Studio Dottrina Soc. Chiesa nella formazione sacerdotale Premessa 1. In questi ultimi decenni, la Congregazione per l'Educazione Cattolica, attenta alle esigenze emergenti del rinnovamento conciliare, ha offerto più volte ai Seminari e ai vari Istituti di studi teologici appropriate direttive per i diversi settori della formazione sacerdotale. Ora, essa ritiene opportuno rivolgersi nuovamente ai Vescovi, agli Educatori dei Seminari e ai Professori per proporre alcuni orientamenti sullo studio e sull'insegnamento della dottrina sociale della Chiesa. Prendendo questa iniziativa, si è consapevoli di venire incontro ad una vera necessità, oggi dappertutto vivamente sentita, di far beneficiare la famiglia umana delle ricchezze contenute nella dottrina sociale della Chiesa, mediante il ministero di sacerdoti ben formati e consci dei molteplici compiti che li attendono. Oggi, in un momento così ricco di approfondimenti e di studi su questo tema, come risulta tra l'altro anche dalla recente enciclica Sollicitudo rei socialis di Giovanni Paolo II, è molto importante che i candidati al sacerdozio acquistino un'idea chiara circa la natura, le finalità e le componenti essenziali di detta dottrina, per poter applicarla nell'attività pastorale nella sua integrità come viene formulata e proposta dal Magistero della Chiesa. La situazione in questo campo è infatti tale, da richiedere un opportuno chiarimento dei diversi concetti, come si vedrà nei vari capitoli dei presenti « Orientamenti ». Si osserverà innanzitutto che in essi ricorrono indistintamente due termini: « dottrina sociale » e « insegnamento sociale » della Chiesa. Non si ignorano le sfumature che sono implicate in ciascuno di essi. « Dottrina » infatti sottolinea di più l'aspetto teorico del problema e « insegnamento » quello storico e pratico, tuttavia entrambi vogliono indicare la medesima realtà. L'uso alterno di essi nel Magistero sociale della Chiesa, tanto in quello solenne quanto in quello ordinario pontificio ed episcopale, sta ad indicarne la reciproca equivalenza. Al di sopra di qualsiasi conflitto di parole e di espressioni, la realtà indicata con dottrina sociale o insegnamento sociale, costituisce un « ricco patrimonio », che la Chiesa ha acquisito progressivamente attingendo dalla Parola di Dio e facendo attenzione alle situazioni mutevoli dei popoli nelle diverse epoche della storia. È un patrimonio che va conservato con fedeltà e sviluppato rispondendo via via alle nuove emergenze della convivenza umana. 2. Oggi, la dottrina sociale è chiamata con sempre maggiore urgenza a dare il proprio specifico contributo all'evangelizzazione, al dialogo con il mondo, all'interpretazione cristiana della realtà e agli orientamenti dell'azione pastorale, per illuminare le varie iniziative sul piano temporale con sani principi. Infatti le strutture economiche, sociali, politiche e culturali stanno sperimentando profonde e rapide trasformazioni, che mettono in gioco il futuro stesso della società umana, ed hanno quindi bisogno di un sicuro orientamento. Si tratta di promuovere un vero progresso sociale il quale, per garantire effettivamente il bene comune di tutti gli uomini, richiede una giusta organizzazione di tali strutture; se ciò non venisse fatto, si avrebbe un ritorno di grandi moltitudini verso quella situazione di « giogo quasi servile », di cui parlava Leone XIII nella Rerum novarum. È quindi evidente che il « grave dramma » del mondo contemporaneo, provocato dalle molteplici minacce che spesso accompagnano il progresso dell'uomo, « non può lasciare nessuno indifferente ». Si fa perciò più urgente e decisiva l'irrinunciabile presenza evangelizzatrice della Chiesa nel complesso mondo delle realtà temporali che condizionano il destino dell'umanità. Tuttavia, se la Chiesa entra in questo campo, è consapevole dei propri limiti. Essa non pretende di dare una soluzione a tutti i problemi presenti nella drammatica situazione del mondo contemporaneo, tanto più che esistono grandi differenze di sviluppo tra le nazioni e ben differenti sono le situazioni in cui si trovano impegnati i cristiani. Può invece, e deve dare, nella « luce che le viene dal Vangelo », i principi e gli orientamenti indispensabili per la retta organizzazione della vita sociale, per la dignità della persona umana e per il bene comune. Di fatto il Magistero è intervenuto e interviene spesso in questo campo, con una dottrina che tutti i fedeli sono chiamati a conoscere, insegnare e applicare. Per questa ragione occorre garantire un posto speciale, in armonia con gli studi filosofici e teologici, all'insegnamento di questa dottrina nella formazione dei futuri sacerdoti, come si è espresso chiaramente a tale proposito Giovanni XXIII e si desidera ribadire nuovamente con i presenti « Orientamenti », studiati in collaborazione con il Pontificio Consiglio « Iustitia et Pax » ed approvati dall'Assemblea Plenaria della Congregazione per l'Educazione Cattolica. La struttura del documento consta di sei capitoli, dei quali i primi cinque si riferiscono alla natura della dottrina sociale della Chiesa: la sua dimensione storica, teorica e pratica nei tre elementi che la costituiscono, cioè, i principi permanenti, i criteri di giudizio e le direttive di azione. Il sesto capitolo offre alcune indicazioni per garantire ai candidati al presbiterato un'adeguata formazione in materia di dottrina sociale. I - Natura della Dottrina Sociale 3. Elementi costitutivi della dottrina sociale Le incertezze qua e là ancora diffuse circa l'uso del termine « dottrina sociale » della Chiesa, ma anche circa la stessa natura della medesima, reclamano un chiarimento del problema epistemologico, che è alla radice di tali malintesi. Anche se non si pretende in questo documento di trattare « ex professo » o addirittura di risolvere tutti i risvolti epistemologici relativi alla dottrina sociale, tuttavia si spera che una riflessione approfondita sugli elementi costitutivi che ne esprimono la natura, aiuterà a comprendere meglio i termini in cui si pone il problema. Ad ogni modo sarà bene tener presente che ci si propone qui di precisare detti elementi costitutivi così come si ricavano direttamente dai pronunciamenti magisteriali, e non come si trovano formulati presso vari studiosi. È necessario infatti distinguere sempre la dottrina sociale ufficiale della Chiesa e le diverse posizioni delle scuole, che hanno sistematicamente spiegato, sviluppato e ordinato il pensiero sociale contenuto nei documenti pontifici. Gli elementi essenziali che descrivono e definiscono la natura della dottrina sociale vengono presentati in questo modo: l'insegnamento sociale della Chiesa trae la sua origine dall'incontro del messaggio evangelico e delle sue esigenze etiche con i problemi che sorgono nella vita della società. Le istanze che così vengono evidenziate diventano materia per la riflessione morale che matura nella Chiesa attraverso la ricerca scientifica, ma anche attraverso l'esperienza della comunità cristiana, che deve misurarsi ogni giorno con varie situazioni di miseria e, soprattutto, con i problemi determinati dall'apparire e dallo svilupparsi del fenomeno dell'industrializzazione e dei sistemi socio-economici che vi sono connessi. Questa dottrina si forma con il ricorso alla teologia e alla filosofia, che le danno un fondamento, e alle scienze umane e sociali che la completano. Essa si proietta sugli aspetti etici della vita, senza trascurare gli aspetti tecnici dei problemi, per giudicarli con criterio morale. Basandosi « su principi sempre validi », essa comporta « giudizi contingenti », poiché si sviluppa in funzione delle circostanze mutevoli della storia e si orienta essenzialmente all'« azione o prassi cristiana ». 