Operosam diem

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Ambrogio vescovo

3 Per la Chiesa di Milano sarà certamente motivo di gioia mettersi in ascolto con rinnovato interesse del suo antico Pastore, e quasi rifare l'esperienza di quegli innumerevoli fedeli - umili o altolocati, anonimi o illustri - che si lasciarono illuminare dalla sua parola e, guidati da lui, raggiunsero Cristo.

Passato e presente si intrecciano nella fede vissuta di ciascuna comunità ecclesiale.

È proprio dei Santi, infatti, restare misteriosamente "contemporanei" di ogni generazione: è la conseguenza del loro profondo radicarsi nell'eterno presente di Dio.

Ambrogio, in qualche modo, parla ancora dalla cattedra milanese, e la sua voce è accolta e desiderata da tutta la Chiesa.

Mossi da questa consapevolezza, vogliamo cercare di raccoglierne i tratti salienti, per meglio aprirci alla sua testimonianza e al suo messaggio.

A questa riscoperta ci spinge anche l'amore che la Chiesa inculca verso coloro che, eminenti per santità e dottrina nei primi secoli cristiani, a ragione vengono chiamati e sono "padri" nella fede.

Ambrogio lo è a titolo davvero speciale.

4 È a tutti nota la singolarità della sua elezione, che il biografo Paolino attribuisce all'ispirata iniziativa di un fanciullo, a cui peraltro corrispose la piena fiducia del popolo e del clero e, successivamente, la soddisfazione dello stesso imperatore.5

Ambrogio, nato da genitori cristiani, ma rimasto catecumeno secondo un uso non infrequente nelle famiglie ragguardevoli del tempo, aveva percorso con onore la carriera politica, prima a Sirmio nella prefettura d'Italia, di Illirico e d'Africa, quindi a Milano come consularis, con la responsabilità di governo della provincia di Emilia - Liguria.

Qui aveva potuto constatare la grave situazione della Chiesa milanese, disorientata dal governo quasi ventennale del Vescovo ariano Aussenzio, divisa e fortemente provata dal diffondersi di questa eresia.

5 Ritenendosi impreparato ad assumere l'ufficio episcopale, egli tentò ripetutamente di sottrarsi a quella nomina, ma alla fine si piegò all'insistenza del popolo che, avendolo apprezzato per l'equanimità e la dirittura nell'incarico di governatore, nutriva fondata fiducia nella sua capacità di guidare con saggezza la comunità ecclesiale.

Accettò quindi di ricevere il battesimo, che gli fu amministrato da un Vescovo cattolico il 30 novembre 374; e il 7 dicembre successivo fu ordinato Vescovo.6

Nei primi anni, con intima sofferenza e schietta umiltà, dovette riconoscere il contrasto fra la sua impreparazione specifica e il dovere impellente di insegnare ai fedeli e di operare le necessarie scelte pastorali.7

Ma volle subito gettare le basi di un'accurata preparazione teologica e, con il consiglio e il sostegno del presbitero Simpliciano, che fu poi suo successore nella sede di Milano, si dedicò con cura allo studio biblico e teologico, approfondendo le Scritture e attingendo alle fonti più autorevoli dei grandi Padri e scrittori ecclesiastici antichi, sia latini che greci, primo fra tutti Origene, suo costante maestro e ispiratore.

Nelle omelie e negli scritti Ambrogio in gran parte riproponeva quanto aveva intelligentemente assimilato, ma insieme lo arricchiva col suo genio, rinvigorendo l'esposizione, coniando formule sintetiche particolarmente efficaci e introducendo concreti adattamenti alla situazione dei suoi ascoltatori e lettori.

Così, dallo studio costantemente ravvivato della dottrina cattolica, nasceva un ricco e fruttuoso insegnamento e insieme si dispiegava un'articolata azione pastorale.

