La Chiesa di fronte ai seguaci di altre religioni Introduzione 1. Il Concilio Vaticano II ha segnato una tappa nuova nelle relazioni della Chiesa con i seguaci delle altre religioni. Molti documenti conciliari fanno esplicito riferimento ad essi, ed uno in particolare, la dichiarazione « Nostra aetate », è interamente dedicato al « rapporto della Chiesa cattolica con le religioni non cristiane ». 2. I rapidi cambiamenti nel mondo e l'approfondimento del mistero della Chiesa, « sacramento universale di salvezza » ( LG 48 ), hanno favorito questo atteggiamento verso le religioni non cristiane. « Per l'apertura fatta dal Concilio, la Chiesa e tutti i cristiani hanno potuto raggiungere una coscienza più completa del mistero di Cristo » ( RH 11 ). 3. Questo nuovo atteggiamento ha preso il nome di dialogo. Questo vocabolo, che è norma e ideale, è stato valorizzato nella Chiesa da Paolo VI con l'enciclica « Ecclesiam suam » ( 6 agosto 1964 ). Da allora è diventato frequente nel Concilio e nel linguaggio ecclesiale. Indica non solo il colloquio, ma anche l'insieme dei rapporti interreligiosi, positivi e costruttivi, con persone e comunità di altre fedi per una mutua conoscenza e un reciproco arricchimento. 4. Come segno istituzionale di questa volontà di colloquio e di incontro con i seguaci delle altre tradizioni religiose del mondo, lo stesso Paolo VI istituì nel clima del Concilio Vaticano II, il giorno della Pentecoste 1964, il Secretariatus pro non Christianis distinto dalla S. Congregazione per l'evangelizzazione dei popoli. I suoi compiti vennero così definiti dalla Costituzione « Regimini Ecclesiae »: « Cercare il metodo e le vie per aprire un dialogo adatto con i non cristiani. Esso opera quindi perché i non cristiani vengano rettamente conosciuti e giustamente stimati dai cristiani e che a loro volta i non cristiani possano adeguatamente conoscere e stimare la dottrina e la vita cristiana » 5. A 20 anni dalla pubblicazione dell'Ecclesiam suam e dalla sua fondazione, il Segretariato, riunito in Assemblea Plenaria, ha valutato le esperienze di dialogo avvenute ovunque nella Chiesa ed ha riflettuto sugli atteggiamenti ecclesiali verso gli altri credenti e in particolare sul rapporto esistente tra dialogo e missione. 6. La visione teologica di questo documento si ispira al Concilio Vaticano II e al magistero successivo. Un ulteriore approfondimento da parte dei teologi rimane pur sempre auspicabile e necessario. Sollecitata e arricchita dall'esperienza, questa riflessione ha carattere prevalentemente pastorale; intende favorire un comportamento evangelico nei confronti degli altri credenti con i quali i cristiani convivono nella città, nel lavoro e nella famiglia. 7. Con questo documento ci si propone di aiutare le comunità cristiane e in particolare i loro responsabili a vivere secondo le indicazioni del Concilio offrendo elementi di soluzione alle difficoltà che possono nascere dalla compresenza nella missione dei compiti di evangelizzazione e dialogo. I membri delle altre religioni potranno anche comprendere meglio come la Chiesa li vede e come intende comportarsi con loro. 8. Molte chiese cristiane hanno fatto esperienze simili nei confronti degli altri credenti. Il Consiglio Ecumenico delle Chiese è provvisto di un organismo per il « Dialogo con i popoli di Fedi vive e ideologie » nell'ambito del dipartimento « Missione ed Evangelismo ». Con tale organismo il Segretariato per i non cristiani intrattiene rapporti stabili e fraterni di consultazione e di collaborazione. I. Missione 9. Dio è amore ( 1 Gv 4,8.16 ). Il suo amore salvifico è stato rivelato e comunicato agli uomini in Cristo ed è presente e attivo nel mondo attraverso lo Spirito Santo. La Chiesa deve essere il segno vivo di questo amore in modo da renderlo norma di vita per tutti. Voluta da Cristo, la sua è una missione di amore, perché in esso trova la sorgente, il fine e le modalità di esercizio ( cfr. AG 2-5, AG 12; EN 26 ). Ogni aspetto e ogni attività della Chiesa devono quindi essere impregnati di carità proprio per fedeltà a Cristo, che ha ordinato la missione e che continua ad animarla e a renderla possibile nella storia. 