4. Autonomia della dottrina sociale Per quanto questa dottrina sociale sia andata formandosi durante il secolo XIX come complemento del trattato di morale dedicato alla virtù della giustizia, ben presto acquistò una notevole autonomia dovuta allo sviluppo continuo, organico e sistematico della riflessione morale della Chiesa sui nuovi e complessi problemi sociali. Si può così affermare che la dottrina sociale possiede un'identità propria, con un profilo teologico ben definito. Per avere un'idea completa della dottrina sociale bisogna riferirsi alle sue fonti, al suo fondamento e oggetto, al soggetto e al contenuto, alle finalità e al metodo: tutti elementi che la costituiscono come una disciplina particolare ed autonoma, teorica e pratica ad un tempo, nell'ampio e complesso campo della scienza della teologia morale, in stretta relazione con la morale sociale. Le fonti della dottrina sociale sono la Sacra Scrittura, l'insegnamento dei Padri e dei grandi teologi della Chiesa e lo stesso Magistero. Il suo fondamento e oggetto primario è la dignità della persona umana con i suoi diritti inalienabili, che formano il nucleo della « verità sull'uomo ». Il soggetto è tutta la comunità cristiana, in armonia e sotto la guida dei suoi legittimi pastori, di cui anche i laici, con la loro esperienza cristiana, sono attivi collaboratori. Il contenuto, compendiando la visione dell'uomo, dell'umanità e della società, rispecchia l'uomo completo, l'uomo sociale, come soggetto determinato e realtà fondamentale dell'antropologia cristiana. 5. Natura teologica In quanto « parte integrante della concezione cristiana della vita », la dottrina sociale della Chiesa riveste un carattere eminentemente teologico. Tra il Vangelo e la vita reale infatti si ha una interpellanza reciproca che, sul piano pratico dell'evangelizzazione e della promozione umana, si concretizza in forti vincoli di ordine antropologico, teologico e spirituale, cosicché la carità, la giustizia e la pace sono inseparabili nella promozione cristiana della persona umana. Questa indole teologica della dottrina sociale si esprime pure nella sua finalità pastorale di servizio al mondo, tesa a stimolare la promozione integrale dell'uomo mediante la prassi della liberazione cristiana, nella sua prospettiva terrena e trascendente. Non si tratta di comunicare solo un « sapere puro », ma un sapere teorico-pratico di portata e proiezione pastorale, coerente con la missione evangelizzatrice della Chiesa, al servizio di tutto l'uomo, di ogni uomo e di tutti gli uomini. È la retta intelligenza dell'uomo reale e del suo destino che la Chiesa può offrire come suo contributo alla soluzione dei problemi umani. Si può dire che in ogni epoca e in ogni situazione la Chiesa ripercorre questo cammino svolgendo nella società un triplice compito: annuncio delle verità circa la dignità dell'uomo ed i suoi diritti, denuncia delle situazioni ingiuste e contributo ai cambiamenti positivi nella società e al vero progresso dell'uomo. 6. Triplice dimensione della dottrina sociale La dottrina sociale comporta una triplice dimensione, cioè: teoretica, storica e pratica. Queste dimensioni configurano la sua struttura essenziale e sono tra loro connesse e inseparabili. Vi è innanzitutto « una dimensione teoretica », perché il Magistero della Chiesa ha formulato esplicitamente nei suoi documenti sociali una riflessione organica e sistematica. Il Magistero indica il cammino sicuro per costruire le relazioni di convivenza in un nuovo ordine sociale secondo criteri universali che possano essere accettati da tutti. Si tratta, beninteso, dei principi etici permanenti, non dei mutevoli giudizi storici né di « cose tecniche per le quali ( il Magistero ) non possiede i mezzi proporzionati né missione alcuna ». Vi è poi nella dottrina sociale della Chiesa una « dimensione storica », dato che in essa l'impiego dei principi è inquadrato in una visione reale della società, e ispirato dalla presa di coscienza dei suoi problemi. Vi è infine una « dimensione pratica », perché la dottrina sociale non si ferma al solo enunciato dei principi permanenti di riflessione, né alla sola interpretazione delle condizioni storiche della società, ma propone anche l'applicazione effettiva di questi principi nella prassi, traducendoli concretamente nelle forme e nella misura che le circostanze permettono o reclamano. 7. Metodologia della dottrina sociale La triplice dimensione facilita la comprensione del processo dinamico induttivo-deduttivo della metodologia che, già seguita in modo generico nei documenti più antichi, si precisa meglio nell'enciclica Mater et Magistra ed è assunta in modo decisivo nella costituzione pastorale Gaudium et spes e nei documenti posteriori. Questo metodo si sviluppa in tre momenti: vedere, giudicare e agire. Il vedere è percezione e studio dei problemi reali e delle loro cause, la cui analisi però spetta alle scienze umane e sociali. Il giudicare è l'interpretazione della stessa realtà alla luce delle fonti della dottrina sociale, che determinano il giudizio che si pronuncia sui fenomeni sociali e le loro implicanze etiche. In questa fase intermedia si situa la funzione propria del Magistero della Chiesa che consiste appunto nell'interpretare dal punto di vista della fede la realtà e nell'offrire « quello che esso ha di proprio: una visione globale dell'uomo e dell'umanità ». È chiaro che nel vedere e nel giudicare la realtà, la Chiesa non è né può essere neutrale, perché non può non adeguarsi alla scala dei valori enunciati nel Vangelo. Se, per ipotesi, essa si adeguasse ad altre scale di valori, il suo insegnamento non sarebbe quello che effettivamente è, ma si ridurrebbe ad una filosofia o ad una ideologia di parte. L'agire è volto all'attuazione delle scelte. Esso richiede una vera conversione, cioè, quella trasformazione interiore che è disponibilità, apertura e trasparenza alla luce purificatrice di Dio. Il Magistero, nell'invitare i fedeli a fare scelte concrete e ad agire secondo i principi e i giudizi espressi nella sua dottrina sociale, offre ad essi il frutto di molte riflessioni ed esperienze pastorali maturate sotto l'assistenza particolare promessa da Cristo alla sua Chiesa. Sta al vero cristiano seguire detta dottrina e porla « alla base della sua sapienza, della sua esperienza per tradurla concretamente in categorie di azione, di partecipazione e di impegno ». 8. Il metodo del discernimento Non si possono mettere in pratica principi e orientamenti etici senza un adeguato discernimento, che porti tutta la comunità cristiana e ciascuno in particolare a scrutare « i segni dei tempi » e ad interpretare la realtà alla luce del messaggio evangelico. Sebbene non spetti alla Chiesa analizzare scientificamente la realtà sociale, il discernimento cristiano, come ricerca e valutazione della verità, porta ad investigare le cause reali del male sociale e specialmente dell'ingiustizia e ad assumere i risultati certi, non ideologizzati, delle scienze umane. Lo scopo è di giungere, alla luce dei principi permanenti, a un giudizio obiettivo sulla realtà sociale e a concretizzare, secondo le possibilità e le opportunità offerte dalle circostanze, le scelte più adeguate che eliminino le ingiustizie e favoriscano le trasformazioni politiche, economiche e culturali necessarie nei singoli casi. In questa prospettiva, il discernimento cristiano non solo aiuta a chiarire le situazioni locali, regionali o mondiali, ma anche, e principalmente, a scoprire il disegno salvifico di Dio, realizzato in Gesù Cristo, per i suoi figli nelle diverse epoche della storia. È chiaro che esso deve porsi in un atteggiamento di fedeltà non solo alle fonti evangeliche, ma anche al Magistero della Chiesa e ai suoi legittimi pastori. 