Chiesa/CompDS/CompDS.txt Compendio della dottrina sociale della Chiesa All'alba del terzo millennio 1 La Chiesa, popolo pellegrinante, si inoltra nel terzo millennio dell'era cristiana guidata da Cristo, il " Pastore grande " ( Eb 13,20 ): Egli è la Porta Santa ( Gv 10,9 ) che abbiamo varcato durante il Grande Giubileo dell'anno 2000. Gesù Cristo è la Via, la Verità e la Vita ( Gv 14,6 ): contemplando il Volto del Signore, confermiamo la nostra fede e la nostra speranza in Lui, unico Salvatore e traguardo della storia. La Chiesa continua a interpellare tutti ipopoli e tutte le Nazioni, perché solo nel nome di Cristo è data all'uomo la salvezza. La salvezza, che il Signore Gesù ci ha conquistato " a caro prezzo " ( 1 Cor 6,20; 1 Pt 1,18-19 ), si realizza nella vita nuova che attende i giusti dopo la morte, ma investe anche questo mondo nelle realtà dell'economia e del lavoro, della tecnica e della comunicazione, della società e della politica, della comunità internazionale e dei rapporti tra le culture e i popoli: " Gesù è venuto a portare la salvezza integrale, che investe tutto l'uomo e tutti gli uomini, aprendoli ai mirabili orizzonti della filiazione divina". 2 In quest'alba del terzo millennio, la Chiesa non si stanca di annunciare il Vangelo che dona salvezza e autentica libertà anche nelle cose temporali, ricordando la solenne raccomandazione rivolta da san Paolo al discepolo Timoteo: " Annunzia la parola, insisti in ogni occasione opportuna e non opportuna, ammonisci, rimprovera, esorta con ogni magnanimità e dottrina. Verrà giorno, infatti, in cui non si sopporterà più la sana dottrina, ma, per il prurito di udire qualcosa, gli uomini si circonderanno di maestri secondo le proprie voglie, rifiutando di dare ascolto alla verità per volgersi alle favole. Tu però vigila attentamente, sappi sopportare le sofferenze, compi la tua opera di annunziatore del vangelo, adempì il tuo ministero " ( 2 Tm 4,2-5 ). 3 Agli uomini e alle donne del nostro tempo, suoi compagni di viaggio, la Chiesa offre anche la sua dottrina sociale. Quando, infatti, la Chiesa "compie la sua missione di annunziare il Vangelo, attesta all'uomo, in nome di Cristo, la sua dignità e la sua vocazione alla comunione delle persone; gli insegna le esigenze della giustizia e della pace, conformi alla sapienza divina ". Tale dottrina ha una sua profonda unità, che sgorga dalla Fede in una salvezza integrale, dalla Speranza in una giustizia piena, dalla Carità che rende tutti gli uomini veramente fratelli in Cristo: è un'espressione dell'amore di Dio per il mondo, che Egli ha tanto amato "da dare il suo Figlio unigenito" ( Gv 3,16 ). La legge nuova dell'amore abbraccia l'intera umanità e non conosce limiti, poiché l'annuncio della salvezza in Cristo si estende "fino agli estremi confini della terra" ( At 1,8 ). 4 Scoprendosi amato da Dio, l'uomo comprende la propria trascendente dignità, impara a non accontentarsi di sé e ad incontrare l'altro in una rete di relazioni sempre più autenticamente umane. Uomini resi nuovi dall'amore di Dio sono in grado di cambiare le regole e la qualità delle relazioni e anche le strutture sociali: sono persone capaci di portare pace dove ci sono conflitti, di costruire e coltivare rapporti fraterni dove c'è odio, di cercare la giustizia dove domina lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo. Solo l'amore è capace di trasformare in modo radicale i rapporti che gli esseri umani intrattengono tra loro. Inserito in questa prospettiva, ciascun uomo di buona volontà può intravedere i vasti orizzonti della giustizia e dello sviluppo umano nella verità e nel bene. 5 L'amore ha davanti a sé un vasto lavoro al quale la Chiesa vuole contribuire anche con la sua dottrina sociale, che riguarda tutto l'uomo e si rivolge a tutti gli uomini. Tanti fratelli bisognosi attendono aiuto, tanti oppressi attendono giustizia, tanti disoccupati attendono lavoro, tanti popoli attendono rispetto: "E possibile che, nel nostro tempo, ci sia ancora chi muore di fame? chi resta condannato all'analfabetismo? chi manca delle cure mediche più elementari? chi non ha una casa in cui ripararsi? Lo scenario della povertà può allargarsi indefinitamente, se aggiungiamo alle vecchie le nuove povertà, che investono spesso anche gli ambienti e le categorie non prive di risorse economiche, ma esposte alla disperazione del non senso, all'insidia della droga, all'abbandono nell'età avanzata o nella malattia, all'emarginazione o alla discriminazione sociale…. E come poi tenerci in disparte di fronte alle prospettive di un dissesto ecologico, che rende inospitali e nemiche dell'uomo vaste aree del pianeta? O rispetto ai problemi della pace, spesso minacciata con l'incubo di guerre catastrofiche? O di fronte al vilipendio dei diritti umani fondamentali di tante persone, specialmente dei bambini?". 6 L'amore cristiano spinge alla denuncia, alla proposta e all'impegno di progettazione culturale e sociale, ad una fattiva operosità, che sprona tutti coloro che hanno sinceramente a cuore la sorte dell'uomo ad offrire il proprio contributo. L'umanità comprende sempre più chiaramente di essere legata da un unico destino che richiede una comune assunzione di responsabilità, ispirata da un umanesimo integrale e solidale: vede che questa unità di destino è spesso condizionata e perfino imposta dalla tecnica o dall'economia e avverte il bisogno di una maggiore consapevolezza morale, che orienti il cammino comune. Stupiti dalle molteplici innovazioni tecnologiche, gli uomini del nostro tempo desiderano fortemente che il progresso sia finalizzato al vero bene dell'umanità di oggi e di domani. Il significato del documento 7 Il cristiano sa di poter trovare nella dottrina sociale della Chiesa i principi di riflessione, i criteri di giudizio e le direttive di azione da cui partire per promuovere un umanesimo integrale e solidale. Diffondere tale dottrina costituisce, pertanto, un'autentica priorità pastorale, affinché le persone, da essa illuminate, si rendano capaci di interpretare la realtà di oggi e di cercare appropriate vie per l'azione: " L'insegnamento e la diffusione della dottrina sociale fanno parte della missione evangelizzatrice della Chiesa". In questa prospettiva è stata ritenuta assai utile la pubblicazione di un documento che illustrasse le linee fondamentali della dottrina sociale della Chiesa e la relazione esistente tra questa dottrina e la nuova evangelizzazione. Il Pontifìcio Consiglio della Giustizia e della Pace, che lo ha elaborato e ne porta la piena responsabilità, si è avvalso per quest'opera di un'ampia consultazione, coinvolgendo i suoi Membri e Consultori, alcuni Dicasteri della Curia Romana, Conferenze Episcopali di vari Paesi, singoli Vescovi ed esperti nelle questioni trattate. 8 Questo documento intende presentare in maniera complessiva e sistematica, anche se in forma sintetica, l'insegnamento sociale, che è frutto della sapiente riflessione magisteriale ed espressione del costante impegno della Chiesa nella fedeltà alla Grazia della salvezza di Cristo e nell'amorevole sollecitudine per le sorti dell'umanità. Gli aspetti teologici, filosofici, morali, culturali e pastorali più rilevanti di tale insegnamento vengono qui organicamente richiamati in relazione alle questioni sociali. In questo modo viene testimoniata la fecondità dell'incontro tra il Vangelo e i problemi che l'uomo affronta nel suo cammino storico. Nello studio del Compendio sarà bene tener presente che le citazioni dei testi del Magistero sono tratte da documenti di diversa autorità. A fianco dei documenti conciliari e delle encicliche, figurano anche discorsi dei Pontefici o documenti elaborati da Dicasteri della Santa Sede. Come è noto, ma sembra opportuno sottolinearlo, il lettore deve essere consapevole che si tratta di livelli diversi di insegnamento. Il documento, che si limita ad offrire un'esposizione delle linee fondamentali della dottrina sociale, lascia alle Conferenze Episcopali la responsabilità di fare le opportune applicazioni richieste dalle diverse situazioni locali. 9 Il documento offre un quadro complessivo delle linee fondamentali del " corpus " dottrinale dell'insegnamento sociale cattolico. Tale quadro consente di affrontare adeguatamente le questioni sociali del nostro tempo, che richiedono di essere prese in considerazione con una visione d'insieme, perché si caratterizzano come questioni sempre più interconnesse, che si condizionano a vicenda e che riguardano sempre di più tutta la famiglia umana. L'esposizione dei principi della dottrina sociale intende suggerire un metodo organico nella ricerca di soluzioni ai problemi, affinché il discernimento, il giudizio e le scelte siano rispondenti alla realtà e la solidarietà e la speranza possano con efficacia incidere anche nelle complesse situazioni odierne. I principi, infatti, si richiamano e si illuminano l'un l'altro, in quanto esprimono l'antropologia cristiana, frutto della Rivelazione dell'amore che Dio ha per la persona umana. Si tenga in debita considerazione, tuttavia, che il trascorrere del tempo e il mutare dei contesti sociali richiederanno costanti e aggiornate riflessioni sui diversi argomenti qui esposti, per interpretare i nuovi segni dei tempi. 10 Il documento si propone come uno strumento per il discernimento morale e pastorale dei complessi eventi che caratterizzano i nostri tempi; come una guida per ispirare, a livello individuale e collettivo, comportamenti e scelte tali da permettere di guardare al futuro con fiducia e speranza; come un sussidio per i fedeli sull'insegnamento della morale sociale. Ne può derivare un nuovo impegno capace di rispondere alle esigenze del nostro tempo e misurato sui bisogni e sulle risorse dell'uomo, ma soprattutto l'anelito a valorizzare in forme nuove la vocazione propria dei vari carismi ecclesiali in ordine all'evangelizzazione del sociale, perché " tutti i membri della Chiesa sono partecipi della sua dimensione secolare". Il testo viene proposto, infine, come motivo di dialogo con tutti coloro che desiderano sinceramente il bene dell'uomo. 11 I primi destinatari di questo documento sono i Vescovi, che troveranno le forme più adatte per la sua diffusione e la sua corretta interpretazione. Appartiene, infatti, al loro "munus docendi" insegnare che "nel piano di Dio Creatore le realtà terrene e le istituzioni umane sono finalizzate anche alla salvezza degli uomini e possono perciò contribuire non poco all'edificazione del Corpo di Cristo". I sacerdoti, i religiosi e le religiose e, in generale, i formatori vi troveranno una guida per il loro insegnamento e uno strumento di servizio pastorale. I fedeli laici, che cercano il Regno dei cieli "trattando e ordinando secondo Dio le cose temporali", vi troveranno luce per il loro specifico impegno. Le comunità cristiane potranno utilizzare questo documento per analizzare obiettivamente le situazioni, chiarirle alla luce delle parole immutabili del Vangelo, attingere principi di riflessione, criteri di giudizio e orientamenti per l'azione. 12 Questo documento è proposto anche ai fratelli delle altre Chiese e Comunità Ecclesiali, ai seguaci delle altre religioni, nonché a quanti, uomini e donne di buona volontà, si impegnano a servire il bene comune: vogliano accoglierlo come il frutto di un'esperienza umana universale, costellata da innumerevoli segni della presenza dello Spirito di Dio. E un tesoro di cose nuove e antiche ( Mt 13,52 ), che la Chiesa vuole condividere, per ringraziare Dio, dal quale discende " ogni buon regalo e ogni dono perfetto" ( Gc 1,17 ). È un segno di speranza il fatto che oggi le religioni e le culture manifestano disponibilità al dialogo ed avvertono l'urgenza di unire i propri sforzi per favorire la giustizia, la fraternità, la pace e la crescita della persona umana. La Chiesa Cattolica unisce in particolare il proprio impegno a quello profuso in campo sociale dalle altre Chiese e Comunità Ecclesiali, sia a livello di riflessione dottrinale sia a livello pratico. Insieme ad esse, la Chiesa Cattolica è convinta che dalla comune eredità degli insegnamenti sociali custoditi dalla tradizione viva del popolo di Dio derivino stimoli e orientamenti per una sempre più stretta collaborazione nella promozione della giustizia e della pace. Al servizio della piena verità dell'uomo 13 Questo documento è un atto di servizio della Chiesa agli uomini e alle donne del nostro tempo, ai quali essa offre il patrimonio della sua dottrina sociale, secondo quello stile di dialogo con cui Dio stesso, nel Suo Figlio unigenito fatto uomo, "parla agli uomini come ad amici ( Es 33,11; Gv 15,14-15 ) e vive fra essi ( Bar 3,38 )". Traendo ispirazione dalla Costituzione pastorale " Gaudium et spes ", anche questo documento pone come cardine di tutta l'esposizione l'uomo, " quello integrale, con il corpo e l'anima, con il cuore e la coscienza, l'intelletto e la volontà". Nella prospettiva delineata, la Chiesa " non è mossa da alcuna ambizione terrena, ma mira a una cosa sola: continuare cioè, sotto la guida dello Spirito Paraclito, l'opera di Cristo, che è venuto nel mondo a rendere testimonianza alla verità, per salvare e non per giudicare, per servire e non per essere servito". 14 Con il presente documento la Chiesa intende offrire un contributo di verità alla questione del posto dell'uomo nella natura e nella società, affrontata dalle civiltà e culture in cui si esprime la saggezza dell'umanità. Immergendo le loro radici in un passato spesso millenario, esse si manifestano nelle forme della religione, della filosofia e del genio poetico di ogni tempo e di ogni popolo, offrendo delle interpretazioni dell'universo e della convivenza umana e cercando di dare un senso all'esistenza e al mistero che l'avvolge. Chi sono io? perché la presenza del dolore, del male, della morte, malgrado ogni progresso? a che cosa valgono tante conquiste se il loro prezzo è non di rado insopportabile? che cosa ci sarà dopo questa vita? Queste domande di fondo caratterizzano il percorso del vivere umano. A questo riguardo, si può ricordare il monito " Conosci tè stesso ", scolpito sull'architrave del tempio di Delfi, che sta a testimoniare la verità basilare secondo cui l'uomo, chiamato a distinguersi tra tutti gli esseri creati, si qualifica come uomo appunto in quanto costitutivamente orientato a conoscere se stesso. 15 L'orientamento che si imprime all'esistenza, alla convivenza sociale e alla storia dipende, in gran parte, dalle risposte date agli interrogativi sul posto dell'uomo nella natura e nella società, alle quali il presente documento intende offrire il suo contributo. Il significato profondo dell'esistere umano, infatti, si rivela nella libera ricerca della verità capace di offrire indirizzo e pienezza alla vita, ricerca alla quale tali interrogativi sollecitano incessantemente l'intelligenza e la volontà dell'uomo. Essi esprimono la natura umana al livello più alto, perché coinvolgono la persona in una risposta che misura la profondità del suo impegno con la propria esistenza. Si tratta, inoltre, di interrogativi essenzialmente religiosi: " quando il perché delle cose viene indagato con integralità alla ricerca della risposta ultima e più esauriente, allora la ragione umana tocca il suo vertice e si apre alla religiosità. In effetti, la religiosità rappresenta l'espressione più elevata della persona umana, perché è il culmine della sua natura razionale. Essa sgorga dall'aspirazione profonda dell'uomo alla verità ed è alla base della ricerca libera e personale che egli compie del divino". 16 Gli interrogativi radicali che accompagnano sin dagli inizi il cammino degli uomini acquistano, nel nostro tempo, pregnanza ancora maggiore, per la vastità delle sfide, la novità degli scenari, le scelte decisive che le attuali generazioni sono chiamate a compiere. La prima delle sfide più grandi, di fronte alle quali l'umanità oggi si trova, è quella della verità stessa dell'essere-uomo. Il confine e la relazione tra natura, tecnica e morale sono questioni che interpellano decisamente la responsabilità personale e collettiva in ordine ai comportamenti da tenere rispetto a ciò che l'uomo è, a ciò che può fare e a ciò che deve essere. Una seconda sfida è posta dalla comprensione e dalla gestione del pluralismo e delle differenze a tutti i livelli: di pensiero, di opzione morale, di cultura, di adesione religiosa, di filosofia dello sviluppo umano e sociale. La terza sfida è la globalizzazione, che ha un significato più largo e più profondo di quello semplicemente economico, poiché nella storia si è aperta una nuova epoca, che riguarda il destino dell'umanità. 17 I discepoli di Gesù Cristo si sentono coinvolti da questi interrogativi, li portano anch'essi dentro il loro cuore e vogliono impegnarsi, insieme con tutti gli uomini, nella ricerca della verità e del senso dell'esistenza personale e sociale. A tale ricerca contribuiscono con la loro generosa testimonianza del dono che l'umanità ha ricevuto: Dio le ha rivolto la Sua Parola nel corso della storia, anzi Egli stesso vi è entrato per dialogare con essa e per rivelarle il Suo disegno di salvezza, di giustizia e di fraternità. Nel Suo Figlio, Gesù Cristo, divenuto uomo, Dio ci ha liberati dal peccato e ha indicato la via lungo la quale camminare e la meta verso cui tendere. Nel segno della solidarietà, del rispetto e dell'amore 18 La Chiesa cammina insieme a tutta l'umanità lungo le strade della storia. Essa vive nel mondo e, pur non essendo del mondo ( Gv 17,14-16 ), è chiamata a servirlo seguendo la propria intima vocazione. Un simile atteggiamento - riscontrabile anche nel presente documento - è sostenuto dalla profonda convinzione che è importante per il mondo riconoscere la Chiesa quale realtà e fermento della storia, così come per la Chiesa non ignorare quanto essa abbia ricevuto dalla storia e dall'evoluzione del genere umano. Il Concilio Vaticano II ha voluto dare un'eloquente dimostrazione della solidarietà, del rispetto e dell'amore nei riguardi della famiglia umana, instaurando con essa un dialogo su tanti problemi, "portando la luce che trae dal Vangelo e mettendo a disposizione del genere umano le energie di salvezza che la Chiesa, sotto la guida dello Spirito Santo, riceve dal suo Fondatore. Si tratta di salvare la persona dell'uomo e di edificare la società umana". 19 La Chiesa, segno nella storia dell'amore di Dio per gli uomini e della vocazione dell'intero genere umano all'unità nella figliolanza dell'unico Padre anche con questo documento sulla sua dottrina sociale intende proporre a tutti gli uomini un umanesimo all'altezza del disegno d'amore di Dio sulla storia, un umanesimo integrale e solidale, capace di animare un nuovo ordine sociale, economico e politico, fondato sulla dignità e sulla libertà di ogni persona umana, da attuare nella pace, nella giustizia e nella solidarietà. Tale umanesimo può essere realizzato se i singoli uomini e donne e le loro comunità sapranno coltivare le virtù morali e sociali in se stessi e diffonderle nella società, "cosicché vi siano davvero uomini nuovi e artefici di una nuova umanità, con il necessario aiuto della grazia divina". La prossimità gratuita di Dio 20 Ogni autentica esperienza religiosa, in tutte le tradizioni culturali, conduce ad una intuizione del Mistero che, non di rado, giunge a cogliere qualche tratto del volto di Dio. Egli appare, da un lato, come origine di ciò che è, come presenza che garantisce agli uomini, socialmente organizzati, le basilari condizioni di vita, mettendo a disposizione i beni ad essa necessari; dall'altro lato, invece, come misura di ciò che deve essere, come presenza che interpella l'agire umano - tanto a livello personale quanto a livello sociale - sull'uso di quegli stessi beni nel rapporto con gli altri uomini. In ogni esperienza religiosa, dunque, si rivelano importanti sia la dimensione del dono e della gratuità, che si coglie come sottesa all'esperienza che la persona umana fa del suo esistere insieme agli altri nel mondo, sia le ripercussioni di questa dimensione sulla coscienza dell'uomo, che avverte di essere interpellato a gestire in forma responsabile e conviviale il dono ricevuto. Testimonianza di tutto ciò è l'universale riconoscimento della regola d'oro, nella quale si esprime, sul piano delle relazioni umane, l'interpellanza che giunge all'uomo dal Mistero: " Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro" ( Mt 7,12 ). 21 Sullo sfondo, variamente condiviso, dell'universale esperienza religiosa, si staglia la Rivelazione che progressivamente Dio fa di Se stesso al popolo d'Israele. Essa risponde alla ricerca umana del divino in modo inatteso e sorprendente, grazie ai gesti storici, puntuali ed incisivi, nei quali si manifesta l'amore di Dio per l'uomo. Secondo il libro dell'Esodo, il Signore rivolge a Mosè questa parola: " Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sorveglianti; conosco infatti le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo dalla mano dell'Egitto e per farlo uscire da questo paese verso un paese bello e spazioso, verso un paese dove scorre latte e miele" ( Es 3,7-8 ). La prossimità gratuita di Dio - alla quale allude il Suo stesso Nome, che Egli rivela a Mosè, "Io sono colui che sono" ( Es 3,14 ) - si manifesta nella liberazione dalla schiavitù e nella promessa, diventando azione storica, dalla quale trae origine il processo di identificazione collettiva del popolo del Signore, mediante l'acquisto della libertà e della terra di cui Dio gli fa dono. 22 Alla gratuità dell'operare divino, storicamente efficace, si accompagna costantemente l'impegno dell'Alleanza, proposto da Dio e assunto da Israele. Sul monte Sinai, l'iniziativa di Dio si concreta nell'Alleanza col Suo popolo, al quale viene donato il Decalogo dei comandamenti rivelati dal Signore ( Es 19-24 ). Le "dieci parole" ( Es 34,28; Dt 4,13; Dt 10,4 ) "esprimono le implicanze dell'appartenenza a Dio stabilita attraverso l'Alleanza. L'esistenza morale è risposta all'iniziativa d'amore del Signore. E riconoscenza, omaggio a Dio e culto d'azione di grazie. E cooperazione al piano che Dio persegue nella storia". I dieci comandamenti, che costituiscono uno straordinario cammino di vita e indicano le condizioni più sicure per una esistenza liberata dalla schiavitù del peccato, contengono un'espressione privilegiata della legge naturale. Essi "insegnano la vera umanità dell'uomo. Mettono in luce i doveri essenziali e, quindi, indirettamente, i diritti fondamentali inerenti alla natura della persona umana". Essi connotano la morale umana universale. Ricordati anche da Gesù al giovane ricco del Vangelo ( Mt 19,18 ), i dieci comandamenti "costituiscono le regole primordiali di ogni vita sociale ". 23 Dal Decalogo deriva un impegno che riguarda non solo ciò che concerne la fedeltà all'unico vero Dio, ma anche le relazioni sociali all'interno del popolo dell'Alleanza. Queste ultime sono regolate, in particolare, da quello che è stato definito il diritto del povero: " Se vi sarà in mezzo a tè qualche tuo fratello che sia bisognoso… non indurirai il tuo cuore e non chiuderai la mano davanti al tuo fratello bisognoso; anzi gli aprirai la mano e gli presterai quanto occorre alla necessità in cui si trova" ( Dt 15,7-8 ). Tutto questo vale anche nei confronti del forestiero: "Quando un forestiero dimorerà presso di voi nel vostro paese, non gli farete torto. Il forestiero dimorante fra di voi lo tratterete come colui che è nato fra di voi; tu l'amerai come tè stesso perché anche voi siete stati forestieri nel paese d'Egitto. Io sono il Signore, vostro Dio" ( Lv 19,33-34 ). Il dono della liberazione e della terra promessa, l'Alleanza del Sinai e il Decalogo sono dunque intimamente connessi ad una prassi che deve regolare, nella giustizia e nella solidarietà, lo sviluppo della società israelitica. 24 Tra le molteplici disposizioni che tendono a dare concretezza allo stile di gratuità e di condivisione nella giustizia che Dio ispira, la legge dell'anno sabbatico ( celebrato ogni sette anni ) e di quello giubilare ( ogni cinquant'anni ) ( Es 23, Dt 15, Lv 25 ) si distingue come un importante orientamento - anche se mai pienamente realizzato - per la vita sociale ed economica del popolo d'Israele. È una legge che prescrive, oltre al riposo dei campi, il condono dei debiti e una liberazione generale delle persone e dei beni: ognuno può tornare alla sua famiglia d'origine e rientrare in possesso del suo patrimonio. Tale legislazione vuole stabilire che l'evento salvifico dell'esodo e la fedeltà all'Alleanza rappresentano non solo il principio fondatore della vita sociale, politica ed economica di Israele, ma anche il principio regolatore delle questioni attinenti alle povertà economiche e alle ingiustizie sociali. Si tratta di un principio invocato per trasformare continuamente e dall'interno la vita del popolo dell'Alleanza, così da renderla conforme al disegno di Dio. Per eliminare le discriminazioni e le sperequazioni provocate dall'evoluzione socio-economica, ogni sette anni la memoria dell'esodo e dell'Alleanza viene tradotta in termini sociali e giuridici, così da riportare le questioni della proprietà, dei debiti, delle prestazioni e dei beni al loro più profondo significato. 25 I precetti dell'anno sabbatico e di quello giubilare costituiscono una dottrina sociale " in nuce ". Essi mostrano come i principi della giustizia e della solidarietà sociale siano ispirati dalla gratuità dell'evento di salvezza realizzato da Dio e non abbiano soltanto il valore di correttivo di una prassi dominata da interessi e obiettivi egoistici, ma debbano diventare piuttosto, in quanto " prophetia futuri", il riferimento normativo al quale ogni generazione in Israele si deve conformare se vuole essere fedele al suo Dio. Tali principi diventano il fulcro della predicazione profetica, che mira a farli interiorizzare. Lo Spirito di Dio, effuso nel cuore dell'uomo - annunciano i Profeti - vi farà attecchire quegli stessi sentimenti di giustizia e di misericordia che dimorano nel cuore del Signore ( Ger 31,33 e Ez 36,26-27 ). Allora la volontà di Dio, espressa nel Decalogo donato sul Sinai, potrà radicarsi creativamente nell'intimo stesso dell'uomo. Da tale processo di interiorizzazione derivano maggiore profondità e realismo all'agire sociale, rendendo possibile la progressiva universalizzazione dell'atteggiamento di giustizia e solidarietà, che il popolo dell'Alleanza è chiamato ad assumere verso tutti gli uomini, di ogni popolo e Nazione. Principio della creazione e agire gratuito di Dio 26 La riflessione profetica e sapienziale approda alla manifestazione prima e alla sorgente stessa del progetto di Dio sull'umanità intera, quando giunge a formulare il principio della creazione di tutte le cose da parte di Dio. Nel Credo d'Israele, affermare che Dio è Creatore non significa esprimere solo una convinzione teoretica, ma anche cogliere l'orizzonte originario dell'agire gratuito e misericordioso del Signore a favore dell'uomo. Egli, infatti, liberamente da l'essere e la vita a tutto ciò che esiste. L'uomo e la donna, creati a Sua immagine e somiglianza ( Gen 1,26-27 ), sono per ciò stesso chiamati ad essere il segno visibile e lo strumento efficace della gratuità divina nel giardino in cui Dio li ha posti come coltivatori e custodi dei beni del creato. 27 Nell'agire gratuito di Dio Creatore trova espressione il senso stesso della creazione, anche se oscurato e distorto dall'esperienza del peccato. La narrazione del peccato delle origini ( Gen 3,1-24 ), infatti, descrive la tentazione permanente e insieme la situazione di disordine in cui l'umanità viene a trovarsi dopo la caduta dei progenitori. Disobbedire a Dio significa sottrarsi al Suo sguardo d'amore e voler gestire in proprio l'esistere e l'agire nel mondo. La rottura della relazione di comunione con Dio provoca la rottura dell'unità interiore della persona umana, della relazione di comunione tra l'uomo e la donna e della relazione armoniosa tra gli uomini e le altre creature. In questa rottura originaria va ricercata la radice più profonda di tutti i mali che insidiano le relazioni sociali tra le persone umane, di tutte le situazioni che nella vita economica e politica attentano alla dignità della persona, alla giustizia e alla solidarietà. In Gesù Cristo si compie l'evento decisivo della storia di Dio con gli uomini 28 La benevolenza e la misericordia, che ispirano l'agire di Dio e ne offrono la chiave d'interpretazione, diventano tanto prossime all'uomo da assumere i tratti dell'uomo Gesù, il Verbo fatto carne. Nel racconto di Luca, Gesù descrive il Suo ministero messianico con le parole di Isaia che richiamano il significato profetico del giubileo: "Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l'unzione, e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; per rimettere in libertà gli oppressi, e predicare un anno di grazia del Signore" ( Lc 4,18-19; Is 61,1-2 ). Gesù si pone dunque sulla linea del compimento, non solo perché adempie ciò che era stato promesso e che era atteso da Israele, ma anche nel senso, più profondo, che in Lui si compie l'evento decisivo della storia di Dio con gli uomini. Egli, infatti, proclama: " Chi ha visto me ha visto il Padre " ( Gv 14,9 ). Gesù, in altri termini, manifesta tangibilmente e in modo definitivo chi è Dio e come Egli si comporta con gli uomini. 29 L'amore che anima il ministero di Gesù tra gli uomini è quello sperimentato dal Figlio nell'unione intima col Padre. Il Nuovo Testamento ci consente di penetrare nell'esperienza che Gesù stesso vive e comunica dell'amore di Dio Suo Padre - Abbà - e, dunque, nel cuore stesso della vita divina. Gesù annuncia la misericordia liberatrice di Dio nei confronti di coloro che incontra sulla Sua strada, a cominciare dai poveri, dagli emarginati, dai peccatori, e invita alla Sua sequela, perché Egli per primo, e in modo del tutto singolare, obbedisce al disegno d'amore di Dio quale Suo inviato nel mondo. La coscienza che Gesù ha di essere il Figlio esprime appunto tale originaria esperienza. Il Figlio ha ricevuto tutto, e gratuitamente, dal Padre: "Tutto quello che il Padre possiede è mio" ( Gv 16,15 ). Egli, a sua volta, ha la missione di fare partecipi di questo dono e di questa relazione filiale tutti gli uomini: " Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l'ho fatto conoscere a voi" ( Gv 15,15 ). Riconoscere l'amore del Padre significa per Gesù ispirare la Sua azione alla medesima gratuità e misericordia di Dio, generatrici di vita nuova, e diventare così, con la Sua stessa esistenza, esempio e modello per i Suoi discepoli. Essi sono chiamati a vivere come Lui e, dopo la Sua Pasqua di morte e risurrezione, a vivere in Lui e di Lui, grazie al dono sovrabbondante dello Spirito Santo, il Consolatore che interiorizza nei cuori lo stile di vita di Cristo stesso. La rivelazione dell'Amore trinitario 30 La testimonianza del Nuovo Testamento, con lo stupore sempre nuovo di chi è stato folgorato dall'inesprimibile amore di Dio ( Rm 8,26 ), coglie nella luce della rivelazione piena dell'Amore trinitario offerta dalla Pasqua di Gesù Cristo, il significato ultimo dell'Incarnazione del Figlio e della Sua missione tra gli uomini. Scrive san Paolo: " Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? Egli che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi, come non ci donerà ogni cosa insieme con lui?" ( Rm 8,31-32 ). Un linguaggio simile usa anche san Giovanni: " In questo sta l'amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati" ( 1 Gv 4,10 ). 31 Il Volto di Dio, progressivamente rivelato nella storia della salvezza, risplende in pienezza nel Volto di Gesù Cristo Crocifisso e Risorto. Dio è Trinità: Padre, Figlio, Spirito Santo, realmente distinti e realmente uno, perché comunione infinita di amore. L'amore gratuito di Dio per l'umanità si rivela, innanzi tutto, come amore sorgivo del Padre, da cui tutto proviene; come gratuita comunicazione che il Figlio fa di esso, ridonandosi al Padre e donandosi agli uomini; come sempre nuova fecondità dell'amore divino che lo Spirito Santo effonde nel cuore degli uomini ( Rm 5,5 ). Con le parole e con le opere, e in modo pieno e definitivo con la Sua morte e la Sua risurrezione, Gesù Cristo rivela all'umanità che Dio è Padre e che tutti siamo chiamati per grazia a diventare figli di Lui nello Spirito ( Rm 8,15; Gal 4,6 ), e perciò fratelli e sorelle tra noi. E per questa ragione che la Chiesa crede fermamente che " la chiave, il centro e il fine di tutta la storia umana si trovano nel suo Signore e Maestro". 32 Contemplando la gratuità e la sovrabbondanza del dono divino del Figlio da parte del Padre, che Gesù ha insegnato e testimoniato donando la Sua vita per noi, l'Apostolo Giovanni ne coglie il senso profondo e la più logica conseguenza: " Carissimi, se Dio ci ha amato, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri. Nessuno mai ha visto Dio; se ci amiamo gli uni gli altri, Dio rimane in noi e l'amore di lui è perfetto in noi " ( 1 Gv 4,11-12 ). La reciprocità dell'amore è richiesta dal comandamento che Gesù definisce nuovo e Suo: " come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri" ( Gv 13,34 ). Il comandamento dell'amore reciproco traccia la via per vivere in Cristo la vita trinitaria nella Chiesa, Corpo di Cristo, e trasformare con Lui la storia fino al suo compimento nella Gerusalemme celeste. 33 Il comandamento dell'amore reciproco, che costituisce la legge di vita del popolo di Dio, deve ispirare, purificare ed elevare tutti i rapporti umani nella vita sociale e politica: " Umanità significa chiamata alla comunione interpersonale ", perché l'immagine e somiglianza del Dio trinitario sono la radice di "tutto "l'ethos" umano… il cui vertice è il comandamento dell'amore". Il fenomeno culturale, sociale, economico e politico odierno dell'interdipendenza, che intensifica e rende particolarmente evidenti i vincoli che uniscono la famiglia umana, mette in risalto una volta di più, alla luce della Rivelazione, " un nuovo modello di unità del genere umano, al quale deve ispirarsi, in ultima istanza, la solidarietà. Questo supremo modello di unità, riflesso della vita intima di Dio, uno in tre Persone, è ciò che noi cristiani designiamo con la parola "comunione ". L'Amore trinitario, origine e meta della persona umana 34 La rivelazione in Cristo del mistero di Dio come Amore trinitario è insieme la rivelazione della vocazione della persona umana all'amore. Tale rivelazione illumina la dignità e la libertà personale dell'uomo e della donna e l'intrinseca socialità umana in tutta la loro profondità: " Essere persona a immagine e somiglianza di Dio comporta… un esistere in relazione, in rapporto all'altro "io" ", perché Dio stesso, uno e trino, è comunione del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Nella comunione d'amore che è Dio, nel quale le tre Persone divine si amano reciprocamente e sono l'Unico Dio, la persona umana è chiamata a scoprire l'origine e la meta della sua esistenza e della storia. I Padri Conciliari, nella Costituzione pastorale " Gaudium et spes", insegnano che "il Signore Gesù, quando prega il Padre "perché tutti siano una cosa sola… come noi" ( Gv 17,21-22 ), prospettando mete impervie alla ragione umana, accenna ad una certa similitudine tra l'unione delle persone divine e l'unione dei figli di Dio nella verità e nella carità. Questa similitudine manifesta che l'uomo, che è la sola creatura sulla terra che Dio abbia voluto per se stessa, non possa ritrovarsi pienamente se non nel dono sincero di sé ( Lc 17,33 )". 35 La rivelazione cristiana proietta una luce nuova sull'identità, sulla vocazione e sul destino ultimo della persona e del genere umano. Ogni persona è da Dio creata, amata e salvata in Gesù Cristo, e si realizza intessendo molteplici relazioni di amore, di giustizia e di solidarietà con le altre persone, mentre va esplicando la sua multiforme attività nel mondo. L'agire umano, quando tende a promuovere la dignità e la vocazione integrale della persona, la qualità delle sue condizioni di esistenza, l'incontro e la solidarietà dei popoli e delle Nazioni, è conforme al disegno di Dio, che non manca mai di mostrare il Suo amore e la Sua Provvidenza nei confronti dei Suoi figli. 36 Le pagine del primo libro della Sacra Scrittura, che descrivono la creazione dell'uomo e della donna a immagine e somiglianza di Dio ( Gen 1,26-27 ), racchiudono un fondamentale insegnamento circa l'identità e la vocazione della persona umana. Esse ci dicono che la creazione dell'uomo e della donna è un atto libero e gratuito di Dio; che l'uomo e la donna costituiscono, perché liberi e intelligenti, il tu creato di Dio e che solo nel rapporto con Lui possono scoprire e realizzare il significato autentico e pieno della loro vita personale e sociale; che essi, proprio nella loro complementarità e reciprocità, sono l'immagine dell'Amore trinitario nell'universo creato; che a loro, che sono il vertice della creazione, il Creatore affida il compito di ordinare secondo il Suo disegno la natura creata ( Gen 1,28 ). 37 Il libro della Genesi ci propone alcuni perni dell'antropologia cristiana: l'inalienabile dignità della persona umana, che ha la sua radice e la sua garanzia nel disegno creatore di Dio; la costitutiva socialità dell'essere umano, che ha il suo prototipo nella relazione originaria tra l'uomo e la donna, la cui " unione costituisce la prima forma di comunione di persone"; il significato dell'agire umano nel mondo, che è legato alla scoperta e al rispetto della legge naturale che Dio ha impresso nell'universo creato, affinché l'umanità lo abiti e lo custodisca secondo il Suo progetto. Questa visione della persona umana, della società e della storia è radicata in Dio ed è illuminata dalla realizzazione del Suo disegno di salvezza. La salvezza cristiana: per tutti gli uomini e di tutto l'uomo 38 La salvezza che, per iniziativa di Dio Padre, è offerta in Gesù Cristo ed è attualizzata e diffusa per opera dello Spirito Santo, è salvezza per tutti gli uomini e di tutto l'uomo, è salvezza universale ed integrale. Riguarda la persona umana in ogni sua dimensione: personale e sociale, spirituale e corporea, storica e trascendente. Essa comincia a realizzarsi già nella storia, perché ciò che è creato è buono e voluto da Dio e perché il Figlio di Dio si è fatto uno di noi. Il suo compimento, però, è nel futuro che Dio ci riserva, quando saremo chiamati, insieme a tutta la creazione ( Rm 8 ), a partecipare alla risurrezione di Cristo e alla comunione eterna di vita col Padre, nella gioia dello Spirito Santo. Questa prospettiva indica precisamente l'errore e l'inganno delle visioni puramente immanentistiche del senso della storia e delle pretese di autosalvazione dell'uomo. 39 La salvezza che Dio offre ai Suoi figli richiede la loro libera risposta e adesione. In ciò consiste la fede, attraverso la quale " l'uomo liberamente si abbandona tutto a Dio", rispondendo all'Amore preveniente e sovrabbondante di Dio ( 1 Gv 4,10 ) con l'amore concreto ai fratelli e con ferma speranza, "perché è fedele colui che ha promesso" ( Eb 10,23 ). Il piano divino di salvezza, infatti, non colloca la creatura umana in uno stato di mera passività o di minorità nei confronti del suo Creatore, perché il rapporto con Dio, che Gesù Cristo ci manifesta e nel quale ci introduce gratuitamente per opera dello Spirito Santo, è un rapporto di figliolanza: lo stesso che Gesù vive nei confronti del Padre ( Gv 15-17; Gal 4,6-7 ). 40 L'universalità e l'integralità della salvezza, donata in Gesù Cristo, rendono inscindibile il nesso tra il rapporto che la persona è chiamata ad avere con Dio e la responsabilità nei confronti del prossimo, nella concretezza delle situazioni storiche. Ciò è intuito, anche se confusamente e non senza errori, nell'universale ricerca umana di verità e di senso, ma diventa struttura portante dell'Alleanza di Dio con Israele, come testimoniano le tavole della Legge e la predicazione profetica. Tale nesso viene espresso con chiarezza e in perfetta sintesi nell'insegnamento di Gesù Cristo e confermato definitivamente dalla testimonianza suprema del dono della Sua vita, in obbedienza alla volontà del Padre e per amore verso i fratelli. Allo scriba che gli chiede: " Qual è il primo di tutti i comandamenti?" ( Mc 12,28 ), Gesù risponde: " Il primo è: Ascolta, Israele. Il Signore Dio nostro è l'unico Signore; amerai dunque il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza. E il secondo è questo: Amerai il prossimo tuo come tè stesso. Non c'è altro comandamento più importante di questi" ( Mc 12,29-31 ). Nel cuore della persona umana si intrecciano indissolubilmente la relazione con Dio, riconosciuto come Creatore e Padre, fonte e compimento della vita e della salvezza, e l'apertura all'amore concreto verso l'uomo, che deve essere trattato come un altro se stesso, anche se è un nemico ( Mt 5,43-44 ). Nella dimensione inferiore dell'uomo si radica, in definitiva, l'impegno per la giustizia e la solidarietà, per l'edificazione di una vita sociale, economica e politica conforme al disegno di Dio. Il discepolo di Cristo quale nuova creatura 41 La vita personale e sociale così come l'agire umano nel mondo sono sempre insidiati dal peccato, ma Gesù Cristo, " soffrendo per noi non solo ci ha lasciato un esempio perché ne seguiamo le orme, ma ci ha anche aperto una strada, percorrendo la quale la vita e la morte vengono santificate e acquistano un nuovo significato ". Il discepolo di Cristo aderisce, nella fede e mediante i sacramenti, al mistero pasquale di Gesù, così che il suo uomo vecchio, con le sue inclinazioni cattive, viene crocifisso con Cristo. Quale nuova creatura egli allora viene abilitato nella grazia a "camminare in una vita nuova" ( Rm 6,4 ). Tale cammino, tuttavia, "vale non soltanto per i cristiani, ma anche per tutti gli uomini di buona volontà, nel cui cuore opera invisibilmente la grazia. Poiché Cristo è morto per tutti, e poiché la vocazione ultima dell'uomo è effettivamente una sola, cioè quella divina, dobbiamo ritenere che lo Spirito Santo offra a tutti la possibilità di venire associati, nel modo che Dio conosce, a questo mistero pasquale ". 42 La trasformazione interiore della persona umana, nella sua progressiva conformazione a Cristo, è presupposto essenziale di un reale rinnovamento delle sue relazioni con le altre persone: " Occorre, quindi, far leva sulle capacità spirituali e morali della persona e sull'esigenza permanente della sua conversione interiore, per ottenere cambiamenti sociali che siano realmente a suo servizio. La priorità riconosciuta alla conversione del cuore non elimina affatto, anzi impone l'obbligo di apportare alle istituzioni e alle condizioni di vita, quando esse provochino il peccato, i risanamenti opportuni, perché si conformino alle norme della giustizia e favoriscano il bene anziché ostacolarlo ". 43 Non è possibile amare il prossimo come se stessi e perseverare in questo atteggiamento, senza la determinazione ferma e costante di impegnarsi per il bene di tutti e di ciascuno, perché tutti siamo veramente responsabili di tutti. Secondo l'insegnamento conciliare, "il rispetto e l'amore devono estendersi anche a coloro che pensano o agiscono diversamente da noi nelle cose sociali, politiche e persino religiose, poiché quanto più con onestà e carità saremo intimamente comprensivi verso il loro modo di pensare, tanto più facilmente potremo instaurare il dialogo con loro ". In tale cammino è necessaria la grazia, che Dio offre all'uomo per aiutarlo a superare i fallimenti, per strapparlo dalla spirale della menzogna e della violenza, per sostenerlo e spronarlo a ritessere, con disponibilità sempre rinnovata, la rete delle relazioni vere e sincere con i suoi simili. 44 Anche la relazione con l'universo creato e le diverse attività che l'uomo dedica alla sua cura e trasformazione, quotidianamente minacciate dalla superbia e dall'amore disordinato di sé, devono essere purificate e portate alla perfezione dalla croce e dalla risurrezione di Cristo: "Redento da Cristo e fatto nuova creatura nello Spirito Santo, l'uomo può e deve amare le cose create da Dio. Da Dio le riceve, e le guarda e le onora come se uscissero dalle mani di Dio. Ringraziando per esse il Benefattore e usando e godendo delle creature in povertà e libertà di spirito, viene immesso nel vero possesso del mondo, come chi non ha nulla e invece possiede tutto: "Tutto è vostro! Ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio" ( 1 Cor 3,22-23 ) ". Trascendenza della salvezza e autonomia delle realtà terrene 45 Gesù Cristo è il Figlio di Dio fatto uomo nel quale e grazie al quale il mondo e l'uomo attingono la loro autentica e piena verità. Il mistero dell'infinita prossimità di Dio all'uomo - realizzatesi nell'Incarnazione di Gesù Cristo, spinto sino all'abbandono sulla croce e alla morte - mostra che quanto più l'umano è visto alla luce del disegno di Dio e vissuto in comunione con Lui, tanto più esso è potenziato e liberato nella sua identità e nella stessa libertà che gli è propria. La partecipazione alla vita filiale di Cristo, resa possibile dall'Incarnazione e dal dono pasquale dello Spirito, lungi dal mortificare, ha l'effetto di far sprigionare l'autentica e autonoma consistenza e identità degli esseri umani, in tutte le loro espressioni. Questa prospettiva orienta verso una visione corretta delle realtà terrene e della loro autonomia, che è ben sottolineata dall'insegnamento del Concilio Vaticano II: " Se per autonomia delle realtà terrene intendiamo che le cose create e le società godono di leggi e valori propri, che l'uomo gradatamente deve scoprire, usare e coordinare, allora è assolutamente necessario esigerla: questo… è conforme al volere del Creatore. Infatti per la loro condizione di creature tutte le cose sono dotate di una propria consistenza, verità, bontà, di leggi e di ordine propri, che l'uomo deve rispettare, riconoscendo i metodi propri delle singole scienze o arti ". 46 Non e 'è conflittualità tra Dio e l'uomo, ma un rapporto di amore in cui il mondo e i frutti dell'agire dell'uomo nel mondo sono oggetto di reciproco dono tra il Padre e i figli, e dei figli tra loro, in Cristo Gesù: in Lui e grazie a Lui, il mondo e l'uomo attingono il loro autentico ed originario significato. In una visione universale dell'amore di Dio che abbraccia tutto ciò che è, Dio stesso ci è rivelato in Cristo come Padre e donatore di vita, e l'uomo ci è rivelato come colui che, in Cristo, tutto accoglie da Dio come dono, in umiltà e libertà, e tutto veramente possiede come suo, quando sa e vive ogni cosa come di Dio, da Dio originata e a Dio finalizzata. A questo riguardo, il Concilio Vaticano II insegna: "Se… con l'espressione autonomia delle realtà temporali si intende che le cose create non dipendono da Dio, e che l'uomo può farne uso così da non rapportarle al Creatore, nessuno che riconosce Dio non avverte quanto siano fallaci tali opinioni. Senza il Creatore, la creatura viene meno ". 47 La persona umana, in se stessa e nella sua vocazione, trascende l'orizzonte dell'universo creato, della società e della storia: il suo fine ultimo è Dio stesso, che si è rivelato agli uomini per invitarli e ammetterli alla comunione con Sé: "L'uomo non può donare se stesso ad un progetto solo umano della realtà, ad un ideale astratto o a false utopie. Egli, in quanto persona, può donare se stesso ad un'altra persona o ad altre persone e, infine, a Dio, che è l'autore del suo essere ed è l'unico che può pienamente accogliere il suo dono". Per questa ragione, "è alienato l'uomo che rifiuta di trascendere se stesso e di vivere l'esperienza del dono di sé e della formazione di un'autentica comunità umana, orientata al suo destino ultimo che è Dio. E alienata la società che, nelle sue forme di organizzazione sociale, di produzione e di consumo, rende più difficile la realizzazione di questo dono ed il costituirsi di questa solidarietà interumana ". 48 La persona umana non può e non deve essere strumentalizzata da strutture sociali, economiche e politiche, poiché ogni uomo ha la libertà di orientarsi verso il suo fine ultimo. D'altra parte, ogni realizzazione culturale, sociale, economica e politica, in cui storicamente si attuano la socialità della persona e la sua attività trasformatrice dell'universo, deve sempre essere considerata anche nel suo aspetto di realtà relativa e provvisoria, "perché passa la scena di questo mondo!" ( 1 Cor 7,31 ). Si tratta di una relatività escatologica, nel senso che l'uomo e il mondo vanno incontro alla fine, che è il compimento del loro destino in Dio; e di una relatività teologica, in quanto il dono di Dio, mediante cui si compirà il destino definitivo dell'umanità e della creazione, supera infinitamente le possibilità e le attese dell'uomo. Qualunque visione totalitaristica della società e dello Stato e qualunque ideologia puramente intramondana del progresso sono contrarie alla verità integrale della persona umana e al disegno di Dio sulla storia. La Chiesa, segno e tutela della trascendenza della persona umana 49 La Chiesa, comunità di coloro che sono convocati da Gesù Cristo Risorto e si mettono alla Sua sequela, è " segno e tutela della trascendenza della persona umana ". Essa " è in Cristo come sacramento, cioè segno e strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano ". La missione della Chiesa è quella di annunciare e comunicare la salvezza realizzata in Gesù Cristo, che Egli chiama " Regno di Dio " ( Mc 1,15 ), cioè la comunione con Dio e tra gli uomini. Il fine della salvezza, il Regno di Dio, abbraccia tutti gli uomini e si realizzerà pienamente oltre la storia, in Dio. La Chiesa ha ricevuto "la missione di annunziare e instaurare in tutte le genti il Regno di Cristo e di Dio, e di questo Regno costituisce sulla terra il germe e l'inizio ". 50 La Chiesa si pone concretamente al servizio del Regno di Dio innanzi tutto annunciando e comunicando il Vangelo della salvezza e costituendo delle nuove comunità cristiane. Essa, inoltre, " serve il Regno diffondendo nel mondo i "valori evangelici", che del Regno sono espressione e aiutano gli uomini ad accogliere il disegno di Dio. È vero, dunque, che la realtà incipiente del Regno può trovarsi anche al di là dei confini della Chiesa nell'umanità intera, in quanto questa viva i "valori evangelici" e si apra all'azione dello Spirito che spira dove e come vuole ( Gv 3,8 ); ma bisogna subito aggiungere che tale dimensione temporale del Regno è incompleta, se non è coordinata col Regno di Cristo, presente nella Chiesa e proteso alla pienezza escatologica". Da ciò deriva, in particolare, che la Chiesa non si confonde con la comunità politica e non è legata ad alcun sistema politico. La comunità politica e la Chiesa, nel proprio campo, infatti, sono indipendenti e autonome l'una dall'altra e sono entrambe, anche se a titolo diverso, " al servizio della vocazione personale e sociale dei medesimi uomini". Si può anzi affermare che la distinzione fra religione e politica e il principio della libertà religiosa costituiscono un'acquisizione specifica del cristianesimo, di grande rilievo sul piano Storico e culturale. 51 All'identità e alla missione della Chiesa nel mondo, secondo il progetto di Dio realizzato in Cristo, corrisponde "una finalità salvifica ed escatologica, che non può essere raggiunta pienamente se non nel mondo futuro". Proprio per questo, la Chiesa offre un contributo originale e insostituibile con la sollecitudine che la spinge a rendere più umana la famiglia degli uomini e la sua storia e a porsi come baluardo contro ogni tentazione totalitaristica, additando all'uomo la sua integrale e definitiva vocazione. Con la predicazione del Vangelo, la grazia dei sacramenti e l'esperienza della comunione fraterna, la Chiesa " risana ed eleva la dignità della persona umana, consolida la compagine della società umana e riveste di senso e di significato più profondo il lavoro quotidiano degli uomini ". Sul piano delle concrete dinamiche storiche, l'avvento del Regno di Dio non si lascia cogliere, dunque, nella prospettiva di un'organizzazione sociale, economica e politica definita e definitiva. Esso, piuttosto, è testimoniato dallo sviluppo di una socialità umana che è per gli uomini lievito di realizzazione integrale, di giustizia e di solidarietà, nell'apertura al Trascendente come termine di riferimento per il proprio definitivo compimento personale. Chiesa, Regno di Dio e rinnovamento dei rapporti sociali 52 Dio, in Cristo, non redime soltanto la singola persona, ma anche le relazioni sociali tra gli uomini. Come insegna l'apostolo Paolo, la vita in Cristo fa emergere in modo pieno e nuovo l'identità e la socialità della persona umana, con le loro concrete conseguenze sul piano storico: " Tutti voi infatti siete figli di Dio per la fede in Cristo Gesù, poiché quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo. Non c'è più giudeo ne greco; non c'è più schiavo ne libero; non c'è più uomo ne donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù" ( Gal 3,26-28 ). In questa prospettiva, le comunità ecclesiali, convocate dal messaggio di Gesù Cristo e radunate nello Spirito Santo attorno a Lui risorto ( Mt 18,20; Mt 28,19-20; Lc 24,46-49 ), si propongono come luoghi di comunione, di testimonianza e di missione e come fermento di redenzione e di trasformazione dei rapporti sociali. La predicazione del Vangelo di Gesù induce i discepoli ad anticipare il futuro rinnovando i rapporti reciproci. 53 La trasformazione dei rapporti sociali rispondente alle esigenze del Regno di Dio non è stabilita nelle sue determinazioni concrete una volta per tutte. Si tratta, piuttosto, di un compito affidato alla comunità cristiana, che lo deve elaborare e realizzare attraverso la riflessione e la prassi ispirate dal Vangelo. E lo stesso Spirito del Signore, che conduce il popolo di Dio e insieme riempie l'universo, a ispirare, di tempo in tempo, soluzioni nuove e attuali alla responsabile creatività degli uomini, alla comunità dei cristiani inserita nel mondo e nella storia e perciò aperta al dialogo con tutte le persone di buona volontà, nella comune ricerca dei germi di verità e di libertà disseminati nel vasto campo dell'umanità. La dinamica di tale rinnovamento va ancorata ai principi immutabili della legge naturale, impressa da Dio Creatore in ogni Sua creatura ( Rm 2,14-15 ) e illuminata escatologicamente tramite Gesù Cristo. 54 Gesù Cristo ci rivela che " Dio è amore " ( 1 Gv 4,8 ) e ci insegna che " la legge fondamentale della perfezione umana, e quindi della trasformazione del mondo, è il nuovo comandamento della carità. In questo modo assicura coloro che credono all'amore divino che la strada della carità è aperta a tutti gli uomini e che lo sforzo per realizzare la fraternità universale non è vano ". Tale legge è chiamata a diventare misura e regola ultima di tutte le dinamiche in cui si esplicano le relazioni umane. In sintesi, è lo stesso mistero di Dio, l'Amore trinitario, che fonda il significato e il valore della persona, della socialità e dell'agire umano nel mondo, in quanto è stato rivelato e partecipato all'umanità per mezzo di Gesù Cristo, nel Suo Spirito. 55 La trasformazione del mondo si presenta come un'istanza fondamentale anche del nostro tempo. A questa esigenza la dottrina sociale della Chiesa intende offrire le risposte che i segni dei tempi invocano, indicando innanzi tutto nell'amore reciproco tra gli uomini, sotto lo sguardo di Dio, lo Strumento più potente di cambiamento, a livello personale e sociale. L'amore vicendevole, infatti, nella partecipazione all'amore infinito di Dio, è l'autentico fine, storico e trascendente, dell'umanità. Pertanto, "il progresso terreno, benché debba essere accuratamente distinto dallo sviluppo del Regno di Cristo, è di grande importanza per il Regno di Dio, in quanto può contribuire a meglio ordinare la società umana". Cieli nuovi e terra nuova 56 La promessa di Dio e la risurrezione di Gesù Cristo suscitano nei cristiani la fondata speranza che per tutte le persone umane è preparata una nuova ed eterna dimora, una terra in cui abita la giustizia ( 2 Cor 5,1-2; 2 Pt 3,13 ): "Allora, vinta la morte, i figli di Dio saranno risuscitati in Cristo, e ciò che fu seminato infermo e corruttibile rivestirà l'incorruzione; e, restando la carità e le sue opere, sarà liberata dalla schiavitù della vanità tutta la creazione che Dio ha fatto per l'uomo". Questa speranza, anziché indebolire, deve piuttosto stimolare la sollecitudine nel lavoro relativo alla realtà presente. 57 I beni, quali la dignità dell'uomo, la fraternità e la libertà, tutti i buoni frutti della natura e della nostra operosità, diffusi sulla terra nello Spirito del Signore e secondo il Suo precetto, purificati da ogni macchia, illuminati e trasfigurati, appartengono al Regno di verità e di vita, di santità e di grazia, di giustizia, di amore e di pace che Cristo rimetterà al Padre e dove noi li ritroveremo. Risuoneranno allora per tutti, nella loro solenne verità, le parole di Cristo: "Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo. Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi… ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me" ( Mt 25,34-36.40 ). 58 La compiuta realizzazione della persona umana, attuata in Cristo grazie al dono dello Spirito, matura nella storia ed è mediata dalle relazioni della persona con le altre persone, relazioni che, a loro volta, raggiungono la loro perfezione grazie all'impegno teso a migliorare il mondo, nella giustizia e nella pace. L'agire umano nella storia è di per sé significativo ed efficace per l'instaurazione definitiva del Regno, anche se questo resta dono di Dio, pienamente trascendente. Tale agire, quando è rispettoso dell'ordine oggettivo della realtà temporale e illuminato dalla verità e dalla carità, diventa strumento per un'attuazione sempre più piena e integrale della giustizia e della pace e anticipa nel presente il Regno promesso. Conformandosi a Cristo Redentore, l'uomo si percepisce come creatura voluta da Dio e da Lui eternamente scelta, chiamata alla grazia e alla gloria, in tutta la pienezza del mistero di cui è divenuta partecipe in Gesù Cristo. La conformazione a Cristo e la contemplazione del Suo Volto infondono nel cristiano un insopprimibile anelito ad anticipare in questo mondo, nell'ambito delle relazioni umane, ciò che sarà realtà nel definitivo, adoperandosi per dar da mangiare, da bere, da vestire, una casa, la cura, l'accoglienza e la compagnia al Signore che bussa alla porta ( Mt 25,35-37 ). Maria e il Suo " fiat " al disegno d'amore di Dio 59 Erede della speranza dei giusti d'Israele e prima tra i discepoli di Gesù Cristo è Maria, Sua madre. Ella, col Suo "fìat" al disegno d'amore di Dio ( Lc 1,38 ), a nome di tutta l'umanità, accoglie nella storia l'inviato del Padre, il Salvatore degli uomini: nel canto del "Magnificat" proclama l'avvento del Mistero della Salvezza, la venuta del " Messia dei poveri " ( Is 11,4; Is 61,1 ). Il Dio dell'Alleanza, cantato nell'esultanza del Suo spirito dalla Vergine di Nazaret, è Colui che rovescia i potenti dai troni e innalza gli umili, ricolma di beni gli affamati e rimanda i ricchi a mani vuote, disperde i superbi e conserva la Sua misericordia per coloro che Lo temono ( Lc 1,50-53 ). Attingendo dal cuore di Maria, dalla profondità della Sua fede, espressa nelle parole del "Magnificat", i discepoli di Cristo sono chiamati a rinnovare sempre meglio in se stessi " la consapevolezza che non si può separare la verità su Dio che salva, su Dio che è fonte di ogni elargizione, dalla manifestazione del suo amore di preferenza per i poveri e gli umili, il quale, cantato nel Magnificat, si trova poi espresso nelle parole e nelle opere di Gesù". Maria, totalmente dipendente da Dio e tutta orientata verso di Lui con lo slancio della Sua fede, "è l'icona più perfetta della libertà e della liberazione dell'umanità e del cosmo ". La Chiesa, dimora di Dio con gli uomini 60 La Chiesa, partecipe delle gioie e delle speranze, delle angosce e delle tristezze degli uomini, è solidale con ogni uomo ed ogni donna, d'ogni luogo e d'ogni tempo, e porta loro la lieta notizia del Regno di Dio, che con Gesù Cristo è venuto e viene in mezzo a loro. Essa è, nell'umanità e nel mondo, il sacramento dell'amore di Dio e perciò della speranza più grande, che attiva e sostiene ogni autentico progetto e impegno di liberazione e promozione umana. La Chiesa è tra gli uomini la tenda della compagnia di Dio - " la dimora di Dio con gli uomini " ( Ap 21,3 ) - cosicché l'uomo non è solo, smarrito o sgomento nel suo impegno di umanizzare il mondo, ma trova sostegno nell'amore redentore di Cristo. Essa è ministra di salvezza non astrattamente o in senso meramente spirituale, ma nel contesto della storia e del mondo in cui l'uomo vive, dove è raggiunto dall'amore di Dio e dalla vocazione a corrispondere al progetto divino. 61 Unico ed irripetibile nella sua individualità, ogni uomo è un essere aperto alla relazione con gli altri nella società. Il con-vivere nella rete di rapporti che lega fra loro individui, famiglie, gruppi intermedi, in relazioni di incontro, di comunicazione e di scambio, assicura al vivere una qualità migliore. Il bene comune che gli uomini ricercano e conseguono formando la comunità sociale è garanzia del bene personale, familiare e associativo. Per queste ragioni si origina e prende forma la società, con i suoi assetti strutturali, vale a dire politici, economici, giuridici, culturali. All'uomo, "in quanto inserito nella complessa rete di relazioni delle società moderne ", la Chiesa si rivolge con la sua dottrina sociale. " Esperta in umanità ", essa è in grado di comprenderlo nella sua vocazione e .nelle sue aspirazioni, nei suoi limiti e nei suoi disagi, nei suoi diritti e nei suoi compiti, e di avere per lui una parola di vita da far risuonare nelle vicende storiche e sociali dell'esistenza umana. Fecondare e fermentare la società con il Vangelo 62 Con il suo insegnamento sociale, la Chiesa intende annunciare ed attualizzare il Vangelo nella complessa rete delle relazioni sociali. Non si tratta semplicemente di raggiungere l'uomo nella società, l'uomo quale destinatario dell'annuncio evangelico, ma di fecondare e fermentare la società stessa con il Vangelo. Prendersi cura dell'uomo, pertanto, significa, per la Chiesa, coinvolgere anche la società nella sua sollecitudine missionaria e salvifica. La convivenza sociale spesso determina la qualità della vita e perciò le condizioni in cui ogni uomo e ogni donna comprendono se stessi e decidono di sé e della loro vocazione. Per questa ragione, la Chiesa non è indifferente a tutto ciò che nella società si sceglie, si produce e si vive, alla qualità morale, cioè autenticamente umana e umanizzante, della vita sociale. La società e con essa la politica, l'economia, il lavoro, il diritto, la cultura non costituiscono un ambito meramente secolare e mondano e perciò marginale ed estraneo al messaggio e all'economia della salvezza. La società, infatti, con tutto ciò che in essa si compie, riguarda l'uomo. Essa è la società degli uomini, che sono "la prima fondamentale via della Chiesa". 63 Con la sua dottrina sociale la Chiesa si fa carico del compito di annuncio che il Signore le ha affidato. Essa attualizza nelle vicende storiche il messaggio di liberazione e di redenzione di Cristo, il Vangelo del Regno. La Chiesa, annunziando il Vangelo, " attesta all'uomo, in nome di Cristo, la sua dignità e la sua vocazione alla comunione delle persone; gli insegna le esigenze della giustizia e della pace, conformi alla sapienza divina". Vangelo che riecheggia mediante la Chiesa nell'oggi dell'uomo la dottrina sociale è parola che libera. Questo significa che ha l'efficacia di verità e di grazia dello Spirito di Dio, che penetra i cuori, disponendoli a coltivare pensieri e progetti di amore, di giustizia, di libertà e di pace. Evangelizzare il sociale è allora infondere nel cuore degli uomini la carica di senso e di liberazione del Vangelo, così da promuovere una società a misura dell'uomo perché a misura di Cristo: è costruire una città dell'uomo più umana, perché più conforme al Regno di Dio. 64 La Chiesa, con la sua dottrina sociale, non solo non si discosta dalla propria missione, ma è strettamente fedele ad essa. La redenzione compiuta da Cristo e affidata alla missione salvifica della Chiesa è certamente di ordine soprannaturale. Questa dimensione non è espressione limitativa, bensi integrale della salvezza. Il soprannaturale non è da concepire come un'entità o uno spazio che comincia dove finisce il naturale, ma come l'elevazione di questo, così che niente dell'ordine della creazione e dell'umano è estraneo ed escluso dall'ordine soprannaturale e teologale della fede e della grazia, ma piuttosto vi è riconosciuto, assunto ed elevato: " In Gesù Cristo il mondo visibile, creato da Dio per l'uomo ( Gen 1,26-30 ) - quel mondo che, essendovi entrato il peccato, "è stato sottomesso alla caducità" ( Rm 8,20; Rm 8,19-22 ) - riacquista nuovamente il vincolo originario con la stessa sorgente divina della Sapienza e dell'Amore. Infatti, "Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito" ( Gv 3,16 ). Come nell'uomo-Adamo questo vincolo è stato infranto, così nell'uomo-Cristo esso è stato di nuovo riallacciato ( Rm 5,12-21 ) ". 65 La Redenzione comincia con l'Incarnazione, mediante cui il Figlio di Dio assume, eccetto il peccato, tutto dell'uomo, secondo le solidarietà istituite dalla Sapienza creatrice divina, e tutto coinvolge nel Suo dono d'Amore redentore. Da questo Amore l'uomo è raggiunto nell'interezza del suo essere: essere corporeo e spirituale, in relazione solidale con gli altri. Tutto l'uomo - non un'anima separata o un essere chiuso nella sua individualità, ma la persona e la società delle persone - è implicato nell'economia salvifica del Vangelo. Portatrice del messaggio d'Incarnazione e di Redenzione del Vangelo, la Chiesa non può percorrere altra via: con la sua dottrina sociale e con l'azione efficace che essa attiva, non solo non stempera il suo volto e la sua missione, ma è fedele a Cristo e si rivela agli uomini come "sacramento universale di salvezza". Ciò è particolarmente vero in un'epoca come la nostra, caratterizzata da una crescente interdipendenza e da una mondializzazione delle questioni sociali. Dottrina sociale, evangelizzazione e promozione umana 66 La dottrina sociale è parte integrante del ministero di evangelizzazione della Chiesa. Tutto ciò che riguarda la comunità degli uomini - situazioni e problemi relativi alla giustizia, alla liberazione, allo sviluppo, alle relazioni tra i popoli, alla pace - non è estraneo all'evangelizzazione e questa non sarebbe completa se non tenesse conto del reciproco appello che si fanno continuamente il Vangelo e la vita concreta, personale e sociale dell'uomo. Tra evangelizzazione e promozione umana ci sono legami profondi: "Legami di ordine antropologico, perché l'uomo da evangelizzare non è un essere astratto, ma è condizionato dalle questioni sociali ed economiche. Legami di ordine teologico, poiché non si può dissociare il piano della creazione da quello della Redenzione che arriva fino alle situazioni molto concrete dell'ingiustizia da combattere, e della giustizia da restaurare. Legami dell'ordine eminentemente evangelico, quale è quello della carità: come infatti proclamare il comandamento nuovo senza promuovere nella giustizia e nella pace la vera, l'autentica crescita dell'uomo? ". 67 La dottrina sociale " ha di per sé il valore di uno strumento di evangelizzazione " e si sviluppa nell'incontro sempre rinnovato tra il messaggio evangelico e la storia umana. Così compresa, tale dottrina è via peculiare per l'esercizio del ministero della Parola e della funzione profetica della Chiesa: " per la Chiesa insegnare e diffondere la dottrina sociale appartiene alla sua missione evangelizzatrice e fa parte essenziale del messaggio cristiano, perché tale dottrina ne propone le dirette conseguenze nella vita della società ed inquadra il lavoro quotidiano e le lotte per la giustizia nella testimonianza a Cristo Salvatore". Non siamo in presenza di un interesse o di un'azione marginale, che si aggiunge alla missione della Chiesa, ma al cuore stesso della sua ministerialità: con la dottrina sociale la Chiesa " annuncia Dio e il mistero di salvezza in Cristo ad ogni uomo e, per la medesima ragione, rivela l'uomo a se stesso ". È, questo, un ministero che procede non solo dall'annuncio, ma anche dalla testimonianza. 68 La Chiesa non si fa carico della vita in società sotto ogni aspetto, ma con la competenza sua propria, che è quella dell'annuncio di Cristo Redentore: " La missione propria che Cristo ha affidato alla sua Chiesa non è d'ordine politico, economico o sociale: il fine che le ha prefisso è di ordine religioso. Eppure proprio da questa missione religiosa derivano un compito, una luce e delle forze che possono servire a costruire e a consolidare la comunità degli uomini secondo la Legge divina". Questo vuol dire che la Chiesa, con la sua dottrina sociale, non entra in questioni tecniche e non istituisce ne propone sistemi o modelli di organizzazione sociale: ciò non attiene alla missione che Cristo le ha affidato. La Chiesa ha la competenza attinta al Vangelo: al messaggio di liberazione dell'uomo annunciato e testimoniato dal Figlio di Dio fatto uomo. Diritto e dovere della Chiesa 69 Con la sua dottrina sociale la Chiesa "si propone di assistere l'uomo sul cammino della salvezza ": si tratta del suo fine precipuo ed unico. Non ci sono altri scopi tesi a surrogare o ad invadere compiti altrui, trascurando i propri, o a perseguire obiettivi estranei alla sua missione. Tale missione configura il diritto e insieme il dovere della Chiesa di elaborare una propria dottrina sociale e di incidere con essa sulla società e sulle sue strutture, mediante le responsabilità e i compiti che questa dottrina suscita. 70 La Chiesa ha il diritto di essere per l'uomo maestra di verità della fede: della verità non solo del dogma, ma anche della morale che scaturisce dalla stessa natura umana e dal Vangelo. La parola del Vangelo, infatti, non va solo ascoltata, ma anche messa in pratica ( Mt 7,24; Lc 6,46-47; Gv 14,21.23-24; Gc 1,22 ): la coerenza nei comportamenti manifesta l'adesione del credente e non è circoscritta all'ambito strettamente ecclesiale e spirituale, ma coinvolge l'uomo in tutto il suo vissuto e secondo tutte le sue responsabilità. Per quanto secolari, queste hanno come soggetto l'uomo, vale a dire colui che Dio chiama, mediante la Chiesa, a partecipare al Suo dono salvifico. Al dono della salvezza l'uomo deve corrispondere non con un'adesione parziale, astratta o verbale, ma con tutta la propria vita, secondo tutte le relazioni che la connotano, così da non abbandonare nulla ad un ambito profano e mondano, irrilevante o estraneo alla salvezza. Per questo la dottrina sociale non è per la Chiesa un privilegio, una digressione, una convenienza o un'ingerenza: è un suo diritto evangelizzare il sociale, ossia far risuonare la parola liberante del Vangelo nel complesso mondo della produzione, del lavoro, dell'imprenditoria, della finanza, del commercio, della politica, della giurisprudenza, della cultura, delle comunicazioni sociali, in cui vive l'uomo. 71 Questo diritto è nel contempo un dovere, perché la Chiesa non vi può rinunciare senza smentire se stessa e la sua fedeltà a Cristo: " Guai a me se non predicassi il vangelo! " ( 1 Cor 9,16 ). L'ammonimento che san Paolo rivolge a se stesso risuona nella coscienza della Chiesa come un richiamo a percorrere tutte le vie dell'evangelizzazione; non solo quelle che portano alle coscienze individuali, ma anche quelle che conducono alle istituzioni pubbliche: da un lato non si deve "costringere erroneamente il fatto religioso alla sfera puramente privata", da un altro lato non si può orientare il messaggio cristiano verso una salvezza puramente ultraterrena, incapace di illuminare la presenza sulla terra. Per la rilevanza pubblica del Vangelo e della fede e per gli effetti perversi dell'ingiustizia, cioè del peccato, la Chiesa non può restare indifferente alle vicende sociali: " è compito della Chiesa annunciare sempre e dovunque i principi morali anche circa l'ordine sociale, e cosi pure pronunciare il giudizio su qualsiasi realtà umana, in quanto lo esigono i diritti fondamentali della persona umana o la salvezza delle anime". Un conoscere illuminato dalla fede 72 La dottrina sociale non è stata pensata da principio come un sistema organico, ma si è formata nel corso del tempo, attraverso i numerosi interventi del Magistero sui temi sociali. Tale genesi rende comprensibile il fatto che siano potute intervenire alcune oscillazioni circa la natura, il metodo e la struttura epistemologica della dottrina sociale della Chiesa. Preceduto da un significativo accenno nella "Laborem exercens" un chiarimento decisivo in tal senso è contenuto nell'enciclica " Sollicitudo rei socialis": la dottrina sociale della Chiesa "appartiene… non al campo dell'ideologia, ma della teologia e specialmente della teologia morale". Essa non è definibile secondo parametri socio-economici. Non è un sistema ideologico o prammatico, teso a definire e comporre i rapporti economici, politici e sociali, ma una categoria a sé: essa è "l'accurata formulazione dei risultati di un'attenta riflessione sulle complesse realtà dell'esistenza dell'uomo, nella società e nel contesto internazionale, alla luce della fede e della tradizione ecclesiale. Suo scopo principale è di interpretare tali realtà, esaminandone la conformità o difformità con le linee dell'insegnamento del Vangelo sull'uomo e sulla sua vocazione terrena e insieme trascendente; per orientare, quindi, il comportamento cristiano". 73 La dottrina sociale, pertanto, è di natura teologica, e specificamente teologico-morale, "trattandosi di una dottrina indirizzata a guidare la condotta delle persone": "Essa si situa all'incrocio della vita e della coscienza cristiana con le situazioni del mondo e si manifesta negli sforzi che singoli, famiglie, operatori culturali e sociali, politici e uomini di Stato mettono in atto per darle forma e applicazione nella storia". La dottrina sociale riflette, di fatto, i tre livelli dell'insegnamento teologico-morale: quello fondativo delle motivazioni; quello direttivo delle norme del vivere sociale; quello deliberativo delle coscienze, chiamate a mediare le norme oggettive e generali nelle concrete e particolari situazioni sociali. Questi tre livelli definiscono implicitamente anche il metodo proprio e la specifica struttura epistemologica della dottrina sociale della Chiesa. 74 La dottrina sociale trova il suo fondamento essenziale nella Rivelazione biblica e nella Tradizione della Chiesa. A questa sorgente, che viene dall'alto, essa attinge l'ispirazione e la luce per comprendere, giudicare e orientare l'esperienza umana e la storia. Prima e al di sopra di tutto sta il progetto di Dio sul creato e, in particolare, sulla vita e sul destino dell'uomo chiamato alla comunione trinitaria. La fede, che accoglie la parola divina e la mette in pratica, interagisce efficacemente con la ragione. L'intelligenza della fede, in particolare della fede orientata alla prassi, è strutturata dalla ragione e si avvale di tutti i contributi che questa le offre. Anche la dottrina sociale, in quanto sapere applicato alla contingenza e alla storicità della prassi, coniuga insieme "fides et ratio" ed è espressione eloquente del loro fecondo rapporto. 75 La fede e la ragione costituiscono le due vie conoscitive della dottrina sociale, essendo due le fonti alle quali essa attinge: la Rivelazione e la natura umana. Il conoscere della fede comprende e dirige il vissuto dell'uomo nella luce del mistero storico-salvifico, del rivelarsi e donarsi di Dio in Cristo per noi uomini. Questa intelligenza della fede include la ragione, mediante la quale essa, per quanto possibile, spiega e comprende la verità rivelata e la integra con la verità della natura umana, attinta al progetto divino espresso dalla creazione, ossia la verità integrale della persona in quanto essere spirituale e corporeo, in relazione con Dio, con gli altri esseri umani e con le altre creature. La centratura sul mistero di Cristo, pertanto, non indebolisce o esclude il ruolo della ragione e perciò non priva la dottrina sociale di plausibilità razionale e, quindi, della sua destinazione universale. Poiché il mistero di Cristo illumina il mistero dell'uomo, la ragione da pienezza di senso alla comprensione della dignità umana e delle esigenze morali che la tutelano. La dottrina sociale è un conoscere illuminato dalla fede, che - proprio perché tale - esprime una maggiore capacità di conoscenza. Essa da ragione a tutti delle verità che afferma e dei doveri che comporta: può trovare accoglienza e condivisione da parte di tutti. In dialogo cordiale con ogni sapere 76 La dottrina sociale della Chiesa si giova di tutti i contributi conoscitivi, da qualunque sapere provengano, e possiede un'importante dimensione inter-disciplinare: "Per incarnare meglio in contesti sociali, economici e politici diversi e continuamente cangianti l'unica verità sull'uomo, tale dottrina entra in dialogo con le varie discipline che si occupano dell'uomo, ne integra in sé gli apporti". La dottrina sociale si avvale dei contributi di significato della filosofia e altrettanto dei contributi descrittivi delle scienze umane. 