10. La Chiesa, come il Concilio ha sottolineato, è popolo messianico, assemblea visibile e comunità spirituale, popolo pellegrinante in cammino con tutta l'umanità con la quale condivide l'esperienza. Deve essere lievito e anima della società per rinnovarla in Cristo e renderla famiglia di Dio ( cfr. LG 9; GS 9, GS 40 ). « Questo popolo messianico ha per legge il nuovo precetto di amare come Cristo stesso ci ha amati ed ha per fine il Regno di Dio che è già stato iniziato da Lui » ( LG 9 ). « La Chiesa peregrinante è quindi per sua natura missionaria » ( AG 2, cfr. AG 6, AG 35, AG 36 ). La missionarietà è per ogni cristiano espressione normale della sua fede vissuta. 11. « Pertanto la missione della Chiesa si esplica attraverso un'azione tale, per cui essa obbedendo all'ordine di Cristo e mossa dalla grazia e dalla carità dello Spirito Santo, si fa pienamente ed attualmente presente a tutti gli uomini e popoli … » ( AG 5 ). Questo compito è unico ma si esercita in modi diversi secondo le condizioni in cui la missione si esplica. « Tali condizioni dipendono sia dalla Chiesa, sia dai popoli, dai gruppi o dagli uomini a cui la missione è indirizzata … A qualsiasi condizione o stato debbono corrispondere atti appropriati e strumenti adeguati … Fine proprio di questa attività missionaria è l'evangelizzazione e la fondazione della Chiesa in quei popoli e gruppi, in cui non ha ancora messo radici » ( AG 6 ). Altri passi dello stesso Concilio sottolineano che la missione della Chiesa è anche lavorare per l'estensione del Regno e dei suoi valori tra tutti gli uomini ( cfr. LG 5, LG 9; LG 35; GS 39, GS 40-45, GS 91, GS 92; UR 2; DH 1-4; AA 5 ). 12. I modi e gli aspetti differenti della missione sono stati globalmente delineati dal Concilio Vaticano II Atti e documenti del magistero ecclesiastico successivo, come il Sinodo dei Vescovi sulla giustizia sociale ( 1971 ), quello dedicato all'evangelizzazione ( 1974 ) e alla catechesi ( 1977 ), numerosi interventi di Paolo VI e di Giovanni Paolo II e delle Conferenze episcopali dell'Asia, dell'Africa e dell'America Latina, hanno sviluppato altri aspetti dell'insegnamento conciliare, additando per esempio « come elemento essenziale della missione della Chiesa indissolubilmente congiunto con essa » ( RH 15 ), l'impegno in favore dell'uomo, della giustizia sociale, della libertà e dei diritti umani e la riforma delle strutture sociali ingiuste. 13. La missione si presenta nella coscienza della Chiesa come una realtà unitaria ma complessa e articolata. Se ne possono indicare gli elementi principali. La missione è costituita già dalla semplice presenza e dalla testimonianza viva della vita cristiana ( cfr. EN 21 ), anche se si deve riconoscere che « portiamo questo tesoro in vasi di creta » ( 2 Cor 4,7 ), e quindi il divario tra come il cristiano esistenzialmente appare e ciò che afferma di essere è sempre incolmabile. Vi è poi l'impegno concreto per il servizio agli uomini e tutta l'attività di promozione sociale e di lotta contro la povertà e le strutture che la provocano. Vi è la vita liturgica, la preghiera e la contemplazione, testimonianze eloquenti di un rapporto vivo e liberante con il Dio vivo e vero che ci chiama al suo Regno e alla sua gloria ( cfr. At 2,42 ). Vi è il dialogo nel quale i cristiani incontrano i seguaci di altre tradizioni religiose per camminare insieme verso la verità e collaborare in opere di interesse comune. Vi è l'annuncio e la catechesi, quando si proclama la buona notizia del Vangelo e se ne approfondiscono le conseguenze per la vita e la cultura. Tutto questo comprende l'arco della missione. 