CEI/Conv/2006_10_16/01/01.txt Insegnamento del Santo Padre Benedetto XVI Il 19 ottobre 2006, alle ore 10.00, Sua Santità Benedetto XVI ha incontrato i partecipanti al Convegno, riuniti in assemblea nel padiglione n. 6 della Fiera di Verona. Il Santo Padre è stato accolto dal Saluto di S.Em. il Cord. Cantillo Rumi, Vicario Generale di Sua Santità per la Diocesi di Roma e Presidente della Conferenza Episcopale Italiana, e ha ascoltato una Presentazione del Convegno da parte della Dott.ssa Giovanna Ghirlanda, direttore medico dell'Ospedale policlinico " G. Rossi " di Verona. Ha poi rivolto ai partecipanti il Discorso, che apre questa sezione; la mattinata si è conclusa con la preghiera dell'Angelus. Nel pomeriggio, alle ore 16.00, il Santo Padre ha presieduto la Concelebrazione Eucaristica allo stadio comunale " M. Bentegodi ", pronunciando l'Omelia. Il rito è stato preceduto dal Saluto di S.E. Mons. Flavio Roberto Carrara, Vescovo di Verona. Discorso del Santo Padre Benedetto XVI all'assemblea del Convegno 19 ottobre 2006 Cari fratelli e sorelle! Mi rallegro di essere con voi oggi, in questa tanto bella e storica città di Verona, per prendere parte attivamente al 4° Convegno nazionale della Chiesa in Italia. Porgo a tutti e a ciascuno il più cordiale saluto nel Signore. Ringrazio il Card. Camillo Ruini, Presidente della Conferenza Episcopale, e la Dott.ssa Giovanna Ghirlanda, rappresentante della Diocesi di Verona, per le gentili parole di accoglienza che mi hanno rivolto a nome di voi tutti e per le notizie che mi hanno dato sullo svolgimento del Convegno. Ringrazio il Card. Dionigi Tettamanzi, Presidente del Comitato preparatorio, e quanti hanno lavorato per la sua realizzazione. Ringrazio di cuore ognuno di voi, che rappresentate qui, in felice armonia, le varie componenti della Chiesa in Italia: il Vescovo di Verona, Mons. Flavio Roberto Carraro, che ci ospita, i Vescovi qui convenuti, i sacerdoti e i diaconi, i religiosi e le religiose, e voi fedeli laici, uomini e donne, che date voce alle molteplici realtà del laicato cattolico in Italia. Questo 4° Convegno nazionale è una nuova tappa del cammino di attuazione del Vaticano II, che la Chiesa italiana ha intrapreso fin dagli anni immediatamente successivi al grande Concilio: un cammino di comunione anzitutto con Dio Padre e con il suo Figlio Gesù Cristo nello Spirito Santo e quindi di comunione tra noi, nell'unità dell'unico corpo di Cristo ( 1 Gv 1,3; 1 Cor 12,12-13 ); un cammino proteso all'evangelizzazione, per mantenere viva e salda la fede nel popolo italiano; una tenace testimonianza, dunque, di amore per l'Italia e di operosa sollecitudine per il bene dei suoi figli. Questo cammino la Chiesa in Italia lo ha percorso in stretta e costante unione con il successore di Pietro: mi è grato ricordare con voi i servi di Dio Paolo VI, che volle il 1° Convegno nell'ormai lontano 1976, e Giovanni Paolo II, con i suoi fondamentali interventi - li ricordiamo tutti - ai Convegni di Loreto e di Palermo, che hanno rafforzato nella Chiesa italiana la fiducia di poter operare affinché la fede in Gesù Cristo continui a offrire, anche agli uomini e alle donne del nostro tempo, il senso e l'orientamento dell'esistenza e abbia così " un ruolo guida e un'efficacia trainante " nel cammino della nazione verso il suo futuro ( Discorso al Convegno di Loreto, 11 aprile 1985, n. 7 ). Il Signore risorto e la sua Chiesa Nello stesso spirito sono venuto oggi a Verona, per pregare il Signore con voi, condividere - sia pure brevemente - il vostro lavoro di queste giornate e proporvi una mia riflessione su quel che appare davvero importante per la presenza cristiana in Italia. Avete compiuto una scelta assai felice ponendo Gesù Cristo risorto al centro dell'attenzione del Convegno e di tutta la vita e la testimonianza della Chiesa in Italia. La risurrezione di Cristo è un fatto avvenuto nella storia, di cui gli Apostoli sono stati testimoni e non certo creatori. Nello stesso tempo essa non è affatto un semplice ritorno alla nostra vita terrena; è invece la più grande " mutazione " mai accaduta, il " salto " decisivo verso una dimensione di vita profondamente nuova, l'ingresso in un ordine decisamente diverso, che riguarda anzitutto Gesù di Nazaret, ma con lui anche noi, tutta la famiglia umana, la storia e l'intero universo: per questo la risurrezione di Cristo è il centro della predicazione e della testimonianza cristiana, dall'inizio e fino alla fine dei tempi. Si tratta di un grande mistero, certamente, il mistero della nostra salvezza, che trova nella risurrezione del Verbo incarnato il suo compimento e insieme l'anticipazione e il pegno della nostra speranza. Ma la cifra di questo mistero è l'amore, e soltanto nella logica dell'amore esso può essere accostato e in qualche modo compreso: Gesù Cristo risorge dai morti perché tutto il suo essere è perfetta e intima unione con Dio, che è l'amore davvero più forte della morte. Egli era una cosa sola con la Vita indistruttibile e pertanto poteva donare la propria vita lasciandosi uccidere, ma non poteva soccombere definitivamente alla morte: in concreto nell'Ultima Cena egli ha anticipato e accettato per amore la propria morte in croce, trasformandola così nel dono di sé, quel dono che ci dà la vita, ci libera e ci salva. La sua risurrezione è stata dunque come un'esplosione di luce, un'esplosione dell'amore che scioglie le catene del peccato e della morte. Essa ha inaugurato una nuova dimensione della vita e della realtà, dalla quale emerge un mondo nuovo, che penetra continuamente nel nostro mondo, lo trasforma e lo attira a sé. Tutto ciò avviene concretamente attraverso la vita e la testimonianza della Chiesa; anzi, la Chiesa stessa costituisce la primizia di questa trasformazione, che è opera di Dio e non nostra. Essa giunge, a noi mediante la fede e il sacramento del battesimo, che è realmente morte e risurrezione, rinascita, trasformazione in una vita nuova. È ciò che rileva San Paolo nella Lettera ai Calati: " Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me " ( Gal 2,20 ). È stata cambiata così la mia identità essenziale, tramite il battesimo, e io continuo a esistere soltanto in questo cambiamento. Il mio proprio io mi viene tolto e viene inserito in un nuovo soggetto più grande, nel quale il mio io c'è di nuovo, ma trasformato, purificato, " aperto " mediante l'inserimento nell'altro, nel quale acquista il suo nuovo spazio di esistenza. Diventiamo così " uno in Cristo " ( Gal 3,28 ), un unico soggetto nuovo, e il nostro io viene liberato dal suo isolamento. " Io, ma non più io ": è questa la formula dell'esistenza cristiana fondata nel battesimo, la formula della risurrezione dentro al tempo, la formula della " novità " cristiana chiamata a trasformare