77 Essenziale è, anzitutto, l'apporto della filosofia, già emerso dal richiamo alla natura umana quale fonte e alla ragione quale via conoscitiva della stessa fede. Mediante la ragione, la dottrina sociale assume la filosofia nella sua stessa logica interna, ossia nell'argomentare che le è proprio. Affermare che la dottrina sociale è da ascrivere alla teologia piuttosto che alla filosofia non significa disconoscere o sottovalutare il ruolo e l'apporto filosofico. La filosofia, infatti, è strumento idoneo e indispensabile ad una corretta comprensione di concetti basilari della dottrina sociale - quali la persona, la società, la libertà, la coscienza, l'etica, il diritto, la giustizia, il bene comune, la solidarietà, la sussidiarietà, lo Stato -, comprensione tale da ispirare un'armonica convivenza sociale. E ancora la filosofia a far risaltare la plausibilità razionale della luce che il Vangelo proietta sulla società e a sollecitare l'apertura e l'assenso alla verità di ogni intelligenza e coscienza. 78 Un significativo contributo alla dottrina sociale della Chiesa proviene anche dalle scienze umane e sociali: nessun sapere è escluso, per la parte di verità di cui è portatore. La Chiesa riconosce e accoglie tutto ciò che contribuisce alla comprensione dell'uomo nella sempre più estesa, mutevole e complessa rete delle relazioni sociali. Essa è consapevole del fatto che ad una profonda conoscenza dell'uomo non si perviene con la sola teologia, senza i contributi di molti saperi, ai quali la teologia stessa fa riferimento. L'apertura attenta e costante alle scienze fa acquisire alla dottrina sociale competenze, concretezza e attualità. Grazie ad esse, la Chiesa può comprendere in modo più preciso l'uomo nella società, parlare agli uomini del proprio tempo in modo più convincente e adempiere più efficacemente il suo compito di incarnare, nella coscienza e nella sensibilità sociale del nostro tempo, la Parola di Dio e la fede, dalla quale la dottrina sociale "prende avvio". Tale dialogo interdisciplinare sollecita anche le scienze a cogliere le prospettive di significato, di valore e di impegno che la dottrina sociale dischiude e ad "aprirsi verso un orizzonte più ampio al servizio della singola persona, conosciuta e amata nella pienezza della sua vocazione". Espressione del ministero d'insegnamento della Chiesa 79 La dottrina sociale è della Chiesa perché la Chiesa è il soggetto che la elabora, la diffonde e la insegna. Essa non è prerogativa di una componente del corpo ecclesiale, ma della comunità intera: è espressione del modo in cui la Chiesa comprende la società e si pone nei confronti delle sue strutture e dei suoi mutamenti. Tutta la comunità ecclesiale - sacerdoti, religiosi e laici - concorre a costituire la dottrina sociale, secondo la diversità di compiti, carismi e ministeri al suo interno. I contributi molteplici e multiformi - espressioni anch 'essi del " soprannaturale senso della fede di tutto il Popolo " - sono assunti, interpretati e unificati dal Magistero, che promulga l'insegnamento sociale come dottrina della Chiesa. Il Magistero compete, nella Chiesa, a coloro che sono investiti del " munus docendi ", ossia del ministero di insegnare nel campo della fede e della morale con l'autorità ricevuta da Cristo. La dottrina sociale non è solo il frutto del pensiero e dell'opera di persone qualificate, ma è il pensiero della Chiesa, in quanto è opera del Magistero, il quale insegna con l'autorità che Cristo ha conferito agli Apostoli e ai loro successori: il Papa e i Vescovi in comunione con lui. 80 Nella dottrina sociale della Chiesa è in atto il Magistero in tutte le sue componenti ed espressioni. Primario è il Magistero universale del Papa e del Concilio: è questo Magistero a determinare l'indirizzo e a segnare lo sviluppo della dottrina sociale. Esso, a sua volta, è integrato da quello episcopale, che ne specifica, traduce e attualizza l'insegnamento nella concretezza e peculiarità delle molteplici e diverse situazioni locali. L'insegnamento sociale dei Vescovi offre validi contributi e stimoli al magistero del Romano Pontefice. Si attua in questo modo una circolarità, che esprime di fatto la collegialità dei Pastori uniti al Papa nell'insegnamento sociale della Chiesa. Il complesso dottrinale che ne risulta comprende ed integra l'insegnamento universale dei Papi e quello particolare dei Vescovi. In quanto parte dell'insegnamento morale della Chiesa, la dottrina sociale riveste la medesima dignità ed ha la stessa autorevolezza di tale insegnamento. Essa è Magistero autentico, che esige l'accettazione e l'adesione dei fedeli. Il peso dottrinale dei diversi insegnamenti e l'assenso che richiedono vanno valutati in funzione della loro natura, del loro grado di indipendenza da elementi contingenti e variabili e della frequenza con cui sono richiamati. Per una società riconciliata nella giustizia e nell'amore 81 L'oggetto della dottrina sociale è essenzialmente lo stesso che ne costituisce la ragion d'essere: l'uomo chiamato alla salvezza e come tale affidato da Cristo alla cura e alla responsabilità della Chiesa Con la sua dottrina sociale, la Chiesa si preoccupa della vita umana nella società, nella consapevolezza che dalla qualità del vissuto sociale, ossia delle relazioni di giustizia e di amore che lo intessono, dipende in modo decisivo la tutela e la promozione delle persone, per le quali ogni comunità è costituita. Nella società, infatti, sono in gioco la dignità e i diritti della persona e la pace nelle relazioni tra persone e tra comunità di persone. Beni, questi, che la comunità sociale deve perseguire e garantire. In tale prospettiva, la dottrina sociale assolve un compito di annuncio e anche di denuncia. Anzitutto l'annuncio di ciò che la Chiesa possiede di proprio: "una visione globale dell'uomo e dell'umanità", ad un livello non solo teorico, ma pratico. La dottrina sociale, infatti, non offre soltanto significati, valori e criteri di giudizio, ma anche le norme e le direttive d'azione che ne derivano. Con tale dottrina, la Chiesa non persegue fini di strutturazione e organizzazione della società, ma di sollecitazione, indirizzo e formazione delle coscienze. La dottrina sociale comporta pure un compito di denuncia, in presenza del peccato: è il peccato d'ingiustizia e di violenza che in vario modo attraversa la società e in essa prende corpo. Tale denuncia si fa giudizio e difesa dei diritti disconosciuti e violati, specialmente dei diritti dei poveri, dei piccoli, dei deboli, e tanto più si intensifica quanto più le ingiustizie e le violenze si estendono, coinvolgendo intere categorie di persone e ampie aree geografiche del mondo, e danno luogo a questioni sociali ossia a soprusi e squilibri che sconvolgono le società. Gran parte dell'insegnamento sociale della Chiesa è sollecitato e determinato dalle grandi questioni sociali, di cui vuole essere risposta di giustizia sociale. 82 L'intento della dottrina sociale è di ordine religioso e morale Religioso perché la missione evangelizzatrice e salvifica della Chiesa abbraccia l'uomo " nella piena verità della sua esistenza, del suo essere personale ed insieme del suo essere comunitario e sociale". Morale perché la Chiesa mira ad un "umanesimo plenario", vale a dire alla "liberazione da tutto ciò che opprime l'uomo" e allo "sviluppo di tutto l'uomo e di tutti gli uomini". La dottrina sociale traccia le vie da percorrere verso una società riconciliata ed armonizzata nella giustizia e nell'amore, anticipatrice nella storia, in modo incoativo e prefigurativo, di "nuovi cieli e… terra nuova, nei quali avrà stabile dimora la giustizia" ( 2 Pt 3,13 ). Un messaggio per i figli della Chiesa e per l'umanità 83 Prima destinatario della dottrina sociale è la comunità ecclesiale in tutti i suoi membri, perché tutti hanno responsabilità sociali da assumere. La coscienza è interpellata dall'insegnamento sociale per riconoscere e adempiere i doveri di giustizia e di carità nella vita sociale. Tale insegnamento è luce di verità morale, che suscita appropriate risposte secondo la vocazione e il ministero di ciascun cristiano. Nei compiti di evangelizzazione, vale a dire di insegnamento, di catechesi e di formazione, che la dottrina sociale della Chiesa suscita, essa è destinata ad ogni cristiano, secondo le competenze, i carismi, gli uffici e la missione di annuncio propri di ciascuno. La dottrina sociale implica altresì responsabilità relative alla costruzione, all'organizzazione e al funzionamento della società: obblighi politici, economici, amministrativi, vale a dire di natura secolare, che appartengono ai fedeli laici, non ai sacerdoti e ai religiosi. Tali responsabilità competono ai laici in modo peculiare, in ragione della condizione secolare del loro stato di vita e dell'indole secolare della loro vocazione: mediante tali responsabilità, i laici mettono in opera l'insegnamento sociale e adempiono la missione secolare della Chiesa. 84 Oltre la destinazione, primaria e specifica, ai figli della Chiesa, la dottrina sociale ha una destinazione universale. La luce del Vangelo, che la dottrina sociale riverbera sulla società, illumina tutti gli uomini, ed ogni coscienza e intelligenza sono in grado di cogliere la profondità umana dei significati e dei valori da essa espressi e la carica di umanità e di umanizzazione delle sue norme d'azione. Sicché tutti, in nome dell'uomo, della sua dignità una e unica e della sua tutela e promozione nella società, .tutti, in nome dell'unico Dio, Creatore e fine ultimo dell'uomo, sono destinatari della dottrina sociale della Chiesa. La dottrina sociale è un insegnamento espressamente rivolto a tutti gli uomini di buona volontà e, infatti, è ascoltato dai mèmbri delle altre Chiese e Comunità Ecclesiali, dai seguaci di altre tradizioni religiose e da persone che non fanno parte di alcun gruppo religioso. Nel segno della continuità e del rinnovamento 85 Orientata dalla luce perenne del Vangelo e costantemente attenta all'evoluzione della società, la dottrina sociale è caratterizzata da continuità e da rinnovamento. Essa manifesta anzitutto la continuità di un insegnamento che si richiama ai valori universali che derivano dalla Rivelazione e dalla natura umana. Per tale motivo la dottrina sociale non dipende dalle diverse culture, dalle differenti ideologie, dalle varie opinioni: essa è un insegnamento costante, che " si mantiene identico nella sua ispirazione di fondo, nei suoi "principi di riflessione", nei suoi "criteri di giudizio", nelle sue basilari "direttrici di azione" e, soprattutto, nel suo vitale collegamento col Vangelo del Signore". In questo suo nucleo portante e permanente la dottrina sociale della Chiesa attraversa la storia senza subirne i condizionamenti e non corre il rischio del dissolvimento. D'altra parte, nel suo costante volgersi alla storia lasciandosi interpellare dagli eventi che in essa si producono, la dottrina sociale della Chiesa manifesta una capacità di continuo rinnovamento. La fermezza nei principi non ne fa un sistema d'insegnamenti rigido, ma un Magistero in grado di aprirsi alle cose nuove, senza snaturarsi in esse: un insegnamento "soggetto ai necessari e opportuni adattamenti suggeriti dal variare delle situazioni storiche e dall'incessante fluire degli avvenimenti, in cui si muove la vita degli uomini e delle società". 86 La dottrina sociale si presenta come un "cantiere" sempre aperto, in cui la verità perenne penetra e permea la novità contingente, tracciando vie di giustizia e di pace. La fede non presume d'imprigionare in uno schema chiuso la mutevole realtà socio-politica. E vero piuttosto il contrario: la fede è fermento di novità e creatività. L'insegnamento che da essa prende continuamente avvio "si sviluppa attraverso una riflessione a contatto delle situazioni mutevoli di questo mondo, sotto l'impulso del Vangelo come fonte di rinnovamento". Madre e Maestra, la Chiesa non si chiude e non si ritrae in se stessa, ma è sempre esposta, protesa e rivolta verso l'uomo, il cui destino di salvezza è la propria ragion d'essere. Essa è tra gli uomini l'icona vivente del Buon Pastore, che va a cercare e a trovare l'uomo là dov'egli è, nella condizione esistenziale e storica del suo vissuto. Qui la Chiesa gli si fa incontro con il Vangelo, messaggio di liberazione e di riconciliazione, di giustizia e di pace. L'avvio di un nuovo cammino 87 La locuzione dottrina sociale risale a Pio XI e designa il " corpus" dottrinale riguardante temi di rilevanza sociale che, a partire dall'enciclica " Rerum novarum " di Leone XIII, si è sviluppato nella Chiesa attraverso il Magistero dei Romani Pontefici e dei Vescovi in comunione con essi. La sollecitudine sociale non ha avuto certamente inizio con tale documento, perché la Chiesa non si è mai disinteressata della società; nondimeno, l'enciclica " Rerum novarum " da l'avvio ad un nuovo cammino: innestandosi su una tradizione plurisecolare, essa segna un nuovo inizio e un sostanziale sviluppo dell'insegnamento in campo sociale. Nella sua continua attenzione per l'uomo nella società, la Chiesa ha accumulato così un ricco patrimonio dottrinale. Esso ha le sue radici nella Sacra Scrittura, specialmente nel Vangelo e negli scritti apostolici, ed ha preso forma e corpo a partire dai Padri della Chiesa e dai grandi Dottori del Medio Evo, costituendo una dottrina in cui, pur senza espliciti e diretti interventi a livello magisteriale, la Chiesa si è via via riconosciuta. 88 Gli eventi di natura economica che si produssero nel XIX secolo ebbero conseguenze sociali, politiche e culturali dirompenti. Gli avvenimenti collegati alla rivoluzione industriale sovvertirono secolari assetti sociali, sollevando gravi problemi di giustizia e ponendo la prima grande questione sociale, la questione operaia, suscitata dal conflitto tra capitale e lavoro. In tale quadro la Chiesa avvertì la necessità di dover intervenire in modo nuovo: le "res novae", costituite da quegli eventi, rappresentavano una sfida al suo insegnamento e motivavano una speciale sollecitudine pastorale verso larghe masse di uomini e di donne. Occorreva un rinnovato discernimento della situazione, in grado di delineare soluzioni appropriate a problemi inconsueti e inesplorati. Dalla "Rerum novarum" ai nostri giorni 89 In risposta alla prima grande questione sociale, Leone XIII promulga la prima enciclica sociale, la " Rerum novarum ". Essa prende in esame la condizione dei lavoratori salariati, particolarmente penosa per gli operai delle industrie, afflitti da un'indegna miseria. La questione operaia viene trattata secondo la sua reale ampiezza: essa è esplorata in tutte le sue articolazioni sociali e politiche, per essere adeguatamente valutata alla luce dei principi dottrinali fondati sulla Rivelazione, sulla legge e sulla morale naturale. La " Rerum novarum " elenca gli errori che provocano il male sociale, esclude il socialismo come rimedio ed espone, precisandola e attualizzandola, " la dottrina cattolica sul lavoro, sul diritto di proprietà, sul principio di collaborazione contrapposto alla lotta di classe come mezzo fondamentale per il cambiamento sociale, sul diritto dei deboli, sulla dignità dei poveri e sugli obblighi dei ricchi, sul perfezionamento della giustizia mediante la carità, sul diritto ad avere associazioni professionali". La "Rerum novarum" è diventata il documento ispirativo e di riferimento dell'attività cristiana in campo sociale. Il tema centrale dell'Enciclica è quello dell'instaurazione di un ordine sociale giusto, in vista del quale è doveroso individuare dei criteri di giudizio che aiutino a valutare gli ordinamenti socio-politici esistenti e a prospettare linee d'azione per una loro opportuna trasformazione. 90 La "Rerum novarum" ha affrontato la questione operaia con un metodo che diventerà "un paradigma permanente" per gli sviluppi successivi della dottrina sociale. I principi affermati da Leone XIII saranno ripresi e approfonditi dalle encicliche sociali successive. Tutta la dottrina sociale potrebbe essere intesa come un'attualizzazione, un approfondimento ed un'espansione del nucleo originario di principi esposti nella "Rerum novarum". Con questo testo, coraggioso e lungimirante, Leone XIII " conferì alla Chiesa quasi uno "statuto di cittadinanza" nelle mutevoli realtà della vita pubblica " e " scrisse una parola decisiva ", che divenne " un elemento permanente della dottrina sociale della Chiesa", affermando che i gravi problemi sociali "potevano essere risolti soltanto mediante la collaborazione tra tutte le forze" e aggiungendo anche: "Quanto alla Chiesa, essa non lascerà mai mancare in nessun modo l'opera sua". 91 All'inizio degli anni Trenta, a ridosso della grave crisi economica del 1929, Pio XI pubblica l'enciclica " Quadragesima anno", commemorativa dei quarant'anni della " Rerum novarum ". Il Papa rilegge il passato alla luce di una situazione economico-sociale in cui all'industrializzazione si era aggiunta l'espansione del potere dei gruppi finanziari, in ambito nazionale ed internazionale. Era il periodo post-bellico, in cui si andavano affermando in Europa i regimi totalitari, mentre si inaspriva la lotta di classe. L'Enciclica ammonisce sul mancato rispetto della libertà di associazione e ribadisce i principi di solidarietà e di collaborazione per superare le antinomie sociali. I rapporti tra capitale e lavoro devono essere all'insegna della cooperazione. La " Quadragesima anno " ribadisce il principio che il salario deve essere proporzionato non solo alle necessità del lavoratore, ma anche a quelle della sua famiglia. Lo Stato, nei rapporti col settore privato, deve applicare il principio di sussidiartela, principio che diverrà un elemento permanente della dottrina sociale. L'Enciclica rifiuta il liberalismo inteso come illimitata concorrenza delle forze economiche, ma riconferma il valore della proprietà privata, richiamandone la funzione sociale. In una società da ricostruire fin dalle basi economiche, che diventa essa stessa e tutta intera " la questione " da affrontare, " Pio XI sentì il dovere e la responsabilità di promuovere una maggiore conoscenza, una più esatta interpretazione e una urgente applicazione della legge morale regolativa dei rapporti umani…, allo scopo di superare il conflitto delle classi e di arrivare a un nuovo ordine sociale basato sulla giustizia e sulla carità". 92 Pio XI non mancò di far sentire la sua voce contro i regimi totalitari che durante il suo pontificato si affermarono in Europa. Già il 29 giugno 1931 aveva protestato contro le sopraffazioni del regime fascista in Italia con l'enciclica "Non abbiamo bisogno" Nel 1937 pubblicò l'enciclica "Mit brennender Sorge", sulla situazione della Chiesa Cattolica nel Reich germanico. Il testo della "Mit brennender Sorge" fu letto dal pulpito di tutte le chiese cattoliche in Germania, dopo essere stato diffuso nella massima segretezza. L'Enciclica giungeva dopo anni di soprusi e di violenze ed era stata espressamente richiesta a Pio XI dai Vescovi tedeschi, in seguito alle misure sempre più coercitive e repressive adottate dal Reich nel 1936, in particolare nei confronti dei giovani, obbligati ad iscriversi alla "Gioventù hitleriana". Il Papa si rivolge ai sacerdoti e ai religiosi, ai fedeli laici, per incoraggiarli e chiamarli alla resistenza, fino a quando una vera pace tra la Chiesa e lo Stato non sia ristabilita. Nel 1938, davanti al diffondersi dell'antisemitismo, Pio XI affermò: " Siamo spiritualmente semiti". Con l'enciclica "Divini Redemptoris", sul comunismo ateo e sulla dottrina sociale cristiana, Pio XI criticò in modo sistematico il comunismo, definito "intrinsecamente perverso", e indicò come mezzi principali per porre rimedio ai mali da esso prodotti, il rinnovamento della vita cristiana, l'esercizio della carità evangelica, l'adempimento dei doveri di giustizia a livello interpersonale e sociale in ordine al bene comune, l'istituzionalizzazione di corpi professionali e inter-professionali. 93 I Radiomessaggi natalizi di Pio XII, insieme ad altri importanti interventi in materia sociale, approfondiscono la riflessione magisteriale su un nuovo ordine sociale, governato dalla morale e dal diritto e centrato sulla giustizia e sulla pace. Durante il suo pontificato, Pio XII attraversò gli anni terribili della Seconda Guerra Mondiale e quelli difficili della ricostruzione. Egli non pubblicò encicliche sociali, tuttavia manifestò costantemente, in numerosissimi contesti, la sua preoccupazione per l'ordine internazionale sconvolto: " Negli anni della guerra e del dopoguerra, il Magistero sociale di Pio XII rappresentò per molti popoli di tutti i continenti e per milioni di credenti e di non credenti la voce della coscienza universale, interpretata e proclamata in intima connessione con la Parola di Dio. Con la sua autorità morale e il suo prestigio, Pio XII portò la luce della sapienza cristiana a innumerevoli uomini di ogni categoria e livello sociale". Una delle caratteristiche degli interventi di Pio XII sta nel rilievo dato al rapporto tra morale e diritto. Il Papa insiste sulla nozione di diritto naturale, come anima dell'ordinamento che va instaurato sul piano sia nazionale sia internazionale. Un altro aspetto importante dell'insegnamento di Pio XII sta nella sua attenzione per le categorie professionali e imprenditoriali, chiamate a concorrere in special modo al raggiungimento del bene comune: "Per la sua sensibilità e intelligenza nel cogliere i "segni dei tempi", Pio XII può considerarsi il precursore immediato del Concilio Vaticano II e dell'insegnamento sociale dei Papi che gli sono succeduti". 94 Gli anni Sessanta aprono orizzonti promettenti: la ripresa dopo le devastazioni della guerra, l'inizio della decolonizzazione, i primi timidi segnali di un disgelo nei rapporti tra i due blocchi, americano e sovietico. In questo clima, il beato Giovanni XXIII legge in profondità i " segni dei tempi". La questione sociale si sta universalizzando e coinvolge tutti i Paesi: accanto alla questione operaia e alla rivoluzione industriale, si delineano i problemi dell'agricoltura, delle aree in via di sviluppo, dell'incremento demografico e quelli relativi alla necessità di una cooperazione economica mondiale. Le disuguaglianze, in precedenza avvertite all'interno delle Nazioni, appaiono a livello internazionale e fanno emergere con sempre maggiore chiarezza la situazione drammatica in cui si trova il Terzo Mondo. Giovanni XXIII, nell'enciclica "Mater et magistra", "mira ad aggiornare i documenti già conosciuti e a fare un ulteriore passo in avanti nel processo di coinvolgimento di tutta la comunità cristiana". Le parole-chiave dell'Enciclica sono comunità e socializzazione: la Chiesa è chiamata, nella verità, nella giustizia e nell'amore, a collaborare con tutti gli uomini per costruire un'autentica comunione. Per tale via la crescita economica non si limiterà a soddisfare i bisogni degli uomini, ma potrà promuovere anche la loro dignità. 95 Con l'enciclica "Pacem in terris", Giovanni XXIII mette in evidenza il tema della pace, in un'epoca segnata dalla proliferazione nucleare. La "Pacem in terris" contiene, inoltre, una prima approfondita riflessione della Chiesa sui diritti; è l'Enciclica della pace e della dignità umana. Essa prosegue e completa il discorso della "Mater et magistra" e, nella direzione indicata da Leone XIII, sottolinea l'importanza della collaborazione tra tutti: è la prima volta che un documento della Chiesa viene indirizzato anche "a tutti gli uomini di buona volontà", che vengono chiamati a un " compito immenso: il compito di ricomporre i rapporti della convivenza nella verità, nella giustizia, nell'amore, nella libertà". La "Pacem in terris" si sofferma sui pubblici poteri della comunità mondiale, chiamati ad "affrontare e risolvere i problemi a contenuto economico, sociale, politico, culturale che pone il bene comune universale". Nel decimo anniversario della "Pacem in terris", il Cardinale Maurice Roy, Presidente della Pontificia Commissione Giustizia e Pace, inviò a Paolo VI una Lettera unitamente a un Documento con una serie di riflessioni sulla capacità dell'insegnamento dell'Enciclica giovannea di illuminare i problemi nuovi connessi con la promozione della pace. 96 La Costituzione pastorale "Gaudium et spes ", del Concilio Vaticano II, costituisce una significativa risposta della Chiesa alle attese del mondo contemporaneo. In tale Costituzione, "in sintonia con il rinnovamento ecclesiologico, si riflette una nuova concezione di essere comunità dei credenti e popolo di Dio. Essa ha suscitato quindi nuovo interesse per la dottrina contenuta nei documenti precedenti circa la testimonianza e la vita dei cristiani, come vie autentiche per rendere visibile la presenza di Dio nel mondo". La "Gaudium et spes" traccia il volto di una Chiesa "intimamente solidale con il genere umano e la sua storia", che cammina con tutta l'umanità ed è soggetta insieme al mondo alla medesima sorte terrena, ma che al tempo stesso è " come fermento e quasi anima della società umana, per rinnovarla in Cristo e trasformarla in famiglia di Dio". La " Gaudium et spes " affronta organicamente i temi della cultura, della vita economico-sociale, del matrimonio e della famiglia, della comunità politica, della pace e della comunità dei popoli, alla luce della visione antropologica cristiana e della missione della Chiesa. Tutto è considerato a partire dalla persona e in direzione della persona: " la sola creatura sulla terra che Dio abbia voluto per se stessa". La società, le sue strutture e il suo sviluppo devono essere finalizzati al "perfezionamento della persona umana". Per la prima volta il Magistero della Chiesa, al suo più alto livello, si esprime in modo così ampio sui diversi aspetti temporali della vita cristiana: " Si deve riconoscere che l'attenzione data dalla Costituzione ai cambiamenti sociali, psicologici, politici, economici, morali e religiosi ha stimolato sempre più… la preoccupazione pastorale della Chiesa per i problemi degli uomini e il dialogo con il mondo". 97 Un altro documento del Concilio Vaticano II molto importante nel " corpus " della dottrina sociale della Chiesa è la dichiarazione " Dignitatìs humanae ", in cui si proclama il diritto alla libertà religiosa. Il documento tratta il tema in due capitoli. Nel primo, di carattere generale, si afferma che il diritto alla libertà religiosa si fonda sulla dignità della persona umana e che deve essere sancito come diritto civile nell'ordinamento giuridico della società. Il secondo capitolo affronta il tema alla luce della Rivelazione e ne chiarisce le implicazioni pastorali, ricordando che si tratta di un diritto riguardante non solo le singole persone, ma anche le diverse comunità. • 98 "Lo sviluppo è il nuovo nome della pace", afferma Paolo VI nell'enciclica " Populorum progressio ", che può essere considerata come un ampliamento del capitolo sulla vita economico-sociale della " Gaudium et spes", nonostante introduca alcune significative novità. In particolare, il documento traccia le coordinate di uno sviluppo integrale dell'uomo e di uno sviluppo solidale dell'umanità: " due tematiche queste che sono da considerarsi come gli assi intorno ai quali si struttura il tessuto dell'Enciclica. Volendo convincere i destinatari dell'urgenza di un'azione solidale, il Papa presenta lo sviluppo come "il passaggio da condizioni di vita meno umane a condizioni più umane" e ne specifica le caratteristiche ". Tale passaggio non è circoscritto alle dimensioni meramente economiche e tecniche, ma implica per ogni persona l'acquisizione della cultura, il rispetto della dignità degli altri, il riconoscimento "dei valori supremi, e di Dio che ne è la sorgente e il termine". Lo sviluppo a vantaggio di tutti risponde all'esigenza di una giustizia su scala mondiale che garantisca una pace planetaria e renda possibile la realizzazione di " un umanesimo plenario", governato dai valori spirituali. 99 In tale prospettiva, Paolo VI istituisce, nel 1967, la Pontificia Commissione "Iustitia et Pax", realizzando un voto dei Padri Conciliari, per i quali è " assai opportuna la creazione di qualche organismo della Chiesa universale che abbia lo scopo di sensibilizzare la comunità dei cattolici a promuovere il progresso delle regioni bisognose e la giustizia sociale tra le nazioni". Per iniziativa di Paolo VI, a cominciare dal 1968, la Chiesa celebra il primo giorno dell'anno la Giornata Mondiale della Pace. Lo stesso Pontefice da avvio alla tradizione dei Messaggi che affrontano il tema scelto per ogni Giornata Mondiale della Pace, accrescendo così il "corpus" della dottrina sociale. 100 All'inizio degli anni Settanta, in un clima turbolento di contestazione fortemente ideologica, Paolo VI riprende l'insegnamento sociale di Leone XIII e lo aggiorna, in occasione dell'ottantesimo anniversario della "Rerum novarum", con la Lettera apostolica " Octogesima adveniens". Il Papa riflette sulla società post-industriale con tutti i suoi complessi problemi, rilevando l'insufficienza delle ideologie a rispondere a tali sfide: l'urbanizzazione, la condizione giovanile, la situazione della donna, la disoccupazione, le discriminazioni, l'emigrazione, l'incremento demografico, l'influsso dei mezzi di comunicazione sociale, l'ambiente naturale. 101 Novant'anni dopo la " Rerum novarum ", Giovanni Paolo II dedica l'enciclica "Laborem exercens" al lavoro, bene fondamentale per la persona, fattore primario dell'attività economica e chiave di tutta la questione sociale. La "Laborem exercens" delinea una spiritualità e un'etica del lavoro, nel contesto di una profonda riflessione teologica e filosofica. Il lavoro non dev'essere inteso soltanto in senso oggettivo e materiale, ma bisogna tenere in debita considerazione anche la sua dimensione soggettiva, in quanto attività che esprime sempre la persona. Oltre ad essere paradigma decisivo della vita sociale, il lavoro ha tutta la dignità di un ambito in cui deve trovare realizzazione la vocazione naturale e soprannaturale della persona. 102 Con l'enciclica " Sollicitudo rei socialis ", Giovanni Paolo II commemora il ventesimo anniversario della " Populorum progressio " e affronta nuovamente il tema dello sviluppo, lungo due direttrici: " da una parte, la situazione drammatica del mondo contemporaneo, sotto il profilo dello sviluppo mancato del Terzo Mondo, e dall'altra, il senso, le condizioni e le esigenze di uno sviluppo degno dell'uomo". L'Enciclica introduce la differenza tra progresso e sviluppo e afferma che "il vero sviluppo non può limitarsi alla moltiplicazione dei beni e dei servizi, cioè a ciò che si possiede, ma deve contribuire alla pienezza dell'essere" dell'uomo. In questo modo, s'intende delineare con chiarezza la natura morale del vero sviluppo". Giovanni Paolo II, evocando il motto del pontificato di Pio XII, " Opus iustitiae pax ", la pace come frutto della giustizia, commenta: " Oggi si potrebbe dire, con la stessa esattezza e la stessa forza di ispirazione biblica ( Is 32,17; Gc 3,18 ): Opus solidaritatis pax, la pace come frutto della solidarietà". 103 Nel centesimo anniversario della " Rerum novarum ", Giovanni Paolo II promulga la sua terza enciclica sociale, la " Centesimus annus" da cui emerge la continuità dottrinale di cent'anni di Magistero sociale della Chiesa. Riprendendo uno dei principi basilari della concezione cristiana dell'organizzazione sociale e politica, che era stato il tema centrale dell'Enciclica precedente, il Papa scrive: " il principio, che oggi chiamiamo di solidarietà… è più volte enunciato da Leone XIII col nome di "amicizia"…; da Pio XI è designato col nome non meno significativo di "carità sociale", mentre Paolo VI, ampliando il concetto secondo le moderne e molteplici dimensioni della questione sociale, parlava di "civiltà dell'amore" ". Giovanni Paolo II mette in evidenza come l'insegnamento sociale della Chiesa corra lungo l'asse della reciprocità tra Dio e l'uomo: riconoscere Dio in ogni uomo e ogni uomo in Dio è la condizione di un autentico sviluppo umano. L'articolata ed approfondita analisi delle "res novae", e specialmente della grande svolta del 1989 con il crollo del sistema sovietico, contiene un apprezzamento per la democrazia e per l'economia libera, nel quadro di un'indispensabile solidarietà. Nella luce e sotto l'impulso del Vangelo 104 I documenti qui richiamati costituiscono le pietre miliari del cammino della dottrina sociale dai tempi di Leone XIII ai nostri giorni. Questa sintetica rassegna si allungherebbe di molto se si tenesse conto di tutti gli interventi motivati, oltre che da un tema specifico, " dalla preoccupazione pastorale di proporre alla comunità cristiana e a tutti gli uomini di buona volontà i principi fondamentali, i criteri universali e gli orientamenti idonei a suggerire le scelte di fondo e la prassi coerente per ogni situazione concreta". All'elaborazione e all'insegnamento della dottrina sociale, la Chiesa è stata ed è animata da intenti non teoretici, ma pastorali, quando si trova di fronte alle ripercussioni dei mutamenti sociali sui singoli esseri umani, su moltitudini di uomini e di donne, sulla loro stessa dignità, in contesti in cui " si cerca instancabilmente un ordine temporale più perfetto, senza che di pari passo avanzi il progresso spirituale". Per queste ragioni si è costituita e sviluppata la dottrina sociale, " un aggiornato "corpus" dottrinale, che si articola man mano che la Chiesa, nella pienezza della Parola rivelata da Cristo Gesù e con l'assistenza dello Spirito Santo ( Gv 14,16.26; Gv 16,13-15 ), va leggendo gli avvenimenti mentre si svolgono nel corso della storia".196 Dottrina sociale e principio personalista 105 La Chiesa vede nell'uomo, in ogni uomo, l'immagine vivente di Dio stesso; immagine che trova ed è chiamata a ritrovare sempre più profondamente piena spiegazione di sé nel mistero di Cristo. Immagine perfetta di Dio, Rivelatore di Dio all'uomo e dell'uomo a se stesso. A quest'uomo, che da Dio stesso ha ricevuto una incomparabile ed inalienabile dignità, la Chiesa si rivolge e gli rende il servizio più alto e singolare, richiamandolo costantemente alla sua altissima vocazione, perché ne sia sempre più consapevole e degno. Cristo, Figlio di Dio, "con la sua incarnazione si è unito in un certo senso ad ogni uomo "; per questo la Chiesa riconosce come suo compito fondamentale il far sì che una tale unione possa continuamente attuarsi e rinnovarsi. In Cristo Signore, la Chiesa indica e intende per prima percorrere la via dell'uomo, e invita a riconoscere in chiunque, prossimo o lontano, conosciuto o sconosciuto, e soprattutto nel povero e nel sofferente, un fratello "per il quale Cristo è morto" ( 1 Cor 8,11; Rm 14,15 ). 106 Tutta la vita sociale è espressione della sua inconfondibile protagonista: la persona umana. Di questa consapevolezza la Chiesa ha saputo più volte e in molti modi farsi interprete autorevole, riconoscendo e affermando la centralità della persona umana in ogni ambito e manifestazione della socialità: "La società umana è oggetto dell'insegnamento sociale della Chiesa, dal momento che essa non si trova ne al di fuori ne al di sopra degli uomini socialmente uniti, ma esiste esclusivamente in essi e, quindi, per essi ". Questo importante riconoscimento trova espressione nell'affermazione che " lungi dall'essere l'oggetto e un elemento passivo della vita sociale", l'uomo "ne è invece, e deve esserne e rimanerne, il soggetto, il fondamento e il fine ". Da lui pertanto ha origine la vita sociale, la quale non può rinunciare a riconoscerlo suo soggetto attivo e responsabile e a lui ogni modalità espressiva della società deve essere finalizzata. 107 L'uomo, colto nella sua concretezza storica, rappresenta il cuore e l'anima dell'insegnamento sociale cattolico. Tutta la dottrina sociale si svolge, infatti, a partire dal principio che afferma l'intangibile dignità della persona umana. Mediante le molteplici espressioni di questa consapevolezza, la Chiesa ha inteso anzitutto tutelare la dignità umana di fronte ad ogni tentativo di riproporne immagini riduttive e distorte; essa ne ha, inoltre, più volte denunciato le molte violazioni. La storia attesta che dalla trama delle relazioni sociali emergono alcune tra le più ampie possibilità di elevazione dell'uomo, ma vi si annidano anche i più esecrabili misconoscimenti della sua dignità. Creatura ad immagine di Dio 108 Il messaggio fondamentale della Sacra Scrittura annuncia che la persona umana è creatura di Dio ( Sal 139,14-18 ) e individua l'elemento che la caratterizza e contraddistingue nel suo essere ad immagine di Dio: " Dio creò l'uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò" ( Gen 1,27 ). Dio pone la creatura umana al centro e al vertice del creato: all'uomo ( in ebraico "adam" ), plasmato con la terra ( " adamah " ), Dio soffia nelle narici l'alito della vita ( Gen 2,7 ). Pertanto, " essendo ad immagine di Dio, l'individuo umano ha la dignità di persona; non è soltanto qualche cosa, ma qualcuno. E capace di conoscersi, di possedersi, di liberamente donarsi e di entrare in comunione con altre persone; è chiamato, per grazia, ad un'alleanza con il suo Creatore, a dargli una risposta di fede e di amore che nessun altro può dare in sua sostituzione". 109 La somiglianza con Dio mette in luce che l'essenza e l'esistenza dell'uomo sono costitutivamente relazionate a Dio nel modo più profondo. E una relazione che esiste per se stessa, non arriva, quindi, in un secondo tempo e non si aggiunge dall'esterno. Tutta la vita dell'uomo è una domanda e una ricerca di Dio. Questa relazione con Dio può essere ignorata oppure dimenticata o rimossa, ma non può mai essere eliminata. Fra tutte le creature del mondo visibile, infatti, soltanto l'uomo è ""capace" di Dio " ( "homo est Dei capax" ). La persona umana è un essere personale creato da Dio per la relazione con Lui, che soltanto nella relazione può vivere ed esprimersi e che tende naturalmente a Lui. 110 La relazione tra Dio e l'uomo si riflette nella dimensione relazionale e sociale della natura umana. L'uomo, infatti, non è un essere solitario, bensì "per sua intima natura è un essere sociale, e non può vivere ne esplicare le sue doti senza relazioni con gli altri". A questo riguardo risulta significativo il fatto che Dio ha creato l'essere umano come uomo e donna ( Gen 1,27 ): " Quanto mai eloquente è l'insoddisfazione di cui è preda la vita dell'uomo nell'Eden fin quando il suo unico riferimento rimane il mondo vegetale e animale ( Gen 2,20 ). Solo l'apparizione della donna, di un essere cioè che è carne dalla sua carne e osso dalle sue ossa ( Gen 2,23 ), e in cui ugualmente vive lo spirito di Dio Creatore, può soddisfare l'esigenza di dialogo inter-personale che è così vitale per l'esistenza umana. Nell'altro, uomo o donna, si riflette Dio stesso, approdo definitivo e appagante di ogni persona". 111 L'uomo e la donna hanno la stessa dignità e sono di eguale valore, non solo perché ambedue, nella loro diversità, sono immagine di Dio, ma ancor più profondamente perché è immagine di Dio il dinamismo di reciprocità che anima il noi della coppia umana. Nel rapporto di comunione reciproca, uomo e donna realizzano profondamente se stessi, ritrovandosi come persone attraverso il dono sincero di sé. Il loro patto di unione è presentato nella Sacra Scrittura come un'immagine del Patto di Dio con gli uomini ( Os 1-3; Is 54; Ef 5,21-33 ) e, al tempo stesso, come un servizio alla vita. La coppia umana può partecipare, infatti, alla creatività di Dio: " Dio li benedisse e disse loro: "Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra"" ( Gen 1,28 ). 112 L'uomo e la donna sono in relazione con gli altri innanzi tutto come affidatari della loro vita: "Domanderò conto della vita dell'uomo all'uomo, a ognuno di suo fratello " ( Gen 9,5 ), ribadisce Dio a Noè dopo il diluvio. In questa prospettiva, la relazione con Dio esige che si consideri la vita dell'uomo sacra e inviolabile. Il quinto comandamento: "Non uccidere!" ( Es 20,13; Dt 5,17 ) ha valore perché Dio solo è Signore della vita e della morte. Il rispetto dovuto all'inviolabilità e all'integrità della vita fisica ha il suo vertice nel comandamento positivo: "Amerai il tuo prossimo come tè stesso" ( Lv 19,18 ), con cui Gesù Cristo obbliga a farsi carico del prossimo ( Mt 22,37-40; Mc 12,29-31; Lc 10,27-28 ). 113 Con questa particolare vocazione alla vita, l'uomo e la donna si trovano di fronte anche a tutte le altre creature. Essi possono e devono sottoporle al loro servizio e goderne, ma la loro signoria sul mondo richiede l'esercizio della responsabilità, non è una libertà di sfruttamento arbitrario ed egoistico. Tutta la creazione, infatti, ha il valore di "cosa buona" ( Gen 1,4.10.12.18.21.25 ) davanti allo sguardo di Dio, che ne è l'autore. L'uomo deve scoprirne e rispettarne il valore: è questa una sfida meravigliosa alla sua intelligenza, la quale lo deve innalzare come un'ala verso la contemplazione della verità di tutte le creature, ossia di ciò che Dio vede di buono in esse. Il Libro della Genesi insegna, infatti, che il dominio dell'uomo sul mondo consiste nel dare un nome alle cose ( Gen 2,19-20 ): con la denominazione l'uomo deve riconoscere le cose per quello che sono e stabilire verso ciascuna di esse un rapporto di responsabilità. 114 L'uomo è in relazione anche con se stesso e può riflettere su se stesso. La Sacra Scrittura parla a questo riguardo del cuore dell'uomo. Il cuore designa appunto l'interiorità spirituale dell'uomo, ossia quanto lo distingue da ogni altra creatura: Dio " ha fatto bella ogni cosa a suo tempo, ma egli ha messo la nozione dell'eternità nel loro cuore, senza però che gli uomini possano capire l'opera compiuta da Dio dal principio alla fine" ( Qo 3,11 ). Il cuore indica, in definitiva, le facoltà spirituali proprie dell'uomo, sue prerogative in quanto creato ad immagine del suo Creatore: la ragione, il discernimento del bene e del male, la volontà libera. Quando ascolta l'aspirazione profonda del suo cuore, ogni uomo non può non fare propria la parola di verità espressa da sant'Agostino: " Tu ci hai fatti per tè, o Signore, e il nostro cuore è inquieto sino a quando non riposa in Tè ". Il dramma del peccato 115 La mirabile visione della creazione dell'uomo da parte di Dio è inscindibile dal quadro drammatico del peccato delle origini. Con un'affermazione lapidaria l'apostolo Paolo sintetizza il racconto della caduta dell'uomo contenuto nelle prime pagine della Bibbia: " a causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e con il peccato la morte" ( Rm 5,12 ). L'uomo, contro il divieto di Dio, si lascia sedurre dal serpente e allunga le mani sull'albero della vita, cadendo in balia della morte. Con questo gesto l'uomo tenta di forzare il suo limite di creatura, sfidando Dio, unico suo Signore e sorgente della vita. E un peccato di disobbedienza ( Rm 5,19 ) che divide l'uomo da Dio. Dalla Rivelazione sappiamo che Adamo, il primo uomo, trasgredendo il comandamento di Dio, perde la santità e la giustizia in cui era costituito, ricevute non soltanto per sé, ma per tutta l'umanità: "cedendo al tentatore, Adamo ed Eva commettono un peccato personale, ma questo peccato intacca la natura umana, che essi trasmettono in una condizione decaduta. Si tratta di un peccato che sarà trasmesso per propagazione a tutta l'umanità, cioè con la trasmissione di una natura umana privata della santità e della giustizia originali". 116 Alla radice delle lacerazioni personali e sociali, che offendono in varia misura il valore e la dignità della persona umana, si trova una ferita nell'intimo dell'uomo: "Alla luce della fede noi la chiamiamo il peccato: cominciando dal peccato originale, che ciascuno porta dalla nascita come un'eredità ricevuta dai progenitori, fino al peccato che ciascuno commette, abusando della propria libertà". La conseguenza del peccato, in quanto atto di separazione da Dio, è appunto l'alienazione, cioè la divisione dell'uomo non solo da Dio, ma anche da se stesso, dagli altri uomini e dal mondo circostante: "la rottura con Dio sfocia drammaticamente nella divisione tra i fratelli. Nella descrizione del "primo peccato", la rottura con Jahve spezza al tempo stesso il filo dell'amicizia che univa la famiglia umana, cosicché le pagine successive della Genesi ci mostrano l'uomo e la donna, che puntano quasi il dito accusatore l'uno contro l'altra ( Gen 3,12 ); poi il fratello che, ostile al fratello, finisce col togliergli la vita ( Gen 4,2-16 ). Secondo la narrazione dei fatti di Babele, la conseguenza del peccato è la frantumazione della famiglia umana, già cominciata col primo peccato e ora giunta all'estremo nella sua forma sociale ". Riflettendo sul mistero del peccato non si può non considerare questa tragica concatenazione di causa e di effetto. 117 IL mistero del peccato si compone di una doppia ferita, che il peccatore apre nel proprio fianco e nel rapporto col prossimo. Perciò si può parlare di peccato personale e sociale: ogni peccato è personale sotto un aspetto; sotto un altro aspetto, ogni peccato è sociale, in quanto e perché ha anche conseguenze sociali. Il peccato, in senso vero e proprio, è sempre un atto della persona, perché è un atto di libertà di un singolo uomo, e non propriamente di un gruppo o di una comunità, ma a ciascun peccato si può attribuire indiscutibilmente il carattere di peccato sociale, tenendo conto del fatto che " in virtù di una solidarietà umana tanto misteriosa e impercettibile quanto reale e concreta, il peccato di ciascuno si ripercuote in qualche modo sugli altri". Non è tuttavia legittima e accettabile un'accezione del peccato sociale che, più o meno consapevolmente, conduca a diluirne e quasi a cancellarne la componente personale, per ammettere solo colpe e responsabilità sociali. Al fondo di ogni situazione di peccato si trova sempre la persona che pecca. 118 Alcuni peccati, inoltre, costituiscono, per il loro oggetto stesso, un'aggressione diretta al prossimo. Tali peccati, in particolare, si qualificano come peccati sociali. E sociale ogni peccato commesso contro la giustizia nei rapporti tra persona e persona, tra la persona e la comunità, ancora tra la comunità e la persona. E sociale ogni peccato contro i diritti della persona umana, a cominciare dal diritto alla vita, incluso quello del nascituro, o contro l'integrità fisica di qualcuno; ogni peccato contro la libertà altrui, specialmente contro la libertà di credere in Dio e di adorarlo; ogni peccato contro la dignità e l'onore del prossimo. Sociale è ogni peccato contro il bene comune e contro le sue esigenze, in tutta l'ampia sfera dei diritti e dei doveri dei cittadini. Infine, è sociale quel peccato che "riguarda i rapporti tra le varie comunità umane. Questi rapporti non sempre sono in sintonia col disegno di Dio, che vuole nel mondo giustizia, libertà e pace tra gli individui, i gruppi, i popoli". 119 Le conseguenze del peccato alimentano le strutture di peccato. Esse si radicano nel peccato personale e, quindi, sono sempre collegate ad atti concreti delle persone, che le originano, le consolidano e le rendono difficili da rimuovere. E così esse si rafforzano, si diffondono, diventano sorgente di altri peccati e condizionano la condotta degli uomini. Si tratta di condizionamenti e ostacoli, che durano molto di più delle azioni compiute nel breve arco della vita di un individuo e che interferiscono anche nel processo dello sviluppo dei popoli, il cui ritardo o la cui lentezza vanno giudicati anche sotto questo aspetto. Le azioni e gli atteggiamenti opposti alla volontà di Dio e al bene del prossimo e le strutture che essi inducono sembrano oggi soprattutto due: " da una parte, la brama esclusiva del profitto e, dall'altra, la sete del potere col proposito di imporre agli altri la propria volontà. A ciascuno di questi atteggiamenti si può aggiungere, per caratterizzarli meglio, l'espressione: "a qualsiasi prezzo"". Universalità del peccato e universalità della salvezza 120 La dottrina del peccato originale, che insegna l'universalità del peccato, ha una fondamentale importanza: "Se diciamo che siamo senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi" ( 1 Gv 1,8 ). Questa dottrina induce l'uomo a non restare nella colpa e a non prenderla alla leggera, cercando di continuo capri espiatori negli altri uomini e giustificazioni nell'ambiente, nell'ereditarietà, nelle istituzioni, nelle strutture e nelle relazioni. Si tratta di un insegnamento che smaschera tali inganni. La dottrina dell'universalità del peccato, tuttavia, non deve essere slegata dalla consapevolezza dell'universalità della salvezza in Gesù Cristo. Se ne viene isolata, essa ingenera una falsa angoscia del peccato e una considerazione pessimistica del mondo e della vita, che induce a disprezzare le realizzazioni culturali e civili dell'uomo. 121 Il realismo cristiano vede gli abissi del peccato, ma nella luce della speranza, più grande di ogni male, donata dall'atto redentivo di Gesù Cristo, che ha distrutto il peccato e la morte ( Rm 5,18-21; 1 Cor 15,56-57 ): " In Lui Dio ha riconciliato l'uomo con Sé". Cristo, l'Immagine di Dio ( 2 Cor 4,4; Col 1,15 ), è Colui che illumina pienamente e porta a compimento l'immagine e somiglianza di Dio nell'uomo. La Parola che si fece uomo in Gesù Cristo è da sempre la vita e la luce dell'uomo, luce che illumina ogni uomo ( Gv 1,4.9 ). Dio vuole nell'unico mediatore Gesù Cristo, Suo Figlio, la salvezza di tutti gli uomini ( 1 Tm 2,4-5 ). Gesù è al tempo stesso il Figlio di Dio e il nuovo Adamo, ossia il nuovo uomo ( 1 Cor 15,47-49; Rm 5,14 ): "Con la rivelazione del mistero del Padre e del suo amore Cristo, nuovo Adamo, manifesta pienamente l'uomo all'uomo e gli svela la sua altissima vocazione ". In Lui noi siamo da Dio " predestinati ad essere conformi all'immagine del Figlio suo, perché egli sia il primogenito tra molti fratelli" ( Rm 8,29 ). 122 La realtà nuova che Gesù Cristo dona non s'innesta nella natura umana, non le si aggiunge dall'esterno, è invece quella realtà di comunione con il Dio trinitario verso la quale gli uomini sono da sempre orientali nel profondo del loro essere, grazie alla loro creaturale similitudine con Dio; ma si tratta anche di una realtà che essi non possono raggiungere con le loro sole forze. Mediante lo Spirito di Gesù Cristo, Figlio incarnato di Dio, nel quale tale realtà di comunione è già realizzata in modo singolare, gli uomini vengono accolti come figli di Dio ( Rm 8,14-17; Gal 4,4-7 ). Per mezzo di Cristo, partecipiamo alla natura di Dio, che ci dona infinitamente di più "di quanto possiamo domandare o pensare" ( Ef 3,20 ). Ciò che gli uomini hanno già ricevuto non è che un pegno o una "caparra" ( 2 Cor 1,22; Ef 1,14 ) di ciò che otterranno completamente soltanto davanti a Dio, visto "a faccia a faccia" ( 1 Cor 13,12 ), ossia una caparra della vita eterna: " Questa è la vita eterna: che conoscano tè, l'unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo" ( Gv 17,3 ). 123 L'universalità della speranza cristiana include, oltre agli uomini e alle donne di tutti i popoli, anche il ciclo e la terra: " Stillate, cieli, dall'alto e le nubi facciano piovere la giustizia; si apra la terra e produca la salvezza e germogli insieme la giustizia. Io, il Signore, ho creato tutto questo" ( Is 45,8 ). Secondo il Nuovo Testamento anche la creazione intera, infatti, insieme con tutta l'umanità, è in attesa del Redentore: sottoposta alla caducità, si protende piena di speranza, tra i gemiti e i dolori del parto, attendendo di essere liberata dalla corruzione ( Rm 8,18-22 ). La persona umana e i suoi molti profili 124 Facendo tesoro del mirabile messaggio biblico, la dottrina sociale della Chiesa si sofferma anzitutto sulle principali ed inscindibili dimensioni della persona umana, così da cogliere le più rilevanti sfaccettature del suo mistero e della sua dignità. Non sono infatti mancate in passato, e si affacciano ancora drammaticamente sullo scenario della storia attuale, molteplici concezioni riduttive, di carattere ideologico o dovute semplicemente a forme diffuse del costume e del pensiero, riguardanti la considerazione dell'uomo, della sua vita e dei suoi destini, accomunate dal tentativo di offuscarne l'immagine mediante la sottolineatura di una sola delle sue caratteristiche, a scapito di tutte le altre. 125 La persona non può mai essere pensata unicamente come assoluta individualità, edificata da se stessa e su se stessa, quasi che le sue caratteristiche proprie non dipendessero da altri che da sé. Ne può essere pensata come pura cellula di un organismo disposto a riconoscerle, tutt'al più, un ruolo funzionale all'interno di un sistema. Le concezioni riduttive della piena verità dell'uomo sono state già più volte oggetto della sollecitudine sociale della Chiesa, che non ha mancato di levare la sua voce nei confronti di queste come di altre prospettive, drasticamente riduttive, preoccupandosi di annunciare invece "che gli individui non ci appaiono slegati tra loro quali granelli di sabbia; ma bensì uniti in organiche, armoniche e mutue relazioni " e che l'uomo non può essere inteso come "un semplice elemento e una molecola dell'organismo sociale", curando quindi che all'affermazione del primato della persona non corrispondesse una visione individualistica o massificata. 126 La fede cristiana, mentre invita a ricercare ovunque ciò che è buono e degno dell'uomo ( 1 Ts 5,21 ), " si pone al di sopra e talvolta all'opposto delle ideologie in quanto riconosce Dio, trascendente e Creatore, che interpella, a tutti i livelli della creazione, l'uomo quale essere responsabilmente libero ". La dottrina sociale si fa carico delle differenti dimensioni del mistero dell'uomo, che richiede di essere accostato "nella piena verità della sua esistenza, del suo essere personale ed insieme del suo essere comunitario e sociale ", con un'attenzione specifica, così da consentirne la valutazione più puntuale. L'unità della persona 127 L'uomo è stato creato da Dio come unità di anima e corpo: " L'anima spirituale e immortale è il principio di unità dell'essere umano, è ciò per cui esso esiste come un tutto - "corpore et anima unus" - in quanto persona. Queste definizioni non indicano solo che anche il corpo, al quale è promessa la risurrezione, sarà partecipe della gloria; esse ricordano altresì il legame della ragione e della libera volontà con tutte le facoltà corporee e sensibili. La persona, incluso il corpo, è affidata interamente a se stessa, ed è nell'unità dell'anima e del corpo che essa è il soggetto dei propri atti morali". 128 Mediante la sua corporeità l'uomo unifica in sé gli elementi del mondo materiale, che " in lui toccano il loro vertice ed alzano la voce per la libera lode del Creatore". Questa dimensione permette all'uomo di inserirsi nel mondo materiale, luogo della sua realizzazione e della sua libertà, non come in una prigione o in un esilio. Non è lecito disprezzare la vita corporale; l'uomo, anzi, " è tenuto a considerare buono e degno d'onore il proprio corpo, perché creato da Dio e destinato alla risurrezione nell'ultimo giorno". La dimensione corporale, tuttavia, in seguito alla ferita del peccato, fa sperimentare all'uomo le ribellioni del corpo e le perverse inclinazioni del cuore, su cui egli deve sempre vigilare per non rimanerne schiavo e per non restare vittima d'una visione puramente terrena della sua vita. Con la sua spiritualità l'uomo supera la totalità delle cose e penetra nella struttura più profonda della realtà. Quando si volge al cuore, quando, cioè, riflette sul proprio destino, l'uomo si scopre superiore al mondo materiale, per la sua dignità unica di interlocutore di Dio, sotto il cui sguardo decide della sua vita. Egli, nella sua vita inferiore, riconosce di avere " in se stesso un'anima spirituale e immortale" e sa di non essere soltanto "una particella della natura o un elemento anonimo della città umana". 129 L'uomo, quindi, ha due caratteristiche diverse: è un essere materiale, legato a questo mondo mediante il suo corpo, e un essere spirituale, aperto alla trascendenza e alla scoperta di " una verità più profonda ", a motivo della sua intelligenza, con cui partecipa " della luce della mente divina ". La Chiesa afferma: " L'unità dell'anima e del corpo è così profonda che si deve considerare l'anima come la "forma" del corpo; ciò significa che grazie all'anima spirituale il corpo, composto di materia, è un corpo umano e vivente; lo spirito e la materia, nell'uomo, non sono due nature congiunte, ma la loro unione forma un'unica natura ". Ne lo spiritualismo, che disprezza la realtà del corpo, ne il materialismo, che considera lo spirito mera manifestazione della materia, rendono ragione della complessità, della totalità e dell'unità dell'essere umano. Aperta alla trascendenza 130 Alla persona umana appartiene l'apertura alla trascendenza: l'uomo è aperto verso l'infinito e verso tutti gli esseri creati. E aperto anzitutto verso l'infinito, cioè Dio, perché con la sua intelligenza e la sua volontà si eleva al di sopra di tutto il creato e di se stesso, si rende indipendente dalle creature, è libero di fronte a tutte le cose create e si protende verso la verità ed il bene assoluti. E aperto anche verso l'altro, gli altri uomini e il mondo, perché solo in quanto si comprende in riferimento a un tu può dire io. Esce da sé, dalla conservazione egoistica della propria vita, per entrare in una relazione di dialogo e di comunione con l'altro. La persona è aperta alla totalità dell'essere, all'orizzonte illimitato dell'essere. Essa ha in sé la capacità di trascendere i singoli oggetti particolari che conosce, in effetti, grazie a questa sua apertura all'essere senza confini. L'anima umana è in un certo senso, per la sua dimensione conoscitiva, tutte le cose: " tutte le cose immateriali godono di una certa infinità, in quanto abbracciano tutto, o perché si tratta dell'essenza di una realtà spirituale che funge da modello e somiglianza di tutto, come è nel caso di Dio, oppure perché possiede la somiglianza d'ogni cosa o in atto come negli Angeli oppure in potenza come nelle anime ". Unica e irripetibile 131 L'uomo esiste come essere unico e irripetibile, esiste come un "io", capace di autocomprendersi, di autopossedersi, di autodeterminarsi. La persona umana è un essere intelligente e cosciente, capace di riflettere su se stesso e quindi di aver coscienza di sé e dei propri atti. Non sono, tuttavia, l'intelligenza, la coscienza e la libertà a definire la persona, ma è la persona che sta alla base degli atti di intelligenza, di coscienza, di libertà. Tali atti possono anche mancare, senza che per questo l'uomo cessi di essere persona. La persona umana va sempre compresa nella sua irripetibile ed ineliminabile singolarità. L'uomo esiste, infatti, anzitutto come soggettività, come centro di coscienza e di libertà, la cui vicenda unica e non paragonabile ad alcun'altra esprime la sua irriducibilità a qualunque tentativo di costringerlo entro schemi di pensiero o sistemi di potere, ideologici o meno. Questo impone anzitutto l'esigenza non soltanto del semplice rispetto da parte di chiunque, e specialmente delle istituzioni politiche e sociali e dei loro responsabili nei riguardi di ciascun uomo di questa terra, ma ben più, ciò comporta che il primo impegno di ciascuno verso l'altro e soprattutto di queste stesse istituzioni, vada posto precisamente nella promozione dello sviluppo integrale della persona. Il rispetto della dignità umana 132 Una società giusta può essere realizzata soltanto nel rispetto della dignità trascendente della persona umana. Essa rappresenta il fine ultimo della società, la quale è adesso ordinata: " Pertanto l'ordine sociale e il suo progresso devono sempre far prevalere il bene delle persone, perché l'ordine delle cose dev'essere adeguato all'ordine delle persone e non viceversa". Il rispetto della dignità umana non può assolutamente prescindere dal rispetto di questo principio: bisogna " considerare il prossimo, nessuno eccettuato, come un altro se stesso, tenendo conto prima di tutto della sua vita e dei mezzi necessari per viverla degnamente". Occorre che tutti i programmi sociali, scientifici e culturali, siano presieduti dalla consapevolezza del primato di ogni essere umano. 133 In nessun caso la persona umana può essere strumentalizzata per fini estranei al suo stesso sviluppo, che può trovare compimento pieno e definitivo soltanto in Dio e nel Suo progetto salvifico: l'uomo, infatti, nella sua interiorità, trascende l'universo ed è l'unica creatura ad essere stata voluta da Dio per se stessa. Per questa ragione ne la sua vita, ne lo sviluppo del suo pensiero, ne i suoi beni, ne quanti condividono la sua vicenda personale e familiare, possono essere sottoposti a ingiuste restrizioni nell'esercizio dei propri diritti e della propria libertà. La persona non può essere finalizzata a progetti di carattere economico, sociale e politico imposti da qualsivoglia autorità, sia pure in nome di presunti progressi della comunità civile nel suo insieme o di altre persone, nel presente o nel futuro. E necessario pertanto che le autorità pubbliche vigilino con attenzione, affinché ogni restrizione della libertà o comunque ogni onere imposto all'agire personale non sia mai lesivo della dignità personale e affinché venga garantita l'effettiva praticabilità dei diritti umani. Tutto questo, ancora una volta, si fonda sulla visione dell'uomo come persona, vale a dire come soggetto attivo e responsabile del proprio processo di crescita, insieme alla comunità di cui è parte. 134 Gli autentici mutamenti sociali sono effettivi e duraturi soltanto se fondati su decisi cambiamenti della condotta personale. Non sarà mai possibile un'autentica moralizzazione della vita sociale, se non a partire dalle persone e facendo riferimento ad esse: infatti, " l'esercizio della vita morale attesta la dignità della persona". Alle persone compete evidentemente lo sviluppo di quegli atteggiamenti morali, fondamentali in ogni convivenza che voglia dirsi veramente umana ( giustizia, onestà, veracità, ecc. ), che in nessun modo potrà essere semplicemente attesa da altri o delegata alle istituzioni. A tutti, e in modo particolare a coloro che in varia forma detengono responsabilità politiche, giuridiche o professionali nei riguardi di altri, spetta di essere coscienza vigile della società e per primi testimoni di una convivenza civile e degna dell'uomo. Valore e limiti della libertà 135 L'uomo può volgersi al bene soltanto nella libertà, che Dio gli ha dato come segno altissimo della Sua immagine: " Dio ha voluto lasciare l'uomo in balia del suo proprio volere ( Sir 15,14 ), perché cercasse spontaneamente il suo Creatore ed aderendo a lui pervenisse liberamente alla piena e beata perfezione. Perciò la dignità dell'uomo richiede che egli agisca secondo una scelta consapevole e libera, cioè mosso e indotto personalmente dal di dentro, e non per un cieco impulso interno o per mera coazione esterna ". L'uomo giustamente apprezza la libertà e con passione la cerca: giustamente vuole, e deve, formare e guidare, di sua libera iniziativa, la sua vita personale e sociale, assumendosene personalmente la responsabilità. La libertà, infatti, non solo permette all'uomo di mutare convenientemente lo stato di cose a lui esterno, ma determina la crescita del suo essere persona, mediante scelte conformi al vero bene: in tal modo, l'uomo genera se stesso, è padre del proprio essere, costruisce l'ordine sociale. 136 La libertà non è in opposizione alla dipendenza creaturale dell'uomo da Dio. La Rivelazione insegna che il potere di determinare il bene e il male non appartiene all'uomo, ma a Dio solo ( Gen 2,16-17 ): " L'uomo è certamente libero, dal momento che può comprendere ed accogliere i comandi di Dio. Ed è in possesso di una libertà quanto mai ampia, perché può mangiare "di tutti gli alberi del giardino". Ma questa libertà non è illimitata: deve arrestarsi di fronte all'albero della conoscenza del bene e del male", essendo chiamata ad accettare la legge morale che Dio da all'uomo. In realtà, proprio in questa accettazione la libertà dell'uomo trova la sua vera e piena realizzazione ". 137 Il retto esercizio della libertà personale esige precise condizioni di ordine economico, sociale, giuridico, politico e culturale che " troppo spesso sono misconosciute e violate, …situazioni di accecamento e di ingiustizia gravano sulla vita morale ed inducono tanto i forti quanto i deboli nella tentazione di peccare contro la carità. Allontanandosi dalla legge morale, l'uomo attenta alla propria libertà, si fa schiavo di se stesso, spezza la fraternità coi suoi simili e si ribella contro la volontà divina". La liberazione dalle ingiustizie promuove la libertà e la dignità umana: tuttavia "occorre, anzitutto, fare appello alle capacità spirituali e morali della persona e all'esigenza permanente della conversione interiore, se si vogliono ottenere cambiamenti economici e sociali che siano veramente a servizio dell'uomo ". Il vincolo della libertà con la verità e la legge naturale 138 Nell' esercizio della libertà, l'uomo compie atti moralmente buoni, costruttivi della sua persona e della società, quando obbedisce alla verità, ossia quando non pretende di essere creatore e padrone assoluto di quest'ultima e delle norme etiche. La libertà, infatti, " non ha il suo punto di partenza assoluto e incondizionato in se stessa, ma nell'esistenza dentro cui si trova e che rappresenta per essa, nello stesso tempo, un limite e una possibilità. E la libertà di una creatura, ossia una libertà donata, da accogliere come un germe e da far maturare con responsabilità". In caso contrario, muore come libertà, distrugge l'uomo e la società. 139 La verità circa il bene e il male è riconosciuta praticamente e concretamente dal giudizio della coscienza, il quale porta ad assumere la responsabilità del bene compiuto e del male commesso: " Così nel giudizio pratico della coscienza, che impone alla persona l'obbligo di compiere un determinato atto, si rivela il vincolo della libertà con la verità. Proprio per questo la coscienza si esprime con atti di "giudizio" che riflettono la verità sul bene, e non come "decisioni" arbitrarie. E la maturità e la responsabilità di questi giudizi - e, in definitiva, dell'uomo, che ne è il soggetto - si misurano non con la liberazione della coscienza dalla verità oggettiva, in favore di una presunta autonomia delle proprie decisioni, ma, al contrario, con una pressante ricerca della verità e con il farsi guidare da essa nell'agire ". 140 L'esercizio della libertà implica il riferimento ad una legge morale naturale, di carattere universale, che precede e accomuna tutti i diritti e i doveri. La legge naturale " altro non è che la luce dell'intelligenza infusa in noi da Dio. Grazie ad essa conosciamo ciò che si deve compiere e ciò che si deve evitare. Questa luce o questa legge Dio l'ha donata alla creazione" e consiste nella partecipazione alla Sua legge eterna, la quale s'identifica con Dio stesso. Questa legge è chiamata naturale perché la ragione che la promulga è propria della natura umana. Essa è universale, si estende a tutti gli uomini in quanto stabilita dalla ragione. Nei suoi precetti principali, la legge divina e naturale è esposta nel Decalogo ed indica le norme prime ed essenziali che regolano la vita morale. Essa ha come perno l'aspirazione e la sottomissione a Dio, fonte e giudice di ogni bene, e altresì il senso dell'altro come uguale a noi stessi. La legge naturale esprime la dignità della persona e pone la base dei suoi diritti e dei suoi doveri fondamentali. 141 Nella diversità delle culture, la legge naturale lega gli uomini tra loro, imponendo dei principi comuni. Per quanto la sua applicazione richieda adattamenti alla molteplicità delle condizioni di vita, secondo i luoghi, le epoche e le circostanze, essa è immutabile, "rimane sotto l'evolversi delle idee e dei costumi e ne sostiene il progresso… Anche se si arriva a negare i suoi principi, non la si può però distruggere, ne strappare dal cuore dell'uomo. Sempre risorge nella vita degli individui e delle società". I suoi precetti, tuttavia, non sono percepiti da tutti con chiarezza ed immediatezza. Le verità religiose e morali possono essere conosciute " da tutti e senza difficoltà, con ferma certezza e senza alcuna mescolanza di errore", solo con l'aiuto della Grazia e della Rivelazione. La legge naturale offre un fondamento preparato da Dio alla legge rivelata e alla Grazia, in piena armonia con l'opera dello Spirito. 142 La legge naturale, che è legge di Dio, non può essere cancellata dalla malvagità umana. Essa pone il fondamento morale indispensabile per edificare la comunità degli uomini e per elaborare la legge civile, che trae le conseguenze di natura concreta e contingente dai principi della legge naturale. Se si oscura la percezione dell'universalità della legge morale naturale, non si può edificare una reale e duratura comunione con l'altro, perché, quando manca una convergenza verso la verità e il bene, "in maniera imputabile o no, i nostri atti feriscono la comunione delle persone, con pregiudizio di ciascuno". Solo una libertà radicata nella comune natura, infatti, può rendere tutti gli uomini responsabili ed è in grado di giustificare la morale pubblica. Chi si autoproclama misura unica delle cose e della verità non può convivere pacificamente e collaborare con i propri simili. 143 La libertà è misteriosamente inclinata a tradire l'apertura alla verità e al bene umano e troppo spesso preferisce il male e la chiusura egoistica, elevandosi a divinità creatrice del bene e del male: " Costituito da Dio nella giustizia, l'uomo, tentato dal Maligno, fin dall'inizio della storia abusò della sua libertà, erigendosi contro Dio e mirando a raggiungere il suo fine al di fuori di Dio. … Rifiutando spesso di riconoscere Dio come suo principio, l'uomo ha anche sconvolto il giusto ordine riguardante il suo ultimo fine, e al tempo stesso tutto il suo orientamento sia verso se stesso, sia verso gli altri uomini e tutte le cose create ". La libertà dell'uomo ha bisogno, pertanto, di essere liberata. Cristo, con la forza del Suo mistero pasquale, libera l'uomo dall'amore disordinato di se stesso, che è fonte del disprezzo del prossimo e dei rapporti improntati al dominio sull'altro; Egli rivela che la libertà si realizza nel dono di sé. Con il Suo sacrificio sulla croce. Gesù reintroduce ogni uomo nella comunione con Dio e con i propri simili. L'uguaglianza in dignità di tutte le persone 144 " Dio non fa preferenze di persone " ( At 10,34; Rm 2,11; Gal 2,6; Ef 6,9 ), poiché tutti gli uomini hanno la stessa dignità di creature a Sua immagine e somiglianzà. L'Incarnazione del Figlio di Dio manifesta l'uguaglianza di tutte le persone quanto a dignità: "Non c'è più giudeo ne greco; non c'è più schiavo ne libero; non c'è più uomo ne donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù" ( Gal 3,28; Rm 10,12; 1 Cor 12,13; Col 3,11 ). Poiché sul volto di ogni uomo risplende qualcosa della gloria di Dio, la dignità di ogni uomo davanti a Dio sta a fondamento della dignità dell'uomo davanti agli altri uomini. Questo è, inoltre, il fondamento ultimo della radicale uguaglianza e fraternità fra gli uomini, indipendentemente dalla loro razza, Nazione, sesso, origine, cultura, classe. 145 Solo il riconoscimento della dignità umana può rendere possibile la crescita comune e personale di tutti ( Gc 2,1-9 ). Per favorire una simile crescita è necessario, in particolare, sostenere gli ultimi, assicurare effettivamente condizioni di pari opportunità tra uomo e donna, garantire un'obiettiva eguaglianza tra le diverse classi sociali davanti alla legge. Anche nei rapporti tra popoli e Stati, condizioni di equità e di parità sono il presupposto per un autentico progresso della comunità internazionale. Malgrado gli avanzamenti verso tale direzione, non bisogna dimenticare che esistono ancora molte disuguaglianze e forme di dipendenza. A un'uguaglianza nel riconoscimento della dignità di ciascun uomo e di ciascun popolo, deve corrispondere la consapevolezza che la dignità umana potrà essere custodita e promossa soltanto in forma comunitaria, da parte dell'umanità intera. Soltanto con l'azione concorde di uomini e di popoli sinceramente interessati al bene di tutti gli altri, si può raggiungere un'autentica fratellanza universale; viceversa, il permanere di condizioni di gravissima disparità e disuguaglianza impoverisce tutti. 146 Il " maschile " e il "femminile " differenziano due individui di uguale dignità, che non riflettono però un'uguaglianza statica, perché lo specifico femminile è diverso dallo specifico maschile e questa diversità nell'uguaglianza è arricchente e indispensabile per un'armoniosa convivenza umana: " La condizione per assicurare la giusta presenza della donna nella Chiesa e nella società è una considerazione più penetrante e accurata dei fondamenti antropologici della condizione maschile e femminile, destinata a precisare l'identità personale propria della donna nel suo rapporto di diversità e di reciproca complementarità con l'uomo, non solo per quanto riguarda i ruoli da tenere e le funzioni da svolgere, ma anche e più profondamente per quanto riguarda la sua struttura e il suo significato personale". 147 La donna è il complemento dell'uomo, come l'uomo è il complemento della doma: donna e uomo si completano a vicenda, non solo dal punto di vista fisico e psichico, ma anche ontologico. E soltanto grazie alla dualità del "maschile" e del "femminile" che l'" umano" si realizza appieno. E "l'unità dei due", ossia una "unidualità" relazionale, che consente a ciascuno di sentire il rapporto interpersonale e reciproco come un dono che è al tempo stesso una missione: " A questa "unità dei due" è affidata da Dio non soltanto l'opera della procreazione e la vita della famiglia, ma la costruzione stessa della storia ". " La donna è "aiuto" per l'uomo, come l'uomo è "aiuto" per la donna! ": nel loro incontro si realizza una concezione unitaria della persona umana, basata non sulla logica dell'egocentrismo e dell'autoaffermazione, ma su quella dell'amore e della solidarietà. 148 Le persone handicappate sono soggetti pienamente umani, titolari di diritti e doveri: "pur con le limitazioni e le sofferenze inscritte nel loro corpo e nelle loro facoltà, pongono in maggior rilievo la dignità e la grandezza dell'uomo". Poiché la persona portatrice di handicap è un soggetto con tutti i suoi diritti, essa deve essere aiutata a partecipare alla vita familiare e sociale in tutte le dimensioni e a tutti i livelli accessibili alle sue possibilità. Bisogna promuovere con misure efficaci ed appropriate i diritti della persona handicappata: " Sarebbe radicalmente indegno dell'uomo, e negazione della comune umanità, ammettere alla vita della società, e dunque al lavoro, solo i mèmbri pienamente funzionali perché, così facendo, si ricadrebbe in una grave forma di discriminazione, quella dei forti e dei sani contro i deboli ed i malati ". Una grande attenzione dovrà essere rivolta non solo alle condizioni di lavoro fisiche e psicologiche, alla giusta rimunerazione, alla possibilità di promozioni ed all'eliminazione dei diversi ostacoli, ma anche alle dimensioni affettive e sessuali della persona handicappata: " Anch'essa ha bisogno di amare e di essere amata, ha bisogno di tenerezza, di vicinanza, di intimità ", secondo le proprie possibilità e nel rispetto dell'ordine morale, che è lo stesso per i sani e per coloro che portano un handicap. La socialità umana 149 La persona è costitutivamente un essere sociale perché così l'ha voluta Dio che l'ha creata. La natura dell'uomo si manifesta, infatti, come natura di un essere che risponde ai propri bisogni sulla base di una soggettività relazionale, ossia alla maniera di un essere libero e responsabile, il quale riconosce la necessità di integrarsi e di collaborare con i propri simili ed è capace di comunione con loro nell'ordine della conoscenza e dell'amore: " Una società è un insieme di persone legate in modo organico da un principio di unità che supera ognuna di loro. Assemblea insieme visibile e spirituale, una società dura nel tempo: è erede del passato e prepara l'avvenire ". Occorre pertanto sottolineare che la vita comunitaria è una caratteristica naturale che distingue l'uomo dal resto delle creature terrene. L'agire sociale porta su di sé un particolare segno dell'uomo e dell'umanità, quello di una persona operante in una comunità di persone: questo segno determina la sua qualifica interiore e costituisce, in un certo senso, la stessa sua natura. Tale caratteristica relazionale acquista, alla luce della fede, un senso più profondo e stabile. Fatta a immagine e somiglianza di Dio ( Gen 1,26 ), e costituita nell'universo visibile per vivere in società ( Gen 2,20.23 ) e dominare la terra ( Gen 1,26.28-30 ), la persona umana è perciò sin dall'inizio chiamata alla vita sociale: "Dio non ha creato l'uomo come un "essere solitario", ma lo ha voluto come un "essere sociale". La vita sociale non è, dunque, estrinseca all'uomo: egli non può crescere ne realizzare la sua vocazione se non in relazione con gli altri". 150 La socialità umana non sfocia automaticamente verso la comunione delle persone, verso il dono di sé. A causa della superbia e dell'egoismo, l'uomo scopre in se stesso germi di asocialità, di chiusura individualistica e di sopraffazione dell'altro. Ogni società, degna di tal nome, può ritenersi nella verità quando ogni suo membro, grazie alla propria capacità di conoscere il bene, lo persegue per sé e per gli altri. È per amore del proprio e dell'altrui bene che ci si unisce in gruppi stabili, aventi come fine il raggiungimento di un bene comune. Anche le varie società devono entrare in relazioni di solidarietà, di comunicazione e di collaborazione, a servizio dell'uomo e del bene comune. 