Giovedì, 29 settembre 1949

Ai medici cattolici convenuti a Roma per il loro quarto congresso internazionale

La vostra presenza intorno a Noi, diletti figli e figlie, riveste un significato profondo che Ci procura particolare gioia.

Il fatto di rappresentare qui trenta Nazioni diverse, mentre le divisioni scavate dagli anni dell'anteguerra, della guerra e del dopoguerra, sono ancora lunghi dall'essere colmate, il fatto di venirCi a manifestare gli alti pensieri che presiedono ai vostri incontri in materia di medicina; il fatto, infine, di esercitare in tale ambito più che una semplice professione, un vero ed eccellente ministero di carità, tutto ciò, a buon diritto, richiama per voi la Nostra più paterna accoglienza.

Vi aspettate ora, insieme alla Nostra Benedizione, qualche consiglio inerente ai vostri doveri.

Ci limiteremo a farvi conoscere brevi riflessioni sugli obblighi che a voi derivano dai progressi della medicina, dalla bellezza del suo esercizio, dalle sue relazioni con la morale naturale cristiana.

Da lunghi secoli - e soprattutto all'epoca nostra - incessante si afferma il progredire della medicina.

È in verità complesso: e il suo oggetto concerne le discipline più varie della scienza speculativa e della pratica.

Progresso nello studio del corpo e dell'organismo in tutte le scienze fisiche, chimiche, naturali, nella cognizione dei rimedi, delle loro proprietà e dei modi di utilizzarli; progresso nella applicazione della fisiologia ma anche della psicologia, delle azioni e reazioni reciproche del fisico e del morale.

Solleciti di nulla trascurare dei vantaggi di tale progresso, il medico è senza posa all'erta, per spiare tutti i mezzi atti a guarire o almeno ad alleviare i mali e le sofferenze umane.

Chirurgo, egli si applica a rendere meno penose le operazioni che si rendono necessarie; ginecologo, si studia di attenuare i dolori del parto senza tuttavia mettere in pericolo la salute della madre e del fanciullo, senza correre il rischio di alterare i sentimenti di tenerezza materna per il neonato.

Se lo spirito di elementare umanità, l'amore naturale dei propri simili, stimola e guida ogni medico coscienzioso nelle sue ricerche, che cosa non farà il medico cristiano, sospinto dalla Divina Carità, a prodigarsi senza risparmiare né le cure né se stesso, per il bene di coloro che, a giusta ragione e in conformità alla Fede, considera quali suoi fratelli?

Senza dubbio egli si allieta sin nel profondo per gli immensi progressi già raggiunti, per i risultati in passato ottenuti da quanti lo precedettero e continuati oggi dai suoi colleghi ai quali lo avvince la continuità di una magnifica tradizione, legittimamente fiero, inoltre, del proprio contributo.

Nondimeno, giammai si considera soddisfatto: vede sempre, dinnanzi a sé, nuove tappe da percorrere, nuovi risultati da raggiungere.

E perciò vi lavora con passione, sia come medico interamente dedito a procurare il sollievo dell'umanità e di ciascun uomo, sia come scienziato, al quale le scoperte che si susseguono le une alle altre fanno assaporare la « gioia di conoscere »; sia come credente e come cristiano che, sugli splendori che discopre nei nuovi orizzonti che a lui si schiudono a perdita d'occhio, sa vedere la grandezza e la potenza del Creatore, la bontà inesauribile del Padre che, dopo aver dato all'organismo vivente tante risorse per svilupparsi, difendersi, guarirsi spontaneamente nella maggioranza dei casi, gli fa in più trovare nella natura inerte o vivente, minerale, vegetale, animale i rimedi ai mali corporali.

Il medico non risponderebbe appieno all'ideale della sua vocazione se, mettendo a profitto i più recenti progressi della scienza e dell'arte medica, non usasse, nella pratica della sua attività, null'altro che intelligenza e abilità e non vi portasse anche - staremmo per dire soprattutto - il suo cuore di uomo, la sua caritatevole delicatezza di cristiano.

Egli non lavora « in anima vili »; senza dubbio opera direttamente sui corpi, ma su corpi animati da un'anima immortale, spirituale, e, in virtù del vincolo misterioso ma indissolubile tra il fisico e il morale, non agisce con efficacia sul corpo se, contemporaneamente, non agisce sullo spirito.

Sia che si occupi del corpo o del composto umano nella sua unità, il medico cristiano dovrà sempre guardarsi dal fascino della tecnica, dalla tentazione di applicare il sapere e la vita a scopi diversi dalle cure dei pazienti a lui affidati.

Grazie a Dio, non dovrà mai difendersi da un'altra tentazione - criminale, questa - di far servire i doni da Dio nascosti in grembo alla natura a interessi volgari, a passioni inconfessabili, ad attentati inumani.

Purtroppo non occorre andare molto lontano, risalire molto in alto, per trovare casi concreti di codesti deplorevoli abusi.

Altra cosa è per esempio, la disintegrazione dell'atomo e la produzione dell'energia atomica; altra cosa è il suo uso distruttore che sfugge a qualsiasi controllo.

Altra cosa è il magnifico progresso della più moderna tecnica dell'aviazione; e altra cosa l'uso massiccio di squadriglie di bombardieri, senza che vi sia possibilità di limitarne l'azione a obiettivi militari e strategici.

Altra cosa, soprattutto, la ricerca rispettosa che rivela la bellezza di Dio nello specchio delle Sue opere, la Sua potenza nelle forze della natura; altra cosa la deificazione della stessa natura e delle forze materiali della negazione del loro Autore.