il mondo. Qui sta la nostra gioia pasquale. La nostra vocazione e il nostro compito di cristiani consistono nel cooperare perché giunga a compimento effettivo, nella realtà quotidiana della nostra vita, ciò che lo Spirito Santo ha intrapreso in noi col battesimo: siamo chiamati infatti a divenire donne e uomini nuovi, per poter essere veri testimoni del Risorto e in tal modo portatori della gioia e della speranza cristiana nel mondo, in concreto, in quella comunità di uomini e di donne entro la quale viviamo. E così, da questo messaggio fondamentale della risurrezione presente in noi e nel nostro operato quotidiano, vengo al tema del servizio della Chiesa in Italia alla Nazione, all'Europa e al mondo. Il servizio della Chiesa in Italia alla Nazione all'Europa e al mondo L'Italia di oggi si presenta a noi come un terreno profondamente bisognoso e al contempo molto favorevole per una tale testimonianza. Profondamente bisognoso, perché partecipa di quella cultura che predomina in occidente e che vorrebbe porsi come universale e autosuffìciente, generando un nuovo costume di vita. Ne deriva una nuova ondata di illuminismo e di laicismo, per la quale sarebbe razionalmente valido soltanto ciò che è sperimentabile e calcolabile, mentre sul piano della prassi la libertà individuale viene eretta a valore fondamentale al quale tutti gli altri dovrebbero sottostare. Così Dio rimane escluso dalla cultura e dalla vita pubblica, e la fede in lui diventa più difficile, anche perché viviamo in un mondo che si presenta quasi sempre come opera nostra, nel quale, per così dire Dio non compare più direttamente, sembra divenuto superfluo, anzi estraneo. In stretto rapporto con tutto questo, ha luogo una radicale riduzione dell'uomo, considerato un semplice prodotto della natura, come tale non realmente libero e di per sé suscettibile di essere trattato come ogni altro animale. Si ha così un autentico capovolgimento del punto di partenza di questa cultura, che era una rivendicazione della centralità dell'uomo e della sua libertà. Nella medesima linea, l'etica viene ricondotta entro i confini del relativismo e dell'utilitarismo, con l'esclusione di ogni principio morale che sia valido e vincolante per se stesso. Non è difficile vedere come questo tipo di cultura rappresenti un taglio radicale e profondo non solo con il cristianesimo, ma più in generale con le tradizioni religiose e morali dell'umanità: non sia quindi in grado di instaurare un vero dialogo con le altre culture, nelle quali la dimensione religiosa è fortemente presente, oltre a non poter rispondere alle domande fondamentali sul senso e sulla direzione della nostra vita. Perciò questa cultura è contrassegnata da una profonda carenza, ma anche da un grande e inutilmente nascosto bisogno di speranza. L'Italia però, come accennavo, costituisce al tempo stesso un terreno assai favorevole per la testimonianza cristiana. La Chiesa, infatti, qui è una realtà molto viva - e lo vediamo! -, che conserva una presenza capillare in mezzo alla gente di ogni età e condizione. Le tradizioni cristiane sono spesso ancora radicate e continuano a produrre frutti, mentre è in atto un grande sforzo di evangelizzazione e catechesi, rivolto in particolare alle nuove generazioni, ma ormai sempre più anche alle famiglie. È inoltre sentita con crescente chiarezza l'insufficienza di una razionalità chiusa in se stessa e di un'etica troppo individualista: in concreto, si avverte la gravita del rischio di staccarsi dalle radici cristiane della nostra civiltà. Questa sensazione, che è diffusa nel popolo italiano, viene formulata espressamente e con forza da parte di molti e importanti uomini di cultura, anche tra coloro che non condividono o almeno non praticano la nostra fede. La Chiesa e i cattolici italiani sono dunque chiamati a cogliere questa grande opportunità, e anzitutto a esserne consapevoli. Il nostro atteggiamento non dovrà mai essere, pertanto, quello di un rinunciatario ripiegamento su noi stessi: occorre invece mantenere vivo e se possibile incrementare il nostro dinamismo, occorre aprirsi con fiducia a nuovi rapporti, non trascurare alcuna delle energie che possono contribuire alla crescita culturale e morale dell'Italia. Tocca a noi infatti - non con le nostre povere risorse, ma con la forza che viene dallo Spirito Santo - dare risposte positive e convincenti alle attese e agli interrogativi della nostra gente: se sapremo farlo, la Chiesa in Italia renderà un grande servizio non solo a questa Nazione, ma anche all'Europa e al mondo, perché è presente ovunque l'insidia del secolarismo e altrettanto universale è la necessità di una fede vissuta in rapporto alle sfide del nostro tempo. Rendere visibile il grande " sì " della fede Cari fratelli e sorelle, dobbiamo ora domandarci come, e su quali basi, adempiere un simile compito. In questo Convegno avete ritenuto, giustamente, che sia indispensabile dare alla testimonianza cristiana contenuti concreti e praticabili, esaminando come essa possa attuarsi e svilupparsi in ciascuno di quei grandi ambiti nei quali si articola l'esperienza umana. Saremo aiutati, così, a non perdere di vista nella nostra azione pastorale il collegamento tra la fede e la vita quotidiana, tra la proposta del Vangelo e quelle preoccupazioni e aspirazioni che stanno più a cuore alla gente. In questi giorni avete riflettuto perciò sulla vita affettiva e sulla famiglia, sul lavoro e sulla festa, sull'educazione e la cultura, sulle condizioni di povertà e di malattia, sui doveri e le responsabilità della vita sociale e politica. Per parte mia vorrei sottolineare come, attraverso questa multiforme testimonianza, debba emergere soprattutto quel grande " sì " che in Gesù Cristo Dio ha detto all'uomo e alla sua vita, all'amore umano, alla nostra libertà e alla nostra intelligenza; come, pertanto, la fede nel Dio dal volto umano porti la gioia nel mondo. Il cristianesimo è infatti aperto a tutto ciò che di giusto, vero e puro vi è nelle culture e nelle civiltà, a ciò che allieta, consola e fortifica la nostra esistenza. San Paolo nella Lettera ai Filippesi ha scritto: " Tutto quello che è vero, nobile, giusto, puro, amabile, onorato, quello che è virtù e merita lode, tutto questo sia oggetto dei vostri pensieri " ( Fil 4,8 ). I discepoli di Cristo riconoscono pertanto e accolgono volentieri gli autentici valori della cultura del nostro tempo, come la conoscenza scientifica e lo sviluppo tecnologico, i diritti dell'uomo, la libertà religiosa, la democrazia. Non ignorano e non sottovalutano però quella pericolosa fragilità della natura umana che è una minaccia per il cammino dell'uomo in ogni contesto storico; in particolare, non trascurano le tensioni interiori e le contraddizioni della nostra epoca. Perciò