151 La socialità umana non è uniforme, ma assume molteplici espressioni. Il bene comune dipende, infatti, da un sano pluralismo sociale. Le molteplici società sono chiamate a costituire un tessuto unitario ed armonico, al cui interno sia possibile ad ognuna conservare e sviluppare la propria fisionomia e autonomia. Alcune società, come la famiglia, la comunità civile e la comunità religiosa sono più immediatamente rispondenti all'intima natura dell'uomo, altre procedono piuttosto dalla libera volontà: "Al fine di favorire la partecipazione del maggior numero possibile di persone alla vita sociale, si deve incoraggiare la creazione di associazioni e di istituzioni "a scopi economici, culturali, sociali, sportivi, ricreativi, professionali, politici, tanto all'interno delle comunità politiche, quanto sul piano mondiale". Tale "socializzazione" esprime parimenti la tendenza naturale che spinge gli esseri umani ad associarsi, al fine di conseguire obiettivi che superano le capacità individuali. Essa sviluppa le doti della persona, in particolare, il suo spirito di iniziativa e il suo senso di responsabilità. Concorre a tutelare i suoi diritti ". Il valore dei diritti umani 152 Il movimento verso l'identificazione e la proclamazione dei diritti dell'uomo è uno dei più rilevanti sforzi per rispondere efficacemente alle esigenze imprescindibili della dignità umana. La Chiesa coglie in tali diritti la straordinaria occasione che il nostro tempo offre affinché, mediante il loro affermarsi, la dignità umana sia più efficacemente riconosciuta e promossa universalmente quale caratteristica impressa da Dio Creatore sulla Sua creatura. Il Magistero della Chiesa non ha mancato di valutare positivamente la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, proclamata dalle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948, che Giovanni Paolo II ha definito " una vera pietra miliare sulla via del progresso morale dell'umanità ". 153 La radice dei diritti dell'uomo, infatti, è da ricercare nella dignità che appartiene ad ogni essere umano. Tale dignità, connaturale alla vita umana e uguale in ogni persona, si coglie e si comprende anzitutto con la ragione. Il fondamento naturale dei diritti appare ancora più solido se, alla luce soprannaturale, si considera che la dignità umana, dopo essere stata donata da Dio ed essere stata profondamente ferita dal peccato, fu assunta e redenta da Gesù Cristo mediante la Sua incarnazione, morte e risurrezione. La fonte ultima dei diritti umani non si situa nella mera volontà degli esseri umani, nella realtà dello Stato, nei poteri pubblici, ma nell'uomo stesso e in Dio suo Creatore. Tali diritti sono "universali, inviolabili, inalienabili". Universali, perché sono presenti in tutti gli esseri umani, senza eccezione alcuna di tempo, di luogo e di soggetti. Inviolabili, in quanto "inerenti alla persona umana e alla sua dignità" e perché "sarebbe vano proclamare i diritti, se al tempo stesso non si compisse ogni sforzo affinché sia doverosamente assicurato il loro rispetto da parte di tutti, ovunque e nei confronti di chiunque". Inalienabili, in quanto "nessuno può legittimamente privare di questi diritti un suo simile, chiunque egli sia, perché ciò significherebbe fare violenza alla sua natura". 154 I diritti dell'uomo vanno tutelati non solo singolarmente, ma nel loro insieme: una loro protezione parziale si tradurrebbe in una sorta di mancato riconoscimento. Essi corrispondono alle esigenze della dignità umana e implicano, in primo luogo, la soddisfazione dei bisogni essenziali della persona, in campo materiale e spirituale: " tali diritti riguardano tutte le fasi della vita e ogni contesto politico, sociale, economico o culturale. Essi formano un insieme unitario, orientato decisamente alla promozione di ogni aspetto del bene della persona e della società… La promozione integrale di tutte le categorie dei diritti umani è la vera garanzia del pieno rispetto di ogni singolo diritto". Universalità e indivisibilità sono i tratti distintivi dei diritti umani: " sono due principi guida che postulano comunque l'esigenza di radicare i diritti umani nelle diverse culture, nonché di approfondire il loro profilo giuridico per assicurarne il pieno rispetto". La specificazione dei diritti 155 Gli insegnamenti di Giovanni XXIII, del Concilio Vaticano II, di Paolo VI hanno offerto ampie indicazioni della concezione dei diritti umani delineata dal Magistero. Giovanni Paolo II ne ha tracciato un elenco nell'enciclica "Centesimus annus": "il diritto alla vita, di cui è parte integrante il diritto a crescere sotto il cuore della madre dopo essere stati generati; il diritto a vivere in una famiglia unita e in un ambiente morale, favorevole allo sviluppo della propria personalità; il diritto a maturare la propria intelligenza e la propria libertà nella ricerca e nella conoscenza della verità; il diritto a partecipare al lavoro per valorizzare i beni della terra ed a ricavare da esso il sostentamento proprio e dei propri cari; il diritto a fondare liberamente una famiglia e ad accogliere ed educare i figli, esercitando responsabilmente la propria sessualità. Fonte e sintesi di questi diritti è, in un certo senso, la libertà religiosa, intesa come diritto a vivere nella verità della propria fede ed in conformità alla trascendente dignità della propria persona". Il primo diritto ad essere enunciato in questo elenco è il diritto alla vita, dal concepimento fino al suo esito naturale che condiziona l'esercizio di ogni altro diritto e comporta, in particolare, l'illiceità di ogni forma di aborto procurato e di eutanasia. E sottolineato l'altissimo valore del diritto alla libertà religiosa: "tutti gli uomini devono restare immuni da costrizione da parte sia dei singoli, sia dei gruppi sociali e di qualsiasi autorità umana, così che in materia religiosa, entro certi limiti, nessuno sia forzato ad agire contro la propria coscienza, ne sia impedito ad agire secondo la sua coscienza, in privato e in pubblico, da solo o associato ad altri". Il rispetto di tale diritto è un segno emblematico "dell'autentico progresso dell'uomo in ogni regime, in ogni società, sistema o ambiente". Diritti e doveri 156 Connesso inscindibilmente al tema dei diritti è quello relativo ai doveri dell'uomo, che trova negli interventi del Magistero un'adeguata accentuazione. Più volte viene richiamata la reciproca complementarità tra diritti e doveri, indissolubilmente congiunti, in primo luogo nella persona umana che ne è il soggetto titolare. Tale legame presenta anche una dimensione sociale: "Nella convivenza umana ogni diritto naturale in una persona comporta un rispettivo dovere in tutte le altre persone: il dovere di riconoscere e rispettare quel diritto ". Il Magistero sottolinea la contraddizione insita in un 'affermazione dei diritti che non preveda una correlativa responsabilità: " Coloro pertanto che, mentre rivendicano i propri diritti, dimenticano o non mettono nel debito rilievo i rispettivi doveri, corrono il pericolo di costruire con una mano e distruggere con l'altra ". Diritti dei popoli e delle Nazioni 157 Il campo dei diritti dell'uomo si è allargato ai diritti dei popoli e delle Nazioni: infatti, " quanto è vero per l'uomo è vero anche per i popoli". Il Magistero ricorda che il diritto internazionale "poggia sul principio dell'eguale rispetto degli Stati, del diritto all'autodeterminazione di ciascun popolo e della libera cooperazione in vista del superiore bene comune dell'umanità ". La pace si fonda non solo sul rispetto dei diritti dell'uomo, ma anche su quello dei diritti dei popoli, in particolare il diritto all'indipendenza. I diritti delle Nazioni non sono altro che "i "diritti umani" colti a questo specifico livello della vita comunitaria". La Nazione ha "un fondamentale diritto all'esistenza"; alla "propria lingua e cultura, mediante le quali un popolo esprime e promuove la sua "sovranità" spirituale "; a " modellare la propria vita secondo le proprie tradizioni, escludendo, naturalmente, ogni violazione dei diritti umani fondamentali e, in particolare, l'oppressione delle minoranze "; a " costruire il proprio futuro provvedendo alle generazioni più giovani un'appropriata educazione ". L'assetto internazionale richiede un equilibrio tra particolarità ed universalità, alla cui realizzazione sono chiamate tutte le Nazioni, per le quali il primo dovere è quello di vivere in atteggiamento di pace, di rispetto e di solidarietà con le altre Nazioni. Colmare la distanza tra lettera e spirito 158 La solenne proclamazione dei diritti dell'uomo è contraddetta da una dolorosa realtà di violazioni, guerre e violenze di ogni tipo, in primo luogo i genocidi e le deportazioni di massa, il diffondersi pressoché ovunque di forme sempre nuove di schiavitù quali il traffico di esseri umani, i bambini soldato, lo sfruttamento dei lavoratori, il traffico illegale delle droghe, la prostituzione: "Anche nei Paesi dove vigono forme di governo democratico non sempre questi diritti sono del tutto rispettati". Esiste purtroppo una distanza tra " lettera " e " spirito " dei diritti dell'uomo, ai quali è tributato spesso un rispetto puramente formale. La dottrina sociale, in considerazione del privilegio accordato dal Vangelo ai poveri, ribadisce a più riprese che " i più favoriti devono rinunziare a certi loro diritti per mettere con più liberalità i propri beni a servizio degli altri " e che un'affermazione eccessiva di uguaglianza " può dar luogo a un individualismo dove ciascuno rivendica i propri diritti, sottraendosi alla responsabilità del bene comune". 159 La Chiesa, consapevole che la sua missione essenzialmente religiosa include la difesa e la promozione dei diritti fondamentali dell'uomo "apprezza assai il dinamismo dei tempi moderni, con il quale tali diritti vengono ovunque promossi". La Chiesa avverte profondamente l'esigenza di rispettare al suo stesso interno la giustizia e i diritti dell'uomo. L'impegno pastorale si sviluppa in una duplice direzione, di annuncio del fondamento cristiano dei diritti dell'uomo e di denuncia delle violazioni di tali diritti: in ogni caso, "l'annuncio è sempre più importante della denuncia, e questa non può prescindere da quello, che offre la vera solidità e la forza della motivazione più alta ". Per essere più efficace, un simile impegno è aperto alla collaborazione ecumenica, al dialogo con le altre religioni, a tutti gli opportuni contatti con gli organismi, governativi e non governativi, a livello nazionale e internazionale. La Chiesa confida soprattutto nell'aiuto del Signore e del Suo Spirito che, riversato nei cuori, è la garanzia più sicura per rispettare la giustizia e i diritti umani, e per contribuire quindi alla pace: "Promuovere la giustizia e la pace, penetrare con la luce e il fermento evangelico tutti i campi dell'esistenza sociale, è sempre stato un costante impegno della Chiesa in nome del mandato che essa ha ricevuto dal Signore ". Significato e unità 160 I principi permanenti della dottrina sociale della Chiesa costituiscono i veri e propri cardini dell'insegnamento sociale cattolico: si tratta del principio della dignità della persona umana - già trattato nel capitolo precedente - nel quale ogni altro principio e contenuto della dottrina sociale trova fondamento, del bene comune, della sussidiartela e della solidarietà. Tali principi, espressione dell'intera verità sull'uomo conosciuta tramite la ragione e la fede, scaturiscono "dall'incontro del messaggio evangelico e delle sue esigenze, che si riassumono nel comandamento supremo dell'amore di Dio e del prossimo e nella giustizia, con i problemi derivanti dalla vita della società ". La Chiesa, nel corso della storia e alla luce dello Spirito, riflettendo sapientemente all'interno della propria tradizione di fede, ha potuto dare a tali principi fondazione e configurazione sempre più accurate, enucleandoli progressivamente, nello sforzo di rispondere con coerenza alle esigenze dei tempi e ai continui sviluppi della vita sociale. 161 Questi principi hanno un carattere generale e fondamentale, poiché riguardano la realtà sociale nel suo complesso: dalle relazioni interpersonali caratterizzate da prossimità ed immediatezza a quelle mediate dalla politica, dall'economia e dal diritto; dalle relazioni tra comunità o gruppi ai rapporti tra i popoli e le Nazioni. Per la loro permanenza nel tempo ed universalità di significato, la Chiesa li indica come il primo e fondamentale parametro di riferimento per l'interpretazione e la valutazione dei fenomeni sociali, necessario perché vi si possono attingere i criteri di discernimento e di guida dell'agire sociale, in ogni ambito. 162 I principi della dottrina sociale devono essere apprezzati nella loro unitarietà, connessione e articolazione. Tale esigenza si radica nel significato attribuito dalla Chiesa stessa alla propria dottrina sociale, di " corpus" dottrinale unitario che interpreta le realtà sociali in modo organico. L'attenzione verso ogni singolo principio nella sua specificità non deve condurre ad un suo utilizzo parziale ed errato, che avviene qualora lo si invochi come fosse disarticolato e sconnesso rispetto a tutti gli altri. L'approfondimento teorico e la stessa applicazione di anche uno solo dei principi sociali fanno emergere con chiarezza la reciprocità, la complementarità, i nessi che li strutturano. Questi cardini fondamentali della dottrina della Chiesa rappresentano, inoltre, ben più di un patrimonio permanente di riflessione, che pure è parte essenziale del messaggio cristiano, poiché indicano a tutti le vie possibili per edificare una vita sociale buona, autenticamente rinnovata. 163 I principi della dottrina sociale, nel loro insieme, costituiscono quella prima articolazione della verità della società, dalla quale ogni coscienza è interpellata e imitata ad interagire con ogni altra, nella libertà, in piena corresponsabilità con lutti e nei confronti di tutti. Alla questione della verità e del senso del vivere sociale, infatti, l'uomo non può sottrarsi, in quanto la società non è una realtà estranea al suo stesso esistere. Tali principi hanno un significato profondamente morale perché rinviano ai fondamenti ultimi e ordinatori della vita sociale. Per una loro piena comprensione, occorre agire nella loro direzione, sulla via dello sviluppo da essi indicato per una vita degna dell'uomo. L'esigenza morale insita nei grandi principi sociali riguarda sia l'agire personale dei singoli, in quanto primi ed insostituibili soggetti responsabili della vita sociale ad ogni livello, sia, al tempo stesso, le istituzioni, rappresentate da leggi, norme di costume e strutture civili, a causa della loro capacità di influenzare e condizionare le scelte di molti e per molto tempo. I principi ricordano, infatti, che la società storicamente esistente scaturisce dall'intrecciarsi delle libertà di tutte le persone che in essa interagiscono, contribuendo, mediante le loro scelte, ad edificarla o ad impoverirla. Significato e principali implicazioni 164 Dalla dignità, unità e uguaglianza di tutte le persone deriva innanzi tutto il principio del bene comune, al quale ogni aspetto della vita sociale deve riferirsi per trovare pienezza di senso. Secondo una prima e vasta accezione, per bene comune s'intende " l'insieme di quelle condizioni della vita sociale che permettono sia alle collettività sia ai singoli membri, di raggiungere la propria perfezione più pienamente e più celermente ". Il bene comune non consiste nella semplice somma dei beni particolari di ciascun soggetto del corpo sociale. Essendo di tutti e di ciascuno è e rimane comune, perché indivisibile e perché soltanto insieme è possibile raggiungerlo, accrescerlo e custodirlo, anche in vista del futuro. Come l'agire morale del singolo si realizza nel compiere il bene, così l'agire sociale giunge a pienezza realizzando il bene comune. Il bene comune, infatti, può essere inteso come la dimensione sociale e comunitaria del bene morale. 165 Una società che, a tutti i livelli, vuole intenzionalmente rimanere al servizio dell'essere umano è quella che si propone come meta prioritaria il bene comune, in quanto bene di tutti gli uomini e di tutto l'uomo. La persona non può trovare compimento solo in se stessa, a prescindere cioè dal suo essere "con" e "per" gli altri. Tale verità le impone non una semplice convivenza ai vari livelli della vita sociale e relazionale, ma la ricerca senza posa, in forma pratica e non soltanto ideale, del bene ovvero del senso e della verità rintracciabili nelle forme di vita sociale esistenti. Nessuna forma espressiva della socialità - dalla famiglia, al gruppo sociale intermedio, all'associazione, all'impresa di carattere economico, alla città, alla regione, allo Stato, fino alla comunità dei popoli e delle Nazioni - può eludere l'interrogativo circa il proprio bene comune, che è costitutivo del suo significato e autentica ragion d'essere della sua stessa sussistenza. La responsabilità di tutti per il bene comune 166 Le esigenze del bene comune derivano dalle condizioni sociali di ogni epoca e sono strettamente connesse al rispetto e alla promozione integrale della persona e dei suoi diritti fondamentali. Tali esigenze riguardano anzitutto l'impegno per la pace, l'organizzazione dei poteri dello Stato, un solido ordinamento giuridico, la salvaguardia dell'ambiente, la prestazione di quei servizi essenziali delle persone, alcuni dei quali sono al tempo stesso diritti dell'uomo: alimentazione, abitazione, lavoro, educazione e accesso alla cultura, trasporti, salute, libera circolazione delle informazioni e tutela della libertà religiosa. Non va dimenticato l'apporto che ogni Nazione è in dovere di dare per una vera cooperazione internazionale, in vista del bene comune dell'intera umanità, anche per le generazioni future. 167 Il bene comune impegna tutti i membri della società: nessuno è esentato dal collaborare, a seconda delle proprie capacità, al suo raggiungimento e al suo sviluppo. Il bene comune esige di essere servito pienamente, non secondo visioni riduttive subordinate ai vantaggi di parte che se ne possono ricavare, ma in base a una logica che tende alla più larga assunzione di responsabilità. Il bene comune è conseguente alle più elevate inclinazioni dell'uomo, ma è un bene arduo da raggiungere, perché richiede la capacità e la ricerca costante del bene altrui come se fosse proprio. Tutti hanno anche il diritto di fruire delle condizioni di vita sociale che risultano dalla ricerca del bene comune. Suona ancora attuale l'insegnamento di Pio XI: " Bisogna procurare che la distribuzione dei beni creati, la quale ognuno vede quanto ora sia causa di disagio, per il grande squilibrio fra i pochi straricchi e gli innumerevoli indigenti, venga ricondotta alla conformità con le norme del bene comune e della giustizia sociale ". I compiti della comunità politica 168 La responsabilità di conseguire il bene comune compete, oltre che alle singole persone, anche allo Stato, poiché il bene comune è la ragion d'essere dell'autorità politica. Lo Stato, infatti, deve garantire coesione, unitarietà e organizzazione alla società civile di cui è espressione, in modo che il bene comune possa essere conseguito con il contributo di tutti i cittadini. L'uomo singolo, la famiglia, i corpi intermedi non sono in grado di pervenire da se stessi al loro pieno sviluppo; da ciò deriva la necessità di istituzioni politiche, la cui finalità è quella di rendere accessibili alle persone i beni necessari - materiali, culturali, morali, spirituali - per condurre una vita veramente umana. Il fine della vita sociale è il bene comune storicamente realizzabile. 169 Per assicurare il bene comune, il governo di ogni Paese ha il compito specifico di armonizzare con giustizia i diversi interessi settoriali. La corretta conciliazione dei beni particolari di gruppi e di individui è una delle funzioni più delicate del potere pubblico. Non va dimenticato, inoltre, che nello Stato democratico, in cui le decisioni sono solitamente assunte a maggioranza dai rappresentanti della volontà popolare, coloro ai quali compete la responsabilità di governo sono tenuti ad interpretare il bene comune del loro Paese non soltanto secondo gli orientamenti della maggioranza, ma nella prospettiva del bene effettivo di tutti i membri della comunità civile, compresi quelli in posizione di minoranza. 170 Il bene comune della società non è un fine a sé stante; esso ha valore solo in riferimento al raggiungimento delfini ultimi della persona e al bene comune universale dell'intera creazione. Dio è il fine ultimo delle sue creature e per nessun motivo si può privare il bene comune della sua dimensione trascendente, che eccede ma anche da compimento a quella storica. Questa prospettiva raggiunge la sua pienezza in forza della fede nella Pasqua di Gesù, che offre piena luce circa la realizzazione del vero bene comune dell'umanità. La nostra storia - lo sforzo personale e collettivo di elevare la condizione umana - comincia e culmina in Gesù: grazie a Lui, per mezzo di Lui e in vista di Lui, ogni realtà, compresa la società umana, può essere condotta al suo Bene sommo, al suo compimento. Una visione puramente storica e materialistica finirebbe per trasformare il bene comune in semplice benessere socio-economico, privo di ogni finalizzazione trascendente ovvero della sua più profonda ragion d'essere. Origine e significato 171 Tra le molteplici implicazioni del bene comune, immediato rilievo assume il principio della destinazione universale dei beni: " Dio ha destinato la terra con tutto quello che in essa è contenuto all'uso di tutti gli uomini e popoli, sicché i beni creati devono pervenire a tutti con equo criterio, avendo per guida la giustizia e per compagna la carità". Tale principio si basa sul fatto che " la prima origine di tutto ciò che è bene è l'atto stesso di Dio che ha creato la terra e l'uomo, ed all'uomo ha dato la terra perché la domini col suo lavoro e ne goda i frutti ( Gen 1,28-29 ). Dio ha dato la terra a tutto il genere umano, perché essa sostenti tutti i suoi membri, senza escludere ne privilegiare nessuno. E qui la radice dell'universale destinazione dei beni della terra. Questa, in ragione della sua stessa fecondità e capacità di soddisfare i bisogni dell'uomo, è il primo dono di Dio per il sostentamento della vita umana". La persona, infatti, non può fare a meno dei beni materiali che rispondono ai suoi bisogni primari e costituiscono le condizioni basilari per la sua esistenza; questi beni le sono assolutamente indispensabili per alimentarsi e crescere, per comunicare, per associarsi e per poter conseguire le più alte finalità cui è chiamata. 172 Il principio della destinazione universale dei beni della terra è alla base del diritto universale all'uso dei beni. Ogni uomo deve avere la possibilità di usufruire del benessere necessario al suo pieno sviluppo: il principio dell'uso comune dei beni è il " primo principio di tutto l'ordinamento etico-sociale " e " principio tipico della dottrina sociale cristiana ". Per questa ragione la Chiesa ha ritenuto doveroso precisarne la natura e le caratteristiche. Si tratta innanzi tutto di un diritto naturale, inscritto nella natura dell'uomo, e non di un diritto solo positivo, legato alla contingenza storica; inoltre, tale diritto è "originario". Esso inerisce alla singola persona, ad ogni persona, ed è prioritario rispetto a qualunque intervento umano sui beni, a qualunque ordinamento giuridico degli stessi, a qualunque sistema e metodo economico-sociale: " Tutti gli altri diritti, di qualunque genere, ivi compresi quelli della proprietà e del libero commercio, sono subordinati ad essa [destinazione universale dei beni]: non devono quindi intralciarne, bensì al contrario facilitarne la realizzazione, ed è un dovere sociale grave e urgente restituirli alla loro finalità originaria". 173 L'attuazione concreta del principio della destinazione universale dei beni, secondo i differenti contesti culturali e sociali, implica una precisa definizione dei modi, dei limiti, degli oggetti. Destinazione ed uso universale non significano che tutto sia a disposizione di ognuno o di tutti, e neppure che la stessa cosa serva o appartenga ad ognuno o a tutti. Se è vero che tutti nascono con il diritto all'uso dei beni, è altrettanto vero che, per assicurarne un esercizio equo e ordinato, sono necessari interventi regolamentati, frutto di accordi nazionali e internazionali, ed un ordinamento giuridico che determini e specifichi tale esercizio. 174 Il principio della destinazione universale dei beni invita a coltivare una visione dell'economia ispirata a valori morali che permettano di non perdere mai di vista ne l'origine, ne la finalità di tali beni, in modo da realizzare un mondo equo e solidale, in cui la formazione della ricchezza possa assumere una funzione positiva. La ricchezza, in effetti, presenta questa valenza nella molteplicità delle forme che possono esprimerla come il risultato di un processo produttivo di elaborazione tecnico-economica delle risorse disponibili, naturali e derivate, guidato dall'inventiva, dalla capacità progettuale, dal lavoro degli uomini, e impiegato come mezzo utile per promuovere il benessere degli uomini e dei popoli e per contrastare la loro esclusione e il loro sfruttamento. 175 La destinazione universale dei beni comporta uno sforzo comune teso ad ottenere per ogni persona e per tutti i popoli le condizioni necessario allo sviluppo integrale, così che tutti possano contribuire alla promozione di un mondo più umano, " in cui ciascuno possa dare e ricevere, ed in cui il progresso degli uni non sarà un ostacolo allo sviluppo degli altri, ne un pretesto per il loro assoggettamento". Questo principio corrisponde all'appello incessantemente rivolto dal Vangelo alle persone e alle società di ogni tempo, sempre esposte alle tentazioni della brama del possesso, a cui lo stesso Signore Gesù ha voluto sottoporsi ( Mc 1,12-13; Mt 4,1-11; Lc 4,1-13 ) per insegnarci la via per superarle con la Sua grazia. Destinazione universale dei beni e proprietà privata 176 Mediante il lavoro, l'uomo, usando la sua intelligenza, riesce a dominare la terra e a farne la sua degna dimora: " In tal modo egli fa propria una parte della terra, che appunto si è acquistata col lavoro. E qui l'origine della proprietà individuale". La proprietà privata e le altre forme di possesso privato dei beni " assicurano ad ognuno lo spazio effettivamente necessario per l'autonomia personale e familiare, e devono essere considerati come un prolungamento della libertà umana. Costituiscono in definitiva una delle condizioni delle libertà civili, in quanto producono stimoli ad osservare il dovere e la responsabilità". La proprietà privata è elemento essenziale di una politica economica autenticamente sociale e democratica ed è garanzia di un retto ordine sociale. La dottrina sociale richiede che la proprietà dei beni sia equamente accessibile a tutti, così che tutti diventino, almeno in qualche misura, proprietari, ed esclude il ricorso a forme di " comune e promiscuo dominio ". 177 La tradizione cristiana non ha mai riconosciuto il diritto alla proprietà privata come assoluto ed intoccabile: " Al contrario, essa l'ha sempre inteso nel più vasto contesto del comune diritto di tutti ad usare i beni dell'intera creazione: il diritto della proprietà privata come subordinato al diritto dell'uso comune, alla destinazione universale dei beni ". Il principio della destinazione universale dei beni afferma sia la piena e perenne signoria di Dio su ogni realtà, sia l'esigenza che i beni del creato rimangano finalizzati e destinati allo sviluppo di tutto l'uomo e dell'intera umanità. Tale principio non si oppone al diritto di proprietà, ma indica la necessità di regolamentarlo. La proprietà privata, infatti, quali che siano le forme concrete dei regimi e delle norme giuridiche ad essa relative, è, nella sua essenza, solo uno strumento per il rispetto del principio della destinazione universale dei beni, e quindi, in ultima analisi, non un fine ma un mezzo. 178 L'insegnamento sociale della Chiesa esorta a riconoscere la funzione Sociale di qualsiasi forma di possesso privato, con il chiaro riferimento alle esigenze imprescindibili del bene comune. L'uomo " deve considerare le cose esteriori che legittimamente possiede non unicamente come sue proprie, ma anche come comuni, nel senso che possono essere utili non solo a lui ma anche agli altri". La destinazione universale dei beni comporta dei vincoli sul loro uso da parte dei legittimi proprietari. La singola persona non può operare a prescindere dagli effetti dell'uso delle proprie risorse, ma deve agire in modo da perseguire, oltre che il vantaggio personale e familiare, anche il bene comune. Ne consegue il dovere da parte dei proprietari di non tenere inoperosi i beni posseduti e di destinarli all'attività produttiva, anche affidandoli a chi ha desiderio e capacità di avviarli a produzione. 179 L'attuale fase storica, mettendo a disposizione della società beni nuovi, del tutto sconosciuti fino ai tempi recenti, impone una rilettura del principio della destinazione universale dei beni della terra, rendendone necessaria un'estensione che comprenda anche i frutti del recente progresso economico e tecnologico. La proprietà dei nuovi beni, che provengono dalla conoscenza, dalla tecnica e dal sapere, diventa sempre più decisiva, perché su di essa "si fonda la ricchezza delle Nazioni industrializzate molto più che su quella delle risorse naturali". Le nuove conoscenze tecniche e scientifiche devono essere poste a servizio dei bisogni primari dell'uomo, affinché possa gradualmente accrescersi il patrimonio comune dell'umanità. La piena attuazione del principio della destinazione universale dei beni richiede, pertanto, azioni a livello internazionale e iniziative programmate da parte di tutti i Paesi: "Occorre rompere le barriere e i monopoli che lasciano tanti popoli ai margini dello sviluppo, assicurare a tutti - individui e Nazioni - le condizioni di base, che consentano di partecipare allo sviluppo ". 180 Se nel processo di sviluppo economico e sociale acquistano notevole rilievo forme di proprietà sconosciute in passato, non si possono dimenticare, tuttavia, quelle tradizionali. La proprietà individuale non è la sola forma legittima di possesso. Riveste particolare importanza anche l'antica forma di proprietà comunitaria che, pur presente anche nei Paesi economicamente avanzati, caratterizza, in modo peculiare, la struttura sociale di numerosi popoli indigeni. E una forma di proprietà che incide tanto profondamente nella vita economica, culturale e politica di quei popoli da costituire un elemento fondamentale della loro sopravvivenza e del loro benessere. La difesa e la valorizzazione della proprietà comunitaria non devono escludere, tuttavia, la consapevolezza del fatto che anche questo tipo di proprietà è destinato ad evolversi. Se si agisse in modo da garantire solo la sua conservazione, si correrebbe il rischio di legarla al passato e, in questo modo, di comprometterla. Resta sempre cruciale, specie nei Paesi in via di sviluppo o che sono usciti da sistemi collettivistici o di colonizzazione, l'equa distribuzione della terra. Nelle zone rurali, la possibilità di accedere alla terra tramite le opportunità offerte anche dai mercati del lavoro e del credito è condizione necessaria per l'accesso agli altri beni e servizi; oltre a costituire una via efficace per la salvaguardia dell'ambiente, tale possibilità rappresenta un sistema di sicurezza sociale realizzabile anche nei Paesi che hanno una struttura amministrativa debole. 181 Dalla proprietà deriva al soggetto possessore, sia esso il singolo oppure una comunità, una serie di obiettivi vantaggi: condizioni di vita migliori, sicurezza per il futuro, più ampie opportunità di scelta. Dalla proprietà, d'altro canto, può provenire anche una serie di promesse illusorie e tentatrici. L'uomo o la società che giungono al punto di assolutizzarne il ruolo finiscono per fare l'esperienza della più radicale schiavitù. Nessun possesso, infatti, può essere considerato indifferente per l'influsso che ha tanto sui singoli, quanto sulle istituzioni: il possessore che incautamente idolatra i suoi beni ( Mt 6,24; Mt 19,21-26; Lc 16,13 ) ne viene più che mai posseduto e asservito. Solo riconoscendone la dipendenza da Dio Creatore e finalizzandoli conseguentemente al bene comune, è possibile conferire ai beni materiali la funzione di strumenti utili alla crescita degli uomini e dei popoli. Destinazione universale dei beni e opzione preferenziale per i poveri 182 Il principio della destinazione universale dei beni richiede che si guardi con particolare sollecitudine ai poveri, a coloro che si trovano in situazioni di marginalità e, in ogni caso, alle persone a cui le condizioni di vita impediscono una crescita adeguata. A tale proposito va ribadita, in tutta la sua forza, l'opzione preferenziale per i poveri: "E, questa, una opzione, o una forma speciale di primato nell'esercizio della carità cristiana, testimoniata da tutta la Tradizione della Chiesa. Essa si riferisce alla vita di ciascun cristiano, in quanto imitatore della vita di Cristo, ma si applica egualmente alle nostre responsabilità sociali e, perciò, al nostro vivere, alle decisioni da prendere coerentemente circa la proprietà e l'uso dei beni. Oggi poi, attesa la dimensione mondiale che la questione sociale ha assunto, questo amore preferenziale, con le decisioni che esso ci ispira, non può non abbracciare le immense moltitudini di affamati, di mendicanti, di senzatetto, senza assistenza medica e, soprattutto, senza speranza di un futuro migliore ". 183 La miseria umana è il segno evidente della condizione di debolezza dell'uomo e del suo bisogno di salvezza Di essa ha avuto compassione Cristo Salvatore, che si è identificato con i Suoi " fratelli più piccoli " ( Mt 25,40.45 ): " Gesù Cristo riconoscerà i suoi eletti proprio da quanto avranno fatto per i poveri. Allorché "ai poveri è predicata la buona novella" ( Mt 11,5 ), è segno che Cristo è presente". Gesù dice: " I poveri infatti li avete sempre con voi, me, invece, non sempre mi avete" ( Mt 26,11; Mc 14,7; Gv 12,8 ) non per contrapporre al servizio dei poveri l'attenzione a Lui rivolta. Il realismo cristiano, mentre da una parte apprezza i lodevoli sforzi che si fanno per sconfiggere la povertà, dall'altra mette in guardia da posizioni ideologiche e da messianismi che alimentano l'illusione che si possa sopprimere da questo mondo in maniera totale il problema della povertà. Ciò avverrà soltanto al Suo ritorno, quando Lui sarà di nuovo con noi per sempre. Nel frattempo, i poveri restano a noi affidati e su questa responsabilità saremo giudicati alla fine ( Mt 25,31-46 ): "Nostro Signore ci avverte che saremo separati da lui se non soccorriamo nei loro gravi bisogni i poveri e i piccoli che sono suoi fratelli ". 184 L'amore della Chiesa per i poveri si ispira al Vangelo delle beatitudini, alla povertà di Gesù e alla Sua attenzione per i poveri. Tale amore riguarda la povertà materiale e anche le numerose/orme di povertà culturale e religiosa. La Chiesa, " fin dalle origini, malgrado l'infedeltà di molti dei suoi membri, non ha cessato di impegnarsi a sollevarli, a difenderli e a liberarli. Ciò ha fatto con innumerevoli opere di beneficenza, che rimangono sempre e dappertutto indispensabili". Ispirata al precetto evangelico: "Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date" ( Mt 10,8 ), la Chiesa insegna a soccorrere il prossimo nelle sue varie necessità e profonde nella comunità umana innumerevoli opere di misericordia corporali e spirituali: "Tra queste opere, fare l'elemosina ai poveri è una delle principali testimonianze della carità fraterna: è pure una pratica di giustizia che piace a Dio ", anche se la pratica della carità non si riduce all'elemosina, ma implica l'attenzione alla dimensione sociale e politica del problema della povertà. Sul rapporto tra carità e giustizia ritorna costantemente l'insegnamento della Chiesa: " Quando doniamo ai poveri le cose indispensabili, non facciamo loro delle elargizioni personali, ma rendiamo loro ciò che è loro. Più che compiere un atto di carità, adempiamo un dovere di giustizia ". I Padri Conciliari raccomandano fortemente che si compia tale dovere " perché non si offra come dono di carità ciò che è già dovuto a titolo di giustizia". L'amore per i poveri è certamente " inconciliabile con lo smodato amore per le ricchezze o con il loro uso egoistico" ( Gc 5,1-6 ). Origine e significato 185 La sussidiartela è tra le più costanti e caratteristiche direttive della dottrina sociale della Chiesa, presente fin dalla prima grande enciclica sociale. È impossibile promuovere la dignità della persona se non prendendosi cura della famiglia, dei gruppi, delle associazioni, delle realtà territoriali locali, in breve, di quelle espressioni aggregative di tipo economico, sociale, culturale, sportivo, ricreativo, professionale, politico, alle quali le persone danno spontaneamente vita e che rendono loro possibile una effettiva crescita sociale. E questo l'ambito della società civile, intesa come l'insieme dei rapporti tra individui e tra società intermedie, che si realizzano in forma originaria e grazie alla "soggettività creativa del cittadino". La rete di questi rapporti innerva il tessuto sociale e costituisce la base di una vera comunità di persone, rendendo possibile il riconoscimento di forme più elevate di socialità. 186 L'esigenza di tutelare e di promuovere le espressioni originarie della socialità è sottolineata dalla Chiesa nell'enciclica " Quadragesime anno ", nella quale il principio di sussidiartela è indicato come principio importantissimo della "filosofia sociale ": " Siccome è illecito togliere agli individui ciò che essi possono compiere con le forze e l'industria propria per affidarlo alla comunità, cosi è ingiusto rimettere a una maggiore e più alta società quello che dalle minori e inferiori comunità si può fare. Ed è questo insieme un grave danno e uno sconvolgimento del retto ordine della società; perché l'oggetto naturale di qualsiasi intervento della società stessa è quello di aiutare in maniera suppletiva le membra del corpo sociale, non già distruggerle e assorbirle ". In base a tale principio, tutte le società di ordine superiore devono porsi in atteggiamento di aiuto ( " subsidium " ) - quindi di sostegno, promozione, sviluppo - rispetto alle minori. In tal modo, i corpi sociali intermedi possono adeguatamente svolgere le funzioni che loro competono, senza doverle cedere ingiustamente ad altre aggregazioni sociali di livello superiore, dalle quali finirebbero per essere assorbiti e sostituiti e per vedersi negata, alla fine, dignità propria e spazio vitale. Alla sussidiarietà intesa in senso positivo, come aiuto economico, istituzionale, legislativo offerto alle entità sociali più piccole, corrisponde una serie di implicazioni in negativo, che impongono allo Stato di astenersi da quanto restringerebbe, di fatto, lo spazio vitale delle cellule minori ed essenziali della società. La loro iniziativa, libertà e responsabilità non devono essere soppiantate. Indicazioni concrete 187 Il principio di sussidiartela protegge le persone dagli abusi delle istanze sociali superiori e sollecita queste ultime ad aiutare i singoli individui e i corpi intermedi a sviluppare i loro compiti. Questo principio si impone perché ogni persona, famiglia e corpo intermedio ha qualcosa di originale da offrire alla comunità. L'esperienza attesta che la negazione della sussidiarietà, o la sua limitazione in nome di una pretesa democratizzazione o uguaglianza di tutti nella società, limita e talvolta anche annulla lo spirito di libertà e di iniziativa. Con il principio della sussidiarietà contrastano forme di accentramento, di burocratizzazione, di assistenzialismo, di presenza ingiustificata ed eccessiva dello Stato e dell'apparato pubblico: " Intervenendo direttamente e deresponsabilizzando la società, lo Stato assistenziale provoca la perdita di energie umane e l'aumento esagerato degli apparati pubblici, dominati da logiche burocratiche più che dalla preoccupazione di servire gli utenti, con enorme crescita delle spese". Il mancato o inadeguato riconoscimento dell'iniziativa privata, anche economica, e della sua funzione pubblica, nonché i monopoli, concorrono a mortificare il principio della sussidiarietà. All'attuazione del principio di sussidiarietà corrispondono: il rispetto e la promozione effettiva del primato della persona e della famiglia; la valorizzazione delle associazioni e delle organizzazioni intermedie, nelle proprie scelte fondamentali e in tutte quelle che non possono essere delegate o assunte da altri; l'incoraggiamento offerto all'iniziativa privata, in modo tale che ogni organismo sociale rimanga a servizio, con le proprie peculiarità, del bene comune; l'articolazione pluralistica della società e la rappresentanza delle sue forze vitali; la salvaguardia dei diritti umani e delle minoranze; il decentramento burocratico e amministrativo; l'equilibrio tra la sfera pubblica e quella privata, con il conseguente riconoscimento della funzione sociale del privato; un'adeguata responsabilizzazione del cittadino nel suo " essere parte " attiva della realtà politica e sociale del Paese. 188 Diverse circostanze possono consigliare che lo Stato eserciti una funzione di supplenza. Si pensi, ad esempio, alle situazioni in cui è necessario che lo Stato stesso promuova l'economia, a causa dell'impossibilità per la società civile di assumere autonomamente l'iniziativa; si pensi anche alle realtà di grave squilibrio e ingiustizia sociale, in cui solo l'intervento pubblico può creare condizioni di maggiore eguaglianza, di giustizia e di pace. Alla luce del principio di sussidiarietà, tuttavia, questa supplenza istituzionale non deve prolungarsi ed estendersi oltre lo stretto necessario, dal momento che trova giustificazione soltanto nell'eccezionalità della situazione. In ogni caso, il bene comune correttamente inteso, le cui esigenze non dovranno in alcun modo essere in contrasto con la tutela e la promozione del primato della persona e delle sue principali espressioni sociali, dovrà rimanere il criterio di discernimento circa l'applicazione del principio di sussidiarietà. Significato e valore 189 Caratteristica conseguenza della sussidiarietà è la partecipazione, che si esprime, essenzialmente, in una serie di attività mediante le quali il cittadino, come singolo o in associazione con altri, direttamente o a mezzo di propri rappresentanti, contribuisce alla vita culturale, economica, sociale e politica della comunità civile cui appartiene. La partecipazione è un dovere da esercitare consapevolmente da parte di tutti, in modo responsabile e in vista del bene comune. Essa non può essere delimitata o ristretta a qualche contenuto particolare della vita sociale, data la sua importanza per la crescita, innanzi tutto umana, in ambiti quali il mondo del lavoro e le attività economiche nelle loro dinamiche interne, l'informazione e la cultura e, in massimo grado, la vita sociale e politica fino ai livelli più alti, quali sono quelli da cui dipende la collaborazione di tutti i popoli per l'edificazione di una comunità internazionale solidale. In tale prospettiva, diventa imprescindibile l'esigenza di favorire la partecipazione soprattutto dei più svantaggiati e l'alternanza dei dirigenti politici, al fine di evitare che si instaurino privilegi occulti; è necessaria inoltre una forte tensione morale, affinché la gestione della vita pubblica sia il frutto della corresponsabilità di ognuno nei confronti del bene comune. Partecipazione e democrazia 190 La partecipazione alla vita comunitaria non è soltanto una delle maggiori aspirazioni del cittadino, chiamato ad esercitare liberamente e responsabilmente il proprio ruolo civico con e per gli altri, ma anche uno dei pilastri di tutti gli ordinamenti democratici oltre che una delle maggiori garanzie di permanenza della democrazia. Il governo democratico, infatti, è definito a partire dall'attribuzione, da parte del popolo, di poteri e funzioni, che vengono esercitati a suo nome, per suo conto e a suo favore; è evidente, dunque, che ogni democrazia deve essere partecipativa. Ciò comporta che i vari soggetti della comunità civile, ad ogni suo livello, siano informati, ascoltati e coinvolti nell'esercizio delle funzioni che essa svolge. 191 La partecipazione si può ottenere in tutte le possibili relazioni tra il cittadino e le istituzioni: a questo fine, particolare attenzione deve essere rivolta ai contesti storici e sociali nei quali essa dovrebbe veramente attuarsi. Il superamento degli ostacoli culturali, giuridici e sociali, che spesso si frappongono come vere barriere alla partecipazione solidale dei cittadini alle sorti della propria comunità, richiede un'opera informativa ed educativa. Meritano una preoccupata considerazione, in questo senso, tutti gli atteggiamenti che inducono il cittadino a forme partecipative insufficienti o scorrette e alla diffusa disaffezione per tutto quanto concerne la sfera della vita sociale e politica: si pensi, ad esempio, ai tentativi dei cittadini di "contrattare" le condizioni più vantaggiose per sé con le istituzioni, quasi che queste fossero al servizio dei bisogni egoistici, e alla prassi di limitarsi all'espressione della scelta elettorale, giungendo anche, in molti casi, ad astenersene. Sul fronte della partecipazione, un'ulteriore fonte di preoccupazione è data dai Paesi a regime totalitario o dittatoriale, in cui il fondamentale diritto a partecipare alla vita pubblica è negato alla radice, perché considerato una minaccia per lo Stato stesso; dai Paesi in cui tale diritto è enunciato soltanto formalmente, ma concretamente non si può esercitare; da altri ancora in cui l'elefantiasi dell'apparato burocratico nega di fatto al cittadino la possibilità di proporsi come un vero attore della vita sociale e politica. Significato e valore 192 La solidarietà conferisce particolare risalto all'intrinseca socialità della persona umana, all'uguaglianza di tutti in dignità e diritti, al comune cammino degli uomini e dei popoli verso una sempre più convinta unità. Mai come oggi c'è stata una consapevolezza tanto diffusa del legame di interdipendenza tra gli uomini e i popoli, che si manifesta a qualsiasi livello. Il rapidissimo moltiplicarsi delle vie e dei mezzi di comunicazione "in tempo reale ", quali sono quelli telematici, gli straordinari progressi dell'informatica, l'accresciuto volume degli scambi commerciali e delle informazioni, stanno a testimoniare che, per la prima volta dall'inizio della storia dell'umanità, è ormai possibile, almeno tecnicamente, stabilire relazioni anche tra persone lontanissime o sconosciute. A fronte del fenomeno dell'interdipendenza e del suo costante dilatarsi, persistono, d'altra parte, in tutto il mondo, fortissime disuguaglianze tra Paesi sviluppati e Paesi in via di sviluppo, alimentate anche da diverse forme di sfruttamento, di oppressione e di corruzione che influiscono negativamente sulla vita interna e internazionale di molti Stati. Il processo di accelerazione dell'interdipendenza tra le persone e i popoli deve essere accompagnato da un impegno sul piano etico-sociale altrettanto intensificato, per evitare le nefaste conseguenze di una situazione di ingiustizia di dimensioni planetarie, destinata a ripercuotersi assai negativamente anche negli stessi Paesi attualmente più favoriti. La solidarietà come principio sociale e come virtù morale 193 Le nuove relazioni di interdipendenza fra uomini e popoli, che sono, di fatto, forme di solidarietà, devono trasformarsi in relazioni tese ad una vera e propria solidarietà etico-sociale, che è l'esigenza morale insita in tutte le relazioni umane. La solidarietà si presenta, dunque, sotto due aspetti complementari: quello di principio sociale e quello di virtù morale. La solidarietà deve essere colta, innanzi tutto, nel suo valore di principio sociale ordinatore delle istituzioni, in base al quale le " strutture di peccato", che dominano i rapporti tra le persone e i popoli, devono essere superate e trasformate in strutture di solidarietà, mediante la creazione o l'opportuna modifica di leggi, regole del mercato, ordinamenti. La solidarietà è anche una vera e propria virtù morale, non un " sentimento di vaga compassione o di superficiale intenerimento per i mali di tante persone, vicine o lontane. Al contrario, è la determinazione ferma e perseverante di impegnarsi per il bene comune: ossia per il bene di tutti e di ciascuno, perché tutti siamo veramente responsabili di tutti". La solidarietà assurge al rango di virtù sociale fondamentale poiché si colloca nella dimensione della giustizia, virtù orientata per eccellenza al bene comune, e nell'" impegno per il bene del prossimo con la disponibilità, in senso evangelico, a "perdersi" a favore dell'altro invece di sfruttarlo, e a "servirlo" invece di opprimerlo per il proprio tornaconto ( Mt 10,40-42; Mt 20,25; Mc 10,42-45; Lc 22,25-27 ) ". Solidarietà e crescita comune degli uomini 194 Il messaggio della dottrina sociale circa la solidarietà mette in evidenza il fatto che esistono stretti vincoli tra solidarietà e bene comune, solidarietà e destinazione universale dei beni, solidarietà e uguaglianza tra gli uomini e i popoli, solidarietà e pace nel mondo. Il termine " solidarietà", ampiamente impiegato dal Magistero, esprime in sintesi l'esigenza di riconoscere nell'insieme dei legami che uniscono gli uomini e i gruppi sociali tra loro, lo spazio offerto alla libertà umana per provvedere alla crescita comune, condivisa da tutti. L'impegno in questa direzione si traduce nell'apporto positivo da non far mancare alla causa comune e nella ricerca dei punti di possibile intesa anche là dove prevale una logica di spartizione e frammentazione, nella disponibilità a spendersi per il bene dell'altro al di là di ogni individualismo e particolarismo. 195 Il principio della solidarietà comporta che gli uomini del nostro tempo coltivino maggiormente la consapevolezza del debito che hanno nei confronti della società entro la quale sono inseriti: sono debitori di quelle condizioni che rendono vivibile l'umana esistenza, come pure di quel patrimonio, indivisibile e indispensabile, costituito dalla cultura, dalla conoscenza scientifica e tecnologica, dai beni materiali e immateriali, da tutto ciò che la vicenda umana ha prodotto. Un simile debito va onorato nelle varie manifestazioni dell'agire sociale, così che il cammino degli uomini non si interrompa, ma resti aperto alle generazioni presenti e a quelle future, chiamate insieme, le une e le altre, a condividere, nella solidarietà, lo stesso dono. La solidarietà nella vita e nel messaggio di Gesù Cristo 196 Il vertice insuperabile della prospettiva indicata è la vita di Gesù di Nazaret, l'Uomo nuovo, solidale con l'umanità fino alla "morte di croce" ( Fil 2,8 ): in Lui è sempre possibile riconoscere il Segno vivente di quell'amore incommensurabile e trascendente del Dio-con-noi, che si fa carico delle infermità del Suo popolo, cammina con esso, lo salva e lo costituisce in unità. In Lui, e grazie a Lui, anche la vita sociale può essere riscoperta, pur con tutte le sue contraddizioni e ambiguità, come luogo di vita e di speranza, in quanto segno di una Grazia che di continuo è a tutti offerta e che invita alle forme più alte e coinvolgenti di condivisione. Gesù di Nazaret fa risplendere dinanzi agli occhi di tutti gli uomini il nesso tra solidarietà e carità, illuminandone l'intero significato: "Alla luce della fede, la solidarietà tende a superare se stessa, a rivestire le dimensioni specificamente cristiane della gratuità totale, del perdono e della riconciliazione. Allora il prossimo non è soltanto un essere umano con i suoi diritti e la sua fondamentale eguaglianza davanti a tutti, ma diviene la viva immagine di Dio Padre, riscattata dal sangue di Gesù Cristo e posta sotto l'azione permanente dello Spirito Santo. Egli, pertanto, deve essere amato, anche se nemico, con lo stesso amore con cui lo ama il Signore, e per lui bisogna essere disposti al sacrificio, anche supremo: "Dare la vita per i propri fratelli" ( 1 Gv 3,16 ) ". Rapporto tra principi e valori 197 La dottrina sociale della Chiesa, oltre ai principi che devono presiedere all'edificazione di una società degna dell'uomo, indica anche dei valori fondamentali. Il rapporto tra principi e valori è indubbiamente di reciprocità, in quanto i valori sociali esprimono l'apprezzamento da attribuire a quei determinati aspetti del bene morale che i principi intendono conseguire, offrendosi come punti di riferimento per l'opportuna strutturazione e la conduzione ordinata della vita sociale. I valori richiedono, pertanto, sia la pratica dei principi fondamentali della vita sociale, sia l'esercizio personale delle virtù, e quindi degli atteggiamenti morali corrispondenti ai valori stessi. Tutti i valori sociali sono inerenti alla dignità della persona umana, della quale favoriscono l'autentico sviluppo, e sono, essenzialmente: la verità, la libertà, la giustizia, l'amore. La loro pratica è via sicura e necessaria per raggiungere il perfezionamento personale e una convivenza sociale più umana; essi costituiscono l'imprescindibile riferimento per i responsabili della cosa pubblica, chiamati ad attuare "le riforme sostanziali delle strutture economiche, politiche, culturali e tecnologiche e i necessari cambiamenti nelle istituzioni". Il rispetto della legittima autonomia delle realtà terrene induce la Chiesa a non riservarsi competenze specifiche di ordine tecnico e temporale, ma non le impedisce di intervenire per mostrare come, nelle differenti scelte dell'uomo, tali valori siano affermati o, viceversa, negati. La verità 198 Gli uomini sono tenuti in modo particolare a tendere di continuo alla verità, a rispettarla e ad attestarla responsabilmente. Vivere nella verità ha un significato speciale nei rapporti sociali: la convivenza fra gli esseri umani all'interno di una comunità, infatti, è ordinata, feconda e rispondente alla loro dignità di persone, quando si fonda sulla verità. Quanto più le persone e i gruppi sociali si sforzano di risolvere i problemi sociali secondo verità, tanto più si allontanano dall'arbitrio e si conformano alle esigenze obiettive della moralità. Il nostro tempo richiede un'intensa attività educativa e un corrispondente impegno da parte di tutti, affinché la ricerca della verità, non riconducibile all'insieme o a qualcuna delle diverse opinioni, sia promossa in ogni ambito, e prevalga su ogni tentativo di relativizzarne le esigenze o di recarle offesa. E una questione che investe in modo particolare il mondo della comunicazione pubblica e quello dell'economia. In essi, l'uso spregiudicato del denaro fa emergere degli interrogativi sempre più pressanti, che rimandano necessariamente a un bisogno di trasparenza e di onestà nell'agire, personale e sociale. La libertà 199 La libertà è nell'uomo segno altissimo dell'immagine divina e, di conseguenza, segno della sublime dignità di ogni persona umana: " La libertà si esercita nei rapporti tra gli esseri umani. Ogni persona umana, creata ad immagine di Dio, ha il diritto naturale di essere riconosciuta come un essere libero e responsabile. Tutti hanno verso ciascuno il dovere di questo rispetto. Il diritto all'esercizio della libertà è un'esigenza inseparabile dalla dignità della persona umana ". Non si deve restringere il significato della libertà, considerandola in una prospettiva puramente individualistica e riducendola a esercizio arbitrario e incontrollato della propria personale autonomia: " Lungi dal compiersi in una totale autarchia dell'io e nell'assenza di relazioni, la libertà non esiste veramente se non là dove legami reciproci, regolati dalla verità e dalla giustizia, uniscono le persone ". La comprensione della libertà diventa profonda e ampia quando essa viene tutelata, anche a livello sociale, nella totalità delle sue dimensioni. 200 Il valore della libertà, in quanto espressione della singolarità di ogni persona umana, viene rispettato quando a ciascun membro della società è consentito di realizzare la propria personale vocazione; cercare la verità e professare le proprie idee religiose, culturali e politiche; esprimere le proprie opinioni; decidere il proprio stato di vita e, per quanto possibile, il proprio lavoro; assumere iniziative di carattere economico, sociale e politico. Ciò deve avvenire entro un " solido contesto giuridico ", nei limiti del bene comune e dell'ordine pubblico e, in ogni caso, all'insegna della responsabilità. La libertà deve esplicarsi, d'altra parte, anche come capacità di rifiuto di ciò che è moralmente negativo, sotto qualunque forma si presenti, come capacità di effettivo distacco da tutto ciò che può ostacolare la crescita personale, familiare e sociale. La pienezza della libertà consiste nella capacità di disporre di sé in vista dell'autentico bene, entro l'orizzonte del bene comune universale. La giustizia 201 La giustizia è un valore, che si accompagna all'esercizio della corrispondente virtù morale cardinale. Secondo la sua più classica formulazione, "essa consiste nella costante e ferma volontà di dare a Dio e al prossimo ciò che è loro dovuto". Dal punto di vista soggettivo la giustizia si traduce nell'atteggiamento determinato dalla volontà di riconoscere l'altro come persona, mentre, dal punto di vista oggettivo, essa costituisce il criterio determinante della moralità nell'ambito inter-soggettivo e sociale. Il Magistero sociale richiama al rispetto delle forme classiche della giustizia: quella commutativa, quella distributiva, quella legale. Un rilievo sempre maggiore ha in esso acquisito la giustizia sociale che rappresenta un vero e proprio sviluppo della giustizia generale, regolatrice dei rapporti sociali in base al criterio dell'osservanza della legge. La giustizia sociale, esigenza connessa alla questione sociale, che oggi si manifesta in una dimensione mondiale, concerne gli aspetti sociali, politici ed economici e, soprattutto, la dimensione strutturale dei problemi e delle correlative soluzioni. 202 La giustizia risulta particolarmente importante nel contesto attuale, in cui il valore della persona, della sua dignità e dei suoi diritti, al di là delle proclamazioni d'intenti, è seriamente minacciato dalla diffusa tendenza a ricorrere esclusivamente ai criteri dell'utilità e dell'avere. Anche la giustizia, sulla base di tali criteri, viene considerata in modo riduttivo, mentre acquista un più pieno e autentico significato nell'antropologia cristiana. La giustizia, infatti, non è una semplice convenzione umana, perché quello che è "giusto" non è originariamente determinato dalla legge, ma dall'identità profonda dell'essere umano. 203 La piena verità sull'uomo permette di superare la visione contrattualistica della giustizia, che è visione limitata, e di aprire anche per la giustizia l'orizzonte della solidarietà e dell'amore: "Da sola, la giustizia non basta. Può anzi arrivare a negare se stessa, se non si apre a quella forza più profonda che è l'amore". Al valore della giustizia, infatti, la dottrina sociale accosta quello della solidarietà, in quanto via privilegiata della pace. Se la pace è frutto della giustizia, "oggi si potrebbe dire, con la stessa esattezza e la stessa forza di ispirazione biblica ( Is 32,17; Gc 3,18 ): Opus solidaritatis pax, la pace come frutto della solidarietà". Il traguardo della pace, infatti, " sarà certamente raggiunto con l'attuazione della giustizia sociale e internazionale, ma anche con la pratica delle virtù che favoriscono la convivenza e ci insegnano a vivere uniti, per costruire uniti, dando e ricevendo, una società nuova e un mondo migliore". La via della carità 204 Tra le virtù nel loro complesso, e in particolare tra virtù, valori sociali e carità, sussiste un profondo legame, che deve essere sempre più accuratamente riconosciuto. La carità, ristretta spesso all'ambito delle relazioni di prossimità, o limitata agli aspetti soltanto soggettivi dell'agire per l'altro, deve essere riconsiderata nella sua autentica valenza di criterio supremo e universale dell'intera etica sociale. Tra tutte le vie, anche quelle ricercate e percorse per affrontare le forme sempre nuove dell'attuale questione sociale, la "migliore di tutte" ( 1 Cor 12,31 ) è la via tracciata dalla carità. 205 I valori della verità, della giustizia, della libertà nascono e si sviluppano dalla sorgente interiore della carità: la convivenza umana è ordinata, feconda di bene e rispondente alla dignità dell'uomo, quando si fonda sulla verità; si attua secondo giustizia, ossia nell'effettivo rispetto dei diritti e nel leale adempimento dei rispettivi doveri; è attuata nella libertà che si addice alla dignità degli uomini, spinti dalla loro stessa natura razionale ad assumersi la responsabilità del proprio operare; è vivificata dall'amore, che fa sentire come propri i bisogni e le esigenze altrui e rende sempre più intense la comunione dei valori spirituali e la sollecitudine per le necessità materiali. Questi valori costituiscono dei pilastri dai quali riceve solidità e consistenza l'edificio del vivere e dell'operare: sono valori che determinano la qualità di ogni azione e istituzione sociale. 206 La carità presuppone e trascende la giustizia: quest'ultima "deve trovare il suo completamento nella carità". Se la giustizia è "di per sé idonea ad "arbitrare" tra gli uomini nella reciproca ripartizione dei beni oggettivi secondo l'equa misura, l'amore invece, e soltanto l'amore ( anche quell'amore benigno, che chiamiamo "misericordia" ), è capace di restituire l'uomo a se stesso". Non si possono regolare i rapporti umani unicamente con la misura della giustizia: " L'esperienza del passato e del nostro tempo dimostra che la giustizia da sola non basta e che, anzi, può condurre alla negazione e all'annientamento di se stessa… È stata appunto l'esperienza storica che, fra l'altro, ha portato a formulare l'asserzione: summum ius, summa iniuria". La giustizia, infatti, "in ogni sfera dei rapporti interumani, deve subire, per così dire, una notevole "correzione" da parte di quell'amore, il quale - come proclama San Paolo - "è paziente" e "benigno" o, in altre parole, porta in sé i caratteri dell'amore misericordioso, tanto essenziali per il Vangelo e per il cristianesimo ". 207 Nessuna legislazione, nessun sistema di regole o di pattuizioni riusciranno a persuadere uomini e popoli a vivere nell'unità, nella fraternità e nella pace, nessuna argomentazione potrà superare l'appello della carità. Soltanto la carità, nella sua qualità di ".forma virtutum ", può animare e plasmare l'agire sociale in direzione della pace nel contesto di un mondo sempre più complesso. Affinché tutto ciò avvenga, occorre però che si provveda a mostrare la carità non solo come ispiratrice dell'azione individuale, ma anche come forza capace di suscitare nuove vie per affrontare i problemi del mondo d'oggi e per rinnovare profondamente dall'interno strutture, organizzazioni sociali, ordinamenti giuridici. In questa prospettiva la carità diventa carità sociale e politica: la carità sociale ci fa amare il bene comune e fa cercare effettivamente il bene di tutte le persone, considerate non solo individualmente, ma anche nella dimensione sociale che le unisce. 208 La carità sociale e politica non si esaurisce nei rapporti tra le persone, ma si dispiega nella rete in cui tali rapporti si inseriscono, che è appunto la comunità sociale e politica, e su questa interviene, mirando al bene possibile per la comunità nel suo insieme. Per tanti aspetti, il prossimo da amare si presenta " in società ", così che amarlo realmente, sovvenire al suo bisogno o alla sua indigenza può voler dire qualcosa di diverso dal bene che gli si può volere sul piano puramente inter-individuale: amarlo sul piano sociale significa, a seconda delle situazioni, avvalersi delle mediazioni sociali per migliorare la sua vita oppure rimuovere i fattori sociali che causano la sua indigenza. È indubbiamente un atto di carità l'opera di misericordia con cui si risponde qui e ora ad un bisogno reale ed impellente del prossimo, ma è un atto di carità altrettanto indispensabile l'impegno finalizzato ad organizzare e strutturare la società in modo che il prossimo non abbia a trovarsi nella miseria, soprattutto quando questa diventa la situazione in cui si dibatte uno sterminato numero di persone e perfino interi popoli, situazione che assume, oggi, le proporzioni di una vera e propria questione sociale mondiale. La famiglia prima società naturale 209 L'importanza e la centralità della famiglia, in ordine alla persona e alla società, è ripetutamente sottolineata nella Sacra Scrittura: "Non è bene che l'uomo sia solo" ( Gen 2,18 ). Fin dai testi che narrano la creazione dell'uomo ( Gen 1,26-28; Gen 2,7-24 ) emerge come - nel disegno di Dio - la coppia costituisca "la prima forma di comunione di persone ". Eva è creata simile ad Adamo, come colei che, nella sua alterità, lo completa ( Gen 2,18 ) per formare con lui "una sola carne" ( Gen 2,24; Mt 19,5-6 ). Al tempo stesso, entrambi sono impegnati nel compito procreativo, che li rende collaboratori del Creatore: " Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra" ( Gen 1,28 ). La famiglia si delinea, nel disegno del Creatore, come " il luogo primario della "umanizzazione" della persona e della società" e "culla della vita e dell'amore". 210 Nella famiglia si impara a conoscere l'amore e la fedeltà del Signore e la necessità di corrispondervi ( Es 12,25-27; Es 13,8.14-15; Dt 6,20-25; Dt 13,7-11; 1 Sam 3,13 ); i figli apprendono le prime e più decisive lezioni della sapienza pratica a cui sono collegate le virtù ( Pr 1,8-9; Pr 4,1-4; Pr 6,20-21; Sir 3,1-16; Sir 7,27-28 ). Per tutto questo, il Signore si fa garante dell'amore e della fedeltà coniugale ( Ml 2,14-15 ). Gesù nacque e visse in una famiglia concreta accogliendone tutte le caratteristiche proprie e conferì eccelsa dignità all'istituto matrimoniale, costituendolo come sacramento della nuova alleanza ( Mt 19,3-9 ). In tale prospettiva, la coppia trova tutta la sua dignità e la famiglia la saldezza sua propria. 211 Illuminata dalla luce del messaggio biblico, la Chiesa considera la famiglia come la prima società naturale, titolare di diritti propri e originari, e la pone al centro della vita sociale: relegare la famiglia " ad un ruolo subalterno e secondario, escludendola dalla posizione che le spetta nella società, significa recare un grave danno all'autentica crescita dell'intero corpo sociale". Infatti, la famiglia, che nasce dall'intima comunione di vita e d'amore coniugale fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna, possiede una sua specifica e originaria dimensione sociale, in quanto luogo primario di relazioni interpersonali, prima e vitale cellula della società: essa è un'istituzione divina che sta a fondamento della vita delle persone, come prototipo di ogni ordinamento sociale. L'importanza della famiglia per la persona 212 La famiglia è importante e centrale in riferimento alla persona. In questa culla della vita e dell'amore, l'uomo nasce e cresce: quando nasce un bambino, alla società viene fatto il dono di una nuova persona, che è " chiamata dall'intimo di sé alla comunione con gli altri e alla donazione agli altri". Nella famiglia, pertanto, il dono reciproco di sé da parte dell'uomo e della donna uniti in matrimonio crea un ambiente di vita nel quale il bambino può " sviluppare le sue potenzialità, diventare consapevole della sua dignità e prepararsi ad affrontare il suo unico ed irripetibile destino ". Nel clima di naturale affetto che lega i membri di una comunità familiare, le persone sono riconosciute e responsabilizzate nella loro integralità: " La prima e fondamentale struttura a favore dell' "ecologia umana" è la famiglia, in seno alla quale l'uomo riceve le prime e determinanti nozioni intorno alla verità ed al bene, apprende che cosa vuoi dire amare ed essere amati e, quindi, che cosa vuoi dire in concreto essere una persona ". Gli obblighi dei suoi membri, infatti, non sono limitati dai termini di un contratto, ma derivano dall'essenza stessa della famiglia, fondata su un patto coniugale irrevocabile e strutturata dai rapporti che ne derivano in seguito alla generazione o all'adozione dei figli. L'importanza della famiglia per la società 213 La famiglia, comunità naturale in cui si esperimenta la socialità umana, contribuisce in modo unico e insostituibile al bene della società. La comunità familiare, infatti, nasce dalla comunione delle persone: "La "comunione" riguarda la relazione personale tra l'"io" e il "tu". La "comunità" invece supera questo schema nella direzione di una "società", di un "noi". La famiglia, comunità di persone, è pertanto la prima "società" umana". Una società a misura di famiglia è la migliore garanzia contro ogni deriva di tipo individualista o collettivista, perché in essa la persona è sempre al centro dell'attenzione in quanto fine e mai come mezzo. E del tutto evidente che il bene delle persone e il buon funzionamento della società sono strettamente connessi "con una felice collocazione della comunità coniugale e familiare ". Senza famiglie forti nella comunione e stabili nell'impegno, i popoli si indeboliscono. Nella famiglia vengono inculcati fin dai primi anni di vita i valori morali, si trasmette il patrimonio spirituale della comunità religiosa e quello culturale della Nazione. In essa si fa l'apprendistato delle responsabilità sociali e della solidarietà. 214 Va affermata la priorità della famiglia rispetto alla società e allo Stato. La famiglia, infatti, almeno nella sua funzione procreativa, è la condizione stessa della loro esistenza. Nelle altre funzioni a vantaggio di ciascuno dei suoi mèmbri essa precede, per importanza e valore, le funzioni che la società e lo Stato devono svolgere. La famiglia, soggetto titolare di diritti inviolabili, trova la sua legittimazione nella natura umana e non nel riconoscimento dello Stato. Essa non è, quindi, per la società e per lo Stato, bensì la società e lo Stato sono per la famiglia. Ogni modello sociale che intenda servire il bene dell'uomo non può prescindere dalla centralità e dalla responsabilità sociale della famiglia. La società e lo Stato, nelle loro relazioni con la famiglia, hanno invece l'obbligo di attenersi al principio di sussidiarietà. In forza di tale principio, le autorità pubbliche non devono sottrarre alla famiglia quei compiti che essa può svolgere bene da sola o liberamente associata con altre famiglie; d'altra parte, le stesse autorità hanno il dovere di sostenere la famiglia assicurandole tutti gli aiuti di cui essa ha bisogno per assumere in modo adeguato tutte le sue responsabilità. Il valore del matrimonio 215 La famiglia ha il suo fondamento nella libera volontà dei coniugi di unirsi in matrimonio, nel rispetto dei significati e dei valori propri di questo istituto, che non dipende dall'uomo, ma da Dio stesso: "questo vincolo sacro in vista del bene sia dei coniugi e della prole che della società non dipende dall'arbitrio umano. Infatti è Dio stesso l'autore del matrimonio, dotato di molteplici valori e fini ". L'istituto del matrimonio - " intima comunione coniugale di vita e d'amore, fondata dal Creatore e dotata di leggi proprie " - non è dunque una creazione dovuta a convenzioni umane e ad imposizioni legislative, ma deve la sua stabilità all'ordinamento divino. E un istituto che nasce, anche per la società, "dall'atto umano col quale i coniugi vicendevolmente si danno e si ricevono " e si fonda sulla stessa natura dell'amore coniugale che, in quanto dono totale ed esclusivo, da persona a persona, comporta un impegno definitivo espresso con il consenso reciproco, irrevocabile e pubblico. Tale impegno comporta che i rapporti tra i membri della famiglia siano improntati anche al senso della giustizia e, quindi, al rispetto dei reciproci diritti e doveri. 216 Nessun potere può abolire il diritto naturale al matrimonio ne modificarne i caratteri e la finalità. Il matrimonio, infatti, è dotato di caratteristiche proprie, originarie e permanenti. Nonostante i numerosi mutamenti verificatisi nel corso dei secoli nelle varie culture, strutture sociali e attitudini spirituali, in tutte le culture esiste un certo senso della dignità dell'unione matrimoniale, sebbene non traspaia ovunque con la stessa chiarezza. Tale dignità va rispettata nelle sue caratteristiche specifiche, che esigono di essere salvaguardate di fronte ad ogni tentativo di stravolgimento. La società non può disporre del legame matrimoniale, con il quale i due sposi si promettono fedeltà, assistenza e accoglienza dei figli, ma è abilitata a disciplinarne gli effetti civili. 217 Il matrimonio ha come suoi tratti caratteristici: la totalità, per cui i coniugi si donano reciprocamente in tutte le componenti della persona, fisiche e spirituali; l'unità che li rende " una sola carne " ( Gen 2,24 ); l'indissolubilità e la fedeltà che la donazione reciproca e definitiva comporta; la fecondità a cui essa naturalmente si apre. Il sapiente disegno di Dio sul matrimonio - disegno accessibile alla ragione umana, nonostante le difficoltà dovute alla durezza del cuore ( Mt 19,8; Mc 10,5 ) - non può essere valutato esclusivamente alla luce dei comportamenti di fatto e delle situazioni concrete che se ne discostano. È una negazione radicale del disegno originale di Dio la poligamia, " perché è contraria alla pari dignità personale dell'uomo e della donna, che nel matrimonio si donano con un amore totale e perciò stesso unico ed esclusivo ". 218 Il matrimonio, nella sua verità "oggettiva", è ordinato alla procreazione e all'educazione dei figli L'unione matrimoniale, infatti, fa vivere in pienezza quel dono sincero di sé, il cui frutto sono i figli, a loro volta dono per i genitori, per l'intera famiglia e per tutta la società. Il matrimonio, tuttavia, non è stato istituito unicamente in vista della procreazione: il suo carattere indissolubile e il suo valore di comunione permangono anche quando i figli, pur vivamente desiderati, non giungono a completare la vita coniugale. Gli sposi, in questo caso, " possono mostrare la loro generosità adottando bambini abbandonati oppure compiendo servizi significativi a favore del prossimo ". Il sacramento del matrimonio 219 La realtà umana e originaria del matrimonio è vissuta dai battezzati, per istituzione di Cristo, nella forma soprannaturale del sacramento, segno e strumento di Grazia. La storia della salvezza è percorsa dal tema dell'alleanza sponsale, significativa espressione della comunione d'amore tra Dio e gli uomini e chiave simbolica per comprendere le tappe della grande alleanza tra Dio e il Suo popolo. Il centro della rivelazione del progetto d'amore divino è il dono che Dio fa all'umanità del Figlio Suo Gesù Cristo, "lo Sposo che ama e si dona come Salvatore all'umanità, unendola a Sé come suo corpo. Egli rivela la verità originaria del matrimonio, la verità del "principio" ( Gen 2,24; Mt 19,5 ) e, liberando l'uomo dalla durezza del cuore, lo rende capace di realizzarla interamente". Dall'amore sponsale di Cristo per la Chiesa, che mostra la sua pienezza nell'offerta consumata sulla Croce, discende la sacramentalità del matrimonio, la cui Grazia conforma l'amore degli sposi all'Amore di Cristo per la Chiesa. Il matrimonio, in quanto sacramento, è un'alleanza di un uomo e una donna nell'amore. 220 Il sacramento del matrimonio assume la realtà umana dell'amore coniugale in tutte le implicazioni e " abilita e impegna i coniugi e i genitori cristiani a vivere la loro vocazione di laici, e pertanto a "cercare il regno di Dio trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio" ". Intimamente unita alla Chiesa in forza del vincolo sacramentale che la rende Chiesa domestica o piccola Chiesa, la famiglia cristiana è chiamata " ad essere segno di unità per il mondo e ad esercitare in tal modo il suo ruolo profetico testimoniando il Regno e la pace di Cristo, verso cui il mondo intero è in cammino". La carità coniugale, che sgorga dalla carità stessa di Cristo, offerta attraverso il Sacramento, rende i coniugi cristiani testimoni di una socialità nuova, ispirata al Vangelo e al Mistero pasquale. La dimensione naturale del loro amore viene costantemente purificata, consolidata ed elevata dalla grazia sacramentale. In questo modo, i coniugi cristiani, oltre ad aiutarsi reciprocamente nel cammino di santificazione, diventano segno e strumento della carità di Cristo nel mondo. Con la loro stessa vita essi sono chiamati ad essere testimoni e annunciatori del significato religioso del matrimonio, che la società attuale fa sempre più fatica a riconoscere, specialmente quando accoglie visioni relativistiche anche dello stesso fondamento naturale dell'istituto matrimoniale. L'amore e la formazione di una comunità di persone 221 La famiglia si propone come spazio di quella comunione, tanto necessaria in una società sempre più individualistica, nel quale far crescere un'autentica comunità di persone grazie all'incessante dinamismo dell'amore, che è la dimensione fondamentale dell'esperienza umana e che trova proprio nella famiglia un luogo privilegiato per manifestarsi: " L'amore fa si che l'uomo si realizzi attraverso il dono sincero di sé: amare significa dare e ricevere quanto non si può ne comperare ne vendere, ma solo liberamente e reciprocamente elargire ". Grazie all'amore, realtà essenziale per definire il matrimonio e la famiglia, ogni persona, uomo e donna, è riconosciuta, accolta e rispettata nella sua dignità. Dall'amore nascono rapporti vissuti all'insegna della gratuità, la quale " rispettando e favorendo in tutti e in ciascuno la dignità personale come unico titolo di valore, diventa accoglienza cordiale, incontro e dialogo, disponibilità disinteressata, servizio generoso, solidarietà profonda". L'esistenza di famiglie che vivono in tale spirito mette a nudo le carenze e le contraddizioni di una società orientata prevalentemente, se non esclusivamente, da criteri di efficienza e funzionalità. La famiglia, che vive costruendo ogni giorno una rete di rapporti interpersonali, interni ed esterni, si pone invece come "prima e insostituibile scuola di socialità, esempio e stimolo per i più ampi rapporti comunitari all'insegna del rispetto, della giustizia, del dialogo, dell'amore ". 