Giovedì, 27 novembre 2014

Depressione o speranza?

Francesco ha lanciato un invito alla « speranza », a non farsi deprimere e spaventare da una realtà fatta di « guerre e sofferenza ».

Ricordando come le grandi costruzioni erette facendo a meno di Dio siano destinate a crollare: è stato così per la « malvagia Babilonia », caduta per la corruzione della mondanità spirituale.

Ed è stato così anche per la « distratta Gerusalemme », caduta perché « sufficiente » a se stessa e incapace di accorgersi delle visite del Signore.

Così per il cristiano l'atteggiamento giusto è sempre « la speranza » e mai « la depressione », ha detto nella messa di giovedì 27 novembre.

E ha dedicato la celebrazione alla beata Vergine della medaglia miracolosa, cara alla spiritualità delle figlie della carità di San Vincenzo de' Paoli, la congregazione che presta servizio nella Casa Santa Marta.

« In questi ultimi giorni dell'anno liturgico - ha fatto subito notare Francesco - la Chiesa ci propone di meditare sulla fine, sugli ultimi giorni, sulla fine del mondo ».

E « lo fa con diverse immagini, con diversi argomenti: domani ci sarà quella dei segni dei tempi ».

Ma, ha proseguito, « attira sempre la nostra attenzione verso il fine: l'apparenza di questo mondo si scioglierà e ci sarà un'altra terra, un altro cielo; ma questo finirà, finirà trasformato ».

Così, ha spiegato, « oggi ci dà, per meditare, la figura di due città, il crollo di due città: due città che non hanno accolto il Signore, che si sono allontanate dal Signore; due città che si sentivano soddisfatte di loro stesse ».

E così, nella prima lettura, tratta dall'Apocalisse ( Ap 18,1-2.21-23; Ap 19,1-3.9 ) Giovanni parla del crollo di Babilonia.

Mentre Luca, nel Vangelo ( Lc 21,20-28 ) riporta le parole di Gesù sulla caduta di Gerusalemme.

Però, ha precisato Francesco, « il crollo di queste due città avviene per motivi differenti ».

Da una parte c'è Babilonia, « simbolo del male, del peccato, che era diventata », si legge appunto nell'Apocalisse, « covo di demoni, rifugio di ogni spirito impuro, rifugio di ogni bestia impura e orrenda ».

E « Babilonia cade per corruzione ».

A dirlo, alla fine, è proprio l'apostolo: « Lei, la grande, corrompeva la terra con la sua prostituzione ».

Babilonia, ha sottolineato Francesco, « era corrotta, si sentiva padrona del mondo e di se stessa, col potere del peccato ».

E « quando si accumula il peccato, si perde la capacità di reagire e si incomincia a marcire ».

Ma « così accade anche con le persone, con le persone corrotte, che non hanno forza per reagire » ha precisato il Papa.

Perché « la corruzione ti dà qualche felicità, ti dà potere e anche ti fa sentire soddisfatto di te stesso »; però «non lascia spazio per il Signore, per la conversione ».

Ecco, dunque, il profilo della « città corrotta ».

E proprio « la parola corruzione oggi ci dice tanto: non solo corruzione economica, ma corruzione con tanti peccati diversi; corruzione con quello spirito pagano, con quello spirito mondano ».

Del resto, ha rimarcato il Pontefice, « la più brutta corruzione è lo spirito di mondanità ».

E infatti « Gesù aveva chiesto tanto al Padre di custodire i suoi discepoli dal mondo, dallo spirito del mondo, che ti fa sentire come in paradiso qui, pieno, abbondante ».

Invece « dentro, quella cultura corrotta è un cultura putrefatta: morta e di più …

Questo non si vede ».

Babilonia è così il « simbolo » - ha detto il Pontefice - di « ogni società, ogni cultura, ogni persona allontanata da Dio; anche allontanata dall'amore ai prossimi, che finisce per marcire, per marcire in se stessa ».

E alla fine « questa Babilonia, che era covo dei malvagi, cade per spirito di mondanità, cade per corruzione, si allontana dal Signore per corruzione ».

Invece, ha spiegato Francesco, « Gerusalemme cade per un altro motivo ».

Anzitutto « Gerusalemme è la sposa, è la fidanzata del Signore: la voleva tanto! ».

Però « non si accorse delle visite del Signore » e « ha fatto piangere il Signore ».

Tanto da fargli dire: « Quante volte ho voluto coprirti come la chioccia con i suoi pulcini: tu non ti sei resa conto delle mie visite, delle tante volte che Dio ti ha visitato ».

Dunque, ha precisato il Papa, se « Babilonia cade per corruzione, Gerusalemme cade per distrazione, per non ricevere il Signore che viene a salvarla ».

In pratica « non si sentiva bisognosa di salvezza: aveva gli scritti dei profeti, di Mosè e questo le era sufficiente ».

Ma quegli scritti erano « chiusi ».

Di conseguenza « non lasciava posto per essere salvata, aveva la porta chiusa per il Signore ».

E così « il Signore bussava alla porta, ma non c'era disponibilità di riceverlo, di ascoltarlo, di lasciarsi salvare da lui ».

E alla fine Gerusalemme cade.

Secondo il Pontefice, « questi due esempi ci possono fare pensare alla nostra vita: anche noi, un giorno, sentiremo lo squillo della tromba ».

Ma « in che città saremo in quel giorno?

Nella corrotta e sufficiente Babilonia?

Nella distratta, con le porte chiuse, Gerusalemme? ».

In ogni caso, alla fine entrambe vengono distrutte.

Tuttavia « il messaggio della Chiesa in questi giorni - ha suggerito Francesco - non finisce con la distruzione: in tutti e due i testi c'è una promessa di speranza ».

Infatti nel momento in cui cade Babilonia « si sente il grido di vittoria: alleluia, beati gli invitati al banchetto di nozze dell'Agnello!

Alleluia, adesso incomincia il banchetto di nozze, adesso che è tutto pulito! ».

Quella città, ha aggiunto, « non era degna di questo banchetto ».

D'altra parte « il testo della caduta di Gerusalemme ci consola tanto con quella parola di Gesù: alzate il capo! ».

L'invito del Signore è a « guardare » e a non lasciarsi « spaventare dai pagani ».

Poiché « i pagani hanno il loro tempo e dobbiamo sopportarlo con pazienza, come ha sopportato il Signore la sua passione ».

Per questo resta l'invito di Gesù: « Su la testa! ».

Con questo appello alla speranza il Papa ha concluso la sua meditazione.

« Quando pensiamo alla fine, alla fine della nostra vita, alla fine del mondo - ha spiegato - ognuno di noi avrà la propria fine; quando pensiamo alla fine, con tutti i nostri peccati, con tutta la nostra storia, pensiamo al banchetto che gratuitamente ci sarà dato e alziamo il capo ».

Perciò « niente depressione » ma « speranza ».

È vero, ha riconosciuto Francesco, che « la realtà è brutta: ci sono tanti, tanti popoli, città e gente, tanta gente, che soffre; tante guerre, tanto odio, tanta invidia, tanta mondanità spirituale e tanta corruzione ».

Però « tutto questo cadrà ».

Ecco perché, ha affermato, dobbiamo chiedere « al Signore la grazia di essere preparati per il banchetto che ci aspetta, col capo sempre alto ».