l'opera di evangelizzazione non è mai un semplice adattarsi alle culture, ma è sempre anche una purificazione, un taglio coraggioso che diviene maturazione e risanamento, un'apertura che consente di nascere a quella " creatura nuova " ( 2 Cor 5,17; Gal 6,15 ) che è il frutto dello Spirito Santo. Come ho scritto nell'enciclica Deus carìtas est, all'inizio dell'essere cristiano - e quindi all'origine della nostra testimonianza di credenti - non c'è una decisione etica o una grande idea, ma l'incontro con la persona di Gesù Cristo, " che da alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva " ( DCE 1 ). La fecondità di questo incontro si manifesta, in maniera peculiare e creativa, anche nell'attuale contesto umano e culturale, anzitutto in rapporto alla ragione che ha dato vita alle scienze moderne e alle relative tecnologie. Una caratteristica fondamentale di queste ultime è infatti l'impiego sistematico degli strumenti della matematica, per poter operare con la natura e mettere al nostro servizio le sue immense energie. La matematica come tale è una creazione della nostra intelligenza: la corrispondenza tra le sue strutture e le strutture reali dell'universo - che è il presupposto di tutti i moderni sviluppi scientifici e tecnologici, già espressamente formulato da Galileo Galilei con la celebre affermazione che il libro della natura è scritto in linguaggio matematico - suscita la nostra ammirazione e pone una grande domanda. Implica infatti che l'universo stesso sia strutturato in maniera intelligente, in modo che esista una corrispondenza profonda tra la nostra ragione soggettiva e la ragione oggettivata nella natura. Diventa allora inevitabile chiedersi se non debba esservi un'unica intelligenza originaria, che sia la comune fonte dell'una e dell'altra. Così proprio la riflessione sullo sviluppo delle scienze ci riporta verso il Logos creatore. Viene capovolta la tendenza a dare il primato all'irrazionale, al caso e alla necessità, a ricondurre a esso anche la nostra intelligenza e la nostra libertà. Su queste basi diventa anche di nuovo possibile allargare gli spazi della nostra razionalità, riaprirla alle grandi questioni del vero e del bene, coniugare tra loro la teologia, la filosofia e le scienze, nel pieno rispetto dei loro metodi propri e della loro reciproca autonomia, ma anche nella consapevolezza dell'intrinseca unità che le tiene insieme. È questo un compito che sta davanti a noi, un'avventura affascinante nella quale merita spendersi, per dare nuovo slancio alla cultura del nostro tempo e per restituire in essa alla fede cristiana piena cittadinanza. Il " progetto culturale " della Chiesa in Italia è senza dubbio, a tal fine, un'intuizione felice e un contributo assai importante. La persona umana. Ragione, intelligenza, amore La persona umana non è, d'altra parte, soltanto ragione e intelligenza, che pur ne sono elementi costitutivi. Porta dentro di sé, iscritto nel più profondo del suo essere, il bisogno di amore, di essere amata e di amare a sua volta. Perciò si interroga e spesso si smarrisce di fronte alle durezze della vita, al male che esiste nel mondo e che appare tanto forte e, al contempo, radicalmente privo di senso. In particolare nella nostra epoca, nonostante tutti i progressi compiuti, il male non è affatto vinto; anzi, il suo potere sembra rafforzarsi e vengono presto smascherati tutti i tentativi di nasconderlo, come dimostrano sia l'esperienza quotidiana sia le grandi vicende storiche. Ritorna dunque, insistente, la domanda se nella nostra vita ci possa essere uno spazio sicuro per l'amore autentico e, in ultima analisi, se il mondo sia davvero l'opera della sapienza di Dio. Qui, molto più di ogni ragionamento umano, ci soccorre la novità sconvolgente della rivelazione biblica: il Creatore del cielo e della terra, l'unico Dio che è la sorgente di ogni essere, questo unico Logos creatore, questa ragione creatrice, sa amare personalmente l'uomo, anzi lo ama appassionatamente e vuole essere a sua volta amato. Questa ragione creatrice, che è nello stesso tempo amore, dà vita perciò a una storia d'amore con Israele, il suo popolo, e in questa vicenda, di fronte ai tradimenti del popolo, il suo amore si mostra ricco di inesauribile fedeltà e misericordia, è l'amore che perdona al di là di ogni limite. In Gesù Cristo un tale atteggiamento raggiunge la sua forma estrema, inaudita e drammatica: in lui infatti Dio si fa uno di noi, nostro fratello in umanità, e addirittura sacrifica la sua vita per noi. Nella morte in croce - apparentemente il più grande male della storia - si compie dunque " quel volgersi di Dio contro se stesso nel quale egli si dona per rialzare l'uomo e salvarlo - amore, questo, nella sua forma più radicale ", nel quale si manifesta cosa significhi che " Dio è amore " ( 1 Gv 4,8 ) e si comprende anche come debba definirsi l'amore autentico ( DCE 9-10 e 12 ). Proprio perché ci ama veramente, Dio rispetta e salva la nostra libertà. Al potere del male e del peccato non oppone un potere più grande, ma - come ci ha detto il nostro amato Papa Giovanni Paolo II nell'enciclica Dives in misericordia e, da ultimo, nel libro Memoria e identità, il suo vero testamento spirituale - preferisce porre il limite della sua pazienza e della sua misericordia, quel limite che è, in concreto, la sofferenza del Figlio di Dio. Così anche la nostra sofferenza è trasformata dal di dentro, è introdotta nella dimensione dell'amore e racchiude una promessa di salvezza. Cari fratelli e sorelle, tutto questo Giovanni Paolo II non lo ha soltanto pensato, e nemmeno soltanto creduto con una fede astratta: lo ha compreso e vissuto con una fede maturata nella sofferenza. Su questa strada, come Chiesa, siamo chiamati a seguirlo, nel modo e nella misura che Dio dispone per ciascuno di noi. La croce ci fa giustamente paura, come ha provocato paura e angoscia in Gesù Cristo ( Mc 14,33-36 ): essa però non è negazione della vita, da cui per essere felici occorra sbarazzarsi. È invece il " sì " estremo di Dio all'uomo, l'espressione suprema del suo amore e la scaturigine della vita piena e perfetta: contiene dunque l'invito più convincente a seguire Cristo sulla via del dono di sé. Qui mi è caro rivolgere un pensiero di speciale affetto alle membra sofferenti del corpo del Signore: esse, in Italia come ovunque nel mondo, completano quello che manca ai patimenti di Cristo nella propria carne ( Col 1,24 ) e contribuiscono così nella maniera più efficace alla comune salvezza. Esse sono i testimoni più convincenti di quella gioia che viene da Dio e che dona la forza di accettare la croce nell'amore e nella perseveranza. Sappiamo bene che questa scelta della fede e della sequela di Cristo non è mai facile: è sempre, invece, contrastata e