Giovedì, 11 dicembre 2014

La ninnananna di Dio

Dio è per noi come la mamma che ci canta teneramente la ninnananna e non ha paura di sembrare persino « ridicolo » per quanto ci ama.

Per questo Francesco ha messo in guardia dalla « tentazione di mercificare la grazia », con una certezza: « Se noi avessimo il coraggio di aprire il nostro cuore a questa tenerezza di Dio, ma quanta libertà spirituale avremmo! ».

E per vivere questa esperienza, durante la messa celebrata giovedì mattina, 11 dicembre, nella cappella della Casa Santa Marta, il Papa ha suggerito di aprire la Bibbia e leggere il passo del profeta Isaia proposto dalla liturgia del giorno: capitolo 41, versetti 13-20.

« Il profeta Isaia - ha fatto subito notare il Pontefice - parla della salvezza, di come Dio salva il suo popolo, e torna su quell'immagine, su quella realtà che è proprio la vicinanza di Dio al suo popolo ».

Del resto « Dio salva facendosi vicino; non salva a distanza: si fa vicino e cammina con il suo popolo ».

E « questa è la salvezza di Dio ».

Così « nel libro del Deuteronomio lo ha detto chiaramente al popolo: dimmi, quale popolo ha un Dio così vicino come te? Nessuno! ».

« È proprio la vicinanza di Dio al suo popolo quello che fa la salvezza ».

Una « vicinanza che progredisce, progredisce, fino a prendere la nostra umanità ».

E « in questo brano - ha spiegato Francesco - c'è una cosa che forse ci farà un po' sorridere, ma è bella ».

Infatti è talmente « tanta la vicinanza, che Dio si presenta qui come una mamma, come una mamma che dialoga con il suo bambino: una mamma quando canta la ninnananna al bambino e prende la voce del bambino e si fa piccola come il bambino e parla con il tono del bambino al punto di fare il ridicolo se uno non capisse cosa c'è lì di grande ».

Si legge infatti nella Scrittura: « Non temere, vermiciattolo di Giacobbe ».

« Quante volte - ha proseguito il Pontefice - una mamma dice queste cose al bambino mentre lo carezza! ».

È lo stesso linguaggio che troviamo nella Scrittura: « Ecco, ti rendo come una trebbia acuminata, nuova … ti farò grande …! ».

E così dicendo la mamma « lo carezza, e lo fa più vicino a lei ».

Ma anche « Dio fa così: è la tenerezza di Dio » che « è tanto vicino a noi, che si esprime con questa tenerezza, la tenerezza di una mamma ».

E questo vale « anche quando il bambino non vuole la mamma e si allontana, piange ».

Così « Gesù sul monte, quanto vedeva Gerusalemme, ha pianto, perché il popolo si era allontanato ».

Ma « Dio si presenta con questo atteggiamento di mamma: la vicinanza ».

E « questa è la grazia di Dio » ha affermato Francesco.

Infatti « quando noi parliamo di grazia, parliamo di questa vicinanza ».

Così « quando uno dice: io sono in stato di grazia, io sono vicino al Signore o lascio che il Signore mi si avvicini: quella è la grazia! ».

Invece « noi, tante volte, per essere sicuri, vogliamo controllare la grazia, come se il bambino dicesse alla mamma: "Ma, sta bene, adesso sta' zitta, lasciami vivere, va bene, io so che tu mi ami" ».

E da parte sua « la mamma continua a dire queste cose, che fanno ridere, ma è l'amore, l'amore che si esprime così ».

Ebbene « il bambino ferma la mamma? No!

Si lascia amare, perché è un bambino.

Così quando Gesù dice: il regno dei cieli è come il bambino che si lascia amare da Dio ».

E « questa è la grazia! ».

Francesco ha quindi messo in guardia dalla « tentazione di mercificare la grazia » che « noi abbiamo tante volte nella storia e anche nella nostra vita ».

Si tratta cioè di trasformare « questa grazia che è una vicinanza, una vicinanza delle viscere di Dio », in « una merce o una cosa controllabile ».

Perché « noi vogliamo controllare la grazia ».

E « così, quando si parla di grazia, abbiamo la tentazione di dire: "Io ho tanta grazia, sì, io sono in grazia!".

Ma cosa vuol dire: che sei vicino al Signore?

"No, anche ho l'anima pulita, sono in grazia!" ».

Finisce però che « questa verità tanto bella della vicinanza di Dio scivola in una contabilità spirituale: "No, io faccio questo perché questo mi darà 300 giorni di grazia …

Io faccio quell'altro perché questo mi darà questo, e così accumulo grazia …" ».

