Auctorem fidei

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LXXXI. Parimenti in ciò che soggiunge, cioè che i Santi Tommaso e Bonaventura si comportarono in tal maniera nel difendere gl'Istituti dei mendicanti contro uomini sommi, che nelle loro difese si sarebbe desiderato meno fuoco e più precisione;

Scandalosa, ingiuriosa nei confronti dei santissimi dottori, favorevole alle empie contumelie di autori condannati.

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LXXXII. La regola seconda, per la quale "la molteplicità degli Ordini e la diversità devono naturalmente portare al disordine ed alla confusione"; e ciò che premette al § 4, "che i fondatori dei Regolari ( i quali vennero dopo le istituzioni monastiche ) accrescendo Ordini ad Ordini, Riforme a Riforme, altro non fecero che dilatare maggiormente la causa primaria del male";

Intendendo per Ordini ed Istituti quelli approvati dalla Santa Sede, quasi che la distinta varietà dei pii uffici, ai quali i distinti Ordini sono addetti, debba di sua natura produrre perturbazione e confusione;

Falsa, calunniosa, ingiuriosa contro i santi fondatori e i loro fedeli alunni, nonché contro gli stessi Sommi Pontefici.

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LXXXIII. La regola terza con la quale, dopo aver premesso che "un piccolo Corpo che vive nella società civile senza quasi farne parte, e fissa una piccola monarchia nello stato, è sempre un Corpo pericoloso", e accusa sotto questo nome i privati Monasteri uniti col vincolo del comune Istituto, particolarmente sotto un Capo, come altrettante speciali monarchie pericolose e nocive alla Repubblica civile;

Falsa, temeraria, ingiuriosa contro gl'istituti regolari approvati dalla Santa Sede a vantaggio della religione, favorevole alle maldicenze e alle calunnie degli eretici contro i medesimi istituti.

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Del sistema, ossia del complesso delle disposizioni compilato secondo le sopraddette regole, e compreso negli otto seguenti articoli per la riforma dei regolari.

§ 10.

LXXXIV. Artic.

1. Non dovrebbe esistere nella Chiesa che un solo Ordine.

Per gratitudine e per la sodezza del piano si dovrebbe scegliere la Regola di San Benedetto.

Il metodo di vita condotto presso Porto Reale fornirebbe indicazioni per aggiungervi o toglierne ciò che forse non converrebbe nelle presenti circostanze.

2. Gli appartenenti a questo sistema non dovrebbero avere alcuna ingerenza nella gerarchia ecclesiastica, perciò non avranno Chiese pubbliche, e non saranno Promossi agli Ordini Sacri o, al più, uno o due di essi saranno ordinati come Curati o Cappellani del Monastero; gli altri rimarranno nello stato di semplici laici.

3. Ogni città non dovrebbe avere che un solo Monastero, situato fuori di essa nei luoghi più solitari e lontani.

4. Tra le occupazioni della vita monastica dovrebbe essere assolutamente dedicata una parte al lavoro manuale, lasciando per altro un conveniente tempo alla salmodia e, per chi volesse, allo studio.

La salmodia dovrebbe essere moderata perché la soverchia lunghezza genera precipitazione, rincrescimento e dissipazione.

Quanto più crebbero le salmodie, le orazioni e le preci si diminuirono in ogni tempo in proporzione il fervore e la santità dei Regolari.

5. Non si dovrebbe ammettere alcuna distinzione di Monaci da coro o da servizio; questa disuguaglianza suscitò in ogni tempo gravissime liti e discordie, e bandì lo spirito di carità dalle comunità di Regolari.

6. Il voto di permanenza perpetua non dovrà mai essere consentito.

Gli antichi Monaci non lo conobbero, eppure furono la consolazione della Chiesa e l'ornamento del Cristianesimo.

I voti di castità, di povertà, di ubbidienza non si ammetteranno come regola comune e stabile, ma chiunque vorrà farli, o tutti o in parte, dovrà chiedere consiglio e licenza al Vescovo, il quale però non permetterà giammai che siano perpetui, né passeranno l'anno; si darà soltanto la facoltà di rinnovarli, ma alle stesse condizioni.

7. Il Vescovo potrà effettuare la più ampia ispezione sulla loro condotta, sui loro studii, sul loro avanzamento nella cristiana perfezione; a lui spetterà l'ammettere o lo scacciare i singoli, avendo tuttavia ascoltato in precedenza coloro che convivono nel monastero.

8. I Regolari degli Ordini che tuttora sussistono potrebbero essere ammessi nel monastero, benché Sacerdoti, qualora desiderassero attendere nel silenzio e nel ritiro alla propria santificazione.

In questo caso si potrebbe dispensare alla regola generale stabilita al numero secondo, in modo tale, però, che anche i Sacerdoti non avessero altro metodo di vita differente dagli altri, né si permetterà loro di celebrare, se non coerentemente alla regola sopra espressa, cioè che non vi sia più d'una, o al più due Messe per giorno; gli altri Sacerdoti dovranno essere contenti di concelebrare con la comunità.