controversa. La Chiesa rimane quindi " segno di contraddizione ", sulle orme del suo Maestro ( Lc 2,34 ), anche nel nostro tempo. Ma non per questo ci perdiamo d'animo. Al contrario, dobbiamo essere sempre pronti a dare risposta ( apo-logia ) a chiunque ci domandi ragione ( logos ) della nostra speranza, come ci invita a fare la Prima lettera di San Pietro ( 1 Pt 3,15 ), che avete scelto assai opportunamente quale guida biblica per il cammino di questo Convegno. Dobbiamo rispondere " con dolcezza e rispetto, con una retta coscienza " ( 1 Pt 3,15-16 ), con quella forza mite che viene dall'unione con Cristo. Dobbiamo farlo a tutto campo, sul piano del pensiero e dell'azione, dei comportamenti personali e della testimonianza pubblica. La forte unità che si è realizzata nella Chiesa dei primi secoli tra una fede amica dell'intelligenza e una prassi di vita caratterizzata dall'amore reciproco e dall'attenzione premurosa ai poveri e ai sofferenti ha reso possibile la prima grande espansione missionaria del cristianesimo nel mondo ellenistico - romano. Così è avvenuto anche in seguito, in diversi contesti culturali e situazioni storiche. Questa rimane la strada maestra per l'evangelizzazione: il Signore ci guidi a vivere questa unità tra verità e amore nelle condizioni proprie del nostro tempo, per l'evangelizzazione dell'Italia e del mondo di oggi. Vengo così a un punto importante e fondamentale, cioè l'educazione. L'educazione In concreto, perché l'esperienza della fede e dell'amore cristiano sia accolta e vissuta e si trasmetta da una generazione all'altra, una questione fondamentale e decisiva è quella dell'educazione della persona. Occorre preoccuparsi della formazione della sua intelligenza, senza trascurare quelle della sua libertà e capacità di amare. E per questo è necessario il ricorso anche all'aiuto della grazia. Solo in questo modo si potrà contrastare efficacemente quel rischio per le sorti della famiglia umana che è costituito dallo squilibrio tra la crescita tanto rapida del nostro potere tecnico e la crescita ben più faticosa delle nostre risorse morali. Un'educazione vera ha bisogno di risvegliare il coraggio delle decisioni definitive, che oggi vengono considerate un vincolo che mortifica la nostra libertà, ma in realtà sono indispensabili per crescere e raggiungere qualcosa di grande nella vita, in particolare per far maturare l'amore in tutta la sua bellezza: quindi per dare consistenza e significato alla stessa libertà. Da questa sollecitudine per la persona umana e la sua formazione vengono i nostri " no " a forme deboli e deviate di amore e alle contraffazioni della libertà, come anche alla riduzione della ragione soltanto a ciò che è calcolabile e manipolabile. In verità, questi " no " sono piuttosto dei " sì " all'amore autentico, alla realtà dell'uomo come è stato creato da Dio. Voglio esprimere qui tutto il mio apprezzamento per il grande lavoro formativo ed educativo che le singole Chiese non si stancano di svolgere in Italia, per la loro attenzione pastorale alle nuove generazioni e alle famiglie: grazie per questa attenzione! Tra le molteplici forme di questo impegno non posso non ricordare, in particolare, la scuola cattolica, perché nei suoi confronti sussistono ancora, in qualche misura, antichi pregiudizi, che generano ritardi dannosi, e ormai non più giustificabili, nel riconoscerne la funzione e nel permetterne in concreto l'attività. Testimonianze di carità Gesù ci ha detto che tutto ciò che avremo fatto ai suoi fratelli più piccoli lo avremo fatto a lui ( Mt 25,40 ). L'autenticità della nostra adesione a Cristo si verifica dunque specialmente nell'amore e nella sollecitudine concreta per i più deboli e i più poveri, per chi si trova in maggior pericolo e in più grave difficoltà. La Chiesa in Italia ha una grande tradizione di vicinanza, aiuto e solidarietà verso i bisognosi, gli ammalati, gli emarginati, che trova la sua espressione più alta in una serie meravigliosa di " santi della carità ". Questa tradizione continua anche oggi e si fa carico delle molte forme di nuove povertà, morali e materiali, attraverso la Caritas, il volontariato sociale, l'opera spesso nascosta di tante parrocchie, comunità religiose, associazioni e gruppi, singole persone mosse dall'amore di Cristo e dei fratelli. La Chiesa in Italia, inoltre, da prova di una straordinaria solidarietà verso le sterminate moltitudini dei poveri della terra. È quindi quanto mai importante che tutte queste testimonianze di carità conservino sempre alto e luminoso il loro profilo specifico, nutrendosi di umiltà e di fiducia nel Signore, mantenendosi libere da suggestioni ideologiche e da simpatie partitiche, e soprattutto misurando il proprio sguardo sullo sguardo di Cristo: è importante dunque l'azione pratica, ma conta ancora di più la nostra partecipazione personale ai bisogni e alle sofferenze del prossimo. Così, cari fratelli e sorelle, la carità della Chiesa rende visibile l'amore di Dio nel mondo e rende così convincente la nostra fede nel Dio incarnato, crocifisso e risorto. Responsabilità civili e politiche dei cattolici Il vostro Convegno ha giustamente affrontato anche il tema della cittadinanza, cioè le questioni delle responsabilità civili e politiche dei cattolici. Cristo infatti è venuto per salvare l'uomo reale e concreto, che vive nella storia e nella comunità, e pertanto il cristianesimo e la Chiesa, fin dall'inizio, hanno avuto una dimensione e una valenza anche pubblica. Come ho scritto nell'enciclica Deus caritas est ( nn. 28-29 ), sui rapporti tra religione e politica Gesù Cristo ha portato una novità sostanziale, che ha aperto il cammino verso un mondo più umano e più libero, attraverso la distinzione e l'autonomia reciproca tra lo Stato e la Chiesa, tra ciò che è di Cesare e ciò che è di Dio ( Mt 22,21 ). La stessa libertà religiosa, che avvertiamo come un valore universale, particolarmente necessario nel mondo di oggi, ha qui la sua radice storica. La Chiesa, dunque, non è e non intende essere un agente politico. Nello stesso tempo ha un interesse profondo per il bene della comunità politica, la cui anima è la giustizia, e le offre a un duplice livello il suo contributo specifico. La fede cristiana, infatti, purifica la ragione e l'aiuta a essere meglio se stessa: con la sua dottrina sociale pertanto, argomentata a partire da ciò che è conforme alla natura di ogni essere umano, la Chiesa contribuisce a far sì che ciò che è giusto possa essere efficacemente riconosciuto e poi anche realizzato. A tal fine sono chiaramente indispensabili le energie morali e spirituali che consentano di anteporre le esigenze della giustizia agli interessi personali, o di una categoria sociale, o anche di uno Stato: qui di nuovo c'è per la Chiesa uno spazio