9. Teologia e filosofia Dal momento che la dottrina sociale della Chiesa trae verità, elementi di valutazione e di discernimento dalla Rivelazione, rivendicando per sé il « carattere di applicazione della Parola di Dio alla vita degli uomini e della società », essa ha bisogno di un solido inquadramento filosofico-teologico. Alla sua base sta infatti un'antropologia tratta dal Vangelo che contiene come sua « affermazione primordiale » l'idea dell'uomo « come immagine di Dio, irriducibile ad una semplice particella della natura o ad un elemento anonimo della città umana ». Ma questa affermazione fondamentale si articola in numerose formulazioni dottrinali - come per es. la dottrina della carità, della figliolanza divina, della nuova fraternità in Cristo, della libertà dei figli di Dio, della dignità personale e della vocazione eterna di ogni uomo - le quali acquistano il loro pieno significato e valore soltanto nel contesto dell'antropologia soprannaturale e dell'intera dogmatica cattolica. Insieme a questi dati derivati dalla Rivelazione, la dottrina sociale assume, richiama e spiega anche vari principi etici fondamentali di carattere razionale, mostrando la coerenza tra i dati rivelati e i principi della retta ragione, regolativi degli atti umani nel campo della vita sociale e politica. Ne consegue pertanto la necessità di ricorrere alla riflessione filosofica, per approfondire tali concetti ( quali per es. l'obiettività della verità, della realtà, del valore della persona umana, delle norme di agire e dei criteri di verità ), e per illustrarli alla luce delle ultime cause. Effettivamente, la Chiesa insegna che le encicliche sociali si appellano anche alla « retta ragione » per trovare le norme oggettive della moralità umana, che regolano la vita non solo individuale, ma anche sociale ed internazionale. In questa visuale viene evidenziato come un solido fondamento filosofico-teologico aiuterà i professori e gli alunni ad evitare interpretazioni soggettive delle situazioni sociali concrete, come anche a guardarsi da una possibile strumentalizzazione delle medesime per fini e interessi ideologici. 10. Scienze positive La dottrina sociale si serve pure dei dati che provengono dalle scienze positive e in modo particolare da quelle sociali, che costituiscono uno strumento importante, anche se non esclusivo, per la comprensione della realtà. Il ricorso a queste scienze richiede un attento discernimento, in base anche ad una opportuna mediazione filosofica, giacché si può correre il pericolo di piegarle alla pressione di determinate ideologie contrarie alla retta ragione, alla fede cristiana, e in definitiva ai dati stessi dell'esperienza storica e della ricerca scientifica. Ad ogni modo, un « dialogo fruttuoso ». Tra l'etica sociale cristiana ( teologica e filosofica ) e le scienze umane è non solo possibile, ma anche necessario per la comprensione della realtà sociale. La chiara distinzione tra la competenza della Chiesa, da una parte, e quella delle scienze positive, dall'altra, non costituisce nessun ostacolo per il dialogo e anzi lo facilita. Perciò è nella linea della dottrina sociale della Chiesa accogliere e armonizzare tra loro adeguatamente i dati offerti dalle sue fonti, sopra menzionate, e quelli forniti dalle scienze positive. È chiaro che essa avrà sempre come principale punto di riferimento la parola e l'esempio di Cristo e la tradizione cristiana, considerati in funzione della missione evangelizzatrice della Chiesa. 11. Evoluzione della dottrina sociale Come si è già detto, la dottrina sociale della Chiesa, per il suo carattere di mediazione tra il Vangelo e la realtà concreta dell'uomo e della società, ha bisogno di essere continuamente aggiornata e resa rispondente alle nuove situazioni del mondo e della storia. Di fatto, nel succedersi dei decenni essa ha conosciuto una notevole evoluzione. L'oggetto iniziale di questa dottrina fu la cosiddetta « questione sociale », ossia l'insieme dei problemi socio-economici sorti in determinate aree del mondo europeo e americano in seguito alla « rivoluzione industriale ». Oggi la « questione sociale » non è più limitata ad aree geografiche particolari, ma ha una dimensione mondiale e abbraccia molti aspetti anche politici connessi al rapporto tra le classi e alla trasformazione della società già avvenuta e ancora in corso. Ad ogni modo, « questione sociale » e « dottrina sociale » rimangono termini correlativi. Ciò che é importante sottolineare nello sviluppo della dottrina sociale é che essa, pur essendo un « corpus » dottrinale di grande coerenza, non si é ridotta a un sistema chiuso, ma si é mostrata attenta all'evolversi delle situazioni e capace di rispondere adeguatamente ai nuovi problemi o al loro nuovo modo di porsi. Ciò risulta da un esame oggettivo dei documenti dei successivi Pontefici - da Leone XIII a Giovanni Paolo II - e diventa ancora più evidente a partire dal Concilio Vaticano II. 12. Continuità e sviluppo Le differenze di impostazione, di procedimento metodologico e di stile che si notano nei diversi documenti, tuttavia, non compromettono l'identità sostanziale e l'unità della dottrina sociale della Chiesa. Giustamente perciò si usa il termine di continuità per esprimere la relazione dei documenti tra di loro, anche se ciascuno risponde in modo specifico ai problemi del proprio tempo. Per portare un esempio, i « poveri » di cui trattano alcuni documenti più recenti, non sono i « proletari » a cui si riferisce Leone XIII nell'enciclica Rerum novarum, o i « disoccupati » che erano al centro dell'attenzione di Pio XI nell'enciclica Quadragesimo anno. Oggi il loro numero appare immensamente più grande e di esso fanno parte tutti coloro che nella società del benessere sono esclusi dal fruire dei beni della terra con libertà, dignità e sicurezza. Il problema é tanto più grave in quanto, in alcune parti della terra e specialmente nel Terzo Mondo, esso é diventato sistematico e quasi istituzionalizzato. Inoltre il problema non riguarda più solo le differenze ingiuste tra le classi sociali, ma anche gli enormi squilibri tra nazioni ricche e nazioni povere. 