Sponsa Christi

La Chiesa, Sposa di Cristo, fin dai primi inizi della sua storia, non solo dimostrò con ripetute manifestazioni i sensi di stima e di materno amore di cui soavemente circondava le vergini consacrate a Dio, ma le confermò con importantissimi documenti.

Nè ciò desta meraviglia giacchè le vergini cristiane, « parte più eletta del gregge di Cristo », mosse dall'amore, non facendo conto di tutte le sollecitudini del mondo e superando la connaturale divisione di affetti piena di pericoli, non solo si dettero totalmente a Cristo, vero Sposo delle anime, ma consacrarono integralmente la loro vita, adorna delle gemme di tutte le virtù, in perpetuo al servizio di Cristo Signore e della Chiesa.

Questa mistica consacrazione delle vergini a Cristo e questa dedizione alla Chiesa, nei primi secoli del cristianesimo s'andava svolgendo spontaneamente, e più ancora nei fatti che nelle parole.

Quando poi le vergini formarono non solo una classe, ma uno stato ben definito e un ordine riconosciuto dalla Chiesa, la professione della verginità cominciò a emettersi pubblicamente, e ad essere sempre più rafforzata da un vincolo ancora più stretto.

In seguito la Chiesa, quando accettava il santo voto o proposito di verginità, consacrava la vergine come persona unita inviolabilmente a Dio e alla Chiesa con un rito così solenne, che giustamente viene classificato tra i più belli dell'antica liturgia; e la distingueva chiaramente da quelle che si offrivano a Dio solo con vincoli privati.

La professione della vita verginale veniva conservata con vigilante e severa ascesi, e nutrita e incrementata con ogni esercizio di pietà e di virtù.

Nella dottrina tanto dei primi Padri greci e degli altri orientali quanto dei Padri latini, ci si profila dinanzi una immagine fedele e bellissima della vergine cristiana.

Nei loro scritti, tutto quanto potesse in qualche modo riguardare, internamente come esternamente, la santità e la perfezione delle vergini, fu in maniera accuratissima e con grande amore illustrato e vividamente descritto.

Fino a che punto l'angelica vita delle vergini cristiane, in questo suo primo periodo di storia, risponda alle esortazioni e alle descrizioni dei Padri, e di quante gemme delle più alte ed eroiche virtù cristiane ci si dimostri adorna, in parte lo conosciamo direttamente e con certezza dai documenti e dai monumenti storici; in parte poi indubbiamente possiamo congetturarlo, e anzi dedurlo, anche da altre sicure fonti.

Specialmente dopo la pace concessa ai cristiani, sull'esempio degli Eremiti e dei Cenobiti, la consacrazione a Dio della verginità, cominciò sempre più frequentemente a essere completata e confermata coll'esplicita e pubblica professione dei consigli di povertà e di più stretta obbedienza.

Le donne professanti la verginità, le quali sia per amore della solitudine, sia per difendersi dai gravissimi pericoli dovunque in agguato nella corrotta società romana, già si erano indirizzate verso una forma di vita comune, separata, quanto più fosse possibile, dal consorzio degli uomini, favorendolo le circostanze, quasi subito, dietro l'esempio della immensa moltitudine dei Cenobiti, e lasciata generalmente agli uomini la forma di vita eremitica, imitarono la vita cenobitica, e quasi tutte vi si rifugiarono.

La Chiesa raccomandava, generalmente, alle vergini la vita comune intesa in senso lato, ma, per lungo spazio di tempo, non volle rigorosamente imporre la vita monastica neppure alle vergini consacrate, le quali, con tutto l'onore loro dovuto, lasciò libere nel secolo.

Tuttavia queste vergini liturgicamente consacrate che abitavano a casa propria o in una più libera vita comune, andarono sempre più diminuendo finché in molti luoghi scomparvero di diritto e dappertutto di fatto; e anzi, sebbene generalmente non fossero più ricomparse, in seguito furono anche proibite.

Giunte le cose a questo punto, la Chiesa rivolse la sua materna attenzione soprattutto a quelle vergini, che, eleggendo la parte migliore, davano l'addio al mondo, si consacravano ad una vita di completa perfezione cristiana, aggiungendo al voto di verginità anche la professione di stretta povertà e di totale obbedienza.

La Chiesa ebbe cura di difendere esternamente la professione di vita cenobitica di queste vergini mediante leggi di clausura sempre più severe.

Dal punto di vista interiore, poi, ordinò la loro vita in maniera tale, da delineare a poco a poco, chiaramente e precisamente, nelle sue leggi e nell'ascesi religiosa, il tipo della Monaca dedita alla vita contemplativa, sotto una rigida e regolare disciplina.

Quasi all'inizio del medioevo, quando cioè le vergini consacrate che vivevamo nel secolo erano scomparse del tutto, le Monache, aumentate in modo straordinario di numero, fervore e varietà, furono considerate come le sole eredi universali che succedevano alle antiche vergini; e non solo, eredi e continuatrici, ma fedeli conservatrici del patrimonio ricevuto e fautrici industriose che, dotate di cinque talenti, ne fecero fruttificare altri cinque.

Riti liturgici, documenti canonici, testimonianze storiche di ogni genere, scritti, sculture, pitture, comprovano e rivendicano tale origine, dignità, meriti e santità delle Monache.