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Similmente per la riforma delle monache.

§ 11. Non si ammetteranno voti perpetui fino a quaranta o quarantacinque anni.

Dette monache si applicheranno in cose concrete e specialmente nel lavoro, e si allontaneranno sopra ogni cosa dalla carnale spiritualità, che costituisce l'occupazione della maggior parte di loro.

Sarebbe solo a vedersi, se per esse convenisse lasciare il monastero nella città.

Sistema eversivo della disciplina vigente, sin dai tempi antichi approvata e applicata; pernicioso, opposto ed ingiurioso verso le costituzioni apostoliche, ed alle decisioni di più Concilii anche generali, e specialmente del Tridentino; favorevole alle maldicenze ed alle calunnie degli eretici contro i voti monastici e gl'istituti regolari addetti ad una più stabile professione dei consigli evangelici.

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Del Concilio nazionale da convocarsi.

Promemoria per la convocazione di un Concilio Nazionale, § 1.

LXXXV. La proposizione la quale dice che basta una qualche cognizione della storia ecclesiastica per dover ammettere che la convocazione di un Concilio nazionale è una delle strade canoniche per mettere fine nella Chiesa delle rispettive Nazioni alle controversie in materia di Religione;

Intesa nel senso che le controversie spettanti alla Fede, ed ai costumi nate in qualsivoglia Chiesa possano terminare con giudizio inconfutabile del Concilio nazionale, quasi che al Concilio nazionale competesse l'impossibilità di sbagliare nelle questioni di Fede e dei costumi;

Scismatica, eretica.

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Comandiamo dunque a tutti i fedeli dell'uno e dell'altro sesso che non presumano di pensare, insegnare e parlare intorno alle dette proposizioni e dottrine contro ciò che viene dichiarato in questa Nostra Costituzione, così che chiunque, congiuntamente o separatamente, insegnerà, difenderà, pubblicherà quelle, o alcuna di quelle, o anche ne tratterà disputando in pubblico o in privato, se non per combatterle, soggiaccia sul fatto stesso, senz'altra dichiarazione, alle censure ecclesiastiche e alle altre pene stabilite dal diritto contro chi commette simili cose.

Del resto con questa espressa riprovazione delle predette proposizioni e dottrine, non intendiamo approvare le altre cose contenute nel medesimo libro, essendo state particolarmente osservate in esso molte proposizioni e dottrine o affini a quelle che sono state condannate in precedenza, o tali che mostrano tanto un temerario disprezzo della comune dottrina e della disciplina approvate, quanto uno spirito sommamente avverso ai Romani Pontefici e all'Apostolica Sede.

Due cose poi giudichiamo degne di essere specialmente notate: che, a proposito del mistero della Santissima Trinità, § 2 del decreto della Fede, furono espresse nel Sinodo, se non con animo cattivo, certamente con imprudenza; esse possono facilmente trarre in inganno particolarmente gl'impreparati e gl'incauti.

La prima: dopo aver giustamente premesso che Iddio nel suo Essere rimane uno e semplicissimo, soggiunge subito che lo stesso Dio si distingue in tre Persone; pertanto si allontana sconsideratamente dalla formula comune e adottata nelle istituzioni della dottrina cristiana: formula nella quale invero si dichiara Dio uno in tre Persone distinte, e non distinto in tre Persone.

Con il mutamento delle parole della formula vigente, s'insinua il pericolo dell'errore, cioè che si reputi distinta nelle Persone quell'Essenza Divina che la Fede cattolica confessa talmente una in Persone distinte, che al tempo stesso la professa pienamente indistinta in sé.

L'altra: trattando delle medesime tre Persone Divine, insegna che secondo le loro proprietà personali - e incomunicabili per parlare più esattamente - sono descritte e denominate come Padre, Verbo e Spirito Santo, come se fosse meno proprio ed esatto l'appellativo di Figlio consacrato da tanti luoghi della Scrittura, dalla voce stessa del Padre discesa dal Cielo e dalla nuvola, nonché dalla formula del Battesimo prescritta da Cristo e da quella insigne testimonianza con la quale Pietro fu chiamato beato dallo stesso Cristo, né si dovrebbe dimenticare che l'Angelico Maestro ( San Tommaso, parte I, quest. 34, articoli 2 e 3 ), istruito da Agostino, insegnò anch'egli che "nel sostantivo Verbo è inclusa la stessa proprietà del nome Figlio", in quanto Agostino afferma che "dicendo Verbo è come dire Figlio" ( Sant'Agostino, Della Trinità, lib. 7, cap. 2 ).