13. Il compito e il diritto ad insegnare La Chiesa di fronte alla comunità politica, nel rispetto e nell'affermazione dell'autonomia reciproca nel proprio campo, poiché tutte e due6 sono al servizio della vocazione individuale e sociale delle persone umane, afferma la propria competenza e il proprio diritto di insegnare la dottrina sociale in ordine al bene e alla salvezza degli uomini; e a questo fine utilizza tutti i mezzi che può avere a disposizione, secondo la diversità delle situazioni e dei tempi. Considerando l'uomo « nella piena verità della sua esistenza, del suo essere personale ed insieme del suo essere comunitario e sociale », la Chiesa è ben consapevole che la sorte dell'umanità è legata in modo stretto ed indiscutibile a Cristo. Essa è persuasa della necessità insostituibile dell'aiuto ch'Egli offre all'uomo, e perciò non può abbandonarlo. Come si è espresso a tale proposito Giovanni Paolo II, la Chiesa partecipa intimamente alle vicende dell'umanità intera, facendo dell'uomo la prima e fondamentale strada nel compimento della sua missione, « via che immutabilmente passa attraverso il mistero dell'Incarnazione e della Redenzione ». In tal modo essa continua la missione redentrice di Cristo, ubbidendo al suo mandato di predicare il Vangelo a tutte le genti ( Mt 28,19 ) e di servire a tutti coloro che sono in stato di bisogno sia come individui, sia come gruppi e ceti sociali, e che sentono vivamente la necessità di trasformazioni e riforme per migliorare le condizioni di vita. Fedele alla sua missione spirituale, la Chiesa affronta tali problemi sotto l'aspetto morale e pastorale che le è proprio. Nell'enciclica Sollicitudo rei socialis, Giovanni Paolo II accenna esplicitamente a tale aspetto, con riferimento ai problemi dello sviluppo, affermando che esso rientra perciò a buon diritto nella missione della Chiesa. Essa pertanto « non può essere accusata di oltrepassare il suo campo specifico di competenza e, tanto meno, il mandato ricevuto dal Signore ». Oltre alla cerchia dei suoi fedeli, la Chiesa offre la sua dottrina sociale a tutti gli uomini di buona volontà, affermando che i suoi principi fondamentali sono « postulati della retta ragione » illuminata e perfezionata dal Vangelo. II - Dimensione storica della Dottrina Sociale 14. Di fronte al tentativo di alcuni di seminare « dubbi e diffidenze » sull'efficacia della dottrina sociale, perché considerata astratta, deduttiva, statica e senza forza critica, Giovanni Paolo II ha richiamato più volte l'urgenza di un'azione sociale che faccia leva sul « ricco e complesso patrimonio » denominato « Dottrina sociale o Insegnamento sociale della Chiesa ». Lo stesso avevano fatto i suoi predecessori Giovanni XXIII e Paolo VI, e i Padri del Concilio Vaticano II. Dal pensiero dei Pontefici e del Concilio traspare l'intento di ottenere che attraverso l'azione sociale cristiana la presenza della Chiesa nella storia rispecchi la presenza di Cristo, che trasforma i cuori e le strutture ingiuste create dagli uomini. Questo aspetto è particolarmente sentito nelle condizioni culturali e sociali del nostro tempo. Perciò l'attuale Magistero della Chiesa ha impresso alla dottrina sociale un nuovo dinamismo, che spiega gli accresciuti atteggiamenti di ostilità di alcuni, assunti spesso in modo acritico, e mostra quanto grave sia la responsabilità di chi rifiuta uno strumento così adeguato per il dialogo della Chiesa con il mondo e così efficace per la soluzione dei problemi sociali contemporanei. 1 - Dimensione sociale del messaggio cristiano primitivo 15. Storia della salvezza La dottrina sociale affonda le sue radici nella Storia della salvezza e trova la sua origine nella stessa missione salvifica e liberatrice di Gesù Cristo e della Chiesa. Essa si riallaccia all'esperienza di fede nella salvezza e nella liberazione integrale del popolo di Dio, descritte dapprima nella Genesi, nell'Esodo, nei Profeti e nei Salmi, e poi nella vita di Gesù e nelle Lettere Apostoliche. 16. Missione di Gesù La missione di Gesù e la sua testimonianza di vita hanno evidenziato che la vera dignità dell'uomo si trova in uno spirito liberato dal male e rinnovato dalla grazia redentrice di Cristo. Tuttavia il Vangelo mostra con abbondanza di testi che Gesù non è stato indifferente né estraneo al problema della dignità e dei diritti della persona umana, né alle necessità dei più deboli, dei più bisognosi e delle vittime dell'ingiustizia. In ogni momento egli ha rivelato una solidarietà reale con i più poveri e miseri; ( Mt 11,28-30 ) ha lottato contro l'ingiustizia, l'ipocrisia, gli abusi del potere, l'avidità di guadagno dei ricchi, indifferenti alle sofferenze dei poveri, facendo un forte richiamo al rendiconto finale, quando tornerà nella gloria per giudicare i vivi e i morti. Nel Vangelo sono contenute chiaramente alcune verità fondamentali, che hanno profondamente plasmato il pensiero sociale della Chiesa nel suo cammino attraverso i secoli. Cosi, per es., Gesù afferma e proclama un'essenziale uguaglianza in dignità fra tutti gli esseri umani, uomini e donne, qualunque sia la loro etnia, la nazione o la razza, la cultura, l'appartenenza politica o la condizione sociale. Nel suo messaggio è contenuta, inoltre, una concezione dell'uomo inteso come un essere sociale in virtù della sua stessa natura, in quanto viene affermata la dignità del matrimonio che costituisce la prima forma di comunicazione tra persone. Dalla fondamentale uguaglianza in dignità fra tutti gli uomini e dalla loro intrinseca naturale socialità scaturisce necessariamente l'esigenza che i rapporti nella vita sociale vengano composti secondo criteri di una operante ed umana solidarietà, e cioè secondo criteri di giustizia, vivificata ed integrata dall'amore. Oltre a questi valori contenuti nel Vangelo, ce ne sono ancora molti altri di non minore importanza e non meno incidenti sull'ordinamento sociale, come per es.: i valori attinenti l'istituto della famiglia unitaria e indissolubile, sorgente della vita; i valori concernenti l'origine e la natura dell'autorità, che va concepita ed esercitata come un servizio per il bene comune del gruppo sociale da cui viene direttamente espressa e su cui opera, in armonia con il bene universale dell'intera Famiglia umana. 17. Missione della Chiesa La Chiesa si nutre dello stesso mistero di Cristo, Vangelo incarnato, per annunciare, come Lui, la Buona Novella del Regno di Dio e chiamare gli uomini alla conversione e alla salvezza. ( Mc 1,15 ) Questa vocazione evangelizzatrice della Chiesa, ricevuta da Cristo, costituisce la sua identità più profonda. Eppure proprio da essa scaturiscono dei compiti, delle indicazioni e delle forze che possono contribuire a costruire e a consolidare la comunità degli uomini secondo la legge divina. Nell'insegnamento e nella prassi sociale, la Chiesa dei primi secoli e del Medio Evo non fa che applicare e sviluppare i principi e gli orientamenti contenuti nel Vangelo. Muovendosi dentro le strutture della società civile, essa cerca di umanizzarle in spirito di giustizia e di carità abbinando l'opera di evangelizzazione con opportuni interventi caritativo-sociali. I Padri della Chiesa sono noti non soltanto come intrepidi difensori dei poveri e degli oppressi, ma anche come promotori di istituzioni assistenziali ( nosocomi, orfanotrofi, ospizi per pellegrini e forestieri ) e di concezioni socio-culturali che hanno inaugurato l'era di un nuovo umanesimo radicato in Cristo. Si tratta il più delle volte di opere suppletive, determinate dalle insufficienze e dalle lacune nell'organizzazione della società civile, che dimostrano di quanti sacrifici e di quanta creatività siano capaci le anime permeate dagli ideali del Vangelo. Grazie agli sforzi della Chiesa, è stata riconosciuta l'inviolabilità della vita umana, la santità ed indissolubilità del matrimonio, la dignità della donna, il valore del lavoro umano e di ogni persona, contribuendo così all'abolizione della schiavitù che faceva parte normale del sistema economico e sociale del mondo