14. Ogni chiesa particolare è responsabile di tutta la missione. Anché ogni cristiano, in virtù della fede e del battesimo, è chiamato a esercitarla in qualche misura tutta. Le esigenze delle situazioni, la particolare posizione nel popolo di Dio e il carisma personale abilitano il cristiano ad esercitare prevalentemente l'uno o l'altro aspetto di essa. 15. La vita di Gesù contiene tutti gli elementi della missione. Secondo i Vangeli, egli si presenta con il silenzio, con l'azione, con la preghiera, con il dialogo e con l'annuncio. Il suo messaggio è inscindibile dall'azione; annuncia Dio e il suo Regno non solo con le parole, ma anche con i fatti, e con le opere che compie. Accetta la contraddizione, l'insuccesso e la morte; la sua vittoria passa attraverso il dono della vita. Tutto in Lui è mezzo e via di rivelazione e di salvezza ( cfr. EN 6-12 ); tutto è espressione del suo amore ( cfr. Gv 3,16; Gv 13,1 ; 1 Gv 4,7-19 ). Così pure devono fare i cristiani: « Da questo riconosceranno tutti che siete miei discepoli, se vi amerete gli uni gli altri » ( Gv 13,35 ). 16. Anche il Nuovo Testamento dà una immagine composita e differenziata della missione. C'è una pluralità di servizi e di funzioni derivante da una varietà di carismi ( cfr. 1 Cor 12,28-30; Ef 4,11-12; Rm 12,6-8 ). Lo stesso S. Paolo nota la particolarità della sua vocazione missionaria quando dichiara di « non essere stato mandato da Cristo a battezzare, ma ad annunciare il Vangelo » ( 1 Cor 1,17 ). Per questo accanto agli « apostoli », ai « profeti », agli « evangelisti », troviamo quelli chiamati alle opere comunitarie e all'aiuto di chi soffre; vi sono i compiti delle famiglie, dei mariti, delle mogli e dei figli; vi sono i doveri dei padroni e dei servi. Ciascuno ha un compito di testimonianza particolare nella società. La prima lettera di Pietro dà ai cristiani viventi in situazione di diaspora indicazioni che non cessano di sorprendere per la loro attualità. Giovanni Paolo II indicava un passo di essa come ( da regola d'oro nei rapporti dei cristiani con i loro concittadini di fede diversa: Adorate il Signore Cristo nei vostri cuori, pronti sempre a rendere ragione della speranza che c'è in voi, ma con amabilità e rispetto e coscienza buona » ( 1 Pt 3,15-16 ) ( Ankara 29.11.1979 ). 17. Tra i molteplici esempi, nella storia della missione cristiana, sono significative le norme date da S. Francesco, nella Regola non bollata ( 1221 ), ai frati che « per divina ispirazione vorranno andare tra i saraceni …: Essi possono ordinare i rapporti spirituali in mezzo a loro in due modi. Un modo è che non facciano liti o dispute, ma siano soggetti a ogni creatura umana per amore di Dio e confessino di essere cristiani. L'altro modo è che, quando vedranno che piace al Signore, annuncino la parola di Dio ». Il nostro secolo ha visto sorgere e affermarsi soprattutto tra il mondo islamico l'esperienza di Charles de Foucauld che esercitò la missione in un atteggiamento umile e silenzioso di unione con Dio, di comunione con i poveri e di fraternità universale. 18. La missione si rivolge sempre all'uomo nel rispetto pieno della sua libertà. Per questo il Concilio Vaticano II, mentre ha affermato la necessità e l'urgenza di annunciare Cristo « la luce della vita con ogni fiducia e fortezza apostolica, fino alla effusione del sangue » se necessario ( DH 14 ), ha ribadito l'esigenza di promuovere e rispettare in ogni interlocutore una vera libertà, priva di qualsiasi coercizione, soprattutto nell'ambito religioso. « La verità infatti si deve ricercare nella maniera propria alla dignità della persona umana e alla sua natura sociale, con libera ricerca, con l'aiuto di un insegnamento o di una istituzione, della comunicazione e del dialogo, in cui gli uni espongono agli altri la verità che hanno trovato o ritengono di avere trovato per aiutarsi vicendevolmente nella ricerca della verità; alla verità conosciuta poi si deve aderire fermamente con assenso personale » ( DH 3 ). Quindi « nel diffondere la fede religiosa e nell'introdurre usanze, ci si deve sempre astenere da ogni forma di azione che possa sembrare costrizione o persuasione disonesta o non del tutto retta, specialmente quando si tratta di persone semplici o povere. Tale modo di agire deve essere considerato un abuso del proprio diritto o lesione del diritto degli altri » ( DH 4 ). 