222 L'amore si esprime anche mediante una premurosa attenzione verso gli anziani che vivono nella famiglia: la loro presenza può assumere un grande valore. Essi sono un esempio di collegamento tra le generazioni, una risorsa per il benessere della famiglia e dell'intera società: " Non solo possono rendere testimonianza del fatto che vi sono aspetti della vita, come i valori umani e culturali, morali e sociali, che non si misurano in termini economici o di funzionalità, ma offrire anche un contributo efficace nell'ambito lavorativo e in quello della responsabilità. Si tratta, infine, non solo di fare qualcosa per gli anziani, ma anche di accettare queste persone come collaboratori responsabili, con modalità che rendano ciò veramente possibile, come agenti di progetti condivisi, in fase sia di programmazione, sia di dialogo o di attuazione ". Come dice la Sacra Scrittura, le persone " nella vecchiaia daranno ancora frutti " ( Sal 92,15 ). Gli anziani costituiscono un'importante scuola di vita, capace di trasmettere valori e tradizioni e di favorire la crescita dei più giovani, i quali imparano così a ricercare non soltanto il proprio bene, ma anche quello altrui. Se gli anziani si trovano in una situazione di sofferenza e dipendenza, non solo hanno bisogno di cure sanitarie e di un'assistenza appropriata, ma, soprattutto, di essere trattati con amore. 223 L'essere umano è fatto per amare e senza amore non può vivere. Quando si manifesta nel dono totale di due persone nella loro complementarità, l'amore non può essere ridotto alle emozioni e ai sentimenti, ne, tanto meno, alla sua sola espressione sessuale. Una società che tende sempre più a relativizzare e a banalizzare l'esperienza dell'amore e della sessualità esalta gli aspetti effimeri della vita e ne oscura i valori fondamentali: diventa quanto mai urgente annunciare e testimoniare che la verità dell'amore e della sessualità coniugale esiste là dove si realizza un dono pieno e totale delle persone con le caratteristiche dell'unità e della fedeltà. Tale verità, fonte di gioia, di speranza e di vita, rimane impenetrabile e irraggiungibile fintanto che si rimane chiusi nel relativismo e nello scetticismo. 224 Di fronte alle teorie che considerano l'identità di genere soltanto come prodotto culturale e sociale derivante dall'interazione tra la comunità e l'individuo, prescindendo dall'identità sessuale personale e senza alcun riferimento al vero significato della sessualità, la Chiesa non si stancherà di ribadire il proprio insegnamento: " Spetta a ciascuno, uomo o donna, riconoscere ed accettare la propria identità sessuale. La differenza e la complementarità fisiche, morali e spirituali sono orientale al bene del matrimonio e allo sviluppo della vita familiare. L'armonia della coppia e della società dipende in parte dal modo in cui si vivono tra i sessi la complementarità, il bisogno vicendevole e il reciproco aiuto". E questa una prospettiva che fa considerare doverosa la conformazione del diritto positivo alla legge naturale, secondo la quale l'identità sessuale è indisponibile, perché è la condizione oggettiva per formare una coppia nel matrimonio. 225 La natura dell'amore coniugale esige la stabilità del rapporto matrimoniale e la sua indissolubilità. La mancanza di questi requisiti pregiudica il rapporto di amore esclusivo e totale proprio del vincolo matrimoniale, con gravi sofferenze per i figli e con risvolti dannosi anche nel tessuto sociale. La stabilità e l'indissolubilità dell'unione matrimoniale non devono essere affidate esclusivamente all'intenzione e all'impegno delle singole persone coinvolte: la responsabilità della tutela e della promozione della famiglia come fondamentale istituzione naturale, proprio in considerazione dei suoi vitali e irrinunciabili aspetti, compete piuttosto all'intera società. La necessità di conferire un carattere istituzionale al matrimonio, fondandolo su un atto pubblico, socialmente e giuridicamente riconosciuto, deriva da basilari esigenze di natura sociale. L'introduzione del divorzio nelle legislazioni civili ha alimentato una visione relativistica del legame coniugale e si è ampiamente manifestata come una " vera piaga sociale ". Le coppie che conservano e sviluppano i beni della stabilità e dell'indissolubilità "assolvono… in modo umile e coraggioso, il compito loro affidato di essere nel mondo un "segno" - un piccolo e prezioso segno, talvolta sottoposto anche a tentazione, ma sempre rinnovato - dell'instancabile fedeltà con cui Dio e Gesù Cristo amano tutti gli uomini e ogni uomo ". 226 La Chiesa non abbandona a se stessi coloro che, dopo un divorzio, si sono risposati. La Chiesa prega per loro, li incoraggia nelle difficoltà di ordine spirituale che incontrano e li sostiene nella fede e nella speranza. Da parte loro queste persone, in quanto battezzate, possono e anzi devono partecipare alla vita ecclesiale: sono esortate ad ascoltare la Parola di Dio, a frequentare il sacrificio della Messa, a perseverare nella preghiera, a dare incremento alle opere di carità e alle iniziative della comunità in favore della giustizia e della pace, a educare i figli nella fede, a coltivare lo spirito e le opere di penitenza per implorare così, di giorno in giorno, la grazia di Dio. La riconciliazione nel sacramento della penitenza - che aprirebbe la strada al sacramento eucaristico - può essere accordata solo a coloro che, pentiti, sono sinceramente disposti ad una forma di vita non più in contraddizione con l'indissolubilità del matrimonio. Agendo in tal modo, la Chiesa professa la propria fedeltà a Cristo e alla Sua verità; nello stesso tempo si comporta con animo materno verso questi suoi figli, specialmente verso coloro che, senza loro colpa, sono stati abbandonati dal loro coniuge legittimo. Con ferma fiducia essa crede che anche quanti si sono allontanati dal comandamento del Signore, ed in tale stato tuttora vivono, potranno ottenere da Dio la grazia della conversione e della salvezza, se avranno perseverato nella preghiera, nella penitenza e nella carità. 227 Le unioni di fatto, il cui numero è progressivamente aumentato, si basano su una falsa concezione della libertà di scelta degli individui e su un'impostazione del tutto privatistica del matrimonio e della famiglia. Il matrimonio non è un semplice patto di convivenza, bensì un rapporto con una dimensione sociale unica rispetto a tutte le altre, in quanto la famiglia, provvedendo alla cura e all'educazione dei figli, si configura come strumento primario per la crescita integrale di ogni persona e per il suo positivo inserimento nella vita sociale. L'eventuale equiparazione legislativa tra la famiglia e le "unioni di fatto " si tradurrebbe in un discredito del modello di famiglia, che non si può realizzare in una precaria relazione tra persone, ma solo in un'unione permanente originata da un matrimonio, ovvero dal patto tra un uomo e una donna, fondato su una reciproca e libera scelta che implica la piena comunione coniugale orientata verso la procreazione. 228 Un problema particolare collegato alle unioni di fatto è quello riguardante la richiesta di riconoscimento giuridico delle unioni omosessuali, sempre più oggetto di pubblico dibattito. Soltanto un'antropologia rispondente alla piena verità dell'uomo può dare una risposta appropriata al problema, che presenta diversi aspetti sia sul piano sociale che ecclesiale. Alla luce di tale antropologia si rivela "quanto sia incongrua la pretesa di attribuire una realtà "coniugale" all'unione fra persone dello stesso sesso. Vi si oppone, innanzi tutto, l'oggettiva impossibilità di far fruttificare il connubio mediante la trasmissione della vita, secondo il progetto inscritto da Dio nella stessa struttura dell'essere umano. È di ostacolo, inoltre, l'assenza dei presupposti per quella complementarità interpersonale che il Creatore ha voluto, tanto sul piano fisico-biologico quanto su quello eminentemente psicologico, tra il maschio e la femmina. È soltanto nell'unione fra due persone sessualmente diverse che può attuarsi il perfezionamento del singolo, in una sintesi di unità e di mutuo completamento psico-fisico". La persona omosessuale deve essere pienamente rispettata nella sua dignità e incoraggiata a seguire il piano di Dio con un impegno particolare nell'esercizio della castità. Il doveroso rispetto non significa legittimazione di comportamenti non conformi alla legge morale ne, tanto meno, il riconoscimento di un diritto al matrimonio tra persone dello stesso sesso, con la conseguente equiparazione della loro unione alla famiglia: " Se dal punto di vista legale il matrimonio tra due persone di sesso diverso fosse solo considerato come uno dei matrimoni possibili, il concetto di matrimonio subirebbe un cambiamento radicale, con grave detrimento del bene comune. Mettendo l'unione omosessuale su un piano giuridico analogo a quello del matrimonio o della famiglia, lo Stato agisce arbitrariamente ed entra in contraddizione con i propri doveri ". 229 La solidità del nucleo familiare è una risorsa determinante per la qualità della convivenza sociale, perciò la comunità civile non può restare indifferente di fronte alle tendenze disgregatrici che minano alla base i suoi stessi pilastri portanti. Se una legislazione può talvolta tollerare comportamenti moralmente inaccettabili, non deve mai indebolire il riconoscimento del matrimonio monogamico indissolubile quale unica forma autentica della famiglia. È pertanto necessario che le pubbliche autorità, " resistendo a queste tendenze disgregatrici della stessa società e dannose per la dignità, sicurezza e benessere dei singoli cittadini, si adoperino perché l'opinione pubblica non sia indotta a sottovalutare l'importanza istituzionale del matrimonio e della famiglia ". È compito della comunità cristiana e di tutti coloro che hanno a cuore il bene della società riaffermare che " la famiglia costituisce, più ancora di un mero nucleo giuridico, sociale ed economico, una comunità di amore e di solidarietà che è in modo unico adatta ad insegnare e a trasmettere valori culturali, etici, sociali, spirituali e religiosi, essenziali per lo sviluppo e il benessere dei propri mèmbri e della società". La famiglia è il santuario della vita 230 L'amore coniugale è per sua natura aperto all'accoglienza della vita. Nel compito procreativo si rivela in modo eminente la dignità dell'essere umano, chiamato a farsi interprete della bontà e della fecondità che discendono da Dio: " La paternità e la maternità umane, pur essendo biologicamente simili a quelle di altri esseri in natura, hanno in sé in modo essenziale ed esclusivo una "somiglianza" con Dio, sulla quale si fonda la famiglia, intesa come comunità di vita umana, come comunità di persone unite nell'amore ( communio personarum ) ". La procreazione esprime la soggettività sociale della famiglia ed avvia un dinamismo di amore e di solidarietà tra le generazioni che sta alla base della società. Occorre riscoprire il valore sociale di particella del bene comune insito in ogni nuovo essere umano: ogni bambino "fa di sé un dono ai fratelli, alle sorelle, ai genitori, all'intera famiglia. La sua vita diventa dono per gli stessi donatori della vita, i quali non potranno non sentire la presenza del figlio, la sua partecipazione alla loro esistenza, il suo apporto al bene comune loro e della comunità familiare ". 231 La famiglia fondata sul matrimonio è davvero il santuario della vita, " il luogo in cui la vita, dono di Dio, può essere adeguatamente accolta e protetta contro i molteplici attacchi a cui è esposta, e può svilupparsi secondo le esigenze di un'autentica crescita umana". Determinante e insostituibile è il ruolo della famiglia per la promozione e la costruzione della cultura della vita contro il diffondersi di una " "anti-civiltà" distruttiva, com'è confermato oggi da tante tendenze e situazioni di fatto ". Le famiglie cristiane, in forza del sacramento ricevuto, hanno la peculiare missione di essere testimoni e annunciatrici del Vangelo della vita. E un impegno che assume nella società il valore di vera e coraggiosa profezia. E per questo motivo che " servire il Vangelo della vita comporta che le famiglie, specie partecipando ad apposite associazioni, si adoperino affinché le leggi e le istituzioni dello Stato non ledano in nessun modo il diritto alla vita, dal concepimento alla morte naturale, ma lo difendano e lo promuovano". 232 La famiglia contribuisce in modo eminente al bene sociale mediante la paternità e la maternità responsabili, forme peculiari della speciale partecipazione dei coniugi all'opera creatrice di Dio. L'onere di una simile responsabilità non può essere invocato per giustificare chiusure egoistiche, ma deve guidare le scelte dei coniugi verso una generosa accoglienza della vita: " In rapporto alle condizioni fisiche, economiche, psicologiche e sociali, la paternità responsabile si esercita, sia con la deliberazione ponderata e generosa di far crescere una famiglia numerosa, sia con la decisione, presa per gravi motivi e nel rispetto della legge morale, di evitare temporaneamente od anche a tempo indeterminato una nuova nascita". Le motivazioni che devono guidare gli sposi nell'esercizio responsabile della paternità e della maternità derivano dal pieno riconoscimento dei propri doveri verso Dio, verso se stessi, verso la famiglia e verso la società, in una giusta gerarchia di valori. 233 Circa i " mezzi " per attuare la procreazione responsabile, vanno anzitutto rifiutati come moralmente illeciti sia la sterilizzazione sia l'aborto. Quest'ultimo, in particolare, è un abominevole delitto e costituisce sempre un disordine morale particolarmente grave; lungi dall'essere un diritto, è piuttosto un triste fenomeno che contribuisce gravemente alla diffusione di una mentalità contro la vita, minacciando pericolosamente una giusta e democratica convivenza sociale. Va pure rifiutato il ricorso ai mezzi contraccettivi nelle loro diverse forme: tale rifiuto si fonda su una corretta e integrale concezione della persona e della sessualità umana ed ha il valore di un'istanza morale a difesa del vero sviluppo dei popoli. Le stesse ragioni di ordine antropologico giustificano, invece, come lecito il ricorso all'astinenza periodica nei periodi di fertilità femminile. Rifiutare la contraccezione e ricorrere ai metodi naturali di regolazione della natalità significa scegliere di impostare i rapporti interpersonali tra coniugi sul reciproco rispetto e sulla totale accoglienza, con positivi riflessi anche per la realizzazione di un ordine sociale più umano. 234 Il giudizio circa l'intervallo tra le nascite e il numero dei figli da procreare spetta soltanto agli sposi. E questo un loro diritto inalienabile, da esercitare davanti a Dio, considerando i doveri verso se stessi, verso i figli già nati, la famiglia e la società. L'intervento dei pubblici poteri, nell'ambito delle loro competenze, per la diffusione di un'appropriata informazione e l'adozione di opportune misure in campo demografico, deve essere compiuto nel rispetto delle persone e della libertà delle coppie: non può mai sostituirsi alle loro scelte; tanto meno lo possono fare le varie organizzazioni operanti in questo settore. Sono moralmente condannabili come attentati alla dignità della persona e della famiglia tutti i programmi di aiuto economico destinati a finanziare campagne di sterilizzazione e di contraccezione o subordinati all'accettazione di tali campagne. La soluzione delle questioni connesse alla crescita demografica deve essere piuttosto perseguita nel simultaneo rispetto sia della morale sessuale sia di quella sociale, promovendo una maggiore giustizia e autentica solidarietà per dare ovunque dignità alla vita a cominciare dalle condizioni economiche, sociali e culturali. 235 Il desiderio di maternità e paternità non giustifica alcun " diritto al figlio", mentre invece sono evidenti i diritti del nascituro, al quale devono essere garantite condizioni ottimali di esistenza, mediante la stabilità della famiglia fondata sul matrimonio e la complementarità delle due figure, paterna e materna. Il rapido sviluppo della ricerca e delle sue applicazioni tecniche nella sfera della riproduzione pone nuove e delicate questioni che chiamano in causa la società e le norme che regolano la convivenza umana. Occorre ribadire che non sono moralmente accettabili tutte le tecniche riproduttive - quali la donazione di sperma o di ovocita; la maternità sostitutiva; la fecondazione artificiale eterologa - che prevedono il ricorso all'utero o a gameti di persone estranee alla coppia coniugale, ledendo il diritto del figlio a nascere da un padre e da una madre che siano tali dal punto di vista sia biologico sia giuridico, oppure separano l'atto unitivo da quello procreativo ricorrendo a tecniche di laboratorio, quali l'inseminazione e la fecondazione artificiale omologa, così che il figlio appare come il risultato di un atto tecnico più che come il naturale frutto dell'atto umano di piena e totale donazione dei coniugi. Evitare il ricorso alle diverse forme di cosiddetta procreazione assistita, sostitutiva dell'atto coniugale, significa rispettare - sia nei genitori sia nei figli che essi intendono generare - l'integrale dignità della persona umana. Sono leciti, invece, i mezzi che si configurano come aiuto all'atto coniugale o al raggiungimento dei suoi effetti. 236 Una questione di particolare rilevanza sociale e culturale, per le molteplici e gravi implicazioni morali che presenta, è quella riferita alla clonazione umana, termine che di per sé, in senso generico, significa riproduzione di una entità biologica geneticamente identica a quella di origine. Essa ha assunto, nel pensiero e nella prassi sperimentale, diversi significati, che suppongono, a loro volta, procedimenti diversi dal punto di vista delle modalità tecniche di realizzazione, nonché finalità differenti. Può significare la semplice replicazione in laboratorio di cellule o di porzioni di DNA. Ma specificamente oggi si intende la riproduzione di individui, allo stadio embrionale con modalità diverse dalla fecondazione naturale e in modo che siano geneticamente identici con l'individuo da cui traggono origine. Questo tipo di clonazione può avere la finalità riproduttiva di embrioni umani o quella cosiddetta terapeutica, tendente ad utilizzare tali embrioni per fini di ricerca scientifica o più specificamente per la produzione di cellule staminali. Dal punto di vista etico la semplice replicazione di cellule normali o di porzioni di DNA non presenta problemi etici particolari. Ben diverso è il giudizio del Magistero sulla clonazione propriamente detta. E contraria alla dignità della procreazione umana perché si realizza in assenza totale dell'atto di amore personale tra gli sposi, essendo una riproduzione agamica e asessuale. In secondo luogo, questo tipo di riproduzione rappresenta una forma di dominio totale sull'individuo riprodotto da parte di chi lo riproduce. Il fatto che venga attuata la clonazione per riprodurre embrioni da cui prelevare cellule che possono essere usate per la terapia non attenua la gravita morale, anche perché per prelevare tali cellule l'embrione deve essere prima prodotto e poi soppresso. 237 I genitori, quali ministri della vita, non devono mai dimenticare che la dimensione spirituale della procreazione merita una considerazione superiore a quella riservata a qualsiasi altro aspetto: "La paternità e la maternità rappresentano un compito di natura non semplicemente fisica, ma spirituale; attraverso di esse, infatti, passa la genealogia della persona, che ha il suo eterno inizio in Dio e che a Lui deve condurre". Accogliendo la vita umana nella unitarietà delle sue dimensioni, fisiche e spirituali, le famiglie contribuiscono alla " comunione delle generazioni " e danno in questo modo un essenziale e insostituibile contributo allo sviluppo della società. Per questa ragione, " la famiglia ha diritto all'assistenza da parte della società per quanto concerne i suoi compiti circa la procreazione e l'educazione dei figli. Le coppie sposate, aventi una famiglia numerosa, hanno diritto a un adeguato aiuto e non devono essere sottoposte a discriminazione ". Il compito educativo 238 Con l'opera educativa, la famiglia forma l'uomo alla pienezza della sua dignità secondo tutte le sue dimensioni, compresa quella sociale. La famiglia, infatti, costituisce "una comunità di amore e di solidarietà che è in modo unico adatta ad insegnare e a trasmettere valori culturali, etici, sociali, spirituali e religiosi, essenziali per lo sviluppo e il benessere dei propri membri e della società". Esercitando la sua missione educativa, la famiglia contribuisce al bene comune e costituisce la prima scuola di virtù sociali, di cui tutte le società hanno bisogno. Le persone sono aiutate in famiglia a crescere nella libertà e nella responsabilità, premesse indispensabili per l'assunzione di qualsiasi compito nella società. Con l'educazione, inoltre, vengono comunicati, per essere assimilati e fatti propri da ciascuno, alcuni valori fondamentali, necessari per essere cittadini liberi, onesti e responsabili. 239 La famiglia ha un ruolo del tutto originale e insostituibile nell'educazione dei figli. L'amore dei genitori, mettendosi al servizio dei figli per aiutarli a trarre da loro ( " e-ducere " ) il meglio di sé, trova la sua piena realizzazione proprio nel compito educativo: "l'amore dei genitori da sorgente diventa anima e pertanto norma, che ispira e guida tutta l'azione educativa concreta, arricchendola di quei valori di dolcezza, costanza, bontà, servizio, disinteresse, spirito di sacrificio, che sono il più prezioso frutto dell'amore". Il diritto-dovere dei genitori di educare la prole si qualifica "come essenziale, connesso com'è con la trasmissione della vita umana; come originale e primario, rispetto al compito educativo di altri, per l'unicità del rapporto d'amore che sussiste tra genitori e figli; come insostituibile ed inalienabile, e … pertanto non può essere totalmente delegato ad altri, ne da altri usurpato ". I genitori hanno il diritto-dovere di impartire un'educazione religiosa e una formazione morale ai loro figli: diritto che non può essere cancellato dallo Stato, ma rispettato e promosso; dovere primario, che la famiglia non può trascurare o delegare. 240 I genitori sono i primi, ma non gli unici, educatori dei lori figli. Spetta a loro, dunque, esercitare con senso di responsabilità l'opera educativa in stretta e vigile collaborazione con gli organismi civili ed ecclesiali: " la stessa dimensione comunitaria, civile ed ecclesiale, dell'uomo esige e conduce ad un'opera più ampia ed articolata, che sia il frutto della collaborazione ordinata delle diverse forze educative. Queste forze sono tutte necessarie, anche se ciascuna può e deve intervenire con una sua competenza e con un suo contributo propri". I genitori hanno il diritto di scegliere gli strumenti formativi rispondenti alle proprie convinzioni e di cercare i mezzi che possano aiutarli nel loro compito di educatori, anche nell'ambito spirituale e religioso. Le autorità pubbliche hanno il dovere di garantire tale diritto e di assicurare le condizioni concrete che ne consentono l'esercizio. In tale contesto si pone anzitutto il tema della collaborazione tra famiglia e istituzione scolastica. 241 I genitori hanno il diritto di fondare e sostenere istituzioni educative. Le autorità pubbliche devono far sì che " i pubblici sussidi siano stanziati in maniera che i genitori siano veramente liberi nell'esercitare questo diritto, senza andare incontro ad oneri ingiusti. Non si devono costringere i genitori a sostenere, direttamente o indirettamente, spese supplementari, che impediscano o limitino ingiustamente l'esercizio di questa libertà ". E da considerarsi un'ingiustizia il rifiuto di sostegno economico pubblico alle scuole non statali che ne abbiano necessità e rendano un servizio alla società civile: "Quando lo Stato rivendica a sé il monopolio scolastico, oltrepassa i suoi diritti e offende la giustizia… Lo Stato non può, senza commettere un'ingiustizia, accontentarsi di tollerare le scuole cosiddette private. Queste rendono un servizio pubblico e, di conseguenza, hanno il diritto di essere aiutate economicamente". 242 La famiglia ha la responsabilità di offrire un 'educazione integrale. Ogni vera educazione, infatti, deve promuovere "la formazione della persona umana in vista del suo fine ultimo, e contemporaneamente per il bene della società di cui l'uomo è membro e alle cui responsabilità, divenuto adulto, avrà parte". L'integralità è assicurata quando i figli - con la testimonianza di vita e con la parola - vengono educati al dialogo, all'incontro, alla socialità, alla legalità, alla solidarietà e alla pace, mediante la coltivazione delle virtù fondamentali della giustizia e della carità. Nell'educazione dei figli, il ruolo materno e quello paterno sono ugualmente necessari. I genitori devono, quindi, operare congiuntamente. L'autorità sarà da loro esercitata con rispetto e delicatezza, ma anche con fermezza e vigore: essa deve essere credibile, coerente, saggia e sempre orientata verso il bene integrale dei figli. 243 I genitori hanno poi una particolare responsabilità nella sfera dell'educazione sessuale. E di fondamentale importanza, per una crescita equilibrata, che i figli apprendano in modo ordinato e progressivo il significato della sessualità e imparino ad apprezzare i valori umani e morali ad essa correlati: "Per gli stretti legami che intercorrono tra la dimensione sessuale della persona e i suoi valori etici, il compito educativo deve condurre i figli a conoscere e a stimare le norme morali come necessaria e preziosa garanzia per una responsabile crescita personale nella sessualità umana ". I genitori sono tenuti a verificare le modalità con cui viene attuata l'educazione sessuale nelle istituzioni educative, al fine di controllare che un tema così importante e delicato sia affrontato in modo appropriato. Dignità e diritti dei bambini 244 La dottrina sociale della Chiesa indica costantemente l'esigenza di rispettare la dignità dei bambini: "Nella famiglia, comunità di persone, deve essere riservata una specialissima attenzione al bambino, sviluppando una profonda stima per la sua dignità personale, come pure un grande rispetto e un generoso servizio per i suoi diritti. Ciò vale di ogni bambino, ma acquista una singolare urgenza quanto più il bambino è piccolo e bisognoso di tutto, malato, sofferente o handicappato". I diritti dei bambini devono essere protetti dagli ordinamenti giuridici. E necessario, innanzi tutto, il riconoscimento pubblico in tutti i Paesi del valore sociale dell'infanzia: "Nessun paese del mondo, nessun sistema politico può pensare al proprio avvenire se non attraverso l'immagine di queste nuove generazioni che dai loro genitori assumeranno il molteplice patrimonio dei valori, dei doveri e delle aspirazioni della nazione alla quale appartengono e di tutta la famiglia umana". Il primo diritto del bambino è quello " a nascere in una vera famiglia ", un diritto il cui rispetto è sempre stato problematico e che oggi conosce nuove forme di violazione dovute allo sviluppo delle tecniche genetiche. 245 La situazione di una larga parte dei bambini nel mondo è lungi dall'essere soddisfacente, per la mancanza di condizioni che favoriscano il loro sviluppo integrale, malgrado l'esistenza di uno specifico strumento giuridico internazionale a tutela dei diritti del fanciullo che impegna quasi tutti i membri della comunità internazionale. Si tratta di condizioni connesse alla mancanza di servizi sanitari, di un'alimentazione adeguata, di possibilità a ricevere un minimo di formazione scolastica e di una casa. Permangono insoluti, inoltre, alcuni gravissimi problemi: il traffico dei bambini, il lavoro minorile, il fenomeno dei " bambini di strada", l'impiego di bambini in conflitti armati, il matrimonio delle bambine, l'utilizzo dei bambini per il commercio di materiale pornografico, anche tramite i più moderni e sofisticati strumenti di comunicazione sociale. È indispensabile combattere, a livello nazionale ed internazionale, le violazioni della dignità dei bambini e delle bambine causate dallo sfruttamento sessuale, dalle persone dedite alla pedofilia e dalle violenze di ogni genere subite da queste persone umane più indifese. Si tratta di atti delittuosi che devono essere efficacemente combattuti, con adeguate misure preventive: e penali, da una decisa azione delle diverse autorità. Solidarietà familiare 246 La soggettività sociale delle famiglie, sia singole che associate, si esprime anche con manifestazioni di solidarietà e di condivisione, non solo tra le famiglie stesse, ma pure mediante varie forme di partecipazione alla vita sociale e politica. Si tratta della conseguenza della realtà familiare fondata sull'amore: nascendo dall'amore e crescendo nell'amore, la solidarietà appartiene alla famiglia come dato costitutivo e strutturale. È una solidarietà che può assumere il volto del servizio e dell'attenzione a quanti vivono nella povertà e nell'indigenza, agli orfani, agli handicappati, ai malati, agli anziani, a chi è nel lutto, a quanti sono nel dubbio, nella solitudine o nell'abbandono; una solidarietà che si apre all'accoglienza, all'affidamento o all'adozione; che sa farsi voce di ogni situazione di disagio presso le istituzioni, affinché intervengano secondo le loro specifiche finalità. 247 Le famiglie, lungi dall'essere solo oggetto dell'azione politica, possono e devono diventare soggetto di tale attività, adoperandosi " affinché le leggi e le istituzioni dello Stato non solo non offendano, ma sostengano e difendano positivamente i diritti e i doveri della famiglia. In tal senso le famiglie devono crescere nella coscienza di essere "protagoniste" della cosiddetta "politica familiare" e assumersi la responsabilità di trasformare la società". A tale scopo va rafforzato l'associazionismo familiare: " Le famiglie hanno il diritto di formare associazioni con altre famiglie e istituzioni per svolgere il ruolo della famiglia in modo conveniente ed effettivo, come pure per proteggere i diritti, promuovere il bene e rappresentare gli interessi della famiglia. Sul piano economico, sociale, giuridico e culturale, deve essere riconosciuto il legittimo ruolo delle famiglie e delle associazioni familiari nella elaborazione e nell'attuazione dei programmi che interessano la vita della famiglia". Famiglia, vita economica e lavoro 248 Il rapporto che intercorre tra la famiglia e la vita economica è particolarmente significativo. Da una parte, infatti, l'" eco-nomia " è nata dal lavoro domestico: la casa è stata per lungo tempo, e ancora - in molti luoghi - continua ad essere, unità di produzione e centro di vita. Il dinamismo della vita economica, d'altra parte, si sviluppa con l'iniziativa delle persone e si realizza, secondo cerchi concentrici, in reti sempre più vaste di produzione e di scambio di beni e di servizi, che coinvolgono in misura crescente le famiglie. La famiglia, dunque, va considerata, a buon diritto, come una protagonista essenziale della vita economica, orientata non dalla logica del mercato, ma da quella della condivisione e della solidarietà tra le generazioni. 249 Un rapporto del tutto particolare lega la famiglia e il lavoro: " la famiglia costituisce uno dei più importanti termini di riferimento, secondo i quali deve essere formato l'ordine socio-etico del lavoro umano ". Tale rapporto affonda le sue radici nella relazione che intercorre tra la persona e il suo diritto a possedere il frutto del proprio lavoro e riguarda non solo il singolo come individuo, ma anche come membro di una famiglia, intesa quale "società domestica ". Il lavoro è essenziale in quanto rappresenta la condizione che rende possibile la fondazione di una famiglia, i cui mezzi di sussistenza si acquistano mediante il lavoro. Il lavoro condiziona anche il processo di sviluppo delle persone, poiché una famiglia colpita dalla disoccupazione rischia di non realizzare pienamente le sue finalità. L'apporto che la famiglia può offrire alla realtà del lavoro è prezioso e, per molti versi, insostituibile. Si tratta di un contributo che si esprime sia in termini economici sia mediante le grandi risorse di solidarietà che la famiglia possiede e che costituiscono un importante appoggio per chi, al suo interno, si trova senza lavoro o è alla ricerca di un'occupazione. Soprattutto e più radicalmente, è un contributo che si realizza con l'educazione al senso del lavoro e tramite l'offerta di orientamenti e sostegni di fronte alle stesse scelte professionali. 250 Per tutelare questo rapporto tra famiglia e lavoro, un elemento da apprezzare e salvaguardare è il salario familiare, ossia un salario sufficiente a mantenere e a far vivere dignitosamente la famiglia. Tale salario deve permettere la realizzazione di un risparmio che favorisca l'acquisizione di qualche forma di proprietà, come garanzia di libertà: il diritto alla proprietà è strettamente legato all'esistenza delle famiglie, che si mettono al riparo dal bisogno anche grazie al risparmio e alla costituzione di una proprietà familiare. Vari possono essere i modi per dare concretezza al salario familiare. Concorrono a determinarlo alcuni importanti provvedimenti sociali, quali gli assegni familiari e altri contributi per le persone a carico, nonché la remunerazione del lavoro casalingo di uno dei due genitori. 251 Nel rapporto tra famiglia e lavoro, una speciale attenzione va riservata al lavoro della donna in famiglia, il cosiddetto lavoro di cura, che chiama in causa anche le responsabilità dell'uomo come marito e come padre. Il lavoro di cura, a cominciare da quello della madre, proprio perché finalizzato e dedicato al servizio della qualità della vita, costituisce un tipo di attività lavorativa eminentemente personale e personalizzante, che deve essere socialmente riconosciuta e valorizzata, anche mediante un corrispettivo economico almeno pari a quello di altri lavori. Nello stesso tempo, occorre eliminare tutti gli ostacoli che impediscono agli sposi di esercitare liberamente la loro responsabilità procreativa e, in particolare, quelli che costringono la donna a non svolgere pienamente le sue funzioni materne. La società a servizio della famiglia 252 Il punto di partenza per un corretto e costruttivo rapporto tra la famiglia e la società è il riconoscimento della soggettività e della priorità sociale della famiglia. Il loro intimo rapporto impone che "la società non venga mai meno al suo fondamentale compito di rispettare e di promuovere la famiglia stessa". La società e, in particolare, le istituzioni statali - nel rispetto della priorità e "antecedenza" della famiglia - sono chiamate a garantire e favorire la genuina identità della vita familiare e a evitare e combattere tutto ciò che la altera e ferisce. Ciò richiede che l'azione politica e legislativa salvaguardi i valori della famiglia, dalla promozione dell'intimità e della convivenza familiare, al rispetto della vita nascente, alla effettiva libertà di scelta nell'educazione dei figli. La società e lo Stato non possono, pertanto, ne assorbire, ne sostituire, ne ridurre la dimensione sociale della famiglia stessa; piuttosto devono onorarla, riconoscerla, rispettarla e promuoverla secondo il principio di sussidiarietà. 253 Il servizio della società alla famiglia si concretizza nel riconoscimento, nel rispetto e nella promozione dei diritti della famiglia. Tutto ciò richiede la realizzazione di autentiche ed efficaci politiche familiari con interventi precisi in grado di affrontare i bisogni che derivano dai diritti della famiglia come tale. In tal senso, è necessario il prerequisito, essenziale e irrinunciabile, del riconoscimento - che comporta la tutela, la valorizzazione e la promozione - dell'identità della famiglia, società naturale fondata sul matrimonio. Tale riconoscimento traccia una linea di demarcazione netta tra la famiglia propriamente intesa e le altre convivenze, che della famiglia - per loro natura - non possono meritare ne il nome ne lo statuto. 254 Il riconoscimento, da parte delle istituzioni civili e dello Stato, della priorità della famiglia su ogni altra comunità e sulla stessa realtà statuale, comporta il superamento delle concezioni meramente individualistiche e l'assunzione della dimensione familiare come prospettiva, culturale e politica, irrinunciabile nella considerazione delle persone. Ciò non si pone in alternativa, ma piuttosto a sostegno e tutela degli stessi diritti che le persone hanno singolarmente. Tale prospettiva rende possibile elaborare criteri normativi per una soluzione corretta dei diversi problemi sociali, poiché le persone non devono essere considerate solo singolarmente, ma anche in relazione ai nuclei familiari in cui sono inserite, dei cui valori specifici ed esigenze si deve tenere debito conto. Il compito di coltivare e custodire la terra 255 L'Antico Testamento presenta Dio come Creatore onnipotente ( Gen 2,2; Gb 38-41; Sal 104; Sal 147 ), che plasma l'uomo a Sua immagine, lo invita a lavorare la terra ( Gen 2,5-6 ) e a custodire il giardino dell'Eden in cui lo ha posto ( Gen 2,15 ). Alla prima coppia umana Dio affida il compito di soggiogare la terra e di dominare su ogni essere vivente ( Gen 1,28 ). Il dominio dell'uomo sugli altri esseri viventi, tuttavia, non deve essere dispotico e dissennato; al contrario, egli deve "coltivare e custodire" ( Gen 2,15 ) i beni creati da Dio: beni che l'uomo non ha creato, ma ha ricevuto come un dono prezioso posto dal Creatore sotto la sua responsabilità. Coltivare la terra significa non abbandonarla a se stessa; esercitare il dominio su di essa è averne cura, così come un re saggio si prende cura del suo popolo e un pastore del suo gregge. Nel disegno del Creatore, le realtà create, buone in se stesse, esistono in funzione dell'uomo. Lo stupore davanti al mistero della grandezza dell'uomo fa esclamare il salmista: " Che cosa è l'uomo perché tè ne ricordi e il figlio dell'uomo perché tè ne curi? Eppure l'hai fatto poco meno degli angeli, di gloria e di onore lo hai coronato: gli hai dato potere sulle opere delle tue mani, tutto hai posto sotto i suoi piedi " ( Sal 8,5-7 ). 256 Il lavoro appartiene alla condizione originaria dell'uomo e precede la sua caduta; non è perciò ne punizione ne maledizione. Esso diventa fatica e pena a causa del peccato di Adamo ed Eva, che spezzano il loro rapporto fiducioso ed armonioso con Dio ( Gen 3,6-8 ). La proibizione di mangiare "dell'albero della conoscenza del bene e del male" ( Gen 2,17 ) ricorda all'uomo che egli ha ricevuto tutto come dono e che continua ad essere una creatura e non il Creatore. Il peccato di Adamo ed Eva fu provocato proprio da questa tentazione: " diventereste come Dio " ( Gen 3,5 ). Essi vollero avere il dominio assoluto su tutte le cose, senza sottomettersi alla volontà del Creatore. Da allora, il suolo si fa avaro, ingrato, sordamente ostile ( Gen 4,12 ); solo con il sudore della fronte sarà possibile trame alimento ( Gen 3,17.19 ). Nonostante il peccato dei progenitori, tuttavia, il disegno del Creatore, il senso delle Sue creature e, tra queste, dell'uomo, chiamato ad essere coltivatore e custode del creato, rimangono inalterati. 257 Il lavoro va onorato perché fonte di ricchezza o almeno di condizioni di vita decorose e, in genere, è strumento efficace contro la povertà ( Pr 10,4 ), ma non si deve cedere alla tentazione di idolatrarlo, perché in esso non si può trovare il senso ultimo e definitivo della vita. Il lavoro è essenziale, ma è Dio, non il lavoro, la fonte della vita e il fine dell'uomo. Il principio fondamentale della Sapienza, infatti, è il timore del Signore; l'esigenza della giustizia, che ne deriva, precede quella del guadagno: " Poco con il timore di Dio è meglio di un gran tesoro con l'inquietudine" ( Pr 15,16 ); "Poco con onestà è meglio di molte rendite senza giustizia" ( Pr 16,8 ). 258 Vertice dell'insegnamento biblico sul lavoro è il comandamento del riposo sabbatico. All'uomo, legato alla necessità del lavoro, il riposo apre la prospettiva di una libertà più piena, quella del Sabato eterno ( Eb 4,9-10 ). Il riposo consente agli uomini di ricordare e di rivivere le opere di Dio, dalla Creazione alla Redenzione, di riconoscersi essi stessi come opera Sua ( Ef 2,10 ), di rendere grazie della propria vita e della propria sussistenza a Lui, che ne è l'autore. La memoria e l'esperienza del sabato costituiscono un baluardo contro l'asservimento al lavoro, volontario o imposto, e contro ogni forma di sfruttamento, larvata o palese. Il riposo sabbatico, infatti, oltre che per consentire la partecipazione al culto di Dio, è stato istituito in difesa del povero; la sua è anche una funzione liberatoria dalle degenerazioni antisociali del lavoro umano. Tale riposo, che può durare anche un anno, comporta, infatti, un esproprio dei frutti della terra a favore dei poveri e la sospensione dei diritti di proprietà dei padroni del suolo: " Per sei anni seminerai la tua terra e ne raccoglierai il prodotto, ma nel settimo anno non la sfrutterai e la lascerai incolta: ne mangeranno gli indigenti del tuo popolo e ciò che lasceranno sarà divorato dalle bestie della campagna. Così farai per la tua vigna e per il tuo oliveto" ( Es 23,10-11 ). Questa consuetudine risponde ad un'intuizione profonda: l'accumulazione di beni da parte di alcuni può diventare una sottrazione di beni ad altri. Gesù uomo del lavoro 259 Nella Sua predicazione Gesù insegna ad apprezzare il lavoro. Egli stesso, " divenuto simile a noi in tutto, dedicò la maggior parte degli anni della sua vita sulla terra al lavoro manuale, presso un banco di carpentiere", nella bottega di Giuseppe ( Mt 13,55; Mc 6,3 ), al quale stava sottomesso ( Lc 2,51 ). Gesù condanna il comportamento del servo fannullone, che nasconde sotto terra il talento ( Mt 25,14-30 ) e loda il servo fidato e prudente che il padrone trova intento a svolgere le mansioni affidategli ( Mt 24,46 ). Egli descrive la Sua stessa missione come un operare: "Il Padre mio opera sempre e anch'io opero" ( Gv 5,17 ); e i Suoi discepoli come operai nella messe del Signore, che è l'umanità da evangelizzare ( Mt 9,37-38 ). Per questi operai vale il principio generale secondo cui "l'operaio è degno della sua mercede" ( Lc 10,7 ); essi sono autorizzati a dimorare nelle case in cui sono accolti, a mangiare e a bere quello che viene loro offerto ( Lc 10,7 ). 260 Nella Sua predicazione Gesù insegna agli uomini a non lasciarsi asservire dal lavoro. Essi devono preoccuparsi prima di tutto della loro anima; guadagnare il mondo intero non è lo scopo della loro vita ( Mc 8,36 ). I tesori della terra, infatti, si consumano, mentre i tesori del ciclo sono imperituri: a questi si deve legare il proprio cuore ( Mt 6,19-21 ). Il lavoro non deve affannare ( Mt 6,25.31.34 ): preoccupato e agitato per molte cose, l'uomo rischia di trascurare il Regno di Dio e la Sua giustizia ( Mt 6,33 ), di cui ha veramente bisogno; tutto il resto, compreso il lavoro, trova il suo posto, il suo senso e il suo valore solo se viene orientato a quest'unica cosa necessaria, che non sarà mai tolta ( Lc 10,40-42 ). 261 Durante il Suo ministero terreno. Gesù lavora instancabilmente, compiendo opere potenti per liberare l'uomo dalla malattia, dalla sofferenza e dalla morte. Il sabato, che l'Antico Testamento aveva proposto come giorno di liberazione e che, osservato solo formalmente, veniva svuotato del suo autentico significato, è riaffermato da Gesù nel suo originario valore: " Il sabato è stato fatto per l'uomo e non l'uomo per il sabato! " ( Mc 2,27 ). Con le guarigioni, compiute in questo giorno di riposo ( Mt 12,9-14; Mc 3,1-6; Lc 6,6-11; Lc 13,10-17; Lc 14,1-6 ), Egli vuole dimostrare che il sabato è Suo, perché Egli è veramente il Figlio di Dio, e che è il giorno in cui ci si deve dedicare a Dio e agli altri. Liberare dal male, praticare fraternità e condivisione è conferire al lavoro il suo significato più nobile, quello che permette all'umanità di incamminarsi verso il Sabato eterno, nel quale il riposo diventa la festa cui l'uomo inferiormente aspira. Proprio in quanto orienta l'umanità a fare esperienza del sabato di Dio e della Sua vita conviviale, il lavoro inaugura sulla terra la nuova creazione. 262 L'attività umana di arricchimento e di trasformazione dell'universo può e deve far emergere le perfezioni in esso nascoste, che nel Verbo increato hanno il loro principio e il loro modello. Gli scritti paolini e giovannei, infatti, mettono in luce la dimensione trinitaria della creazione e, in particolare, il legame che intercorre tra il Figlio-Verbo, il "Logos", e la creazione ( Gv 1,3; 1 Cor 8,6; Col 1,15-17 ). Creato in Lui e per mezzo di: Lui, redento da Lui, l'universo non è un ammasso casuale, ma un " cosmo ", il cui ordine l'uomo deve scoprire, assecondare e portare a compimento: " In Gesù Cristo il mondo visibile, creato da Dio per l'uomo - quel mondo che, essendovi entrato il peccato, "è stato sottomesso alla caducità" ( Rm 8,20; Rm 8,19-22 ) - riacquista nuovamente il vincolo originario con la stessa sorgente divina della Sapienza e dell'Amore". In tal modo, ossia mettendo in luce, in progressione crescente, "le imperscrutabili ricchezze di Cristo" ( Ef 3,8 ) nella creazione, il lavoro umano si trasforma in un servizio reso alla grandezza di Dio. 263 Il lavoro rappresenta una dimensione fondamentale dell'esistenza umana come partecipazione non solo all'opera della creazione, ma anche della redenzione. Chi sopporta la penosa fatica del lavoro in unione con Gesù, in un certo senso, coopera con il Figlio di Dio alla Sua opera redentrice e si mostra discepolo di Cristo portando la Croce, ogni giorno, nell'attività che è chiamato a compiere. In questa prospettiva, il lavoro può essere considerato come un mezzo di santificazione e un'animazione delle realtà terrene nello Spirito di Cristo. Così raffigurato il lavoro è espressione della piena umanità dell'uomo, nella sua condizione storica e nella sua orientazione escatologica: la sua azione libera e responsabile ne svela l'intima relazione con il Creatore ed il suo potenziale creativo, mentre ogni giorno combatte lo sfiguramento del peccato, anche guadagnandosi il pane con il sudore della fronte. Il dovere di lavorare 264 La consapevolezza della transitorietà della " scena di questo mondo " ( 1 Cor 7,31 ) non esonera da alcun impegno storico, tanto meno dal lavoro ( 2 Ts 3,7-15 ), che è parte integrante della condizione umana, pur non essendo l'unica ragione di vita. Nessun cristiano, per il fatto di appartenere ad una comunità solidale e fraterna, deve sentirsi in diritto di non lavorare e di vivere a spese degli altri ( 2 Ts 3,6-12 ); tutti, piuttosto, sono esortati dall'Apostolo Paolo a farsi " un punto di onore " nel lavorare con le proprie mani così da " non aver bisogno di nessuno " ( 1 Ts 4,11-12 ) e a praticare una solidarietà anche materiale, condividendo i frutti del lavoro con "chi si trova in necessità" ( Ef 4,28 ). San Giacomo difende i diritti conculcati dei lavoratori: " Ecco, il salario da voi defraudato ai lavoratori che hanno mietuto le vostre terre grida; e le proteste dei mietitori sono giunte alle orecchie del Signore degli eserciti" ( Gc 5,4 ). I credenti devono vivere il lavoro con lo stile di Cristo e renderlo occasione di testimonianza cristiana "di fronte agli estranei" ( 1 Ts 4,12 ). 265 I Padri della Chiesa non considerano mai il lavoro come " opus servile" - tale era ritenuto, invece, nella cultura loro contemporanea -, ma sempre come " opus humanum ", e tendono ad onorarne tutte le espressioni. Mediante il lavoro, l'uomo governa con Dio il mondo, insieme a Lui ne è signore, e compie cose buone per sé e per gli altri. L'ozio nuoce all'essere dell'uomo, mentre l'attività giova al suo corpo e al suo spirito. Il cristiano è chiamato a lavorare non solo per procurarsi il pane, ma anche per sollecitudine verso il prossimo più povero, al quale il Signore comanda di dare da mangiare, da bere, da vestire, accoglienza, cura e compagnia ( Mt 25,35-36 ). Ciascun lavoratore, afferma sant'Ambrogio, è la mano di Cristo che continua a creare e a fare del bene. 266 Con il suo lavoro e la sua laboriosità, l'uomo, partecipe dell'arte e della saggezza divina, rende più bello il creato, il cosmo già ordinato dal Padre; suscita quelle energie sociali e comunitarie che alimentano il bene comune a vantaggio soprattutto dei più bisognosi. Il lavoro umano, finalizzato alla carità, diventa occasione di contemplazione, si trasforma in devota preghiera, in vigile ascesi e in trepida speranza del giorno senza tramonto: " In questa visione superiore, il lavoro, pena ed insieme premio dell'attività umana, comporta un altro rapporto, quello cioè essenzialmente religioso, che è stato felicemente espresso nella formula benedettina: "Ora et labora"! Il fatto religioso conferisce al lavoro umano una spiritualità animatrice e redentrice. Tale parentela tra lavoro e religione riflette l'alleanza misteriosa, ma reale, che intercede tra l'agire umano e quello provvidenziale di Dio ". Il valore profetico della " Rerum Novarum " 267 Il corso della storia è contrassegnato dalle profonde trasformazioni e dalle esaltanti conquiste del lavoro, ma anche dallo sfruttamento di tanti lavoratori e dalle offese alla loro dignità. La rivoluzione industriale lanciò alla Chiesa una grande sfida, alla quale il Magistero sociale rispose con la forza della profezia, affermando principi di validità universale e di perenne attualità, a sostegno dell'uomo che lavora e dei suoi diritti. Destinataria del messaggio della Chiesa era stata per secoli una società di tipo agricolo, caratterizzata da ritmi regolari e ciclici; ora il Vangelo si doveva annunciare e vivere in un nuovo areopago, nel tumulto degli eventi sociali di una società più dinamica, tenendo conto della complessità dei nuovi fenomeni e delle impensabili trasformazioni rese possibili dalla tecnica. Al centro della sollecitudine pastorale della Chiesa si poneva sempre più urgentemente la questione operaia, ovvero il problema dello sfruttamento dei lavoratori, conseguente alla nuova organizzazione industriale del lavoro, di matrice capitalistica, e il problema, non meno grave, della strumentalizzazione ideologica, socialista e comunista, delle giuste rivendicazioni del mondo del lavoro. All'interno di questo orizzonte storico si collocano le riflessioni e gli ammonimenti dell'enciclica "Rerum novarum " di Leone XIII. 268 La "Rerum novarum" è innanzi tutto un'accorata difesa dell'inalienabile dignità dei lavoratori, alla quale collega l'importanza del diritto di proprietà, del principio di collaborazione tra le classi, dei diritti dei deboli e dei poveri, degli obblighi dei lavoratori e dei datori di lavoro, del diritto di associazione. Gli orientamenti ideali espressi nell'enciclica rafforzarono l'impegno di animazione cristiana della vita sociale, che si manifestò nella nascita e nel consolidamento di numerose iniziative di alto profilo civile: unioni e centri di studi sociali, associazioni, società operaie, sindacati, cooperative, banche rurali, assicurazioni, opere di assistenza. Tutto ciò diede un notevole impulso alla legislazione del lavoro per la protezione degli operai, soprattutto dei fanciulli e delle donne; all'istruzione e al miglioramento dei salari e dell'igiene. 269 A partire dalla " Rerum novarum ", la Chiesa non ha mai smesso di considerare i problemi del lavoro all'interno di una questione sociale che ha assunto progressivamente dimensioni mondiali. L'enciclica "Laborem exercens" arricchisce la visione personalista del lavoro caratteristica dei precedenti documenti sociali, indicando la necessità di un approfondimento dei significati e dei compiti che il lavoro comporta, in considerazione del fatto che " sorgono sempre nuovi interrogativi e problemi, nascono sempre nuove speranze, ma anche timori e minacce connesse con questa fondamentale dimensione dell'umano esistere, con la quale la vita dell'uomo è costruita ogni giorno, dalla quale essa attinge la propria specifica dignità, ma nella quale è contemporaneamente contenuta la costante misura dell'umana fatica, della sofferenza e anche del danno e dell'ingiustizia che penetrano profondamente la vita sociale, all'interno delle singole Nazioni e sul piano internazionale". Il lavoro, infatti, " chiave essenziale " di tutta la questione sociale, condiziona lo sviluppo non solo economico, ma anche culturale e morale delle persone, della famiglia, della società e dell'intero genere umano. La dimensione soggettiva e oggettiva del lavoro 270 Il lavoro umano ha una duplice dimensione: aggettiva e soggettiva. In senso aggettivo è l'insieme di attività, risorse, strumenti e tecniche di cui l'uomo si serve per produrre, per dominare la terra, secondo le parole del Libro della Genesi. Il lavoro in senso soggettivo è l'agire dell'uomo in quanto essere dinamico, capace di compiere varie azioni che appartengono al processo del lavoro e che corrispondono alla sua vocazione personale: " L'uomo deve soggiogare la terra, la deve dominare, perché come "immagine di Dio" è una persona, cioè un essere soggettivo capace di agire in modo programmato e razionale, capace di decidere di sé e tendente a realizzare se stesso. Come persona, l'uomo è quindi soggetto del lavoro". Il lavoro in senso aggettivo costituisce l'aspetto contingente dell'attività dell'uomo, che varia incessantemente nelle sue modalità con il mutare delle condizioni tecniche, culturali, sociali e politiche. In senso soggettivo si configura, invece, come la sua dimensione stabile, perché non dipende da quel che l'uomo realizza concretamente ne dal genere di attività che esercita, ma solo ed esclusivamente dalla sua dignità di essere personale. La distinzione è decisiva sia per comprendere qual è il fondamento ultimo del valore e della dignità del lavoro, sia in ordine al problema di un'organizzazione dei sistemi economici e sociali rispettosa dei diritti dell'uomo. 271 La soggettività conferisce al lavoro la sua peculiare dignità, che impedisce di considerarlo come una semplice mercé o un elemento impersonale dell'organizzazione produttiva. Il lavoro, indipendentemente dal suo minore o maggiore valore oggettivo, è espressione essenziale della persona, è "actus personae". Qualsiasi forma di materialismo e di economicismo che tentasse di ridurre il lavoratore a mero strumento di produzione, a semplice forza-lavoro, a valore esclusivamente materiale, finirebbe per snaturare irrimediabilmente l'essenza del lavoro, privandolo della sua finalità più nobile e profondamente umana. La persona è il metro della dignità del lavoro: " Non c'è, infatti, alcun dubbio che il lavoro umano abbia un suo valore etico, il quale senza mezzi termini e direttamente rimane legato al fatto che colui che lo compie è una persona ". La dimensione soggettiva del lavoro deve avere la preminenza su quella aggettiva, perché è quella dell'uomo stesso che compie il lavoro, determinandone la qualità e il valore più alto. Se manca questa consapevolezza oppure non si vuole riconoscere questa verità, il lavoro perde il suo significato più vero e profondo: in questo caso, purtroppo frequente e diffuso, l'attività lavorativa e le stesse tecniche utilizzate diventano più importanti dell'uomo stesso e, da alleate, si trasformano in nemiche della sua dignità. 272 Il lavoro umano non soltanto procede dalla persona, ma è anche essenzialmente ordinato e finalizzato ad essa. Indipendentemente dal suo contenuto oggettivo, il lavoro deve essere orientato verso il soggetto che lo compie, perché lo scopo del lavoro, di qualunque lavoro, rimane sempre l'uomo. Anche se non può essere ignorata l'importanza della componente oggettiva del lavoro sotto il profilo della sua qualità, tale componente, tuttavia, va subordinata alla realizzazione dell'uomo, e quindi alla dimensione soggettiva, grazie alla quale è possibile affermare che il lavoro è per l'uomo e non l'uomo per il lavoro e che "lo scopo del lavoro, di qualunque lavoro eseguito dall'uomo - fosse pure il lavoro più "di servizio", più monotono, nella scala del comune modo di valutazione, addirittura più emarginante - rimane sempre l'uomo stesso ". 273 Il lavoro umano possiede anche un'intrinseca dimensione sociale. Il lavoro di un uomo, infatti, si intreccia naturalmente con quello di altri uomini: "Oggi più che mai lavorare è un lavorare con gli altri e un lavorare per gli altri: è un fare qualcosa per qualcuno". Anche i frutti del lavoro offrono occasione di scambi, di relazioni e d'incontro. Il lavoro, pertanto, non si può valutare giustamente se non si tiene conto della sua natura sociale: " giacché se non sussiste un corpo veramente sociale e organico, se un ordine sociale e giuridico non tutela l'esercizio del lavoro, se le varie parti, le une dipendenti dalle altre, non si collegano fra di loro e mutuamente non si compiono, se, quel che è di più, non si associano, quasi a formare una cosa sola, l'intelligenza, il capitale, il lavoro, l'umana attività non può produrre i suoi frutti, e quindi non si potrà valutare giustamente ne retribuire adeguatamente, dove non si tenga conto della sua natura sociale e individuale". 274 Il lavoro è anche "un obbligo cioè un dovere dell'uomo". L'uomo deve lavorare sia perché il Creatore gliel'ha ordinato, sia per rispondere alle esigenze di mantenimento e sviluppo della sua stessa umanità. Il lavoro si profila come obbligo morale in relazione al prossimo, che è in primo luogo la propria famiglia, ma anche la società, alla quale si appartiene, la Nazione, della quale si è figli o figlie, l'intera famiglia umana, di cui si è membri: siamo eredi del lavoro di generazioni e insieme artefici del futuro di tutti gli uomini che vivranno dopo di noi. 275 Il lavoro conferma la profonda identità dell'uomo creato a immagine e somiglianza di Dio: " Diventando - mediante il suo lavoro - sempre di più padrone della terra, e confermando - ancora mediante il lavoro - il suo dominio sul mondo visibile, l'uomo, in ogni caso ed in ogni fase di questo processo, rimane sulla linea di quell'originaria disposizione del Creatore, la quale resta necessariamente e indissolubilmente legata al fatto che l'uomo è stato creato, come maschio e femmina, "a immagine di Dio" ". Ciò qualifica l'attività dell'uomo nell'universo: egli non ne è il padrone, ma il fiduciario, chiamato a riflettere nel proprio operare l'impronta di Colui del quale egli è immagine. I rapporti tra lavoro e capitale 276 Il lavoro, per il suo carattere soggettivo o personale, è superiore ad ogni altro fattore di produzione: questo principio vale, in particolare, rispetto al capitale. Oggi, il termine "capitale" ha diverse accezioni: talvolta indica i mezzi materiali di produzione nell'impresa, talvolta le risorse finanziarie impegnate in un'iniziativa produttiva o anche in operazioni nei mercati borsistici. Si parla anche, in modo non del tutto appropriato, di "capitale umano", per significare le risorse umane, cioè gli uomini stessi, in quanto capaci di sforzo lavorativo, di conoscenza, di creatività, di intuizione delle esigenze dei propri simili, di intesa reciproca in quanto mèmbri di un'organizzazione. Ci si riferisce al "capitale sociale" quando si vuole indicare la capacità di collaborazione di una collettività, frutto dell'investimento in legami fiduciari reciproci. Questa molteplicità di significati offre spunti ulteriori per riflettere su cosa possa significare, oggi, il rapporto tra lavoro e capitale. 277 La dottrina sociale ha affrontato i rapporti tra lavoro e capitale, mettendo in evidenza sia la priorità del primo sul secondo, sia la loro complementarità. Il lavoro ha una priorità intrinseca rispetto al capitale: " Questo principio riguarda direttamente il processo stesso di produzione, in rapporto al quale il lavoro è sempre una causa efficiente primaria, mentre il "capitale" essendo l'insieme dei mezzi di produzione, rimane solo uno strumento o la causa strumentale. Questo principio è verità evidente che risulta da tutta l'esperienza storica dell'uomo". Esso "appartiene al patrimonio stabile della dottrina della Chiesa ". Tra lavoro e capitale ci deve essere complementarità: è la stessa logica intrinseca al processo produttivo a dimostrare la necessità della loro reciproca compenetrazione e l'urgenza di dare vita a sistemi economici nei quali l'antinomia tra lavoro e capitale venga superata. In tempi in cui, all'interno di un sistema economico meno complesso, il "capitale" e il " lavoro salariato " identificavano con una certa precisione non solo due fattori produttivi, ma anche e soprattutto due concrete classi sociali, la Chiesa affermava che entrambi sono in sé legittimi: " ne il capitale può stare senza il lavoro, ne il lavoro senza il capitale". Si tratta di una verità che vale anche per il presente, perché " è del tutto falso ascrivere o al solo capitale o al solo lavoro ciò che si ottiene con l'opera unita dell'uno e dell'altro; ed è affatto ingiusto che l'uno arroghi a sé quel che si fa, negando l'efficacia dell'altro ". 278 Nella considerazione dei rapporti tra lavoro e capitale, soprattutto di fronte alle imponenti trasformazioni dei nostri tempi, si deve ritenere che la "principale risorsa" e il "fattore decisivo" in mano all'uomo è l'uomo stesso, e che "l'integrale sviluppo della persona umana nel lavoro non contraddice, ma piuttosto favorisce la maggiore produttività ed efficacia del lavoro stesso ". Il mondo del lavoro, infatti, sta scoprendo sempre di più che il valore del "capitale umano" trova espressione nelle conoscenze dei lavoratori, nella loro disponibilità a tessere relazioni, nella creatività, nell'imprenditorialità di se stessi, nella capacità di affrontare consapevolmente il nuovo, di lavorare insieme e di saper perseguire obiettivi comuni. Si tratta di qualità prettamente personali, che appartengono al soggetto del lavoro più che agli aspetti oggettivi, tecnici, operativi del lavoro stesso. Tutto questo comporta una prospettiva nuova nei rapporti tra lavoro e capitale: si può affermare che, contrariamente a quanto accadeva nella vecchia organizzazione del lavoro dove il soggetto finiva per venire appiattito sull'oggetto, sulla macchina, al giorno d'oggi la dimensione soggettiva del lavoro tende ad essere più decisiva e importante di quella oggettiva. 279 Il rapporto tra lavoro e capitale presenta spesso i tratti della conflittualità, che assume caratteri nuovi con il mutare dei contesti sociali ed economici. Ieri, il conflitto tra capitale e lavoro era originato, soprattutto, "dal fatto che i lavoratori mettevano le loro forze a disposizione del gruppo degli imprenditori, e che questo, guidato dal principio del massimo profitto della produzione, cercava di stabilire il salario più basso possibile per il lavoro eseguito dagli operai". Attualmente, il conflitto presenta aspetti nuovi e, forse, più preoccupanti: i progressi scientifici e tecnologici e la mondializzazione dei mercati, di per sé fonte di sviluppo e di progresso, espongono i lavoratori al rischio di essere sfruttati dagli ingranaggi dell'economia e dalla ricerca sfrenata di produttività. 280 Non si deve erroneamente ritenere che il processo di superamento della dipendenza del lavoro dalla materia sia capace di per sé di superare l'alienazione sul lavoro e del lavoro. Il riferimento non è solo alle tante sacche di non lavoro, di lavoro nero, di lavoro minorile, di lavoro sottopagato, di lavoro sfruttato, che ancora persistono, ma anche alle nuove forme, molto più sottili, di sfruttamento dei nuovi lavori, al super-lavoro, al lavoro-carriera che talvolta ruba spazio a dimensioni altrettanto umane e necessarie per la persona, all'eccessiva flessibilità del lavoro che rende precaria e talvolta impossibile la vita familiare, alla modularità lavorativa che rischia di avere pesanti ripercussioni sulla percezione unitaria della propria esistenza e sulla stabilità delle relazioni familiari. Se l'uomo è alienato quando inverte mezzi e fini, anche nel nuovo contesto di lavoro immateriale, leggero, qualitativo più che quantitativo, si possono dare elementi di alienazione "a seconda che cresca la … partecipazione [dell'uomo] in un'autentica comunità solidale, oppure cresca il suo isolamento in un complesso di relazioni di esasperata competitività e di reciproca estraniazione ". Il lavoro, titolo di partecipazione 281 Il rapporto tra lavoro e capitale trova espressione anche attraverso la partecipazione dei lavoratori alla proprietà, alla sua gestione, ai suoi frutti. È questa un'esigenza troppo spesso trascurata, che occorre invece valorizzare al meglio: " ognuno, in base al proprio lavoro, abbia il pieno titolo di considerarsi al tempo stesso il "com-proprietario" del grande banco di lavoro, al quale s'impegna insieme con tutti. E una via verso tale traguardo potrebbe essere quella di associare, per quanto è possibile, il lavoro alla proprietà del capitale e di dar vita a una ricca gamma di corpi intermedi a finalità economiche, sociali, culturali: corpi che godano di una effettiva autonomia nei confronti dei pubblici poteri, che perseguano i loro specifici obiettivi in rapporti di leale collaborazione vicendevole, subordinatamente alle esigenze del bene comune, e che presentino forma e sostanza di una viva comunità, cioè che in essi i rispettivi membri siano considerati e trattati come persone e stimolati a prendere parte attiva alla loro vita ". La nuova organizzazione del lavoro, in cui il sapere conta di più della sola proprietà dei mezzi di produzione, attesta in maniera concreta che il lavoro, a motivo del suo carattere soggettivo, è titolo di partecipazione: è indispensabile ancorarsi a questa consapevolezza per valutare la giusta posizione del lavoro nel processo produttivo e per trovare modalità di partecipazione consone alla soggettività del lavoro nelle peculiarità delle varie situazioni concrete. Rapporto tra lavoro e proprietà privata 282 Il Magistero sociale della Chiesa articola il rapporto tra lavoro e capitale anche rispetto all'istituto della proprietà privata, al relativo diritto e all'uso di questa. Il diritto alla proprietà privata è subordinato al principio della destinazione universale dei beni e non deve costituire motivo di impedimento al lavoro e allo sviluppo altrui. La proprietà, che si acquista anzitutto mediante il lavoro, deve servire al lavoro. Ciò vale in modo particolare per il possesso dei mezzi di produzione; ma tale principio concerne anche i beni propri del mondo finanziario, tecnico, intellettuale, personale. I mezzi di produzione " non possono essere posseduti contro il lavoro, non possono essere neppure posseduti per possedere ". Il loro possesso diventa illegittimo quando la proprietà " non viene valorizzata o serve ad impedire il lavoro di altri, per ottenere un guadagno che non nasce dall'espansione globale del lavoro e della ricchezza sociale, ma piuttosto dalla loro compressione, dall'illecito sfruttamento, dalla speculazione e dalla rottura della solidarietà nel mondo del lavoro". 283 La proprietà privata e pubblica nonché i vari meccanismi del sistema economico devono essere predisposti per un'economia a servizio dell'uomo, in modo che contribuiscano ad attuare il principio della destinazione universale dei beni. In tale prospettiva diventa rilevante la questione relativa alla proprietà e all'uso delle nuove tecnologie e conoscenze, che costituiscono, nel nostro tempo, un'altra forma particolare di proprietà, di importanza non inferiore a quella della terra e del capitale. Tali risorse, come tutti gli altri beni, hanno una destinazione universale; anch'esse vanno inserite in un contesto di norme giuridiche e di regole sociali che ne garantiscano un uso ispirato a criteri di giustizia, di equità e di rispetto dei diritti dell'uomo. I nuovi saperi e le tecnologie, grazie alle loro enormi potenzialità, possono dare un contributo decisivo alla promozione del progresso sociale, ma rischiano di divenire fonte di disoccupazione e di allargare il distacco tra zone sviluppate e zone di sottosviluppo, se rimangono accentrati nei Paesi più ricchi o nelle mani di ristretti gruppi di potere. Il riposo festivo 284 Il riposo festivo è un diritto. Dio " cessò nel settimo giorno da ogni suo lavoro " ( Gen 2,2 ): anche gli uomini, creati a Sua immagine, devono godere di sufficiente riposo e tempo libero che permetta loro di curare la vita familiare, culturale, sociale e religiosa. A ciò contribuisce l'istituzione del giorno del Signore. I credenti, durante la domenica e negli altri giorni festivi di precetto, devono astenersi da " lavori o attività che impediscano il culto dovuto a Dio, la letizia propria del giorno del Signore, la pratica delle opere di misericordia e la necessaria distensione della mente e del corpo ". Necessità familiari o esigenze di utilità sociale possono legittimamente esentare dal riposo domenicale, ma non devono creare abitudini pregiudizievoli per la religione, la vita di famiglia e la salute. 285 La domenica è un giorno da santificare con un'operosa carità, riservando attenzioni alla famiglia e ai parenti, come anche ai malati, agli infermi, agli anziani; ne si devono dimenticare quei " fratelli che hanno i medesimi bisogni e i medesimi diritti e non possono riposarsi a causa della povertà e della miseria "; inoltre è un tempo propizio per la riflessione, il silenzio, lo studio, che favoriscano la crescita della vita interiore e cristiana. I credenti dovranno distinguersi, anche in questo giorno, per la loro moderazione, evitando tutti gli eccessi e le violenze che spesso caratterizzano i divertimenti di massa. Il giorno del Signore deve sempre essere vissuto come il giorno della liberazione, che fa partecipare " all'adunanza festosa e all'assemblea dei primogeniti iscritti nei cieli" ( Eb 12,22-23 ) e anticipa la celebrazione della Pasqua definitiva nella gloria del cielo. 286 Le autorità pubbliche hanno il dovere di vigilare affinché ai cittadini non sia sottratto, per motivi di produttività economica, un tempo destinato al riposo e al culto divino. I datori di lavoro hanno un obbligo analogo nei confronti dei loro dipendenti. I cristiani si devono adoperare, nel rispetto della libertà religiosa e del bene comune di tutti, affinché le leggi riconoscano le domeniche e le altre solennità liturgiche come giorni festivi: " Spetta a loro offrire a tutti un esempio pubblico di preghiera, di rispetto e di gioia e difendere le loro tradizioni come un prezioso contributo alla vita spirituale della società umana". Ogni cristiano dovrà "evitare di imporre, senza necessità, ad altri ciò che impedirebbe loro di osservare il giorno del Signore ". Il lavoro è necessario 287 Il lavoro è un diritto fondamentale ed è un bene per l'uomo: un bene utile, degno di lui perché adatto appunto ad esprimere e ad accrescere la dignità umana. La Chiesa insegna il valore del lavoro non solo perché esso è sempre personale, ma anche per il carattere di necessità. Il lavoro è necessario per formare e mantenere una famiglia, per avere diritto alla proprietà, per contribuire al bene comune della famiglia umana. La considerazione delle implicazioni morali che la questione del lavoro comporta nella vita sociale induce la Chiesa ad additare la disoccupazione come una " vera calamità sociale ", soprattutto in relazione alle giovani generazioni. 288 Il lavoro è un bene di tutti, che deve essere disponibile per tutti coloro che ne sono capaci. La "piena occupazione" è, pertanto, un obiettivo doveroso per ogni ordinamento economico orientale alla giustizia e al bene comune. Una società in cui il diritto al lavoro sia vanificato o sistematicamente negato e in cui le misure di politica economica non consentano ai lavoratori di raggiungere livelli soddisfacenti di occupazione, " non può conseguire ne la sua legittimazione etica ne la pace sociale". Un ruolo importante e, dunque, una responsabilità specifica e grave appartengono, in questo ambito, al " datore di lavoro indiretto ", ossia a quei soggetti - persone o istituzioni di vario tipo - che sono in grado di orientare, a livello nazionale o internazionale, la politica del lavoro e dell'economia. 289 La capacità progettuale di una società orientata verso il bene comune e proiettata verso il futuro si misura anche e soprattutto sulla base delle prospettive di lavoro che essa è in grado di offrire. L'alto tasso di disoccupazione, la presenza di sistemi di istruzione obsoleti e di perduranti difficoltà nell'accesso alla formazione e al mercato del lavoro costituiscono, per molti giovani soprattutto, un forte ostacolo sulla strada della realizzazione umana e professionale. Chi è disoccupato o sottoccupato, infatti, subisce le conseguenze profondamente negative che tale condizione determina nella personalità e rischia di essere posto ai margini della società, di diventare una vittima dell'esclusione sociale. E questo un dramma che colpisce, in genere, oltre ai giovani, le donne, i lavoratori meno specializzati, i disabili, gli immigrati, gli ex-carcerati, gli analfabeti, tutti i soggetti che trovano maggiori difficoltà nella ricerca di una collocazione nel mondo del lavoro. 290 Il mantenimento dell'occupazione dipende sempre di più dalle capacità professionali. Il sistema di istruzione e di educazione non deve trascurare la formazione umana e tecnica, necessaria per svolgere con profitto le mansioni richieste. La sempre più diffusa necessità di cambiare varie volte impiego, nell'arco della vita, impone al sistema educativo di favorire la disponibilità delle persone ad un aggiornamento e riqualificazione permanenti. I giovani devono apprendere ad agire autonomamente, diventare capaci di assumersi responsabilmente il compito di affrontare con competenze adeguate i rischi legati ad un contesto economico mobile e spesso imprevedibile nei suoi scenari evolutivi. E altrettanto indispensabile l'offerta di opportune occasioni formative agli adulti in cerca di riqualificazione e ai disoccupati. Più in generale, il percorso lavorativo delle persone deve trovare nuove forme concrete di sostegno, a cominciare proprio dal sistema formativo, così che sia meno difficile attraversare fasi di cambiamento, di incertezza, di precarietà. Il ruolo dello Stato e della società civile nella promozione del diritto al lavoro 291 I problemi dell'occupazione chiamano in causa le responsabilità dello Stato, al quale compete il dovere di promuovere politiche attive del lavoro, cioè tali da favorire la creazione di opportunità lavorative all'interno del territorio nazionale, incentivando a questo scopo il mondo produttivo. Il dovere dello Stato non consiste tanto nell'assicurare direttamente il diritto al lavoro di tutti i cittadini, irreggimentando l'intera vita economica e mortificando la libera iniziativa dei singoli, quanto piuttosto nell'" assecondare l'attività delle imprese, creando condizioni che assicurino occasioni di lavoro, stimolandola ove essa risulti insufficiente o sostenendola nei momenti di crisi". 292 Di fronte alle dimensioni planetarie rapidamente assunte dalle relazioni economico-finanziarie e dal mercato del lavoro, si deve promuovere un'efficace collaborazione internazionale tra gli Stati, mediante trattati, accordi e piani di azione comuni che salvaguardino il diritto al lavoro anche nelle fasi più critiche del ciclo economico, a livello nazionale ed internazionale. Bisogna avere consapevolezza del fatto che il lavoro umano è un diritto da cui dipendono direttamente la promozione della giustizia sociale e della pace civile. Importanti compiti in questa direzione spettano alle Organizzazioni internazionali e a quelle sindacali: collegandosi nelle forme più opportune, esse si devono impegnare, prima di tutto, a tessere " una trama sempre più fitta di disposizioni giuridiche che proteggono il lavoro degli uomini, delle donne, dei giovani, e gli assicurano una conveniente retribuzione ". 