Venerdì, 12 settembre 2014

Il compito di ricucire i buchi

Cristiani a rischio « squalifica », come ammonisce san Paolo, se pretendono di fare la correzione fraterna senza carità, verità e umiltà, dando spazio a ipocrisia e chiacchiere.

In realtà questo servizio all'altro richiede anzitutto di riconoscersi peccatori e non ergersi a giudici, come ha ricordato il Papa durante la messa celebrata venerdì mattina, 12 settembre, nella cappella della Casa Santa Marta.

Francesco ha fatto subito notare come « in questi giorni la liturgia ci ha fatto meditare su tanti atteggiamenti cristiani: dare, essere generoso, servire gli altri, perdonare, essere misericordioso ».

Questi « sono atteggiamenti - ha spiegato - che aiutano a crescere la Chiesa ».

Ma in particolare « oggi il Signore ci fa tornare su uno di questi atteggiamenti, del quale ha già parlato, e cioè la correzione fraterna ».

La questione di fondo è: « Quando un fratello, una sorella della comunità sbaglia, come devo correggerlo? ».

Sempre attraverso la liturgia, ha proseguito il Pontefice, « il Signore ci aveva detto alcuni consigli su come correggere » l'altro.

Ma « oggi riprende tutto e dice: si deve correggerlo, ma come una persona che vede e non come un cieco ».

Lo ricorda proprio il Vangelo di Luca ( Lc 6,39-42 ): può forse un cieco guidare un altro cieco?

Insomma per correggere bisogna vedere bene.

E seguire alcune regole di comportamento suggerite dal Signore stesso.

« Prima di tutto - ha affermato il Pontefice - il consiglio che dà per correggere il fratello, lo abbiamo sentito l'altro giorno, è prendere da parte il tuo fratello che ha sbagliato e parlagli », dicendogli: « Ma, fratello, in questo credo che tu non hai fatto bene! ».

E « prenderlo da parte » significa, appunto, « correggerlo con carità ».

Perché « non si può correggere una persona senza amore e senza carità ».

Sarebbe come « fare un intervento chirurgico senza anestesia », con la conseguenza che l'ammalato morirebbe di dolore.

E « la carità è come una anestesia che aiuta a ricevere la cura e accettare la correzione ».

Ecco allora il primo passo verso il fratello: « prenderlo da parte, con mitezza, con amore, e parlargli ».

Il Papa, rivolgendosi anche alle numerose religiose presenti alla celebrazione a Santa Marta, ha invitato dunque a parlare sempre « con carità », senza causare ferite, « quando nelle nostre comunità, nelle parrocchie, nelle istituzioni, nelle comunità religiose, si deve dire qualcosa a una sorella, a un fratello ».

Insieme alla carità, bisogna « dire la verità » e mai « dire una cosa che non è vera ».

In realtà, ha fatto notare, « quante volte nelle nostre comunità si dicono cose di un'altra persona che non sono vere: sono calunnie ».

Oppure, « se sono vere », comunque « si toglie la fama di quella persona ».

In questa prospettiva, un modo di rivolgersi al fratello, secondo il Papa, può essere il seguente: « Questo che io ti dico, a te, che tu hai fatto, è vero.

Non è una chiacchiera che mi è arrivata ».

Perché « le chiacchiere feriscono, sono schiaffi alla fama di una persona, sono schiaffi al cuore di una persona ».

Allora ci vuole sempre « la verità », anche se a volte « non è bello sentirla ».

In ogni caso, se la verità « è detta con carità e con amore, è più facile accettarla ».

Ecco perché bisogna dire « la verità con carità: così si deve parlare dei difetti agli altri ».

Della terza regola, l'umiltà, parla Gesù nel passo del Vangelo di Luca: correggere l'altro « senza ipocrisia, cioè con umiltà ».

È bene far presente a se stessi, ha consigliato il vescovo di Roma, che « se devi correggere un difetto piccolino lì, pensa che tu ne hai tanti più grossi ».

Il Signore lo dice con efficacia: togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza nell'occhio dell'altro.

Solo così « non sarai cieco » e « vedrai bene » per aiutare davvero il fratello.

Occorre perciò « l'umiltà » per riconoscere che « io sono più peccatore di lui, più peccatore di lei ».

Dopodiché « io devo aiutare lui e lei a correggere questo » difetto.

« Se io non faccio con carità la correzione fraterna, non la faccio in verità e non la faccio con umiltà, divento cieco » ha ammonito il Papa.

E se non vedo, si è chiesto, come faccio a « guarire un altro cieco? ».

In sostanza « la correzione fraterna è un atto per guarire il corpo della Chiesa ».

Francesco l'ha descritta con un'immagine efficace: è come ricucire « un buco nel tessuto della Chiesa ».

Però bisogna procedere « con tanta delicatezza, come le mamme e le nonne quando ricuciono », ed è proprio questo lo stile con cui « si deve fare la correzione fraterna ».

D'altro canto, ha messo in guardia, « se tu non sei capace di fare la correzione fraterna con amore, con carità, nella verità e con umiltà, tu farai un'offesa, una distruzione al cuore di quella persona: tu farai una chiacchiera in più che ferisce e diventerai un cieco ipocrita, come dice Gesù ».

Si legge infatti nella pagina evangelica di Luca: « Ipocrita! Togli prima la trave dal tuo occhio ».

Anche se bisogna riconoscere di essere « più peccatore dell'altro », come fratelli siamo chiamati comunque ad « aiutare a correggerlo ».

Il Pontefice non ha mancato di suggerire un consiglio pratico.

C'è « un segno - ha detto - che forse ci può aiutare: quando uno vede qualcosa che non va e sente che deve correggerla » ma avverte « un certo piacere nel fare quello », allora è il momento di « stare attenti, perché quello non è del Signore ».

Infatti « nel Signore sempre c'è la croce, la difficoltà di fare una cosa buona ».

E dal Signore vengono sempre amore e mitezza.

Tutto questo ragionamento sulla correzione fraterna, ha proseguito il Papa, ci sollecita a « non fare da giudice ».

Anche se, ha avvertito, « noi cristiani abbiamo la tentazione di farci come dottori », quasi di « spostarci fuori del gioco del peccato e della grazia, come se noi fossimo angeli ».

È una tentazione di cui parla anche san Paolo nella prima Lettera ai Corinzi ( 1 Cor 9,16-19.22-27 ): « Non succeda che dopo avere predicato agli altri, io stesso venga squalificato ».

Dunque, ci ricorda l'apostolo, « un cristiano che, in comunità, non fa le cose - anche la correzione fraterna - in carità, in verità e con umiltà, si squalifica! ».

Perché « non è riuscito a diventare un cristiano maturo ».

Francesco ha concluso pregando il Signore che « ci aiuti in questo servizio fraterno, tanto bello e tanto doloroso, di aiutare i fratelli e le sorelle a essere migliori », spingendoci « a farlo sempre con carità, in verità e con umiltà ».