19. Il rispetto per ogni persona deve caratterizzare l'attività missionaria nel mondo odierno ( cfr. ES 77; EN 79-80; RH 12 ). « L'uomo è la prima strada che la Chiesa deve percorrere nel compimento della sua missione » ( RH 14 ). Questi valori, che la Chiesa continua ad imparare da Cristo suo maestro, devono guidare il cristiano ad amare e rispettare tutto ciò che c'è di buono nella cultura e nell'impegno religioso dell'altro. « Si tratta di rispetto per tutto ciò che in ogni uomo ha operato lo Spirito che soffia dove vuole » ( RH 12; cfr. EN 79 ). La missione cristiana non può mai discostarsi dall'amore e dal rispetto per gli altri e questo per noi cristiani evidenzia il posto del dialogo nella missione. II. Dialogo A) Fondamenti 20. Il dialogo non scaturisce da opportunismi tattici dell'ora, ma da ragioni che l'esperienza, la riflessione, nonché le stesse difficoltà, hanno approfondito. 21. La Chiesa si apre al dialogo per fedeltà all'uomo. In ogni uomo e in ogni gruppo umano c'è l'aspirazione e l'esigenza di essere considerati e di poter agire da soggetti responsabili, sia quando si avverte il bisogno di ricevere, sia soprattutto quando si è consapevoli di possedere qualche cosa da comunicare. Come sottolineano le scienze umane, nel dialogo interpersonale l'uomo fa esperienza dei propri limiti, ma anche della possibilità di superarli; scopre che non possiede la verità in modo perfetto e totale, ma che può camminare con fiducia verso di essa insieme agli altri. La mutua verifica, la correzione reciproca, lo scambio fraterno dei rispettivi doni favoriscono una maturità sempre più grande, che genera la comunione interpersonale. Le stesse esperienze e visioni religiose possono essere purificate e arricchite in questo processo di confronto. Questa dinamica dei rapporti umani spinge noi cristiani ad ascoltare e comprendere ciò che gli altri credenti possono trasmetterci onde trarre profìtto dai doni che Dio elargisce. I cambiamenti socio-culturali con le tensioni e difficoltà inerenti, l'interdipendenza accresciuta in tutti i settori del convivere e della promozione umana, e in particolare le esigenze per la pace, rendono oggi più urgente uno stile dialogico di rapporti. 22. La Chiesa, tuttavia, si sente impegnata al dialogo soprattutto a motivo della sua fede. Nel mistero trinitario la rivelazione ci fa intravvedere una vita di comunione e di interscambio. In Dio Padre noi contempliamo un amore preveniente senza confini di spazio e di tempo. L'universo e la storia sono ricolmi dei suoi doni. Ogni realtà e ogni evento sono avvolti dal suo amore. Nonostante il manifestarsi talora violento del male, nella vicenda di ogni uomo e di ogni popolo è presente la forza della grazia che eleva e redime. La Chiesa ha il compito di scoprire, portare alla luce, far maturare tutta la ricchezza che il Padre ha nascosto nella creazione e nella storia, non solo per celebrare la gloria di Dio nella sua liturgia ma anche per promuovere la circolazione tra tutti gli uomini dei doni del Padre. 23. In Dio Figlio ci è data la Parola e la Sapienza in cui tutto è precontenuto e sussiste già prima dei tempi. Cristo è il Verbo che illumina ogni uomo, perché in Lui si manifesta ad un tempo il Mistero di Dio e il Mistero dell'uomo ( cfr. RH 8, RH 10, RH 11, RH 13 ). Egli è il Redentore presente con la grazia in ogni incontro umano, per liberarci dal nostro egoismo e farci amare gli uni gli altri come Egli ci ha amato. « Ogni uomo - scrive Giovanni Paolo II - senza eccezione alcuna è stato redento da Cristo, e con l'uomo, con ciascun uomo senza eccezione, Cristo è in qualche modo unito, anche quando quell'uomo non è di ciò consapevole. Cristo per tutti morto e risorto, dà sempre all'uomo - ad ogni uomo e a tutti gli uomini - luce e forza per rispondere alla suprema sua vocazione» ( RH 14 ). 