Quae in Patriarchatu

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20 Mentre tutto ciò poco alla volta veniva a galla, i fedeli si meravigliavano che quest'uomo, completamente immemore della propria dignità e così cambiato rispetto a colui che in altri tempi aveva dimostrato la propria fede e la propria obbedienza alla Sede Apostolica, avesse potuto procedere impunemente fino a quel punto; tanto che i Caldei, invasori della Malabaria, da ciò traevano argomento per difendere lo scisma che avevano introdotto colà e per negare impudentemente l'autenticità o la fondatezza della Lettera Apostolica con la quale avevamo comandato d'intervenire contro il Vescovo Mello e contro i suoi seguaci; si seppe che altri erano giunti ad un tal limite d'impudenza da negare che il Patriarca potesse essere da Noi scomunicato.

21 Si era dunque arrivati al punto in cui per Noi non sarebbe più stato lecito evitare di comminare le pene canoniche al Patriarca, che, più volte ammonito, aveva rifiutato di obbedire agli ordini e non si tratteneva dal rendere nota la sua disobbedienza con le azioni e con gli scritti.

Frattanto, con data 19 marzo di questo anno, Ci giunse la sua risposta, così a lungo aspettata; da essa ricavammo la certezza, non senza grande dolore del Nostro animo, che la sua ostinazione era più che abbondantemente confermata.

Che cosa infatti di più sciocco o di più ingiurioso avrebbe potuto escogitare che mettere in dubbio, come il Patriarca fa all'inizio della sua risposta, l'autenticità della Nostra lettera che gli era stata mandata secondo la prassi per il tramite del Nostro Delegato in Mesopotamia?

Tutta la sua risposta consiste nel garantire più e più volte, con gran giro di parole e con adulazione, la propria fede cattolica e la propria obbedienza nei Nostri confronti.

A quel punto egli cerca di tutelare e rivendicare i suoi interessi, sia in riferimento all'elezione dei Vescovi, sia per quanto riguarda la Malabaria, ripetendo una volta di più quei concetti che già tante volte Ci aveva scritto a questo proposito; fingendo tuttavia di non conoscere assolutamente le risposte che, per soddisfare compiutamente la giustizia, gli avevamo fatte avere nella Nostra lettera monitoria.

Ripetendo sempre le stesse frasi, aggiunge anche molte lamentele contro i Missionari Apostolici, ai quali attribuisce – in modo tanto calunnioso quanto impudente – la causa dello scompiglio dei Caldei.

Egli non si perita inoltre di scongiurarci affinché manifestiamo la Nostra approvazione al fatto che egli invii successivamente in Malabaria dei Vescovi di rito caldeo.

Alla fine annuncia di avere in animo di convocare dopo l'inverno alcuni suoi Vescovi per renderli partecipi delle Nostre disposizioni, e decidere unanimemente con loro che cosa sia opportuno fare; ciò egli Ci farà sapere al più presto.

22 Voi vedete, Venerabili Fratelli e diletti Figli, quale risposta Noi possiamo dare a quest'ultima sua lettera, tenuto anche contro di quel che abbiamo detto nelle Nostre missive precedenti.

La divina Sapienza ( Sir 32,6 ) infatti ammonisce a non spendere parole dove esse non possono essere udite.

Lo stesso Patriarca ricorda di aver dovuto molto subire per aver difeso e propagato la fede cattolica; per questo abbiamo usato con lui la massima pazienza.

Ma va ricordato anche che colui che abbia osservato tutta la legge, ma si sia reso colpevole di una cosa, sarà considerato colpevole di tutto ( Gc 2,10 ); e non chi avrà cominciato, ma chi sarà arrivato fino in fondo sarà salvato.

Che cosa possiamo dire di quel che ha messo insieme contro i Missionari?

Noi abbiamo accertato che essi si sono valsi dei loro diritti religiosamente; se risulta che essi abbiano compiuto qualcosa di malvagio, ne venga riferito a Noi, con un'esposizione diligente ed accurata di tutto lo svolgimento della vicenda; né certamente verremo meno all'obbligo di rendere giustizia a ciascuno.

Non siamo disposti a prestare orecchio tollerante a vaghe accuse, soprattutto sapendo che i Missionari hanno affrontato le calunnie e l'invidia dei malevoli e per di più furono talora perseguitati con gravissime offese, non solo con la connivenza e la condiscendenza del Patriarca, ma persino per sua iniziativa.

23 Stando così le cose, è evidente che il Venerabile Fratello Patriarca Giuseppe, per quanto più volte ammonito, non soddisfece né volle soddisfare Noi e la Sede Apostolica.