293 Per la promozione del diritto al lavoro è importante, oggi come ai tempi della "Rerum novarum", che vi sia un "libero processo di auto organizzazione della società" Significative testimonianze ed esempi di auto-organizzazione si possono rintracciare nelle numerose iniziative, imprenditoriali e sociali, caratterizzate da forme di partecipazione, di cooperazione e di autogestione, che rivelano la fusione di energie solidali. Esse si offrono al mercato come un variegato settore di attività lavorative che si distinguono per un'attenzione particolare nei confronti della componente relazionale dei beni prodotti e dei servizi erogati in molteplici ambiti: istruzione, tutela della salute, servizi sociali di base, cultura. Le iniziative del cosiddetto "terzo settore" costituiscono un'opportunità sempre più rilevante di sviluppo del lavoro e dell'economia. La famiglia e il diritto al lavoro 294 Il lavoro è " il fondamento su cui si forma la vita familiare, la quale è un diritto naturale ed una vocazione dell'uomo ": esso assicura i mezzi di sussistenza e garantisce il processo educativo dei figli. Famiglia e lavoro, cosi strettamente interdipendenti nell'esperienza della grande maggioranza delle persone, meritano finalmente una considerazione più adeguata alla realtà, un'attenzione che li comprenda insieme, senza i limiti di una concezione privatistica della famiglia ed economicistica del lavoro. A questo riguardo, è necessario che le imprese, le organizzazioni professionali, i sindacati e lo Stato si rendano promotori di politiche del lavoro che non penalizzino, ma favoriscano il nucleo familiare dal punto di vista occupazionale. La vita di famiglia e il lavoro, infatti, si condizionano reciprocamente in vario modo. Il pendolarismo, il doppio lavoro e la fatica fisica e psicologica riducono il tempo dedicato alla vita familiare; le situazioni di disoccupazione hanno ripercussioni materiali e spirituali sulle famiglie, così come le tensioni e le crisi familiari influiscono negativamente sugli atteggiamenti e sul rendimento in campo lavorativo. Le donne e il diritto al lavoro 295 Il genio femminile è necessario in tutte le espressioni della vita sociale, perciò va garantita la presenza delle donne anche in ambito lavorativo. Il primo indispensabile passo in tale direzione è la concreta possibilità di accesso alla formazione professionale. Il riconoscimento e la tutela dei diritti delle donne nel contesto lavorativo dipendono, in generale, dall'organizzazione del lavoro, che deve tener conto della dignità e della vocazione della donna, la cui "vera promozione… esige che il lavoro sia strutturato in tal modo che essa non debba pagare la sua promozione con l'abbandono della famiglia, nella quale ha come madre un ruolo insostituibile " E una questione su cui si misurano la qualità della società e l'effettiva tutela del diritto al lavoro delle donne. La persistenza di molte forme di discriminazione offensive della dignità e vocazione della donna nella sfera del lavoro è dovuta ad una lunga serie di condizionamenti penalizzanti per la donna, che è stata ed è ancora " travisata nelle sue prerogative, non di rado emarginata e persino ridotta in schiavitù". Queste difficoltà, purtroppo, non sono superate, come dimostrano ovunque le diverse situazioni che avviliscono le donne, assoggettandole anche a forme di vero e proprio sfruttamento. L'urgenza di un effettivo riconoscimento dei diritti delle donne nel lavoro si avverte specialmente sotto l'aspetto retributivo, assicurativo e previdenziale. Lavoro minorile 296 Il lavoro minorile, nelle sue forme intollerabili, costituisce un tipo di violenza meno appariscente di altri, ma non per questo meno terribile. Una violenza che, al di là di tutte le implicazioni politiche, economiche e giuridiche, resta essenzialmente un problema morale. Questo l'ammonimento di Leone XIII: "Quanto ai fanciulli si badi a non ammetterli nelle officine prima che l'età ne abbia sufficientemente sviluppate le forze fisiche, intellettuali e morali. Le forze, che nella puerizia sbocciano simili all'erba in fiore, un movimento precoce le sciupa, e allora si rende impossibile la stessa educazione dei fanciulli". La piaga del lavoro minorile, ad oltre cento anni di distanza, non è stata ancora debellata. Pur nella consapevolezza che, almeno per ora, in certi Paesi il contributo portato dal lavoro dei bambini al bilancio familiare e alle economie nazionali è irrinunciabile e che, comunque, alcune forme di lavoro, svolte a tempo parziale, possono essere fruttuose per i bambini stessi, la dottrina sociale denuncia l'aumento dello "sfruttamento lavorativo dei minori in condizioni di vera schiavitù". Tale sfruttamento costituisce una grave violazione della dignità umana di cui ogni individuo, "per piccolo o apparentemente insignificante che sia in termini di utilità ", è portatore. L'emigrazione e il lavoro 297 L'immigrazione può essere una risorsa, anziché un ostacolo per lo sviluppo. Nel mondo attuale, in cui si aggrava lo squilibrio fra Paesi ricchi e Paesi poveri e in cui lo sviluppo delle comunicazioni riduce rapidamente le distanze, crescono le migrazioni di persone in cerca di migliori condizioni di vita, provenienti dalle zone meno favorite della terra: il loro arrivo nei Paesi sviluppati è spesso percepito come una minaccia per gli elevati livelli di benessere raggiunti grazie a decenni di crescita economica. Gli immigrati, tuttavia, nella maggioranza dei casi, rispondono a una domanda di lavoro che altrimenti resterebbe insoddisfatta, in settori e in territori nei quali la manodopera locale è insufficiente o non disposta a fornire il proprio contributo lavorativo. 298 Le istituzioni dei Paesi ospiti devono vigilare accuratamente affinché non si diffonda la tentazione di sfruttare la manodopera straniera, privandola dei diritti garantiti ai lavoratori nazionali, che devono essere assicurati a tutti senza discriminazioni. La regolamentazione dei flussi migratori secondo criteri di equità e di equilibrio è una delle condizioni indispensabili per ottenere che gli inserimenti avvengano con le garanzie richieste dalla dignità della persona umana. Gli immigrati devono essere accolti in quanto persone e aiutati, insieme alle loro famiglie, ad integrarsi nella vita sociale. In tale prospettiva va rispettato e promosso il diritto al ricongiungimento familiare. Nello stesso tempo, per quanto è possibile, vanno favorite tutte quelle condizioni che consentono accresciute possibilità di lavoro nelle proprie zone di origine. Il mondo agricolo e il diritto al lavoro 299 Una particolare attenzione merita il lavoro agricolo, per il ruolo sociale, culturale ed economico che esso mantiene nei sistemi economici di molti Paesi, per i numerosi problemi che deve affrontare nel contesto di un'economia sempre più globalizzata, per la sua importanza crescente nella salvaguardia dell'ambiente naturale: " sono dunque necessari cambiamenti radicali ed urgenti per ridare all'agricoltura - ed agli uomini dei campi - il giusto valore come base di una sana economia, nell'insieme dello sviluppo della comunità sociale ". I profondi e radicali mutamenti in atto a livello sociale e culturale, anche nell'agricoltura e nel più vasto mondo rurale, ripropongono con urgenza un approfondimento sul significato del lavoro agricolo nelle sue molteplici dimensioni. Si tratta di una sfida di notevole importanza, che va affrontata con politiche agricole e ambientali capaci di superare una certa concezione residuale e assistenziale e di elaborare nuove prospettive per un'agricoltura moderna, in grado di svolgere un ruolo significativo nella vita sociale ed economica. 300 In alcuni Paesi è indispensabile una ridistribuzione della terra, nell'ambito di efficaci politiche di riforma agraria, al fine di superare l'impedimento che il latifondo improduttivo, condannato dalla dottrina sociale della Chiesa, frappone ad un autentico sviluppo economico: " I Paesi in via di sviluppo possono contrastare efficacemente l'attuale processo di concentrazione della proprietà della terra se affrontano alcune situazioni che si connotano come veri e propri nodi strutturali. Tali sono le carenze e i ritardi a livello legislativo in tema di riconoscimento del titolo di proprietà della terra e in relazione al mercato del credito; il disinteresse per la ricerca e la formazione in agricoltura; la negligenza a proposito di servizi sociali e di infrastrutture nelle aree rurali ". La riforma agraria diventa pertanto, oltre che una necessità politica, un obbligo morale, dato che la sua mancata attuazione ostacola in questi Paesi gli effetti benefici derivanti dall'apertura dei mercati e, in genere, da quelle proficue occasioni di crescita che la globalizzazione in atto può offrire. Dignità dei lavoratori e rispetto dei loro diritti 301 I diritti dei lavoratori, come tutti gli altri diritti, si basano sulla natura della persona umana e sulla sua trascendente dignità. Il Magistero sociale della Chiesa ha ritenuto di elencarne alcuni, auspicandone il riconoscimento negli ordinamenti giuridici: il diritto ad una giusta remunerazione; il diritto al riposo; il diritto " ad ambienti di lavoro ed a processi produttivi che non rechino pregiudizio alla sanità fisica dei lavoratori e non ledano la loro integrità morale "; il diritto che venga salvaguardata la propria personalità sul luogo di lavoro, " senza essere violati in alcun modo nella propria coscienza o nella propria dignità"; il diritto a convenienti sovvenzioni indispensabili per la sussistenza dei lavoratori disoccupati e delle loro famiglie; il diritto alla pensione nonché all'assicurazione per la vecchiaia, la malattia e in caso di incidenti collegati alla prestazione lavorativa; il diritto a provvedimenti sociali collegati alla maternità; il diritto di riunirsi e di associarsi. Tali diritti vengono spesso offesi, come confermano i tristi fenomeni del lavoro sottopagato, privo di tutela o non rappresentato in maniera adeguata. Spesso accade che le condizioni di lavoro per uomini, donne e bambini, specie nei Paesi in via di sviluppo, siano talmente inumane da offendere la loro dignità e nuocere alla loro salute. Il diritto all'equa remunerazione e distribuzione del reddito 302 La remunerazione è lo strumento più importante per realizzare la giustizia nei rapporti di lavoro. Il "giusto salario è il frutto legittimo del lavoro"; commette grave ingiustizia chi lo rifiuta o non lo da a tempo debito e in equa proporzione al lavoro svolto ( Lv 19,13; Dt 24,14-15; Gc 5,4 ). Il salario è lo strumento che permette al lavoratore di accedere ai beni della terra: " il lavoro va ricompensato in misura tale da garantire all'uomo la possibilità di disporre dignitosamente la vita materiale, sociale, culturale e spirituale sua e dei suoi, in relazione ai compiti e al rendimento di ognuno, alle condizioni dell'azienda e al bene comune". Il semplice accordo tra lavoratore e datore di lavoro circa l'entità della remunerazione non basta per qualificare " giusta " la remunerazione concordata, perché essa " non deve essere inferiore al sostentamento " del lavoratore: la giustizia naturale è anteriore e superiore alla libertà del contratto. 303 Il benessere economico di un Paese non si misura esclusivamente sulla quantità di beni prodotti, ma anche tenendo conto del modo in cui essi vengono prodotti e del grado di equità nella distribuzione del reddito, che a tutti dovrebbe consentire di avere a disposizione ciò che serve allo sviluppo e al perfezionamento della propria persona. Un'equa distribuzione del reddito va perseguita sulla base di criteri non solo di giustizia commutativa, ma anche di giustizia sociale, considerando cioè, oltre al valore oggettivo delle prestazioni lavorative, la dignità umana dei soggetti che le compiono. Un benessere economico autentico si persegue anche attraverso adeguate politiche sociali di ridistribuzione del reddito che, tenendo conto delle condizioni generali, considerino opportunamente i meriti e i bisogni di ogni cittadino. Il diritto di sciopero 304 La dottrina sociale riconosce la legittimità dello sciopero "quando appare lo strumento inevitabile, o quanto meno necessario, in vista di un vantaggio proporzionato ", dopo che si sono rivelate inefficaci tutte le altre modalità di superamento dei conflitti. Lo sciopero, una delle conquiste più travagliate dell'associazionismo sindacale, può essere definito come il rifiuto collettivo e concertato, da parte dei lavoratori, di svolgere le loro prestazioni, allo scopo di ottenere, per mezzo della pressione così esercitata sui datori di lavoro, sullo Stato e sull'opinione pubblica, migliori condizioni di lavoro e della loro situazione sociale. Anche lo sciopero, per quanto si profili "come… una specie di ultimatum", deve essere sempre un metodo pacifico di rivendicazione e di lotta per i propri diritti; esso diventa "moralmente inaccettabile allorché è accompagnato da violenze oppure gli si assegnano obiettivi non direttamente connessi con le condizioni di lavoro o in contrasto con il bene comune". L'importanza dei sindacati 305 Il Magistero riconosce il ruolo fondamentale svolto dai sindacati dei lavoratori, la cui ragion d'essere consiste nel diritto dei lavoratori a formare associazioni o unioni per difendere gli interessi vitali degli uomini impiegati nei vari lavori. I sindacati " sono cresciuti sulla base della lotta dei lavoratori, del mondo del lavoro e, prima di tutto, dei lavoratori industriali, per la tutela dei loro giusti diritti nei confronti degli imprenditori e dei proprietari dei mezzi di produzione ". Le organizzazioni sindacali, perseguendo il loro fine specifico al servizio del bene comune, sono un fattore costruttivo di ordine sociale e di solidarietà e quindi un elemento indispensabile della vita sociale. Il riconoscimento dei diritti del lavoro costituisce da sempre un problema di difficile soluzione, perché si attua all'interno di processi storici e istituzionali complessi, e ancora oggi si può dire incompiuto. Ciò rende più che mai attuale e necessario l'esercizio di un'autentica solidarietà tra i lavoratori. 306 La dottrina sociale insegna che i rapporti all'interno del mondo del lavoro vanno improntati alla collaborazione: l'odio e la lotta per eliminare l'altro costituiscono metodi del tutto inaccettabili, anche perché, in ogni sistema sociale, sono indispensabili al processo di produzione tanto il lavoro quanto il capitale. Alla luce di questa concezione, la dottrina sociale " non ritiene che i sindacati costituiscano solamente il riflesso della struttura "di classe" della società e che siano l'esponente della lotta di classe, che inevitabilmente governa la vita sociale ". I sindacati sono propriamente i promotori della lotta per la giustizia sociale, per i diritti degli uomini del lavoro, nelle loro specifiche professioni: " Questa "lotta" deve essere vista come un normale adoperarsi "per" il giusto bene; […] non è una lotta "contro" gli altri". Il sindacato, essendo anzitutto strumento di solidarietà e di giustizia, non può abusare degli strumenti di lotta; in ragione della sua vocazione, deve vincere le tentazioni del corporativismo, sapersi autoregolamentare e valutare le conseguenze delle proprie scelte rispetto all'orizzonte del bene comune. 307 AI sindacato, oltre alle funzioni difensive e rivendicative, competono sia una rappresentanza finalizzata ad " organizzare nel giusto ordine la vita economica" sia l'educazione della coscienza sociale dei lavoratori, affinché essi si sentano parte attiva, secondo le capacità e le attitudini di ciascuno, in tutta l'opera dello sviluppo economico e sociale e della costruzione del bene comune universale. Il sindacato e le altre forme di associazionismo dei lavoratori devono assumersi una funzione di collaborazione con gli altri soggetti sociali ed interessarsi alla gestione della cosa pubblica. Le organizzazioni sindacali hanno il dovere di influenzare il potere politico, così da sensibilizzarlo debitamente ai problemi del lavoro e da impegnarlo a favorire la realizzazione dei diritti dei lavoratori. I sindacati, tuttavia, non hanno il carattere di " partiti politici " che lottano per il potere, e non devono neppure essere sottoposti alle decisioni dei partiti politici o avere con essi dei legami troppo stretti: "in una tale situazione essi perdono facilmente il contatto con ciò che è il loro compito specifico, che è quello di assicurare i giusti diritti degli uomini del lavoro nel quadro del bene comune dell'intera società, e diventano, invece, uno strumento per altri scopi". Nuove forme di solidarietà 308 Il contesto socio-economico odierno, caratterizzato da processi di globalizzazione economico-finanziaria sempre più rapidi, spinge i sindacati a rinnovarsi. Oggi i sindacati sono chiamati ad agire in forme nuove, ampliando il raggio della propria azione di solidarietà in modo che siano tutelati, oltre alle categorie lavorative tradizionali, i lavoratori con contratti atipici o a tempo determinato; i lavoratori il cui impiego è messo in pericolo dalle fusioni di imprese che sempre più frequentemente avvengono, anche a livello internazionale; coloro che non hanno un'occupazione, gli immigrati, i lavoratori stagionali, coloro che per mancanza di aggiornamento professionale sono stati espulsi dal mercato del lavoro e non vi possono rientrare senza adeguati corsi di riqualificazione. Di fronte ai cambiamenti intervenuti nel mondo del lavoro, la solidarietà potrà essere recuperata e forse anche meglio fondata rispetto al passato se si opera per una riscoperta del valore soggettivo del lavoro: " bisogna continuare a interrogarsi circa il soggetto del lavoro e le condizioni in cui egli vive ". Per questo, " sono necessari sempre nuovi movimenti di solidarietà degli uomini del lavoro e di solidarietà con gli uomini del lavoro ". 309 Perseguendo "nuove forme di solidarietà" le associazioni dei lavoratori devono orientarsi verso l'assunzione di maggiori responsabilità, non soltanto in relazione ai tradizionali meccanismi della ridistribuzione, ma anche nei confronti della produzione della ricchezza e della creazione di condizioni sociali, politiche e culturali che consentano a tutti coloro che possono e desiderano lavorare di esercitare il loro diritto al lavoro, nel pieno rispetto della loro dignità di lavoratori. Il superamento graduale del modello organizzativo basato sul lavoro salariato nella grande impresa rende opportuno, inoltre, un aggiornamento delle norme e dei sistemi di sicurezza sociale, mediante i quali i lavoratori sono stati finora tutelati, fatti salvi i loro fondamentali diritti. Una fase di transizione epocale 310 Uno degli stimoli più significativi all'attuale cambiamento dell'organizzazione del lavoro è dato dal fenomeno della globalizzazione, che consente di sperimentare nuove forme di produzione, con la dislocazione degli impianti in aree diverse da quelle in cui vengono assunte le decisioni strategiche e lontane dai mercati di consumo. Due sono i fattori che danno impulso a questo fenomeno: la straordinaria velocità di comunicazione senza limiti di spazio e di tempo e la relativa facilità di trasportare merci e persone da una parte all'altra del globo. Ciò comporta una conseguenza fondamentale sui processi produttivi: la proprietà è sempre più lontana, spesso indifferente agli effetti sociali delle scelte che compie. D'altro canto, se è vero che la globalizzazione, a priori, non è buona o cattiva in sé, ma dipende dall'uso che l'uomo ne fa, si deve affermare che è necessaria una globalizzazione delle tutele, dei diritti minimi essenziali, dell'equità. 311 Una delle caratteristiche più rilevanti della nuova organizzazione del lavoro è la frammentazione fisica del ciclo produttivo, promossa per conseguire una maggiore efficienza e maggiori profitti. In questa prospettiva, le tradizionali coordinate spazio-tempo entro le quali si configurava il ciclo produttivo subiscono una trasformazione senza precedenti, che determina un cambiamento nella struttura stessa del lavoro. Tutto ciò ha conseguenze rilevanti nella vita dei singoli e delle comunità, sottoposti a cambiamenti radicali sia sul piano delle condizioni materiali, sia su quello culturale e dei valori. Questo fenomeno sta coinvolgendo, a livello globale e locale, milioni di persone, indipendentemente dalla professione che svolgono, dalla loro condizione sociale, dalla preparazione culturale. La riorganizzazione del tempo, la sua regolarizzazione e i cambiamenti in atto nell'uso dello spazio - paragonabili, per la loro entità, alla prima rivoluzione industriale, in quanto coinvolgono tutti i settori produttivi, in tutti i continenti, a prescindere dal loro grado di sviluppo - sono da considerarsi, pertanto, una sfida decisiva, anche a livello etico e culturale, nel campo della definizione di un sistema rinnovato di tutela del lavoro. 312 La globalizzazione dell'economia, con la liberalizzazione dei mercati, l'accentuarsi della concorrenza, l'accrescersi di imprese specializzate nel fornire prodotti e servizi, richiede maggiore flessibilità nel mercato del lavoro e nell'organizzazione e gestione dei processi produttivi. Nella valutazione di questa delicata materia, sembra opportuno riservare una maggiore attenzione morale, culturale e progettuale nell'orientare l'agire sociale e politico sulle tematiche connesse all'identità e ai contenuti del nuovo lavoro, in un mercato e in una economia essi stessi nuovi. I mutamenti del mercato del lavoro sono spesso, infatti, un effetto del cambiamento del lavoro stesso e non una sua causa. 313 Il lavoro, soprattutto all'interno dei sistemi economici dei Paesi più sviluppati, attraversa una fase che segna il passaggio da un'economia di tipo industriale ad un'economia essenzialmente centrata sui servizi e sull'innovazione tecnologica. Accade cioè che i servizi e le attività caratterizzate da un forte contenuto informativo crescono in modo più rapido rispetto a quelle dei tradizionali settori primario e secondario, con conseguenze di ampia portata nell'organizzazione della produzione e degli scambi, nel contenuto e nella forma delle prestazioni lavorative e nei sistemi di protezione sociale. Grazie alle innovazioni tecnologiche, il mondo del lavoro si arricchisce di professioni nuove, mentre altre scompaiono. Nell'attuale fase di transizione, infatti, si assiste ad un continuo passaggio di occupati dall'industria ai servizi. Mentre perde terreno il modello economico e sociale legato alla grande fabbrica e al lavoro di una classe operaia omogenea, migliorano le prospettive occupazionali nel terziario e aumentano, in particolare, le attività lavorative nel comparto dei servizi alla persona, delle prestazioni part time, interinali e "atipiche", ossia forme di lavoro che non sono inquadrabili ne come lavoro dipendente ne come lavoro autonomo. 314 La transizione in atto segna il passaggio dal lavoro dipendente a tempo indeterminato, inteso come posto fisso, a un percorso lavorativo caratterizzato da una pluralità di attività lavorative; da un mondo del lavoro compatto, definito e riconosciuto, a un universo di lavori, variegato, fluido, ricco di promesse, ma anche carico di interrogativi preoccupanti, specie di fronte alla crescente incertezza circa le prospettive occupazionali, a fenomeni persistenti di disoccupazione strutturale, all'inadeguatezza degli attuali sistemi di sicurezza sociale. Le esigenze della competizione, della innovazione tecnologica e della complessità dei flussi finanziari vanno armonizzate con la difesa del lavoratore e dei suoi diritti. L'insicurezza e la precarietà non riguardano soltanto la condizione lavorativa degli uomini che vivono nei Paesi più sviluppati, ma investono anche, e soprattutto, le realtà economicamente meno avanzate del pianeta, i Paesi in via di sviluppo e i Paesi con economie in transizione. Questi ultimi, oltre ai complessi problemi connessi al cambiamento dei modelli economici e produttivi, devono affrontare quotidianamente le difficili esigenze che provengono dalla globalizzazione in atto. La situazione risulta particolarmente drammatica per il mondo del lavoro, investito da vasti e radicali cambiamenti culturali e strutturali, in contesti spesso privi di supporti legislativi, formativi e di assistenza sociale. 315 Il decentramento produttivo, che assegna alle aziende minori molteplici compiti, in precedenza concentrati nelle grandi unità produttive, fa acquistare vigore e imprime nuovo slancio alle piccole e medie imprese. Emergono così, accanto all'artigianato tradizionale, nuove imprese caratterizzate da piccole unità produttive operanti in settori di produzione moderni oppure in attività decentrate dalle aziende maggiori. Molte attività che ieri richiedevano lavoro dipendente, oggi sono realizzate in forme nuove, che favoriscono il lavoro indipendente e si caratterizzano per una maggiore componente di rischio e di responsabilità. Il lavoro nelle piccole e medie imprese, il lavoro artigianale e il lavoro indipendente possono costituire un 'occasione per rendere più umano il vissuto lavorativo, sia per la possibilità di stabilire positive relazioni interpersonali in comunità di piccole dimensioni, sia per le opportunità offerte da una maggiore iniziativa e imprenditorialità; ma non sono pochi, in questi settori, i casi di trattamenti ingiusti, di lavoro mal pagato e soprattutto insicuro. 316 Nei Paesi in via di sviluppo, inoltre, si è diffuso, in questi ultimi anni, il fenomeno dell'espansione di attività economiche "informali" o "sommerse", che rappresenta un segnale di crescita economica promettente, ma solleva problemi etici e giuridici. Il significativo aumento dei posti di lavoro suscitato da tali attività è dovuto, infatti, all'assenza di specializzazione di gran parte dei lavoratori locali e allo sviluppo disordinato dei settori economici formali. Un elevato numero di persone è così costretto a lavorare in condizioni di grave disagio e in un quadro privo delle regole che tutelano la dignità del lavoratore. I livelli di produttività, reddito e tenore di vita sono estremamente bassi e spesso si rivelano insufficienti a garantire ai lavoratori e alle loro famiglie il raggiungimento del livello di sussistenza. Dottrina sociale e " res novae " 317 Di fronte alle imponenti " res novae " del mondo del lavoro, la dottrina sociale della Chiesa raccomanda, prima di tutto, di evitare l'errore di ritenere che i mutamenti in atto avvengano in modo deterministico. Il fattore decisivo e " l'arbitro " di questa complessa fase di cambiamento è ancora una volta l'uomo, che deve restare il vero protagonista del suo lavoro. Egli può e deve farsi carico in modo creativo e responsabile delle attuali innovazioni e riorganizzazioni, cosi che esse giovino alla crescita della persona, della famiglia, delle società e dell'intera famiglia umana. Illuminante è per tutti il richiamo alla dimensione soggettiva del lavoro, alla quale la dottrina sociale della Chiesa insegna a dare la dovuta priorità, perché il lavoro umano " proviene immediatamente da persone create ad immagine di Dio e chiamate a prolungare, le une con e per le altre, l'opera della creazione sottomettendo la terra". 318 Le interpretazioni di tipo meccanicistico ed economicistico dell'attività produttiva, sebbene prevalenti e comunque influenti, risultano superate dalla stessa analisi scientifica dei problemi connessi con il lavoro. Tali concezioni si rivelano oggi più di ieri del tutto inadeguate a interpretare i fatti, che dimostrano ogni giorno di più la valenza del lavoro in quanto attività libera e creativa dell'uomo. Anche dai riscontri concreti deve derivare la spinta a superare senza indugio orizzonti teorici e criteri operativi ristretti e insufficienti rispetto alle dinamiche in atto, intrinsecamente incapaci di individuare i concreti e pressanti bisogni umani nella loro vasta gamma, che si estende ben oltre le categorie soltanto economiche. Sa bene la Chiesa, e da sempre insegna, che l'uomo, a differenza di ogni altro essere vivente, ha bisogni certo non limitati soltanto all'" avere", perché la sua natura e la sua vocazione sono in relazione inscindibile col Trascendente. La persona umana affronta l'avventura della trasformazione delle cose mediante il suo lavoro per soddisfare necessità e bisogni innanzi tutto materiali, ma lo fa seguendo un impulso che la spinge sempre oltre i risultati conseguiti, alla ricerca di ciò che può corrispondere più profondamente alle sue ineliminabili esigenze interiori. 319 Cambiano le forme storiche in cui si esprime il lavoro umano, ma non devono cambiare le sue esigenze permanenti, che si riassumono nel rispetto dei diritti inalienabili dell'uomo che lavora. Di fronte al rischio di vedere negati questi diritti, devono essere immaginate e costruite nuove forme di solidarietà, tenendo conto dell'interdipendenza che lega tra loro gli uomini del lavoro. Quanto più profondi sono i cambiamenti, tanto più deciso deve essere l'impegno dell'intelligenza e della volontà per tutelare la dignità del lavoro, rafforzando, ai diversi livelli, le istituzioni interessate. Questa prospettiva consente di orientare al meglio le attuali trasformazioni nella direzione, tanto necessaria, della complementarità tra la dimensione economica locale e quella globale; tra economia "vecchia" e "nuova"; tra l'innovazione tecnologica e l'esigenza di salvaguardare il lavoro umano; tra la crescita economica e la compatibilità ambientale dello sviluppo. 320 Alla soluzione delle problematiche vaste e complesse del lavoro, che in alcune aree assumono dimensioni drammatiche, gli scienziati e gli uomini di cultura sono chiamati ad offrire il loro contributo specifico, tanto importante per la scelta di soluzioni giuste. È una responsabilità che richiede loro di evidenziare le occasioni e i rischi che nei cambiamenti si profilano e soprattutto di suggerire linee di azione per guidare il cambiamento nel senso più favorevole allo sviluppo dell'intera famiglia umana. A loro spetta il grave compito di leggere e di interpretare i fenomeni sociali con intelligenza ed amore della verità, senza preoccupazioni dettate da interessi di gruppo o personali. Il loro contributo, infatti, proprio perché di natura teorica, diventa un riferimento essenziale per l'agire concreto delle politiche economiche. 321 Gli scenari attuali di profonda trasformazione del lavoro umano rendono ancor più urgente uno sviluppo autenticamente globale e solidale, in grado di coinvolgere tutte le zone del mondo, comprese quelle meno favorite. Per queste ultime, l'avvio di un processo di sviluppo solidale di vasta portata non solo rappresenta una concreta possibilità per creare nuovi posti di lavoro, ma si configura anche come una vera e propria condizione di sopravvivenza per interi popoli: "Occorre globalizzare la solidarietà ". Gli squilibri economici e sociali esistenti nel mondo del lavoro vanno affrontati ristabilendo la giusta gerarchia dei valori e ponendo al primo posto la dignità della persona che lavora: " Mai le nuove realtà, che investono con forza il processo produttivo, quali la globalizzazione della finanza, dell'economia, dei commerci e del lavoro, devono violare la dignità e la centralità della persona umana ne la libertà e la democrazia dei popoli. La solidarietà, la partecipazione e la possibilità di governare questi radicali cambiamenti costituiscono, se non la soluzione, certamente la necessaria garanzia etica perché le persone ed i popoli diventino non strumenti, ma protagonisti del loro futuro. Tutto ciò può essere realizzato e, poiché è possibile, diventa doveroso ". 322 Risulta sempre più necessaria un'attenta considerazione della nuova situazione del lavoro nell'attuale contesto della globalizzazione, in una prospettiva che valorizzi la naturale propensione degli uomini a stabilire relazioni. A questo proposito si deve affermare che l'universalità è una dimensione dell'uomo, non delle cose. La tecnica potrà essere la causa strumentale della globalizzazione, ma è l'universalità della famiglia umana la sua causa ultima. Anche il lavoro, pertanto, ha una sua dimensione universale, in quanto fondato sulla relazionalità umana. Le tecniche, specialmente elettroniche, hanno permesso di dilatare tale aspetto relazionale del lavoro a tutto il pianeta, imprimendo alla globalizzazione un ritmo particolarmente accelerato. Il fondamento ultimo di questo dinamismo è l'uomo che lavora, è sempre l'elemento soggettivo e non quello oggettivo. Anche il lavoro globalizzato trae origine, pertanto, dal fondamento antropologico dell'intrinseca dimensione relazionale del lavoro. Gli aspetti negativi della globalizzazione del lavoro non devono mortificare le possibilità che si sono aperte per tutti di dare espressione ad un umanesimo del lavoro a livello planetario, ad una solidarietà del mondo del lavoro a questo livello, affinché lavorando in un simile contesto, dilatato ed interconnesso, l'uomo capisca sempre di più la sua vocazione unitaria e solidale. L'uomo, povertà e ricchezza 323 Nell'Antico Testamento si riscontra un duplice atteggiamento nei confronti dei beni economici e della ricchezza. Da un lato apprezzamento verso la disponibilità dei beni materiali considerati necessari per la vita: talora l'abbondanza - ma non la ricchezza o il lusso - è vista come una benedizione di Dio. Nella letteratura sapienziale, la povertà è descritta come una conseguenza negativa dell'ozio e della mancanza di laboriosità ( Pr 10,4 ), ma anche come un fatto naturale ( Pr 22,2 ). Da un altro lato, i beni economici e la ricchezza non sono condannati per se stessi, ma per il loro cattivo uso. La tradizione profetica stigmatizza gli imbrogli, l'usura, gli sfruttamenti, le vistose ingiustizie, specie nei confronti dei più poveri ( Is 58,3-11; Ger 7,4-7; Os 4,1-2; Am 2,6-7; Mi 2,1-2 ). Tale tradizione, pur considerando un male la povertà degli oppressi, dei deboli, degli indigenti, vede in essa anche un simbolo della situazione dell'uomo davanti a Dio; da Lui proviene ogni bene come un dono da amministrare e da condividere. 324 Colui che riconosce la propria povertà davanti a Dio, in qualunque situazione egli viva, è oggetto di particolare attenzione da parte di Dio: quando il povero cerca, il Signore risponde; quando grida. Egli l'ascolta. Ai poveri sono rivolte le promesse divine: essi saranno gli eredi dell'alleanza tra Dio e il Suo popolo. L'intervento salvifico di Dio si attuerà tramite un nuovo Davide ( Ez 34,22-31 ), il quale, come e più del re Davide, sarà difensore dei poveri e promotore della giustizia; egli stabilirà una nuova alleanza e scriverà una nuova legge nel cuore dei credenti ( Ger 31,31-34 ). La povertà, quando è accettata o ricercata con spirito religioso, predispone al riconoscimento e all'accettazione dell'ordine creaturale; il " ricco ", in questa prospettiva, è colui che ripone la sua fiducia nelle cose che possiede piuttosto che in Dio, l'uomo che si fa forte dell'opera delle sue mani e che confida solo in questa sua forza. La povertà assurge a valore morale quando si manifesta come umile disponibilità e apertura verso Dio, fiducia in Lui. Questi atteggiamenti rendono l'uomo capace di riconoscere la relatività dei beni economici e di trattarli come doni divini da amministrare e da condividere, perché la proprietà originaria di tutti i beni appartiene a Dio. 325 Gesù assume l'intera tradizione dell'Antico Testamento anche sui beni economici, sulla ricchezza e sulla povertà, conferendole una definitiva chiarezza e pienezza ( Mt 6,24 e Mt 13,22; Lc 6,20-24 e Lc 12,15-21; Rm 14,6-8 e 1 Tm 4,4 ). Egli, donando il Suo Spirito e cambiando i cuori, viene ad instaurare il " Regno di Dio ", così da rendere possibile una nuova convivenza nella giustizia, nella fraternità, nella solidarietà e nella condivisione. Il Regno inaugurato da Cristo perfeziona la bontà originaria del creato e dell'attività umana, compromessa dal peccato. Liberato dal male e reintrodotto nella comunione con Dio, ogni uomo può continuare l'opera di Gesù, con l'aiuto del Suo Spirito: rendere giustizia ai poveri, affrancare gli oppressi, consolare gli afflitti, ricercare attivamente un nuovo ordine sociale, in cui si offrano adeguate soluzioni alla povertà materiale e vengano arginate più efficacemente le forze che ostacolano i tentativi dei più deboli di riscattarsi da una condizione di miseria e di schiavitù. Quando ciò accade, il Regno di Dio si fa già presente su questa terra, pur non appartenendole. In esso troveranno finalmente compimento le promesse dei Profeti. • 326 Alla luce della Rivelazione, l'attività economica va considerata e svolta come risposta riconoscente alla vocazione che Dio riserva a ciascun uomo. Questi è posto nel giardino per coltivarlo e custodirlo, usandone secondo limiti ben precisi ( Gen 2,16-17 ), nell'impegno di perfezionarlo ( Gen 1,26-30; Gen 2,15-16; Sap 9,2-3 ). Facendosi testimone della grandezza e della bontà del Creatore, l'uomo cammina verso la pienezza della libertà a cui Dio lo chiama. Una buona amministrazione dei doni ricevuti, anche dei doni materiali, è opera di giustizia verso se stessi e verso gli altri uomini: ciò che si riceve va ben usato, conservato, accresciuto, come insegna la parabola dei talenti ( Mt 25,14-30; Lc 19,12-27 ). L'attività economica e il progresso materiale devono essere posti a servizio dell'uomo e delle società; se ci si dedica ad essi con la fede, la speranza e la carità dei discepoli di Cristo, anche l'economia e il progresso possono essere trasformati in luoghi di salvezza e di santificazione; anche in questi ambiti è possibile dare espressione ad un amore e ad una solidarietà più che umani e contribuire alla crescita di una umanità nuova, che prefiguri il mondo dei tempi ultimi. Gesù sintetizza tutta la Rivelazione chiedendo al credente di arricchire davanti a Dio ( Lc 12,21 ): anche l'economia è utile a questo scopo, quando non tradisce la sua funzione di strumento per la crescita globale dell'uomo e delle società, della qualità umana della vita. 327 La fede in Gesù Cristo permette una corretta comprensione dello sviluppo sociale, nel contesto di un umanesimo integrale e solidale. A questo scopo risulta assai utile il contributo di riflessione teologica offerto dal Magistero sociale: " La fede in Cristo Redentore, mentre illumina dal di dentro la natura dello sviluppo, guida anche nel compito della collaborazione. Nella lettera di san Paolo ai Colossesi leggiamo che Cristo è "il primogenito di tutta la creazione" e che "tutte le cose sono state create per mezzo di lui ed in vista di lui" ( Col 1,15-16 ). Infatti, ogni cosa "ha consistenza in lui", perché "piacque a Dio di fare abitare in lui ogni pienezza e per mezzo di lui riconciliare a sé tutte le cose" ( Col 1,20 ). In questo piano divino, che comincia dall'eternità in Cristo, "immagine" perfetta del Padre, e che culmina in lui, "primogenito di coloro che risuscitano dai morti" ( Col 1,15-18 ), s'inserisce la nostra storia, segnata dal nostro sforzo personale e collettivo di elevare la condizione umana, superare gli ostacoli sempre risorgenti lungo il nostro cammino, disponendoci così a partecipare alla pienezza che "risiede nel Signore" e che egli comunica "al suo corpo, che è la Chiesa" ( Col 1,18; Ef 1,22-23 ), mentre il peccato, che sempre ci insidia e compromette le nostre realizzazioni umane è vinto e riscattato dalla "riconciliazione" operata da Cristo ( Col 1,20 ) ". La ricchezza esiste per essere condivisa 328 I beni, anche se legittimamente posseduti, mantengono sempre una destinazione universale; è immorale ogni forma di indebita accumulazione, perché in aperto contrasto con la destinazione universale assegnata da Dio Creatore a tutti i beni. La salvezza cristiana, infatti, è una liberazione integrale dell'uomo, liberazione dal bisogno, ma anche rispetto al possesso stesso: " L'attaccamento al denaro infatti è la radice di tutti i mali; per il suo sfrenato desiderio alcuni hanno deviato dalla fede" ( 1 Tm 6,10 ). I Padri della Chiesa insistono sulla necessità della conversione e della trasformazione delle coscienze dei credenti, più che su esigenze di cambiamento delle strutture sociali e politiche del loro tempo, sollecitando chi svolge un'attività economica e possiede beni a considerarsi amministratore di quanto Dio gli ha affidato. 329 Le ricchezze realizzano la loro funzione di servizio all'uomo quando sono destinate a produrre benefici per gli altri e la società: " Come potremmo fare del bene al prossimo - si chiede Clemente Alessandrino - se tutti non possedessero nulla?". Nella visione di san Giovanni Crisostomo, le ricchezze appartengono ad alcuni affinché essi possano acquistare merito condividendole con gli altri. Esse sono un bene che viene da Dio: chi lo possiede lo deve usare e far circolare, così che anche i bisognosi possano goderne; il male va visto nell'attaccamento smodato alle ricchezze, nella volontà di accaparrarsele. San Basilio il Grande invita i ricchi ad aprire le porte dei loro magazzini ed esclama: "Un grande fiume si riversa, in mille canali, sul terreno fertile: così, per mille vie, tu fa' giungere la ricchezza nelle abitazioni dei poveri ". La ricchezza, spiega san Basilio, è come l'acqua che sgorga sempre più pura dalla fontana se viene attinta con frequenza, mentre imputridisce se la fontana rimane inutilizzata. Il ricco, dirà più tardi san Gregorio Magno, non è che un amministratore di ciò che possiede; dare il necessario a chi ne ha bisogno è opera da compiere con umiltà, perché i beni non appartengono a chi li distribuisce. Chi tiene le ricchezze solo per sé non è innocente; darle a chi ne ha bisogno significa pagare un debito. Morale ed economia 330 La dottrina sociale della Chiesa insiste sulla connotazione morale dell'economia. Pio XI, in una pagina dell'enciclica " Quadragesima anno ", affronta il rapporto tra l'economia e la morale: " Sebbene l'economia e la disciplina morale, ciascuna nel suo ambito, si appoggino sui principi propri, sarebbe errore affermare che l'ordine economico e l'ordine morale siano così disparati ed estranei l'uno all'altro, che il primo in nessun modo dipenda dal secondo. Certo, le leggi, che si dicono economiche, tratte dalla natura stessa delle cose e dall'indole dell'anima e del corpo umano, stabiliscono quali limiti nel campo economico il potere dell'uomo non possa e quali possa raggiungere, e con quali mezzi; e la stessa ragione, dalla natura delle cose e da quella individuale e sociale dell'uomo, chiaramente deduce quale sia il fine da Dio Creatore proposto a tutto l'ordine economico. Soltanto la legge morale è quella la quale, come ci intima di cercare nel complesso delle nostre azioni il fine supremo ed ultimo, così nei particolari generi di operosità ci dice di cercare quei fini speciali, che a quest'ordine di operazioni sono stati prefissi dalla natura, o meglio, da Dio, autore della natura, e di subordinare armonicamente questi fini particolari al fine supremo". 331 Il rapporto tra morale ed economia è necessario e intrinseco: attività economica e comportamento morale si compenetrano intimamente. La necessaria distinzione tra morale ed economia non comporta una separazione tra i due ambiti, ma, al contrario, una reciprocità importante. Come in ambito morale si deve tener conto delle ragioni e delle esigenze dell'economia, operando in campo economico ci si deve aprire alle istanze morali: "Anche nella vita economico-sociale occorre onorare e promuovere la dignità della persona umana e la sua vocazione integrale e il bene di tutta la società. L'uomo infatti è l'autore, il centro e il fine di tutta la vita economico-sociale". Dare il giusto e dovuto peso alle ragioni proprie dell'economia non significa rifiutare come irrazionale ogni considerazione di ordine metaeconomico, proprio perché il fine dell'economia non sta nell'economia stessa, bensì nella sua destinazione umana e sociale. All'economia, infatti, sia in ambito scientifico sia a livello di prassi, non è affidato il fine della realizzazione dell'uomo e della buona convivenza umana, ma un compito parziale: la produzione, la distribuzione e il consumo di beni materiali e di servizi. 332 La dimensione morale dell'economia fa cogliere come finalità inscindibili, anziché separate e alternative, l'efficienza economica e la promozione di uno sviluppo solidale dell'umanità. La morale, costitutiva della vita economica, non è ne oppositiva, ne neutrale: se ispirata alla giustizia e alla solidarietà, costituisce un fattore di efficienza sociale della stessa economia. E un dovere svolgere in maniera efficiente l'attività di produzione dei beni, altrimenti si sprecano risorse; ma non è accettabile una crescita economica ottenuta a discapito degli esseri umani, di interi popoli e gruppi sociali, condannati all'indigenza e all'esclusione. L'espansione della ricchezza, visibile nella disponibilità di beni e di servizi, e l'esigenza morale di una equa diffusione di questi ultimi devono stimolare l'uomo e la società nel suo insieme a praticare la virtù essenziale della solidarietà per combattere, nello spirito della giustizia e della carità, ovunque ne sia rivelata la presenza, quelle " strutture di peccato " che generano e mantengono povertà, sottosviluppo e degradazione. Tali strutture sono edificate e consolidate da molti atti concreti di egoismo umano. 333 Per assumere un profilo morale, l'attività economica deve avere come soggetti tutti gli uomini e tutti i popoli. Tutti hanno il diritto di partecipare alla vita economica e il dovere di contribuire, secondo le proprie capacità, al progresso del proprio Paese e dell'intera famiglia umana. Se, in qualche misura, tutti sono responsabili di tutti, ciascuno ha il dovere di impegnarsi per lo sviluppo economico di tutti: è dovere di solidarietà e di giustizia, ma è anche la via migliore per far progredire l'intera umanità. Se vissuta moralmente, l'economia è dunque prestazione di un servizio reciproco, mediante la produzione di beni e servizi utili alla crescita di ognuno, e diventa opportunità per ogni uomo di vivere la solidarietà e la vocazione alla "comunione con gli altri uomini per cui Dio lo ha creato ". Lo sforzo di concepire e realizzare progetti economico-sociali capaci di favorire una società più equa e un mondo più umano rappresenta una sfida aspra, ma anche un dovere stimolante, per tutti gli operatori economici e per i cultori delle scienze economiche. 334 Oggetto dell'economia è la formazione della ricchezza e il suo incremento progressivo, in termini non soltanto quantitativi, ma qualitativi: tutto ciò è moralmente corretto se finalizzato allo sviluppo globale e solidale dell'uomo e della società in cui egli vive ed opera. Lo sviluppo, infatti, non può essere ridotto a mero processo di accumulazione di beni e servizi. Al contrario, la pura accumulazione, anche qualora fosse per il bene comune, non è una condizione sufficiente per la realizzazione dell'autentica felicità umana. In questo senso, il Magistero sociale mette in guardia dall'insidia che un tipo di sviluppo solo quantitativo nasconde, perché la " eccessiva disponibilità di ogni tipo di beni materiali in favore di alcune fasce sociali rende facilmente gli uomini schiavi del "possesso" e del godimento immediato… È la cosiddetta civiltà dei "consumi", o consumismo…". 335 Nella prospettiva dello sviluppo integrale e solidale, si può dare un giusto apprezzamento alla valutazione morale che la dottrina sociale offre sull'economia di mercato o, semplicemente, economia libera: " Se con "capitalismo" si indica un sistema economico che riconosce il ruolo fondamentale e positivo dell'impresa, del mercato, della proprietà privata e della conseguente responsabilità per i mezzi di produzione, della libera creatività umana nel settore dell'economia, la risposta è certamente positiva, anche se forse sarebbe più appropriato parlare di "economia d'impresa", o di "economia di mercato", o semplicemente di "economia libera". Ma se con "capitalismo" si intende un sistema in cui la libertà nel settore dell'economia non è inquadrata in un solido contesto giuridico che la metta al servizio della libertà umana integrale e la consideri come una particolare dimensione di questa libertà, il cui centro è etico e religioso, allora la risposta è decisamente negativa ". In tal modo viene definita la prospettiva cristiana circa le condizioni sociali e politiche dell'attività economica: non solo le sue regole, ma anche la sua qualità morale e il suo significato. Iniziativa privata e impresa 336 La dottrina sociale della Chiesa considera la libertà della persona in campo economico un valore fondamentale e un diritto inalienabile da promuovere e tutelare: " Ciascuno ha il diritto di iniziativa economica, ciascuno userà legittimamente i propri talenti per concorrere a un'abbondanza di cui tutti possano godere, e per raccogliere dai propri sforzi i giusti frutti ". Tale insegnamento mette in guardia dalle conseguenze negative che deriverebbero dalla mortificazione o negazione del diritto di iniziativa economica: " L'esperienza ci dimostra che la negazione di un tale diritto, o la sua limitazione in nome di una pretesa "eguaglianza" di tutti nella società riduce, o addirittura distrugge di fatto lo spirito d'iniziativa, cioè la soggettività creativa del cittadino ". In questa prospettiva, la libera e responsabile iniziativa in campo economico può essere anche definita come un atto che rivela l'umanità dell'uomo in quanto soggetto creativo e relazionale. Tale iniziativa deve godere, pertanto, di uno spazio ampio. Lo Stato ha l'obbligo morale di porre dei vincoli stringenti solo in ordine alle incompatibilità tra il perseguimento del bene comune e il tipo di attività economica avviata o le sue modalità di svolgimento. 337 La dimensione creativa è un elemento essenziale dell'agire umano, anche in campo imprenditoriale, e si manifesta specialmente nell'attitudine progettuale e innovativa: " Organizzare un tale sforzo produttivo, pianificare la sua durata nel tempo, procurare che esso corrisponda in modo positivo ai bisogni che deve soddisfare, assumendo i rischi necessari: è, anche questo, una fonte di ricchezza dell'odierna società. Così diventa sempre più evidente e determinante il ruolo del lavoro umano disciplinato e creativo e - quale parte essenziale di tale lavoro - delle capacità di iniziativa e di imprenditorialità", Alla base di tale insegnamento va individuata la convinzione che "la principale risorsa dell'uomo insieme con la terra è l'uomo stesso. E la sua intelligenza che fa scoprire le potenzialità produttive della terra e le multiformi modalità con cui i bisogni umani possono essere soddisfatti". L'impresa e i suoi fini 338 L'impresa deve caratterizzarsi per la capacità di servire il bene comune della società mediante la produzione di beni e servizi utili. Cercando di produrre beni e servizi in una logica di efficienza e di soddisfacimento degli interessi dei diversi soggetti implicati, essa crea ricchezza per tutta la società: non solo per i proprietari, ma anche per gli altri soggetti interessati alla sua attività. Oltre a tale funzione tipicamente economica, l'impresa svolge anche una funzione sociale, creando opportunità d'incontro, di collaborazione, di valorizzazione delle capacità delle persone coinvolte. Nell'impresa, pertanto, la dimensione economica è condizione per il raggiungimento di obiettivi non solo economici, ma anche sociali e morali, da perseguire congiuntamente. L'obiettivo dell'impresa deve essere realizzato in termini e con criteri economici, ma non devono essere trascurati gli autentici valori che permettono lo sviluppo concreto della persona e della società. In questa visione personalista e comunitaria, "l'azienda non può essere considerata solo come una "società di capitali"; essa, al tempo stesso, è una "società di persone", di cui entrano a far parte in modo diverso e con specifiche responsabilità sia coloro che forniscono il capitale necessario per la sua attività, sia coloro che vi collaborano col loro lavoro ". 339 I componenti dell'impresa devono essere consapevoli che la comunità nella quale operano rappresenta un bene per tutti e non una struttura che permette di soddisfare esclusivamente gli interessi personali di qualcuno. Solo tale consapevolezza permette di giungere alla costruzione di un'economia veramente al servizio dell'uomo e di elaborare un progetto di reale cooperazione tra le parti sociali. Un esempio molto importante e significativo nella direzione indicata proviene dall'attività che può riferirsi alle imprese cooperative, alle piccole e medie imprese, alle aziende artigianali e a quelle agricole a dimensione familiare. La dottrina sociale ha sottolineato il contributo che esse offrono alla valorizzazione del lavoro, alla crescita del senso di responsabilità personale e sociale, alla vita democratica, ai valori umani utili al progresso del mercato e della società. 340 La dottrina sociale riconosce la giusta funzione del profitto, come primo indicatore del buon andamento dell'azienda: "quando un'azienda produce profitto, ciò significa che i fattori produttivi sono stati adeguatamente impiegati". Ciò non offusca la consapevolezza del fatto che non sempre il profitto segnala che l'azienda stia servendo adeguatamente la società. È possibile, ad esempio, " che i conti economici siano in ordine ed insieme che gli uomini, che costituiscono il patrimonio più prezioso dell'azienda, siano umiliati e offesi nella loro dignità". E quanto avviene quando l'impresa è inserita in sistemi socio-culturali improntati allo sfruttamento delle persone, inclini a sfuggire agli obblighi di giustizia sociale e a violare i diritti dei lavoratori. E indispensabile che, all'interno dell'impresa, il legittimo perseguimento del profitto si armonizzi con l'irrinunciabile tutela della dignità delle persone che a vario titolo operano nella stessa impresa. Le due esigenze non sono affatto in contrasto l'una con l'altra, dal momento che, da una parte, non sarebbe realistico pensare di garantire il futuro dell'impresa senza la produzione di beni e servizi e senza conseguire profitti che siano il frutto dell'attività economica svolta; d'altra parte, consentendo alla persona che lavora di crescere, si favorisce una maggiore produttività ed efficacia del lavoro stesso. L'impresa deve essere una comunità solidale non chiusa negli interessi corporativi, tendere ad un'" ecologia sociale " del lavoro, e contribuire al bene comune anche mediante la salvaguardia dell'ambiente naturale. 341 Se nell'attività economica e finanziaria la ricerca di un equo profitto è accettabile, il ricorso all'usura è moralmente condannato: "Quanti nei commerci usano pratiche usuraie e mercantili che provocano la fame e la morte dei loro fratelli in umanità, commettono indirettamente un omicidio, che è loro imputabile ". Tale condanna si estende anche ai rapporti economici internazionali, specialmente per quanto riguarda la situazione dei Paesi meno progrediti, ai quali non possono essere applicati "sistemi finanziari abusivi, se non usurai". Il Magistero più recente ha avuto parole forti e chiare per una pratica tuttora drammaticamente estesa: "non praticare l'usura, piaga che anche ai nostri giorni è una infame realtà, capace di strangolare la vita di molte persone". 342 L'impresa si muove oggi nel quadro di scenari economici di dimensioni sempre più ampie, all'interno dei quali gli Stati nazionali mostrano limiti nella capacità di governare i rapidi processi di mutamento che investono le relazioni economico-finanziarie internazionali; questa situazione induce le imprese ad assumersi responsabilità nuove e maggiori rispetto al passato. Mai come oggi il loro ruolo risulta determinante in vista di uno sviluppo autenticamente solidale e integrale dell'umanità ed è altrettanto decisivo, in questo senso, il loro livello di consapevolezza del fatto che " lo sviluppo o diventa comune a tutte le parti del mondo, o subisce un processo di retrocessione anche nelle zone segnate da un costante progresso. Fenomeno, questo, particolarmente indicativo della natura dell'autentico sviluppo: o vi partecipano tutte le Nazioni del mondo, o non sarà veramente tale". Il ruolo dell'imprenditore e del dirigente d'azienda 343 L'iniziativa economica è espressione dell'umana intelligenza e dell'esigenza di rispondere ai bisogni dell'uomo in modo creativo e collaborativo. Nella creatività e nella cooperazione è scritta l'autentica concezione della competizione imprenditoriale: un cum-petere, ossia un cercare insieme le soluzioni più adeguate, per rispondere nel modo più idoneo ai bisogni che man mano emergono. Il senso di responsabilità che scaturisce dalla libera iniziativa economica si configura non solo come virtù individuale indispensabile per la crescita umana del singolo, ma anche come virtù sociale necessaria allo sviluppo di una comunità solidale: " In questo processo sono coinvolte importanti virtù, come la diligenza, la laboriosità, la prudenza nell'assumere i ragionevoli rischi, l'affidabilità e la fedeltà nei rapporti interpersonali, la fortezza nell'esecuzione di decisioni difficili e dolorose, ma necessarie per il lavoro comune dell'azienda e per far fronte agli eventuali rovesci di fortuna". 344 I ruoli dell'imprenditore e del dirigente rivestono un'importanza centrale dal punto di vista sociale, perché si collocano al cuore di quella rete di legami tecnici, commerciali, finanziari, culturali, che caratterizzano la moderna realtà di impresa. Dal momento che le decisioni aziendali producono, in ragione della crescente complessità dell'attività imprenditoriale, una molteplicità di effetti congiunti di grande rilevanza non solo economica, ma anche sociale, l'esercizio delle responsabilità imprenditoriali e dirigenziali esige, oltre ad uno sforzo continuo di aggiornamento specifico, una costante riflessione sulle motivazioni morali che devono guidare le scelte personali di chi è investito di tali compiti. Gli imprenditori e i dirigenti non possono tener conto esclusivamente dell'obiettivo economico dell'impresa, dei criteri dell'efficienza economica, delle esigenze della cura del " capitale " come insieme di mezzi di produzione: è loro preciso dovere anche il concreto rispetto della dignità umana dei lavoratori che operano nell'impresa. Questi ultimi costituiscono "il patrimonio più prezioso dell'azienda ", il fattore decisivo della produzione. Nelle grandi decisioni strategiche e finanziarie, di acquisto o di vendita, di ridimensionamento o chiusura di impianti, nella politica delle fusioni, non ci si può limitare esclusivamente a criteri di natura finanziaria o commerciale. 345 La dottrina sociale insiste sulla necessità che l'imprenditore e il dirigente si impegnino a strutturare l'attività lavorativa nelle loro aziende in modo da favorire la famiglia, specialmente le madri di famiglia nello svolgimento dei loro compiti; assecondino, alla luce di una visione integrale dell'uomo e dello sviluppo, la domanda di qualità "delle merci da produrre e da consumare; qualità dei servizi di cui usufruire; qualità dell'ambiente e della vita in generale "; investano, qualora ricorrano le condizioni economiche e di stabilità politica, in quei luoghi e in quei settori produttivi che offrono a individui e popoli "l'occasione di valorizzare il proprio lavoro ". Istituzioni economiche al servizio dell'uomo 346 Una delle questioni prioritarie in economia è l'impiego delle risorse, cioè di tutti quei beni e servizi a cui i soggetti economici, produttori e consumatori privati e pubblici, attribuiscono un valore per l'utilità ad essi inerente nel campo della produzione e del consumo. Le risorse sono nella natura quantitativamente scarse e ciò implica, di necessità, che ogni soggetto economico singolo, così come ogni società, debba escogitare una qualche strategia per impiegarle nel modo più razionale possibile, seguendo la logica dettata dal principio di economicità. Da ciò dipendono sia l'effettiva soluzione del problema economico più generale, e fondamentale, della limitatezza dei mezzi rispetto ai bisogni individuali e sociali, privati e pubblici, sia l'efficienza complessiva, strutturale e funzionale, dell'intero sistema economico. Tale efficienza chiama direttamente in causa la responsabilità e la capacità di vari soggetti, quali il mercato, lo Stato e i corpi sociali intermedi. Ruolo del libero mercato 347 Il libero mercato è un'istituzione socialmente importante per la sua capacità di garantire risultati efficienti nella produzione di beni e servizi. Storicamente, il mercato ha dato prova di saper avviare e sostenere, nel lungo periodo, lo sviluppo economico. Vi sono buone ragioni per ritenere che, in molte circostanze, " il libero mercato sia lo strumento più efficace per collocare le risorse e rispondere efficacemente ai bisogni ". La dottrina sociale della Chiesa apprezza i sicuri vantaggi che i meccanismi del libero mercato offrono, sia per una migliore utilizzazione delle risorse, sia per l'agevolazione dello scambio dei prodotti; questi meccanismi, "soprattutto, pongono al centro la volontà e le preferenze della persona che nel contratto si incontrano con quelle di un'altra persona". Un vero mercato concorrenziale è uno strumento efficace per conseguire importanti obiettivi di giustizia: moderare gli eccessi di profitto delle singole imprese; rispondere alle esigenze dei consumatori; realizzare un migliore utilizzo e un risparmio delle risorse; premiare gli sforzi imprenditoriali e l'abilità di innovazione; far circolare l'informazione, in modo che sia davvero possibile confrontare e acquistare i prodotti in un contesto di sana concorrenza. 348 Il libero mercato non può essere giudicato prescindendo dai fini che persegue e dai valori che trasmette a livello sociale. Il mercato, infatti, non può trovare in se stesso il principio della propria legittimazione. Spetta alla coscienza individuale e alla responsabilità pubblica stabilire un giusto rapporto tra mezzi e fini. L'utile individuale dell'operatore economico, sebbene legittimo, non deve mai diventare l'unico obiettivo. Accanto ad esso, ne esiste un altro, altrettanto fondamentale e superiore, quello dell'utilità sociale, che deve trovare realizzazione non in contrasto, ma in coerenza con la logica di mercato. Quando svolge le importanti funzioni sopra ricordate, il libero mercato diventa funzionale al bene comune e allo sviluppo integrale dell'uomo, mentre l'inversione del rapporto tra mezzi e fini può farlo degenerare in una istituzione disumana e alienante, con ripercussioni incontrollabili. 349 La dottrina sociale della Chiesa, pur riconoscendo al mercato la funzione di strumento insostituibile di regolazione all'interno del sistema economico, mette in evidenza la necessità di ancorarlo a finalità morali, che assicurino e, nello stesso tempo, circoscrivano adeguatamente lo spazio della sua autonomia. L'idea che si possa affidare al solo mercato la fornitura di tutte le categorie di beni non è condivisibile, perché basata su una visione riduttiva della persona e della società. Di fronte al concreto rischio di un'" idolatria " del mercato, la dottrina sociale della Chiesa ne sottolinea il limite, facilmente rilevabile nella sua constatata incapacità di soddisfare esigenze umane importanti, per le quali c'è bisogno di beni che, "per loro natura, non sono ne possono essere semplici merci", beni non negoziabili secondo la regola dello " scambio di equivalenti " e la logica del contratto, tipiche del mercato. 350 Il mercato assume una funzione sociale rilevante nelle società contemporanee, perciò è importante individuarne le potenzialità più positive e creare condizioni che ne permettano il concreto dispiegamento. Gli operatori devono essere effettivamente liberi di confrontare, valutare e scegliere tra varie opzioni, tuttavia la libertà, in ambito economico, deve essere regolata da un appropriato quadro giuridico, tale da porla al servizio della libertà umana integrale: "la libertà economica è soltanto un elemento della libertà umana. Quando quella si rende autonoma, quando cioè l'uomo è visto più come un produttore o un consumatore di beni che come un soggetto che produce e consuma per vivere, allora perde la sua necessaria relazione con la persona umana e finisce con l'alienarla ed opprimerla". L'azione dello Stato 351 L'azione dello Stato e degli altri poteri pubblici deve conformarsi al principio di sussidiartela e creare situazioni favorevoli al libero esercizio dell'attività economica; essa deve anche ispirarsi al principio di solidarietà e stabilire dei limiti all'autonomia delle parti per difendere la più debole. La solidarietà senza sussidiarietà, infatti, può degenerare facilmente in assistenzialismo, mentre la sussidiarietà senza solidarietà rischia di alimentare forme di localismo egoistico. Per rispettare questi due fondamentali principi, l'intervento dello Stato in ambito economico non deve essere ne invadente, ne carente, bensì commisurato alle reali esigenze della società: "Lo Stato… ha il dovere di assecondare l'attività delle imprese, creando condizioni che assicurino occasioni di lavoro, stimolandola ove essa risulti insufficiente o sostenendola nei momenti di crisi. Lo Stato, ancora, ha il diritto di intervenire quando situazioni particolari di monopolio creino remore o ostacoli per lo sviluppo. Ma, oltre a questi compiti di armonizzazione e di guida dello sviluppo, esso può svolgere funzioni di supplenza in situazioni eccezionali ". 352 Il compito fondamentale dello Stato in ambito economico è quello di definire un quadro giuridico atto a regolare i rapporti economici, al fine di "salvaguardare… le condizioni prime di un'economia libera, che presuppone una certa eguaglianza tra le parti, tale che una di esse non sia tanto più potente dell'altra da poterla ridurre praticamente in schiavitù". L'attività economica, soprattutto in un contesto di libero mercato, non può svolgersi in un vuoto istituzionale, giuridico e politico: "Essa suppone, al contrario, sicurezza circa le garanzie della libertà individuale e della proprietà, oltre che una moneta stabile e servizi pubblici efficienti". Per assolvere il suo compito, lo Stato deve elaborare un'opportuna legislazione, ma anche indirizzare in modo oculato le politiche economiche e sociali, così da non diventare mai prevaricatore nelle varie attività di mercato, il cui svolgimento deve rimanere libero da sovrastrutture e costrizioni autoritarie o, peggio, totalitarie. 353 Occorre che mercato e Stato agiscano di concerto l'uno con l'altro e si rendano complementari. Il libero mercato può recare effetti benefici per la collettività soltanto in presenza di un'organizzazione dello Stato che definisca e orienti la direzione dello sviluppo economico, che faccia rispettare regole eque e trasparenti, che intervenga anche in modo diretto, per il tempo strettamente necessario, nei casi in cui il mercato non riesce a ottenere i risultati di efficienza desiderati e quando si tratta di tradurre in atto il principio ridistributivo. In alcuni ambiti, il mercato, infatti, non è in grado, facendo leva sui propri meccanismi, di garantire una distribuzione equa di alcuni beni e servizi essenziali alla crescita umana dei cittadini: in questo caso la complementarità tra Stato e mercato è quanto mai necessaria. 354 Lo Stato può sollecitare i cittadini e le imprese alla promozione del bene comune provvedendo ad attuare una politica economica che favorisca la partecipazione di tutti i suoi cittadini alle attività produttive. Il rispetto del principio di sussidiarietà deve spingere le autorità pubbliche a ricercare condizioni favorevoli allo sviluppo delle capacità d'iniziativa individuali, dell'autonomia e della responsabilità personali dei cittadini, astenendosi da ogni intervento che possa costituire un condizionamento indebito delle forze imprenditoriali. In vista del bene comune si deve sempre perseguire con costante determinazione l'obiettivo di un giusto equilibrio tra libertà privata ed azione pubblica, intesa sia come intervento diretto in economia, sia come attività di sostegno allo sviluppo economico. In ogni caso, l'intervento pubblico dovrà attenersi a criteri di equità, razionalità ed efficienza, e non sostituire l'azione dei singoli, contro il loro diritto alla libertà di iniziativa economica. Lo Stato, in questo caso, diventa deleterio per la società: un intervento diretto troppo pervasivo finisce per deresponsabilizzare i cittadini e produce una crescita eccessiva di apparati pubblici guidati più da logiche burocratiche che dall'obiettivo di soddisfare i bisogni delle persone. 355 La raccolta fiscale e la spesa pubblica assumono un 'importanza economica cruciale per ogni comunità civile e politica: l'obiettivo verso cui tendere è una finanza pubblica capace di proporsi come strumento di sviluppo e di solidarietà. Una finanza pubblica equa, efficiente, efficace, produce effetti virtuosi sull'economia, perché riesce a favorire la crescita dell'occupazione, a sostenere le attività imprenditoriali e le iniziative senza scopo di lucro, e contribuisce ad accrescere la credibilità dello Stato quale garante dei sistemi di previdenza e di protezione sociale, destinati in particolare a proteggere i più deboli. La finanza pubblica si orienta al bene comune quando si attiene ad alcuni fondamentali principi: il pagamento delle imposte come specificazione del dovere di solidarietà; razionalità ed equità nell'imposizione dei tributi; rigore e integrità nell'amministrazione e nella destinazione delle risorse pubbliche. Nel ridistribuire le risorse, la finanza pubblica deve seguire i principi della solidarietà, dell'uguaglianza, della valorizzazione dei talenti, e prestare grande attenzione a sostenere le famiglie, destinando a tal fine un'adeguata quantità di risorse. Il ruolo dei corpi intermedi 356 Il sistema economico-sociale deve essere caratterizzato dalla compresenza di azione pubblica e privata, inclusa l'azione privata senza finalità di lucro. Si configura in tal modo una pluralità di centri decisionali e di logiche di azione. Vi sono alcune categorie di beni, collettivi e di uso comune, la cui utilizzazione non può dipendere dai meccanismi del mercato e non è neppure di esclusiva competenza dello Stato. Il compito dello Stato, in relazione a questi beni, è piuttosto quello di valorizzare tutte le iniziative sociali ed economiche che hanno effetti pubblici, promosse dalle formazioni intermedie. La società civile, organizzata nei suoi corpi intermedi, è capace di contribuire al conseguimento del bene comune ponendosi in un rapporto di collaborazione e di efficace complementarità rispetto allo Stato e al mercato, favorendo così lo sviluppo di un'opportuna democrazia economica. In un simile contesto, l'intervento dello Stato va improntato all'esercizio di una vera solidarietà, che come tale non deve mai essere disgiunta dalla sussidiarietà. 357 Le organizzazioni private senza fine di lucro hanno un loro spazio specifico in ambito economico. Contraddistingue tali organizzazioni il coraggioso tentativo di coniugare armonicamente efficienza produttiva e solidarietà. In genere esse si costituiscono sulla base di un patto associativo e sono espressione di una comune tensione ideale dei soggetti che liberamente decidono di aderirvi. Lo Stato è chiamato a rispettare la natura di queste organizzazioni e a valorizzarne le caratteristiche, dando concreta attuazione al principio di sussidiarietà, che postula appunto un rispetto e una promozione della dignità e dell'autonoma responsabilità del soggetto " sussidiato ". Risparmio e consumo 358 I consumatori, che in molti casi dispongono di ampi margini di potere d'acquisto, ben al di là della soglia di sussistenza, possono notevolmente influenzare la realtà economica con le loro libere scelte tra consumo e risparmio. La possibilità di influire sulle scelte del sistema economico, infatti, è nelle mani di chi deve decidere sulla destinazione delle proprie risorse finanziarie. Oggi più che in passato è possibile valutare le alternative disponibili non solo sulla base del previsto rendimento o del loro grado di rischio, ma anche esprimendo un giudizio di valore sui progetti di investimento che le risorse andranno a finanziare, nella consapevolezza che "la scelta di investire in un luogo piuttosto che in un altro, in un settore produttivo piuttosto che in un altro, è sempre una scelta morale e culturale". 359 L'utilizzo del proprio potere d'acquisto va esercitato nel contesto delle esigenze morali della giustizia e della solidarietà e di precise responsabilità sociali: non bisogna dimenticare " il dovere della carità, cioè il dovere di sovvenire col proprio "superfluo" e, talvolta, anche col proprio "necessario" per dare ciò che è indispensabile alla vita del povero". Tale responsabilità conferisce ai consumatori la possibilità di indirizzare, grazie alla maggiore circolazione delle informazioni, il comportamento dei produttori, mediante la decisione - individuale o collettiva - di preferire i prodotti di alcune imprese anziché di altre, tenendo conto non solo dei prezzi e della qualità dei prodotti, ma anche dell'esistenza di corrette condizioni di lavoro nelle imprese, nonché del grado di tutela assicurato per l'ambiente naturale che lo circonda. 360 Il fenomeno del consumismo mantiene un persistente orientamento verso l'"avere" anziché verso l'"essere". Esso impedisce di "distinguere correttamente le forme nuove e più elevate di soddisfacimento dei bisogni umani dai nuovi bisogni indotti, che ostacolano la formazione di una matura personalità". Per contrastare questo fenomeno è necessario adoperarsi per costruire "stili di vita, nei quali la ricerca del vero, del bello e del buono e la comunione con gli altri uomini per una crescita comune siano gli elementi che determinano le scelte dei consumi, dei risparmi e degli investimenti ". È innegabile che le influenze del contesto sociale sugli stili di vita sono notevoli: per questo la sfida culturale, che oggi il consumismo pone, deve essere affrontata con maggiore incisività, soprattutto se si considerano le generazioni future, le quali rischiano di dover vivere in un ambiente naturale saccheggiato a causa di un consumo eccessivo e disordinato. La globalizzazione: le opportunità e i rischi 361 Il nostro tempo è segnato dal complesso fenomeno della globalizzazione economico-finanziaria, cioè un processo di crescente integrazione delle economie nazionali, sul piano del commercio di beni e servizi e delle transazioni finanziarie, nel quale un numero sempre maggiore di operatori assume un orizzonte globale per le scelte che deve operare in funzione delle opportunità di crescita e di profitto. Il nuovo orizzonte della società globale non è dato semplicemente dalla presenza di legami economici e finanziari tra attori nazionali operanti in Paesi diversi, che sono peraltro sempre esistiti, quanto piuttosto dalla pervasività e dalla natura assolutamente inedita del sistema di relazioni che si va sviluppando. Sempre più decisivo e centrale diventa il ruolo dei mercati finanziari, le cui dimensioni, in seguito alla liberalizzazione degli scambi e alla circolazione dei capitali, si sono accresciute enormemente con una velocità impressionante, al punto da consentire agli operatori di spostare "in tempo reale", da una parte all'altra del globo, capitali in grandi quantità. Si tratta di una realtà multiforme e non semplice da decifrare, in quanto si dispiega su vari livelli ed evolve continuamente, lungo traiettorie difficilmente prevedibili. 362 La globalizzazione alimenta nuove speranze, ma origina anche inquietanti interrogativi Essa può produrre effetti potenzialmente benefici per l'intera umanità: intrecciandosi con l'impetuoso sviluppo delle telecomunicazioni, il percorso di crescita del sistema di relazioni economiche e finanziarie ha consentito simultaneamente una notevole riduzione nei costi delle comunicazioni e delle nuove tecnologie, nonché un'accelerazione nel processo di estensione su scala planetaria degli scambi commerciali e delle transazioni finanziarie. In altre parole, è accaduto che i due fenomeni, globalizzazione economico-finanziaria e progresso tecnologico, si sono rafforzati a vicenda, rendendo estremamente rapida la dinamica complessiva dell'attuale fase economica. Analizzando il contesto attuale, oltre ad individuare le opportunità che si dischiudono nell'era dell'economia globale, si colgono anche i rischi legati alle nuove dimensioni delle relazioni commerciali e finanziarie. Non mancano, infatti, indizi rivelatori di una tendenza all'aumento delle disuguaglianze, sia tra Paesi avanzati e Paesi in via di sviluppo, sia all'interno dei Paesi industrializzati. Alla crescente ricchezza economica resa possibile dai processi descritti si accompagna una crescita della povertà relativa. 363 La cura del bene comune impone di cogliere le nuove occasioni di ridistribuzione di ricchezza tra le diverse aree del pianeta, a vantaggio di quelle più sfavorite e finora rimaste escluse o ai margini del progresso sociale ed economico: " La sfida insomma è quella di assicurare una globalizzazione nella solidarietà, una globalizzazione senza marginalizzazione". Lo stesso progresso tecnologico rischia di ripartire iniquamente tra i Paesi i propri effetti positivi. Le innovazioni, infatti, possono penetrare e diffondersi all'interno di una determinata collettività, se i loro potenziali beneficiari raggiungono una soglia minima di sapere e di risorse finanziarie: è evidente che, in presenza di forti disparità tra i Paesi nell'accesso alle conoscenze tecnico-scientifiche e ai più recenti prodotti tecnologici, il processo di globalizzazione finisce per allargare, anziché ridurre, le disuguaglianze tra i Paesi in termini di sviluppo economico e sociale. Data la natura delle dinamiche in atto, la libera circolazione di capitali non è di per sé sufficiente a favorire l'avvicinamento dei Paesi in via di sviluppo a quelli più avanzati. 364 Il commercio rappresenta una componente fondamentale delle relazioni economiche internazionali, contribuendo in maniera determinante alla specializzazione produttiva e alla crescita economica dei diversi Paesi. Oggi più che mai il commercio internazionale, se opportunamente orientato, promuove lo sviluppo ed è capace di creare nuova occupazione e di fornire utili risorse. La dottrina sociale ha più volte messo in luce le distorsioni del sistema commerciale internazionale che spesso, a causa delle politiche protezionistiche, discrimina i prodotti provenienti dai Paesi poveri ed ostacola la crescita di attività industriali e il trasferimento di tecnologie verso tali Paesi. Il continuo deterioramento nei termini di scambio delle materie prime e l'aggravarsi del divario tra Paesi ricchi e poveri ha spinto il Magistero a richiamare l'importanza dei criteri etici che dovrebbero orientare le relazioni economiche internazionali: il perseguimento del bene comune e la destinazione universale dei beni; l'equità nelle relazioni commerciali; l'attenzione ai diritti e ai bisogni dei più poveri nelle politiche commerciali e di cooperazione internazionale. Diversamente, "i poveri restano ognora poveri, mentre i ricchi diventano sempre più ricchi ". 