Le Monache furono le uniche, fra le donne, che, unitamente ai Monaci e ai Canonici regolari, per molti secoli, fino alla fine del medioevo - come si deduce abbondantemente dalle Decretali e anzi da tutto il Corpo del Diritto Canonico - ebbero uno stato di perfezione, già accettato solennemente e pienamente riconosciuto come quello che fino allora perfettamente rivestiva natura pubblica.

Successivamente, e dopo aver superato non poche e non lievi difficoltà, in un primo tempo tutti i Fratres che si chiamarono o Mendicanti, o Ospitalieri, o Redentori o con altro nome, e similmente, quasi dopo tre secoli, anche i Chierici che si chiamarono Regolari, furono annumerati tra i veri religiosi e regolari, insieme coi Monaci e Canonici regolari; le Monache invece, sia quelle che aderivano all'antico monachismo o vita canonicale, sia quelle che facevano professione nei secondi Ordini dei Frati Mendicanti, seguivano, per quello che era il diritto canonico, un unico nobile e antico istituto, e professavano uno stesso modo di vita religiosa.

Fino alle prime Congregazioni femminili, sorte nel secolo XVI o XVII, erano ritenute come Monache solo quelle che di fatto e di diritto professavano legittimamente la vita religiosa.

Anzi, anche dopo che le Congregazioni furono tollerate, e successivamente pure riconosciute prima di fatto e poi, in un certo senso, anche di diritto, fino alla promulgazione del Codice di Diritto Canonico, solo le Monache, furono ammesse, di pieno diritto, come vere Religiose e Regolari.

Se a questo punto volessimo introdurci nei profondi segreti della vita monastica,

chi potrebbe enumerare e valutare i tesori di perfezione religiosa nascosti nei monasteri?

chi i fiori e i frutti di santità che questi orti chiusi portarono a Cristo e alla Chiesa?

chi l'efficacia della preghiera, l'abbondanza di dedizione, i beni di ogni genere, con cui le Monache, con tutte le loro forze, adornarono, sostennero, confortarono la loro Madre Chiesa?

Il tipo vero e ben definito delle Monache, precisato nelle leggi canoniche e nelle pagine dell'ascesi, fu accettato con facilità e, nelle linee generali, anche con fedeltà, da innumerevoli Ordini, Monasteri, Conventi, che esistettero in seguito nella Chiesa e fu conservato tenacemente per molti secoli.

Da questa comune fedeltà e costanza, nel sacro istituto delle Monache sorse, tale unità che resistette, sempre e più fortemente che non in tutti gli altri Istituti Regolari o religiosi di ambo i sessi, a qualunque innovazione.

Questo, entro certi giusti limiti, è senza dubbio un grande loro merito.

D'altronde questa unità dei Monasteri femminili, che abbiamo lodato, non impedì, per quanto riguarda l'ascesi e la disciplina interna, che fin dall'antichità si ammettessero diversi aspetti e varietà di Monasteri, di cui Dio, mirabile nei suoi Santi, dotò e decorò la Chiesa, Sua Sposa.

Questa varietà delle religiose claustrali, del resto sembra provenire dalla stessa varietà degli Ordini e delle Religioni maschili, a cui gli Ordini delle Monache erano in qualche modo uniti.

In realtà si può dire che non c'erano Monaci, Canonici regolari, e soprattutto Mendicanti che non si preoccupassero di erigere dei secondi Ordini che, pur conservando le linee generali delle Monache, apparissero come primi Ordini diversi tra loro.

Parimenti taluni Ordini di Chierici Regolari e talune Congregazioni maschili più recenti, fondarono Ordini di Monache sulla base del proprio Istituto.

La varietà delle Monache, cui abbiamo sopra accennato, sia che si guardi la storia del loro istituto, sia che si contemplino le comuni interne mutazioni di esso, merita una speciale considerazione.

Senza dubbio, questa varietà messa al sicuro la forma generale di vita contemplativa, e lasciati intatti alcuni principi e norme fondamentali di disciplina già approvata, diede come una nuova forza di santità al vecchio istituto.

In tempi più recenti, specialmente verso la fine del secolo XVI furono introdotte nuove forme di Ordini di Monache, approvate mano mano dalla Chiesa: per esempio, l'Istituto di Sant'Orsola, delle Angeliche, la Congregazione delle Religiose di Nostra Signora, l'Ordine della Visitazione, la Società di Nostra Signora, le Monache della Beata Vergine della Carità e molte altre.

Queste nuove fondazioni mentre all'inizio della loro istituzione, o successivamente, venivano spinte o moralmente costrette ad accettare il diritto comune vigente delle Monache - perché potessero professare l'unica vita religiosa riconosciuta allora per le donne - preparavano in vari modi la rinnovazione del diritto stesso.

Queste nuove forme di Monache, quantunque professassero la vita contemplativa canonica e avessero ricevuto, malvolentieri ma infine sinceramente, secondo la dottrina vigente, la stretta clausura pontificia adattata al loro sistema di vita, tuttavia qualche volta non accettarono la recita dell'Ufficio divino.

Si dedicarono invece, con lodevole sollecitudine, e come parte del loro dovere, a molte opere di apostolato e di carità consentanee al loro sesso e al loro stato giuridico.