A che cosa serve, infatti, proclamare il dogma cattolico del primato del Beato Pietro e dei suoi successori, ed aver diffuso tante dichiarazioni di fede cattolica e di obbedienza verso la Sede Apostolica, quando le azioni in sé smentiscono apertamente le parole?

Forse che non diventa persino meno scusabile la caparbietà, quanto più si riconosce il doveroso impegno dell'obbedienza?

Forse che l'autorità della Sede Apostolica non si estende oltre ciò che è stato da Noi disposto, o basta avere comunione di fede con essa, senza obbligo d'obbedienza, perché si possa considerare salva la fede cattolica?

Fino ad ora nei confronti del Patriarca Noi abbiamo agito con la massima mitezza e nei suoi confronti abbiamo usato una pazienza così grande, quale da Noi non si sarebbe dovuto aspettare.

È tuttavia giusto che anche la pazienza e la longanimità abbiano una loro misura: per evitare, come spiega il Nostro Predecessore San Gregorio Magno, che la forza della punizione sia addolcita oltre misura da un eccessivo languore.

Lo stesso Cristo Signore ci ha insegnato che colui che sarà stato ammonito inutilmente più e più volte e non avrà dato ascolto nemmeno alla Chiesa, dev'essere considerato come un pagano e un pubblicano.

Perciò i Pontefici Romani, per l'autorità ricevuta da Dio sopra tutti, di qualunque ordine e dignità, per conservare l'integrità dell'unità e della Fede Cattolica, e per annullare l'arroganza dei ribelli, spesso hanno dovuto far ricorso alla scomunica degli stessi Patriarchi, deponendoli anche, quando si è reso necessario, come risulta più volte negli annali delle Chiese Orientali, e come voi non potete assolutamente ignorare.

24 È perciò necessario che Noi, sia pur mal volentieri e rattristati, teniamo lo stesso comportamento col predetto venerabile Fratello Giuseppe, affinché egli non si burli ulteriormente di questa Sede Apostolica e del popolo cristiano con le lusinghe delle parole; affinché non si trinceri dietro la comunione con Noi mentre invece è contro di Noi e trasgredisce le disposizioni dei Padri.

Perciò abbiamo ritenuto di dover spedire questa lettera enciclica a Voi, Venerabili Fratelli, e a tutti e a ciascuno dei fedeli del vostro rito, affinché conosciate la realtà autentica delle cose e tutto ciò che fino ad ora il vostro Patriarca ha compiuto e sta compiendo e che è – come abbiamo detto sopra – contrario alle decisioni ed alle Costituzioni Nostre e di questa Sede Apostolica; e sappiate che tutto ciò viene da Noi rigettato e condannato.

Perciò Voi non dovete – e nemmeno potete – obbedirgli in quei casi in cui sia accaduto o accada che egli disponga contro gli ordini Nostri e della Sede Apostolica.

State attenti a non essere ingannati dalle false narrazioni e dalle dicerie calunniose che vengono messe in giro per invidia, specialmente su questioni rituali o – come dicono – nazionali.

Si tratta infatti, Venerabili Fratelli e diletti Figli, dell'obbedienza che si deve prestare o negare alla Sede Apostolica; si tratta di riconoscerne la suprema potestà, anche nelle vostre Chiese, quanto meno per ciò che riguarda la fede, la verità e la disciplina; chi l'avrà negata è un eretico.

Chi invece l'avrà riconosciuta, ma orgogliosamente rifiuti di obbedirle, è degno dell'anatema.

Se qualcuno, ritenendo di giudicare diversamente lo stato delle cose, si allontanerà dalla retta via, si affretti a pentirsi.

In verità, se tutti coloro che debbono averla useranno nei confronti del loro Patriarca sincera carità, essi tenteranno di riportarlo alla buona messe con ammonizioni, esortazioni, frequenti preghiere elevate a Dio, secondo ciò che il Signore avrà concesso a ciascuno.

Perché tutto ciò accada aspetteremo fino a quaranta giorni, pregando anche personalmente Dio fra i gemiti, affinché il cuore di colui non s'indurisca, ma oda alla fine la Nostra voce e ritorni a saggi consigli e con questa decisione procuri a sé ed alla sua gente la vera utilità ed il vero bene.

Una volta trascorsi quaranta giorni dacché questa lettera sarà giunta nelle sue mani, se egli persevererà – Dio non voglia! – nella sua ribellione e nella sua disobbedienza, e non darà seguito nei fatti a tutto ciò che Noi gli abbiamo ordinato, saremo costretti a rendere operativa nei suoi confronti, senza ulteriore dilazione, la sentenza in forza della quale egli sarà completamente allontanato dalla comunione con Noi, cioè dalla comunione con la Chiesa cattolica, e, legato dal vincolo della scomunica maggiore, per ciò stesso sarà privato di ogni e qualunque giurisdizione spirituale nei confronti dei fedeli del suo Patriarcato.