365 Una solidarietà adeguata all'era della globalizzazione richiede la difesa dei diritti umani. A questo riguardo il Magistero segnala che non solo "la prospettiva… di un'autorità pubblica internazionale a servizio dei diritti umani, della libertà e della pace, non si è ancora interamente realizzata, ma si deve registrare, purtroppo, la non infrequente esitazione della comunità internazionale nel dovere di rispettare e applicare i diritti umani. Questo dovere tocca tutti i diritti fondamentali e non consente scelte arbitrarie, che porterebbero a realizzare forme di discriminazione e di ingiustizia. Allo stesso tempo, siamo testimoni dell'affermarsi di una preoccupante forbice tra una serie di nuovi "diritti" promossi nelle società tecnologicamente avanzate e diritti umani elementari che tuttora non vengono soddisfatti soprattutto in situazioni di sottosviluppo: penso, ad esempio, al diritto al cibo, all'acqua potabile, alla casa, all'auto-determinazione e all'indipendenza". 366 L'estensione della globalizzazione deve essere accompagnata da una più matura presa di coscienza, da parte delle organizzazioni della società civile, dei nuovi compiti ai quali sono chiamate a livello mondiale. Anche grazie ad un'azione incisiva da parte di queste organizzazioni, sarà possibile collocare l'attuale processo di crescita dell'economia e della finanza su scala planetaria in un orizzonte che garantisca un effettivo rispetto dei diritti dell'uomo e dei popoli nonché un'equa distribuzione delle risorse, all'interno di ogni Paese e tra Paesi diversi: " La libertà degli scambi non è equa se non subordinatamente alle esigenze della giustizia sociale". Particolare attenzione va riservata alle specificità locali e alle diversità culturali, che rischiano di essere compromesse dai processi economico-finanziari in atto: " La globalizzazione non deve essere un nuovo tipo di colonialismo. Deve rispettare la diversità delle culture che, nell'ambito dell'armonia universale dei popoli, sono le chiavi interpretative della vita. In particolare, non deve privare i poveri di ciò che resta loro di più prezioso, incluse le credenze e le pratiche religiose, poiché convinzioni religiose autentiche sono la manifestazione più chiara della libertà umana". 367 Nell'epoca della globalizzazione va sottolineata con forza la solidarietà fra le generazioni: " In passato la solidarietà tra le generazioni era in molti Paesi un atteggiamento naturale da parte della famiglia; oggi è diventato anche un dovere della comunità ". E bene che tale solidarietà continui ad essere perseguita nelle comunità politiche nazionali, ma oggi il problema si pone anche per la comunità politica globale, affinché la mondializzazione non si realizzi a discapito dei più bisognosi e dei più deboli. La solidarietà tra le generazioni richiede che nella pianificazione globale si agisca secondo il principio dell'universale destinazione dei beni, che rende illecito moralmente e controproducente economicamente scaricare i costi attuali sulle future generazioni: illecito moralmente perché significa non assumersi le dovute responsabilità, controproducente economicamente perché la correzione dei guasti è più dispendiosa della prevenzione. Questo principio va applicato soprattutto - anche se non solo - nel campo delle risorse della terra e della salvaguardia del creato, reso particolarmente delicato dalla globalizzazione, la quale riguarda tutto il pianeta, inteso come unico ecosistema. Il sistema finanziario internazionale 368 I mercati finanziari non sono certo una novità della nostra epoca: già da molto tempo, in varie forme, essi si sono fatti carico di rispondere all'esigenza di finanziare attività produttive. L'esperienza storica attesta che, in assenza di sistemi finanziari adeguati, non si sarebbe avuta crescita economica. Gli investimenti su larga scala, tipici delle moderne economie di mercato, non sarebbero stati possibili senza il fondamentale ruolo di intermediazione svolto dai mercati finanziari, che ha permesso, tra l'altro, di apprezzare le funzioni positive del risparmio per lo sviluppo complessivo del sistema economico e sociale. Se la creazione di quello che è stato definito il "mercato globale dei capitali" ha prodotto effetti benefici, grazie al fatto che la maggiore mobilità dei capitali ha permesso alle attività produttive di avere più facilmente disponibilità di risorse, l'accresciuta mobilità, d'altra parte, ha fatto aumentare anche il rischio di crisi finanziarie. Lo sviluppo della finanza, le cui transazioni hanno superato di gran lunga, in volume, quelle reali, rischia di seguire una logica sempre più autoreferenziale, senza collegamento con la base reale dell'economia. 369 Un'economia finanziaria fine a se stessa è destinata a contraddire le sue finalità, poiché si priva delle proprie radici e della propria ragione costitutiva, ossia del suo ruolo originario ed essenziale di servizio all'economia reale e, in definitiva, di sviluppo delle persone e delle comunità umane. Il quadro complessivo risulta ancora più preoccupante alla luce della configurazione fortemente asimmetrica che contraddistingue il sistema finanziario internazionale: i processi di innovazione e di deregolamentazione dei mercati finanziari tendono infatti a consolidarsi solo in alcune parti del globo. Ciò è fonte di gravi preoccupazioni di natura etica, perché i Paesi esclusi dai processi descritti, pur non godendo dei benefici da questi prodotti, non sono tuttavia al riparo da eventuali conseguenze negative dell'instabilità finanziaria sui loro sistemi economici reali, soprattutto se fragili e in ritardo di sviluppo. L'improvvisa accelerazione di processi quali l'enorme incremento nel valore dei portafogli amministrati dalle istituzioni finanziarie e il rapido proliferare di nuovi e sofisticati strumenti finanziari rende quanto mai urgente l'individuazione di soluzioni istituzionali capaci di favorire efficacemente la stabilità del sistema, senza ridurne le potenzialità e l'efficienza. È indispensabile introdurre un quadro normativo che consenta di tutelare tale stabilità in tutte le sue complesse articolazioni, di promuovere la concorrenza tra gli intermediari e di assicurare la massima trasparenza a vantaggio degli investitori. Il ruolo della comunità internazionale nell'epoca dell'economia globale 370 La perdita di centralità da parte degli attori statali deve coincidere con un maggior impegno della comunità internazionale nell'esercizio di un deciso ruolo di indirizzo economico e finanziario. Un'importante conseguenza del processo di globalizzazione, infatti, consiste nella graduale perdita di efficacia dello Stato nazione nella guida delle dinamiche economico-finanziarie nazionali. I Governi dei singoli Paesi vedono la propria azione in campo economico e sociale sempre più fortemente condizionata dalle aspettative dei mercati internazionali dei capitali e dalle sempre più incalzanti richieste di credibilità provenienti dal mondo finanziario. A causa dei nuovi legami tra gli operatori globali, le tradizionali misure difensive degli Stati appaiono condannate al fallimento e, di fronte alle nuove aree della competizione, passa in secondo piano la nozione stessa di mercato nazionale. 371 Quanto più il sistema economico-finanziario mondiale raggiunge livelli elevati di complessità organizzativa e funzionale, tanto più si pone come prioritario il compito di regolare tali processi, finalizzandoli al conseguimento del bene comune della famiglia umana. Emerge concretamente l'esigenza che, oltre agli Stati nazionali, sia la stessa comunità internazionale ad assumersi questa delicata funzione, con strumenti politici e giuridici adeguati ed efficaci. E dunque indispensabile che le istituzioni economiche e finanziarie internazionali sappiano individuare le soluzioni istituzionali più appropriate ed elaborino le strategie di azione più opportune allo scopo di orientare un cambiamento che, se venisse subito passivamente e abbandonato a se stesso, provocherebbe esiti drammatici soprattutto a danno degli strati più deboli e indifesi della popolazione mondiale. Negli Organismi internazionali devono essere equamente rappresentati gli interessi della grande famiglia umana; è necessario che queste istituzioni, "nel valutare le conseguenze delle loro decisioni, tengano sempre adeguato conto di quei popoli e Paesi che hanno scarso peso sul mercato internazionale, ma concentrano i bisogni più vivi e dolenti e necessitano di maggior sostegno per il loro sviluppo ". 372 Anche la politica, al pari dell'economia, deve saper estendere il proprio raggio d'azione al di là dei confini nazionali, acquisendo rapidamente quella dimensione operativa mondiale che le può consentire di indirizzare i processi in atto alla luce di parametri non solo economici, ma anche morali. L'obiettivo di fondo sarà quello di guidare tali processi assicurando il rispetto della dignità dell'uomo e lo sviluppo completo della sua personalità, nell'orizzonte del bene comune. L'assunzione di questo compito comporta la responsabilità di accelerare il consolidamento delle istituzioni esistenti cosi come la creazione di nuovi organi cui affidare tali responsabilità. Lo sviluppo economico, infatti, può essere duraturo se si dispiega all'interno di un quadro chiaro e definito di norme e di un ampio progetto di crescita morale, civile e culturale dell'intera famiglia umana. Uno sviluppo integrale e solidale 373 Uno dei compiti fondamentali degli attori dell'economia internazionale è il raggiungimento di uno sviluppo integrale e solidale per l'umanità, vale a dire, "la promozione di ogni uomo e di tutto l'uomo". Tale compito richiede una concezione dell'economia che garantisca, a livello internazionale, l'equa distribuzione delle risorse e risponda alla coscienza dell'interdipendenza - economica, politica e culturale - che unisce ormai definitivamente i popoli tra loro e li fa sentire legati ad un unico destino. I problemi sociali assumono sempre più una dimensione planetaria. Nessuno Stato può più affrontarli e risolverli da solo. Le attuali generazioni toccano con mano la necessità della solidarietà e avvertono concretamente il bisogno di superare la cultura individualistica. Si registra sempre più diffusamente l'esigenza di modelli di sviluppo che non prevedano solo "di elevare tutti i popoli al livello di cui godono oggi i Paesi più ricchi, ma di costruire nel lavoro solidale una vita più degna, di far crescere effettivamente la dignità e la creatività di ogni singola persona, la sua capacità di rispondere alla propria vocazione e, dunque, all'appello di Dio, in essa contenuto ". 374 Uno sviluppo più umano e solidale gioverà anche agli stessi Paesi ricchi. Essi " avvertono spesso una sorta di smarrimento esistenziale, un'incapacità di vivere e di godere rettamente il senso della vita, pur in mezzo all'abbondanza dei beni materiali, un'alienazione e una perdita della propria umanità in molte persone, che si sentono ridotte al ruolo di ingranaggi nel meccanismo della produzione e del consumo e non trovano il modo di affermare la propria dignità di uomini, fatti a immagine e somiglianza di Dio ". I Paesi ricchi hanno dimostrato di avere la capacità di creare benessere materiale, ma sovente a spese dell'uomo e delle fasce sociali più deboli: " non si può ignorare che le frontiere della ricchezza e della povertà attraversano al loro interno le stesse società sia sviluppate che in via di sviluppo. Difatti, come esistono diseguaglianze sociali fino a livello di miseria nei Paesi ricchi, cosi, parallelamente, nei Paesi meno sviluppati si vedono non di rado manifestazioni di egoismo e ostentazioni di ricchezza, tanto sconcertanti quanto scandalose". La necessità di una grande opera educativa e culturale 375 Per la dottrina sociale, l'economia " è solo un aspetto ed una dimensione della complessa attività umana. Se essa è assolutizzata, se la produzione ed il consumo delle merci finiscono con l'occupare il centro della vita sociale e diventano l'unico valore della società, non subordinato ad alcun altro, la causa va ricercata non solo e non tanto nel sistema economico stesso, quanto nel fatto che l'intero sistema socio-culturale, ignorando la dimensione etica e religiosa, si è indebolito e ormai si limita solo alla produzione dei beni e dei servizi". La vita dell'uomo, al pari di quella sociale della collettività, non può essere ridotta ad una dimensione materialistica, anche se i beni materiali sono estremamente necessari sia ai fini della pura sopravvivenza, sia per il miglioramento del tenore di vita: " alla base di ogni sviluppo completo della società umana sta la crescita del senso di Dio e della conoscenza di sé ". 376 Di fronte all'incedere rapido del progresso tecnico-economico e alla mutevolezza, altrettanto rapida, dei processi di produzione e di consumo, il Magistero avverte l'esigenza di proporre una grande opera educativa e culturale: " la domanda di un'esistenza qualitativamente più soddisfacente e più ricca è in sé cosa legittima; ma non si possono non sottolineare le nuove responsabilità ed i pericoli connessi con questa fase storica… Individuando nuovi bisogni e nuove modalità per il loro soddisfacimento, è necessario lasciarsi guidare da un'immagine integrale dell'uomo, che rispetti tutte le dimensioni del suo essere e subordini quelle materiali e istintive a quelle interiori e spirituali… E, perciò, necessaria ed urgente una grande opera educativa e culturale, la quale comprenda l'educazione dei consumatori ad un uso responsabile del loro potere di scelta, la formazione di un alto senso di responsabilità nei produttori e, soprattutto, nei professionisti delle comunicazioni di massa, oltre che il necessario intervento delle pubbliche Autorità ". La signoria di Dio 377 Il popolo di Israele, nella fase iniziale della sua storia, non ha re, come gli altri popoli, perché riconosce soltanto la signoria di Jahve. E Dio che interviene nella storia attraverso uomini carismatici, come testimonia il Libro dei Giudici. All'ultimo di questi uomini, Samuele, profeta e giudice, il popolo chiederà un re ( 1 Sam 8,5; 1 Sam 10,18-19 ). Samuele mette in guardia gli Israeliti circa le conseguenze di un esercizio dispotico della regalità ( 1 Sam 8,11-18 ); il potere regale, tuttavia, può essere anche sperimentato come dono di Jahve che viene in soccorso del Suo popolo ( 1 Sam 9,16 ). Alla fine, Saul riceverà l'unzione regale ( 1 Sam 10,1-2 ). La vicenda evidenzia le tensioni che portarono Israele ad una concezione della regalità diversa da quella dei popoli vicini: il re, scelto da Jahve ( Dt 17,15; 1 Sam 9,16 ) e da Lui consacrato ( 1 Sam 16,12-13 ), sarà visto come Suo figlio ( Sal 2,7 ) e dovrà renderne visibile la signoria e il disegno di salvezza ( Sal 72 ). Dovrà dunque farsi difensore dei deboli e assicurare al popolo la giustizia: le denunce dei profeti si appunteranno proprio sulle inadempienze dei re ( 1 Re 21; Is 10,1-4; Am 2,6-8; Am 8,4-8; Mi 3,1-4 ). 378 Il prototipo del re scelto da Jahve è Davide, di cui il racconto biblico sottolinea con compiacimento l'umile condizione ( 1 Sam 16,1-13 ). Davide è il depositario della promessa ( 2 Sam 7,13-16; Sal 89,2-38; Sal 132,11-18 ), che lo rende iniziatore di una speciale tradizione regale, la tradizione "messianica". Essa, nonostante tutti i peccati e le infedeltà dello stesso Davide e dei suoi successori, culmina in Gesù Cristo, l'" unto di Jahve" ( cioè "consacrato del Signore": 1 Sam 2,35; 1 Sam 24,7.11; 1 Sam 26,9.16; anche Es 30,22-32 ) per eccellenza, figlio di Davide ( le due genealogie in Mt 1,1-17 e Lc 3,23-38; anche Rm 1,3 ). Il fallimento sul piano storico della regalità non porterà alla scomparsa dell'ideale di un re che, nella fedeltà a Jahve, governi con saggezza e operi la giustizia. Questa speranza riappare più volte nei Salmi ( Sal 2; Sal 18; Sal 20; Sal 21; Sal 72 ). Negli oracoli messianici è attesa, per il tempo escatologico, la figura di un re abitato dallo Spirito del Signore, pieno di sapienza e in grado di rendere giustizia ai poveri ( Is 11,2-5; Ger 23,5-6 ). Vero pastore del popolo d'Israele ( Ez 34,23-24; Ez 37,24 ), egli porterà la pace alle genti ( Zc 9,9-10 ). Nella letteratura sapienziale, il re è presentato come colui che pronuncia giusti giudizi e aborrisce l'iniquità ( Pr 16,12 ), giudica i poveri con equità ( Pr 29,14 ) ed è amico dell'uomo dal cuore puro ( Pr 22,11 ). Diventa via via più esplicito l'annuncio di quanto i Vangeli e gli altri testi del Nuovo Testamento vedono realizzato in Gesù di Nazaret, incarnazione definitiva della figura del re descritta nell'Antico Testamento. Gesù e l'autorità politica 379 Gesù rifiuta il potere oppressivo e dispotico dei capi sulle Nazioni ( Mc 10,42 ) e la loro pretesa di farsi chiamare benefattori ( Lc 22,25 ), ma non contesta mai direttamente le autorità del Suo tempo. Nella diatriba sul tributo da dare a Cesare ( Mc 12,13-17; Mt 22,15-22; Lc 20,20-26 ), Egli afferma che occorre dare a Dio quello che è di Dio, condannando implicitamente ogni tentativo di divinizzazione e di assolutizzazione del potere temporale: solo Dio può esigere tutto dall'uomo. Nello stesso tempo, il potere temporale ha diritto a ciò che gli è dovuto: Gesù non considera ingiusto il tributo a Cesare. Gesù, il Messia promesso, ha combattuto e sconfitto la tentazione di un messianismo politico, caratterizzato dal dominio sulle Nazioni ( Mt 4,8-11; Lc 4,5-8 ). Egli è il Figlio dell'uomo venuto "per servire e dare la propria vita" ( Mc 10,45; Mt 20,24-28; Lc 22,24-27 ). Ai Suoi discepoli che discutono su chi sia il più grande, il Signore insegna a farsi ultimi e a servire tutti ( Mc 9,33-35 ), indicando ai figli di Zebedeo, Giacomo e Giovanni, che ambiscono a sedersi alla Sua destra, il cammino della croce ( Mc 10,35-40; Mt 20,20-23 ). Le prime comunità cristiane 380 La sottomissione, non passiva, ma per ragioni di coscienza ( Rm 13,5 ), al potere costituito risponde all'ordine stabilito da Dio. San Paolo definisce i rapporti e i doveri dei cristiani verso le autorità ( Rm 13,1-7 ). Insiste sul dovere civico di pagare i tributi: " Rendete a ciascuno ciò che gli è dovuto: a chi il tributo, il tributo; a chi le tasse, le tasse; a chi il timore, il timore; a chi il rispetto, il rispetto" ( Rm 13,7 ). L'Apostolo non intende certo legittimare ogni potere, quanto piuttosto aiutare i cristiani a "compiere il bene davanti a tutti gli uomini" ( Rm 12,17 ), anche nei rapporti con l'autorità, in quanto essa è al servizio di Dio per il bene della persona ( Rm 13,4; 1 Tm 2,1-2; Tt 3,1 ) e " per la giusta condanna di chi opera il male " ( Rm 13,4 ). San Pietro esorta i cristiani a stare "sottomessi ad ogni istituzione umana per amore del Signore" ( 1 Pt 2,13 ). Il re e i suoi governatori hanno il compito di "punire i malfattori e premiare i buoni" ( 1 Pt 2,14 ). La loro autorità deve essere "onorata" ( 1 Pt 2,17 ), cioè riconosciuta, perché Dio esige un comportamento retto, che chiuda " la bocca all'ignoranza degli stolti" ( 1 Pt 2,15 ). La libertà non può essere usata per coprire la propria malizia, ma per servire Dio ( 1 Pt 2,15 ). Si tratta allora di un'obbedienza libera e responsabile ad un'autorità che fa rispettare la giustizia, assicurando il bene comune. 381 La preghiera per i governanti, raccomandata da san Paolo durante le persecuzioni, indica esplicitamente ciò che l'autorità politica deve garantire: una vita calma e tranquilla, da trascorrere con tutta pietà e dignità ( 1 Tm 2,1-2 ). I cristiani devono "essere pronti per ogni opera buona" ( Tt 3,1 ), "mostrando ogni dolcezza verso tutti gli uomini" ( Tt 3,2 ), consapevoli di essere stati salvati non per le loro opere, ma per la misericordia di Dio. Senza " un lavacro di rigenerazione e di rinnovamento nello Spirito Santo, effuso [da Dio] su di noi abbondantemente per mezzo di Gesù Cristo, salvatore nostro" ( Tt 3,5-6 ), tutti gli uomini sono "insensati, disobbedienti, traviati, schiavi di ogni sorta di passioni e di piaceri, [vivono] nella malvagità e nell'invidia, degni di odio e [odiandosi] a vicenda" ( Tt 3,3 ). Non si deve dimenticare la miseria della condizione umana, segnata dal peccato e riscattata dall'amore di Dio. 382 Quando il potere umano esce dai limiti dell'ordine voluto da Dio, si autodivinizza e chiede l'assoluta sottomissione; diventa allora la Bestia dell'Apocalisse, immagine del potere imperiale persecutore, ebbro "del sangue dei santi e del sangue dei martiri di Gesù" ( Ap 17,6 ). La Bestia ha al suo servizio il "falso profeta" ( Ap 19,20 ), che spinge gli uomini ad adorarla con portenti che seducono. Questa visione addita profeticamente tutte le insidie usate da Satana per governare gli uomini, insinuandosi nel loro spirito con la menzogna. Ma Cristo è l'Agnello Vincitore di ogni potere che si assolutizza, nel corso della storia umana. Di fronte a tale potere, san Giovanni raccomanda la resistenza dei martiri: in questo modo i credenti testimoniano che il potere corrotto e satanico è vinto, perché non ha più nessun ascendente su di loro. 383 La Chiesa annuncia che Cristo, vincitore della morte, regna sull'universo che Egli stesso ha riscattato. Il Suo regno si estende anche nel tempo presente e finirà soltanto quando tutto sarà consegnato al Padre e la storia umana si compirà con il giudizio finale ( 1 Cor 15,20-28 ). Cristo svela all'autorità umana, sempre tentata dal dominio, il suo significato autentico e compiuto di servizio. Dio è Padre unico e Cristo unico maestro per tutti gli uomini, che sono fratelli. La sovranità appartiene a Dio. Il Signore, tuttavia, "non ha voluto riservare solo a sé l'esercizio di tutti i poteri. Egli assegna ad ogni creatura le funzioni che essa è in grado di esercitare, secondo le capacità proprie della sua natura. Questo modo di governare deve essere imitato nella vita sociale. Il comportamento di Dio nel governo del mondo, che testimonia un profondissimo rispetto per la libertà umana, dovrebbe ispirare la saggezza di coloro che governano le comunità umane. Costoro devono comportarsi come ministri della provvidenza divina ". Il messaggio biblico ispira incessantemente il pensiero cristiano sul potere politico, ricordando che esso scaturisce da Dio ed è parte integrante dell'ordine da Lui creato. Tale ordine è percepito dalle coscienze e si realizza, nella vita sociale, mediante la verità, la giustizia, la libertà e la solidarietà che procurano la pace. Comunità politica, persona umana e popolo 384 La persona umana è fondamento e fine della convivenza politica. Dotata di razionalità, essa è responsabile delle proprie scelte e capace di perseguire progetti che danno senso alla sua vita, a livello individuale e sociale. L'apertura verso la Trascendenza e verso gli altri è il tratto che la caratterizza e contraddistingue: soltanto in rapporto con la Trascendenza e con gli altri, la persona umana raggiunge la piena e completa realizzazione di sé. Questo significa che per l'uomo, creatura naturalmente sociale e politica, " la vita sociale non è qualcosa di accessorio ", bensì un'essenziale ed ineliminabile dimensione. La comunità politica scaturisce dalla natura delle persone, la cui coscienza " rivela e ordina perentoriamente di seguire " l'ordine scolpito da Dio in tutte le Sue creature: " un ordine etico-religioso, il quale incide più di ogni altro valore materiale sugli indirizzi e le soluzioni da dare ai problemi della vita individuale ed associata nell'interno delle comunità nazionali e nei rapporti tra esse". Tale ordine deve essere gradualmente scoperto e sviluppato dall'umanità. La comunità politica, realtà connaturale agli uomini, esiste per ottenere un fine altrimenti irraggiungibile: la crescita più piena di ciascuno dei suoi mèmbri, chiamati a collaborare stabilmente per realizzare il bene comune, sotto la spinta della loro tensione naturale verso il vero e verso il bene. 385 La comunità politica trova nel riferimento al popolo la sua autentica dimensione: essa " è, e deve essere in realtà, l'unità organica e organizzatrice di un vero popolo ". Il popolo non è una moltitudine amorfa, una massa inerte da manipolare e strumentalizzare, bensì un insieme di persone, ciascuna delle quali - " al proprio posto e nel proprio modo " - ha la possibilità di formarsi una propria opinione sulla cosa pubblica e la libertà di esprimere la propria sensibilità politica e di farla valere in maniera confacente al bene comune. Il popolo " vive della pienezza della vita degli uomini che lo compongono, ciascuno dei quali… è una persona consapevole delle proprie responsabilità e delle proprie convinzioni". Gli appartenenti ad una comunità politica, pur essendo uniti organicamente tra loro come popolo, conservano, tuttavia, un'insopprimibile autonomia a livello di esistenza personale e dei fini da perseguire. 386 Ciò che caratterizza in primo luogo un popolo è la condivisione di vita e di valori, che è fonte di comunione a livello spirituale e morale: " La convivenza umana… deve essere considerata anzitutto come un fatto spirituale: quale comunicazione di conoscenze nella luce del vero; esercizio di diritti e adempimento di doveri; impulso e richiamo al bene morale; e come nobile comune godimento del bello in tutte le sue legittime espressioni; permanente disposizione ad effondere gli uni negli altri il meglio di se stessi; anelito ad una mutua e sempre più ricca assimilazione di valori spirituali: valori nei quali trovano la loro perenne vivificazione e il loro orientamento di fondo le espressioni culturali, il mondo economico, le istituzioni sociali, i movimenti e i regimi politici, gli ordinamenti giuridici e tutti gli altri elementi esteriori, in cui si articola e si esprime la convivenza nel suo evolversi incessante ". 387 A ogni popolo corrisponde in generale una Nazione, ma per varie ragioni non sempre i confini nazionali coincidono con quelli etnici. Sorge così la questione delle minoranze, che storicamente ha originato non pochi conflitti. Il Magistero afferma che le minoranze costituiscono gruppi con specifici diritti e doveri. In primo luogo, un gruppo minoritario ha diritto alla propria esistenza: "Tale diritto può essere disatteso in diverse maniere, fino ai casi estremi in cui è negato mediante forme manifeste o indirette di genocidio ". Inoltre, le minoranze hanno diritto di mantenere la loro cultura, compresa la lingua, nonché le loro convinzioni religiose, compresa la celebrazione del culto. Nella legittima rivendicazione dei propri diritti, le minoranze possono essere spinte a cercare una maggiore autonomia o addirittura l'indipendenza: in tali delicate circostanze, dialogo e negoziato sono il cammino per raggiungere la pace. In ogni caso il ricorso al terrorismo è ingiustificabile e danneggerebbe la causa che si vuole difendere. Le minoranze hanno anche doveri da assolvere tra cui, anzitutto, la cooperazione al bene comune dello Stato in cui sono inserite. In particolare, "un gruppo minoritario ha il dovere di promuovere la libertà e la dignità di ciascuno dei suoi mèmbri e di rispettare le scelte di ogni suo individuo, anche quando uno decidesse di passare alla cultura maggioritaria ". Tutelare e promuovere i diritti umani 388 Considerare la persona umana come fondamento e fine della comunità politica significa adoperarsi, innanzi tutto, per il riconoscimento e il rispetto della sua dignità mediante la tutela e la promozione dei diritti fondamentali e inalienabili dell'uomo: "Nell'epoca moderna, l'attuazione del bene comune trova la sua indicazione di fondo nei diritti e nei doveri della persona". Nei diritti umani sono condensate le principali esigenze morali e giuridiche che devono presiedere alla costruzione della comunità politica. Essi costituiscono una norma oggettiva che sta a fondamento del diritto positivo e che non può essere ignorata dalla comunità politica, perché la persona le è ontologicamente e finalisticamente anteriore: il diritto positivo deve garantire la soddisfazione delle esigenze umane fondamentali. 389 La comunità politica persegue il bene comune operando per la creazione di un ambiente umano in cui ai cittadini sia offerta la possibilità di un reale esercizio dei diritti umani e di un pieno adempimento dei relativi doveri: " l'esperienza attesta che qualora manchi una appropriata azione dei poteri pubblici, gli squilibri economici, sociali e culturali tra gli esseri umani tendono, soprattutto nell'epoca nostra, ad accentuarsi; di conseguenza i fondamentali diritti della persona rischiano di rimanere privi di contenuto; e viene compromesso l'adempimento dei rispettivi doveri". La piena realizzazione del bene comune richiede che la comunità politica sviluppi, nell'ambito dei diritti umani, una duplice e complementare azione, di difesa e di promozione: " Si deve quindi evitare che, attraverso la preferenza data alla tutela dei diritti di alcuni individui o gruppi sociali, si creino posizioni di privilegio; e si deve pure evitare che, nell'intento di promuovere gli accennati diritti, si arrivi all'assurdo risultato di ridurre eccessivamente o renderne impossibile il genuino esercizio ". La convivenza basata sull'amicizia civile 390 Il significato profondo della convivenza civile e politica non emerge immediatamente dall'elenco dei diritti e dei doveri della persona. Tale convivenza acquista tutto il suo significato se basata sull'amicizia civile e sulla fraternità. Il campo del diritto, infatti, è quello dell'interesse tutelato e del rispetto esteriore, della protezione dei beni materiali e della loro ripartizione secondo regole stabilite; il campo dell'amicizia, invece, è quello del disinteresse, del distacco dai beni materiali, della loro donazione, della disponibilità interiore alle esigenze dell'altro. L'amicizia civile, così intesa, è l'attuazione più autentica del principio di fraternità, che è inseparabile da quello di libertà e di uguaglianza. Si tratta di un principio rimasto in gran parte non attuato nelle società politiche moderne e contemporanee, soprattutto a causa dell'influsso esercitato dalle ideologie individualistiche e collettivistiche. 391 Una comunità è solidamente fondata quando tende alla promozione integrale della persona e del bene comune; in questo caso, il diritto viene definito, rispettato e vissuto anche secondo le modalità della solidarietà e della dedizione al prossimo. La giustizia richiede che ognuno possa godere dei propri beni e dei propri diritti e può essere considerata la misura minima dell'amore. La convivenza diventa tanto più umana quanto più è caratterizzata dallo sforzo verso una più matura consapevolezza dell'ideale verso cui essa deve tendere, che è la " civiltà dell'Amore ". L'uomo è una persona, non solo un individuo. Con il termine "persona" si indica "una natura dotata di intelligenza e di volontà libera": è dunque una realtà ben superiore a quella di un soggetto che si esprime nei bisogni prodotti dalla mera dimensione materiale. La persona umana, infatti, pur partecipando attivamente all'opera tesa al soddisfacimento dei bisogni in seno alla società familiare, civile e politica, non trova realizzazione completa di sé fino a quando non supera la logica del bisogno per proiettarsi in quella della gratuità e del dono, che più pienamente risponde alla sua essenza e alla sua vocazione comunitaria. 392 Il precetto evangelico della carità illumina i cristiani sul significato più profondo della convivenza politica. Per renderla veramente umana, "non c'è niente di meglio che favorire il senso interiore della giustizia e benevolenza e del servizio al bene comune, e corroborare le convinzioni fondamentali sulla vera natura della comunità politica e sul fine, sul legittimo esercizio e sui limiti dell'autorità pubblica". L'obiettivo che i credenti devono proporsi è la realizzazione di rapporti comunitari fra le persone. La visione cristiana della società politica conferisce il massimo rilievo al valore della comunità, sia come modello organizzativo della convivenza sia come stile di vita quotidiana. Il fondamento dell'autorità politica 393 La Chiesa si è confrontata con diverse concezioni dell'autorità, avendo sempre cura di difenderne e di proporne un modello fondato sulla natura sociale delle persone: " Iddio, infatti, ha creato gli esseri umani sociali per natura; e poiché non vi può essere "società che si sostenga, se non c'è chi sovrasti gli altri, muovendo ognuno con efficacia ed unità di mezzi verso un fine comune, ne segue che alla convivenza civile è indispensabile l'autorità che la regga; la quale, non altrimenti che la società, è da natura, e perciò stesso viene da Dio" ". L'autorità politica è pertanto necessaria a motivo dei compiti che le sono attribuiti e deve essere una componente positiva e insostituibile della convivenza civile. 394 L'autorità politica deve garantire la vita ordinata e retta della comunità, senza sostituirsi alla libera attività dei singoli e dei gruppi, ma disciplinandola e orientandola, nel rispetto e nella tutela dell'indipendenza dei soggetti individuali e sociali, verso la realizzazione del bene comune. L'autorità politica è lo strumento di coordinamento e di direzione mediante il quale i singoli e i corpi intermedi si devono orientare verso un ordine le cui relazioni, istituzioni e procedure siano al servizio della crescita umana integrale. L'esercizio dell'autorità politica, infatti, "sia nella comunità come tale, sia negli organismi che rappresentano lo stato, deve sempre essere praticato entro i limiti dell'ordine morale, per procurare il bene comune - concepito però dinamicamente - secondo un ordinamento giuridico legittimamente definito o da definire. Allora i cittadini sono obbligati in coscienza ad obbedire ". 395 Il soggetto dell'autorità politica è il popolo, considerato nella sua totalità quale detentore della sovranità. Il popolo, in varie forme, trasferisce l'esercizio della sua sovranità a coloro che liberamente elegge suoi rappresentanti, ma conserva la facoltà di farla valere nel controllo dell'operato dei governanti e anche nella loro sostituzione, qualora essi non adempiano in maniera soddisfacente alle loro funzioni. Sebbene questo sia un diritto valido in ogni Stato e in qualsiasi regime politico, il sistema della democrazia, grazie alle sue procedure di controllo, ne permette e ne garantisce la migliore attuazione. Il solo consenso popolare non è tuttavia sufficiente a far ritenere giuste le modalità di esercizio dell'autorità politica. L'autorità come forza morale 396 L'autorità deve lasciarsi guidare dalla legge morale: tutta la sua dignità deriva dallo svolgersi nell'ambito dell'ordine morale " il quale si fonda in Dio, che ne è il primo principio e l'ultimo fine " In ragione del necessario riferimento a quest'ordine, che la precede e la fonda, delle sue finalità e dei destinatari, l'autorità non può essere intesa come una forza determinata da criteri di carattere puramente sociologico e storico: "In alcune… concezioni, purtroppo, non si riconosce l'esistenza dell'ordine morale: ordine trascendente, universale, assoluto, uguale e valevole per tutti. Viene meno così la possibilità di incontrarsi e di intendersi pienamente e sicuramente nella luce di una stessa legge di giustizia ammessa e seguita da tutti ". Questo ordine " non si regge che in Dio: scisso da Dio si disintegra". Proprio da questo ordine l'autorità trae la virtù di obbligare e la propria legittimità morale; non dall'arbitrio o dalla volontà di potenza, ed è tenuta a tradurre tale ordine nelle azioni concrete per raggiungere il bene comune. 397 L'autorità deve riconoscere, rispettare e promuovere i valori umani e morali essenziali. Essi sono innati, " scaturiscono dalla verità stessa dell'essere umano ed esprimono e tutelano la dignità della persona: valori, pertanto, che nessun individuo, nessuna maggioranza e nessuno Stato potranno mai creare, modificare o distruggere". Essi non trovano fondamento in provvisorie e mutevoli "maggioranze" di opinione, ma devono essere semplicemente riconosciuti, rispettati e promossi come elementi di una legge morale obiettiva, legge naturale iscritta nel cuore dell'uomo ( Rm 2,15 ), e punto di riferimento normativo della stessa legge civile. Quando, per un tragico oscuramento della coscienza collettiva, lo scetticismo giungesse a porre in dubbio persino i principi fondamentali della legge morale, lo stesso ordinamento statale sarebbe scosso nelle sue fondamenta, riducendosi a un puro meccanismo di regolazione pragmatica dei diversi e contrapposti interessi. 398 L'autorità deve emanare leggi giuste, cioè conformi alla dignità della persona umana e ai dettami della retta ragione: " La legge umana in tanto è tale in quanto è conforme alla retta ragione e quindi deriva dalla legge eterna. Quando invece una legge è in contrasto con la ragione, la si denomina legge iniqua; in tal caso però cessa di essere legge e diviene piuttosto un atto di violenza". L'autorità che comanda secondo ragione pone il cittadino in rapporto non tanto di sudditanza rispetto a un altro uomo, quanto piuttosto di obbedienza all'ordine morale e, quindi, a Dio stesso che ne è la fonte ultima. Chi rifiuta obbedienza all'autorità che agisce secondo l'ordine morale "si oppone all'ordine stabilito da Dio" ( Rm 13,2 ). Analogamente l'autorità pubblica, che ha il suo fondamento nella natura umana e appartiene all'ordine prestabilito da Dio, qualora non si adoperi per realizzare il bene comune, disattende il suo fine proprio e perciò stesso si delegittima. Il diritto all'obiezione di coscienza 399 Il cittadino non è obbligato in coscienza a seguire le prescrizioni delle autorità civili se sono contrarie alle esigenze dell'ordine morale, ai diritti fondamentali delle persone o agli insegnamenti del Vangelo. Le leggi ingiuste pongono gli uomini moralmente retti di fronte a drammatici problemi di coscienza: quando sono chiamati a collaborare ad azioni moralmente cattive, hanno l'obbligo di rifiutarsi. Oltre ad essere un dovere morale, questo rifiuto è anche un diritto umano basilare che, proprio perché tale, la stessa legge civile deve riconoscere e proteggere: "Chi ricorre all'obiezione di coscienza deve essere salvaguardato non solo da sanzioni penali, ma anche da qualsiasi danno sul piano legale, disciplinare, economico e professionale ". E un grave dovere di coscienza non prestare collaborazione, neppure formale, a quelle pratiche che, pur ammesse dalla legislazione civile, sono in contrasto con la Legge di Dio. Tale collaborazione, infatti, non può mai essere giustificata, ne invocando il rispetto della libertà altrui, ne facendo leva sul fatto che la legge civile la prevede e la richiede. Alla responsabilità morale degli atti compiuti nessuno può mai sottrarsi e su tale responsabilità ciascuno sarà giudicato da Dio stesso ( Rm 2,6; Rm 14,12 ). Il diritto di resistere 400 Riconoscere che il diritto naturale fonda e limita il diritto positivo significa ammettere che è legittimo resistere all'autorità qualora questa violi gravemente e ripetutamente i principi del diritto naturale. San Tommaso d'Aquino scrive che "si è tenuti a obbedire… per quanto lo esige l'ordine della giustizia ". Il fondamento del diritto di resistenza è quindi il diritto di natura. Diverse possono essere le manifestazioni concrete che la realizzazione di tale diritto può assumere. Diversi possono essere anche i fini perseguiti. La resistenza all'autorità mira a ribadire la validità di una diversa visione delle cose, sia quando si cerca di ottenere un mutamento parziale, modificando ad esempio alcune leggi, sia quando ci si batte per un radicale cambiamento della situazione. 401 La dottrina sociale indica i criteri per l'esercizio del diritto di resistenza: " La resistenza all'oppressione del potere politico non ricorrerà legittimamente alle armi, salvo quando sussistano tutte insieme le seguenti condizioni: 1. in caso di violazioni certe, gravi e prolungate dei diritti fondamentali; 2. dopo che si siano tentate tutte le altre vie; 3. senza che si provochino disordini peggiori; 4. qualora vi sia una fondata speranza di successo; 5. se è impossibile intravedere ragionevolmente soluzioni migliori ". La lotta armata è contemplata quale estremo rimedio per porre fine a una " tirannia evidente e prolungata che attentasse gravemente ai diritti fondamentali della persona e nuocesse in modo pericoloso al bene comune di un paese ". La gravita dei pericoli che il ricorso alla violenza oggi comporta fa ritenere comunque preferibile la strada della resistenza passiva, "più conforme ai principi morali e non meno promettente di successo ". Infliggere le pene 402 Per tutelare il bene comune, la legittima autorità pubblica ha il diritto e il dovere di comminare pene proporzionate alla gravita dei delitti. Lo Stato ha il duplice compito di reprimere i comportamenti lesivi dei diritti dell'uomo e delle regole fondamentali di una civile convivenza, nonché di rimediare, tramite il sistema delle pene, al disordine causato dall'azione delittuosa. Nello Stato di diritto, il potere di infliggere le pene è correttamente affidato alla Magistratura: "Le Costituzioni degli Stati moderni, definendo i rapporti che devono esistere tra il potere legislativo, l'esecutivo e il giudiziario, garantiscono a quest'ultimo la necessaria indipendenza nell'ambito della legge ". 403 La pena non serve unicamente allo scopo di difendere l'ordine pubblico e di garantire la sicurezza delle persone: essa diventa, altresì, uno strumento per la correzione del colpevole, una correzione che assume anche il valore morale di espiazione quando il colpevole accetta volontariamente la sua pena. La finalità cui tendere è duplice: da un lato favorire il reinserimento delle persone condannate; da un altro lato promuovere una giustizia riconciliatrice, capace di restaurare le relazioni di armonica convivenza spezzate dall'atto criminoso. A questo riguardo, è importante l'attività che i cappellani delle carceri sono chiamati a svolgere, non solo sotto il profilo specificamente religioso, ma anche in difesa della dignità delle persone detenute. Purtroppo, le condizioni in cui esse scontano la loro pena non favoriscono sempre il rispetto della loro dignità; spesso le prigioni diventano addirittura teatro di nuovi crimini. L'ambiente degli istituti di pena offre, tuttavia, un terreno privilegiato sul quale testimoniare, ancora una volta, la sollecitudine cristiana in campo sociale: "ero… carcerato e siete venuti a trovarmi" ( Mt 25,35-36 ). 404 L'attività degli uffici preposti all'accertamento della responsabilità penale, che è sempre di carattere personale, deve tendere alla rigorosa ricerca della verità e va condotta nel pieno rispetto della dignità e dei diritti della persona umana: si tratta di assicurare i diritti del colpevole come quelli dell'innocente. Si deve sempre avere presente il principio giuridico generale per cui non si può comminare una pena se prima non si è provato il delitto. Nell'espletamento delle indagini va scrupolosamente osservata la regola che interdice la pratica della tortura, anche nel caso dei reati più gravi: "Il discepolo di Cristo respinge ogni ricorso a simili mezzi, che nulla potrebbe giustificare e in cui la dignità dell'uomo viene avvilita tanto in colui che viene colpito quanto nel suo carnefice". Gli strumenti giuridici internazionali relativi ai diritti dell'uomo indicano giustamente il divieto della tortura come un principio al quale non si può derogare in alcuna circostanza. Va altresì escluso " il ricorso ad una detenzione motivata soltanto dal tentativo di ottenere notizie significative per il processo". Inoltre, va assicurata "la piena celerità dei processi: una loro eccessiva lunghezza diventa intollerabile per i cittadini e finisce per tradursi in una vera e propria ingiustizia". I magistrati sono tenuti a un doveroso riserbo nello svolgimento delle l'oro inchieste per non violare il diritto degli indagati alla riservatezza e per non indebolire il principio della presunzione d'innocenza. Poiché anche un giudice può sbagliarsi, è opportuno che la legislazione disponga un equo indennizzo per la vittima di un errore giudiziario. 405 La Chiesa vede come un segno di speranza " la sempre più diffusa avversione dell'opinione pubblica alla pena di morte anche solo come strumento di "legittima difesa" sociale, in considerazione delle possibilità di cui dispone una moderna società di reprimere efficacemente il crimine in modi che, mentre rendono inoffensivo colui che l'ha commesso, non gli tolgono definitivamente la possibilità di redimersi ". Seppure l'insegnamento tradizionale della Chiesa non escluda - supposto il pieno accertamento dell'identità e della responsabilità del colpevole - la pena di morte "quando questa fosse l'unica via praticabile per difendere efficacemente dall'aggressore ingiusto la vita di esseri umani ", i metodi non cruenti di repressione e di punizione sono preferibili in quanto "meglio rispondenti alle condizioni concrete del bene comune e più conformi alla dignità della persona umana". Il crescente numero di Paesi che adottano provvedimenti per abolire la pena di morte o per sospenderne l'applicazione è anche una prova del fatto che i casi in cui è assolutamente necessario sopprimere il reo " sono ormai molto rari, se non addirittura praticamente inesistenti". La crescente avversione dell'opinione pubblica alla pena di morte e i vari provvedimenti in vista della sua abolizione, ovvero della sospensione della sua applicazione, costituiscono visibili manifestazioni di una maggiore sensibilità morale. Il sistema della democrazia 406 Un giudizio esplicito e articolato sulla democrazia è contenuto nell'enciclica "Centesimus annus": "La Chiesa apprezza il sistema della democrazia, in quanto assicura la partecipazione dei cittadini alle scelte politiche e garantisce ai governati la possibilità sia di eleggere e controllare i propri governanti, sia di sostituirli in modo pacifico, ove ciò risulti opportuno. Essa, pertanto, non può favorire la formazione di gruppi dirigenti ristretti, i quali per interessi particolari o per fini ideologici usurpano il potere dello Stato. Un'autentica democrazia è possibile soltanto in uno Stato di diritto e sulla base di una retta concezione della persona umana. Essa esige che si verifichino le condizioni necessarie per la promozione sia delle singole persone mediante l'educazione e la formazione ai veri ideali, sia della "soggettività" della società mediante la creazione di strutture di partecipazione e di corresponsabilità". I valori e la democrazia 407 Un'autentica democrazia non è solo il risultato di un rispetto formale di regole, ma è il frutto della convinta accettazione dei valori che ispirano le procedure democratiche: la dignità di ogni persona umana, il rispetto dei diritti dell'uomo, l'assunzione del "bene comune" come fine e criterio regolativo della vita politica. Se non vi è un consenso generale su tali valori, si smarrisce il significato della democrazia e si compromette la sua stabilità. La dottrina sociale individua uno dei rischi maggiori per le attuali democrazie nel relativismo etico, che induce a ritenere inesistente un criterio aggettivo e universale per stabilire il fondamento e la corretta gerarchia dei valori: "Oggi si tende ad affermare che l'agnosticismo e il relativismo scettico sono la filosofia e l'atteggiamento fondamentale rispondenti alle forme politiche democratiche, e che quanti sono convinti di conoscere la verità e aderiscono con fermezza ad essa non sono affidabili dal punto di vista democratico, perché non accettano che la verità sia determinata dalla maggioranza o sia variabile a seconda dei diversi equilibri politici. A questo proposito, bisogna osservare che, se non esiste nessuna verità ultima la quale guida ed orienta l'azione politica, allora le idee e le convinzioni possono esser facilmente strumentalizzate per fini di potere. Una democrazia senza valori si converte facilmente in un totalitarismo aperto oppure subdolo, come dimostra la storia ". La democrazia è fondamentalmente " un "ordinamento" e, come tale, uno strumento e non un fine. Il suo carattere "morale" non è automatico, ma dipende dalla conformità alla legge morale a cui, come ogni altro comportamento umano, deve sottostare: dipende cioè dalla moralità dei fini che persegue e dei mezzi di cui si serve ". Istituzioni e democrazia 408 Il Magistero riconosce la validità del principio relativo alla divisione dei poteri in uno Stato: " È preferibile che ogni potere sia bilanciato da altri poteri e da altre sfere di competenza, che lo mantengano nel suo giusto limite. È, questo, il principio dello "Stato di diritto", nel quale è sovrana la legge, e non la volontà arbitraria degli uomini ". Nel sistema democratico, l'autorità politica è responsabile di fronte al popolo. Gli organismi rappresentativi devono essere sottoposti ad un effettivo controllo da parte del corpo sociale. Questo controllo è possibile innanzi tutto tramite libere elezioni, che permettono la scelta nonché la sostituzione dei rappresentanti. L'obbligo, da parte degli eletti, di rendere conto del loro operato, garantito dal rispetto delle scadenze elettorali, è elemento costitutivo della rappresentanza democratica. 409 Nel loro campo specifico ( elaborazione delle leggi, attività di governo e controllo su di essa ), gli eletti devono impegnarsi nella ricerca e nell'attuazione di ciò che può giovare al buon andamento della convivenza civile nel suo complesso. L'obbligo dei governanti di rispondere ai governati non implica affatto che i rappresentanti siano semplici agenti passivi degli elettori. Il controllo esercitato dai cittadini, infatti, non esclude la necessaria libertà di cui gli eletti devono godere nello svolgimento del loro mandato in relazione agli obiettivi da perseguire: questi non dipendono esclusivamente da interessi di parte, ma in misura molto maggiore dalla funzione di sintesi e di mediazione in vista del bene comune, che costituisce una delle finalità essenziali e irrinunciabili dell'autorità politica. Le componenti morali della rappresentanza politica 410 Coloro che hanno responsabilità politiche non devono dimenticare o sottovalutare la dimensione morale della rappresentanza, che consiste nell'impegno di condividere le sorti del popolo e nel cercare la soluzione dei problemi sociali. In questa prospettiva, autorità responsabile significa anche autorità esercitata mediante il ricorso alle virtù che favoriscono la pratica del potere con spirito di servizio ( pazienza, modestia, moderazione, carità, sforzo di condivisione ); un'autorità esercitata da persone in grado di assumere autenticamente come finalità del proprio operare il bene comune e non il prestigio o l'acquisizione di vantaggi personali. 411 Tra le deformazioni del sistema democratico, la corruzione politica è una delle più gravi, perché tradisce al tempo stesso i principi della morale e le norme della giustizia sociale; compromette il corretto funzionamento dello Stato, influendo negativamente sul rapporto tra governanti e governati; introduce una crescente sfiducia nei confronti delle istituzioni pubbliche, causando una progressiva disaffezione dei cittadini nei confronti della politica e dei suoi rappresentanti, con il conseguente indebolimento delle istituzioni. La corruzione distorce alla radice il ruolo delle istituzioni rappresentative, perché le usa come terreno di scambio politico tra richieste clientelari e prestazioni dei governanti. In tal modo, le scelte politiche favoriscono gli obiettivi ristretti di quanti possiedono i mezzi per influenzarle e impediscono la realizzazione del bene comune di tutti i cittadini. 412 La pubblica amministrazione, a qualsiasi livello - nazionale, regionale, comunale -, quale strumento dello Stato, ha come finalità quella di servire i cittadini: " Posto al servizio dei cittadini, lo Stato è il gestore del bene del popolo, che deve amministrare in vista del bene comune". Contrasta con questa prospettiva l'eccesso di burocratizzazione, che si verifica quando " le istituzioni, diventando complesse nell'organizzazione e pretendendo di gestire ogni spazio disponibile, finiscono per essere rovinate dal funzionalismo impersonale, dall'esagerata burocrazia, dagli ingiusti interessi privati, dal disimpegno facile e generalizzato ". Il ruolo di chi lavora nella pubblica amministrazione non va concepito come qualcosa di impersonale e di burocratico, bensì come un aiuto premuroso per i cittadini, esercitato con spirito di servizio. Strumenti di partecipazione politica 413 I partiti politici hanno il compito di favorire una partecipazione diffusa e l'accesso di tutti a pubbliche responsabilità. I partiti sono chiamati ad interpretare le aspirazioni della società civile orientandole al bene comune, offrendo ai cittadini la possibilità effettiva di concorrere alla formazione delle scelte politiche. I partiti devono essere democratici al loro interno, capaci di sintesi politica e di progettualità. Strumento di partecipazione politica è anche il referendum, in cui si realizza una forma diretta di accesso alle scelte politiche. L'istituto della rappresentanza non esclude, infatti, che i cittadini possano essere interpellati direttamente per le scelte di maggiore rilievo della vita sociale. Informazione e democrazia 414 L'informazione è tra i principali strumenti di partecipazione democratica. Non è pensabile alcuna partecipazione senza la conoscenza dei problemi della comunità politica, dei dati di fatto e delle varie proposte di soluzione. Occorre assicurare un reale pluralismo in questo delicato ambito della vita sociale, garantendo una molteplicità di forme e strumenti nel campo dell'informazione e della comunicazione e agevolando condizioni di uguaglianza nel possesso e nell'uso di tali strumenti mediante leggi appropriate. Tra gli ostacoli che si frappongono alla piena realizzazione del diritto all'obiettività nell'informazione, merita attenzione particolare il fenomeno delle concentrazioni editoriali e televisive, con pericolosi effetti per l'intero sistema democratico quando a tale fenomeno corrispondono legami sempre più stretti tra l'attività governativa, i poteri finanziari e l'informazione. 415 I mezzi di comunicazione sociale si devono utilizzare per edificare e sostenere la comunità umana, nei vari settori, economico, politico, culturale, educativo, religioso: " L'informazione attraverso i mass-media è al servizio del bene comune. La società ha diritto ad un'informazione fondata sulla verità, la libertà, la giustizia e la solidarietà ". La questione essenziale relativa all'attuale sistema informativo è se esso contribuisca a rendere la persona umana veramente migliore, cioè più matura spiritualmente, più cosciente della dignità della sua umanità, più responsabile, più aperta agli altri, in particolare verso i più bisognosi e i più deboli. Un altro aspetto di grande importanza è la necessità che le nuove tecnologie rispettino le legittime differenze culturali. 416 Nel mondo dei mezzi di comunicazione sociale le difficoltà intrinseche della comunicazione spesso vengono ingigantite dall'ideologia, dal desiderio di profitto e di controllo politico, da rivalità e conflitti fra gruppi, e da altri mali sociali. I valori e i principi morali valgono anche per il settore delle comunicazioni sociali: " La dimensione etica tocca non solo il contenuto della comunicazione ( il messaggio ) e il processo di comunicazione ( come viene fatta la comunicazione ), ma anche questioni fondamentali strutturali e sistemiche, che spesso coinvolgono temi relativi alle politiche di distribuzione delle tecnologie e dei prodotti sofisticati ( chi sarà ricco e chi povero di informazioni? ) ". In tutte e tre le aree - del messaggio, del processo, delle questioni strutturali - è sempre valido un principio morale fondamentale: la persona e la comunità umana sono il fine e la misura dell'uso dei mezzi di comunicazione sociale. Un secondo principio è complementare al primo: il bene delle persone non si può realizzare indipendentemente dal bene comune delle comunità alle quali le persone appartengono. È necessaria una partecipazione al processo decisionale riguardante la politica delle comunicazioni. Tale partecipazione, di forma pubblica, deve essere autenticamente rappresentativa e non volta a favorire gruppi particolari, quando i mezzi di comunicazione sociale perseguono scopi di lucro. Il valore della società civile 417 La comunità politica è costituita per essere al servizio della società civile, dalla quale deriva. Alla distinzione tra comunità politica e società civile la Chiesa ha contribuito soprattutto con la sua visione dell'uomo, inteso come essere autonomo, relazionale, aperto alla Trascendenza, contrastata sia dalle ideologie politiche di stampo individualistico, sia da quelle totalitarie tendenti ad assorbire la società civile nella sfera dello Stato. L'impegno della Chiesa in favore del pluralismo sociale mira a conseguire una più adeguata realizzazione del bene comune e della stessa democrazia, secondo i principi della solidarietà, della sussidiartela e della giustizia. La società civile è un insieme di relazioni e di risorse, culturali e associative, relativamente autonome dall'ambito sia politico sia economico: " Il fine della società civile è universale, perché è quello che riguarda il bene comune, a cui tutti e singoli i cittadini hanno diritto nella debita proporzione". Essa è caratterizzata da una propria capacità di progetto, orientata a favorire una convivenza sociale più libera e più giusta, in cui vari gruppi di cittadini si associano, mobilitandosi per elaborare ed esprimere i propri orientamenti, per far fronte ai loro bisogni fondamentali, per difendere legittimi interessi. Il primato della società civile 418 La comunità politica e la società civile, seppure reciprocamente collegate e interdipendenti, non sono uguali nella gerarchia dei fini. La comunità politica è essenzialmente al servizio della società civile e, in ultima analisi, delle persone e dei gruppi che la compongono. La società civile, dunque, non può essere considerata un'appendice o una variabile della comunità politica: anzi, essa ha la preminenza, perché nella stessa società civile trova giustificazione l'esistenza della comunità politica. Lo Stato deve fornire una cornice giuridica adeguata al libero esercizio delle attività dei soggetti sociali ed essere pronto ad intervenire, quando sia necessario e rispettando il principio di sussidiartela, per orientare verso il bene comune la dialettica tra le libere associazioni attive nella vita democratica. La società civile è composita e frastagliata, non priva di ambiguità e di contraddizioni: è anche luogo di scontro tra interessi diversi, con il rischio che il più forte prevalga sul più indifeso. L'applicazione del principio di sussidiarietà 419 La comunità politica è tenuta a regolare i propri rapporti nei confronti della società civile secondo il principio di sussidiartela: è essenziale che la crescita della vita democratica prenda avvio nel tessuto sociale. Le attività della società civile - soprattutto volontariato e cooperazione nell'ambito del privato-sociale, sinteticamente definito " terzo settore " per distinguerlo dagli ambiti dello Stato e del mercato - costituiscono le modalità più adeguate per sviluppare la dimensione sociale della persona, che in tali attività può trovare spazio per esprimersi compiutamente. La progressiva espansione delle iniziative sociali al di fuori della sfera statale crea nuovi spazi per la presenza attiva e per l'azione diretta dei cittadini, integrando le funzioni svolte dallo Stato. Tale importante fenomeno si è spesso attuato per vie e con strumenti largamente informali, dando vita a modalità nuove e positive di esercizio dei diritti della persona che arricchiscono qualitativamente la vita democratica. 420 La cooperazione, anche nelle sue forme meno strutturate, si delinea come una delle risposte più forti alla logica del conflitto e della concorrenza senza limiti, che oggi appare prevalente. I rapporti che si instaurano in un clima cooperativo e solidale superano le divisioni ideologiche, spingendo alla ricerca di ciò che unisce al di là di quanto divide. Molte esperienze del volontariato costituiscono un ulteriore esempio di grande valore, che spinge a considerare la società civile come luogo ove è sempre possibile la ricomposizione di un'etica pubblica centrata sulla solidarietà, sulla collaborazione concreta, sul dialogo fraterno. Alle potenzialità che così si manifestano tutti sono chiamati a guardare con fiducia e a prestare la propria opera personale per il bene della comunità in generale e, in particolare, per quello dei più deboli e dei più bisognosi. E anche così che si afferma il principio della "soggettività della società". La libertà religiosa, un diritto umano fondamentale 421 Il Concilio Vaticano II ha impegnato la Chiesa Cattolica nella promozione della libertà religiosa. La Dichiarazione " Dignitatis humanae" precisa nel sottotitolo che intende proclamare " il diritto della persona e delle comunità alla libertà sociale e civile in campo religioso ". Affinché tale libertà voluta da Dio e iscritta nella natura umana possa esercitarsi, non deve essere ostacolata, dato che " la verità non si impone altrimenti che in forza della verità stessa". La dignità della persona e la natura stessa della ricerca di Dio esigono per tutti gli uomini l'immunità da ogni coercizione nel campo religioso. La società e lo Stato non devono costringere una persona ad agire contro la sua coscienza, ne impedirle di operare in conformità ad essa. La libertà religiosa non è licenza morale di aderire all'errore, ne un implicito diritto all'errore. 422 La libertà di coscienza e di religione " riguarda l'uomo individualmente e socialmente "; il diritto alla libertà religiosa deve essere riconosciuto nell'ordinamento giuridico e sancito come diritto civile, tuttavia non è di per sé un diritto illimitato. I giusti limiti all'esercizio della libertà religiosa devono essere determinati per ogni situazione sociale con la prudenza politica, secondo le esigenze del bene comune, e ratificati dall'autorità civile mediante norme giuridiche conformi all'ordine morale oggettivo: tali norme sono richieste "dall'efficace tutela dei diritti di tutti i cittadini e della loro pacifica coesistenza, da una sufficiente cura di quella onesta pace pubblica che è ordinata convivenza nella vera giustizia, e dalla doverosa custodia della pubblica moralità". 423 A motivo dei suoi legami storici e culturali con una Nazione, una comunità religiosa può ricevere uno speciale riconoscimento da parte dello Stato: tale riconoscimento non deve in alcun modo generare una discriminazione d'ordine civile o sociale per altri gruppi religiosi. La visione dei rapporti tra gli Stati e le organizzazioni religiose, promossa dal Concilio Vaticano II, corrisponde alle esigenze dello Stato di diritto e alle norme del diritto internazionale. La Chiesa è ben consapevole che tale visione non è condivisa da tutti: il diritto alla libertà religiosa, purtroppo, "è violato da numerosi Stati, fino al punto che dare, o far dare, o ricevere la catechesi diventa un delitto passibile di sanzione ". Autonomia e indipendenza 424 La Chiesa e la comunità politica, pur esprimendosi ambedue con strutture organizzative visibili, sono di natura diversa sia per la loro configurazione sia per le finalità che perseguono. Il Concilio Vaticano II ha riaffermato solennemente: "Nel proprio campo, la comunità politica e la Chiesa sono indipendenti e autonome l'una dall'altra". La Chiesa si organizza con forme atte a soddisfare le esigenze spirituali dei suoi fedeli, mentre le diverse comunità politiche generano rapporti e istituzioni al servizio di tutto ciò che rientra nel bene comune temporale. L'autonomia e l'indipendenza delle due realtà si mostrano chiaramente soprattutto nell'ordine dei fini. Il dovere di rispettare la libertà religiosa impone alla comunità politica di garantire alla Chiesa lo spazio d'azione necessario. La Chiesa, d'altra parte, non ha un campo di competenza specifica per quanto riguarda la struttura della comunità politica: "La Chiesa rispetta la legittima autonomia dell'ordine democratico e non ha titolo per esprimere preferenze per l'una o l'altra soluzione istituzionale o costituzionale " e non ha neppure il compito di entrare nel merito dei programmi politici, se non per le loro implicazioni religiose e morali. Collaborazione 425 L'autonomia reciproca della Chiesa e della comunità politica non comporta una separazione che escluda la loro collaborazione: entrambe, anche se a titolo diverso, sono al servizio della vocazione personale e sociale dei medesimi uomini. La Chiesa e la comunità politica, infatti, si esprimono in forme organizzative che non sono fini a se stesse, ma al servizio dell'uomo, per consentirgli il pieno esercizio dei suoi diritti, inerenti alla sua identità di cittadino e di cristiano, e un corretto adempimento dei corrispondenti doveri. La Chiesa e la comunità politica possono svolgere il loro servizio " a vantaggio di tutti in maniera tanto più efficace quanto meglio entrambe allacciano tra loro una sana collaborazione, considerando anche le circostanze di luogo e di tempo". 426 La Chiesa ha diritto al riconoscimento giuridico della propria identità. Proprio perché la sua missione abbraccia tutta la realtà umana, la Chiesa, sentendosi " davvero e intimamente solidale con il genere umano e la sua storia ", rivendica la libertà di esprimere il suo giudizio morale su tale realtà ogniqualvolta ciò sia richiesto dalla difesa dei diritti fondamentali della persona o dalla salvezza delle anime. La Chiesa pertanto chiede: libertà di espressione, di insegnamento, di evangelizzazione; libertà di manifestare il culto in pubblico; libertà di organizzarsi e avere propri regolamenti interni; libertà di scelta, di educazione, di nomina e di trasferimento dei propri ministri; libertà di costruire edifici religiosi; libertà di acquistare e di possedere beni adeguati alla propria attività; libertà di associazione per fini non solo religiosi, ma anche educativi, culturali, sanitari e caritativi. 427 Alfine di prevenire o attutire possibili conflitti tra Chiesa e comunità politica, l'esperienza giuridica della Chiesa e dello Stato ha variamente delineato forme stabili di rapporti e strumenti idonei a garantire relazioni armoniche. Tale esperienza è un punto di riferimento essenziale per tutti i casi in cui lo Stato ha la pretesa di invadere il campo d'azione della Chiesa, ostacolandone la libera attività fino a perseguitarla apertamente o, viceversa, nei casi in cui organizzazioni ecclesiali non agiscano correttamente nei confronti dello Stato. L'unità della famiglia umana 428 I racconti biblici sulle origini mostrano l'unità del genere umano e insegnano che il Dio d'Israele è il Signore della storia e del cosmo: la Sua azione abbraccia tutto il mondo e l'intera famiglia umana, alla quale è destinata l'opera della creazione. La decisione di Dio di fare l'uomo a Sua immagine e somiglianza ( Gen 1,26-27 ) conferisce alla creatura umana una dignità unica, che si estende a tutte le generazioni ( Gen 5 ) e su tutta la terra ( Gen 10 ). Il Libro della Genesi mostra, inoltre, che l'essere umano non è stato creato isolato, ma all'interno di un contesto di cui fanno parte integrante lo spazio vitale, che gli assicura la libertà ( il giardino ), la disponibilità di alimenti ( gli alberi del giardino ), il lavoro ( il comando di coltivare ) e soprattutto la comunità ( il dono dell'aiuto simile a lui ) ( Gen 2,8-24 ). Le condizioni che assicurano pienezza alla vita umana sono, in tutto l'Antico Testamento, oggetto della benedizione divina. Dio vuole garantire all'uomo i beni necessari alla sua crescita, la possibilità di esprimersi liberamente, il positivo risultato del lavoro, la ricchezza di relazioni tra esseri simili. 429 L'alleanza di Dio con Noè ( Gen 9,1-17 ), e in lui con tutta l'umanità, dopo la distruzione causata dal diluvio, manifesta che Dio vuole mantenere per la comunità umana la benedizione di fecondità, il compito di dominare il creato e l'assoluta dignità e intangibilità della vita umana che avevano caratterizzato la prima creazione, nonostante in essa si fosse introdotta, con il peccato, la degenerazione della violenza e dell'ingiustizia, punita con il diluvio. Il libro della Genesi presenta con ammirazione la varietà dei popoli, opera dell'azione creatrice di Dio ( Gen 10,1-32 ) e, nel contempo, stigmatizza la non accettazione da parte dell'uomo della sua condizione di creatura, con l'episodio della torre di Babele ( Gen 11,1-9 ). Tutti i popoli, nel piano divino, avevano "una sola lingua e le stesse parole" ( Gen 11,1 ), ma gli uomini si dividono, volgendo le spalle al Creatore ( Gen 11,4 ). 430 L'alleanza stabilita da Dio con Abramo, eletto "padre di una moltitudine di popoli" ( Gen 17,4 ), apre la strada al ricongiungimento della famiglia umana al suo Creatore. La storia salvifica induce il popolo di Israele a pensare che l'azione divina sia ristretta alla sua terra, tuttavia si consolida a poco a poco la convinzione che Dio opera anche tra le altre Nazioni ( Is 19,18-25 ). I Profeti annunceranno per il tempo escatologico il pellegrinaggio dei popoli al tempio del Signore e un'era di pace tra le Nazioni ( Is 2,2-5; Is 66,18-23 ). Israele, disperso nell'esilio, prenderà definitivamente coscienza del suo ruolo di testimone dell'unico Dio ( Is 44,6-8 ), Signore del mondo e della storia dei popoli ( Is 44,24-28 ). Gesù Cristo prototipo e fondamento della nuova umanità 431 Il Signore Gesù è il prototipo e il fondamento della nuova umanità. In Lui, vera "immagine di Dio" ( 2 Cor 4,4 ), trova compimento l'uomo creato da Dio a Sua immagine. Nella testimonianza definitiva di amore che Dio ha manifestato nella croce di Cristo, tutte le barriere di inimicizia sono già state abbattute ( Ef 2,12-18 ) e per quanti vivono la vita nuova in Cristo le differenze razziali e culturali non sono più motivo di divisione ( Rm 10,12; Gal 3,26-28; Col 3,11 ). Grazie allo Spirito, la Chiesa conosce il disegno divino che abbraccia l'intero genere umano ( At 17,26 ) e che è finalizzato a riunire, nel mistero di una salvezza realizzata sotto la signoria di Cristo ( Ef 1,8-10 ), tutta la realtà creaturale frammentata e dispersa. Dal giorno di Pentecoste, quando la Risurrezione è annunciata ai diversi popoli e compresa da ciascuno nella propria lingua ( At 2,6 ), la Chiesa adempie al proprio compito di restaurare e testimoniare l'unità perduta a Babele: grazie a questo ministero ecclesiale, la famiglia umana è chiamata a riscoprire la propria unità e a riconoscere la ricchezza delle sue differenze, per giungere alla "piena unità in Cristo". La vocazione universale del cristianesimo 432 Il messaggio cristiano offre una visione universale della vita degli uomini e dei popoli sulla terra874 che fa comprendere l'unità della famiglia umana. Tale unità non va costruita con la forza delle armi, del terrore o del sopruso, ma è piuttosto l'esito di quel "supremo modello di unità, riflesso della vita intima di Dio, uno in tre Persone, … che noi cristiani designiamo con la parola "comunione" ", e una conquista della forza morale e culturale della libertà. Il messaggio cristiano è stato decisivo per far capire all'umanità che i popoli tendono ad unirsi non solo in ragione di forme di organizzazione, di vicende politiche, di progetti economici o in nome di un internazionalismo astratto e ideologico, ma perché liberamente si orientano verso la cooperazione, consapevoli " di essere membra vive di una comunità mondiale". La comunità mondiale deve proporsi sempre più e sempre meglio come figura concreta dell'unità voluta dal Creatore: "L'unità della famiglia umana è esistita in ogni tempo, giacché essa ha come membri gli esseri umani che sono tutti uguali per dignità naturale. Di conseguenza esisterà sempre l'esigenza obiettiva all'attuazione, in grado sufficiente, del bene comune universale, e cioè del bene comune dell'intera famiglia umana ". Comunità internazionale e valori 433 La centralità della persona umana e la naturale attitudine delle persone e dei popoli a stringere relazioni tra loro sono gli elementi fondamentali per costruire una vera Comunità internazionale, la cui organizzazione deve tendere all'effettivo bene comune universale. Nonostante sia ampiamente diffusa l'aspirazione verso un'autentica comunità internazionale, l'unità della famiglia umana non trova ancora realizzazione, perché ostacolata da ideologie materialistiche e nazionalistiche che negano i valori di cui è portatrice la persona considerata integralmente, in tutte le sue dimensioni, materiale e spirituale, individuale e comunitaria. In particolare, è moralmente inaccettabile ogni teoria o comportamento improntati al razzismo e alla discriminazione razziale. La convivenza tra le Nazioni è fondata sui medesimi valori che devono orientare quella tra gli esseri umani: la verità, la giustizia, la solidarietà e la libertà. L'insegnamento della Chiesa, sul piano dei principi costitutivi della Comunità internazionale, chiede che le relazioni tra i popoli e le comunità politiche trovino la loro giusta regolazione nella ragione, nell'equità, nel diritto, nella trattativa, mentre esclude il ricorso alla violenza e alla guerra, a forme di discriminazione, di intimidazione e di inganno. 434 Il diritto si pone come strumento di garanzia dell'ordine internazionale, ovvero della convivenza tra comunità politiche che singolarmente perseguono il bene comune dei propri cittadini e che collettivamente devono tendere a quello di tutti i popoli, nella convinzione che il bene comune di una Nazione è inseparabile dal bene dell'intera famiglia umana. Quella internazionale è una comunità giuridica fondata sulla sovranità di ogni Stato membro, senza vincoli di subordinazione che ne neghino o ne limitino l'indipendenza. Concepire in questo modo la comunità internazionale non significa affatto relativizzare e vanificare le differenti e peculiari caratteristiche di ogni popolo, ma favorirne l'espressione La valorizzazione delle differenti identità aiuta a superare le varie forme di divisione che tendono a separare i popoli e a farli portatori di un egoismo dagli effetti destabilizzanti. 435 Il Magistero riconosce l'importanza della sovranità nazionale, concepita anzitutto come espressione della libertà che deve regolare i rapporti tra gli Stati. La sovranità rappresenta la soggettività di una Nazione sotto il profilo politico, economico, sociale e anche culturale. La dimensione culturale acquista uno spessore particolare come punto di forza per la resistenza agli atti di aggressione o alle forme di dominio che condizionano la libertà di un Paese: la cultura costituisce la garanzia di conservazione dell'identità di un popolo, esprime e promuove la sua sovranità spirituale La sovranità nazionale non è però un assoluto. Le Nazioni possono rinunciare liberamente all'esercizio di alcuni loro diritti in vista di un obiettivo comune, nella consapevolezza di formare una "famiglia", dove devono regnare reciproca fiducia, sostegno vicendevole e mutuo rispetto. In tale prospettiva, merita attenta considerazione la mancanza di un accordo internazionale che affronti in modo adeguato "i diritti delle Nazioni ", la cui preparazione potrebbe affrontare opportunamente le questioni relative alla giustizia e alla libertà nel mondo contemporaneo. Relazioni fondate sull'armonia tra ordine giuridico e ordine morale 436 Per realizzare e consolidare un ordine internazionale che garantisca efficacemente la pacifica convivenza tra i popoli, la stessa legge morale che regge la vita degli uomini deve regolare anche i rapporti tra gli Stati: " legge morale, la cui osservanza deve venir inculcata e promossa dall'opinione pubblica di tutte le Nazioni e di tutti gli Stati con tale unanimità di voce e di forza, che nessuno possa osare di porla in dubbio o attenuarne il vincolo obbligante ". È necessario che la legge morale universale, scritta nel cuore dell'uomo, venga considerata effettiva e inderogabile quale viva espressione della coscienza che l'umanità ha in comune, una " grammatica " in grado di orientare il dialogo sul futuro del mondo. 437 Il rispetto universale dei principi che ispirano un " ordinamento giuridico in armonia con l'ordine morale" è una condizione necessaria per la stabilità della vita internazionale. La ricerca di una simile stabilità ha favorito la graduale elaborazione di un diritto delle genti ( "ius gentium" ), che può essere considerato come "l'antenato del diritto internazionale". La riflessione giuridica e teologica, ancorata al diritto naturale, ha formulato " principi universali che sono anteriori e superiori al diritto interno degli Stati", come l'unità del genere umano, l'uguaglianza in dignità di ogni popolo, il rifiuto della guerra per superare le contese, l'obbligazione di cooperare per il bene comune, l'esigenza di tenere fede agli impegni sottoscritti ( "pacta sunt serranda " ). Quest'ultimo principio va particolarmente sottolineato per evitare " la tentazione di fare appello al diritto della forza piuttosto che alla forza del diritto ". 