6 Subito Ambrogio volle accogliere quanti si erano sbandati dietro all'arianesimo.

Di regola non cercava di strapparli bruscamente alle spire dell'eresia, neppure quando si trattava di membri del clero,8 e ciò non per un improvvido compromesso, ma con il lodevole intento di promuovere un'adesione convinta alla retta fede trinitaria attraverso una predicazione rigorosa e articolata.

E fra il 378 e il 382 divulgò il frutto di quegli insegnamenti nei trattati De fide, De Spiritu Sancto e De incarnationis dominicae sacramento.

Gli esiti positivi di questa strategia pastorale si toccarono con mano quando, nella primavera del 385 e soprattutto in quella dell'anno seguente, l'autorità imperiale fomentò l'opposizione ariana e pretese per essa la cessione di una basilica.

La gente allora si strinse attorno al Vescovo, mostrando quanto efficace fosse stata la sua parola e, al tempo stesso, quanto falsamente gonfiata fosse l'esigenza avanzata dalla corte.

In quei frangenti i commercianti sopportarono persino tasse imposte proprio con l'intento di staccarli dal Vescovo: ma non lo vollero privare del proprio sostegno.9

E quando si giunse a minacciare Ambrogio e ad accerchiare le chiese, il popolo vegliò insieme al suo Pastore, condividendone la trepidazione, la lotta, la preghiera.

Alla fine l'autorità imperiale cedette, e il Vescovo poteva confidare alla sorella Marcellina: "Quale fu, allora, l'allegrezza di tutta la gente, quale il plauso di tutto il popolo, quale la riconoscenza!".10

Eletto per la decisa volontà dei Milanesi, Ambrogio seppe coltivare un'intesa profonda con la sua comunità, mirabilmente ancorandola ai princìpi della fede cattolica.

7 Nella società romana in disfacimento, non più sorretta dalle antiche tradizioni, era inoltre necessario ricostruire un tessuto morale e sociale che colmasse il pericoloso vuoto di valori che si era venuto creando.

Il Vescovo di Milano volle dar risposta a queste gravi esigenze, non operando soltanto all'interno della comunità ecclesiale, ma allargando lo sguardo anche ai problemi posti dal risanamento globale della società.

Consapevole della forza rinnovatrice del Vangelo, vi attinse concreti e forti ideali di vita e li propose ai suoi fedeli, perché ne nutrissero la propria esistenza e facessero così emergere, a servizio di tutti, autentici valori umani e sociali.

Non esitò quindi a manifestare la sua chiara opposizione, quando nel 384 il praefectus Urbi Simmaco avanzò all'imperatore Valentiniano II la domanda di ripristinare in Senato la statua della dea Vittoria.

A chi pensava di salvare la "romanità" facendo ritorno a simboli e pratiche ormai desuete e senza vita, Ambrogio obiettò che la tradizione romana, con i suoi antichi valori di coraggio, di dedizione e di onestà, poteva essere assunta e rivitalizzata proprio dalla religione cristiana.

Il vecchio culto pagano - notava il Vescovo di Milano - accomunava Roma ai barbari proprio e solo nell'ignoranza di Dio;11 ma ora che finalmente la grazia si è diffusa tra i popoli, "a buon diritto è stata preferita la verità".12

8 La forza rinnovatrice del Vangelo apparve evidente negli interventi dedicati dal Vescovo alla difesa della giustizia sociale, in particolare nei tre libretti De Nabuthae, De Tobia, De Helia et ieiunio.

Ambrogio stigmatizza l'abuso delle ricchezze, denuncia le sperequazioni e i soprusi con cui i pochi abbienti sfruttano a proprio vantaggio le situazioni di disagio economico e di carestia, condanna coloro che, fingendo di aiutare per carità, dànno poi a prestito con una pesantissima usura.

Su tutto e su tutti fa riecheggiare i suoi moniti: "Una medesima natura è madre di tutti gli uomini, e perciò siamo tutti fratelli generati da un'unica e medesima madre, legati da un medesimo vincolo di parentela";13 "tu non dài del tuo al povero, ma gli rendi il suo".14

Specificamente riguardo all'usura si domanda: "Che c'è di più crudele del dare il tuo denaro a chi non ne ha ed esigerne il doppio?"15

Per la salvezza stessa dei popoli, spesso schiacciati dal peso dei debiti, Ambrogio riteneva dovere dei Vescovi adoperarsi ad estirpare tali vizi e a promuovere gli slanci di un'operosa carità.