Col volger degli anni, sia per l'esempio dei nuovi Ordini, sia per il progresso delle Congregazioni e delle Società che con la vita di perfezione cercavano di unire feconde opere di carità, di soccorso, di educazione, sia per il comune evolversi delle cose e delle idee, non pochi Monasteri di molti Ordini, che per istituzione professavano unicamente la vita contemplativa, in più luoghi, con l'approvazione e sotto la guida prudente della Santa Sede, si diedero a opere di apostolato.

Così, quasi insensibilmente, avvenne che non solo il comune istituto delle Monache contenesse Ordini diversi con Regole e Costituzioni proprie, ma si venne creando una più profonda distinzione tra gli Ordini e i Monasteri che praticavano la sola vita contemplativa, e gli Ordini e i Monasteri nei quali per diritto speciale delle Costituzioni o per successive concessioni della Sede Apostolica, alla vita contemplativa canonicamente approvata aggiungevano convenienti opere di apostolato.

In questo nostro tempo, tutto l'istituto delle Monache sia in quegli Ordini e Monasteri che sono rimasti fedelmente legati alla vita contemplativa, sia soprattutto in quelli che per statuto ecclesiastico sapevano associare la vita contemplativa con le opere di apostolato, ha fortemente risentito la varietà e il cambiamento delle circostanze e delle cose.

Naturalmente questi Ordini occupandosi di educazione e altre opere del genere, che per introdotte costumanze o per intervento degli stessi poteri civili, dovevano esercitarsi in modo tale da essere poco compatibili o del tutto incompatibili con alcune regole classiche della clausura pontificia, tali regole di clausura, salvo il loro concetto comune, dovettero essere sapientemente mitigate, perché si potessero conformare con quelle opere.

Tutto questo certamente era richiesto dall'utilità stessa della santa Chiesa e delle anime; ché se non si fosse agito così, tali opere o non si sarebbero potute assumere, o per lo meno non assumerle in quella forma.

La necessità di mitigazione o di più larghe interpretazioni non si è riscontrata soltanto per gli Ordini apostolici ma anche per gli Ordini soltanto contemplativi, per le circostanze dei tempi e la grave penuria di cui spesso soffrono.

Oggi, per esempio, il senso sociale dei cittadini a stento sopporterebbe una troppo stretta interpretazione del can. 601, anche trattandosi di Monache contemplative.

Per questo la S. Sede, provvede maternamente e sempre più largamente alle innumerevoli necessità e utilità, che secondo il pensiero di una volta non erano ritenute così gravi da poter sminuire o addirittura abolire, la clausura pontificia.

Del resto, la sicurezza e la santità del domicilio, che furono solo una delle tante cause che, attraverso le necessità dei tempi, resero necessaria la costituzione e l'ordinamento della clausura pontificia, oggi è più protetta e sicura di una volta.

Proposto per sommi capi l'origine e le glorie del sacro istituto delle Monache, a questo punto ci vien fatto di distinguere accuratamente gli elementi propri e necessari che attingono direttamente e in maniera primaria e principale la vita contemplativa canonica delle monache e il loro fine.

A questi originari e principali lineamenti coi quali viene definita chiaramente nel diritto la figura canonica delle Monache, ne accedono altri, pur essi di somma importanza, che, sebbene non necessari, ne completano la figura, rispondendo assai opportunamente al pubblico fine delle Monache e rendendolo sicuro.

D'altra parte nell'istituto delle Monache troviamo degli elementi che non sono nè di necessità nè di complemento, ma solo esterni e storici, sorti cioè dalle impellenti necessità del tempo, oggi profondamente mutate.

Sono precisamente questi elementi che, qualora non servano più, o impediscano il maggior bene, non hanno più ragione di esistere.

Perciò, salvi tutti gli originari e principali elementi del venerando istituto delle Monache, tutto ciò che sa di esterno e di avventizio, abbiamo decretato che venga conformato, sempre con la dovuta cautela, alle odierne necessità dei tempi, perchè ciò oltre a conferire decoro all'istituto stesso gli darà anche una più completa efficacia.

A questo moderato aggiornamento dell'istituto delle Monache, ci muovono, anzi ci costringono le accurate informazioni che su questo punto ci giungono da ogni parte del mondo e, conseguentemente, il concetto che ci siamo formato dei gravi bisogni in cui spesso, se non sempre, esse si dibattano.

Difatti ci sono non pochi monasteri che purtroppo soffrono la fame, la miseria, l'inedia; e molti conducono, per difficoltà domestiche una vita dura e non più oltre tollerabile.

Tal'altri poi, quantunque non vivano nell'indigenza, stando però completamente separati dagli altri Monasteri, non di rado languiscono.

Troppo rigide leggi di clausura facilmente aprono la strada a non lievi difficoltà.

Infine, crescendo ogni giorno più le necessità della Chiesa e delle anime, e dovendo provvedervi con la molteplice opera di tutti, sembra esser giunto il momento in cui la vita monastica, generalmente, anche tra le Monache dedite alla vita contemplativa, debba conciliarsi con una moderata partecipazione all'apostolato.

Questo nostro pensiero è stato più volte confermato dalle testimonianze degli Ordinari dei luoghi e dei Superiori religiosi, che da alcune nazioni ci pervennero con consenso del tutto unanime.