438 Per risolvere i conflitti che insorgono tra le diverse comunità politiche e che compromettono la stabilità delle Nazioni e la sicurezza internazionale, è indispensabile riferirsi a regole comuni affidate alla trattativa, rinunciando definitivamente all'idea di ricercare la giustizia mediante il ricorso alla guerra. " la guerra può terminare senza vincitori ne vinti in un suicidio dell'umanità, ed allora bisogna ripudiare la logica che conduce ad essa, l'idea che la lotta per la distruzione dell'avversario, la contraddizione e la guerra stessa siano fattori di progresso e di avanzamento della storia ". La Carta delle Nazioni Unite ha interdetto non solo il ricorso alla forza, ma anche la sola minaccia di usarla: tale disposizione è nata dalla tragica esperienza della Seconda Guerra Mondiale. Il Magistero non aveva mancato durante quel conflitto di individuare alcuni fattori indispensabili per edificare un rinnovato ordine internazionale: la libertà e l'integrità territoriale di ogni Nazione; la tutela dei diritti delle minoranze; un'equa condivisione delle risorse della terra; il rifiuto della guerra e l'attuazione del disarmo; l'osservanza dei patti concordati; la cessazione della persecuzione religiosa. 439 Per consolidare il primato del diritto, vale anzitutto il principio della fiducia reciproca. In questa prospettiva, gli strumenti normativi per la soluzione pacifica delle controversie devono essere ripensati in modo da rafforzarne la portata e l'obbligatorietà. Gli istituti del negoziato, della mediazione, della conciliazione, dell'arbitrato, che sono espressione della legalità internazionale, devono essere sostenuti dalla creazione di " un'autorità giuridica pienamente efficiente in un mondo pacificato". Un avanzamento in questa direzione consentirà alla Comunità internazionale di proporsi non più come semplice momento di aggregazione della vita degli Stati, ma come una struttura in cui i conflitti possono essere pacificamente risolti: "Come all'interno dei singoli Stati … il sistema della vendetta privata e della rappresaglia è stato sostituito dall'impero della legge, così è ora urgente che un simile progresso abbia luogo nella Comunità internazionale". In definitiva, il diritto internazionale "deve evitare che prevalga la legge del più forte ". Il valore delle Organizzazioni internazionali 440 Il cammino verso un'autentica "comunità" internazionale, che ha assunto una precisa direzione con l'istituzione dell'Organizzazione delle Nazioni Unite nel 1945, è accompagnato dalla Chiesa: tale Organizzazione " ha contribuito notevolmente a promuovere il rispetto della dignità umana, la libertà dei popoli e l'esigenza dello sviluppo, preparando il terreno culturale e istituzionale su cui costruire la pace ". La dottrina sociale, in generale, considera positivamente il ruolo delle Organizzazioni inter-governative, in particolare di quelle operanti in settori specifici, pur esprimendo riserve quando esse affrontano in modo scorretto i problemi. Il Magistero raccomanda che l'azione degli Organismi internazionali risponda alle necessità umane nella vita sociale e negli ambiti rilevanti per la pacifica e ordinata convivenza delle Nazioni e dei popoli. 441 La sollecitudine per un'ordinata e pacifica convivenza della famiglia umana spinge il Magistero a mettere in rilievo l'esigenza di istituire " una qualche autorità pubblica universale, da tutti riconosciuta, che goda di un potere effettivo per garantire a tutti sia la sicurezza, sia l'osservanza della giustizia, sia il rispetto dei diritti". Nel corso della storia, nonostante i cambiamenti di prospettiva delle diverse epoche, si è avvertito costantemente il bisogno di una simile autorità per rispondere ai problemi di dimensione mondiale posti dalla ricerca del bene comune: è essenziale che tale autorità sia il frutto di un accordo e non di un'imposizione, e non venga intesa come " un super-stato globale ". Un'autorità politica esercitata nel quadro della Comunità internazionale deve essere regolata dal diritto, ordinata al bene comune e rispettosa del principio di sussidiarietà: " I poteri pubblici della comunità mondiale non hanno lo scopo di limitare la sfera di azione ai poteri pubblici delle singole comunità politiche e tanto meno di sostituirsi ad essi; hanno invece lo scopo di contribuire alla creazione, sul piano mondiale, di un ambiente nel quale i poteri pubblici delle singole comunità politiche, i rispettivi cittadini e i corpi intermedi possano svolgere i loro compiti, adempiere i loro doveri, esercitare i loro diritti con maggiore sicurezza ". 442 Una politica internazionale volta verso l'obiettivo della pace e dello sviluppo mediante l'adozione di misure coordinate è resa più che mai necessaria dalla globalizzazione dei problemi. Il Magistero rileva che l'interdipendenza tra gli uomini e tra le Nazioni acquista una dimensione morale e determina le relazioni nel mondo attuale sotto il profilo economico, culturale, politico e religioso. In tale contesto si auspica una revisione delle Organizzazioni internazionali, un processo che "suppone il superamento delle rivalità politiche e la rinuncia a ogni volontà di strumentalizzare le stesse Organizzazioni, che hanno per unica ragion d'essere il bene comune", con lo scopo di conseguire "un grado superiore di ordinamento internazionale". In particolare, le strutture inter-governative devono esercitare efficacemente le loro funzioni di controllo e di guida nel campo dell'economia, poiché il raggiungimento del bene comune diventa un traguardo ormai precluso ai singoli Stati, anche se dominanti in termini di potenza, ricchezza, forza politica. Gli Organismi internazionali devono, inoltre, garantire quell'eguaglianza che è il fondamento del diritto di tutti alla partecipazione al processo di pieno sviluppo, nel rispetto delle legittime diversità. 443 Il Magistero valuta positivamente il ruolo dei raggruppamenti che si sono formati nella società civile per svolgere un'importante funzione di sensibilizzazione dell'opinione pubblica ai diversi aspetti della vita internazionale, con una speciale attenzione per il rispetto dei diritti dell'uomo, come rivela "il numero di associazioni private, alcune di portata mondiale, di recente istituzione, e quasi tutte impegnate a seguire con grande cura e lodevole obiettività gli avvenimenti internazionali in un campo così delicato ". I Governi dovrebbero sentirsi incoraggiati da un simile impegno, che mira a tradurre in pratica gli ideali che ispirano la comunità internazionale, " in particolare mediante i concreti gesti di solidarietà e di pace delle tante persone che operano anche nelle Organizzazioni non Governative e nei Movimenti per i diritti dell'uomo ". La personalità giuridica della Santa Sede 444 La Santa Sede - o Sede Apostolica - gode di piena soggettività internazionale in quanto autorità sovrana che realizza atti giuridicamente propri. Essa esercita una sovranità esterna, riconosciuta nel quadro della Comunità internazionale, che riflette quella esercitata all'interno della Chiesa e che è caratterizzata dall'unità organizzativa e dall'indipendenza. La Chiesa si avvale di quelle modalità giuridiche che risultino necessarie o utili al compimento della sua missione. L'attività internazionale della Santa Sede si manifesta oggettivamente sotto diversi aspetti, tra cui: il diritto di legazione attivo e passivo; l'esercizio dello " ius contrahendi", con la stipulazione di trattati; la partecipazione a organizzazioni intergovernative, come ad esempio quelle appartenenti al sistema delle Nazioni Unite; le iniziative di mediazione in caso di conflitti. Tale attività intende offrire un servizio disinteressato alla Comunità internazionale, poiché non cerca vantaggi di parte, ma si propone il bene comune dell'intera famiglia umana. In tale contesto, la Santa Sede si giova particolarmente del proprio personale diplomatico. 445 Il servizio diplomatico della Santa Sede, frutto di un'antica e consolidata prassi, è uno strumento che opera non solo per la " libertas Ecclesiae ", ma anche per la difesa e la promozione della dignità umana, nonché per un ordine sociale basato sui valori della giustizia, della verità, della libertà e dell'amore: "Per un nativo diritto inerente alla nostra stessa missione spirituale, favorito da un secolare sviluppo di avvenimenti storici, noi inviamo pure i nostri legati alle supreme autorità degli stati nei quali è radicata o presente in qualche modo la Chiesa Cattolica. E ben vero che le finalità della Chiesa e dello Stato sono di ordine diverso, e che ambedue sono società perfette, dotate, quindi, di mezzi propri, e sono indipendenti nella rispettiva sfera d'azione, ma è anche vero che l'una e l'altro agiscono a beneficio di un soggetto comune, l'uomo, da Dio chiamato alla salvezza eterna e posto sulla terra per permettergli, con l'aiuto della grazia, di conseguirla con una vita di lavoro, che porti a lui benessere, nella pacifica convivenza ". Il bene delle persone e delle comunità umane è favorito da un dialogo strutturato tra la Chiesa e le autorità civili, che trova espressione anche tramite la stipula di mutui accordi. Tale dialogo tende a stabilire o rafforzare rapporti di reciproca comprensione e collaborazione, nonché a prevenire o sanare eventuali dissidi, con l'obiettivo di contribuire al progresso di ogni popolo e di tutta l'umanità nella giustizia e nella pace. Collaborazione per garantire il diritto allo sviluppo 446 La soluzione del problema dello sviluppo richiede la cooperazione tra le singole comunità politiche: " Le comunità politiche si condizionano a vicenda, e si può asserire che ognuna riesce a sviluppare se stessa contribuendo allo sviluppo delle altre. Per cui tra esse si impone l'intesa e la collaborazione ". Il sottosviluppo sembra una situazione impossibile da eliminare, quasi una fatale condanna, se si considera il fatto che esso non è solo il frutto di scelte umane sbagliate, ma anche il risultato di "meccanismi economici, finanziari e sociali " e di " strutture di peccato " che impediscono il pieno sviluppo degli uomini e dei popoli. Queste difficoltà, tuttavia, devono essere affrontate con determinazione ferma e perseverante, perché lo sviluppo non è solo un'aspirazione, ma un diritto che, come ogni diritto, implica un obbligo: " La collaborazione allo sviluppo di tutto l'uomo e di ogni uomo, infatti, è un dovere di tutti verso tutti e deve, al tempo stesso, essere comune alle quattro parti del mondo: Est e Ovest, Nord e Sud ". Nella visione del Magistero, il diritto allo sviluppo si fonda sui seguenti principi: unità d'origine e comunanza di destino della famiglia umana; eguaglianza tra ogni persona e tra ogni comunità basata sulla dignità umana; destinazione universale dei beni della terra; integralità della nozione di sviluppo; centralità della persona umana; solidarietà. 447 La dottrina sociale incoraggia forme di cooperazione capaci di incentivare l'accesso al mercato internazionale dei Paesi segnati da povertà e sottosviluppo: "In anni non lontani è stato sostenuto che lo sviluppo dipendesse dall'isolamento dei Paesi più poveri dal mercato mondiale e dalla loro fiducia nelle sole proprie forze. L'esperienza recente ha dimostrato che i Paesi che si sono esclusi hanno conosciuto stagnazione e regresso, mentre hanno conosciuto lo sviluppo i Paesi che sono riusciti ad entrare nella generale interconnessione delle attività economiche a livello internazionale. Sembra, dunque, che il maggior problema sia quello di ottenere un equo accesso al mercato internazionale, fondato non sul principio unilaterale dello sfruttamento delle risorse naturali, ma sulla valorizzazione delle risorse umane". Tra le cause che maggiormente concorrono a determinare il sottosviluppo e la povertà, oltre all'impossibilità di accedere al mercato internazionale, vanno annoverati l'analfabetismo, l'insicurezza alimentare, l'assenza di strutture e servizi, la carenza di misure per garantire l'assistenza sanitaria di base, la mancanza di acqua potabile, la corruzione, la precarietà delle istituzioni e della stessa vita politica. Esiste una connessione tra la povertà e la mancanza, in molti Paesi, di libertà, di possibilità di iniziativa economica, di amministrazione statale capace di predisporre un adeguato sistema di educazione e di informazione. 448 Lo spirito della cooperazione internazionale richiede che al di sopra della stretta logica del mercato vi sia consapevolezza di un dovere di solidarietà, di giustizia sociale e di carità universale infatti, esiste " qualcosa che è dovuto all'uomo perché è uomo, in forza della sua eminente dignità ". La cooperazione è la via che la Comunità internazionale nel suo insieme deve impegnarsi a percorrere " secondo un'adeguata concezione del bene comune in riferimento all'intera famiglia umana". Ne deriveranno effetti molto positivi, come per esempio un aumento di fiducia nelle potenzialità delle persone povere e quindi dei Paesi poveri e un'equa distribuzione dei beni. Lotta alla povertà 449 All'inizio del nuovo millennio, la povertà di miliardi di uomini e donne è " la questione che più di ogni altra interpella la nostra coscienza umana e cristiana" La povertà pone un drammatico problema di giustizia: la povertà, nelle sue diverse forme e conseguenze, si caratterizza per una crescita ineguale e non riconosce a ogni popolo "l'eguale diritto "ad assidersi alla mensa del banchetto comune" ". Tale povertà rende impossibile la realizzazione di quell'umanesimo plenario che la Chiesa auspica e persegue, affinché le persone e i popoli possano " essere di più e vivere in "condizioni più umane". La lotta alla povertà trova una forte motivazione nell'opzione, o amore preferenziale, della Chiesa per i poveri. In tutto il suo insegnamento sociale la Chiesa non si stanca di ribadire anche altri suoi fondamentali principi: primo fra tutti, quello della destinazione universale dei beni. Con la costante riaffermazione del principio della solidarietà, la dottrina sociale sprona a passare all'azione per promuovere " il bene di tutti e di ciascuno, perché tutti siamo veramente responsabili di tutti". Il principio della solidarietà, anche nella lotta alla povertà, deve essere sempre opportunamente affiancato da quello della sussidiartela, grazie al quale è possibile stimolare lo spirito d'iniziativa, base fondamentale di ogni sviluppo socio-economico, negli stessi Paesi poveri: ai poveri si deve guardare " non come ad un problema, ma come a coloro che possono diventare soggetti e protagonisti di un futuro nuovo e più umano per tutto il mondo ". Il debito estero 450 Il diritto allo sviluppo deve essere tenuto presente nelle questioni legate alla crisi debitoria di molti Paesi poveri. Tale crisi ha alla sua origine cause complesse e di vario genere, sia di carattere internazionale - fluttuazione dei cambi, speculazioni finanziarie, neocolonialismo economico -, sia all'interno dei singoli Paesi indebitati - corruzione, cattiva gestione del denaro pubblico, distorta utilizzazione dei prestiti ricevuti. Le sofferenze maggiori, riconducibili a questioni strutturali ma anche a comportamenti personali, colpiscono le popolazioni dei Paesi indebitati e poveri, le quali non hanno alcuna responsabilità. La comunità internazionale non può trascurare una simile situazione: pur riaffermando il principio che il debito contratto va onorato, bisogna trovare le vie per non compromettere il " fondamentale diritto dei popoli alla sussistenza ed al progresso ". Aspetti biblici 451 L'esperienza viva della presenza divina nella storia è il fondamento della fede del popolo di Dio: "Eravamo schiavi del faraone in Egitto e il Signore ci fece uscire dall'Egitto con mano potente" ( Dt 6,21 ). La riflessione sulla storia permette di riassumere il passato e di scoprire l'opera di Dio fin nelle proprie radici: "Mio padre era un Arameo errante" ( Dt 26,5 ); un Dio che può dire al Suo popolo: "Io presi il padre vostro Abramo da oltre il fiume" ( Gs 24,3 ). E una riflessione che permette di volgersi con fiducia al futuro, grazie alla promessa e all'alleanza che Dio rinnova continuamente. La fede d'Israele vive nel tempo e nello spazio di questo mondo, percepito non come un ambiente ostile o un male da cui liberarsi, ma piuttosto come il dono stesso di Dio, il luogo e il progetto che Egli affida alla responsabile guida e operosità dell'uomo. La natura, opera dell'azione creatrice divina, non è una pericolosa concorrente. Dio, che ha fatto tutte le cose, di ognuna di esse "vide che era cosa buona" ( Gen 1,4.10.12.18.21.25 ). Al vertice della Sua creazione, come "cosa molto buona" ( Gen 1,31 ), il Creatore pone l'uomo. Solo l'uomo e la donna, tra tutte le creature, sono stati voluti da Dio "a sua immagine" ( Gen 1,27 ); a loro il Signore affida la responsabilità di tutto il creato, il compito di tutelarne l'armonia e lo sviluppo ( Gen 1,26-30 ). Lo speciale legame con Dio spiega la privilegiata posizione della coppia umana nell'ordine della creazione. 452 La relazione dell'uomo con il mondo è un elemento costitutivo dell'identità umana. Si tratta di una relazione che nasce come frutto del rapporto, ancora più profondo, dell'uomo con Dio. Il Signore ha voluto la persona umana come Sua interlocutrice: solo nel dialogo con Dio la creatura umana trova la propria verità, dalla quale trae ispirazione e norme per progettare il futuro del mondo, un giardino che Dio le ha dato affinché sia coltivato e custodito ( Gen 2,15 ). Neppure il peccato elimina tale compito, pur gravando di dolore e di sofferenza la nobiltà del lavoro ( Gen 3,17-19 ). La creazione è sempre oggetto della lode nella preghiera di Israele: " Quanto sono grandi, Signore, le tue opere! Tutto hai fatto con saggezza" ( Sal 104,24 ). La salvezza è compresa come una nuova creazione, che ristabilisce quell'armonia e quella potenzialità di crescita che il peccato ha compromesso: "Io creo nuovi cieli e nuova terra" ( Is 65,17 ) - dice il Signore - "allora il deserto diventerà un giardino… e la giustizia regnerà nel giardino… Il mio popolo abiterà in una dimora di pace " ( Is 32,15-18 ). 453 La salvezza definitiva, che Dio offre a tutta l'umanità mediante il Suo stesso Figlio, non si attua fuori di questo mondo. Pur ferito dal peccato, esso è destinato a conoscere una radicale purificazione ( 2 Pt 3,10 ) dalla quale uscirà rinnovato ( Is 65,17; Is 66,22; Ap 21,1 ), diventando finalmente il luogo nel quale "avrà stabile dimora la giustizia" ( 2 Pt 3,13 ). Nel Suo ministero pubblico Gesù valorizza gli elementi naturali. Della natura Egli è non solo sapiente interprete nelle immagini che ama offrirne e nelle parabole, ma anche dominatore ( l'episodio della tempesta sedata in Mt 14,22-33; Mc 6,45-52; Gv 6,16-21 ): il Signore la pone al servizio del Suo disegno redentore. Egli chiede ai Suoi discepoli di guardare alle cose, alle stagioni e agli uomini con la fiducia dei figli che sanno di non poter essere abbandonati da un Padre provvidente ( Lc 11,11-13 ). Lungi dal farsi schiavo delle cose, il discepolo di Cristo deve sapersene servire per creare condivisione e fraternità ( Lc 16,9-13 ). 454 L'ingresso di Gesù Cristo nella storia del mondo ha il suo culmino nella Pasqua, dove la natura stessa partecipa al dramma del Figlio di Dio rifiutato e alla vittoria della Risurrezione ( Mt 27,45.51; Mt 28,2 ). Attraversando la morte e innestandovi la novità splendente della Risurrezione, Gesù inaugura un mondo nuovo in cui tutto è sottomesso a Lui ( 1 Cor 15,20-28 ) e ristabilisce quei rapporti di ordine ed armonia che il peccato aveva distrutto. La coscienza degli squilibri tra l'uomo e la natura deve accompagnarsi alla consapevolezza che in Gesù è avvenuta la riconciliazione dell'uomo e del mondo con Dio, così che ogni essere umano, consapevole dell'Amore divino, può ritrovare la pace perduta: " Quindi se uno è in Cristo, è una creatura nuova; le cose vecchie sono passate, ecco ne sono nate di nuove" ( 2 Cor 5,17 ). La natura, che nel Verbo era stata creata, per mezzo dello stesso Verbo, fattosi carne, viene riconciliata con Dio e rappacificata ( Col 1,15-20 ). 455 Non solo l'interiorità dell'uomo è risanata, ma tutta la sua corporeità è toccata dalla forza redentrice di Cristo; l'intera creazione prende parte al rinnovamento che scaturisce dalla Pasqua del Signore, pur nei gemiti delle doglie del parto ( Rm 8,19-23 ), in attesa di dare alla luce " un nuovo cielo e una nuova terra " ( Ap 21,1 ) che sono il dono della fine dei tempi, della salvezza compiuta. Nel frattempo, nulla è estraneo a tale salvezza: in qualsiasi condizione di vita, il cristiano è chiamato a servire Cristo, a vivere secondo il Suo Spirito, lasciandosi guidare dall'amore, principio di una vita nuova, che riporta il mondo e l'uomo al progetto delle loro origini: "il mondo, la vita, la morte, il presente, il futuro: tutto è vostro! Ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio " ( 1 Cor 3,22-23 ). L'uomo e l'universo delle cose 456 La visione biblica ispira gli atteggiamenti dei cristiani in relazione all'uso della terra, nonché allo sviluppo della scienza e della tecnica. Il Concilio Vaticano II afferma che l'uomo " partecipe della luce della mente divina, per la sua intelligenza… ritiene giustamente di superare tutte le realtà"; i Padri Conciliari riconoscono i progressi fatti grazie all'applicazione instancabile dell'ingegno umano lungo i secoli, nelle scienze empiriche, nelle arti tecniche e nelle discipline liberali. L'uomo oggi, " specialmente per mezzo della scienza e della tecnica, ha esteso e continuamente estende il suo dominio su quasi tutta la natura ". Poiché l'uomo, " creato ad immagine di Dio, ha ricevuto il mandato di governare il mondo nella giustizia e nella santità, sottomettendo a sé la terra con tutto quello che in essa è contenuto, e di rapportare a Dio se stesso e l'universo intero, riconoscendolo Creatore di tutte le cose, perché, nella sottomissione di tutte le cose all'uomo, sia grande il nome di Dio su tutta la terra", il Concilio insegna che "l'attività umana individuale e collettiva, ossia quell'ingente sforzo col quale gli uomini nel corso dei secoli cercano di migliorare le proprie condizioni di vita, considerato in se stesso corrisponde al progetto di Dio ". 457 I risultati della scienza e della tecnica sono, in se stessi, positivi: i cristiani " nemmeno pensano a contrapporre quello che gli uomini hanno prodotto con il proprio ingegno e la propria forza alla potenza di Dio, ne che la creatura razionale sia quasi rivale del Creatore; al contrario, sono convinti piuttosto che le vittorie dell'umanità sono segno della grandezza di Dio e frutto del suo ineffabile progetto". I Padri Conciliari sottolineano anche il fatto che " quanto più cresce la potenza degli uomini, tanto più largamente si estende la responsabilità sia degli individui che delle comunità", e che ogni attività umana deve corrispondere, secondo il disegno di Dio e la Sua volontà, al vero bene dell'umanità. In questa prospettiva, il Magistero ha più volte sottolineato che la Chiesa Cattolica non si oppone in alcun modo al progresso, anzi considera " la scienza e la tecnologia… un prodotto meraviglioso della creatività umana che è un dono di Dio, dal momento che ci hanno fornito possibilità meravigliose, di cui beneficiamo con animo grato ". Per questa ragione, " come credenti in Dio, che ha giudicato "buona" la natura da lui creata, noi godiamo dei progressi tecnici ed economici, che l'uomo con la sua intelligenza riesce a realizzare ". 458 Le considerazioni del Magistero sulla scienza e sulla tecnologia in generale valgono anche per le loro applicazioni all'ambiente naturale e all'agricoltura. La Chiesa apprezza "i vantaggi che derivano - e che possono ancora derivare - dallo studio e dalle applicazioni della biologia molecolare, completata dalle altre discipline come la genetica e la sua applicazione tecnologica nell'agricoltura e nell'industria". Infatti, "la tecnica potrebbe costituire, con una retta applicazione, un prezioso strumento utile a risolvere gravi problemi, a cominciare da quelli della fame e della malattia, mediante la produzione di varietà di piante più progredite e resistenti e di preziosi medicamenti ". È importante, però, ribadire il concetto di " retta applicazione ", perché " noi sappiamo che questo potenziale non è neutro: esso può essere usato sia per il progresso dell'uomo, sia per la sua degradazione". Per questa ragione, "è necessario… mantenere un atteggiamento di prudenza e vagliare con occhio attento natura, finalità e modi delle varie forme di tecnologia applicata ". Gli scienziati, dunque, devono "utilizzare veramente la loro ricerca e le loro capacità tecniche per il servizio all'umanità ", sapendo subordinarle " ai principi e valori morali che rispettano e realizzano nella sua pienezza la dignità dell'uomo". 459 Punto di riferimento centrale per ogni applicazione scientifica e tecnica è il rispetto dell'uomo, che deve accompagnarsi ad un doveroso atteggiamento di rispetto nei confronti delle altre creature viventi. Anche quando si pensa a una loro alterazione, " occorre tener conto della natura di ciascun essere e della sua mutua connessione in un sistema ordinato ". In questo senso, le formidabili possibilità della ricerca biologica suscitano profonda inquietudine, in quanto " non si è ancora in grado di misurare i turbamenti indotti in natura da una indiscriminata manipolazione genetica e dallo sviluppo sconsiderato di nuove specie di piante e forme di vita animale, per non parlare di inaccettabili interventi sulle origini della stessa vita umana ". Infatti, " si è constatato che l'applicazione di talune scoperte nell'ambito industriale ed agricolo produce, a lungo termine, effetti negativi. Ciò ha messo crudamente in rilievo come ogni intervento in un'area dell'ecosistema non possa prescindere dal considerare le sue conseguenze in altre aree e, in generale, sul benessere delle future generazioni". 460 L'uomo, dunque, non deve dimenticare che "la sua capacità di trasformare e, in un certo senso, di creare il mondo col proprio lavoro … si svolge sempre sulla base della prima originaria donazione delle cose da parte di Dio ". Egli non deve " disporre arbitrariamente della terra, assoggettandola senza riserve alla sua volontà, come se essa non avesse una propria forma ed una destinazione anteriore datale da Dio, che l'uomo può, sì, sviluppare, ma non deve tradire". Quando si comporta in questo modo, " invece di svolgere il suo ruolo di collaboratore di Dio nell'opera della creazione, l'uomo si sostituisce a Dio e così finisce col provocare la ribellione della natura, piuttosto tiranneggiata che governata da lui". Se l'uomo interviene sulla natura senza abusarne e senza danneggiarla, si può dire che "interviene non per modificare la natura ma per aiutarla a svilupparsi secondo la sua essenza, quella della creazione, quella voluta da Dio. Lavorando in questo campo, evidentemente delicato, il ricercatore aderisce al disegno di Dio. Dio ha voluto che l'uomo fosse il re della creazione ". In fondo, è Dio stesso che offre all'uomo l'onore di cooperare con tutte le forze dell'intelligenza all'opera della creazione. La crisi nel rapporto tra uomo e ambiente 461 Il messaggio biblico e il Magistero ecclesiale costituiscono i punti di riferimento essenziali per valutare i problemi che si pongono nei rapporti tra l'uomo e l'ambiente. Alle origini di tali problemi si può ravvisare la pretesa di esercitare un dominio incondizionato sulle cose da parte dell'uomo, un uomo incurante di quelle considerazioni di ordine morale che devono invece contraddistinguere ogni attività umana. La tendenza allo sfruttamento " sconsiderato " delle risorse del creato è il risultato di un lungo processo storico e culturale: " L'epoca moderna ha registrato una crescente capacità d'intervento trasformativo da parte dell'uomo. L'aspetto di conquista e di sfruttamento delle risorse è diventato predominante e invasivo, ed è giunto oggi a minacciare la stessa capacità ospitale dell'ambiente: l'ambiente come "risorsa" rischia di minacciare l'ambiente come "casa". A causa dei potenti mezzi di trasformazione offerti dalla civiltà tecnologica, sembra talora che l'equilibrio uomo-ambiente abbia raggiunto un punto critico ". 462 La natura appare come uno strumento nelle mani dell'uomo, una realtà che egli deve costantemente manipolare, specialmente mediante la tecnologia. A partire dal presupposto, rivelatesi errato, che esiste una quantità illimitata di energia e di risorse da utilizzare, che la loro rigenerazione sia possibile nell'immediato e che gli effetti negativi delle manipolazioni dell'ordine naturale possono essere facilmente assorbiti, si è diffusa una concezione riduttiva che legge il mondo naturale in chiave meccanicistica e lo sviluppo in chiave consumistica; il primato attribuito al fare e all'avere piuttosto che all'essere causa gravi forme di alienazione umana. Un simile atteggiamento non deriva dalla ricerca scientifica e tecnologica, ma da un'ideologia scientista e tecnocratica che tende a condizionarla. La scienza e la tecnica, con il loro progresso, non eliminano il bisogno di trascendenza e non sono di per sé causa della secolarizzazione esasperata che conduce al nichilismo; mentre avanzano nel loro cammino, esse suscitano domande circa il loro senso e fanno crescere la necessità di rispettare la dimensione trascendente della persona umana e della stessa creazione. 463 Una corretta concezione dell'ambiente, mentre da una parte non può ridurre utilitaristicamente la natura a mero oggetto di manipolazione e sfruttamento, dall'altra non deve assolutizzarla e sovrapporla in dignità alla stessa persona umana. In quest'ultimo caso, si arriva al punto di divinizzare la natura o la terra, come si può facilmente riscontrare in alcuni movimenti ecologisti che chiedono di dare un profilo istituzionale internazionalmente garantito alle loro concezioni. Il Magistero ha motivato la sua contrarietà a una concezione dell'ambiente ispirata all'ecocentrismo e al biocentrismo, perché essa "si propone di eliminare la differenza ontologica e assiologica tra l'uomo e gli altri esseri viventi, considerando la biosfera come un'unità biotica di valore indifferenziato. Si viene così ad eliminare la superiore responsabilità dell'uomo in favore di una considerazione egualitaristica della "dignità" di tutti gli esseri viventi ". 464 Una visione dell'uomo e delle cose slegata da ogni riferimento alla trascendenza ha portato a rifiutare il concetto di creazione e ad attribuire all'uomo e alla natura un'esistenza completamente autonoma. Il legame che unisce il mondo a Dio è stato così spezzato: tale rottura ha finito per disancorare dalla terra anche l'uomo e, più radicalmente, ha impoverito la sua stessa identità. L'essere umano si è ritrovato a pensarsi estraneo al contesto ambientale in cui vive. È ben chiara la conseguenza che ne discende: " è il rapporto che l'uomo ha con Dio a determinare il rapporto dell'uomo con i suoi simili e con il suo ambiente. Ecco perché la cultura cristiana ha sempre riconosciuto nelle creature che circondano l'uomo altrettanti doni di Dio da coltivare e custodire con senso di gratitudine verso il Creatore. In particolare, la spiritualità benedettina e francescana hanno testimoniato questa sorta di parentela dell'uomo con l'ambiente creaturale, alimentando in lui un atteggiamento di rispetto verso ogni realtà del mondo circostante". Va messa maggiormente in risalto la profonda connessione esistente tra ecologia ambientale ed " ecologia umana ". 465 Il Magistero sottolinea la responsabilità umana di preservare un ambiente integro e sano per tutti: " L'umanità di oggi, se riuscirà a congiungere le nuove capacità scientifiche con una forte dimensione etica, sarà certamente in grado di promuovere l'ambiente come casa e come risorsa a favore dell'uomo e di tutti gli uomini, sarà in grado di eliminare i fattori d'inquinamento, di assicurare condizioni di igiene e di salute adeguate per piccoli gruppi come per vasti insediamenti umani. La tecnologia che inquina può anche disinquinare, la produzione che accumula può distribuire equamente, a condizione che prevalga l'etica del rispetto per la vita e la dignità dell'uomo, per i diritti delle generazioni umane presenti e di quelle che verranno ". L'ambiente, un bene collettivo 466 La tutela dell'ambiente costituisce una sfida per l'umanità intera: si tratta del dovere, comune e universale, di rispettare un bene collettivo destinato a tutti, impedendo che si possa fare "impunemente uso delle diverse categorie di esseri, viventi o inanimati - animali, piante, elementi naturali - come si vuole, a seconda delle proprie esigenze". È una responsabilità che deve maturare in base alla globalità della presente crisi ecologica e alla conseguente necessità di affrontarla globalmente, in quanto tutti gli esseri dipendono gli uni dagli altri nell'ordine universale stabilito dal Creatore: " occorre tener conto della natura di ciascun essere e della sua mutua connessione in un sistema ordinato, ch'è appunto il cosmo". Questa prospettiva riveste una particolare importanza quando si considera, nel contesto degli stretti legami che uniscono tra loro i vari ecosistemi, il valore ambientale della biodiversità, che va trattata con senso di responsabilità e adeguatamente protetta, perché costituisce una straordinaria ricchezza per l'intera umanità. A questo proposito, ognuno può facilmente avvertire, per esempio, l'importanza della regione amazzonica, " uno degli spazi più apprezzati del mondo per la sua diversità biologica, che lo rende vitale per l'equilibrio ambientale di tutto il pianeta". Le foreste contribuiscono a mantenere essenziali equilibri naturali indispensabili alla vita. La loro distruzione, anche tramite sconsiderati incendi dolosi, accelera i processi di desertificazione con rischiose conseguenze per le riserve di acqua e compromette la vita di molti popoli indigeni e il benessere delle future generazioni. Tutti, individui e soggetti istituzionali, devono sentirsi impegnati a proteggere il patrimonio forestale e, dove necessario, promuovere adeguati programmi di riforestazione. 467 La responsabilità verso l'ambiente, patrimonio comune del genere umano, si estende non solo alle esigenze del presente, ma anche a quelle del futuro: " Eredi delle generazioni passate e beneficiari del lavoro dei nostri contemporanei, noi abbiamo degli obblighi verso tutti, e non possiamo disinteressarci di coloro che verranno dopo di noi ad ingrandire la cerchia della famiglia umana. La solidarietà universale, ch'è un fatto e per noi un beneficio, è altresì un dovere ". Si tratta di una responsabilità che le generazioni presenti hanno nei confronti di quelle future una responsabilità che appartiene anche ai singoli Stati e alla Comunità internazionale. 468 La responsabilità verso l'ambiente deve trovare una traduzione adeguata a livello giuridico. È importante che la Comunità internazionale elabori regole uniformi, affinché tale regolamentazione consenta agli Stati di controllare con maggiore efficacia le diverse attività che determinano effetti negativi sull'ambiente e di preservare gli ecosistemi prevenendo possibili incidenti: " Spetta ad ogni Stato, nell'ambito del proprio territorio, il compito di prevenire il degrado dell'atmosfera e della biosfera, controllando attentamente, tra l'altro, gli effetti delle nuove scoperte tecnologiche o scientifiche, ed offrendo ai propri cittadini la garanzia di non essere esposti ad agenti inquinanti o a rifiuti tossici". Il contenuto giuridico del "diritto ad un ambiente sano e sicuro" sarà il frutto di una graduale elaborazione, sollecitata dalla preoccupazione dell'opinione pubblica di disciplinare l'uso dei beni del creato secondo le esigenze del bene comune e in una comune volontà di introdurre sanzioni per coloro che inquinano. Le norme giuridiche, tuttavia, da sole non bastano; accanto ad esse devono maturare un forte senso di responsabilità nonché un effettivo cambiamento nelle mentalità e negli stili di vita. 469 Le autorità chiamate a prendere decisioni per fronteggiare rischi sanitari ed ambientali talvolta si trovano di fronte a situazioni nelle quali i dati scientifici disponibili sono contradditori oppure quantitativamente scarsi: può essere opportuna allora una valutazione ispirata dal "principio di precauzione ", che non comporta una regola da applicare, bensì un orientamento volto a gestire situazioni di incertezza. Esso manifesta l'esigenza di una decisone provvisoria e modificabile in base a nuove conoscenze che vengano eventualmente raggiunte. La decisione deve essere proporzionata rispetto a provvedimenti già in atto per altri rischi. Le politiche cautelative, basate sul principio di precauzione, richiedono che le decisioni siano basate su un confronto tra rischi e benefici ipotizzabili per ogni possibile scelta alternativa, ivi compresa la decisione di non intervenire. All'approccio precauzionale è connessa l'esigenza di promuovere ogni sforzo per acquisire conoscenze più approfondite, pur nella consapevolezza che la scienza non può raggiungere rapidamente conclusioni circa l'assenza di rischi. Le circostanze di incertezza e provvisorietà rendono particolarmente importante la trasparenza nel processo decisionale. 470 La programmazione dello sviluppo economico deve considerare attentamente "la necessità di rispettare l'integrità e i ritmi della natura", poiché le risorse naturali sono limitate e alcune non sono rinnovabili. L'attuale ritmo di sfruttamento compromette seriamente la disponibilità di alcune risorse naturali per il tempo presente e per il futuro. La soluzione del problema ecologico richiede che l'attività economica rispetti maggiormente l'ambiente, conciliando le esigenze dello sviluppo economico con quelle della protezione ambientale. Ogni attività economica che si avvalga delle risorse naturali deve anche preoccuparsi della salvaguardia dell'ambiente e prevederne i costi, che sono da considerare come " una voce essenziale dei costi dell'attività economica". In questo contesto vanno considerati i rapporti tra l'attività umana e i cambiamenti climatici che, data la loro estrema complessità, devono essere opportunamente e costantemente seguiti a livello scientifico, politico e giuridico, nazionale e internazionale. Il clima è un bene che va protetto e richiede che, nei loro comportamenti, i consumatori e gli operatori di attività industriali sviluppino un maggiore senso di responsabilità. Un'economia rispettosa dell'ambiente non perseguirà unicamente l'obiettivo della massimizzazione del profitto, perché la protezione ambientale non può essere assicurata solo sulla base del calcolo finanziario di costi e benefici. L'ambiente è uno di quei beni che i meccanismi del mercato non sono in grado di difendere o di promuovere adeguatamente. Tutti i Paesi, in particolare quelli sviluppati, devono avvertire come urgente l'obbligo di riconsiderare le modalità d'uso dei beni naturali. La ricerca di innovazioni capaci di ridurre l'impatto sull'ambiente provocato dalla produzione e dal consumo dovrà essere efficacemente incentivata. Un'attenzione particolare dovrà essere riservata alle complesse problematiche riguardanti le risorse energetiche. Quelle non rinnovabili, alle quali attingono i Paesi altamente industrializzati e quelli di recente industrializzazione, devono essere poste al servizio di tutta l'umanità. In una prospettiva morale improntata all'equità e alla solidarietà intergenerazionale, si dovrà, altresì, continuare, tramite il contributo della comunità scientifica, a identificare nuove fonti energetiche, a sviluppare quelle alternative e a elevare i livelli di sicurezza dell'energia nucleare. L'utilizzo dell'energia, per i legami che ha con le questioni dello sviluppo e dell'ambiente, chiama in causa le responsabilità politiche degli Stati, della comunità internazionale e degli operatori economici; tali responsabilità dovranno essere illuminate e guidate dalla ricerca continua del bene comune universale. 471 Una speciale attenzione merita la relazione che i popoli indigeni hanno con la loro terra e le sue risorse: si tratta di un'espressione fondamentale della loro identità. Molti popoli hanno già perso o rischiano di perdere, a vantaggio di potenti interessi agro-industriali o in forza di processi di assimilazione e di urbanizzazione, le terre su cui vivono alle quali è legato il senso stesso della loro esistenza. I diritti dei popoli indigeni devono essere opportunamente tutelati. Questi popoli offrono un esempio di vita in armonia con l'ambiente che essi hanno imparato a conoscere e a preservare: la loro straordinaria esperienza, che è un'insostituibile ricchezza per tutta l'umanità, rischia di andare perduta insieme all'ambiente da cui trae origine. L'uso delle biotecnologie 472 Negli ultimi anni si è imposta con forza la questione dell'uso delle nuove biotecnologie per scopi legati all'agricoltura, alla zootecnia, alla medicina e alla protezione dell'ambiente. Le nuove possibilità offerte dalle attuali tecniche biologiche e biogenetiche suscitano, da una parte, speranze ed entusiasmi e, dall'altra, allarme e ostilità. Le applicazioni delle biotecnologie, la loro liceità dal punto di vista morale, le loro conseguenze per la salute dell'uomo, il loro impatto sull'ambiente e sull'economia, formano oggetto di studio approfondito e di vivace dibattito. Si tratta di questioni controverse che coinvolgono scienziati e ricercatori, politici e legislatori, economisti ed ambientalisti, produttori e consumatori. I cristiani non sono indifferenti a queste problematiche, coscienti dell'importanza dei valori in gioco. 473 La visione cristiana della creazione comporta un giudizio positivo sulla liceità degli interventi dell'uomo sulla natura, ivi inclusi anche gli altri esseri viventi, e, allo stesso tempo, un forte richiamo al senso di responsabilità. La natura non è, in effetti, una realtà sacra o divina, sottratta all'azione umana. È piuttosto un dono offerto dal Creatore alla comunità umana, affidato all'intelligenza e alla responsabilità morale dell'uomo. Per questo egli non compie un atto illecito quando, rispettando l'ordine, la bellezza e l'utilità dei singoli esseri viventi e della loro funzione nell'ecosistema, interviene modificando alcune loro caratteristiche e proprietà. Sono deprecabili gli interventi dell'uomo quando danneggiano gli esseri viventi o l'ambiente naturale, mentre sono lodevoli quando si traducono in un loro miglioramento. La liceità dell'uso delle tecniche biologiche e biogenetiche non esaurisce tutta la problematica etica: come per ogni comportamento umano, è necessario valutare accuratamente la loro reale utilità nonché le loro possibili conseguenze anche in termini di rischi. Nell'ambito degli interventi tecnico-scientifici di forte e ampia incisività sugli organismi viventi, con la possibilità di notevoli ripercussioni a lungo termine, non è lecito agire con leggerezza e irresponsabilità. 474 Le moderne biotecnologie hanno un forte impatto sociale, economico e politico, sul piano locale, nazionale e internazionale; vanno valutate secondo i criteri etici che devono sempre orientare le attività e i rapporti umani nell'ambito socio-economico e politico. Bisogna tener presenti soprattutto i criteri di giustizia e solidarietà, ai quali si devono attenere innanzi tutto gli individui ed i gruppi che operano nella ricerca e nella commercializzazione nel campo delle biotecnologie. Comunque, non si deve cadere nell'errore di credere che la sola diffusione dei benefici legati alle nuove biotecnologie possa risolvere tutti gli urgenti problemi di povertà e di sottosviluppo che assillano ancora tanti Paesi del pianeta. 475 In uno spirito di solidarietà internazionale, diverse misure possono essere attuate in relazione all'uso delle nuove biotecnologie. Va facilitato, in primo luogo, l'interscambio commerciale equo, libero da vincoli ingiusti. La promozione dello sviluppo dei popoli più svantaggiati non sarà però autentica ed efficace se si riduce all'interscambio di prodotti. È indispensabile favorire anche la maturazione di una necessaria autonomia scientifica e tecnologica da parte di quegli stessi popoli, promuovendo gli interscambi di conoscenze scientifiche e tecnologiche e il trasferimento di tecnologie verso i Paesi in via di sviluppo. 476 La solidarietà comporta anche un richiamo alla responsabilità che hanno i Paesi in via di sviluppo e in particolare, le loro autorità politiche, di promuovere una politica commerciale favorevole ai loro popoli e l'interscambio di tecnologie atte a migliorarne le condizioni alimentari e sanitarie. In tali Paesi deve crescere l'investimento nella ricerca, con speciale attenzione alle caratteristiche e alle necessità particolari del proprio territorio e della propria popolazione, soprattutto tenendo presente che alcune ricerche nel campo delle biotecnologie, potenzialmente benefiche, richiedono investimenti relativamente modesti. A tal fine sarebbe utile la creazione di Organismi nazionali deputati alla protezione del bene comune mediante un'accorta gestione dei rischi. 477 Gli scienziati e i tecnici impegnati nel settore delle biotecnologie sono chiamati a lavorare con intelligenza e perseveranza nella ricerca delle migliori soluzioni per i gravi e urgenti problemi dell'alimentazione e della sanità. Essi non devono dimenticare che le loro attività riguardano materiali, viventi e non, appartenenti all'umanità come un patrimonio, destinato anche alle generazioni future; per i credenti si tratta di un dono ricevuto dal Creatore, affidato all'intelligenza e alla libertà umane, anch'esse dono dell'Altissimo. Sappiano gli scienziati impegnare le loro energie e le loro capacità in una ricerca appassionata, guidata da una coscienza limpida e onesta. 478 Gli imprenditori e i responsabili degli enti pubblici che si occupano della ricerca, della produzione e del commercio dei prodotti derivati dalle nuove biotecnologie devono tener conto non solo del legittimo profitto, ma anche del bene comune. Questo principio, valido per ogni tipo di attività economica, diventa particolarmente importante quando si tratta di attività che hanno a che fare con l'alimentazione, la medicina, la custodia della salute e dell'ambiente. Con le loro decisioni, imprenditori e responsabili degli enti pubblici interessati possono orientare gli sviluppi nel settore delle biotecnologie verso traguardi molto promettenti per quanto riguarda la lotta contro la fame, specialmente nei Paesi più poveri, la lotta contro le malattie e la lotta per la salvaguardia dell'ecosistema, patrimonio di tutti. 479 I politici, i legislatori e i pubblici amministratori hanno la responsabilità di valutare le potenzialità, i vantaggi e gli eventuali rischi connessi all'uso delle biotecnologie. Non è auspicabile che le loro decisioni, a livello nazionale o internazionale, vengano dettate da pressioni provenienti da interessi di parte. Le autorità pubbliche devono favorire anche una corretta informazione dell'opinione pubblica e saper prendere comunque le decisioni più convenienti per il bene comune. 480 Anche i responsabili dell'informazione hanno un compito importante, da svolgere con prudenza e obiettività. La società si aspetta da loro un'informazione completa e obiettiva, che aiuti i cittadini a formarsi una corretta opinione sui prodotti biotecnologici, soprattutto perché si tratta di qualcosa che li concerne in prima persona in quanto possibili consumatori. Si deve evitare, pertanto, di cadere nella tentazione di una informazione superficiale, alimentata da facili entusiasmi o da ingiustificati allarmismi. Ambiente e condivisione dei beni 481 Anche nel campo dell'ecologia la dottrina sociale invita a tener presente che i beni della terra sono stati creati da Dio per essere sapientemente usati da tutti: tali beni vanno equamente condivisi, secondo giustizia e carità. Si tratta essenzialmente di impedire l'ingiustizia di un accaparramento delle risorse: l'avidità, sia essa individuale o collettiva, è contraria all'ordine della creazione. Gli attuali problemi ecologici, di carattere planetario, possono essere affrontati efficacemente solo grazie ad una cooperazione internazionale capace di garantire un maggiore coordinamento sull'uso delle risorse della terra. 482 Il principio della destinazione universale dei beni offre un fondamentale orientamento, morale e culturale, per sciogliere il complesso e drammatico nodo che lega insieme crisi ambientale e povertà. L'attuale crisi ambientale colpisce particolarmente i più poveri, sia perché vivono in quelle terre che sono soggette all'erosione e alla desertificazione o coinvolti in conflitti armati o costretti a migrazioni forzate, sia perché non dispongono dei mezzi economici e tecnologici per proteggersi dalle calamità. Moltissimi di questi poveri vivono nei sobborghi inquinati delle città in alloggiamenti di fortuna o in agglomerati di case fatiscenti e pericolose ( slums, bidonvilles, barrios, favelas ). Nel caso si debba procedere al loro trasferimento e per non aggiungere sofferenza a sofferenza, è necessario fornire un'adeguata e previa informazione, offrire alternative di alloggi dignitosi e coinvolgere direttamente gli interessati. Si tenga presente, inoltre, la situazione dei Paesi penalizzati dalle regole di un commercio internazionale non equo, nei quali permane una scarsità di capitali spesso aggravata dall'onere del debito estero: in questi casi la fame e la povertà rendono quasi inevitabile uno sfruttamento intensivo ed eccessivo dell'ambiente. 483 Lo stretto legame che esiste tra lo sviluppo dei Paesi più poveri, mutamenti demografici e un uso sostenibile dell'ambiente, non va utilizzato come pretesto per scelte politiche ed economiche poco conformi alla dignità della persona umana. Nel Nord del pianeta si assiste ad una " caduta del tasso di natalità, con ripercussioni sull'invecchiamento della popolazione, incapace perfino di rinnovarsi biologicamente", mentre nel Sud la situazione è diversa. Se è vero che l'ineguale distribuzione della popolazione e delle risorse disponibili crea ostacoli allo sviluppo e ad un uso sostenibile dell'ambiente, va riconosciuto che la crescita demografica è pienamente compatibile con uno sviluppo integrale e solidale: " Siamo tutti d'accordo che una politica demografica è soltanto una parte di una strategia di sviluppo globale. Di conseguenza è importante che tutti i dibattiti sulle politiche demografiche prendano in considerazione lo sviluppo attuale e futuro delle nazioni e delle regioni. Allo stesso tempo è impossibile non tener conto dell'autentica natura del significato del termine "sviluppo". Qualsiasi sviluppo degno di questo nome deve essere completo, ossia rivolto al bene autentico di ogni persona e dell'intera persona". 484 Il principio della destinazione universale dei beni si applica naturalmente anche all'acqua, considerata nelle Sacre Scritture come simbolo di purificazione ( Sal 51,4; Gv 13,8 ) e di vita ( Gv 3,5; Gal 3,27 ): "In quanto dono di Dio, l'acqua è elemento vitale, imprescindibile per la sopravvivenza e, pertanto, un diritto di tutti". L'utilizzazione dell'acqua e dei servizi connessi deve essere orientata al soddisfacimento dei bisogni di tutti e soprattutto delle persone che vivono in povertà. Un limitato accesso all'acqua potabile incide sul benessere di un numero enorme di persone ed è spesso causa di malattie, sofferenze, conflitti, povertà e addirittura di morte: per essere adeguatamente risolta, tale questione "deve essere inquadrata in modo da stabilire criteri morali basati proprio sul valore della vita e sul rispetto dei diritti e della dignità di tutti gli esseri umani". 485 L'acqua, per la sua stessa natura, non può essere trattata come una mera mercé tra le altre e il suo uso deve essere razionale e solidale. La sua distribuzione rientra, tradizionalmente, fra le responsabilità di enti pubblici, perché l'acqua è stata sempre considerata come un bene pubblico, caratteristica che va mantenuta qualora la gestione venga affidata al settore privato. Il diritto all'acqua, come tutti i diritti dell'uomo, si basa sulla dignità umana, e non su valutazioni di tipo meramente quantitativo, che considerano l'acqua solo come un bene economico. Senza acqua la vita è minacciata. Dunque, il diritto all'acqua è un diritto universale e inalienabile. Nuovi stili di vita 486 I gravi problemi ecologici richiedono un effettivo cambiamento di mentalità che induca ad adottare nuovi stili di vita, " nei quali la ricerca del vero, del bello e del buono e la comunione con gli altri uomini per una crescita comune siano gli elementi che determinano le scelte dei consumi, dei risparmi e degli investimenti". Tali stili di vita devono essere ispirati alla sobrietà, alla temperanza, all'autodisciplina, sul piano personale e sociale. Bisogna uscire dalla logica del mero consumo e promuovere forme di produzione agricola e industriale che rispettino l'ordine della creazione e soddisfino i bisogni primari di tutti. Un simile atteggiamento, favorito da una rinnovata consapevolezza dell'interdipendenza che lega tra loro tutti gli abitanti della terra, concorre ad eliminare diverse cause di disastri ecologici e garantisce una tempestiva capacità di risposta quando tali disastri colpiscono popoli e territori. La questione ecologica non deve essere affrontata solo per le agghiaccianti prospettive che il degrado ambientale profila: essa deve tradursi, soprattutto, in una forte motivazione per un'autentica solidarietà a dimensione mondiale. 487 L'atteggiamento che deve caratterizzare l'uomo di fronte al creato è essenzialmente quello della gratitudine e della riconoscenza: il mondo, infatti, rinvia al mistero di Dio che lo ha creato e lo sostiene. Se si mette tra parentesi la relazione con Dio, si svuota la natura del suo significato profondo, depauperandola. Se invece si arriva a riscoprire la natura nella sua dimensione di creatura, si può stabilire con essa un rapporto comunicativo, cogliere il suo significato evocativo e simbolico, penetrare così nell'orizzonte del mistero, che apre all'uomo il varco verso Dio, Creatore dei cieli e della terra. Il mondo si offre allo sguardo dell'uomo come traccia di Dio, luogo nel quale si disvela la Sua potenza creatrice, provvidente e redentrice. Aspetti biblici 488 Prima di essere un dono di Dio all'uomo e un progetto umano conforme al disegno divino, la pace è anzitutto un attributo essenziale di Dio: " Signore-Pace " ( Gdc 6,24 ). La creazione, che è un riflesso della gloria divina, aspira alla pace. Dio crea ogni cosa e tutto il creato forma un insieme armonico, buono in ogni sua parte ( Gen 1,4.10.12.18.21.25.31 ). La pace si fonda sulla relazione primaria tra ogni essere umano e Dio stesso, una relazione improntata a rettitudine ( Gen 17,1 ). In seguito all'atto volontario con cui l'uomo altera l'ordine divino, il mondo conosce spargimenti di sangue e divisione: la violenza si manifesta nei rapporti interpersonali ( Gen 4,1-16 ) e in quelli sociali ( Gen 11,1-9 ). La pace e la violenza non possono abitare nella stessa dimora, dove c'è violenza non può esserci Dio ( 1 Cr 22,8-9 ). 489 Nella Rivelazione biblica, la pace è molto più della semplice assenza di guerra: essa rappresenta la pienezza della vita ( Ml 2,5 ); lungi dall'essere una costruzione umana, è un sommo dono divino offerto a tutti gli uomini, che comporta l'obbedienza al piano di Dio. La pace è l'effetto della benedizione di Dio sul Suo popolo: " Il Signore rivolga su di tè il suo volto e ti conceda pace" ( Nm 6,26 ). Tale pace genera fecondità ( Is 48,19 ), benessere ( Is 48,18 ), prosperità ( Is 54,13 ), assenza di paura ( Lv 26,6 ) e gioia profonda ( Pr 12,20 ). 490 La pace è il traguardo della convivenza sociale, come appare in maniera straordinaria nella visione messianica della pace: quando tutti i popoli si recheranno nella casa del Signore ed Egli indicherà loro le Sue vie, essi potranno camminare lungo i sentieri della pace ( Is 2,2-5 ). Un mondo nuovo di pace, che abbraccia tutta la natura, è promesso per l'era messianica ( Is 11,6-9 ) e lo stesso Messia è definito "Principe della pace" ( Is 9,5 ). Laddove regna la Sua pace, laddove essa viene anche parzialmente anticipata, nessuno potrà più gettare il popolo di Dio nella paura ( Sof 3,13 ). La pace sarà allora duratura, poiché quando il re governa secondo la giustizia di Dio, la rettitudine germoglia e la pace abbonda " finché non si spenga la luna " ( Sal 72,7 ). Dio anela a dare la pace al Suo popolo: " egli annunzia la pace per il suo popolo, per i suoi fedeli, per chi ritorna a lui con tutto il cuore " ( Sal 85,9 ). Il Salmista, ascoltando ciò che Dio ha da dire al Suo popolo sulla pace, ode queste parole: " Misericordia e verità s'incontreranno, giustizia e pace si baceranno" ( Sal 85,11 ). 491 La promessa di pace, che percorre tutto l'Antico Testamento, trova il suo compimento nella Persona di Gesù. La pace, infatti, è il bene messianico per eccellenza, nel quale vengono compresi tutti gli altri beni salvifici. La parola ebraica "shalom", nel senso etimologico di "completezza ", esprime il concetto di " pace " nella pienezza del suo significato ( Is 9,5s; Mi 5,1-4 ). Il regno del Messia è appunto il regno della pace ( Gb 25,2; Sal 29,11; Sal 37,11; Sal 72,3.7; Sal 85,9.11; Sal 119,165; Sal 125,5; Sal 128,6; Sal 147,14; Ct 8,10; Is 26,3.12; Is 32,17s; Is 52,7; Is 54,10; Is 57,19; Is 60,17; Is 66,12; Ag 2,9; Zc 9,10 et alibi ). Gesù "è la nostra pace" ( Ef 2,14 ), Egli che ha abbattuto il muro divisorio dell'inimicizia tra gli uomini, riconciliandoli con Dio ( Ef 2,14-16 ): così san Paolo, con efficacissima semplicità, indica la ragione radicale che spinge i cristiani ad una vita e ad una missione di pace. Alla vigilia della Sua morte, Gesù parla della Sua relazione d'amore con il Padre e della forza unificatrice che questo amore irradia sui discepoli; è un discorso di commiato che mostra il senso profondo della Sua vita e che può essere considerato una sintesi di tutto il Suo insegnamento. Sigilla il Suo testamento spirituale il dono della pace: " Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la da il mondo, io la do a voi " ( Gv 14,27 ). Le parole del Risorto non risuoneranno diversamente; ogni volta che Egli incontrerà i Suoi, essi riceveranno da Lui il saluto e il dono della pace: "Pace a voi! " ( Lc 24,36; Gv 20,19.21.26 ). 492 La pace di Cristo è innanzi tutto la riconciliazione con il Padre, che si attua mediante la missione apostolica affidata da Gesù ai Suoi discepoli; questa inizia con un annuncio di pace: " In qualunque casa entriate, prima dite: Pace a questa casa" ( Lc 10,5; Rm 1,7 ). La pace è poi riconciliazione con i fratelli, perché Gesù, nella preghiera che ci ha insegnato, il " Padre nostro ", associa il perdono chiesto a Dio a quello accordato ai fratelli: "rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori" ( Mt 6,12 ). Con questa duplice riconciliazione il cristiano può diventare artefice di pace e quindi partecipe del Regno di Dio, secondo quanto Gesù stesso proclama: " Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio " ( Mt 5,9 ). 493 L'azione per la pace non. è mai disgiunta dall'annuncio del Vangelo, che è appunto "la buona novella della pace" ( At 10,36; Ef 6,15 ), indirizzata a tutti gli uomini. Al centro del "vangelo della pace" ( Ef 6,15 ) resta il mistero della Croce, perché la pace è insita nel sacrificio di Cristo ( Is 53,5: "Il castigo che ci da salvezza si è abbattuto su di lui; per le sue piaghe noi siamo stati guariti " ): Gesù crocifisso ha annullato la divisione, instaurando la pace e la riconciliazione proprio "per mezzo della croce, distruggendo in se stesso l'inimicizia" ( Ef 2,16 ) e donando agli uomini la salvezza della Risurrezione. La pace: frutto della giustizia e della carità 494 La pace è un valore e un dovere universale e trova il suo fondamento nell'ordine razionale e morale della società che ha le sue radici in Dio stesso, " fonte primaria dell'essere, verità essenziale e bene supremo". La pace non è semplicemente assenza di guerra e neppure uno stabile equilibrio tra forze avversarie ma si fonda su una corretta concezione della persona umana e richiede l'edificazione di un ordine secondo giustizia e carità. La pace è frutto della giustizia ( Is 32,17 ), intesa in senso ampio come il rispetto dell'equilibrio di tutte le dimensioni della persona umana. La pace è in pericolo quando all'uomo non è riconosciuto ciò che gli è dovuto in quanto uomo, quando non viene rispettata la sua dignità e quando la convivenza non è orientata verso il bene comune. Per la costruzione di una società pacifica e per lo sviluppo integrale di individui, popoli e Nazioni, risultano essenziali la difesa e la promozione dei diritti umani. La pace è frutto anche dell'amore; " vera pace è cosa piuttosto di carità che di giustizia, perché alla giustizia spetta solo rimuovere gli impedimenti della pace: l'offesa e il danno; ma la pace stessa è atto proprio e specifico di carità". 495 La pace si costruisce giorno per giorno nella ricerca dell'ordine voluto da Dio e può fiorire solo quando tutti riconoscono le proprie responsabilità nella sua promozione Per prevenire conflitti e violenze, è assolutamente necessario che la pace cominci ad essere vissuta come valore profondo nell'intimo di ogni persona: cosi può estendersi nelle famiglie e nelle diverse forme di aggregazione sociale, fino a coinvolgere l'intera comunità politica. In un clima diffuso di concordia e di rispetto della giustizia, può maturare un'autentica cultura di pace, capace di diffondersi anche nella Comunità internazionale. La pace è, pertanto, " il frutto dell'ordine immesso nella società umana dal suo Fondatore e che deve essere attuato dagli uomini assetati di una giustizia sempre più perfetta ". Tale ideale di pace " non si può ottenere se non è messo al sicuro il bene delle persone e gli uomini con fiducia non si scambiano spontaneamente le ricchezze del loro animo e del loro ingegno". 496 La violenza non costituisce mai una risposta giusta. La Chiesa proclama, con la convinzione della sua fede in Cristo e con la consapevolezza della sua missione, "che la violenza è male, che la violenza come soluzione ai problemi è inaccettabile, che la violenza è indegna dell'uomo. La violenza è una menzogna, poiché è contraria alla verità della nostra fede, alla verità della nostra umanità. La violenza distrugge ciò che sostiene di difendere: la dignità, la vita, la libertà degli esseri umani". Anche il mondo attuale ha bisogno della testimonianza di profeti non armati, purtroppo oggetto di scherno in ogni epoca: " Coloro che, per la salvaguardia dei diritti dell'uomo, rinunciano all'azione violenta e cruenta e ricorrono a mezzi di difesa che sono alla portata dei più deboli, rendono testimonianza alla carità evangelica, purché ciò si faccia senza pregiudizio per i diritti e i doveri degli altri uomini e delle società. Essi legittimamente attestano la gravita dei rischi fisici e morali del ricorso alla violenza, che causa rovine e morti". Il fallimento della pace: la guerra 497 Il Magistero condanna " l'enormità della guerra " e chiede che sia considerata con un approccio completamente nuovo: infatti, " riesce quasi impossibile pensare che nell'era atomica la guerra possa essere utilizzata come strumento di giustizia". La guerra è un "flagello" e non rappresenta mai un mezzo idoneo per risolvere i problemi che sorgono tra le Nazioni: "Non lo è mai stato e mai lo sarà", perché genera conflitti nuovi e più complessi. Quando scoppia, la guerra diventa una "inutile strage", una "avventura senza ritorno", che compromette il presente e mette a rischio il futuro dell'umanità: " Nulla è perduto con la pace. Tutto può essere perduto con la guerra". I danni causati da un conflitto armato non sono solamente materiali, ma anche morali. La guerra è, in definitiva, "il fallimento di ogni autentico umanesimo", "è sempre una sconfitta dell'umanità": "non più gli uni contro gli altri, non più, mai! … non più la guerra, non più la guerra!". 498 La ricerca di soluzioni alternative alla guerra per risolvere i conflitti internazionali ha assunto oggi un carattere di drammatica urgenza, poiché " la potenza terrificante dei mezzi di distruzione, accessibili perfino alle medie e piccole potenze, e la sempre più stretta connessione, esistente tra i popoli di tutta la terra, rendono assai arduo o praticamente impossibile limitare le conseguenze di un conflitto". È quindi essenziale la ricerca delle cause che originano un conflitto bellico, anzitutto quelle collegate a situazioni strutturali di ingiustizia, di miseria, di sfruttamento, sulle quali bisogna intervenire con lo scopo di rimuoverle: " Per questo, l'altro nome della pace è lo sviluppo. Come esiste la responsabilità collettiva di evitare la guerra, così esiste la responsabilità collettiva di promuovere lo sviluppo". 499 Gli Stati non sempre dispongono degli strumenti adeguati per provvedere efficacemente alla propria difesa: da qui la necessità e l'importanza delle Organizzazioni internazionali e regionali, che devono essere in grado di collaborare per far fronte ai conflitti e favorire la pace, instaurando relazioni di fiducia reciproca capaci di rendere impensabile il ricorso alla guerra: "È lecito… sperare che gli uomini, incontrandosi e negoziando, abbiano a scoprire meglio i vincoli che li legano, provenienti dalla loro comune umanità, e abbiano pure a scoprire che una fra le più profonde esigenze della loro comune umanità è che tra essi e tra i rispettivi popoli regni non il timore, ma l'amore: il quale tende ad esprimersi nella collaborazione leale, multiforme, apportatrice di molti beni". La legittima difesa 500 Una guerra di aggressione è intrinsecamente immorale. Nel tragico caso in cui essa si scateni, i responsabili di uno Stato aggredito hanno il diritto e il dovere di organizzare la difesa anche usando la forza delle armi. L'uso della forza, per essere lecito, deve rispondere ad alcune rigorose condizioni: " - che il danno causato dall'aggressore alla nazione o alla comunità delle nazioni sia durevole, grave e certo; - che tutti gli altri mezzi per porvi fine si siano rivelati impraticabili o inefficaci; - che ci siano fondate condizioni di successo; - che il ricorso alle armi non provochi mali e disordini più gravi del male da eliminare. Nella valutazione di questa condizione ha un grandissimo peso la potenza dei moderni mezzi di distruzione. Questi sono gli elementi tradizionali elencati nella dottrina detta della "guerra giusta". La valutazione di tali condizioni di legittimità morale spetta al giudizio prudente di coloro che hanno la responsabilità del bene comune". Se tale responsabilità giustifica il possesso di mezzi sufficienti per esercitare il diritto alla difesa, resta per gli Stati l'obbligo di fare tutto il possibile per " garantire le condizioni della pace non soltanto sul proprio territorio, ma in tutto il mondo". Non bisogna dimenticare che "altro è ricorrere alle armi perché i popoli siano legittimamente difesi, altro voler soggiogare altre nazioni. Ne la potenza bellica rende legittimo ogni suo impiego militare o politico. Ne diventa tutto lecito tra i belligeranti quando la guerra è ormai disgraziatamente scoppiata". 501 La Carta della Nazioni Unite, scaturita dalla tragedia della Seconda Guerra Mondiale e volta a preservare le generazioni future dal flagello della guerra, si basa sull'interdizione generalizzata del ricorso alla forza per risolvere le contese tra gli Stati, fatti salvi due casi: la legittima difesa e le misure prese dal Consiglio di Sicurezza nell'ambito delle sue responsabilità per mantenere la pace. In ogni caso, l'esercizio del diritto a difendersi deve rispettare "i tradizionali limiti della necessità e della proporzionalità ". Quanto, poi, a un'azione bellica preventiva, lanciata senza prove evidenti che un 'aggressione stia per essere sferrata, essa non può non sollevare gravi interrogativi sotto il profilo morale e giuridico. Pertanto, solo una decisione dei competenti organismi, sulla base di rigorosi accertamenti e di fondate motivazioni, può dare legittimazione internazionale all'uso della forza armata, identificando determinate situazioni come una minaccia alla pace e autorizzando un'ingerenza nella sfera del dominio riservato di uno Stato. Difendere la pace 502 Le esigenze della legittima difesa giustificano l'esistenza, negli Stati, delle forze armate, la cui azione deve essere posta al servizio della pace: coloro i quali presidiano con tale spirito la sicurezza e la libertà di un Paese danno un autentico contributo alla pace Ogni persona che presta servizio nelle forze armate è concretamente chiamata a difendere il bene, la verità e la giustizia nel mondo; non pochi sono coloro che in tale contesto hanno sacrificato la propria vita per questi valori e per difendere vite innocenti. Il crescente numero di militari che operano in seno a forze multinazionali, nell'ambito delle "missioni umanitarie e di pace", promosse dalle Nazioni Unite, è un fatto significativo. 503 Ogni membro delle forze armate è moralmente obbligato ad opporsi agli ordini che incitano a compiere crimini contro il diritto delle genti e i suoi principi universali I militari rimangono pienamente responsabili degli atti che compiono in violazione dei diritti delle persone e dei popoli o delle norme del diritto internazionale umanitario. Tali atti non si possono giustificare con il motivo dell'obbedienza a ordini superiori. Gli obiettori di coscienza, i quali rifiutano in via di principio di effettuare il servizio militare nei casi in cui sia obbligatorio, poiché la loro coscienza li porta a respingere qualsiasi uso della forza oppure la partecipazione ad un determinato conflitto, devono essere disponibili a svolgere altri tipi di servizio: " Sembra… giusto che le leggi provvedano con comprensione al caso di chi per motivi di coscienza ricusa di usare le armi, mentre accetta un'altra forma di servizio alla comunità umana". Il dovere di proteggere gli innocenti 504 Il diritto all'uso della forza per scopi di legittima difesa è associato al dovere di proteggere e aiutare le vittime innocenti che non possono difendersi dall'aggressione. Nei conflitti dell'era moderna, frequentemente interni ad uno stesso Stato, le disposizioni del diritto internazionale umanitario devono essere pienamente rispettate. In troppe circostanze la popolazione civile è colpita, a volte perfino come obiettivo bellico. In alcuni casi viene brutalmente massacrata o sradicata dalle proprie case e dalla propria terra con trasferimenti forzati, sotto il pretesto di una "pulizia etnica" inaccettabile. In tali tragiche circostanze, è necessario che gli aiuti umanitari raggiungano la popolazione civile e che non siano mai utilizzati per condizionare i beneficiari: il bene della persona umana deve avere la precedenza sugli interessi delle parti in conflitto. 505 Il principio di umanità, iscritto nella coscienza di ogni persona e popolo, comporta l'obbligo di tenere al riparo la popolazione civile dagli effetti della guerra: "Quel minimo di protezione della dignità di ogni essere umano, garantito dal diritto internazionale umanitario, è troppo spesso violato in nome di esigenze militari o politiche, che mai dovrebbero avere il sopravvento sul valore della persona umana. Si avverte oggi la necessità di trovare un nuovo consenso sui principi umanitari e di rafforzarne i fondamenti per impedire il ripetersi di atrocità e abusi". Una particolare categoria di vittime della guerra è quella dei rifugiati, costretti dai combattimenti a fuggire dai luoghi in cui vivono abitualmente, fino a trovare riparo in Paesi diversi da quelli in cui sono nati. La Chiesa è loro vicina, non solo con la presenza pastorale e con il soccorso materiale, ma anche con l'impegno a difendere la loro dignità umana: "La sollecitudine per i rifugiati deve spingersi a riaffermare e a sottolineare i diritti umani, universalmente riconosciuti, e a chiedere che anche per essi siano effettivamente realizzati". 506 I tentativi di eliminazione di interi gruppi nazionali, etnici, religiosi o linguistici sono dei delitti contro Dio e contro la stessa umanità e i responsabili di tali crimini devono essere chiamati a risponderne di fronte alla giustizia. Il secolo XX è stato contrassegnato tragicamente da diversi genocidi: da quello degli armeni a quello degli ucraini, da quello dei cambogiani a quelli avvenuti in Africa e nei Balcani. Tra essi spicca l'olocausto del popolo ebraico, la Shoah: "i giorni della Shoah hanno segnato una vera notte nella storia, registrando crimini inauditi contro Dio e contro l'uomo". La Comunità internazionale nel suo complesso ha l'obbligo morale di intervenire in favore di quei gruppi la cui stessa sopravvivenza è minacciata o di cui siano massicciamente violati i fondamentali diritti. Gli Stati, in quanto parte di una Comunità internazionale, non possono restare indifferenti: al contrario, se tutti gli altri mezzi a disposizione si dovessero rivelare inefficaci, è " legittimo e persino doveroso impegnarsi con iniziative concrete per disarmare l'aggressore". Il principio della sovranità nazionale non può essere addotto come motivo per impedire l'intervento in difesa delle vittime. Le misure adottate devono essere attuate nel pieno rispetto del diritto internazionale e del fondamentale principio dell'uguaglianza tra gli Stati. La Comunità internazionale si è anche dotata di una Corte Penale Internazionale per punire i responsabili di atti particolarmente gravi: crimine di genocidio, crimini contro l'umanità, crimini di guerra, crimine di aggressione. Il Magistero non ha mancato di incoraggiare ripetutamente tale iniziativa. Misure contro chi minaccia la pace 507 Le sanzioni, nelle forme previste dall'ordinamento internazionale contemporaneo, mirano a correggere il comportamento del governo di un Paese che viola le regole della pacifica ed ordinata convivenza internazionale o che mette in pratica gravi forme di oppressione nei confronti della popolazione. Le finalità delle sanzioni devono essere precisate in modo inequivocabile e le misure adottate devono essere periodicamente verificate dagli organismi competenti della Comunità internazionale, per un'obiettiva valutazione della loro efficacia e del loro reale impatto sulla popolazione civile. Il vero scopo di tali misure è quello di aprire la strada alle trattative e al dialogo. Le sanzioni non devono mai costituire uno strumento di punizione diretto contro un'intera popolazione; non è lecito che per le sanzioni abbiano a soffrire intere popolazioni e specialmente i loro membri più vulnerabili. Le sanzioni economiche, in particolare, sono uno strumento da utilizzare con grande ponderazione e da sottoporre a rigidi criteri giuridici ed etici L'embargo economico deve essere limitato nel tempo e non può essere giustificato quando gli effetti che produce si rivelano indiscriminati. Il disarmo 508 La dottrina sociale propone la meta di un " disarmo generale, equilibrato e controllato" L'enorme aumento delle armi rappresenta una minaccia grave per la stabilità e la pace. Il principio di sufficienza, in virtù del quale uno Stato può possedere unicamente i mezzi necessari per la sua legittima difesa, deve essere applicato sia dagli Stati che comprano armi, sia da quelli che le producono e le forniscono Qualsiasi accumulo eccessivo di armi, o il loro commercio generalizzato, non possono essere giustificati moralmente; tali fenomeni vanno valutati anche alla luce della normativa internazionale in materia di non-proliferazione, produzione, commercio e uso dei differenti tipi di armamenti. Le armi non devono mai essere considerate alla stregua di altri beni scambiati a livello mondiale o sui mercati interni. Il Magistero, inoltre, ha espresso una valutazione morale del fenomeno della deterrenza: " L'accumulo delle armi sembra a molti un modo paradossale di dissuadere dalla guerra eventuali avversari. Costoro vedono in esso il più efficace dei mezzi atti ad assicurare la pace tra le nazioni. Riguardo a tale mezzo di dissuasione vanno fatte severe riserve morali. La corsa agli armamenti non assicura la pace. Lungi dall'eliminare le cause di guerra, rischia di aggravarle". Le politiche di deterrenza nucleare, tipiche del periodo della cosiddetta Guerra Fredda, devono essere sostituite con concrete misure di disarmo, basate sul dialogo e sul negoziato multilaterale. 509 Le armi di distruzione di massa - biologiche, chimiche e nucleari - rappresentano una minaccia particolarmente grave; coloro che le possiedono hanno una responsabilità enorme davanti a Dio e all'umanità intera. Il principio della non-proliferazione delle armi nucleari, insieme alle misure per il disarmo nucleare, come anche il divieto di test nucleari, sono obiettivi tra loro strettamente legati, che devono essere raggiunti nel più breve tempo tramite controlli efficaci a livello internazionale. Il divieto di sviluppo, di produzione, di accumulo e di impiego delle armi chimiche e biologiche, nonché i provvedimenti che ne impongono la distruzione, completano il quadro normativo internazionale per mettere al bando tali armi nefaste, il cui uso è esplicitamente riprovato dal Magistero: "Ogni azione bellica che indiscriminatamente mira alla distruzione di intere città o di vaste regioni con i loro abitanti è un crimine contro Dio e contro l'uomo, che deve essere condannato con fermezza e senza esitazione". 