25 Non potremmo impiegare verso di lui pazienza e commiserazione tanto grandi senza preoccuparci contemporaneamente con efficacia della salvezza delle anime, individuando fin d'ora che cosa sia necessario per garantire la loro incolumità e per strapparle dai gravissimi pericoli nei quali sono state trascinate, ed ogni giorno vengono spinte vieppiù, per la disobbedienza del Patriarca.

Come possiamo infatti tollerare che i fedeli delle Diocesi di Iezira, Amida, Zaku siano stati affidati fino ad ora all'arbitrio di pseudopastori, dei quali è sacrilega la consacrazione, illegittima la missione, nulla la giurisdizione?

Che tutti costoro tentino di raggirare i più ingenui, ingannare gl'incauti, spaventare i più deboli ed allontanare tutti dal centro della comunione cattolica, anche se a parole ripetono espressamente il contrario?

E mentre si gloriano di essere baluardo della potestà patriarcale e velame della propria malvagità, facciano di tutto per irretire le coscienze?

Forse che non dovremmo privarli completamente di questo presidio e strappare dalla loro tirannia i fedeli delle Diocesi che furono loro affidate?

Perciò, su suggerimento dei Venerabili Fratelli Nostri Cardinali di Santa Romana Chiesa preposti agli affari del rito orientale con la Nostra autorità Apostolica sospendiamo il Venerabile Fratello Giuseppe Audu, Patriarca Babilonese dei Caldei, da ogni e qualsivoglia giurisdizione sulle ricordate Diocesi di Iezira, Amida e Zaku e su tutte le altre del suo rito che attualmente sono prive di un Pastore legittimo o che lo diverranno in futuro.

Riserviamo a Noi ed a questa Sede Apostolica il loro governo e la loro amministrazione, fintanto che non siano assegnati loro regolarmente Vescovi legittimi.

26 Vogliamo e disponiamo che i Vescovi intrusi Matteo, Ciriaco ed Elia, che una consacrazione temeraria e sacrilega ha insignito del carattere episcopale, e che non hanno alcuna giurisdizione, si allontanino immediatamente dalle predette Diocesi e adempiano tutto ciò che abbiamo loro ordinato nella lettera della ricordata Nostra Congregazione.

Se non avranno attuato tutto ciò nell'arco, come sopra, di quaranta giorni, e soprattutto se non si saranno allontanati dalle citate Diocesi e non ne avranno rimessa completamente e concretamente l'amministrazione malvagiamente usurpata, procederemo anche contro di loro con la sentenza di maggiore scomunica.

27 Quanto al Vescovo Tommaso Rokos, che nella seconda sacrilega consacrazione ha affiancato il Patriarca Giuseppe, svolgendo il ruolo dei Vescovi consacranti, per quanto reiteratamente ammonito, egli si presenta ancora ribelle; perciò puniremo anche lui con analoga pena di scomunica se entro il termine di quaranta giorni, da calcolare come sopra, non avrà riprovato per iscritto il suo delitto e tutto ciò che il Patriarca ha illegittimamente commesso contro le Nostre Costituzioni e disposizioni.

28 Noi stessi Ci occuperemo del governo delle Diocesi che mancano di un legittimo Pastore, affidandone l'amministrazione ad idonei Sacerdoti del medesimo rito Caldeo, con le opportune e necessarie facoltà per dirigerle, indipendentemente non solo dagli pseudovescovi intrusi, che non hanno né possono avere alcuna autorità, ma anche dallo stesso Patriarca, al quale, con questa Nostra lettera, viene sottratta qualunque giurisdizione su quelle diocesi.

29 In verità, poiché non ignoriamo che il Patriarca si era accanito con censure e pene ecclesiastiche contro quei sacerdoti, chierici e fors'anche altri fedeli, che avevano rifiutato di concordare con i suoi malvagi disegni, facciamo presente che Noi avevamo già concesso una speciale facoltà al Venerabile Fratello Ludovico, Arcivescovo di Damietta, Nostro Delegato in Mesopotamia, per esaminare la forza e la fondatezza di queste censure e pene che, in quanto comminate dal legittimo Pastore, nessuno può rigettare; e di sollevarne coloro che avrà giudicato essere stati ingiustamente condannati nel Signore.

Noi confermiamo questo potere speciale e straordinario al medesimo Delegato Apostolico, finché lo stesso Patriarca non avrà dato piena e totale soddisfazione a Noi ed a questa Sede Apostolica, o la stessa facoltà non gli sia revocata in altro modo.

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