Di quanto sarà stabilito più sotto, cioè negli Statuti Generali delle Monache, sarà bene illustrare alcuni punti affinchè possiamo poi proporre delle regole e dei principii dai quali facilmente e con sicurezza possano essere rettamente interpretate le singole prescrizioni.

In primo luogo per quanto riguarda la vita contemplativa delle Monache, si tenga per fermo e inviolato ciò che fu sempre il pensiero costante della Chiesa e cioè che tutti i monasteri di Monache devono professare canonicamente, sempre e ovunque, come loro primo e principale fine la vita contemplativa.

Perciò tutti quei lavori e ministeri in cui possono e debbono esercitarsi, devono essere ordinati e disposti in maniera, quanto al luogo, al tempo, al modo, che una vita veramente e solidamente contemplativa, tanto di tutta la comunità quanto delle singole Monache, sia non solo salva ma alimentata e rinvigorita.

Le prescrizioni e le concessioni che una volta, per circostanze speciali furono concesse ad alcune regioni, per cui i voti solenni venivano commutati in semplici, comportano una odiosa dispensa ( can. 19 ), tanto più odiosa in quanto avversa la principale caratteristica delle Monache.

Difatti i voti solenni, che comportano una più stretta e più completa consacrazione a Dio degli altri voti pubblici, mostrano una nota canonicamente necessaria e principalissima degli Ordini.

Perciò, risultando apertamente e per comprovata esperienza, che in molti luoghi i voti solenni tanto degli istituti regolari maschili quanto delle Monache, benchè ignorati dalla legislazione civile, possono essere osservati con facilità e senza fatica e insieme si può per altra via provvedere convenientemente alla sicurezza degli altri beni comuni nonostante sia negata, come in alcuni luoghi accade, la personalità giuridica alle Religioni e ai Monasteri, le leggi e l'opera della S. Sede già da molti anni mirano a che le odiose dispense, di cui abbiamo parlato, vengano ristrette e, per quanto si può, abolite.

Del resto non è conveniente privare le Monache dell'onore, del merito e del gaudio di emettere i voti solenni che sono loro propri.

Per conseguire una maggiore protezione del voto solenne di castità e della vita contemplativa, e perchè l'orto chiuso dei Monasteri non venga infranto dall'ardire del mondo, nè violato da astuzie insidiose, nè turbato da contatti secolari e profani, ma diventi un vero rifugio delle anime, in cui le Monache passano più liberamente servire Dio, la Chiesa, con sapiente e vigilante sollecitudine, stabilì una più severa clausura come prerogativa propria delle Monache, la ordinò diligentemente e la munì in perpetuo di gravi sanzioni pontificie.

Questa venerabile clausura delle Monache che, per l'autorità suprema da cui procede, e per le sanzioni con cui internamente ed esternamente viene protetta, è chiamata papale, in questa nostra Costituzione, non solo viene di proposito e solennemente confermata, secondo le diverse circostanze dei Monasteri che fino ad oggi vi sono ancora soggetti; ma viene cautamente estesa anche a quei Monasteri che per legittima dispensa, non vi erano obbligati.

I Monasteri che professano unicamente la vita contemplativa, e che non hanno, entro i confini della casa religiosa, opere stabili di educazione, di carità, di ritiro o cose del genere, riterranno, o dovranno accettare la clausura pontificia di cui si parla nel Codice ( can. 600-602 ), la quale sarà chiamata « maggiore ».

Per quei Monasteri invece che, per istituzione o per legittime prescrizioni della S. Sede, alla vita contemplativa uniscono l'esercizio di qualche ministero compatibile con essa nell'interno delle stesse abitazioni monastiche, la clausura pontificia, ritenuto ciò che le è essenziale e necessario, viene mitigata in alcune cose che sono impossibili o che difficilmente si possano osservare; riguardo invece agli elementi non ritenuti tanto necessari alla clausura pontificia secondo il Codice ( can. 599, 604, § 2 ) sarà perfezionata.

Questa clausura pontificia moderata e adattata alle odierne necessità, e che per distinguerla dall'antica più rigida si chiamerà « minore », si potrà concedere anche a quei Monasteri che, pur professando solo la vita contemplativa, o non hanno voti solenni o mancano di alcune condizioni che giustamente, secondo la giurisprudenza e lo stile della Curia, si richiedono per una clausura pontificia maggiore.

Un'accurata definizione di tutti gli elementi di questa clausura pontificia minore sarà data più avanti negli Statuti Generali, e nelle Istruzioni che saranno emanate a nome e per autorità Nostra dalla S. Congregazione dei religiosi.

Per quanto riguarda l'autonomia o mutua indipendenza dei Monasteri di Monache, riteniamo opportuno ripetere qui e applicarlo alle Monache, quanto pensatamente dicemmo per i Monaci nell'Omelia del 18 settembre del 1947 nella Patriarcale Basilica di S. Paolo fuori le mura, in occasione del decimoquarto centenario della morte di S. Benedetto da Norcia.