510 Il disarmo deve estendersi all'interdizione di armi che infliggono effetti traumatici eccessivi o che colpiscono indiscriminatamente, nonché delle mine antipersona, un tipo di piccoli ordigni, disumanamente insidiosi, poiché continuano a colpire anche molto tempo dopo il termine delle ostilità: gli Stati che le producono, le commercializzano o le usano ancora, si assumono la responsabilità di ritardare gravemente la totale eliminazione di tali strumenti mortiferi. La Comunità internazionale deve continuare ad impegnarsi nell'attività di sminamento, promuovendo un'efficace cooperazione, compresa la formazione tecnica, con i Paesi che non dispongono di mezzi propri adatti ad effettuare l'urgentissima bonifica dei loro territori e che non sono in grado di fornire un'assistenza adeguata alle vittime delle mine. 511 Misure appropriate sono necessario per il controllo della produzione, della vendita, dell'importazione e dell'esportazione di armi leggere e individuali, che facilitano molte manifestazioni di violenza. La vendita e il traffico di tali armi costituiscono una seria minaccia per la pace: esse sono quelle che uccidono di più e sono usate maggiormente nei conflitti non internazionali; la loro disponibilità fa aumentare il rischio di nuovi conflitti e l'intensità di quelli in corso. L'atteggiamento degli Stati che applicano severi controlli sul trasferimento internazionale di armi pesanti, mentre non prevedono mai, o solo in rare occasioni, restrizioni sul commercio delle armi leggere e individuali, è una contraddizione inaccettabile. È indispensabile ed urgente che i Governi adottino regole adeguate per controllare la produzione, l'accumulo, la vendita e il traffico di tali armi, così da contrastarne la crescente diffusione, in larga parte tra gruppi di combattenti che non appartengono alle forze militari di uno Stato. 512 L'utilizzazione di bambini e adolescenti come soldati in conflitti armati - nonostante il fatto che la loro giovanissima età non ne deve permettere il reclutamento - va denunciata. Essi sono costretti con la forza a combattere, oppure lo scelgono di propria iniziativa senza essere pienamente consapevoli delle conseguenze. Si tratta di bambini privati non solo dell'istruzione che dovrebbero ricevere e di un'infanzia normale, ma anche addestrati ad uccidere: tutto ciò costituisce un crimine intollerabile. Il loro impiego nelle forze combattenti di qualsiasi tipo deve essere fermato; contemporaneamente, bisogna fornire tutto l'aiuto possibile per la cura, l'educazione e la riabilitazione di coloro che sono stati coinvolti nei combattimenti. La condanna del terrorismo 513 Il terrorismo è una delle forme più brutali della violenza che oggi sconvolge la Comunità internazionale: esso semina odio, morte, desiderio di vendetta e di rappresaglia. Da strategia sovversiva tipica soltanto di alcune organizzazioni estremistiche, finalizzata alla distruzione delle cose e all'uccisione delle persone, il terrorismo si è trasformato in una rete oscura di complicità politiche, utilizza anche sofisticati mezzi tecnici, si avvale spesso di ingenti risorse finanziarie ed elabora strategie su vasta scala, colpendo persone del tutto innocenti, vittime casuali delle azioni terroristiche. Bersagli degli attacchi terroristici sono, in genere, i luoghi della vita quotidiana e non obiettivi militari nel contesto di una guerra dichiarata. Il terrorismo agisce e colpisce al buio, al di fuori delle regole con cui gli uomini hanno cercato di disciplinare, per esempio mediante il diritto internazionale umanitario, i loro conflitti: " In molti casi il ricorso ai metodi del terrorismo è considerato un nuovo sistema di guerra". Non vanno trascurate le cause che possono motivare tale inaccettabile forma di rivendicazione. La lotta contro il terrorismo presuppone il dovere morale di contribuire a creare le condizioni affinché esso non nasca o si sviluppi. 514 Il terrorismo va condannato nel modo più assoluto. Esso manifesta un disprezzo totale della vita umana e nessuna motivazione può giustificarlo, in quanto l'uomo è sempre fine e mai mezzo. Gli atti di terrorismo colpiscono profondamente la dignità umana e costituiscono un'offesa all'intera umanità: " Esiste perciò un diritto a difendersi dal terrorismo ". Tale diritto non può tuttavia essere esercitato nel vuoto di regole morali e giuridiche, poiché la lotta contro i terroristi va condotta nel rispetto dei diritti dell'uomo e dei principi di uno Stato di diritto. L'identificazione dei colpevoli va debitamente provata, perché la responsabilità penale è sempre personale e quindi non può essere estesa alle religioni, alle Nazioni, alle etnie, alle quali i terroristi appartengono. La collaborazione internazionale contro l'attività terroristica " non può esaurirsi soltanto in operazioni repressive e punitive. È essenziale che il pur necessario ricorso alla forza sia accompagnato da una coraggiosa e lucida analisi delle motivazioni soggiacenti agli attacchi terroristici". È necessario anche un particolare impegno sul piano "politico e pedagogico " per risolvere, con coraggio e determinazione, i problemi che, in alcune drammatiche situazioni, possono alimentare il terrorismo: "Il reclutamento dei terroristi, infatti, è più facile nei contesti sociali in cui si semina l'odio, i diritti vengono conculcati e le situazioni di ingiustizia troppo a lungo tollerate". 515 È profanazione e bestemmia proclamarsi terroristi in nome di Dio: così si strumentalizza anche Dio e non solo l'uomo, in quanto si ritiene di possedere totalmente la Sua verità anziché cercare di esserne posseduti. Definire "martiri" coloro i quali muoiono compiendo atti terroristici è stravolgere il concetto di martirio, che è testimonianza di chi si fa uccidere per non rinunciare a Dio e al Suo amore e non di chi uccide in nome di Dio. Nessuna religione può tollerare il terrorismo e, ancor meno, predicarlo. Le religioni sono impegnate, piuttosto, a collaborare per rimuovere le cause del terrorismo e per promuovere l'amicizia tra i popoli. Il contributo della Chiesa alla pace 516 La promozione della pace nel mondo è parte integrante della missione con cui la Chiesa continua l'opera redentrice di Cristo sulla terra. La Chiesa, infatti, è, in Cristo, " "sacramento", cioè segno e uno strumento della pace nel mondo e per il mondo". La promozione della vera pace è un'espressione della fede cristiana nell'amore che Dio nutre per ogni essere umano. Dalla fede liberante nell'amore di Dio derivano una nuova visione del mondo e un nuovo modo di avvicinarsi all'altro, sia esso una singola persona o un popolo intero: è una fede che cambia e rinnova la vita, ispirata dalla pace che Cristo ha lasciato ai Suoi discepoli ( Gv 14,27 ). Mossa unicamente da tale fede, la Chiesa intende promuovere l'unità dei cristiani e una feconda collaborazione con i credenti delle altre religioni. Le differenze religiose non possono e non devono costituire una causa di conflitto: la ricerca comune della pace da parte di tutti i credenti è piuttosto un forte fattore di unità tra i popoli. La Chiesa esorta persone, popoli, Stati e Nazioni a farsi partecipi della sua preoccupazione per il ristabilimento e il consolidamento della pace sottolineando, in particolare, l'importante funzione del diritto internazionale. 517 La Chiesa insegna che una vera pace è resa possibile soltanto dal perdono e dalla riconciliazione. Non è facile perdonare di fronte alle conseguenze della guerra e dei conflitti, perché la violenza, specialmente quando conduce "sino agli abissi della disumanità e della desolazione", lascia sempre in eredità un pesante fardello di dolore, che può essere alleviato solo da una riflessione approfondita, leale e coraggiosa, comune ai contendenti, capace di affrontare le difficoltà del presente con un atteggiamento purificato dal pentimento. Il peso del passato, che non può essere dimenticato, può essere accettato solo in presenza di un perdono reciprocamente offerto e ricevuto: si tratta di un percorso lungo e difficile, ma non impossibile. 518 Il perdono reciproco non deve annullare le esigenze della giustizia ne, tanto meno, precludere il cammino che porta alla verità: giustizia e verità rappresentano, invece, i requisiti concreti della riconciliazione. Risultano opportune le iniziative tendenti ad istituire Organismi giudiziari internazionali. Simili Organismi, avvalendosi del principio della giurisdizione universale e sorretti da procedure adeguate, rispettose dei diritti degli imputati e delle vittime, possono accertare la verità sui crimini perpetrati durante i conflitti armati. È necessario, tuttavia, andare oltre la determinazione dei comportamenti delittuosi, sia attivi che emissivi, e oltre le decisioni in merito alle procedure di riparazione, per giungere al ristabilimento di relazioni di reciproca accoglienza tra i popoli divisi, nel segno della riconciliazione. È necessario, inoltre, promuovere il rispetto del diritto alla pace: tale diritto " favorisce la costruzione di una società all'interno della quale ai rapporti di forza subentrano rapporti di collaborazione, in vista del bene comune". 519 La Chiesa lotta per la pace con la preghiera. La preghiera apre il cuore non solo ad un profondo rapporto con Dio, ma anche all'incontro con il prossimo all'insegna del rispetto, della fiducia, della comprensione, della stima e dell'amore. La preghiera infonde coraggio e da sostegno a tutti "i veri amici della pace", i quali cercano di promuoverla nelle varie circostanze in cui si trovano a vivere. La preghiera liturgica è "il culmino verso cui tende l'azione della Chiesa e insieme la fonte da cui promana tutta la sua forza "; in particolare la celebrazione eucaristica, "fonte e apice di tutta la vita cristiana", è sorgente inesauribile di ogni autentico impegno cristiano per la pace. 520 Le Giornate Mondiali della Pace sono celebrazioni di particolare intensità per la preghiera di invocazione della pace e per l'impegno di costruire un mondo di pace. Il Papa Paolo VI le istituì allo scopo di " dedicare ai pensieri ed ai propositi della pace una particolare celebrazione nel primo giorno dell'anno civile". I Messaggi pontifici per tale annuale occasione costituiscono una ricca fonte di aggiornamento e di sviluppo della dottrina sociale e mostrano la costante azione pastorale della Chiesa in favore della pace: " La Pace si afferma solo con la pace, quella non disgiunta dai doveri della giustizia, ma alimentata dal sacrificio proprio, dalla clemenza, dalla misericordia, dalla carità". Dottrina sociale e inculturazione della fede 521 Consapevole della forza rinnovatrice del cristianesimo anche nei confronti della cultura e della realtà sociale, la Chiesa offre il contributo del proprio insegnamento alla costruzione della comunità degli uomini, mostrando il significato sociale del Vangelo. Alla fine dell'Ottocento, il Magistero della Chiesa affrontò organicamente le gravi questioni sociali dell'epoca, stabilendo " un paradigma permanente per la Chiesa. Questa, infatti, ha la sua parola da dire di fronte a determinate situazioni umane, individuali e comunitarie, nazionali e internazionali, per le quali formula una vera dottrina, un corpus, che le permette di analizzare le realtà sociali, di pronunciarsi su di esse e di indicare orientamenti per la giusta soluzione dei problemi che ne derivano ". L'intervento di Leone XIII sulla realtà socio-politica del suo tempo con l'enciclica "Rerum novarum" "conferì alla Chiesa quasi uno "statuto di cittadinanza" nelle mutevoli realtà della vita pubblica, e ciò si sarebbe affermato ancor più in seguito". 522 La Chiesa, con la sua dottrina sociale, offre soprattutto una visione integrale ed una piena comprensione dell'uomo, nella sua dimensione personale e sociale. L'antropologia cristiana, svelando la dignità inviolabile di ogni persona, introduce le realtà del lavoro, dell'economia, della politica in un'originale prospettiva, che illumina gli autentici valori umani ed ispira e sostiene l'impegno della testimonianza cristiana nei molteplici ambiti della vita personale, culturale e sociale. Grazie alle " primizie dello Spirito" ( Rm 8,23 ), il cristiano "diventa capace di adempiere la legge nuova dell'amore ( Rm 8,1-11 ). Da questo Spirito, che è "caparra dell'eredità" ( Ef 1,14 ), tutto l'uomo viene interiormente rinnovato, fino alla "redenzione del corpo" ( Rm 8,23 ) ". In tal senso, la dottrina sociale evidenzia come il fondamento della moralità di ogni agire sociale consista nello sviluppo umano della persona e individua la norma dell'azione sociale nella corrispondenza al vero bene dell'umanità e nell'impegno teso a creare condizioni che permettano ad ogni uomo di attuare la sua integrale vocazione. 523 L'antropologia cristiana anima e sostiene l'opera pastorale di inculturazione della fede, tesa a rinnovare dall'interno, con la forza del Vangelo, i criteri di giudizio, i valori determinanti, le linee di pensiero e i modelli di vita dell'uomo contemporaneo: "con l'inculturazione la Chiesa diventa segno più comprensibile di ciò che è e strumento più atto della missione". Il mondo contemporaneo è segnato da una frattura tra Vangelo e cultura; una visione secolarizzata della salvezza tende a ridurre anche il cristianesimo ad " una sapienza meramente umana, quasi scienza del buon vivere". La Chiesa è consapevole che deve fare "un grande passo in avanti nella sua evangelizzazione, deve entrare in una nuova tappa storica del suo dinamismo missionario". In questa prospettiva pastorale si situa l'insegnamento sociale: " La "nuova evangelizzazione", di cui il mondo moderno ha urgente necessità… deve annoverare tra le sue componenti essenziali l'annuncio della dottrina sociale della Chiesa". Dottrina sociale e pastorale sociale 524 Il riferimento essenziale alla dottrina sociale decide della natura, dell'impostazione, dell'articolazione e degli sviluppi della pastorale sociale. Essa è espressione del ministero di evangelizzazione sociale, teso a illuminare, stimolare e assistere l'integrale promozione dell'uomo mediante la prassi della liberazione cristiana, nella sua prospettiva terrena e trascendente. La Chiesa vive ed opera nella storia, interagendo con la società e la cultura del proprio tempo, per adempiere la sua missione di comunicare a tutti gli uomini la novità dell'annuncio cristiano, nella concretezza delle loro difficoltà, lotte e sfide, così che la fede li illumini a comprenderle nella verità che "aprirsi all'amore di Cristo è la vera liberazione". La pastorale sociale è l'espressione viva e concreta di una Chiesa pienamente consapevole della propria missione evangelizzatrice delle realtà sociali, economiche, culturali e politiche del mondo. 525 Il messaggio sociale del Vangelo deve orientare la Chiesa a svolgere un duplice compito pastorale: aiutare gli uomini a scoprire la verità e a scegliere la via da seguire; incoraggiare l'impegno dei cristiani a testimoniare, con sollecitudine di servizio, il Vangelo in campo sociale: " Oggi più che mai la parola di Dio non potrà essere annunciata e ascoltata se ad essa non si accompagna la testimonianza della potenza dello Spirito Santo che opera nell'azione dei cristiani posta al servizio dei fratelli, proprio su quei punti dove sono in gioco la loro esistenza e il loro avvenire ". Il bisogno di una nuova evangelizzazione fa comprendere alla Chiesa " che il suo messaggio sociale troverà credibilità nella testimonianza delle opere, prima che nella sua coerenza e logica interna". 526 La dottrina sociale detta i criteri fondamentali dell'azione pastorale in campo sociale: annunciare il Vangelo; confrontare il messaggio evangelico con le realtà sociali; progettare azioni finalizzate a rinnovare tali realtà, conformandole alle esigenze della morale cristiana. Una nuova evangelizzazione del sociale richiede innanzi tutto l'annuncio del Vangelo: Dio in Gesù Cristo salva ogni uomo e tutto l'uomo. Tale annuncio rivela l'uomo a se stesso e deve diventare principio di interpretazione delle realtà sociali. Nell'annuncio del Vangelo, la dimensione sociale è essenziale e ineludibile, pur non essendo l'unica. Essa deve mostrare l'inesauribile fecondità della salvezza cristiana, anche se una conformazione perfetta e definitiva delle realtà sociali al Vangelo non potrà attuarsi nella storia: nessun risultato, anche il più riuscito, può sfuggire ai limiti della libertà umana e alla tensione escatologica di ogni realtà creata. 527 L'azione pastorale della Chiesa in ambito sociale deve testimoniare anzitutto la verità sull'uomo. L'antropologia cristiana permette un discernimento dei problemi sociali, per i quali non si può trovare buona soluzione se non si tutela il carattere trascendente della persona umana, pienamente rivelato nella fede. L'azione sociale dei cristiani deve ispirarsi al principio fondamentale della centralità dell'uomo. Dall'esigenza di promuovere l'integrale identità dell'uomo scaturisce la proposta di quei grandi valori che presiedono ad una convivenza ordinata e feconda: verità, giustizia, amore, libertà. La pastorale sociale si adopera affinché il rinnovamento della vita pubblica sia legato ad un effettivo rispetto di tali valori. In tal modo, la Chiesa, mediante la sua multiforme testimonianza evangelica, mira a promuovere la coscienza del bene di tutti e di ciascuno come risorsa inesauribile per lo sviluppo dell'intera vita sociale. Dottrina sociale e formazione 528 La dottrina sociale è un punto di riferimento indispensabile per una formazione cristiana completa. L'insistenza del Magistero nel proporre tale dottrina come fonte ispiratrice dell'apostolato e dell'azione sociale nasce dalla persuasione che essa costituisce una straordinaria risorsa formativa: "soprattutto per i fedeli laici variamente impegnati nel campo sociale e politico, è del tutto indispensabile una conoscenza più esatta della dottrina sociale della Chiesa". Tale patrimonio dottrinale non è adeguatamente insegnato e conosciuto: anche per questa ragione non si traduce opportunamente nei comportamenti concreti. 529 Il valore formativo della dottrina sociale va meglio riconosciuto nell'attività catechistica. La catechesi è l'insegnamento organico e sistematico della dottrina cristiana, dato al fine di iniziare i credenti alla pienezza della vita evangelica. Scopo ultimo della catechesi "è di mettere qualcuno non solo in contatto, ma in comunione, in intimità con Gesù Cristo", così che possa riconoscere l'azione dello Spirito Santo, dal quale proviene il dono della vita nuova in Cristo. In tale prospettiva di fondo, nel suo servizio di educazione alla fede, la catechesi non deve omettere, ma "chiarire, invece, come conviene … alcune realtà, quali l'azione dell'uomo per la sua liberazione integrale, la ricerca di una società più solidale e fraterna, le lotte per la giustizia e per la costruzione della pace". A tal fine è necessario provvedere ad una presentazione integrale del Magistero sociale, nella sua storia, nei suoi contenuti e nelle sue metodologie. Una lettura diretta delle encicliche sociali, effettuata nel contesto ecclesiale, ne arricchisce la recezione e l'applicazione, grazie all'apporto delle diverse competenze e professionalità presenti nella comunità. 530 Soprattutto nel contesto della catechesi, è importante che l'insegnamento della dottrina sociale sia orientato a motivare l'azione per l'evangelizzazione e l'umanizzazione delle realtà temporali. Con tale dottrina, infatti, la Chiesa esprime un sapere teorico-pratico che sostiene l'impegno di trasformazione della vita sociale, per renderla sempre più conforme al disegno divino. La catechesi sociale mira alla formazione di uomini che, rispettosi dell'ordine morale, siano amanti della genuina libertà, uomini che " con criterio personale giudichino le cose alla luce della verità, svolgano le proprie attività con senso di responsabilità e si sforzino di perseguire tutto ciò che è vero e giusto, collaborando volentieri con gli altri". Acquista uno straordinario valore formativo la testimonianza offerta dal cristianesimo vissuto: " è la vita di santità, che risplende in tanti membri del Popolo di Dio, umili e spesso nascosti agli occhi degli uomini, a costituire la via più semplice e affascinante sulla quale è dato di percepire immediatamente la bellezza della verità, la forza liberante dell'amore di Dio, il valore della fedeltà incondizionata a tutte le esigenze della legge del Signore, anche nelle circostanze più difficili". 531 La dottrina sociale deve essere posta alla base di un'intensa e costante opera di formazione, soprattutto di quella rivolta ai cristiani laici. Tale formazione deve tener conto del loro impegno nella vita civile: "spetta a loro, attraverso la loro libera iniziativa e senza attendere passivamente consegne o direttive, di penetrare di spirito cristiano la mentalità e i costumi, le leggi e le strutture delle loro comunità di vita". Il primo livello dell'opera formativa rivolta ai cristiani laici deve renderli capaci di affrontare efficacemente i compiti quotidiani negli ambiti culturali, sociali, economici e politici, sviluppando in loro il senso del dovere praticato al servizio del bene comune. Un secondo livello riguarda la formazione della coscienza politica per preparare i cristiani laici all'esercizio del potere politico: " Coloro che sono o possono diventare idonei per la carriera politica, difficile ma insieme nobilissima, vi si preparino e cerchino di seguirla senza badare al proprio interesse e al vantaggio materiale". 532 Le istituzioni educative cattoliche possono e debbono svolgere un prezioso servizio formativo, impegnandosi con speciale sollecitudine per l'inculturazione del messaggio cristiano, ossia l'incontro fecondo tra il Vangelo e i vari saperi. La dottrina sociale è strumento necessario per un'efficace educazione cristiana all'amore, alla giustizia, alla pace, nonché per maturare consapevolezza dei doveri morali e sociali nell'ambito delle diverse competenze culturali e professionali. Un importante esempio di istituzione formativa è rappresentato dalle " Settimane Sociali " dei cattolici che il Magistero ha sempre incoraggiato. Esse costituiscono un luogo qualificato di espressione e di crescita dei fedeli laici, capace di promuovere, ad un livello alto, il loro specifico contributo al rinnovamento dell'ordine temporale. L'iniziativa, sperimentata da molti anni in vari Paesi, è un vero laboratorio culturale nel quale si comunicano e si confrontano riflessioni ed esperienze, si studiano i problemi emergenti e si individuano nuovi orientamenti operativi. 533 Non meno rilevante deve essere l'impegno ad utilizzare la dottrina sociale nella formazione dei presbiteri e dei candidati al sacerdozio i quali, nell'orizzonte della preparazione ministeriale, devono maturare una qualificata conoscenza dell'insegnamento e dell'azione pastorale della Chiesa in ambito sociale e un vivo interesse nei confronti delle questioni sociali del proprio tempo. Il documento della Congregazione per l'Educazione Cattolica, " Orientamenti per lo studio e l'insegnamento della dottrina sociale della Chiesa nella formazione sacerdotale", offre puntuali indicazioni e disposizioni per una corretta e adeguata impostazione degli studi. Promuovere il dialogo 534 La dottrina sociale è un efficace strumento di dialogo tra le comunità cristiane e la comunità civile e politica, uno strumento adatto a promuovere e ad ispirare atteggiamenti di corretta e feconda collaborazione, secondo modalità adeguate alle circostanze. L'impegno delle autorità civili e politiche, chiamate a servire la vocazione personale e sociale dell'uomo, secondo la propria competenza e con i propri mezzi, può trovare nella dottrina sociale della Chiesa un importante sostegno e una ricca fonte di ispirazione. 535 La dottrina sociale è un terreno fecondo per la coltivazione del dialogo e della collaborazione in campo ecumenico, che si realizzano in diversi ambiti, ormai su vasta scala: nella difesa della dignità delle persone umane; nella promozione della pace; nella lotta concreta ed efficace contro le miserie del nostro tempo, quali la fame e l'indigenza, l'analfabetismo, la non equa distribuzione dei beni e la mancanza di abitazioni. Tale multiforme cooperazione aumenta la consapevolezza della fraternità in Cristo e facilita il cammino ecumenico. 536 Nella comune tradizione dell'Antico Testamento, la Chiesa Cattolica sa di poter dialogare con i fratelli Ebrei, anche mediante la sua dottrina sociale, per costruire insieme un futuro di giustizia e di pace per tutti gli uomini, figli dell'unico Dio. Il comune patrimonio spirituale favorisce la mutua conoscenza e la stima reciproca, sulla cui base può crescere l'intesa per il superamento di ogni discriminazione e la difesa della dignità umana. 537 La dottrina sociale si caratterizza anche per un costante appello al dialogo tra tutti i credenti delle religioni del mondo, affinché sappiano condividere la ricerca delle forme più opportune di collaborazione: le religioni hanno un ruolo importante per il conseguimento della pace, che dipende dal comune impegno per lo sviluppo integrale dell'uomo. Nello spirito degli Incontri di preghiera che si sono tenuti ad Assisi, la Chiesa continua a invitare i credenti delle altre religioni al dialogo e a favorire, in ogni luogo, un'efficace testimonianza dei valori comuni a tutta la famiglia umana. I soggetti della pastorale sociale 538 La Chiesa, nello svolgere la sua missione, impegna tutto il popolo di Dio. Nelle sue varie articolazioni e in ciascuno dei suoi membri, secondo i doni e le forme di esercizio propri di ogni vocazione, il popolo di Dio deve corrispondere al dovere di annunciare e testimoniare il Vangelo ( 1 Cor 9,16 ), con la consapevolezza che " la missione riguarda tutti i cristiani" Anche l'opera pastorale in ambito sociale è destinata a tutti i cristiani, chiamati a diventare soggetti attivi nella testimonianza della dottrina sociale e ad inserirsi pienamente nella consolidata tradizione di "operosità feconda di milioni e milioni di uomini, che, stimolati dal Magistero sociale, si sono sforzati di ispirarsi ad esso in ordine al proprio impegno nel mondo". I cristiani di oggi, agendo individualmente, o variamente coordinati in gruppi, associazioni e movimenti, devono sapersi proporre come " un grande movimento per la difesa della persona umana e la tutela della sua dignità" 539 Nella Chiesa particolare, il primo responsabile dell'impegno pastorale di evangelizzazione del sociale è il Vescovo, coadiuvato dai sacerdoti, dai religiosi e dalle religiose, dai fedeli laici. Con particolare riferimento alla realtà locale, il Vescovo ha la responsabilità di promuovere l'insegnamento e la diffusione della dottrina sociale, a cui egli provvede mediante appropriate istituzioni. L'azione pastorale del Vescovo deve trovare attuazione nel ministero dei presbiteri che partecipano alla sua missione di insegnamento, santificazione e guida della comunità cristiana. Con la programmazione di opportuni itinerari formativi, il presbitero deve far conoscere la dottrina sociale e promuovere nei mèmbri della sua comunità la coscienza del diritto e dovere di essere soggetti attivi di tale dottrina. Tramite le celebrazioni sacramentali, in particolare quelle dell'Eucaristia e della Riconciliazione, il sacerdote aiuta a vivere l'impegno sociale come frutto del Mistero salvifico. Egli deve animare l'azione pastorale in ambito sociale, curando con particolare sollecitudine la formazione e l'accompagnamento spirituale dei fedeli impegnati nella vita sociale e politica. Il presbitero che svolge il servizio pastorale nelle varie aggregazioni ecclesiali, specie in quelle di apostolato sociale, ha il compito di favorirne la crescita con il necessario insegnamento della dottrina sociale. 540 L'azione pastorale in ambito sociale si giova anche dell'opera delle persone consacrate, conforme al loro carisma; le loro testimonianze luminose, particolarmente nelle situazioni di maggiore povertà, costituiscono un richiamo per tutti ai valori della santità e del servizio generoso al prossimo. Il dono totale di sé dei religiosi si offre alla riflessione comune anche come un segno emblematico e profetico della dottrina sociale: mettendosi totalmente al servizio del mistero della carità di Cristo verso l'uomo e verso il mondo, i religiosi anticipano e mostrano nella loro vita alcuni tratti dell'umanità nuova che la dottrina sociale vuole propiziare. Le persone consacrate nella castità, nella povertà e nell'obbedienza si pongono al Servizio della carità pastorale soprattutto con la preghiera, grazie alla quale contemplano il progetto di Dio sul mondo, supplicano il Signore affinché apra il cuore di ogni uomo ad accogliere in sé il dono dell'umanità nuova, prezzo del sacrificio di Cristo. Il fedele laico 541 La connotazione essenziale dei fedeli laici, che operano nella vigna del Signore ( Mt 20,1-16 ), è l'indole secolare della loro sequela di Cristo, che si realizza appunto nel mondo: "è dei laici cercare il regno di Dio trattando e ordinando secondo Dio le cose temporali". Con il Battesimo i laici sono inseriti in Cristo, resi partecipi della Sua vita e della Sua missione secondo la loro peculiare identità: "Con il nome di laici si intendono… tutti i fedeli ad esclusione dei mèmbri dell'ordine sacro e dello stato religioso riconosciuto nella Chiesa, cioè i fedeli che, in quanto incorporati a Cristo con il battesimo, costituiti Popolo di Dio e a loro modo fatti partecipi della dignità sacerdotale, profetica e regale di Cristo, per la loro parte adempiono la missione di tutto il popolo cristiano nella Chiesa e nel mondo". 542 L'identità del fedele laico nasce e trae alimento dai sacramenti: dal Battesimo, dalla Cresima e dall'Eucaristia. Il Battesimo conforma a Cristo, Figlio del Padre, primogenito di ogni creatura, inviato come Maestro e Redentore a tutti gli uomini. La Cresima o Confermazione configura a Cristo, inviato per vivificare il creato e ogni essere con l'effusione del Suo Spirito. L'Eucaristia rende il credente partecipe dell'unico e perfetto sacrificio che Cristo ha offerto al Padre, nella propria carne, per la salvezza del mondo. Il fedele laico è discepolo di Cristo a partire dai sacramenti e in forza di essi, in virtù cioè di quanto Dio ha operato in lui imprimendogli l'immagine stessa del Figlio Suo, Gesù Cristo. Da questo dono divino di grazia, e non da concessioni umane, nasce il triplice "munus" ( dono e compito ), che qualifica il laico come profeta, sacerdote e re, secondo la sua indole secolare. 543 E compito proprio del fedele laico annunciare il Vangelo con un 'esemplare testimonianza di vita, radicata in Cristo e vissuta nelle realtà temporali: famiglia; impegno professionale nell'ambito del lavoro, della cultura, della scienza e della ricerca; esercizio delle responsabilità sociali, economiche, politiche. Tutte le realtà umane secolari, personali e sociali, ambienti e situazioni storiche, strutture e istituzioni, sono il luogo proprio del vivere e dell'operare dei cristiani laici. Queste realtà sono destinatarie dell'amore di Dio; l'impegno dei fedeli laici deve corrispondere a questa visione e qualificarsi come espressione della carità evangelica: " l'essere e l'agire nel mondo sono per i fedeli laici una realtà non solo antropologica e sociologica, ma anche e specificamente teologica ed ecclesiale". 544 La testimonianza del fedele laico nasce da un dono di grazia, riconosciuto, coltivato e portato a maturazione. È questa la motivazione che rende significativo il suo impegno nel mondo e lo pone agli antipodi della mistica dell'azione, propria dell'umanesimo ateo, priva di fondamento ultimo e circoscritta in prospettive puramente temporali. L'orizzonte escatologico è la chiave che permette di comprendere correttamente le realtà umane: nella prospettiva dei beni definitivi, il fedele laico è in grado di impostare con autenticità la propria attività terrena. Il livello di vita e la maggiore produttività economica non sono gli unici indicatori validi per misurare la piena realizzazione dell'uomo in questa vita e valgono ancora meno se riferiti a quella futura: " L'uomo non è limitato al solo ordine temporale ma, vivendo nella storia umana, conserva integralmente la sua vocazione eterna". La spiritualità del fedele laico 545 I fedeli laici sono chiamati a coltivare un'autentica spiritualità laicale, che li rigeneri come uomini e donne nuovi, immersi nel mistero di Dio e inseriti nella società, santi e santificatori. Una simile spiritualità edifica il mondo secondo lo Spirito di Gesù: rende capaci di guardare oltre la storia, senza allontanarsene; di coltivare un amore appassionato per Dio, senza distogliere lo sguardo dai fratelli, che si riescono anzi a vedere come li vede il Signore e ad amare come Lui li ama. È una spiritualità che rifugge sia lo spiritualismo intimista sia l'attivismo sociale e sa esprimersi in una sintesi vitale che conferisce unità, significato e speranza all'esistenza, per tante e varie ragioni contraddittoria e frammentata. Animati da tale spiritualità, i fedeli laici possono contribuire, "come un fermento alla santificazione del mondo quasi dall'interno, adempiendo i compiti loro propri guidati da spirito evangelico, e così… manifestare Cristo agli altri prima di tutto con la testimonianza della propria vita". 546 I fedeli laici devono fortificare la loro vita spirituale e morale, maturando le competenze richieste per lo svolgimento dei propri doveri sociali. L'approfondimento delle motivazioni interiori e l'acquisizione dello stile appropriato all'impegno in campo sociale e politico sono frutto di un percorso dinamico e permanente di formazione, orientale anzitutto a raggiungere un'armonia tra la vita, nella sua complessità, e la fede. Nell'esperienza del credente, infatti, " non possono esserci due vite parallele: da una parte la vita cosiddetta "spirituale", con i suoi valori e con le sue esigenze; e dall'altra, la vita cosiddetta "secolare", ossia la vita di famiglia, di lavoro, dei rapporti sociali, dell'impegno politico e della cultura". La sintesi tra fede e vita richiede un cammino scandito con sapienza dagli elementi qualificanti dell'itinerario cristiano: il riferimento alla Parola di Dio; la celebrazione liturgica del Mistero cristiano; la preghiera personale; l'esperienza ecclesiale autentica, arricchita dal particolare servizio formativo di sagge guide spirituali; l'esercizio delle virtù sociali e il perseverante impegno di formazione culturale e professionale. Agire con prudenza 547 Il fedele laico deve agire secondo le esigenze dettate dalla prudenza: è questa la virtù che dispone a discernere in ogni circostanza il vero bene e a scegliere i mezzi adeguati per compierlo. Grazie ad essa si applicano correttamente i principi morali ai casi particolari. La prudenza si articola in tre momenti: chiarifica la situazione e la valuta, ispira la decisione e da impulso all'azione. Il primo momento è qualificato dalla riflessione e dalla consultazione per studiare l'argomento richiedendo i necessari pareri; il secondo è il momento valutativo dell'analisi e del giudizio sulla realtà alla luce del progetto di Dio; il terzo momento, quello della decisione, si basa sulle precedenti fasi, che rendono possibile il discernimento tra le azioni da compiere. 548 La prudenza rende capaci di prendere decisioni coerenti, con realismo e senso di responsabilità nei confronti delle conseguenze delle proprie azioni. La visione assai diffusa che identifica la prudenza con l'astuzia, il calcolo utilitaristico, la diffidenza, oppure con la pavidità e l'indecisione, è assai lontana dalla retta concezione di questa virtù, propria della ragione pratica, che aiuta a decidere con assennatezza e coraggio le azioni da compiere, divenendo misura delle altre virtù. La prudenza afferma il bene come dovere e mostra il modo con cui la persona si determina a compierlo. Essa è, in definitiva, una virtù che esige l'esercizio maturo del pensiero e della responsabilità, nell'obiettiva conoscenza della situazione e nella retta volontà che guida alla decisione. Dottrina sociale ed esperienza associativa 549 La dottrina sociale della Chiesa deve entrare, come parte integrante, nel cammino formativo del fedele laico. L'esperienza dimostra che il lavoro di formazione è possibile, normalmente, all'interno delle aggregazioni laicali ecclesiali, che rispondono a precisi criteri di ecclesialità: " Anche ; gruppi, le associazioni e i movimenti hanno un loro posto nella formazione dei fedeli laici: hanno, infatti, la possibilità, ciascuno con i propri metodi, di offrire una formazione profondamente inserita nella stessa esperienza di vita apostolica, come pure hanno l'opportunità di integrare, concretizzare e specificare la formazione che i loro aderenti ricevono da altre persone e comunità ". La dottrina sociale della Chiesa sostiene e illumina il ruolo delle associazioni, dei movimenti e dei gruppi laicali impegnati a vivificare cristianamente i vari settori dell'ordine temporale: "La comunione ecclesiale, già presente e operante nell'azione della singola persona, trova una sua specifica espressione nell'operare associato dei fedeli laici, ossia nell'azione solidale da essi svolta nel partecipare responsabilmente alla vita e alla missione della Chiesa". 550 La dottrina sociale della Chiesa è importantissima per le aggregazioni ecclesiali che hanno come obiettivo del loro impegno l'azione pastorale in ambito sociale. Esse costituiscono un punto di riferimento privilegiato in quanto operano nella vita sociale in conformità alla loro fisionomia ecclesiale e dimostrano, in questo modo, quanto sia rilevante il valore della preghiera, della riflessione e del dialogo per affrontare le realtà sociali e per migliorarle. Vale, in ogni caso, la distinzione " tra quello che i fedeli operano a nome proprio, sia da soli che associati, come cittadini guidati dalla coscienza cristiana, e quello che compiono a nome della Chiesa assieme ai loro pastori". Anche le associazioni di categoria, che uniscono gli aderenti in nome della vocazione e della missione cristiana all'interno di un determinato ambiente professionale o culturale, possono svolgere un prezioso lavoro di maturazione cristiana. Così - ad esempio - una associazione cattolica di medici forma i suoi aderenti attraverso l'esercizio del discernimento di fronte ai tanti problemi che la scienza medica, la biologia ed altre scienze presentano alla competenza professionale del medico, ma anche alla sua coscienza e alla sua fede. Altrettanto si potrà dire di associazioni di insegnanti cattolici, di giuristi, di imprenditori, di lavoratori, ma anche di sportivi, di ecologisti… È in tale contesto che la dottrina sociale rivela la sua efficacia formativa nei confronti della coscienza di ciascuna persona e della cultura di un Paese. Il servizio nei diversi ambiti della vita sociale 551 La presenza del fedele laico in campo sociale è caratterizzata dal servizio, segno ed espressione della carità, che si manifesta nella vita familiare, culturale, lavorativa, economica, politica, secondo profili specifici: ottemperando alle diverse esigenze del loro particolare ambito di impegno, i fedeli laici esprimono la verità della loro fede e, nello stesso tempo, la verità della dottrina sociale della Chiesa, che trova la sua piena realizzazione quando è vissuta in termini concreti per la soluzione dei problemi sociali. La stessa credibilità della dottrina sociale risiede infatti nella testimonianza delle opere, prima che nella sua coerenza e logica interna. Entrati nel terzo millennio dell'era cristiana, i fedeli laici si apriranno con la loro testimonianza a tutti gli uomini con i quali si faranno carico degli appelli più pressanti del nostro tempo: " Quanto viene proposto da questo Sacro Concilio dai tesori della dottrina della Chiesa intende aiutare tutti gli uomini dei nostri tempi, sia che credano in Dio sia che non lo riconoscano esplicitamente, affinché, percependo più chiaramente la loro vocazione integrale, rendano il mondo più conforme all'eminente dignità dell'uomo, aspirino a una fratellanza universale e motivata più profondamente e, sotto l'impulso dell'amore, rispondano con uno sforzo generoso e comune agli appelli più pressanti della nostra epoca". Il servizio alla persona umana 552 Tra gli ambiti dell'impegno sociale dei fedeli laici emerge anzitutto il servizio alla persona umana: la promozione della dignità di ogni persona, il bene più prezioso che l'uomo possiede, è il compito " essenziale, anzi, in un certo senso, il compito centrale e unificante del servizio che la Chiesa e, in essa, i fedeli laici sono chiamati a rendere alla famiglia degli uomini". La prima forma in cui si assolve tale compito consiste nell'impegno e nello sforzo per il proprio rinnovamento interiore, perché la storia dell'umanità non è mossa da un determinismo impersonale, ma da una costellazione di soggetti dai cui atti liberi dipende l'ordine sociale. Le istituzioni sociali non garantiscono da sé, quasi meccanicamente, il bene di tutti: "l'interno rinnovamento dello spirito cristiano" deve precedere l'impegno di migliorare la società " secondo lo spirito della Chiesa, rassodandovi la giustizia e la carità sociale". Dalla conversione del cuore scaturisce la sollecitudine per l'uomo amato come fratello. Questa sollecitudine fa comprendere come un obbligo l'impegno di risanare le istituzioni, le strutture e le condizioni di vita contrarie alla dignità umana. I fedeli laici devono perciò adoperarsi contemporaneamente per la conversione dei cuori e per il miglioramento delle strutture, tenendo conto della situazione storica e usando mezzi leciti, al fine di ottenere istituzioni in cui la dignità di tutti gli uomini sia veramente rispettata e promossa. 553 La promozione della dignità umana implica anzitutto l'affermazione dell'inviolabile diritto alla vita, dal concepimento sino alla morte naturale, il primo tra tutti e condizione per tutti gli altri diritti della persona. Il rispetto della dignità personale esige, inoltre, il riconoscimento della dimensione religiosa dell'uomo, che non è "un'esigenza semplicemente "confessionale", bensì un'esigenza che trova la sua radice inestirpabile nella realtà stessa dell'uomo". Il riconoscimento effettivo del diritto alla libertà di coscienza e alla libertà religiosa è uno dei beni più alti e dei doveri più gravi di ogni popolo che voglia veramente assicurare il bene della persona e della società. Nell'attuale contesto culturale, singolare urgenza assume l'impegno a difendere il matrimonio e la famiglia, che può essere assolto adeguatamente solo nella convinzione del valore unico e insostituibile di queste realtà in ordine all'autentico sviluppo della convivenza umana. Il servizio alla cultura 554 La cultura deve costituire un campo privilegiato di presenza e di impegno per la Chiesa e per i singoli cristiani. Il distacco tra la fede cristiana e la vita quotidiana è giudicato dal Concilio Vaticano II come uno degli errori più gravi del nostro tempo. Lo smarrimento dell'orizzonte metafisico; la perdita della nostalgia di Dio nel narcisismo autoreferenziale e nella dovizia di mezzi di uno stile di vita consumistico; il primato assegnato alla tecnologia e alla ricerca scientifica fine a se stessa; l'enfatizzazione dell'apparire, della ricerca dell'immagine, delle tecniche di comunicazione: tutti questi fenomeni devono essere compresi nei loro aspetti culturali e messi in rapporto con il tema centrale della persona umana, della sua crescita integrale, della sua capacità di comunicazione e di relazione con gli altri uomini, del suo continuo interrogarsi sulle grandi questioni che attraversano l'esistenza. Si tenga presente che "la cultura è ciò per cui l'uomo diventa più uomo, "è" di più, accede di più all'"essere"". 555 Un particolare campo di impegno dei fedeli laici deve essere la coltivazione di una cultura sociale e politica ispirata al Vangelo. La storia recente ha mostrato la debolezza e il radicale fallimento di prospettive culturali che sono state a lungo condivise e vincenti, in particolare a livello sociale e politico. In questo ambito, specialmente nei decenni posteriori alla Seconda Guerra Mondiale, i cattolici, in diversi Paesi, hanno saputo sviluppare un impegno alto, che testimonia, oggi con evidenza sempre maggiore, la consistenza della loro ispirazione e del loro patrimonio di valori. L'impegno sociale e politico dei cattolici, infatti, non è mai limitato alla sola trasformazione delle strutture, perché lo percorre alla base una cultura che accoglie e rende ragione delle istanze che derivano dalla fede e dalla morale, ponendole a fondamento e obiettivo di progettualità concrete. Quando questa consapevolezza viene meno, gli stessi cattolici si condannano alla diaspora culturale e rendono insufficienti e riduttive le loro proposte. Presentare in termini culturali aggiornati il patrimonio della Tradizione cattolica, i suoi valori, i suoi contenuti, l'intera eredità spirituale, intellettuale e morale del cattolicesimo è anche oggi l'urgenza prioritaria. La fede in Gesù Cristo, che ha definito se stesso " la via, la verità e la vita" ( Gv 14,6 ), spinge i cristiani a cimentarsi con impegno sempre rinnovato nella costruzione di cultura sociale e politica ispirata al Vangelo. 556 La perfezione integrale della persona e il bene di tutta la società sono i fini essenziali della cultura: la dimensione etica della cultura è quindi una priorità nell'azione sociale e politica dei fedeli laici. La disattenzione verso tale dimensione trasforma facilmente la cultura in uno strumento di impoverimento dell'umanità. Una cultura può diventare sterile e avviarsi a decadenza, quando " si chiude in se stessa e cerca di perpetuare forme di vita invecchiate, rifiutando ogni scambio e confronto intorno alla verità dell'uomo". La formazione di una cultura capace di arricchire l'uomo richiede invece il coinvolgimento di tutta la persona, la quale vi esplica la sua creatività, la sua intelligenza, la sua conoscenza del mondo e degli uomini e vi investe, inoltre, la sua capacità di autodominio, di sacrificio personale, di solidarietà e di disponibilità a promuovere il bene comune. 557 L'impegno sociale e politico del fedele laico in ambito culturale assume oggi alcune direzioni precise. La prima è quella che cerca di garantire a ciascuno il diritto di tutti a una cultura umana e civile "conforme alla dignità della persona, senza discriminazione di razza, di sesso, di nazione, di religione o di condizione sociale". Tale diritto implica il diritto delle famiglie e delle persone ad una scuola libera e aperta; la libertà di accesso ai mezzi di comunicazione sociale, per la quale va evitata ogni forma di monopolio e di controllo ideologico; la libertà di ricerca, di divulgazione del pensiero, di dibattito e di confronto. Alla radice della povertà di tanti popoli ci sono anche varie forme di privazione culturale e di mancato riconoscimento dei diritti culturali. L'impegno per l'educazione e la formazione della persona costituisce da sempre la prima sollecitudine dell'azione sociale dei cristiani. 558 La seconda sfida all'impegno del fedele laico riguarda il contenuto della cultura, ossia la verità. La questione della verità è essenziale per la cultura, perché permane " per ogni uomo il dovere di ritenere il concetto di persona umana integrale, nella quale eccellono i valori dell'intelligenza, della volontà, della coscienza e della fraternità". Una corretta antropologia è il criterio di illuminazione e di verifica per tutte le forme culturali storielle. L'impegno del cristiano in ambito culturale si oppone a tutte le visioni riduttive e ideologiche dell'uomo e della vita. Il dinamismo di apertura alla verità è garantito anzitutto dal fatto che "le culture delle diverse Nazioni sono, in fondo, altrettanti modi di affrontare la domanda circa il senso dell'esistenza personale". 559 I cristiani devono prodigarsi per dare piena valorizzazione alla dimensione religiosa della cultura; tale compito è molto importante e urgente per la qualità della vita umana, a livello individuale e sociale. La domanda che proviene dal mistero della vita e rimanda al mistero più grande, quello di Dio, infatti, sta al centro di ogni cultura; quando la si elimina, si corrompono la cultura e la vita morale delle Nazioni. L'autentica dimensione religiosa è costitutiva dell'uomo e gli permette di aprire alle sue svariate attività l'orizzonte in cui esse trovano significato e direzione. La religiosità o spiritualità dell'uomo si manifesta nelle forme della cultura, alle quali dona vitalità e ispirazione. Ne sono testimonianza le innumerevoli opere d'arte di tutti i tempi. Quando è negata la dimensione religiosa di una persona o di un popolo, è mortificata la cultura stessa; talvolta si giunge al punto di farla scomparire. 560 Nella promozione di un 'autentica cultura, i fedeli laici riserveranno grande rilievo ai mezzi di comunicazione di massa, considerando soprattutto i contenuti delle innumerevoli scelte operate dalle persone; tali scelte, pur variando da gruppo a gruppo e da individuo a individuo, hanno tutte un peso morale e sotto questo profilo devono essere valutate. Per scegliere correttamente, bisogna conoscere le norme dell'ordine morale e applicarle fedelmente. La Chiesa offre una lunga tradizione di saggezza, radicata nella Rivelazione divina e nella riflessione umana, il cui orientamento teologico funge da importante correttivo sia nei confronti della " soluzione "atea", che priva l'uomo di una delle sue componenti fondamentali, quella spirituale, quanto nei confronti delle soluzioni permissive e consumistiche, le quali con vari pretesti mirano a convincerlo della sua indipendenza da ogni legge e da Dio". Più che giudicare i mezzi di comunicazione sociale, questa tradizione si pone al loro servizio: "la cultura della sapienza, propria della Chiesa, può evitare che la cultura dell'informazione dei mezzi di comunicazione sociale divenga un accumularsi di fatti senza senso". 561 I fedeli laici guarderanno ai media come a possibili e potenti strumenti di solidarietà: " La solidarietà appare come una conseguenza di una comunicazione vera e giusta, e di una libera circolazione delle idee, che favoriscono la conoscenza ed il rispetto degli altri". Ciò non avviene se i mezzi di comunicazione sociale vengono usati per edificare e sostenere sistemi economici al servizio dell'avidità e della bramosia. Di fronte a gravi ingiustizie, la decisione di ignorare del tutto alcuni aspetti della sofferenza umana rispecchia una selezione indifendibile. Le strutture e le politiche di comunicazione e la distribuzione della tecnologia sono fattori che contribuiscono a far sì che alcune persone siano "ricche" di informazione e altre "povere" di informazione, in un'epoca in cui la prosperità e perfino la sopravvivenza dipendono dall'informazione. In tal modo, dunque, i mezzi di comunicazione sociale contribuiscono alle ingiustizie e agli squilibri che causano quello stesso dolore che poi riportano come informazione. La tecnologia della comunicazione e dell'informazione, insieme alla formazione nel loro uso, devono mirare ad eliminare queste ingiustizie e questi squilibri. 562 I professionisti dei mezzi di comunicazione sociale non sono gli unici ad avere doveri etici. Anche i fruitori hanno obblighi. Gli operatori che tentano di assumersi delle responsabilità meritano un pubblico consapevole delle proprie. Il primo dovere degli utenti delle comunicazioni sociali consiste nel discernimento e nella selezione. I genitori, le famiglie e la Chiesa hanno responsabilità precise e irrinunciabili. Per quanti operano a vario titolo nel campo delle comunicazioni sociali risuona forte e chiaro l'ammonimento di san Paolo: " Perciò, bando alla menzogna: dite ciascuno la verità al proprio prossimo; perché siamo membra gli uni degli altri… Nessuna parola cattiva esca più dalla vostra bocca; ma piuttosto, parole buone che possano servire per la necessaria edificazione, giovando a quelli che ascoltano" ( Ef 4,25.29 ). Il servizio alla persona mediante l'edificazione di una comunità umana basata sulla solidarietà, sulla giustizia e sull'amore e la diffusione della verità sulla vita umana e sul suo compimento finale in Dio sono le essenziali esigenze etiche dei mezzi di comunicazione sociale. Alla luce della fede, la comunicazione umana si deve considerare un percorso da Babele alla Pentecoste, ovvero l'impegno, personale e sociale, di superare il collasso della comunicazione ( Gen 11,4-8 ) aprendosi al dono delle lingue ( At 2,5-11 ), alla comunicazione ripristinata dalla forza dello Spirito, inviato dal Figlio. Il servizio all'economia 563 Davanti alla complessità del contesto economico contemporaneo, il fedele laico si farà guidare nella sua azione dai principi del Magistero sociale. È necessario che essi siano conosciuti e accolti nell'attività economica stessa: quando tali principi sono disattesi, primo fra tutti la centralità della persona umana, si compromette la qualità dell'attività economica. L'impegno del cristiano si tradurrà anche in uno sforzo di riflessione culturale finalizzata soprattutto a un discernimento riguardante gli attuali modelli di sviluppo economico-sociale. La riduzione della questione dello sviluppo a problema esclusivamente tecnico produrrebbe uno svuotamento del suo vero contenuto che invece riguarda " la dignità dell'uomo e dei popoli". 564 I cultori della scienza economica, gli operatori del settore e i responsabili politici devono avvertire l'urgenza di un ripensamento dell'economia, considerando, da una parte, la drammatica povertà materiale di miliardi di persone e, dall'altra, il fatto che "le attuali strutture economiche, sociali e culturali faticano a farsi carico delle esigenze di un autentico sviluppo". Le legittime esigenze dell'efficienza economica dovranno essere meglio armonizzate con quelle della partecipazione politica e della giustizia sociale. In concreto, ciò significa intessere di solidarietà le reti delle interdipendenze economiche, politiche e sociali, che i processi di globalizzazione in atto tendono ad accrescere. In tale sforzo di ripensamento, che si profila articolato ed è destinato a incidere sulle concezioni della realtà economica, risultano preziose le aggregazioni di ispirazione cristiana che si muovono nell'ambito economico: associazioni di lavoratori, di imprenditori, di economisti. Il servizio alla politica 565 Per i fedeli laici l'impegno politico è un'espressione qualificata ed esigente dell'impegno cristiano al servizio degli altri. Il perseguimento del bene comune in uno spirito di servizio; lo sviluppo della giustizia con un'attenzione particolare verso le situazioni di povertà e sofferenza; il rispetto dell'autonomia delle realtà terrene; il principio di sussidiarietà; la promozione del dialogo e della pace nell'orizzonte della solidarietà: sono questi gli orientamenti a cui i cristiani laici devono ispirare la loro azione politica. Tutti i credenti, in quanto titolari dei diritti e doveri della cittadinanza, sono tenuti al rispetto di tali orientamenti; coloro che hanno compiti diretti e istituzionali nella gestione delle complesse problematiche della cosa pubblica, sia nelle amministrazioni locali, sia nelle istituzioni nazionali e internazionali, ne dovranno specialmente tener conto. 566 I compiti di responsabilità nelle istituzioni sociali e politiche esigono un impegno severo e articolato, che sappia evidenziare, con i contributi di riflessione al dibattito politico, con la progettazione e con le scelte operative, l'assoluta necessità di una qualificazione morale della vita sociale e politica. Un'attenzione inadeguata verso la dimensione morale conduce alla disumanizzazione della vita associata e delle istituzioni sociali e politiche, consolidando le " strutture di peccato ": " Vivere ed agire politicamente in conformità alla propria coscienza non è un succube adagiarsi su posizioni estranee all'impegno politico o su una forma di confessionalismo, ma l'espressione con cui i cristiani offrono il loro coerente apporto perché attraverso la politica si instauri un ordinamento più giusto e coerente con la dignità della persona umana". 567 Nel contesto dell'impegno politico del fedele laico, richiede una precisa cura la preparazione all'esercizio del potere, che i credenti devono assumersi, specialmente quando sono chiamati a tale incarico dalla fiducia dei concittadini, secondo le regole democratiche. Essi devono apprezzare il sistema della democrazia, "in quanto assicura la partecipazione dei cittadini alle scelte politiche e garantisce ai governati la possibilità sia di eleggere e controllare i propri governanti, sia di sostituirli in modo pacifico, ove ciò risulti opportuno", e respingere gruppi occulti di potere che mirano a condizionare o a sovvertire il funzionamento delle legittime istituzioni. L'esercizio dell'autorità deve assumere il carattere del servizio, da svolgere sempre nell'ambito della legge morale per il conseguimento del bene comune: chi esercita l'autorità politica deve far convergere le energie di tutti i cittadini verso tale obiettivo, non in forma autoritaria, ma avvalendosi della forza morale alimentata dalla libertà. 568 Il fedele laico è chiamato a individuare, nelle concrete situazioni politiche, i passi realisticamente possibili per dare attuazione ai principi e ai valori morali propri della vita sociale. Ciò esige un metodo di discernimento, personale e comunitario, articolato attorno ad alcuni punti nodali: la conoscenza delle situazioni, analizzate con l'aiuto delle scienze sociali e degli strumenti adeguati; la riflessione sistematica sulle realtà, alla luce del messaggio immutabile del Vangelo e dell'insegnamento sociale della Chiesa; l'individuazione delle scelte orientale a far evolvere in senso positivo la situazione presente. Dalla profondità dell'ascolto e dell'interpretazione della realtà possono nascere scelte operative concrete ed efficaci; ad esse, tuttavia, non si deve mai attribuire un valore assoluto, perché nessun problema può essere risolto in modo definitivo: "la fede non ha mai preteso di imbrigliare in un rigido schema i contenuti socio politici, consapevole che la dimensione storica in cui l'uomo vive impone di verificare la presenza di situazioni non perfette e spesso rapidamente mutevoli". 569 Una situazione emblematica per l'esercizio del discernimento è costituita dal funzionamento del sistema democratico, oggi concepito da molti in ma prospettiva agnostica e relativistica, che induce a ritenere la verità come prodotto determinato dalla maggioranza e condizionato dagli equilibri politici. In un simile contesto, il discernimento è particolarmente impegnativo quando si esercita in ambiti come l'obiettività e la correttezza delle informazioni, la ricerca scientifica o le scelte economiche che incidono sulla vita dei più poveri o in realtà che rimandano a esigenze morali fondamentali e irrinunciabili, quali la sacralità della vita, l'indissolubilità del matrimonio, la promozione della famiglia fondata sul matrimonio monogamico tra persone di sesso diverso. In tale situazione sono utili alcuni fondamentali criteri: la distinzione e insieme la connessione tra l'ordine legale e l'ordine morale; la fedeltà alla propria identità e, nello stesso tempo, la disponibilità al dialogo con tutti; la necessità che nel giudizio e nell'impegno sociale il cristiano si riferisca alla triplice e inscindibile fedeltà ai valori naturali, rispettando la legittima autonomia delle realtà temporali, ai valori morali, promuovendo la consapevolezza dell'intrinseca dimensione etica di ogni problema sociale e politico, ai valori soprannaturali, realizzando il suo compito nello spirito del Vangelo di Gesù Cristo. 570 Quando in ambiti e realtà che rimandano a esigenze etiche fondamentali si propongono o si effettuano scelte legislative e politiche contrarie ai principi e ai valori cristiani, il Magistero insegna che " la coscienza cristiana ben formata non permette a nessuno di favorire con il proprio voto l'attuazione di un programma politico o di una singola legge in cui i contenuti fondamentali della fede e della morale siano sovvertiti dalla presentazione di proposte alternative o contrarie a tali contenuti" Nella considerazione del caso in cui non sia stato possibile scongiurare l'attuazione di tali programmi politici o impedire o abrogare tali leggi, il Magistero insegna che un parlamentare, la cui personale assoluta opposizione ad essi fosse chiara e a tutti nota, potrebbe lecitamente offrire il proprio sostegno a proposte mirate a limitare i danni di tali programmi e di tali leggi e a diminuire gli effetti negativi sul piano della cultura e della moralità pubblica. A questo riguardo, risulta emblematico il caso di una legge abortista. Il suo voto, in ogni caso, non può essere interpretato come adesione a una legge iniqua, ma solo come un contributo per ridurre le conseguenze negative di un provvedimento legislativo la cui intera responsabilità risale a chi l'ha messo in essere. Si tenga presente che, di fronte alle molteplici situazioni in cui sono in gioco esigenze morali fondamentali e irrinunciabili, la testimonianza cristiana deve essere ritenuta un dovere inderogabile che può giungere fino al sacrificio della vita, al martirio, in nome della carità e della dignità umaraa. La storia di venti secoli, anche quella dell'ultimo, è ricca di martiri della verità cristiana, testimoni di fede, di speranza, di carità evangeliche. Il martirio è la testimonianza della propria conformazione personale a Gesù crocifisso, che si esprime sino alla forma suprema del versare il proprio sangue, secondo l'insegnamento evangelico: " se il chicco di grano caduto in terra… muore, produce molto frutto" ( Gv 12,24 ). 571 L'impegno politico dei cattolici è spesso messo in relazione alla " laicità", ossia la distinzione tra la sfera politica e quella religiosa Tale distinzione " è un valore acquisito e riconosciuto dalla Chiesa e appartiene al patrimonio di civiltà che è stato raggiunto". La dottrina morale cattolica, tuttavia, esclude nettamente la prospettiva di una laicità intesa come autonomia dalla legge morale: " La "laicità", infatti, indica in primo luogo l'atteggiamento di chi rispetta le verità che scaturiscono dalla conoscenza naturale sull'uomo che vive in società, anche se tali verità siano nello stesso tempo insegnate da una religione specifica, poiché la verità è una". Cercare sinceramente la verità, promuovere e difendere con mezzi leciti le verità morali riguardanti la vita sociale - la giustizia, la libertà, il rispetto della vita e degli altri diritti della persona - è diritto e dovere di tutti i mèmbri di una comunità sociale e politica. Quando il Magistero della Chiesa interviene su questioni inerenti alla vita sociale e politica, non viene meno alle esigenze di una corretta interpretazione della laicità, perché " non vuole esercitare un potere politico ne eliminare la libertà d'opinione dei cattolici su questioni contingenti. Esso intende invece - come è suo proprio compito - istruire e illuminare la coscienza dei fedeli, soprattutto di quanti si dedicano all'impegno nella vita politica, perché il loro agire sia sempre al servizio della promozione integrale della persona e del bene comune. L'insegnamento sociale della Chiesa non è un'intromissione nel governo dei singoli Paesi. Pone certamente un dovere morale di coerenza per i fedeli laici, inferiore alla loro coscienza, che è unica e unitaria". 572 Il principio di laicità comporta il rispetto di ogni confessione religiosa da parte dello Stato, " che assicura il libero esercizio delle attività di culto, spirituali, culturali e caritative delle comunità dei credenti. In una società pluralista, la laicità è un luogo di comunicazione tra le diverse tradizioni spirituali e la nazione" Permangono purtroppo ancora, anche nelle società democratiche, espressioni di intollerante laicismo, che osteggiano ogni forma di rilevanza politica e culturale della fede, cercando di squalificare l'impegno sociale e politico dei cristiani, perché si riconoscono nelle verità insegnate dalla Chiesa e obbediscono al dovere morale di essere coerenti con la propria coscienza; si arriva anche e più radicalmente a negare la stessa etica naturale. Questa negazione, che prospetta una condizione di anarchia morale la cui conseguenza ovvia è la sopraffazione del più forte sul debole, non può essere accolta da alcuna forma di legittimo pluralismo, perché mina le basi stesse della convivenza umana. Alla luce di questo stato di cose, "la marginalizzazione del Cristianesimo… non potrebbe giovare al futuro progettuale di una società e alla concordia tra i popoli, ed anzi insidierebbe gli stessi fondamenti spirituali e culturali della civiltà". 573 Un ambito particolare di discernimento per i fedeli laici riguarda la scelta degli strumenti politici, ovvero l'adesione a un partito e alle altre espressioni della partecipazione politica. Bisogna operare una scelta coerente con i valori, tenendo conto delle effettive circostanze. In ogni caso, qualsiasi scelta va comunque radicata nella carità e protesa alla ricerca del bene comune. Le istanze della fede cristiana difficilmente sono rintracciabili in un'unica collocazione politica: pretendere che un partito o uno schieramento politico corrispondano completamente alle esigenze della fede e della vita cristiana ingenera equivoci pericolosi. Il cristiano non può trovare un partito pienamente rispondente alle esigenze etiche che nascono dalla fede e dall'appartenenza alla Chiesa: la sua adesione a uno schieramento politico non sarà mai ideologica, ma sempre critica, affinché il partito e il suo progetto politico siano stimolati a realizzare forme sempre più attente a ottenere il vero bene comune, ivi compreso il fine spirituale dell'uomo. 574 La distinzione, da un lato, tra istanze della fede e opzioni socio-politiche e, da un altro lato, tra scelte dei singoli cristiani e quelle compiute della comunità cristiana in quanto tale, comporta che l'adesione a un partito o schieramento politico sia considerata una decisione a titolo personale, legittima almeno nei limiti di partiti e posizioni non incompatibili con la fede e i valori cristiani La scelta del partito, dello schieramento, delle persone cui affidare la vita pubblica, pur impegnando la coscienza di ciascuno, non potrà comunque essere una scelta esclusivamente individuale: " Spetta alle comunità cristiane analizzare obiettivamente la situazione del loro paese, chiarirla alla luce delle parole immutabili del Vangelo, attingere principi di riflessione, criteri di giudizio e direttive di azione nell'insegnamento sociale della Chiesa". In ogni caso, "a nessuno è lecito rivendicare esclusivamente a favore della propria opinione l'autorità della Chiesa": i credenti devono cercare piuttosto "di comprendersi a vicenda con un dialogo sincero, conservando sempre la mutua carità e solleciti per prima cosa del bene comune". L'aiuto della Chiesa all'uomo contemporaneo 575 Un nuovo bisogno di senso è diffusamente avvertito e vissuto nella società contemporanea: " L'uomo desidererà sempre sapere, almeno confusamente, quale sia il significato della sua vita, del suo lavoro e della sua morte". Risultano ardui i tentativi di rispondere all'esigenza di progettare l'avvenire nel nuovo contesto delle relazioni internazionali, sempre più complesse e interdipendenti, ma anche sempre meno ordinate e pacifiche. Vita e morte delle persone sembrano affidate unicamente al progresso scientifico e tecnologico che avanza assai più velocemente della capacità umana di stabilirne i fini e di valutarne i costi. Molti fenomeni indicano, invece, che " il senso di crescente insoddisfazione che si diffonde nelle comunità nazionali ad alto livello di vita dissolve l'illusione di un sognato paradiso in terra, nello stesso tempo però si fa… più chiara la coscienza di diritti inviolabili ed universali della persona, e più viva l'aspirazione a rapporti più giusti e più umani". 576 Agli interrogativi di fondo sul senso e sul fine dell'umana avventura risponde la Chiesa con l'annuncio del Vangelo di Cristo, che sottrae la dignità della persona umana al fluttuare delle opinioni, assicurando la libertà dell'uomo come nessuna legge umana può fare. Il Concilio Vaticano II indicò che la missione della Chiesa nel mondo contemporaneo consiste nell'aiutare ogni essere umano a scoprire in Dio il significato ultimo della sua esistenza: la Chiesa sa bene che "Dio solo, al quale essa serve, risponde ai più profondi desideri del cuore umano, che mai può essere pienamente saziato dal pane terreno ". Soltanto Dio, il quale ha creato l'uomo a Sua immagine e lo ha redento dal peccato, può offrire agli interrogativi umani più radicali una risposta pienamente adeguata per mezzo della Rivelazione compiuta nel Figlio Suo fatto uomo: il Vangelo, infatti, "annunzia e proclama la libertà dei figli di Dio, respinge ogni schiavitù che deriva in ultima analisi dal peccato, rispetta scrupolosamente la dignità della coscienza e la sua libera decisione, esorta senza sosta a raddoppiare tutti i talenti umani nel servizio di Dio e a vantaggio degli uomini, infine raccomanda tutti alla carità di tutti". Ripartire dalla fede in Cristo 577 La fede in Dio e in Gesù Cristo illumina i principi morali che sono " l'unico e insostituibile fondamento di quella stabilità e tranquillità, di quell'ordine interno ed esterno, privato e pubblico, che solo può generare e salvaguardare la prosperità degli Stati". La vita sociale va ancorata al disegno divino: " La dimensione teologica risulta necessaria sia per interpretare che per risolvere gli attuali problemi della convivenza umana ". Di fronte alle gravi forme di sfruttamento e di ingiustizia sociale "si fa sempre più diffuso e acuto il bisogno di un radicale rinnovamento personale e sociale capace di assicurare giustizia, solidarietà, onestà, trasparenza. Certamente lunga e faticosa è la strada da percorrere; numerosi e ingenti sono gli sforzi da compiere perché si possa attuare un simile rinnovamento, anche per la molteplicità e la gravita delle cause che generano e alimentano le situazioni di ingiustizia oggi presenti nel mondo. Ma, come la storia e l'esperienza di ciascuno insegnano, non è difficile ritrovare alla base di queste situazioni cause propriamente "culturali", collegate cioè con determinate visioni dell'uomo, della società e del mondo. In realtà, al cuore della questione culturale sta il senso morale, che a sua volta si fonda e si compie nel senso religioso". Anche per quanto riguarda la "questione sociale", non si può accettare "la prospettiva ingenua che, di fronte alle grandi sfide del nostro tempo, possa esserci una formula magica. No, non una formula ci salverà, ma una Persona, e la certezza che essa ci infonde: Io sono con voi! Non si tratta, allora, di inventare un "nuovo programma". Il programma c'è già: è quello di sempre, raccolto dal Vangelo e dalla viva Tradizione. Esso si incentra, in ultima analisi, in Cristo stesso, da conoscere, amare, imitare, per vivere in Lui la vita trinitaria, e trasformare con Lui la storia fino al suo compimento nella Gerusalemme celeste". Una salda speranza 578 La Chiesa insegna all'uomo che Dio gli offre la reale possibilità di superare il male e di raggiungere il bene. Il Signore ha redento l'uomo, lo ha riscattato "a caro prezzo" ( 1 Cor 6,20 ). Il senso e il fondamento dell'impegno cristiano nel mondo derivano da tale certezza, capace di accendere la speranza, nonostante il peccato che segna profondamente la storia umana: la promessa divina garantisce che il mondo non resta chiuso in se stesso, ma è aperto al Regno di Dio. La Chiesa conosce gli effetti del "mistero dell'iniquità" ( 2 Ts 2,7 ), ma sa anche che "ci sono nella persona umana sufficienti qualità ed energie, c'è una fondamentale "bontà" ( Gen 1,31 ), perché è immagine del Creatore, posta sotto l'influsso redentore di Cristo, "che si è unito in certo modo ad ogni uomo", e perché l'azione efficace dello Spirito Santo "riempie la terra" ( Sap 1,7 )". 579 La speranza cristiana imprime un grande slancio all'impegno in campo sociale, infondendo fiducia nella possibilità di costruire un mondo migliore, nella consapevolezza che non può esistere un "paradiso in terra". I cristiani, specialmente i fedeli laici, sono esortati a comportarsi in modo che "la forza del Vangelo risplenda nella vita quotidiana, familiare e sociale. Essi si dimostrano come figli della promessa se, forti nella fede e nella speranza, profittano del tempo presente ( Ef 5,16; Col 4,5 ) e attendono con perseveranza la gloria futura ( Rm 8,25 ). E non nascondano questa speranza nell'interiorità del loro animo, ma con la continua conversione e la battaglia "contro i dominatori di questo mondo di tenebra, contro gli spiriti del male" ( Ef 6,12 ) la esprimano anche nelle strutture della vita secolare". Le motivazioni religiose di tale impegno possono non essere condivise, ma le convinzioni morali che ne discendono costituiscono un punto di incontro tra i cristiani e tutti gli uomini di buona volontà. Costruire la " civiltà dell'amore " 580 Finalità immediata della dottrina sociale è quella di proporre i principi e i valori che possono sorreggere una società degna dell'uomo. Tra questi principi, quello della solidarietà in qualche misura comprende tutti gli altri: esso costituisce " uno dei principi basilari della concezione cristiana dell'organizzazione sociale e politica". Tale principio viene illuminato dal primato della carità " che è il segno distintivo dei discepoli di Cristo ( Gv 13,35 )". Gesù "ci insegna che la legge fondamentale della perfezione umana, e quindi della trasformazione del mondo, è il nuovo comandamento della carità" ( Mt 22,40; Gv 15,12; Col 3,14; Gc 2,8 ). Il comportamento della persona è pienamente umano quando nasce dall'amore, manifesta l'amore, ed è ordinato all'amore. Questa verità vale anche in ambito sociale: occorre che i cristiani ne siano testimoni profondamente convinti e sappiano mostrare, con la loro vita, come l'amore sia l'unica forza ( 1 Cor 12,31-14,1 ) che può guidare alla perfezione personale e sociale e muovere la storia verso il bene. 581 L'amore deve essere presente e penetrare tutti i rapporti sociali: specialmente coloro che hanno il dovere di provvedere al bene dei popoli " alimentino in sé e accendano negli altri, nei grandi e nei piccoli, la carità, signora e regina di tutte le virtù. La salvezza desiderata dev'essere principalmente frutto di una effusione di carità; intendiamo dire quella carità cristiana che compendia in sé tutto il Vangelo e che, pronta sempre a sacrificarsi per il prossimo, è il più sicuro antidoto contro l'orgoglio e l'egoismo del secolo". Questo amore può essere chiamato "carità sociale" o "carità politica" e deve essere esteso all'intero genere umano. L'" amore sociale" si trova agli antipodi dell'egoismo e dell'individualismo: senza assolutizzare la vita sociale, come avviene nelle visioni appiattite sulle letture esclusivamente sociologiche, non si può dimenticare che lo sviluppo integrale della persona e la crescita sociale si condizionano vicendevolmente. L'egoismo, pertanto, è il più deleterio nemico di una società ordinata: la storia mostra quale devastazione dei cuori si produca quando l'uomo non è capace di riconoscere altro valore e altra realtà effettiva oltre i beni materiali, la cui ricerca ossessiva soffoca e preclude la sua capacità di donarsi. 582 Per rendere la società più umana, più degna della persona, occorre rivalutare l'amore nella vita sociale - a livello politico, economico, culturale - facendone la norma costante e suprema dell'agire. Se la giustizia " è di per sé idonea ad "arbitrare" tra gli uomini nella reciproca ripartizione dei beni oggettivi secondo l'equa misura, l'amore invece, e soltanto l'amore ( anche quell'amore benigno, che chiamiamo "misericordia" ), è capace di restituire l'uomo a se stesso". Non si possono regolare i rapporti umani unicamente con la misura della giustizia: "Il cristiano sa che l'amore è il motivo per cui Dio entra in rapporto con l'uomo. Ed è ancora l'amore che Egli s'attende come risposta dall'uomo. L'amore è perciò la forma più alta e più nobile di rapporto degli esseri umani tra loro. L'amore dovrà dunque animare ogni settore della vita umana, estendendosi anche all'ordine internazionale. Solo un'umanità nella quale regni la "civiltà dell'amore" potrà godere di una pace autentica e duratura". In questa prospettiva, il Magistero raccomanda vivamente la solidarietà perché è in grado di garantire il bene comune, aiutando lo sviluppo integrale delle persone: la carità "fa vedere nel prossimo un altro tè stesso". 583 Solo la carità può cambiare completamente l'uomo. Un simile cambiamento non significa annullamento della dimensione terrena in una spiritualità disincarnata. Chi pensa di conformarsi alla virtù soprannaturale dell'amore senza tener conto del suo corrispondente fondamento naturale, che include i doveri di giustizia, inganna se stesso: " La carità rappresenta il più grande comandamento sociale. Essa rispetta gli altri e i loro diritti. Esige la pratica della giustizia e soltanto essa ce ne rende capaci. Essa ispira una vita che si fa dono di sé: "Chi cercherà di salvare la propria vita la perderà, chi invece la perde la salverà" ( Lc 17,33 ) ". Ne la carità può esaurirsi nella sola dimensione terrena delle relazioni umane e dei rapporti sociali, perché deriva tutta la sua efficacia dal riferimento a Dio: " Alla sera di questa vita comparirò davanti a Tè con le mani vuote; infatti non ti chiedo, o Signore, di tener conto delle mie opere. Tutte le nostre giustizie non sono senza macchie ai tuoi occhi. Voglio perciò rivestirmi della tua giustizia e ricevere dal tuo amore l'eterno possesso di tè stesso…".