Né va passata sotto silenzio quell'insigne temerità piena di frode usata dal Sinodo, il quale ha avuto l'ardire non solo di esaltare con profusissime lodi la dichiarazione dell'Assemblea Gallicana dell'anno 1682, già da tempo respinta dall'Apostolica Sede, ma per conciliarle maggiore autorità, di inserirla insidiosamente nel decreto intitolato Della Fede, di adottare palesemente gli articoli in essa contenuti, e con la pubblica e solenne professione di questi articoli di suggellare quelle cose che qua e là s'insegnano nello stesso decreto.

Onde non soltanto Noi abbiamo un assai più grave motivo di dolerci del Sinodo di quanto non ebbero i Nostri Predecessori di dolersi di quei Comizi, ma si fa ancora una non leggera ingiuria alla stessa Chiesa Gallicana che il Sinodo l'abbia stimata degna di essere chiamata a patrocinare con la sua autorità gli errori dei quali è infetto quel decreto.

Pertanto, siccome gli Atti dell'Assemblea Gallicana, tosto che uscirono alla luce, furono riprovati, cassati, dichiarati nulli ed irriti, in forza del loro apostolico ministero dal Nostro Venerabile Predecessore Innocenzo XI con sua lettera in forma di Breve dell'11 aprile 1682, e poi più espressamente da Alessandro VIII con la Costituzione Inter multiplices del 4 agosto 1690, così molto più fortemente la pastorale sollecitudine esige da Noi che la recente adozione nel Sinodo di tali Atti, infetti di tanti vizi, sia da Noi riprovata e condannata come temeraria, scandalosa e, particolarmente dopo i decreti emanati dai Nostri Predecessori, sommamente ingiuriosa nei confronti di questa Sede Apostolica; così come con questa Nostra presente Costituzione la riproviamo e condanniamo, e vogliamo che si tenga per riprovata e condannata.

A questo genere di frode appartiene il fatto che il Sinodo, in questo stesso decreto sulla Fede, riproduce molti articoli che i Teologi della facoltà di Lovanio sottoposero al giudizio di Innocenzo XI ed anche altri dodici presentati a Benedetto XIII dal Cardinale di Noailles, e non ha avuto difficoltà a resuscitare dal riprovato secondo Concilio di Utrecht la vana e antica impostura, diffondendola temerariamente fra il popolo con queste parole: essere notissimo all'Europa tutta che quegli articoli furono in Roma assoggettati ad un severissimo esame, e ne uscirono non solamente immuni da qualunque censura, ma addirittura furono raccomandati dai sopra lodati Pontefici.

Di tale asserita raccomandazione, peraltro, non solo non esiste alcun documento autentico, ché le si oppongono gli Atti dell'esame conservati nei registri della Nostra Suprema Inquisizione, dai quali risulta solamente che sopra di essi non fu proferito alcun giudizio.

Per questi motivi, pertanto, con autorità Apostolica, a tenore della presente Costituzione, proibiamo e condanniamo questo libro intitolato Atti e decreti del Concilio diocesano di Pistoia dell'anno 1785.

In Pistoia per Atto Bracali Stampatore Vescovile.

Con approvazione, sia sotto questo o qualunque altro titolo stampato finora, o da stamparsi ovunque, ed in qualunque idioma, con qualunque edizione o versione, come anche proibiamo e interdiciamo tutti gli altri libri in difesa del suddetto, o della sua dottrina, tanto manoscritti quanto, forse, già stampati o ( che Dio non voglia! ) da stamparsi; ne proibiamo la lettura, la trascrizione, la ritenzione e l'uso a tutti e ai singoli fedeli, sotto pena di scomunica da incorrersi ipso facto dai contravventori.

Comandiamo inoltre ai Venerabili Fratelli Patriarchi, Arcivescovi e Vescovi, ed agli altri Ordinarii dei luoghi, agl'Inquisitori dell'eretica pravità, che assolutamente reprimano e costringano qualunque contraddittore e ribelle con le censure e con le sopraddette pene, e con altri rimedii di diritto e di fatto, invocando anche a questo fine, se sarà necessario, l'aiuto del braccio secolare.

Vogliamo poi che alle copie della presente Costituzione, anche stampate, sottoscritte di mano di qualche notaio pubblico e munite del sigillo di persona costituita in dignità ecclesiastica, si presti la stessa fede che si presterebbe allo stesso originale se fosse esibito o mostrato.

Non sia dunque lecito ad alcuno violare questa Nostra dichiarazione di condanna, comando, proibizione e interdizione, o temerariamente contraddire ad essa.

Se qualcuno osasse contrastare ciò, sappia che incorrerà nell'indignazione dell'Onnipotente Iddio e dei Beati Apostoli Pietro e Paolo.

Dato a Roma, presso Santa Maria Maggiore, l'anno dell'Incarnazione di Nostro Signore 1794, il 28 agosto, anno ventesimo del Nostro Pontificato.

Pio VI

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