Essendo cambiate le circostanze, molteplici motivi ormai consigliano, anzi spesso richiedono la consociazione dei Monasteri delle Monache, onde ottenere una più facile e conveniente distribuzione degli uffici, un transito temporaneo utile e spesso necessario, per varie cause, delle Religiose da uno ad altro Monastero, un aiuto economico vicendevole, una coordinazione di lavoro, una difesa dell'osservanza comune e altri motivi di questo genere.

Che tutto ciò si possa fare ed ottenere senza togliere la necessaria autonomia, senza sminuire in qualche modo il vigore della clausura e senza arrecare danno al raccoglimento e a una più severa disciplina di vita monastica, è provato con certezza e sicurezza tanto dalla lunghissima esperienza delle Congregazioni monastiche maschili quanto dai non rari esempi di unioni e di federazioni che tra le Monache furono approvate fino ad oggi.

Del resto l'erezione delle federazioni e l'approvazione degli Statuti che debbono governarle, saranno sempre riservate alla Santa Sede.

Al lavoro, manuale o intellettuale, sono obbligati tutti, non esclusi gli uomini e le donne che si dedicano alla vita contemplativa, non solo per legge naturale ma anche per un dovere di penitenza e di soddisfazione.

Il lavoro inoltre è il mezzo comune con cui l'anima è preservata dai pericoli e si eleva a cose più alte; il mezzo con cui noi, come è nostro dovere, prestiamo la nostra opera alla divina Provvidenza, tanto nell'ordine naturale che nell'ordine soprannaturale; il mezzo con cui si esercitano le opere di carità.

Il lavoro infine è norma e legge fondamentale della vita religiosa fin dalle sue origini, secondo il motto « prega e lavora ».

E senza dubbio, le norme disciplinari della vita monastica, in gran parte furono stabilite per comandare, ordinare ed eseguire il lavoro.

Il lavoro delle Monache, se si considera sotto l'aspetto soprannaturale, deve essere tale che la Religiosa lo assuma con santa intenzione, lo compia alla presenza di Dio, lo prenda nell'obbedienza e lo congiunga con la volontaria rinuncia di se stessa.

Chè, se il lavoro sarà compiuto in tal modo, sarà un potente e costante esercizio di tutte le virtù e pegno di una soave ed efficace unione della vita contemplativa con l'attiva, sull'esempio della famiglia di Nazareth.

Se poi si guarda la natura del lavoro monastico e le norme che lo devono regolare, allora bisogna che esso, dalle Regole, dalle Costituzioni e dalle consuetudini legittime dei singoli Ordini, risulti non solo adatto alle forze delle Monache, ma anche ordinato e compiuto in modo che, secondo il corso e le circostanze dei tempi, dia il vitto necessario alle Monache e procuri utilità ai bisognosi, alla società e alla Chiesa.

Consistendo la perfezione della vita cristiana soprattutto nella carità, e siccome la carità per la quale amiamo Iddio sopra tutte le cose e in Lui tutti gli altri, è in concreto una e identica, la Chiesa Madre, da tutte le Monache che canonicamente professano la vita contemplativa, assieme a un perfetto amore di Dio esige anche un perfetto amore del prossimo.

In forza di questa carità e del loro stato, è necessario che i religiosi e le religiose sentano di essere completamente consacrati alle necessità della Chiesa e di tutti i bisognosi.

Le Monache quindi tengano ben presente che la loro è una vocazione pienamente apostolica, non circoscritta da limiti di luogo, di tempo e di circostanze, ma sempre e dovunque pronta a zelare tutto ciò che in qualche modo può riguardare l'onore dello Sposo e la salute delle anime.

Questa universale vocazione apostolica delle Monache, non impedisce in alcun modo che i singoli Monasteri nelle loro preghiere raccomandino le necessità della Chiesa e dei singoli uomini, o di ceti particolari.

L'apostolato comune col quale tutte le Monache devono zelare l'onore dello Sposo Divino e promuovere il bene della Chiesa e di tutti i fedeli cristiani, si attua soprattutto con questi tre mezzi:

1. Con l'esempio di perfezione cristiana: la vita claustrale infatti, pur nel silenzio, fa sentire potentemente la sua voce e irresistibilmente conduce i fedeli a Cristo e alla perfezione cristiana, e come vessillo incita i soldati di Cristo a combattere la buona battaglia e li attira al premio.

2. Con la preghiera fatta, sia pubblicamente a nome della Chiesa colla solenne recita delle ore canoniche sette volte al giorno, sia privatamente, da offrirsi perennemente a Dio in tutte le forme.

3. Con l'immolazione, di maniera che alle penitenze che provengono dalla vita comune, e dalla fedele e regolare osservanza, si aggiungano altri esercizi di abnegazione prescritti dalle regole e dalle costituzioni o assunti del tutto volontariamente, per compiere cioè generosamente « ciò che manca alla passione di Cristo, per il suo corpo, che è la Chiesa ».

Dopo aver descritta la storia meravigliosa dell'istituto delle Monache e in quali termini l'istituto stesso possa adattarsi alle odierne necessità, diamo le norme secondo le quali tale aggiornamento deve praticamente attuarsi.

La S. Congregazione applicherà questa Costituzione e gli Statuti Generali a tutte le federazioni di Monasteri già fatte o che si faranno nonchè ai singoli Monasteri; e, per Nostra autorità, per mezzo di istruzioni, chiarimenti, responsi e altri documenti del genere, potrà fare quanto è necessario per applicare diligentemente ed efficacemente la Costituzione e per far osservare fedelmente e prontamente gli Statuti Generali.

