Venerdì, 26 giugno 2015

Accorciamo le distanze

Avvicinarsi alle persone emarginate, accorciare le distanze fino a toccarle senza aver paura di sporcarsi: ecco la « vicinanza cristiana » che ci ha mostrato concretamente Gesù liberando il lebbroso dall'impurità della malattia e anche dall'esclusione sociale.

A ogni cristiano, e alla Chiesa intera, il Papa ha chiesto di avere questo atteggiamento di « vicinanza » durante la messa di venerdì mattina, 26 giugno, nella cappella della Casa Santa Marta.

La prossima celebrazione è prevista per martedì 1° settembre.

« Quanto Gesù scese dal monte, molta folla lo seguì »: Francesco ha iniziato l'omelia ripetendo proprio le prime parole del Vangelo di Matteo ( Mt 8,1-4 ) proposto dalla liturgia.

E tutta quella gente, ha spiegato, « aveva ascoltato le sue catechesi: erano stupiti perché parlava loro "con autorità", non come i dottori della legge » che erano abituati a sentire.

« Erano stupiti » precisa il Vangelo.

E, dunque, proprio « questa gente » si mise a seguire Gesù senza stancarsi di ascoltarlo.

Tanto che, ha ricordato il Papa, quelle persone « sono rimaste tutta la giornata e, alla fine, gli apostoli » si resero conto che avevano sicuramente fame.

Ma « sentire Gesù per loro era gioia ».

E così « quando Gesù finì di parlare, scese dal monte e la gente lo seguiva » radunandosi « intorno a lui ».

Questa gente, ha ricordato, « andava per le strade, per i cammini, con Gesù ».

Però « c'era altra gente che non lo seguiva: lo guardava da lontano, con curiosità », chiedendosi: « Ma chi è questo? ».

Del resto, ha spiegato Francesco, « non avevano sentito le catechesi che stupivano tanto ».

E così c'era « gente che guardava dal marciapiede » e « c'era altra gente che non poteva avvicinarsi: le era vietato dalla legge, perché erano "impuri" ».

Proprio fra loro c'era il lebbroso di cui parla Matteo nel vangelo.

« Questo lebbroso - ha fatto notare il Papa - sentì nel suo cuore la voglia di avvicinarsi a Gesù: si fece coraggio e si avvicinò ».

Ma « era un emarginato », e dunque « non poteva farlo ».

Però « aveva fede in quell'uomo, si fece coraggioso e si avvicinò », rivolgendogli « semplicemente la sua preghiera: "Signore, se vuoi, puoi purificarmi" ».

Disse così « perché era "impuro" ».

Infatti « la lebbra era una condanna a vita ».

E « guarire un lebbroso era tanto difficile come resuscitare un morto: per questo li emarginavano, erano tutti lì, non potevano mischiarsi con la gente ».

C'erano, però, ha proseguito Francesco, « anche gli auto-emarginati, i dottori della legge che guardavano sempre con quella voglia di mettere alla prova Gesù per farlo scivolare e poi condannarlo ».

Invece il lebbroso sapeva di essere « impuro, malato, e si avvicinò ».

E « Gesù, cosa ha fatto? » si è chiesto il Papa.

Non è rimasto fermo, senza toccarlo, ma si è avvicinato ancora di più e gli ha teso lo mano guarendolo.

« Vicinanza », ha spiegato il Pontefice, è una « parola tanto importante: non si può fare comunità senza vicinanza; non si può fare pace senza vicinanza; non si può fare il bene senza avvicinarsi ».

In realtà Gesù avrebbe potuto dirgli: « Sii guarito! ».

Invece gli si è avvicinato e lo ha toccato.

« Di più: nel momento in cui Gesù toccò l'impuro, divenne impuro ».

E « questo è il mistero di Gesù: prende su di sé le nostre sporcizie, le nostre cose impure ».

È una realtà, ha proseguito il Papa, che san Paolo dice bene quando scrive: « Essendo uguale a Dio, non stimò un bene irrinunciabile questa divinità; annientò se stesso ».

E, poi, Paolo va oltre affermando che « si fece peccato »: Gesù si è fatto peccato, Gesù si è escluso, ha preso su di sé l'impurità per avvicinarsi all'uomo.

Quindi « non stimò un bene irrinunciabile essere uguale a Dio », ma « si annientò, si avvicinò, si fece peccato, si fece impuro ».

« Tante volte penso - ha confidato Francesco - che sia non dico impossibile, ma molto difficile fare del bene senza sporcarsi le mani ».

E « Gesù si sporcò » con la sua « vicinanza ».

Ma poi, racconta Matteo, andò anche oltre, dicendo all'uomo liberato dalla malattia: « Vai dai sacerdoti e fa' quello che si deve fare quando un lebbroso viene guarito ».

Insomma, « quello che era escluso dalla vita sociale, Gesù include: include nella Chiesa, include nella società ».

Gli raccomanda: « Vai, perché tutte le cose siano come devono essere ».

Dunque « Gesù non emargina mai alcuno, mai! ».

Di più, Gesù « emargina sé stesso per includere gli emarginati, per includere noi, peccatori, emarginati, con la sua vita ».

Ed è « bello questo », ha commentato il Pontefice.

« Quanta gente seguì Gesù in quel momento e segue Gesù nella storia perché è stupita di come parla » ha fatto notare Francesco.

E « quanta gente guarda da lontano e non capisce, non le interessa; quanta gente guarda da lontano ma con cuore cattivo, per mettere Gesù alla prova, per criticarlo, per condannarlo ».

E, ancora, « quanta gente guarda da lontano perché non ha il coraggio che ha avuto » quel lebbroso, « ma ha tanta voglia di avvicinarsi ».

E « in quel caso Gesù ha teso la mano, prima; non come in questo caso, ma nel suo essere ci ha teso la mano a tutti, facendosi uno di noi, come noi: peccatore come noi ma senza peccato; ma peccatore, sporco dei nostri peccati ».

E « questa è la vicinanza cristiana ».

« Bella parola, quella della vicinanza, per ognuno di noi » ha proseguito il Papa.

Suggerendo di domandarci: « Ma io so avvicinarmi? Io ho forza, ho coraggio di toccare gli emarginati? ».

E « anche per la Chiesa, le parrocchie, le comunità, i consacrati, i vescovi, i preti, tutti », è bene rispondere a questa domanda: « Ho il coraggio di avvicinarmi o sempre prendo distanza?

Ho il coraggio di accorciare le distanze, come ha fatto Gesù? ».

E « adesso sull'altare », ha sottolineato Francesco, Gesù « si avvicinerà a noi: accorcerà le distanze ».

Perciò « chiediamogli questa grazia: Signore, che io non abbia paura di avvicinarmi ai bisognosi, ai bisognosi che si vedono o a quelli che hanno le piaghe nascoste ».

È questa, ha concluso, « la grazia di avvicinarmi ».