antico. Il progressivo sviluppo dell'attività teologica, prima nei monasteri e poi nelle Università, ha reso possibile l'elaborazione scientifica dei basilari principi che regolano l'ordinata convivenza umana. A tale riguardo rimane di valore perenne il pensiero di San Tommaso d'Aquino, di Francesco Suarez, Francesco de Vitoria e di tanti altri. Essi, insieme con vari insigni filosofi e canonisti, hanno preparato i presupposti e gli strumenti necessari per l'elaborazione di una vera e propria dottrina sociale, come è stata inaugurata sotto il Sommo Pontefice Leone XIII e continuata dai suoi successori. L'affermazione di questa dimensione sociale del cristianesimo diventa ogni giorno più urgente per i cambiamenti sempre più vasti e profondi che avvengono nella società. Di fronte ai problemi sociali, sempre presenti nelle diverse epoche della storia, ma diventati ai nostri tempi molto più complessi ed estesi su scala mondiale, la Chiesa non può tralasciare la sua riflessione etica e pastorale - nel campo che le è proprio - per illuminare e orientare con il suo insegnamento sociale gli sforzi e le speranze dei popoli, facendo sì che i cambiamenti anche radicali richiesti dalle situazioni di miseria e di ingiustizia vengano realizzati in maniera tale da favorire il vero bene degli uomini. 2 - La formazione del patrimonio storico 18. Ambiente socio-culturale In ogni epoca la dottrina sociale, con i suoi principi di riflessione, i suoi criteri di giudizio e le sue norme di azione non ha avuto, né avrebbe potuto avere altro orientamento, che quello di illuminare in modo particolare, partendo dalla fede e dalla tradizione della Chiesa, la situazione reale della società, soprattutto quando in essa veniva offesa la dignità umana. In questa prospettiva, dinamica e storica, risulta che il vero carattere della dottrina sociale è dato dalla rispondenza delle sue indicazioni, relative ai problemi di una determinata situazione storica, con le esigenze etiche del messaggio evangelico, che richiede una trasformazione in profondità della persona e dei gruppi per ottenere una liberazione autentica e integrale. Tuttavia, per la comprensione dello sviluppo storico della dottrina sociale, occorre penetrare nel contesto socio-culturale di ogni documento e comprendere le condizioni economiche, sociali, politiche e culturali in cui è stato emanato. Nei vari pronunciamenti si può, allora, scoprire meglio l'intenzione pastorale della Chiesa di fronte alla situazione della società presa in esame e all'ampiezza del problema sociale. Tanto i principi-base, provenienti direttamente dalla concezione cristiana della persona e della società umana, quanto i giudizi morali su determinate situazioni, istituzioni e strutture sociali, permettono di cogliere il senso della presenza storica della Chiesa nel mondo. Si può dire che ogni documento sociale ne è un esempio e una prova. 19. Cambiamenti del sec. XIX e contributi del pensiero cattolico In particolare, si deve ricordare la nuova situazione creatasi nell'Ottocento in Europa e in parte nelle Americhe in seguito alla rivoluzione industriale, al liberalismo, al capitalismo e al socialismo. In quella situazione, non pochi cattolici dei vari paesi europei, in linea con le esigenze etiche e sociali della parola di Dio e con il costante insegnamento dei Padri della Chiesa, dei grandi teologi del Medio Evo e, in modo particolare, di San Tommaso d'Aquino, promossero il risveglio della coscienza cristiana di fronte alle gravi ingiustizie sorte in quell'epoca. Cominciò così a delinearsi una concezione più moderna e dinamica della forma in cui la Chiesa deve essere presente ed esercitare il suo influsso nella società. Si capì meglio l'importanza della sua presenza nel mondo e il tipo di funzione richiestogli dai tempi nuovi. Su questi presupposti poggia tutta la dottrina sociale della Chiesa da allora fino ai nostri giorni. È dunque in questa prospettiva che vanno letti e compresi i documenti del Magistero sociale. 20. Leone XIII Leone XIII, preoccupato della « questione operaia » e cioè dei problemi derivanti dalla deplorevole situazione in cui si trovava il proletariato industriale, intervenne con l'enciclica Rerum novarum ( 1891 ), un testo coraggioso e lungimirante, che preparò gli sviluppi della dottrina sociale operati dal Magistero nei documenti successivi. Nell'enciclica, il Pontefice espone i principi dottrinali che possono servire per guarire il « male sociale » latente nella « condizione degli operai ». Dopo aver elencato gli errori che hanno portato alla « immeritata miseria » del proletariato e dopo aver in particolare escluso, quale rimedio alla « questione operaia », il socialismo, la Rerum novarum precisa e attualizza la dottrina cattolica sul lavoro, sul diritto di proprietà, sul principio di collaborazione contrapposto alla lotta di classe come mezzo fondamentale per il cambiamento sociale, sul diritto dei deboli, sulla dignità dei poveri e sugli obblighi dei ricchi, sul perfezionamento della giustizia mediante la carità, sul diritto ad avere associazioni professionali. 21. Pio XI Quarant'anni dopo, quando gli sviluppi della società industriale avevano ormai portato ad una enorme e sempre più crescente concentrazione di forze e di poteri nel mondo economico-sociale e acceso una crudele lotta di classe, Pio XI senti il dovere e la responsabilità di promuovere una maggiore conoscenza, una più esatta interpretazione e una urgente applicazione della legge morale regolativa dei rapporti umani in quel campo, allo scopo di superare il conflitto delle classi e di arrivare a un nuovo ordine sociale basato sulla giustizia e sulla carità. Data questa attenzione al nuovo contesto storico, la sua enciclica Quadragesimo anno apporta delle novità: offre una panoramica d'insieme della società industriale e della produzione; sottolinea la necessità che sia il capitale come il lavoro contribuiscano alla produzione e all'organizzazione economica; stabilisce le condizioni per il ripristino dell'ordine sociale; cerca una nuova messa a fuoco dei problemi emergenti, per affrontare i « grandi cambiamenti » apportati dal nuovo sviluppo dell'economia e del socialismo; non esita a prendere posizione sui tentativi, fatti in quegli anni, di superare con il sistema corporativo le antinomie sociali, mostrandosi favorevole ai principi di solidarietà e di collaborazione che lo ispiravano, ma ammonendo che il mancato rispetto della libertà di associazione e di azione poteva comprometterne l'esito desiderato. 