24. In Dio Spirito Santo, la fede ci fa scorgere quella forza di vita, di movimento e di rigenerazione perenne ( cfr. LG 4 ) che agisce nella profondità delle coscienze, e accompagna il cammino segreto dei cuori verso la Verità ( cfr. GS 22 ). Spirito che opera anche « oltre i confini visibili del Corpo Mistico … » ( RH 6; cfr. LG 16; GS 22; AG 15 ); Spirito che anticipa e accompagna il cammino della Chiesa, la quale, pertanto, si sente impegnata a discernere i segni della sua presenza, a seguirlo dovunque Egli la conduca, e a servirlo come collaboratrice umile e discreta. 25. Il Regno di Dio è la meta finale di tutti gli uomini. La Chiesa, che ne è « il germe e l'inizio » ( LG 5, LG 9 ), è sollecitata ad intraprendere per prima questo cammino verso il Regno e a far avanzare tutto il resto dell'umanità verso di Esso. Questo impegno include la lotta e la vittoria sul male e sul peccato, incominciando sempre da se stessi ed abbracciando il mistero della croce. La Chiesa così predispone al Regno fino al conseguimento della comunione perfetta di tutti i fratelli in Dio. Cristo costituisce per la Chiesa e per il mondo la garanzia che gli ultimi tempi sono già incominciati, che l'età finale della storia è già fissata ( cfr. LG 48 ) e che perciò la Chiesa è abilitata e impegnata ad operare perché si attui il progressivo compimento di tutte le cose in Cristo. 26. Questa visione ha indotto i Padri del Concilio Vaticano II ad affermare che nelle tradizioni religiose non cristiane esistono « cose vere e buone » ( OT 16 ), « cose preziose, religiose e umane » ( GS 92 ), « germi di contemplazione » ( AG 18 ), « elementi di verità e di grazia » ( AG 9 ), « semi del Verbo » ( AG 11, AG 15 ), « raggi della verità che illumina tutti gli uomini » ( NA 2 ). Secondo esplicite indicazioni conciliari questi valori si trovano condensati nelle grandi tradizioni religiose dell'umanità. Esse meritano perciò l'attenzione e la stima dei cristiani,e il loro patrimonio spirituale è un efficace invito al dialogo ( cfr. NA 2, NA 3; AG 11 ), non solo su elementi convergenti ma anche su quelli che divergono. 27. Il Vaticano II ha potuto perciò trarre conseguenze di impegno concreto esprimendosi nei termini seguenti: « Per dare fruttuosamente la testimonianza di Cristo essi ( i cristiani ) devono stringere rapporti di stima e di amore con gli uomini del loro tempo, riconoscersi membra vive di quel gruppo umano in mezzo a cui vivono, e prendere parte, attraverso il complesso delle relazioni e degli affari dell'esistenza umana, alla vita culturale e sociale. Così devono conoscere bene le tradizioni culturali e religiose degli altri, lieti di scoprire e pronti a rispettare quei germi del Verbo che in loro si nascondono … Come lo stesso Cristo … così i suoi discepoli devono conoscere gli uomini tra i quali vivono, ed entrare in rapporto con essi per conoscere con un dialogo sincero e paziente le ricchezze che Dio nella sua munificenza ha elargito ai popoli. Al tempo stesso si sforzino di illuminare tali ricchezze con la luce del Vangelo, di liberarle e riferirle al dominio di Dio Salvatore» ( AG 11; cfr. AG 41; AA 14, AA 29, etc. ). B) Forme di dialogo 28. L'esperienza di questi anni ha evidenziato la molteplicità dei modi con cui il dialogo si esplica. Le principali forme tipiche qui elencate sono vissute in modo distinto oppure insieme con le altre. 29. Il dialogo è innanzitutto uno stile di azione, un'attitudine e uno spirito che guida la condotta. Implica attenzione, rispetto e accoglienza verso l'altro, al quale si riconosce spazio per la sua identità personale, per le sue espressioni, i suoi valori. Tale dialogo è la norma e lo stile necessario di tutta la missione cristiana e di ogni parte di essa, si tratti della semplice presenza e testimonianza, o del servizio, o dello stesso annuncio diretto ( CIC 787 § 1 ). Una missione che non fosse permeata da spirito dialogico andrebbe contro le esigenze della vera umanità e contro le indicazioni del Vangelo. 