Con questo modo di ragionare la grazia si riduce, appunto a « una merce ».

« Nella storia - ha spiegato il Papa - questa vicinanza di Dio al suo popolo è stata tradita, per questo nostro atteggiamento egoista di voler controllare la grazia, mercificarla ».

Come « esempio » Francesco ha indicato « i partiti nel tempo di Gesù ».

A cominciare dai « farisei: per loro la grazia era proprio nel fare la legge, seguire la legge e quando c'era il dubbio se ne faceva un'altra perché fosse chiara quella legge ».

Ma così facendo « avevano finito con 300, 400 comandamenti ».

E « una mamma, quando carezza il suo figlio, non fa questo: è pura gratuità ».

Invece « i farisei con la gratuità di Dio hanno fatto una strada di santità che li rendeva schiavi ».

Ecco perché « Gesù li rimprovera: "Voi che caricate tanto sulle spalle del popolo, tante leggi!" ».

Rendendo di conseguenza « la grazia di Dio, questa vicinanza, mercificata ».

C'erano poi « i sadducei »: secondo loro la grazia di Dio era far « convivere politicamente il popolo con gli occupanti e fare patti politici » argomentando « ma, stiamo bene, il popolo va avanti, così andiamo …

Questa è la grazia, siamo in grazia di Dio, perché possiamo andare avanti ».

Ma « Gesù rimprovera » anche loro.

E, ancora, c'erano « gli esseni » che « erano buoni, buonissimi, ma avevano tanta paura, non rischiavano e così se ne andarono nel monastero a pregare ».

E così « quella grazia che porta avanti, quella vicinanza di Dio è diventata una chiusura monacale nel monastero, ma non la grazia di Dio ».

Dal canto loro, invece, « gli zeloti pensavano che la grazia di Dio fosse proprio la guerra di liberazione, le guerriglie di liberazione di Israele ».

E questa era « anche un'altra maniera di mercificare la grazia ».

Però, ha riaffermato il Papa, « la grazia di Dio è un'altra cosa: è vicinanza, è tenerezza ».

E ha suggerito una « regola » che « serve sempre: se tu nel tuo rapporto con il Signore non senti che Lui ti ama con tenerezza » significa che « ancora ti manca qualcosa, ancora non hai capito cos'è la grazia, ancora non hai ricevuto la grazia che è questa vicinanza ».

Francesco ha voluto condividere anche una sua esperienza sul campo, ricordando quando, tanti anni fa, gli si avvicinò una signora dicendogli: « Padre, devo fare una domanda perché non so se devo confessarmi o no ».

« Sabato scorso - ha proseguito riportando le parole della donna - siamo andati alle nozze di amici e c'era la messa lì e abbiamo detto, con mio marito: ma sta bene, questa messa, sabato sera?

Serve? È valida per domenica?

Sa, padre, che le letture non erano quelle della domenica, erano quelle delle nozze e io non so se questo era valido o io ho peccato mortalmente perché non sono andata domenica all'altra messa ».

Nel porre quella questione, ha ricordato Papa Francesco, « quella donna soffriva ».

Allora « ho detto a quella signora: "Il Signore la ama tanto: lei è andata lì, ha ricevuto la comunione, è stata con Gesù … Sì, ma stai tranquilla, il Signore non è un commerciante, il Signore ama, è vicino" ».

Anche « san Paolo reagisce con forza contro questa spiritualità della legge » ha ribadito Francesco.

Scrive infatti: « Io sono giusto se faccio questo, questo, questo.

Se non faccio questo non sono giusto ».

Piuttosto « tu sei giusto perché Dio ti si è avvicinato, perché Dio ti carezza, perché Dio ti dice queste cose belle con tenerezza: questa è la giustizia nostra, questa vicinanza di Dio, questa tenerezza, questo amore ».

E « il nostro Dio è tanto buono » fino al punto di correre il « rischio di sembrarci ridicolo ».

Tanto che, ha affermato il Papa, « se noi avessimo il coraggio di aprire il nostro cuore a questa tenerezza di Dio, ma quanta libertà spirituale avremmo! Quanta! ».

E ha concluso con un consiglio pratico: « Oggi, se avete un po' di tempo, a casa vostra, prendete la Bibbia: Isaia, capitolo 41, dal versetto 13 al 20, sette versetti.

E leggetelo! ».

Per entrare così più a fondo nell'esperienza di « questa tenerezza di Dio », di « questo Dio che ci canta a ognuno di noi la ninnananna, come una mamma ».