22. Pio XII Nel suo lungo pontificato Pio XII non ha scritto nessuna enciclica sociale. Ma in piena continuità con la dottrina dei suoi predecessori egli intervenne autorevolmente sui problemi sociali del suo tempo con un'ampia serie di discorsi. Tra questi, sono particolarmente importanti i radiomessaggi con i quali ha precisato, formulato e rivendicato i principi etico-sociali miranti a promuovere la ricostruzione dopo le rovine della seconda guerra mondiale. Per la sua sensibilità e intelligenza nel cogliere i « segni dei tempi », Pio XII può considerarsi il precursore immediato del Concilio Vaticano II e dell'insegnamento sociale dei Papi che gli sono succeduti. I punti sui quali la dottrina sociale è stata da lui meglio concretizzata e applicata ai problemi del suo tempo sono principalmente i seguenti: la destinazione universale e l'uso dei beni; i diritti e i doveri dei lavoratori e dei datori del lavoro; la funzione dello Stato nelle attività economiche; la necessità della collaborazione internazionale per attuare una maggiore giustizia e assicurare la pace; la restaurazione del diritto come regola dei rapporti tra le classi e tra i popoli; il salario fondamentale della famiglia. Negli anni della guerra e del dopoguerra, il Magistero sociale di Pio XII rappresentò per molti popoli di tutti i continenti e per milioni di credenti e di non credenti la voce della coscienza universale, interpretata e proclamata in intima connessione con la parola di Dio. Con la sua autorità morale e il suo prestigio, Pio XII portò la luce della sapienza cristiana, a innumerevoli uomini di ogni categoria e livello sociale, a governanti, uomini di cultura, professionisti, imprenditori, dirigenti tecnici, lavoratori. Desideroso di valorizzare la tradizione della Rerum novarum, egli mirò alla formazione di una coscienza etica e sociale che ispirasse le azioni dei popoli e degli Stati. Attraverso di lui passò nella Chiesa quel soffio dello Spirito rigeneratore che, come egli diceva a proposito della Rerum novarum, non ha mancato di spandersi beneficamente sull'intera umanità. 23. Giovanni XXIII Dopo la seconda guerra mondiale la Chiesa si trovò in una situazione nuova sotto molti aspetti: la « questione sociale », ristretta inizialmente alla classe operaia, subì un processo di universalizzazione, che coinvolse tutte le classi, tutti i Paesi e la stessa società internazionale, in cui emergeva sempre più il dramma del Terzo Mondo. Il « problema dell'epoca moderna » diventa oggetto della riflessione e dell'azione pastorale della Chiesa e del suo Magistero sociale. Infatti, la nuova enciclica Mater et Magistra ( 1961 ) di Papa Giovanni XXIII mira ad aggiornare i documenti già conosciuti e a fare un ulteriore passo in avanti nel processo di coinvolgimento di tutta la comunità cristiana. Il nuovo documento, nell'affrontare gli aspetti più attuali ed importanti della « questione sociale », fa risaltare le disuguaglianze esistenti sia tra i vari settori economici che tra i diversi Paesi e regioni e denuncia i fenomeni della sovrappopolazione e del sottosviluppo, che a causa della mancanza d'intesa e di solidarietà tra le nazioni, determinano situazioni insopportabili specialmente nel Terzo Mondo. Lo stesso Giovanni XXIII, dinanzi ai pericoli di una nuova guerra nucleare, dopo essere intervenuto con un memorabile messaggio ai popoli e ai capi di Stato, nel momento più acuto della crisi emanò l'enciclica Pacem in terris ( 1963 ), che é un'esortazione urgente a costruire la pace, fondata sul rispetto delle esigenze etiche che devono presiedere alle relazioni tra gli uomini e tra gli Stati. Lo stile e il linguaggio delle encicliche di Papa Giovanni XXIII conferiscono alla dottrina sociale nuova capacità di approccio e di incidenza nelle nuove situazioni, senza con questo venir meno alla legge della continuità con la tradizione precedente. Non si può dunque parlare di « svolta epistemologica ». È certo che affiora la tendenza a valorizzare l'empirico e il sociologico, però nello stesso tempo si accentua la motivazione teologica nella dottrina sociale. Ciò é tanto più evidente se si fa un confronto con i documenti precedenti, in cui predomina la riflessione filosofica e l'argomentazione basata sui principi del diritto naturale. A dare origine alle encicliche sociali di Giovanni XXIII sono state senz'altro le trasformazioni radicali tanto all'interno degli Stati come nelle loro relazioni reciproche, sia « nel campo scientifico, tecnico ed economico », sia in quello « sociale e politico ». In questo periodo poi altri grandi fenomeni cominciano ad incalzare in modo preoccupante. Ci sono innanzitutto gli effetti dello sviluppo economico seguito alla ricostruzione post-bellica. L'ottimismo che esso genera impedisce che ci si accorga subito delle contraddizioni di un sistema basato sullo sviluppo disuguale dei differenti Paesi del mondo. Inoltre, già alla fine di quel decennio, mentre si afferma sempre più il processo della decolonizzazione di molti Paesi del Terzo Mondo, si nota che al colonialismo politico vigente fino allora subentra un altro tipo di dominio coloniale, di carattere economico. Questo fatto è determinante per una presa di coscienza e per un movimento di riscossa specialmente nell'America Latina, dove per combattere gli squilibri dello sviluppo e lo stato di nuova dipendenza, si scatena in vari modi e in varie forme un fermento di liberazione. Esso in seguito genererà le diverse correnti della « teologia della liberazione », circa le quali la Santa Sede ha reso nota la sua posizione. 24. Concilio Vaticano II Quattro anni dopo la pubblicazione della Mater et Magistra, vide la luce la Costituzione pastorale Gaudium et spes del Concilio Vaticano II sulla Chiesa nel mondo contemporaneo. Se tra i due documenti è intercorso un periodo di tempo troppo breve per avere cambiamenti significativi nella realtà storica, tuttavia, con il nuovo documento, il cammino percorso dalla dottrina sociale è stato considerevole. Il Concilio, infatti, si rese conto che il mondo aspettava dalla Chiesa un messaggio nuovo e stimolante. A questa attesa esso rispose con la citata Costituzione, nella quale, in sintonia con il rinnovamento ecclesiologico, si riflette una nuova concezione di essere comunità dei credenti e popolo di Dio. Essa ha suscitato quindi nuovo interesse per la dottrina contenuta nei documenti precedenti circa la testimonianza e la vita dei cristiani, come vie autentiche per rendere visibile la presenza di Dio nel mondo. Sul piano sociale, la risposta della Chiesa riunita in Concilio si concretò nell'esposizione di una concezione più dinamica dell'uomo e della società, e in particolare della vita socio-economica, elaborata in base alle esigenze e alla retta interpretazione dello sviluppo economico. Secondo il capitolo della Gaudium et spes dedicato a questo problema, l'eliminazione delle disuguaglianze sociali ed economiche si può basare infatti solo sulla retta comprensione dello sviluppo. Questa interpretazione della realtà sociale a raggio mondiale ha prodotto una svolta fondamentale nel processo evolutivo della dottrina sociale: essa non si lascia assorbire dalle implicazioni socio-economiche dei due principali sistemi, capitalismo e socialismo, ma si apre ad una nuova concezione, quella della doppia dimensione o portata dello sviluppo. Tale concezione mira infatti a promuovere il bene dell'uomo completo, « integralmente considerato, tenendo cioè conto delle sue necessità di ordine materiale e delle sue esigenze per la vita intellettuale, morale, spirituale e religiosa », superando così le tradizionali contrapposizioni tra produttore e consumatore e le discriminazioni che offendono la dignità della grande famiglia umana. In questa prospettiva si scopre come alla base di quanto la Costituzione dice sulla vita economico-sociale ci sia una concezione autenticamente umanistica dello sviluppo. Nella Gaudium et spes la Chiesa mostra quanto profonda sia la sua sensibilità per la crescente coscienza delle disuguaglianze e delle ingiustizie presenti nell'umanità, e in particolare per i problemi del Terzo Mondo. Nella dottrina sociale si rafforza così, contro ogni discriminazione sociale ed economica, un orientamento personalistico e comunitario dell'economia, in cui chi presiede è l'uomo, considerato come fine, soggetto e protagonista dello sviluppo. È la prima volta che un documento del Magistero solenne della Chiesa si è espresso così ampiamente sugli aspetti direttamente temporali della vita cristiana. Si deve riconoscere che l'attenzione data dalla Costituzione ai cambiamenti sociali, psicologici, politici, economici, morali e religiosi ha stimolato sempre più, nell'ultimo ventennio, la preoccupazione pastorale della Chiesa per i problemi degli uomini e il dialogo con il mondo. 