30. Ogni seguace di Cristo, in forza della sua vocazione umana e cristiana, è chiamato a vivere il dialogo nella sua vita quotidiana, sia che si trovi in situazione di maggioranza, sia in condizione di minoranza. Egli deve infondere il sapore evangelico in ogni ambiente in cui vive ed opera: quello familiare, sociale, educativo, artistico, economico, politico, ecc. Il dialogo si inserisce così nel grande dinamismo della missione ecclesiale. 31. Un ulteriore livello è il dialogo delle opere e della collaborazione per obiettivi di carattere umanitario, sociale, economico e politico che tendano alla liberazione e alla promozione dell'uomo. Ciò avviene spesso nelle organizzazioni locali, nazionali e internazionali, dove cristiani e seguaci di altre religioni affrontano insieme i problemi del mondo. 32. Vastissimo può essere il campo della collaborazione. Riferendosi in particolare ai Musulmani, il Concilio Vaticano II esorta a « dimenticare il passato » ed a « difendere e promuovere insieme, per tutti gli uomini, la giustizia sociale, i valori morali, la pace e la libertà » ( NA 3; cfr. AG 11, AG 12, AG 15, AG 21 … ). Nello stesso senso si sono pronunciati Paolo VI specie nell'Ecclesiam Suam, e Giovanni Paolo II nei numerosi incontri con capi e rappresentanti delle diverse religioni. I grandi problemi che travagliano l'umanità chiamano i cristiani a collaborare con gli altri credenti, proprio in forza delle fedi rispettive. 33. Di particolare interesse è il dialogo a livello di esperti, sia per confrontare, approfondire e arricchire i rispettivi patrimoni religiosi, sia per applicare le risorse ai problemi che si pongono all'umanità nel corso della sua storia. Tale dialogo avviene normalmente là dove l'interlocutore possiede già una sua visione del mondo e aderisce a una religione che l'ispira ad agire. Si realizza più facilmente nelle società pluralistiche, dove coesistono e talvolta si fronteggiano tradizioni e ideologie diverse. 34. In questo confronto gli interlocutori conoscono e apprezzano reciprocamente i valori spirituali e le categorie culturali, promovendo la comunione e la fratellanza tra gli uomini ( cfr. NA 1 ). Il cristiano poi collabora così alla trasformazione evangelica delle culture ( cfr. EN 18-20, EN 63 ). 35. A un livello più profondo, uomini radicati nelle proprie tradizioni religiose possono condividere le loro esperienze di preghiera, di contemplazione, di fede e di impegno, espressioni e vie della ricerca dell'Assoluto. Questo tipo di dialogo diviene arricchimento vicendevole e cooperazione feconda nel promuovere e preservare i valori e gli ideali spirituali più alti dell'uomo. Esso conduce naturalmente a comunicarsi vicendevolmente le ragioni della propria fede e non si arresta di fronte alle differenze talvolta profonde, ma si rimette con umiltà e fiducia a Dio, « che è più grande del nostro cuore » ( 1 Gv 3,20 ). Il cristiano ha così l'occasione di offrire all'altro la possibilità di sperimentare in maniera esistenziale i valori del Vangelo. III. Dialogo e missione 36. I rapporti tra dialogo e missione, sono molteplici. Ci soffermiamo su alcuni aspetti che nel momento attuale hanno maggiore rilevanza, per le sfide e i problemi posti o per gli atteggiamenti richiesti. A) Missione e conversione 37. L'annuncio missionario, per il Concilio Vaticano II, ha per fine la conversione: « Solo così i non cristiani, a cui aprirà il cuore lo Spirito Santo, crederanno, liberamente si convertiranno al Signore, e sinceramente aderiranno a Lui … » ( AG 13; CIC 787 § 2 ). Nel contesto del dialogo tra credenti di fede diversa, non si può evitare di riflettere sul cammino spirituale della conversione. Nel linguaggio biblico e cristiano, la conversione è il ritorno del cuore umile e contrito a Dio, con il desiderio di sottomettergli più generosamente la propria vita ( cfr. AG 15 ). Tutti sono chiamati costantemente a questa conversione. In questo processo può nascere la decisione di lasciare una situazione spirituale o religiosa anteriore per dirigersi verso un'altra. Così per esempio da un amore particolare il cuore può aprirsi a una carità universale. Ogni autentico appello di Dio comporta sempre un superamento di sé. Non c'è vita nuova senza morte, come manifesta la dinamica del mistero pasquale ( cfr. GS 22 ). Ed « ogni conversione è opera della grazia, nella quale l'uomo deve pienamente ritrovare se stesso » ( RH 12 ). 