assai ampio, per radicare queste energie nelle coscienze, alimentarle e irrobustirle. Il compito immediato di agire in ambito politico per costruire un giusto ordine nella società non è dunque della Chiesa come tale, ma dei fedeli laici, che operano come cittadini sotto propria responsabilità: si tratta di un compito della più grande importanza, al quale i cristiani laici italiani sono chiamati a dedicarsi con generosità e con coraggio, illuminati dalla fede e dal Magistero della Chiesa e animati dalla carità di Cristo. Una speciale attenzione e uno straordinario impegno sono richiesti oggi da quelle grandi sfide nelle quali vaste porzioni della famiglia umana sono maggiormente in pericolo: le guerre e il terrorismo, la fame e la sete, alcune terribili epidemie. Ma occorre anche fronteggiare, con pari determinazione e chiarezza di intenti, il rischio di scelte politiche e legislative che contraddicano fondamentali valori e principi antropologici ed etici radicati nella natura dell'essere umano, in particolare riguardo alla tutela della vita umana in tutte le sue fasi, dal concepimento alla morte naturale, e alla promozione della famiglia fondata sul matrimonio, evitando di introdurre nell'ordinamento pubblico altre forme di unione che contribuirebbero a destabilizzarla, oscurando il suo carattere peculiare e il suo insostituibile ruolo sociale. La testimonianza aperta e coraggiosa che la Chiesa e i cattolici italiani hanno dato e stanno dando a questo riguardo sono un servizio prezioso all'Italia, utile e stimolante anche per molte altre nazioni. Questo impegno e questa testimonianza fanno certamente parte di quel grande " sì " che come credenti in Cristo diciamo all'uomo amato da Dio. Essere uniti a Cristo Cari fratelli e sorelle, i compiti e le responsabilità che questo Convegno ecclesiale pone in evidenza sono certamente grandi e molteplici. Siamo stimolati perciò a tenere sempre presente che non siamo soli nel portarne il peso: ci sosteniamo infatti gli uni gli altri e soprattutto il Signore stesso guida e sostiene la fragile barca della Chiesa. Ritorniamo così al punto da cui siamo partiti: decisivo è il nostro essere uniti a lui, e quindi tra noi, lo stare con lui per poter andare nel suo nome ( Mc 3,13-15 ). La nostra vera forza è dunque nutrirci della sua parola e del suo corpo, unirci alla sua offerta per noi, come faremo nella celebrazione di questo pomeriggio, adorarlo presente nell'Eucaristia: prima di ogni attività e di ogni nostro programma, infatti, deve esserci l'adorazione, che ci rende davvero liberi e ci dà i criteri per il nostro agire. Nell'unione a Cristo ci precede e ci guida la Vergine Maria, tanto amata e venerata in ogni contrada d'Italia. In lei incontriamo, pura e non deformata, la vera essenza della Chiesa e così, attraverso di lei, impariamo a conoscere e ad amare il mistero della Chiesa che vive nella storia, ci sentiamo fino in fondo parte di essa, diventiamo a nostra volta " anime ecclesiali ", impariamo a resistere a quella " secolarizzazione interna " che insidia la Chiesa nel nostro tempo, in conseguenza dei processi di secolarizzazione che hanno profondamente segnato la civiltà europea. Cari fratelli e sorelle, eleviamo insieme al Signore la nostra preghiera, umile ma piena di fiducia, affinché la comunità cattolica italiana, inserita nella comunione vivente della Chiesa di ogni luogo e di tutti i tempi, e strettamente unita intorno ai propri Vescovi, porti con rinnovato slancio a questa amata Nazione, e in ogni angolo della terra, la gioiosa testimonianza di Gesù risorto, speranza dell'Italia e del mondo. Indirizzo di saluto di S.Em. il Card. Camillo Ruini 19 ottobre 2006 Padre Santo, una sola cosa desidero dirLe: un grandissimo grazie per il suo essere qui oggi con noi. È questo il sentimento unanime dei presenti in questa sala, ma è anche il sentimento delle Chiese che sono in Italia. Padre Santo, la Dott.ssa Giovanna Ghirlanda Le illustrerà brevemente il lavoro che abbiamo svolto in questi giorni. A me preme sottolineare il legame di comunione e di ammirazione, l'affetto profondo, la gratitudine del cuore, la convinta adesione al Suo insegnamento, che uniscono a Vostra Santità i Vescovi italiani, i presbiteri, i religiosi e le religiose, i laici, tutto il popolo di Dio che è in Italia. Padre Santo, sentiamo questo legame come un grande dono di Dio, come un cemento tenace che ci tiene uniti tra noi, come una guida sicura e illuminante per la nostra testimonianza apostolica. Perciò ascolteremo e accoglieremo le Sue parole con totale apertura di mente e di cuore e cercheremo di metterle a frutto nel cammino che la Chiesa italiana è chiamata a percorrere. Padre Santo, la nostra preghiera La accompagna in ogni momento. Sappiamo che Vostra Santità ci custodisce nel Suo cuore, conosce in profondità, ama e benedice questa nostra Italia. Ecco perché, Padre Santo, ancora una volta Le diciamo grazie. Presentazione del Convegno della Dott.ssa Giovanna Ghirlanda 19 ottobre 2006 Santità, grande è la nostra gioia per la Sua presenza oggi in mezzo a noi, la accogliamo con affetto al 4° Convegno nazionale della Chiesa italiana. Questo è un evento particolarmente significativo, sia come prima verifica del cammino pastorale compiuto, a partire dal Grande Giubileo del 2000, sia come occasione di ripresa e di slancio verso gli impegni che ci attendono. Il lavoro di preparazione è iniziato oltre un anno fa con la consegna della traccia di riflessione. Questo tempo ha visto un coinvolgimento ampio e capillare delle Chiese diocesane, che si sono impegnate con passione per fornire il loro contributo al Convegno, arricchito anche dell'apporto degli organismi nazionali, delle aggregazioni ecclesiali e di ispirazione cristiana e di altri numerosi elaborati giunti da diverse parti. Questa operosa adesione si motiva con l'esigenza molto avvertita tra i cattolici italiani di interrogarsi sul tempo presente, un tempo segnato da profonde trasformazioni culturali, e caratterizzato " dal rischio e dall'incertezza ", nel quale massificazione e individualismo vanno di pari passo, mentre la stessa domanda di senso è indebolita nel frastuono di " non-risposte " mondane cercate con avidità e nel continuo bisogno di una soddisfazione immediata. Proprio in questo contesto, differenziato e problematico, che mette in crisi elementi costitutivi della visione stessa di uomo, i cristiani sono chiamati a riconoscere i segni dell'opera dello Spirito nel nostro tempo. Da qui la scelta del tema: " Testimoni di Gesù risorto, speranza del mondo ", nell'obiettivo di " chiamare i cattolici italiani a testimoniare, con uno stile credibile di vita. Cristo risorto come la novità capace di rispondere alle attese e alle speranze più profonde degli uomini d'oggi ". È questo il cuore della nostra testimonianza che, scaturita dall'incontro con il Risorto, diventa discernimento sulla vita e ricerca di forme significative di presenza, soprattutto dei cristiani laici, nella Chiesa e nel mondo. Un primo percorso di approfondimento ha avuto come guida la Prima lettera di Pietro. Testo di grande attualità nel quale le prospettive teologiche e spirituali si intrecciano strettamente agli interrogativi culturali ed ecclesiali oggi più vivi. Anche noi, come i fedeli " dispersi " delle comunità dell'Asia Minore, dobbiamo affrontare, molti ostacoli, primo fra tutti la difficoltà del cristiano ad andare controcorrente, ma riconosciamo anche le opportunità che si offrono per aprire strade nuove alla speranza e alla salvezza. Al risultato di questa ricerca, sulla quale ci siamo impegnati nel tempo di preparazione, abbiamo dato concreta visibilità evidenziando i profili dei santi e dei beati italiani e di persone comuni che si sono distinte come " testimoni di speranza " nella vita quotidiana del '900. Le loro immagini erano con noi lunedì pomeriggio alla solenne celebrazione di apertura del Convegno in Arena. Abbiamo voluto, inoltre, che anche il linguaggio dell'arte ci aiutasse a raccontare, nelle sue varie espressioni, la bellezza dell'annuncio della " buona novella ". Un secondo percorso di riflessione ha riguardato cinque dimensioni costitutive della sfera antropologico - culturale: la vita affettiva; il lavoro e la festa, come capacità di vivere il tempo; la fragilità dell'esistenza umana; la tradizione, come trasmissione dei valori culturali e di fede; la cittadinanza, nel senso di appartenenza civile e sociale. Considerare la vita affettiva uno degli ambiti della testimonianza e della speranza cristiana, infatti, significa vedere la persona umana come un valore da custodire e, come tale, posta al centro dell'azione della Chiesa. La riflessione ha evidenziato la necessità di curare le relazioni coltivando il dialogo e l'amicizia, l'esigenza di rinnovare i linguaggi dell'annuncio e i percorsi per l'educazione all'amore e all'affettività e l'urgenza di sostenere un pensiero forte sulla famiglia, fondata sul matrimonio, per riattribuire un senso ai legami affettivi profondi. Un secondo frutto della nostra riflessione è stata, poi, la riaffermazione dello stretto legame fra il lavoro e la festa, reciprocamente intrecciati per ridare un ritmo umano alla nostra vita e farci recuperare l'autentica concezione del tempo cristiano. Da qui la necessità di sottrarre il tempo libero al dominio del mercato e del denaro, e di ritrovare il valore della domenica come tempo dell'incontro fecondo con Dio e con gli uomini. Un tempo festivo che irradia e pervade tutto il tempo settimanale. Come abbiamo detto - e lei ci ha esortato - al Congresso eucaristico nazionale di Bari: " Sine dominico non possumus ". Urge una riscoperta dell'etica sociale che aiuti a formare coscienze adulte che si spendono per la dignità dell'uomo e per il bene comune. Attraverso il paradigma della fragilità, inoltre, abbiamo guardato all'uomo in tutte le età della vita, attraverso le sue esperienze fondamentali: l'amore e la solitudine, la libertà e la responsabilità, il bisogno di comunicare e gli ostacoli all'espressione di sé, la forza e la debolezza del corpo e della mente, il far parte di un'ampia comunità e i rischi dell'esclusione e dell'ingiustizia sociale. In queste situazioni siamo chiamati ad annunciare il paradosso di un Dio che si è fatto uomo, per amore dell'uomo. Nella fragilità, quindi, si svela il legame forte fra la virtù della speranza e la virtù della carità. Un limite che tocca ogni uomo, quello della morte, ci ha accompagnati nel nostro cammino verso Verona: l'Arcivescovo Cataldo Naro, uno dei vicepresidenti del Comitato preparatorio, ci ha lasciato pochi giorni fa. Sappiamo, però, che nel Signore risorto ci accompagna con la sua grande amicizia. La Chiesa è di per se stessa tradizione, in quel tramandare di generazione in generazione l'Evento che la costituisce e la determina. Ed è per questo che si impone come prioritaria la necessità della formazione, perché noi cattolici sappiamo mostrare, in forme visibili di vita, la salvezza cristiana, facendola percepire come credibile, interessante, appetibile, vera perché risponde alle domande di senso e di verità che albergano nel cuore degli uomini. Nell'ambito della cittadinanza si è sottolineato il rapido aprirsi della dimensione locale a quella globale. Quest'ultima ha bisogno di essere più profondamente elaborata e non solo subita, senza perciò trascurare l'ambito locale. In questo senso deve essere rafforzata l'identila di cittadini consapevoli della propria responsabilità e del proprio impegno nei confronti del bene comune. Essere " pellegrini " o " stranieri " nel mondo non equivale a essere estranei a esso. Un'attenzione particolare è stata quella di dare il giusto spazio al confronto. Sia la fase preparatoria, che i lavori di questi giorni hanno visto lo sforzo per valorizzare i carismi e le competenze di tutto il popolo di Dio, accogliendo soprattutto il contributo di noi fedeli laici, in piena collaborazione con i nostri Vescovi, i presbiteri, i diaconi, le religiose e i religiosi. Questo stile di comunione, segno di una maturità ecclesiale, e l'approccio antropologico nell'affrontare i temi ci sono parsi elementi fecondi che confidiamo potranno avere ancora più ricche conseguenze per il futuro. Il nostro Convegno celebra la felice conclusione di un cammino, ma, nello stesso tempo, è anche l'incoraggiante avvio per il lavoro che ci attende nei prossimi anni, nel corso dei quali proseguiremo il discernimento e l'elaborazione culturale, cureremo l'educazione a una " fede adulta ", capace di coniugare contemplazione e vita, dedicheremo particolare attenzione a quell'ecclesiologia di comunione indicata dal concilio Vaticano II. Il cammino che ci ha portato a Verona è stato ricco ed entusiasmante. A nome di tutta l'assemblea qui convenuta voglio ringraziare S.E. Mons. Giuseppe Betori, Segretario Generale della Conferenza Episcopale, che ha sapientemente coordinato questo lavoro. In questi giorni ci è stato vicino e anche ora ci segue: gli auguriamo, inoltre, di tornare presto pienamente ristabilito ai suoi impegni. Padre Santo, grazie per il suo Magistero e per le parole che anche oggi vorrà offrirci. Ci poniamo ora in ascolto, con la mente e con il cuore. Le assicuriamo la disponibilità nostra e l'impegno di tutti i cattolici italiani, cui diamo voce, a essere fedeli testimoni di Gesù risorto, speranza del mondo. Omelia del Santo Padre Benedetto XVI nella Concelebrazione Eucaristica 19 ottobre 2006 Venerati fratelli nell'episcopato e nel sacerdozio! Cari fratelli e sorelle! In questa