25. Paolo VI Qualche anno dopo il Concilio, la Chiesa offri all'umanità una nuova importante riflessione in materia sociale con l'enciclica Populorum progressio ( 1967 ) di Paolo VI. Essa può considerarsi come un ampliamento del capitolo sulla vita economico-sociale della Gaudium et spes, pur introducendo alcune novità significative. In poco tempo infatti era andata ulteriormente crescendo la presa di coscienza delle disuguaglianze che discriminavano e sottomettevano a situazioni di ingiustizia e di emarginazione molti Paesi del Terzo Mondo. Questo problema era aggravato da particolari circostanze, quali l'accelerazione dello squilibrio esistente tra i Paesi poveri e quelli ricchi, e la crescita demografica del Terzo Mondo. Nelle regioni e nei popoli più poveri ed emarginati, l'analisi del sottosviluppo e delle sue cause suscitò scandalo e fece divampare la lotta contro l'ingiustizia. In questo nuovo contesto storico, nel quale i conflitti sociali hanno assunto dimensioni mondiali, si proietta la luce della Populorum progressio, che offre l'aiuto per cogliere tutte le dimensioni di uno sviluppo integrale dell'uomo e di uno sviluppo solidale dell'umanità: due tematiche queste che sono da considerarsi come gli assi intorno ai quali si struttura il tessuto dell'enciclica. Volendo convincere i destinatari dell'urgenza di un'azione solidale, il Papa presenta lo sviluppo come « il passaggio da condizioni di vita meno umane a condizioni più umane », e ne specifica le caratteristiche. Le condizioni meno umane si verificano quando ci sono carenze materiali e morali e strutture oppressive. Le condizioni umane richiedono il possesso del necessario, l'acquisizione delle conoscenze e della cultura, il rispetto della dignità degli altri, il riconoscimento dei valori supremi e di Dio, e, infine, la vita cristiana di fede, speranza e carità. Il « passaggio » dalle condizioni meno umane a quelle più umane, che secondo il Papa non è circoscritto alle dimensioni puramente temporali, deve ispirare la riflessione teologica sulla liberazione dall'ingiustizia e sugli autentici valori, senza i quali non è possibile un vero sviluppo della società. La dottrina sociale trova qui aperta una porta per un'approfondita e rinnovata riflessione etica. Dopo soli quattro anni dall'enciclica Populorum progressio, Paolo VI emanò la lettera apostolica Octogesima adveniens ( 1971 ). Era l'ottantesimo anniversario della Rerum novarum, ma il Papa più che al passato guardava al presente e all'avvenire. Nel mondo occidentale industrializzato erano sorti nuovi problemi, quelli della cosiddetta « società postindustriale », e bisognava adeguare ad essi l'insegnamento sociale della Chiesa. L'Octogesima adveniens inizia così una nuova riflessione per la comprensione della dimensione politica dell'esistenza e dell'impegno cristiano, stimolando a sua volta il senso critico nei confronti delle ideologie e delle utopie soggiacenti ai sistemi socio-economici vigenti. 26. Giovanni Paolo II Dieci anni più tardi ( 1981 ) Giovanni Paolo II intervenne con la grande enciclica Laborem exercens. Il decennio trascorso aveva lasciato un'impronta nella storia del mondo e della Chiesa. Nel pensiero del Papa non è difficile scorgere il flusso dei nuovi cambiamenti che si erano prodotti. Se gli anni settanta erano cominciati con l'acuirsi della coscienza del sottosviluppo e delle ingiustizie che ne derivavano, verso la metà dello stesso decennio si erano manifestati i primi sintomi di una crisi più profonda, prodotta dalle contraddizioni che celava il sistema monetario ed economico internazionale, e caratterizzata soprattutto dall'enorme rincaro dei prezzi del petrolio. In questa situazione, il Terzo Mondo, di fronte all'insieme dei paesi sviluppati dell'Occidente e a quelli del blocco orientale collettivistico, reclamava nuove strutture monetarie e commerciali, in cui venissero rispettati i diritti dei popoli poveri nonché la giustizia nelle relazioni economiche. Mentre cresceva il malessere del Terzo Mondo, alcuni Paesi, fattisi eco di questa sofferenza, rivendicavano una maggiore giustizia nella distribuzione del reddito mondiale. Tutto il sistema della divisione internazionale del lavoro e della strutturazione dell'economia mondiale entrava in una crisi profonda; di conseguenza si esigeva una revisione radicale delle stesse strutture che avevano portato ad uno sviluppo economico così disuguale. Di fronte a questi numerosi e nuovi problemi, Giovanni Paolo II scrive l'enciclica Laborem exercens, nel novantesimo anniversario della Rerum novarum, in continuità con il Magistero precedente, ma con una originalità sua propria, sia per il metodo e lo stile, sia per non pochi aspetti dell'insegnamento, trattati in relazione alle condizioni del tempo, ma seguendo le principali intuizioni di Paolo VI. Il documento si snoda in forma di esortazione diretta a tutti i cristiani, al fine di impegnarli per la trasformazione dei sistemi socio-economici vigenti, ed imparte orientamenti precisi in base alla preoccupazione fondamentale per il bene integrale dell'uomo. Con ciò, si amplia il « patrimonio tradizionale » della dottrina sociale della Chiesa, mettendo in luce che la « chiave centrale » di tutta la « questione sociale » si trova nel « lavoro umano », punto di riferimento più adeguato per analizzare tutti i problemi sociali. Partendo dal lavoro come dimensione fondamentale dell'esistenza umana, vengono trattati nell'enciclica tutti gli altri aspetti della vita socio-economica, senza tralasciare l'aspetto culturale e tecnologico. La Laborem exercens propone pertanto la revisione profonda del senso del lavoro, che implica una più equa ridistribuzione non solo del reddito e della ricchezza, ma anche del lavoro stesso, per far sì che vi sia occupazione per tutti. A questo scopo la società dovrebbe essere aiutata a riscoprire la necessità della moderazione nei consumi, a riacquistare le virtù della sobrietà e della solidarietà e a fare anche veri sacrifici per uscire dalla crisi attuale. È una grande proposta, ribadita recentemente dalla Congregazione per la Dottrina della Fede. Ed essa vale non solo per ciascuno dei singoli popoli, ma anche per i rapporti tra le nazioni. La situazione mondiale esige il rispetto dei principi e dei valori fondamentali che sono da considerarsi insostituibili: infatti senza una riaffermazione della dignità dell'uomo e dei suoi diritti, come pure senza la solidarietà tra i popoli, la giustizia sociale e un nuovo senso del lavoro, non ci sarà né un vero sviluppo umano, né un nuovo ordine di convivenza sociale. Il 30 dicembre 1987, nel ventennio della Populorum progressio, Giovanni Paolo II ha pubblicato l'enciclica Sollicitudo rei socialis, il cui asse portante è la nozione di sviluppo come è stata affrontata nel summenzionato documento di Paolo VI. È alla luce dell'insegnamento sempre valido di questa enciclica che il Sommo Pontefice ha voluto