Statuti generali delle monache

Art. I

§ 1. In questa Costituzione col nome di Monache a norma del diritto ( can. 488,7 ), si intendono, oltre le religiose di voti solenni, anche quelle che professano voti semplici perpetui o temporanei in quei Monasteri in cui o si emettono attualmente voti solenni o per istituzione si dovrebbero emettere; a meno che dal contesto o dalla natura della cosa non consti con certezza diversamente.

§ 2. Al legittimo nome di Monache ( can. 488,7 ) e applicazione del diritto delle Monache, non si oppone affatto:

1) la professione semplice emessa legittimamente nei Monasteri ( § 1 );

2) la clausura pontificia minore prescritta o debitamente concessa ai Monasteri;

3) l'esercizio delle opere di apostolato, congiunto colla vita contemplativa sia per istituzione approvata e confermata dalla S. Sede per alcuni Ordini, sia per legittima prescrizione o concessione della S. Sede a favore di alcuni Monasteri.

§ 3. Questa Costituzione Apostolica giuridicamente non riguarda:

1) le Congregazioni religiose ( can. 488,2 ) e le suore membri delle medesime ( can. 488,7 ) che per istituzione emettono soltanto voti semplici;

2) le Società di donne che vivono in comune come le religiose, e i loro membri ( can. 673 ).

Art. II

§ 1. La forma particolare di vita religiosa monastica che le Monache debbono fedelmente vivere sotto una rigida disciplina regolare, e alla quale vengono destinate dalla Chiesa, è la vita contemplativa canonica.

§ 2. Col nome di vita contemplativa canonica non si intende quella interna e teologica alla quale sono invitate tutte le anime che vivono nelle Religioni e perfino nel secolo ed alla quale le singole anime ovunque vi possono attendere; ma la professione esterna della disciplina religiosa la quale, sia per gli esercizi di pietà, orazione e mortificazione, sia per le occupazioni cui le Monache debbono attendere, è talmente ordinata alla contemplazione interiore che tutta la vita e tutta l'azione possono facilmente e debbono efficacemente essere imbevute del desiderio di essa.

§ 3. Se la vita contemplativa canonica non può essere abitualmente osservata sotto una rigida disciplina regolare, il carattere monastico nè si deve concedere, nè, se già è stato concesso, può essere ritenuto.

Art. III

§ 1. I voti religiosi solenni emessi da tutti i membri del Monastero o almeno da una classe di essi, costituiscono la nota principale per cui i Monasteri di donne non sono annoverati tra le Congregazioni religiose ma tra gli Ordini religiosi ( can. 488,2 ).

Tutte le religiose quindi che hanno professato in questi Monasteri, a norma del can. 490, nel diritto cadono sotto l'appellativo di Regolari e vengono chiamate col nome proprio, non di Suore, ma di Monache ( c. 488,7 ).

§ 2. Tutti i Monasteri nei quali vengono emessi soltanto voti semplici, potranno impetrare la restaurazione dei voti solenni.

Anzi se non vi sono gravissime ragioni in contrario, procureranno di emetterli nuovamente.

§ 3. Le antiche formule solenni di consacrazione delle Vergini che si trovano nel Pontificale Romano, sono riservate alle Monache.

Art. IV

§ 1. La clausura rigida delle Monache, o papale, pur rimanendo ferme, e per tutti i Monasteri, quelle note che alla clausura sono come naturali, d'ora in poi si distinguerà in maggiore e minore.

§ 2. - 1. La clausura papale maggiore, quella cioè che è descritta nel Codice ( can. 600 - 602 ), viene interamente confermata da questa Nostra Costituzione apostolica.

La Sacra Congregazione dei Religiosi, per Nostra autorità, dichiarerà per quali cause potrà essere concessa la dispensa dalla clausura maggiore, affinchè rimanendo intatta la natura di essa, sia più opportunamente adattata alle circostanze del nostro tempo.

2. La clausura papale maggiore, restando salvo il § 3, n. 3, per regola deve essere in vigore in tutti i Monasteri che professano solo la vita contemplativa.

§ 3. - 1. La clausura papale minore riterrà dell'antica clausura delle Monache quegli elementi, e sarà protetta con quelle sanzioni, che nelle Istruzioni della S. Sede saranno espressamente ritenute come necessarie a mantenerne e difenderne la sua specifica natura.

2. A questa clausura papale minore, sono soggetti i Monasteri di Monache di voti solenni, che, per istituzione o per legittima concessione devono esercitare tali ministeri con gli estranei, in modo che molte religiose e una notevole parte della casa deve essere adibita abitualmente in questi ministeri.

3. Del pari devono essere soggetti almeno ai proscritti della clausura minore tutti e singoli i Monasteri nei quali, sebbene di vita unicamente contemplativa, si emettono soltanto i voti semplici.

§. 4. - 1. La Clausura papale maggiore o minore, deve essere ritenuta come necessaria condizione, non solo perchè possano essere emessi i voti solenni ( § 2 ) ma anche perchè i Monasteri in cui si professano i voti semplici ( § 3 ), possano essere considerati in futuro, come veri Monasteri di Monache a norma del can. 488,7.