Concelebrazione Eucaristica viviamo il momento centrale del 4° Convegno nazionale della Chiesa in Italia, che si raccoglie quest'oggi attorno al successore di Pietro. Il cuore di ogni evento ecclesiale è l'Eucaristia, nella quale Cristo Signore ci convoca, ci parla, ci nutre e ci invia. È significativo che il luogo prescelto per questa solenne Liturgia sia lo stadio di Verona: uno spazio dove abitualmente si celebrano non riti religiosi, ma manifestazioni sportive, coinvolgendo migliaia di appassionati. Oggi, questo spazio ospita Gesù risorto, realmente presente nella sua Parola, nell'assemblea del Popolo di Dio con i suoi pastori e, in modo eminente, nel Sacramento del suo Corpo e del suo Sangue. Cristo viene oggi, in questo moderno areopago, per effondere il suo Spirito sulla Chiesa che è in Italia, perché, ravvivata dal soffio di una nuova Pentecoste, sappia " comunicare il Vangelo in un mondo che cambia ", come propongono gli Orientamenti pastorali della Conferenza Episcopale Italiana per il decennio 2000-2010. A voi, venerati Fratelli Vescovi, con i Presbiteri e i Diaconi, a voi, cari delegati delle Diocesi e delle aggregazioni laicali, a voi religiose, religiosi e laici impegnati rivolgo il mio più cordiale saluto, che estendo a quanti si uniscono a noi mediante la radio e la televisione. Saluto e abbraccio spiritualmente l'intera Comunità ecclesiale italiana, Corpo di Cristo vivente. Desidero esprimere in modo speciale il mio apprezzamento a quanti hanno a lungo faticato per la preparazione e l'organizzazione di questo Convegno: il Presidente della Conferenza Episcopale Card. Camillo Ruini; il Segretario Generale Mons. Giuseppe Beton con i collaboratori dei vari uffici; il Card. Dionigi Tettamanzi e gli altri membri del Comitato preparatorio; il Vescovo di Verona, Mons. Flavio Roberto Carraro, al quale sono grato per le cortesi parole che mi ha rivolto all'inizio della celebrazione a nome anche di questa amata comunità veronese che ci accoglie. Un deferente pensiero va anche al Signor Presidente del Consiglio dei Ministri e alle altre distinte Autorità presenti; un cordiale ringraziamento infine agli operatori della comunicazione che seguono i lavori di quest'importante assise della Chiesa in Italia. Le Letture bibliche, che poc'anzi sono state proclamate, illuminano il tema del Convegno: " Testimoni di Gesù risorto, speranza del mondo ". La Parola di Dio pone in evidenza la risurrezione di Cristo, evento che ha rigenerato i credenti a una speranza viva, come si esprime l'Apostolo Pietro all'inizio della sua Prima Lettera. Questo testo ha costituito l'asse portante dell'itinerario di preparazione a questo grande incontro nazionale. Quale suo successore, anch'io esclamo con gioia: " Sia benedetto Dio e Padre del Signore nostro Gesù Cristo " ( 1 Pt 1,3 ), perché mediante la risurrezione del suo Figlio ci ha rigenerati e, nella fede, ci ha donato una speranza invincibile nella vita eterna, così che noi viviamo nel presente sempre protesi verso la meta, che è l'incontro finale con il nostro Signore e Salvatore. Forti di questa speranza non abbiamo paura delle prove, le quali, per quanto dolorose e pesanti, mai possono intaccare la gioia profonda che ci deriva dall'essere amati da Dio. Egli, nella sua provvidente misericordia, ha dato il suo Figlio per noi e noi, pur senza vederlo, crediamo in lui e lo amiamo ( 1 Pt 1,3-9 ). Il suo amore ci basta. Dalla forza di questo amore, dalla salda fede nella risurrezione di Gesù che fonda la speranza, nasce e costantemente si rinnova la nostra testimonianza cristiana. È lì che si radica il nostro Credo, il simbolo di fede a cui ha attinto la predicazione iniziale e che continua inalterato ad alimentare il popolo di Dio. Il contenuto del kerygma dell'annuncio, che costituisce la sostanza dell'intero messaggio evangelico, è Cristo, il Figlio di Dio fatto uomo, morto e risuscitato per noi. La sua risurrezione è il mistero qualificante del cristianesimo, il compimento sovrabbondante di tutte le profezie di salvezza, anche di quella che abbiamo ascoltato nella prima lettura, tratta dalla parte finale del libro del profeta Isaia. Dal Cristo risorto, primizia dell'umanità nuova, rigenerata e rigenerante, è nato in realtà, come predisse il profeta, il popolo dei " poveri " che hanno aperto il cuore al Vangelo e sono diventati e diventano sempre di nuovo " querce di giustizia ", " piantagione del Signore per manifestare la sua gloria ", ricostruttori di rovine, restauratori di città desolate, stimati da tutti come stirpe benedetta dal Signore ( Is 61,3-4.9 ). Il mistero della risurrezione del Figlio di Dio, che, salito al cielo accanto al Padre, ha effuso su di noi lo Spirito Santo, ci fa abbracciare con un solo sguardo Cristo e la Chiesa: il Risorto e i risorti, la Primizia e il campo di Dio, la Pietra angolare e le pietre vive, per usare un'altra immagine della Prima Lettera di Pietro ( 1 Pt 2,4-8 ). Così avvenne all'inizio, con la prima comunità apostolica, e così deve avvenire anche ora. Dal giorno della Pentecoste, infatti, la luce del Signore risorto ha trasfigurato la vita degli Apostoli. Essi ormai avevano la chiara percezione di non essere semplicemente discepoli di una dottrina nuova e interessante, ma testimoni prescelti e responsabili di una rivelazione a cui era legata la salvezza dei loro contemporanei e di tutte le future generazioni. La fede pasquale riempiva il loro cuore di un ardore e di uno zelo straordinario, che li rendeva pronti ad affrontare ogni difficoltà e persino la morte, e imprimeva alle loro parole un'irresistibile energia di persuasione. E così, un manipolo di persone, sprovviste di umane risorse e forti soltanto della loro fede, affrontò senza paura dure persecuzioni e il martirio. Scrive l'Apostolo Giovanni: " Questa è la vittoria che ha sconfitto il mondo: la nostra fede " ( 1 Gv 5,4b ). La verità di quest'affermazione è documentata anche in Italia da quasi due millenni di storia cristiana, con innumerevoli testimonianze di martiri, di santi e beati, che hanno lasciato tracce indelebili in ogni angolo della bella penisola nella quale viviamo. Alcuni di loro sono stati evocati all'inizio del Convegno e i loro volti ne accompagnano i lavori. Noi oggi siamo gli eredi di quei testimoni vittoriosi! Ma proprio da questa constatazione nasce la domanda: che ne è della nostra fede? In che misura sappiamo noi oggi comunicarla? La certezza che Cristo è risorto ci assicura che nessuna forza avversa potrà mai distruggere la Chiesa. Ci anima anche la consapevolezza che soltanto Cristo può pienamente soddisfare le attese profonde di ogni cuore umano e rispondere agli interrogativi più inquietanti sul dolore, l'ingiustizia e il male, sulla morte e l'aldilà. Dunque, la nostra fede è