Venerdì, 18 novembre 2016

Gesto definitivo

Un esame di coscienza chiesto a ogni cristiano e in particolare ai sacerdoti: è Dio « il mio Signore » oppure il mio cuore « è attaccato ai soldi »?

È stato questo il cuore della meditazione di Papa Francesco durante la messa celebrata a Santa Marta venerdì 18 novembre.

Tra i concelebranti, nella cappella della Domus, c'erano il cardinale Pietro Parolin con i superiori e gli officiali della Segreteria di Stato e il folto gruppo dei collaboratori di ruolo delle rappresentanze pontificie, i quali, proprio con la partecipazione all'Eucaristia, hanno cominciato la giornata dedicata alla celebrazione del giubileo della misericordia.

La riflessione del Papa ha preso le mosse dal vangelo del giorno ( Lc 19,45-48 ) nel quale si legge di Gesù che caccia i mercanti dal tempio.

Si tratta, ha detto Francesco, di « un gesto molto definitivo », perfettamente inserito nella catechesi della parola che si incontra « in queste due settimane dell'anno liturgico » in cui la Chiesa « ci fa riflettere sulle cose finali, le cose definitive », e ci suggerisce « gesti definitivi, sia di Gesù, sia presi dal libro dell'Apocalisse, per aiutarci a guardare al di là, a quello che ci aspetta, alla patria definitiva ».

Un episodio molto noto, collocato cronologicamente proprio all'inizio della settimana santa - infatti, ha notato il Pontefice, Giovanni mette questo passo dopo l'entrata in Gerusalemme, insieme al canto dei bambini che acclamano "Osanna" a colui che viene nel nome del Signore - e nel quale « il Signore ci fa capire dove è il seme dell'anticristo, il seme del nemico, il seme che rovina il suo regno ».

È come se, ha detto Francesco, egli ci facesse « scegliere fra casa di Dio e covo di ladri », o tra « casa di Dio o mercato, casa di preghiera o mercato ».

In questa dicotomia, Gesù indica il denaro « come nemico », perché « il cuore attaccato ai soldi è un cuore idolatra ».

Del resto, ha spiegato il Papa, nel Vangelo viene addirittura conferito ai soldi « lo stato di signori ».

È proprio Gesù a farlo « quando dice: "Non si può servire due signori, due padroni" ».

E quali sono i due padroni?

« Dio e il denaro », sono loro « i due signori ».

Il denaro, quindi, è « l'anti-Signore ».

Ma l'uomo ha la libertà di scegliere fra questi due signori.

E perciò « Gesù prende la frusta e incomincia a fare la pulizia del tempio ».

In realtà, ha spiegato il Pontefice, egli « non fa altro che ripetere tanti gesti dei profeti » raccontati nell'Antico testamento, dove si legge che « cacciavano via gli idoli dalle case, dal tempio o anche gli idoli nascosti nelle vesti ».

Ad esempio, ha aggiunto, « pensiamo a Rachele » che « aveva i terafim [ gli idoli ] nascosti ».

C'è quindi, nell'episodio evangelico, questa contrapposizione: da una parte il « Signore Dio, la casa del Signore Dio, che è casa di preghiera » dove c'è « l'incontro con il Signore, con il Dio dell'amore »; e dall'altra c'è « il signore-denaro, che entra nella casa di Dio, sempre cerca di entrare ».

Quei mercanti, del resto, « facevano il cambio di valute o vendevano cose » e pagavano ai sacerdoti l'affitto di quei posti.

Il denaro, ha detto il Papa, « è il signore che può rovinare la nostra vita e ci può condurre a finire la nostra vita male, anche senza felicità, senza la gioia di servire il vero Signore, che è l'unico capace di darci la vera gioia ».

Ma tutto questo deriva da « una scelta », da una « scelta personale ».

Perciò Gesù, « in questo gesto definitivo », è come se dicesse a ognuno di noi: « Com'è il tuo atteggiamento con i soldi? Cosa fai con i soldi? ».

A questo punto il Pontefice si è rivolto direttamente ai presenti: « mi viene di - paternalmente - dirlo a voi: com'è il vostro atteggiamento con i soldi? Siete attaccati ai soldi? ».

Si tratta di una domanda importante rivolta ai sacerdoti.

Ha spiegato infatti Francesco: « Il popolo di Dio che ha un grande fiuto sia nell'accettare, nel canonizzare come nel condannare - perché il popolo di Dio ha capacità di condannare - perdona tante debolezze, tanti peccati ai preti; ma non può perdonarne due: l'attaccamento ai soldi, quando vede il prete attaccato ai soldi, quello non lo perdona », o « quando il prete maltratta i fedeli: questo il popolo di Dio non può digerirlo, e non lo perdona ».

Riguardo infatti alle « altre debolezze », agli « altri peccati », il popolo si mostra più indulgente e tende a « giustificare »: riconosce il peccato, lo accusa, « ma la condanna non è tanto forte e definitiva ».

Da questo atteggiamento si capisce come il popolo di Dio sappia capire « lo stato di signore che ha il denaro » e può portare un sacerdote « a essere padrone di una ditta o principe o possiamo andare in su … ».

Il Pontefice ha continuato a interpellare i preti di fronte a lui, dicendosi contento dell'incontro organizzato dalla Segreteria di Stato e rivolgendosi direttamente a loro: « Vi chiederò un favore: prendete un po' di tempo, ognuno di voi, e fatevi la domanda: come è il mio atteggiamento verso i soldi? ».

E ancora, andando più a fondo con la domanda: «vCome è il mio cuore? È attaccato ai soldi?

Sono curioso di vedere quanto interesse mi ha dato il conto o non mi preoccupo? ».

Ha quindi aggiunto questa considerazione: « È triste vedere un sacerdote che arriva alla fine della sua vita, è in agonia, è in comac», e vedere « i nipoti come avvoltoi lì », che guardano « cosa possono prendere ».

Ecco allora il « vero esame di coscienza: "Signore, Tu sei il mio Signore?" » o, come Rachele, ho « questo terafim nascosto nel mio cuore, questo idolo del denaro? ».

Ancora il Papa ha esortato i sacerdoti: « Siate coraggiosi: siate coraggiosi. Fate scelte ».

Che un sacerdote, ha spiegato, abbia « denaro sufficiente, quello che ha un onesto lavoratore, il risparmio sufficiente, quello che ha un onesto lavoratore ».

L'interesse, invece, « non è lecito, questo è un'idolatria ».

E ha concluso con una preghiera al Signore, affinché doni a tutti « la grazia della povertà cristiana », la grazia « di questa povertà di operai, di quelli che lavorano e guadagnano il giusto e non cercano di più ».