2. Se le regole della Clausura papale, almeno minore, generalmente non possono essere osservate, devono essere tolti i voti solenni.

§ 5. - 1. La Clausura papale minore, specialmente in quelle caratteristiche che la distinguono dalla clausura delle Congregazioni e degli Ordini maschili, deve essere osservata nei luoghi in cui le Monache non professano i voti solenni.

2. Se appare con certezza che in un Monastero non può essere osservata abitualmente almeno la clausura minore, tale Monastero dovrà essere mutato in casa di Congregazione o di Società.

Art. V

§ 1. La Chiesa, fra le donne consacrate a Dio, designa le sole Monache all'impegno della preghiera pubblica, che in suo nome si innalza a Dio sia in coro ( c. 610, § 1 ) sia in privato ( c. 610, § 3 ); e le obbliga gravemente, per regola, a norma delle loro Costituzioni, ad attendere quotidianamente a questa preghiera con le ore canoniche.

§ 2. Tutti i Monasteri di Monache e le singole Monache professe di voti solenni o semplici, sono tenute dovunque a recitare l'Ufficio divino in coro a norma del can. 610, § 1, e delle loro Costituzioni.

§ 3. A norma del can. 610. § 3, le Monache che furono assenti dal coro, qualora non abbiano professato i voti solenni, non sono strettamente tenute alla recita privata delle ore, a meno che non prescrivano diversamente le Costituzioni ( can. 578, 2 ); tuttavia non solo il pensiero della Chiesa, come abbiamo detto sopra ( art. IV ), è che i voti solenni delle Monache siano ristabiliti dovunque, ma anche, se non possono temporaneamente essere ristabiliti, che le Monache che hanno professato i voti perpetui semplici in luogo dei solenni, assolvano fedelmente il compito dell'Ufficio divino.

§ 4. La Messa Conventuale rispondente all'Ufficio del giorno, secondo le rubriche, deve essere celebrata, per quanto si può, in tutti i Monasteri ( can. 610, § 2 ).

Art. VI

§ 1. - 1. I Monasteri di Monache, diversamente da tutte le altre case religiose femminili, dal Codice e secondo le sue norme, sono sui iuris ( can. 488,8 ).

2. Le Superiore dei singoli Monasteri di Monache giuridicamente sono Superiore Maggiori e hanno tutte le facoltà che competono ai Superiori Maggiori ( c. 488,8 ), a meno che dal contesto o dalla natura della cosa, alcune facoltà riguardino solo gli uomini ( c. 490 ).

§ 2. - 1. L'ambito della condizione sui iuris o, come si suol dire, di autonomia dei Monasteri delle Monache, è definito dal diritto comune e dal diritto particolare.

2. Alla tutela giuridica, che il diritto concede sui singoli Monasteri sia agli Ordinari dei luoghi sia ai Superiori regolari, non viene in alcun modo derogato nè da questa Costituzione nè dalle Federazioni dei Monasteri permesse dalla Costituzione ( art. VII ) e introdotte per autorità della medesima.

3. Le relazioni giuridiche dei singoli Monasteri con gli Ordinari dei luoghi o coi Superiori regolari, continuano a essere regolate dal diritto comune e dal diritto particolare.

§ 3. Con questa Costituzione in nessuna maniera viene definito se i singoli Monasteri siano soggetti alla potestà dell'Ordinario del luogo, o se, entro i limiti del diritto, siano esenti da essa e soggetti al Superiore regolare.

Art. VII

§1. I Monasteri di Monache non solo sono sui iuris ( can. 488,8 ), ma sono anche giuridicamente distinti e indipendenti l'uno dall'altro, uniti e legati tra loro da nessun vincolo all'infuori di quelli spirituali e morali, anche se sono soggetti di diritto a un medesimo primo Ordine o Religione.

§ 2. - 1. Alla mutua libertà dei Monasteri, ottenuta piuttosto di fatto che imposta di diritto, in nessun modo si oppone la costituzione di Federazioni; nè tali Federazioni debbono ritenersi come proibite dal diritto o in qualche modo meno consentanee alla natura e ai fini della vita religiosa delle Monache.

2. Le Federazioni di Monasteri quantunque non vengano imposte per regola generale, tuttavia sono assai raccomandate dalla Sede Apostolica non solo per togliere i mali e gli inconvenienti che possono sorgere dalla completa separazione, ma anche per promuovere la regolare osservanza e la vita contemplativa.

§ 3. La costituzione di qualunque forma di Federazione e Confederazione di Monasteri di Monache è riservata alla Sede Apostolica.

§ 4. Ogni Federazione o Confederazione di Monasteri deve necessariamente organizzarsi e reggersi con proprie leggi approvate dalla S. Sede.

§ 5. - 1. Salvo l'art. VI, §§ 2, 3, e salva la condizione fondamentale di autonomia, sopra definita ( § 1 ), nulla vieta che nel costituire Federazioni di Monasteri, sull'esempio di alcune Congregazioni monastiche e Ordini sia di Canonici che di Monaci, si stabiliscano quelle eque condizioni e limitazioni di questa autonomia che sembrassero necessarie o molto utili.