fondata, ma occorre che questa fede diventi vita in ciascuno di noi. C'è allora un vasto e capillare sforzo da compiere perché ogni cristiano si trasformi in " testimone " capace e pronto ad assumere l'impegno di rendere conto a tutti e sempre della speranza che lo anima ( 1 Pt 3,15 ). Per questo occorre tornare ad annunciare con vigore e gioia l'evento della morte e risurrezione di Cristo, cuore del cristianesimo, fulcro portante della nostra fede, leva potente delle nostre certezze, vento impetuoso che spazza ogni paura e indecisione, ogni dubbio e calcolo umano. Solo da Dio può venire il cambiamento decisivo del mondo. Soltanto a partire dalla Risurrezione si comprende la vera natura della Chiesa e della sua testimonianza, che non è qualcosa di staccato dal mistero pasquale, bensì ne è frutto, manifestazione e attuazione da parte di quanti, ricevendo lo Spirito Santo, sono inviati da Cristo a proseguire la sua stessa missione ( Gv 20,21-23 ). " Testimoni di Gesù risorto": questa definizione dei cristiani deriva direttamente dal brano del Vangelo di Luca oggi proclamato, ma anche dagli Atti degli Apostoli ( At 1,8.22 ). Testimoni di Gesù risorto. Quel " di " va capito bene! Vuol dire che il testimone è " di " Gesù risorto, cioè appartiene a Lui, e proprio in quanto tale può rendergli valida testimonianza, può parlare di Lui, farLo conoscere, condurre a Lui, trasmettere la Sua presenza. È esattamente il contrario di quello che avviene per l'altra espressione: " speranza del mondo ". Qui la preposizione " del " non indica affatto appartenenza, perché Cristo non è del mondo, come pure i cristiani non devono essere del mondo. La speranza, che è Cristo, è nel mondo, è per il mondo, ma lo è proprio perché Cristo è Dio, è " il Santo " ( in ebraico Qadosh ). Cristo è speranza per il mondo perché è risorto, ed è risorto perché è Dio. Anche i cristiani possono portare al mondo la speranza, perché sono di Cristo e di Dio nella misura in cui muoiono con Lui al peccato e risorgono con Lui alla vita nuova dell'amore, del perdono, del servizio, della non-violenza. Come dice San Agostino: " Hai creduto, sei stato battezzato: è morta la vita vecchia, è stata uccisa sulla croce, sepolta nel battesimo. È stata sepolta la vecchia, nella quale malamente sei vissuto: risorga la nuova ". Solo se, come Cristo, non sono del mondo, i cristiani possono essere speranza nel mondo e per il mondo. Cari fratelli e sorelle, il mio augurio, che sicuramente voi tutti condividete, è che la Chiesa in Italia possa ripartire da questo ConVegno come sospinta dalla Parola del Signore risorto che ripete a tutti e a ciascuno: siate nel mondo di oggi testimoni della mia passione e della mia risurrezione ( Lc 24,48 ). In un mondo che cambia, il Vangelo non muta. La buona notizia resta sempre la stessa: Cristo è morto ed è risorto per la nostra salvezza! Nel suo nome recate a tutti l'annuncio della conversione e del perdono dei peccati, ma date voi per primi testimonianza di una vita convertita e perdonata. Sappiamo bene che questo non è possibile senza essere "rivestiti di potenza dall'alto " ( Lc 24,49 ), cioè senza la forza inferiore dello Spirito del Risorto. Per riceverla occorre, come disse Gesù ai discepoli, non allontanarsi da Gerusalemme, rimanere nella " città " dove si è consumato il mistero della salvezza, il supremo atto d'amore di Dio per l'umanità. Occorre rimanere in preghiera con Maria, la Madre che Cristo ci ha donato dalla Croce. Per i cristiani, cittadini del mondo, restare in Gerusalemme non può che significare rimanere nella Chiesa, la " città di Dio ", dove attingere dai sacramenti l'" unzione " dello Spirito Santo. In questi giorni del Convegno Ecclesiale Nazionale, la Chiesa che è in Italia, obbedendo al comando del Signore risorto, si è radunata, ha rivissuto l'esperienza originaria del Cenacolo, per ricevere nuovamente il dono dall'Alto. Ora, consacrati dalla sua " unzione ", andate! Portate il lieto annuncio ai poveri, fasciate le piaghe dei cuori spezzati, proclamate la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri, promulgate l'anno di misericordia del Signore ( Is 61,1-2 ). Ricostruite le antiche rovine, rialzate gli antichi ruderi, restaurate le città desolate ( Is 61,4 ). Sono tante le situazioni difficili che attendono un intervento risolutore! Portate nel mondo la speranza di Dio, che è Cristo Signore, il quale è risorto dai morti, e vive e regna nei secoli dei secoli. Amen. Indirizzo di saluto di S.E. Mons. Flavio Roberto Carraro, Vescovo di Verona 19 ottobre 2006 Beatissimo Padre, la Chiesa di S. Zeno e il suo Vescovo la salutano con gioia, insieme ai fedeli delle Diocesi del Triveneto e alle reverendissime eminenze, eccellenze e delegati di ogni regione d'Italia che partecipano con vivo fervore al 4° Convegno Ecclesiale Nazionale. E come il giorno delle nozze la sposa si adorna di gioielli, noi - in così splendida corona - accogliamo la Santità Vostra in questo stadio, rivestiti di Cristo e dei simboli della fede quasi bimillenaria della nostra terra. La accogliamo ai piedi del crocifisso della nostra storica Chiesa di S. Luca e sotto il materno sguardo della Madonna del Popolo. Il crocifisso trecentesco di S. Luca attesta la nostra fede in Colui qui mortem nostram moriendo destruxit e il cui sacrificio redentore sempre si rinnova sull'altare. Innanzi a questa croce stazionale hanno professato la loro fede religiosi e laici. Il superiore dei Crociferi dell'Ordine Agostiniano al quale la croce apparteneva, accoglieva il novizio che entrava in religione con queste parole: " Accipe fili Crucem tam in corde, quam in manibus, et eam semper tecum portes ". " Figlio, ricevi la croce tanto nel cuore quanto nelle mani e portala sempre con te ". È la morte gloriosa di Cristo - ci ricordava il Card. Dionigi Tettamanzi nella sua Prolusione - il luogo sorgivo e l'alimento costante della speranza della Chiesa e dell'umanità. Il quattrocentesco simulacro della Madonna del popolo ci conduce alla Cattedrale, madre di tutte le Chiese della Diocesi e suo primo santuario mariano. Da secoli in Cattedrale la Madre di Dio è venerata quale incolarum Veronensium defensatrix, " difenditrice del popolo veronese ". Santità, questa veneranda immagine, per ben due volte coronata, potrebbe raccontarLe la storia della nostra Verona che lungo i secoli, pure in tempi difficili, restò semper fidelis a Cristo figlio di Dio e " al dolce Cristo in terra ". Innanzi a tali espressioni di fede e di arte, che mostrano le radici della nostra nobile cultura cristiana, uniti e confermati nella fede e rianimati nella speranza, con umile fierezza e con amore di figli noi la accogliamo e con lei celebriamo questi santi misteri perché diventino per tutti noi sorgente di vita e fonte di santità.