, nell’intento di cooperare alla edificazione dell’“unico Corpo”.

E anche singolarmente, nei loro rapporti personali col proprio Vescovo, ricorderanno e avranno a cuore soprattutto una cosa: la crescita di ciascuno e di tutti nella carità, che è frutto dell’oblazione di sé nella luce della Croce.