Comprensibile dunque il suo impeto di gioia, e si direbbe la sua umile fierezza di padre, quando gli giunse notizia che un suo eminente figlio spirituale, Paolino da Bordeaux, ex senatore e futuro Vescovo di Nola, aveva deciso di lasciare i suoi beni ai poveri, per ritirarsi, insieme con la moglie Terasia, a condurre vita ascetica nella cittadina campana.

Esempi come questo - osservava Ambrogio in una sua lettera16 - erano destinati a produrre clamore e scandalo in una società prigioniera dell'edonismo, ma incarnavano, con l'efficacia insostituibile della testimonianza, la grande sfida morale del cristianesimo.

9 Tutta la vita doveva essere rinnovata dal lievito del Vangelo.

Al riguardo Ambrogio prospetta ai suoi fedeli un itinerario spirituale chiaro ed impegnativo, fatto di ascolto della Parola di Dio, di partecipazione ai Sacramenti e alla preghiera liturgica, di sforzo morale ispirato alla concreta osservanza dei comandamenti.

Chi legge gli scritti del santo Vescovo si accorge che questi sono gli elementi, semplici e necessari, continuamente richiamati nella sua predicazione e nella sua attività pastorale.

Su queste realtà Ambrogio viene costruendo giorno per giorno una comunità viva, nutrita dei valori evangelici e segno non equivoco per la società del suo tempo.

Ne fu vivamente impressionato, tra gli altri, Agostino, giunto a Milano nell'autunno del 384.

Pur inizialmente attratto soltanto dallo stile oratorio del Vescovo, ben presto sperimentò la concretezza e il fascino della vita della Chiesa di Milano: "Vedevo la chiesa piena, e in essa l'uno avanzare in un modo, l'altro in un altro", ricorderà con ammirazione molti anni dopo.17

Non era riuscito ad ottenere dal Vescovo incontri prolungati e confidenziali, ma aveva visto nella Chiesa da lui guidata una manifestazione eloquente della sua saggezza pastorale e aveva potuto compiere una verifica convincente della validità del suo insegnamento spirituale.

Giustamente perciò considerò Ambrogio, dal quale ricevette anche il Battesimo, padre della sua fede.

10 Non è possibile passare in rassegna dettagliatamente tutti gli interventi dell'infaticabile Pastore, che in vario modo contribuirono a vivificare la comunità e ad immettere energie nuove e vigorose nella società.

Ma è almeno opportuno elencarne i più significativi.

Al primo posto porrei la premura che egli ebbe per la formazione dei sacerdoti e dei diaconi.

Li voleva pienamente conformati a Cristo, posseduti totalmente da Lui18 e corredati delle più solide virtù umane: l'ospitalità, l'affabilità, la fedeltà, la lealtà, una generosità che aborrisse l'avarizia, la riflessività, un pudore incontaminato, l'equilibrio, l'amicizia.

Esigente quanto paterno, il suo affetto per i sacerdoti era davvero traboccante: "Per voi, che ho generato nel Vangelo, non nutro minor amore che se vi avessi avuto nel matrimonio".19

Ugualmente intensa, fin dalla sua prima predicazione giunta a noi nel De virginibus, fu la cura delle vergini consacrate.

Ambrogio vedeva la loro vocazione radicata nel mistero stesso del Verbo Incarnato: "E chi possiamo credere che ne sia il suo autore, se non l'immacolato Figlio di Dio, la cui carne non ha visto la corruzione, la cui divinità non ha conosciuto contaminazione?";20 e nella testimonianza delle vergini segnalava una risposta provocatoria, forte e concreta, al ruolo umiliante in cui la decadente società romana aveva relegato la donna.

