Martedì, 19 dicembre 2017

Culla vuota?

Quella del cristiano deve essere sempre una « vita feconda » e il suo cuore sempre aperto « per ricevere e dare vita ».

È "fecondità" la parola chiave dell'omelia pronunciata da Papa Francesco durante la messa celebrata a Santa Marta la mattina di lunedì 19 dicembre.

Una fecondità, « materiale o spirituale », che sempre nella Bibbia « è un segno di Dio » e della sua « benedizione ».

Al contrario di quanto avviene, invece, in quei paesi « vuoti di bambini » dove le ragioni del « benessere » hanno provocato un vero e proprio « inverno demografico ».

La meditazione del Pontefice ha preso spunto dalla liturgia del giorno dove, in entrambe le letture - dal libro dei Giudici ( Gdc 13,2-7.24-25 ) e dal vangelo di Luca ( Lc 1,5-25 ) - si parla di donne sterili.

Donne che non potevano avere figli o che, come Elisabetta, avevano perso la speranza di averne a causa dell'età avanzata.

Si trattava, ha spiegato, di una vera e propria calamità per l'epoca: « La sterilità era una vergogna; non poter dare figli, non potere avere una discendenza ».

Nella Bibbia, ha continuato il Pontefice, « ci sono tante donne » colpite da questa condizione, « cominciando da Sara, la sposa del nostro padre Abramo ».

Nel racconto biblico si legge di lei che era sterile e di come ascoltò di nascosto « quando gli angeli annunciarono ad Abramo, davanti alla tenda dove abitava, che entro un anno sua moglie sarebbe diventata madre ».

La notizia le strappò un sorriso - « Ma io, alla mia età, a novant'anni! » - ma l'angelo corresse la sua incredulità: « Perché sorridi? ».

Francesco ha spiegato come Sara si fosse « spaventata » per l'inattesa notizia, ma soprattutto come « da quel momento » tutta la storia d'Israele sia punteggiata da figure del genere: « donne sterili che non possono avere figli o, se li hanno avuti, sono morti senza discendenza ».

Ad esempio « Noemi, che ha perso i figli », o anche « Anna, la mamma di Samuele che pregava e il sacerdote pensava che fosse ubriaca » perché pregava in silenzio però muovendo le labbra.

Stava implorando il dono di un figlio.

Sempre, ha sottolineato il Pontefice, « la fecondità nella Bibbia è una benedizione ».

Del resto, « è stato il primo comandamento che Dio ha dato ai nostri padri: "Riempite la terra, siate fecondi!" ».

Quante volte, ad esempio, viene ripetuta una formula di benedizione in cui si auspica « di vedere i figli dei figli fino alla terza generazione ».

Così « Tobit che dice a suo figlio Tobia: "Il Signore mi dia la grazia di vedere i tuo figli fino alla terza generazione" ».

Si tratta sempre di « benedizioni di fecondità », perché « dove c'è Dio, c'è fecondità ».

A questo punto il Papa ha attualizzato la sua meditazione con un'analisi della società contemporanea, facendo riferimento ad « alcuni paesi che hanno scelto la via della sterilità e patiscono di quella malattia tanto brutta che è l'inverno demografico ».

Non si fanno figli per paura di intaccare il proprio « benessere » e adducendo mille ragioni di opportunità.

Il risultato sono « paesi vuoti di bambini.

E questa non è una benedizione ».

Tutto ciò per dire che « la fecondità sempre è una benedizione di Dio ».

Che si tratti di « fecondità materiale o spirituale », perché la sostanza è una: « dare vita ».

Infatti una « persona può passare la vita senza sposarsi, ma vivere dando vita agli altri ».

E ha aggiunto Francesco: « Anche noi, sacerdoti, religiosi e religiose, non ci sposiamo, ma guai a noi se non siamo fecondi con le buone opere, se non portiamo fecondità al popolo di Dio.

La fecondità è un segno di Dio ».

Per illustrare questo concetto, ha ricordato il Papa, i profeti « scelgono simboli bellissimi », come quello, ad esempio, del « deserto ».

Il deserto si caratterizza proprio per la sua mancanza di fecondità, per la sua « aridità »: ma « il deserto - dicono - fiorirà.

Il miracolo della fecondità: l'aridità si riempirà d'acqua ».

Si riconosce in questo dettaglio « la promessa di Dio.

Dio è fecondo.

È fecondo in noi con la presenza dello Spirito Santo; è fecondo e vuol esser fecondo con noi.

Fecondo nelle opere ».

Al contrario, ha sottolineato il Pontefice, « il diavolo vuole la sterilità; vuole che ognuno di noi non viva per dare vita - sia fisica, sia spirituale - agli altri, ma per se stesso ».

E ha aggiunto: « L'egoismo, la superbia, la vanità è ingrassare l'anima senza vivere per gli altri.

Il diavolo è quello che fa crescere la zizzania dell'egoismo e non ci fa fecondi ».

Ogni cristiano, ha suggerito il Papa, può chiedere questa grazia: « la grazia della fecondità di avere dei figli che ci chiudano gli occhi e anche, per chi ha consacrato la sua vita al Signore, di avere dei figli spirituali che gli chiudano gli occhi ».

A tale riguardo ha aggiunto un ricordo personale: « Penso all'anziano missionario della Patagonia che alla fine, novantenne, diceva: "La vita mi è passata come un soffio".

Ma quell'anziano aveva tanti figli dell'anima che erano accanto a lui nell'ultima malattia ».

È questa « la gioia della fecondità ».

Francesco ha concluso l'omelia coinvolgendo direttamente i presenti e mettendoli di fronte a un'alternativa decisiva: « Qui c'è una culla vuota.

La possiamo guardare.

Può essere simbolo di speranza, perché verrà il Bambino; può essere un oggetto da museo: vuota tutta la vita ».

Se, ha detto sciogliendo la metafora, « il nostro cuore è una culla », dobbiamo chiederci: « Come è il mio cuore?

È vuoto, sempre vuoto

Ma è aperto per ricevere continuamente vita e dare vita, per ricevere ed essere fecondo o sarà un cuore conservato come oggetto di museo che mai è stato aperto alla vita e a dare la vita? ».

Da qui l'esortazione finale: « Vi suggerisco di guardare questa culla vuota, di guardare la possibilità che ognuno di noi possa rimanere sterile sia fisicamente che spiritualmente, e dire, come la Chiesa dice: "Vieni Signore, riempi la culla.

Riempi il mio cuore e spingimi a dare vita, a essere fecondo" ».