Che fa, invece, il medico degno della sua vocazione?

Egli si impadronisce di queste stesse forze, di queste proprietà naturali, allo scopo di procurare, per mezzo di esse, la guarigione, la sanità, il vigore, e, spesso, ciò che è ancora più prezioso, per preservare dalle malattie, dal contagio o dall'epidemia.

Nelle sue mani la potenza formidabile della radioattività è captata e diretta a fronteggiare mali ribelli a qualsiasi altra cura; le proprietà dei veleni più virulenti servono a preparare rimedi efficaci; ancor più, i germi delle infezioni più pericolose vengono usati in tanti modi nella sieroterapia, nella vaccinazione.

La morale naturale e cristiana, infine, conserva ovunque i propri diritti imprescrittibili; da essi, e non già da considerazioni di sensibilità, di filantropia materialistica, naturalista, derivano i principii essenziali della deontologia medica:

dignità del corpo umano,

preminenza dell'anima sul corpo,

fraternità di tutti gli uomini,

sovrano dominio di Dio sulla vita e sul destino.

Noi abbiamo già avuto molte occasioni di accennare ad un buon numero di punti particolari concernenti la morale medica.

Ma ecco porsi in primo piano un problema che richiede non meno urgentemente degli altri la luce della dottrina morale cattolica: il problema della fecondazione artificiale.

Non possiamo tralasciare l'occasione che ci si presenta senza indicare brevemente, nelle grandi linee, il giudizio morale che si impone in questa materia.

1) La pratica di questa fecondazione artificiale, allorché si tratta dell'uomo, non può essere considerata né esclusivamente e nemmeno principalmente nell'aspetto biologico e medico, lasciando da parte quello della morale e del diritto.

2) La fecondazione artificiale fuori del matrimonio deve condannarsi puramente e semplicemente come immorale.

Infatti la legge naturale e la legge divina positiva stabiliscono che la procreazione di una nuova vita non può essere il frutto che del matrimonio.

Solo il matrimonio salvaguarda la dignità degli sposi ( principalmente della donna nel caso presente ), il loro bene personale.

Esso solo provvede al bene e alla educazione del bambino.

Ne consegue che circa la condanna d'una fecondazione artificiale fuori dell'unione coniugale, nessuna divergenza di opinioni è possibile tra cattolici.

Il bambino concepito in quelle condizioni sarebbe, per il fatto stesso, illegittimo.

3) La fecondazione artificiale nel matrimonio, ma prodotta mercé l'elemento attivo di un terzo, è del pari immorale e, come tale, va condannata senza appello.

Solo gli sposi hanno un diritto reciproco sul loro corpo per generare una nuova vita, diritto esclusivo, non cedibile, inalienabile.

E così deve essere, anche in considerazione del bambino.

A chiunque dà la vita ad un piccolo essere, la natura impone, in forza stessa di tale vincolo, il dovere della sua conservazione ed educazione.

Ma tra lo sposo legittimo e il bambino, frutto dell'elemento attivo di un terzo ( anche se lo sposo fosse consenziente ) non esiste alcun vincolo di origine, alcun vincolo morale e giuridico di procreazione coniugale.

4) Quanto alla liceità della fecondazione artificiale nel matrimonio, Ci basta, per il momento, di richiamare questi principii di diritto naturale:

il semplice fatto che il risultato a cui si mira è raggiunto per tale via non giustifica l'uso del mezzo stesso;

né il desiderio, in sé pienamente legittimo negli sposi, di avere un bambino, può bastare a provare la legittimità del ricorso alla fecondazione artificiale che appagherebbe tale desiderio.

Sarebbe errato il pensare che la possibilità di ricorrere a questo mezzo potrebbe rendere valido il matrimonio tra persone incapaci di contrarlo per l'« impedimentum impotentiae ».

D'altra parte è superfluo osservare che l'elemento attivo non può giammai essere procurato legittimamente mediante atto contro natura.

Benché, non si possano escludere a priori metodi nuovi per la sola ragione della loro novità, tuttavia, per quanto concerne la fecondazione artificiale non soltanto si deve essere estremamente riservati, ma bisogna assolutamente escluderla.

Dicendo ciò, non si proscrive necessariamente l'uso di un mezzo artificiale destinato unicamente sia a facilitare l'atto naturale, sia a procurare il raggiungimento del proprio fine all'atto naturale normalmente compiuto.

Solo la procreazione di una nuova vita, secondo la volontà e il disegno del Creatore - non lo si dimentichi mai - porta con sé, in un grado mirabile di perfezione, il raggiungimento dei fini proposti.

Essa è, insieme, conforme alla natura corporale e spirituale e alla dignità degli sposi, allo sviluppo normale e felice del bambino.

Il vostro spirito sinceramente religioso e la vostra visita, diletti figli e figlie, costituiscono un pegno della vostra indefettibile fedeltà a tutti i vostri doveri di medici cattolici, un pegno, altresì, della volontà di concorrere, con il vostro esempio e con la vostra influenza, a promuovere, tra i colleghi e i discepoli, fra i clienti e le loro famiglie, i principii da cui vi sentite voi stessi ispirati.

In questa fiducia Noi, con tutta la effusione paterna del Nostro Cuore, impartiamo a voi, a quanti qui rappresentate, alle vostre famiglie e a tutti i vostri cari, la Nostra Benedizione Apostolica.

Pio XII