Costante fu pure l'attenzione di Ambrogio per il culto dei martiri.

Con il rinvenimento delle loro reliquie e la venerazione ad essi tributata egli intendeva proporre ai credenti modelli di una sequela di Cristo impavida e generosa; e non mancava di metterli in guardia contro i pericoli dei tempi di pace, quando ai persecutori violenti si sostituiscono quelli più subdoli che "senza ricorrere alla minaccia della spada, stritolano spesso lo spirito dell'uomo, quelli che espugnano l'animo dei credenti più con le lusinghe che con le minacce".21

Anche le celebrazioni liturgiche, nutrite dalle spiegazioni catechetiche del Vescovo e animate dalla sua genialità poetica, diventavano momento comunitario di validissima formazione e di incisiva testimonianza.

Basti pensare agli inni, da lui composti e sperimentati nelle lunghe ore di veglia durante l'accerchiamento delle chiese: "Dicono che il popolo è stato abbindolato dall'incantesimo dei miei inni", ribatteva agli ariani che lo accusavano. "Proprio così: non lo nego.

È un grande incantesimo, il più potente di tutti.

Che c'è infatti di più potente del confessare la Trinità, che ogni giorno viene esaltata dalla bocca di tutto il popolo?

A gara, tutti vogliono proclamare la loro fede, tutti hanno imparato a lodare in versi il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo.

Sono dunque diventati tutti maestri, quelli che a malapena potevano essere discepoli".22

11 Pastore attivissimo, Ambrogio fu certamente uomo di intenso raccoglimento e di profonda contemplazione.

Era capace di grande concentrazione: per questo le sue letture poterono prepararlo al ministero in così breve tempo e fra attività tanto numerose.

Amava il silenzio; e Agostino, che lo trovò assorto nello studio, non ardì neppure parlargli: "Chi infatti avrebbe osato disturbarlo nella sua concentrazione?".23

Da quel raccoglimento nasceva la sua penetrazione delle Scritture e la spiegazione che ne offriva nelle omelie e nei commentari.

Da lì nasceva anche la profonda spiritualità del Vescovo.

Il biografo Paolino ne sottolinea l'ascesi: "Era uomo di grande astinenza e di molte veglie e fatiche, e macerava il corpo con quotidiano digiuno …

Grande era anche l'assiduità alla preghiera, di notte e di giorno".24

Al centro della sua spiritualità stava Cristo, ricercato e amato con intenso trasporto.

A Lui tornava continuamente nel suo insegnamento.

Su Cristo si modellava pure la carità che egli proponeva ai fedeli e che testimoniava di persona accogliendo "caterve di gente affannata che soccorreva nell'angustia", come ci ricorda Agostino.25

12 Mancherebbe un elemento caratteristico a questo pur rapido ritratto dell'uomo e del Vescovo, se non gettassimo almeno uno sguardo al suo rapporto con l'autorità civile.

Era ancora vivo il ricordo delle intromissioni nella vita e nella dottrina della Chiesa compiute nei decenni precedenti dagli imperatori cristiani, che talora avevano sostenuto la parte ariana e in ogni caso avevano creato gravi disagi e spaccature nella comunità dei credenti.

Fatto Vescovo, Ambrogio confermò in molte situazioni il suo spiccato lealismo nei confronti dello Stato, ma sentì anche il dovere di promuovere un più corretto rapporto tra Chiesa e Impero,26 reclamando per la prima una precisa autonomia nel suo proprio ambito.

In questo modo egli non solo difendeva i diritti di libertà della Chiesa, ma poneva anche un argine all'assolutismo senza limiti dell'autorità imperiale, favorendo così la rinascita delle antiche libertà civili, nell'alveo della migliore tradizione romana.

Era una strada difficile da percorrere, tutta da inventare; ed Ambrogio dovette di volta in volta precisare meglio modalità e stile.

Se gli riuscì di coniugare fermezza ed equilibrio negli interventi già menzionati - nella questione cioè dell'altare della Vittoria e quando fu richiesta una basilica per gli ariani - inadeguato si rivelò invece il suo giudizio nell'affare di Callinico, quando nel 388 venne distrutta la sinagoga di quel lontano borgo sull'Eufrate.