2. Tuttavia le forme di Federazioni che sembrano contrarie alla predetta autonomia, di cui abbiamo parlato al § 1, e si avvicinano alla forma di governo centrale, sono riservate in modo speciale alla S. Sede, nè possono essere costituite senza una espressa concessione della medesima.

§ 6. Le Federazioni dei Monasteri, per la fonte da cui derivano e per l'autorità da cui direttamente dipendono e sono rette, sono di diritto pontificio a norma del diritto canonico.

§ 7. La S. Sede potrà, secondo i casi, esercitare immediata vigilanza e autorità sulla Federazione mediante un Assistente religioso, il cui ufficio sarà non solo di rappresentare la S. Sede ma anche di fomentare la conservazione dello spirito genuino proprio dell'Ordine e di aiutare con l'opera e col consiglio le Superiore nel retto e prudente governo della Federazione.

§ 8. - 1. Gli Statuti della Federazione devono essere conformi non solo alle norme che dovrà dare, per Nostra autorità, la S. Congregazione dei religiosi, ma anche alla natura, alle leggi, allo spirito e alle tradizioni sia ascetiche, sia disciplinari, sia giuridiche ed apostoliche dell'Ordine stesso.

2. Il fine principale delle Federazioni dei Monasteri è prestarsi fraterno aiuto vicendevole, non solo per favorire lo spirito religioso e la regolare vita monastica, ma anche per facilitare l'andamento economico.

3. Secondo i casi, negli Statuti da approvarsi si daranno speciali norme con le quali si possa regolare la facoltà e l'obbligo morale di chiedere e di scambiarsi vicendevolmente le Monache che siano ritenute necessarie sia per il governo dei Monasteri, sia per la formazione delle candidate in un Noviziato comune a tutti o a più Monasteri; sia infine per provvedere alle altre necessità spirituali o materiali dei Monasteri o delle Monache.

Art. VIII

§ 1. Il lavoro monastico, cui devono attendere anche le Monache di vita contemplativa, deve essere conforme, per quanto possibile, alla Regola, alle Costituzioni e alle tradizioni dei singoli Ordini.

§ 2. Il lavoro deve essere ordinato in modo che, insieme agli altri mezzi economici disposti dalla Chiesa ( cc. 547-551, 582 ) e ai sussidi forniti dalla Divina Provvidenza, renda sicuro e conveniente il sostentamento delle Monache.

§ 3. - 1. Gli Ordinari dei luoghi, i Superiori regolari e le Superiore dei Monasteri e delle Federazioni, devono usare la massima diligenza affinchè un necessario, adeguato e proficuo lavoro non manchi mai alle Monache.

2. Le Monache d'altra parte sono tenute, per obbligo di coscienza, non solo, secondo l'ammonimento dell'Apostolo, a guadagnarsi onestamente col sudore della fronte il pane di cui vivono; ma anche a rendersi, secondo che i tempi lo richiedono, sempre più abili nelle diverse opere.

Art. IX

Tutte le Monache, perchè siano trovate fedeli alla divina vocazione apostolica, non solo devono adoperare i mezzi generali dell'apostolato monastico, ma procureranno inoltre di asservire quanto segue:

§ 1. Le Monache che in forza delle proprie Costituzioni o legittime prescrizioni, devono esercitare speciali opere di apostolato, sono tenute a dedicarvisi e a consacrarvisi fedelmente a norma delle Costituzioni o Statuti, e delle prescrizioni legittime.

§ 2. Le Monache che professano unicamente la vita contemplativa:

1. Se nelle proprie tradizioni hanno o hanno avuto, una qualche forma speciale di apostolato esterno, la ritengano fedelmente, adattata alle odierne necessità e salva sempre la loro vita contemplativa; qualora poi tale forma sia andata perduta, cerchino diligentemente di ristabilirla.

Se però sorgesse qualche dubbio circa l'adattamento, consultino la S. Sede.

2. Al contrario, se la vita puramente contemplativa, nè in forza delle Costituzioni dell'Ordine, nè per tradizione, fu mai unita all'apostolato esterno in modo abituale e costante, allora, in casi di necessità e per un tempo limitato potranno o, almeno per carità, dovranno attendere a quelle forme di apostolato soprattutto individuale, che siano compatibili con la vita contemplativa propria dell'Ordine, secondo i criteri da fissarsi dalla Santa Sede.

Tutto ciò che è decretato e contenuto in questa Lettera, vogliamo e ordiniamo che resti stabilito, ratificato e valido, non ostante qualunque cosa in contrario, anche se degna di specialissima menzione.

Alle copie o estratti anche stampati di questa Lettera, purchè firmati autenticamente da qualche pubblico notaio e muniti del sigillo di qualcuno costituito in dignità ecclesiastica, vogliamo si presti la stessa fede che si presterebbe a questa qualora fosse presentata o mostrata.

A nessuno perciò sia lecito trasgredire questa pagina della Nostra dichiarazione e volontà o temerariamente contraddirvi; se qualcuno avesse la presunzione di farlo, sappia che incorrerà nell'indignazione di Dio Onnipotente e dei Santi Apostoli Pietro e Paolo.

Dato a Roma, presso S. Pietro il 21 Novembre, Festa della Presentazione della B. M. Vergine, Anno giubilare 1950, dodicesimo del Nostro Pontificato.

PIO PAPA XII