38. In questo processo di conversione prevale la legge suprema della coscienza perché « nessuno deve essere obbligato ad agire contro la sua coscienza. E non si deve neppure impedirgli di agire in conformità ad essa, soprattutto in campo religioso » ( DH 3 ). 39. Nell'ottica cristiana, l'agente principale della conversione non è l'uomo, ma lo Spirito Santo. « È Lui che spinge ad annunziare il Vangelo e che nell'intimo delle coscienze fa accogliere e comprendere la parola della salvezza» ( EN 75 ). È lui che guida il movimento dei cuori e fa nascere l'atto di fede in Gesù il Signore ( cfr. 1 Cor 2,4 ). Il Cristiano è semplice strumento e collaboratore di Dio ( cfr. 1 Cor 3,9 ). 40. Anche nel dialogo, il cristiano normalmente nutre nel suo cuore il desiderio di condividere la sua esperienza di Cristo col fratello di altra religione ( cfr. At 26,29; ES 46 ). È altrettanto naturale che l'altro credente desideri qualcosa di simile. B) Il dialogo per l'edificazione del Regno 41. Dio continua a riconciliare a Sé gli uomini attraverso lo Spirito. La Chiesa confida nella promessa fattale da Cristo, che lo Spirito la guiderà, nella storia, verso la pienezza della verità ( cfr. Gv 16,13 ). Per questo va incontro agli uomini, ai popoli e alle loro culture, conscia che ogni comunità umana ha germi di bene e di verità e che Dio ha un disegno di amore per ogni nazione ( cfr. At 17,26-27 ). La Chiesa quindi vuole collaborare con tutti per la realizzazione di questo disegno, valorizzando così tutte le richezze della sapienza infinita e multiforme di Dio, e contribuendo alla evangelizzazione delle culture ( cfr. EN 18-20 ). 42. « Rivolgiamo anche il nostro pensiero a tutti coloro che credono in Dio e che conservano nelle loro tradizioni preziosi elementi religiosi ed umani, augurandoci che un dialogo fiducioso possa condurre tutti noi ad accettare con fedeltà gli impulsi dello Spirito e a portarli a compimento con alacrità. Per quanto ci riguarda, il desiderio di stabilire un dialogo che sia ispirato dal solo amore della verità e condotto con l'opportuna prudenza, non esclude nessuno: né coloro che hanno il culto di alti valori umani, benché non ne riconoscano ancora l'Autore, né coloro che si oppongono alla Chiesa e la perseguitano in diverse maniere. Essendo Dio Padre principio e fine di tutti, siamo tutti chiamati ad essere fratelli. E perciò, chiamati a questa stessa vocazione umana e divina, senza violenza e senza inganno, possiamo e dobbiamo lavorare insieme alla costruzione del mondo nella vera pace » ( GS 92; cfr. Messaggi per la Giornata Mondiale della Pace di Paolo VI e Giovanni Paolo II ). 43. Il dialogo diventa così sorgente di speranza e fattore di comunione nella reciproca trasformazione. È lo Spirito Santo che guida la realizzazione del piano di Dio nella storia degli individui e di tutta l'umanità, fino a quando i figli di Dio dispersi dal peccato saranno riuniti nell'unità ( cfr. Gv 11,52 ). 44. Dio solo conosce i tempi, Lui a cui niente è impossibile, Lui il cui misterioso e silenzioso Spirito apre alle persone e ai popoli le vie del dialogo per superare le differenze razziali, sociali e religiose e arricchirsi reciprocamente. Ecco dunque il tempo della pazienza di Dio nel quale opera la Chiesa ed ogni comunità cristiana perché nessuno può obbligare Dio ad agire più in fretta di quanto ha scelto di fare. Ma davanti alla nuova umanità del terzo millennio, possa la Chiesa irradiare un cristianesimo aperto per attendere nella pazienza che spunti il seme gettato nelle lacrime e nella fiducia ( cfr. Qo 5,7-8; Mc 4,26-30 ). Francis A. Arinze, Pro-Presidente Marcello Zago, O. M. L, Segretario