Ritenendo infatti che l'imperatore cristiano non dovesse punire i colpevoli e neppure obbligarli a porre rimedio al danno arrecato,27 andava ben oltre la rivendicazione della libertà ecclesiale, pregiudicando l'altrui diritto alla libertà e alla giustizia.

Fu all'opposto mirabile il suo atteggiamento nei confronti dello stesso Teodosio, due anni più tardi, all'indomani della strage di Tessalonica, ordinata per vendicare l'uccisione di un comandante.

All'imperatore, che si era macchiato di una colpa tanto grave, il Vescovo indicò, con tatto e fermezza, la necessità di sottoporsi a penitenza,28 e Teodosio, accogliendo l'invito, "pianse pubblicamente nella Chiesa il suo peccato" e "con lamenti e lacrime invocò il perdono".29

In questo celebre episodio Ambrogio aveva saputo incarnare al meglio l'autorità morale della Chiesa, facendo appello alla coscienza dell'errante, senza riguardo al suo potere, ed ergendosi a vindice del sangue ingiustamente e crudelmente versato.

13 Veramente grande la figura di questo santo Vescovo, e straordinariamente efficace l'opera che egli svolse per la Chiesa e la società del suo tempo!

Auspicò che il suo esempio di uomo, di sacerdote, di pastore dia rinnovato impulso alla presa di coscienza di cui tutti i fedeli del nostro tempo - Vescovi, presbiteri, anime consacrate e laici cristiani - hanno bisogno per ispirare la propria vita al Vangelo, e farsene apostoli sempre più ardenti alle soglie ormai del terzo millennio cristiano.

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5 Paolino, Vita Ambrosii, 6, 1-2: ed. A.A.R. Bastiaensen, Milano 1975, p. 60
6 Ibid., 9, 2-3: l.c., p. 64
7 De virginibus, I, 1, 1: Saemo 14I, p. 100;
De officiis, I, 1, 4: Saemo 13, p. 24
8 Teofilo d'Alessandria, Ep. ad Flavianum, framm. 1: Saemo 24I, p. 213
9 Ep. LXXVI, 6: Saemo 21, pp. 138-140
10 Ibid., 26: l.c., p. 152
11 Ep. LXXIII, 7: Saemo 21, p. 66
12 Ibid., 29: l.c., p. 78
13 De Noe, 26, 94: Saemo 2I, p. 484
14 De Nabuthae, 12, 53: Saemo 6, p. 172;
Expositio ev. sec. Lucam, VII, 124: Saemo 12, p. 184
15 Ep. LXII, 4-5: Saemo 20, p. 148;
De Tobia, 14, 50: Saemo 6, p. 246
16 Ep. XXVII, 1-3: Saemo 19, p. 252
17 Confessiones, VIII, 1,2
18 Ep. XVII, 14: Saemo 19, p. 176;
Ep. XXIV, 13: Saemo 19, p. 244
19 " Neque enim minus vos diligo, quos in Evangelio genui, quam si coniugio suscepissem ", De officiis, I, 7, 24: Saemo 13, p. 36
20 De virginibus, I, 5, 21: Saemo 14I, p. 122
21 Expositio ps. CXVIII, XX, 46: Saemo 10, p. 358
22 Contra Auxentium = Ep. LXXVa, 34: Saemo 21, p. 134
23 Confessiones, VI, 3, 3
24 Paolino, Vita Ambrosii, 38, 3: ed. A.A.R. Bastiaensen, Milano 1975, p. 102
25 Confessiones, VI, 3, 3
26 Contra Auxentium = Ep. LXXVa, 36: Saemo 21, p. 136
27 Ep. extra coll. I, 27-28: Saemo 21, p. 188
28 Ep. extra coll. XI, l.c., pp. 230-240
29 De obitu Theodosii, 33: Saemo 18, p. 234