esaminare, a vent'anni di distanza, la situazione del mondo sotto questo aspetto, allo scopo di aggiornare e di approfondire ancora la nozione di sviluppo, affinché esso risponda alle necessità urgenti del presente momento storico e sia veramente a misura dell'uomo. Due sono gli argomenti fondamentali della Sollicitudo rei socialis: da una parte, la situazione drammatica del mondo contemporaneo, sotto il profilo dello sviluppo mancato nel Terzo Mondo, e dall'altra, il senso, le condizioni e le esigenze di uno sviluppo degno dell'uomo. Tra le cause del mancato sviluppo viene menzionato il divario persistente, e spesso anche accresciuto, tra Nord e Sud, la contrapposizione tra il blocco orientale ed occidentale con la conseguente corsa agli armamenti, il commercio di armi, e vari intralci di carattere politico frapposti alle decisioni di cooperazione e di solidarietà tra le nazioni. Né si manca di accennare, in questo contesto, alla questione demografica. D'altra parte vengono però riconosciuti alcuni progressi realizzati nel campo dello sviluppo, per quanto incerti, limitati ed inadeguati essi siano rispetto alle necessità reali. Per quanto concerne il secondo argomento principale dell'enciclica, e cioè la natura di un vero sviluppo, vengono offerti innanzitutto chiarimenti relativi alla differenza tra « progresso indefinito » e sviluppo. A tale proposito si insiste che il vero sviluppo non può limitarsi alla moltiplicazione dei beni e dei servizi, cioè a ciò che si possiede, ma deve contribuire alla pienezza dell'« essere » dell'uomo. In questo modo, s'intende delineare con chiarezza la natura morale del vero sviluppo. Questo importante aspetto viene approfondito anche alla luce delle fonti scritturistiche e della tradizione della Chiesa. Prova di questa dimensione morale dello sviluppo è l'insistenza del documento sulla connessione tra osservanza fedele di tutti i diritti umani ( compreso il diritto alla libertà religiosa ), ed il vero sviluppo dell'uomo e dei popoli. Nell'enciclica vengono analizzati pure vari ostacoli di ordine morale allo sviluppo ( « strutture del peccato », bramosia esclusiva del profitto, sete del potere ) e le vie per un loro auspicabile superamento. A tale proposito si raccomanda il riconoscimento dell'interdipendenza tra uomini e popoli e la conseguente ammissione dell'obbligo della solidarietà, nel cui carattere di virtù si insiste; il dovere della carità per i cristiani. Tutto ciò presuppone però una radicale conversione dei cuori. Alla fine del documento vengono indicate anche altre vie specifiche per far fronte alla presente situazione, sottolineando soprattutto l'importanza della dottrina sociale della Chiesa, del suo insegnamento e della sua diffusione nel momento presente. 27. Questa breve panoramica storica della dottrina sociale della Chiesa aiuta a comprenderne la complessità, la ricchezza, il dinamismo, come anche i limiti. Ogni documento segna un nuovo passo avanti nello sforzo della Chiesa di rispondere ai problemi della società nei vari momenti della storia: in ognuno di essi bisogna leggere soprattutto la preoccupazione pastorale di proporre alla comunità cristiana e a tutti gli uomini di buona volonta i principi fondamentali, i criteri universali e gli orientamenti idonei a suggerire le scelte di fondo e la prassi coerente per ogni situazione concreta. Detto insegnamento quindi « non è una " terza via " tra il capitalismo liberista e il collettivismo marxista, e neppure una possibile alternativa per altre soluzioni radicalmente opposte », ma un servizio disinteressato che la Chiesa offre secondo le necessità dei luoghi e dei tempi. Il rilevamento di questa dimensione storica mostra che la dottrina sociale della Chiesa, espressa con chiarezza e coerenza nei suoi principi essenziali, non è un sistema astratto, chiuso e definito una volta per tutte, ma concreto, dinamico e aperto. Infatti l'attenzione alla realtà e l'ispirazione evangelica mettono la Chiesa in condizione di rispondere ai continui cambiamenti cui sono sottoposti i processi economici, sociali, politici, tecnologici e culturali. Si tratta di un'opera sempre in costruzione, aperta alle interpellanze delle nuove realtà e dei nuovi problemi emergenti in questi settori. 28. Documenti più recenti I cambiamenti accennati richiedono una visione etica dei nuovi problemi e una risposta sempre più differenziata, aggiornata ed approfondita. Così è successo, per esempio, nelle questioni della proprietà privata, della socializzazione, della cogestione, del sottosviluppo del Terzo Mondo, del crescente divario tra i Paesi poveri e quelli ricchi, dello sviluppo socio-economico, del senso del lavoro, del debito internazionale, del problema dei senza-tetto, della situazione odierna della famiglia, della dignità della donna, del rispetto della vita umana nascente e della procreazione. I documenti più recenti della Chiesa fanno risaltare questa sua profonda sensibilità evangelica di fronte ai nuovi problemi sociali. Nello spirito del Concilio Vaticano II, la dottrina sociale della Chiesa, composta di « elementi permanenti » e di « elementi contingenti », continuerà il suo cammino storico, ampliandosi ed arricchendosi con l'apporto di tutte le componenti della Chiesa. In tale cammino il Magistero raccoglierà le varie voci nei suoi insegnamenti ufficiali, conciliando l'attenzione alla dimensione storica con il dovere sacro di non indebolire la stabilità e la certezza dei principi e delle norme fondamentali, e invitando all'azione coerente. In questo lungo cammino, la Chiesa continuerà a rendere concreti gli insegnamenti e i valori della sua dottrina sociale, proponendo principi di riflessione e valori permanenti, criteri di giudizio e direttive di azione. III - Principi e valori permanenti 29. In questo capitolo, si accenna brevemente ai « principi permanenti » ed ai valori fondamentali che non devono mai mancare nell'insegnamento della dottrina sociale della Chiesa. In appendice, poi, si offre una traccia del programma dei corsi, suscettibile di essere adattata alle necessità concrete delle singole Chiese particolari. 1 - Principi permanenti di riflessione 30. Premessa Questi principi sono stati formulati dalla Chiesa non organicamente in un solo documento, ma lungo tutto l'arco dell'evoluzione storica della dottrina sociale. Essi si colgono dall'insieme dei vari documenti che il Magistero della Chiesa, con la collaborazione di vescovi, di sacerdoti e laici illuminati, ha elaborato nell'affrontare i vari problemi sociali che via via emergevano. È ovvio che il presente documento non è e non vuole essere né una nuova sintesi né un manuale di tali principi, ma un insieme di semplici orientamenti ritenuti opportuni per l'insegnamento. Esso non costituisce neppure una loro presentazione completa, ma semplicemente un'indicazione di quelli che sono da ritenersi più importanti e quindi meritano un'attenzione particolare nella formazione dei futuri presbiteri. Tra di essi, sono da considerarsi fondamentali i principi riguardanti la persona, il bene comune, la solidarietà e la partecipazione. Gli altri sono intimamente connessi e derivanti da questi. 31. La persona umana La dignità della persona si fonda sul fatto che essa é creata ad immagine e somiglianza di Dio ed elevata ad un fine soprannaturale trascendente la vita terrena. L'uomo quindi, come essere intelligente e libero, soggetto di diritti e di doveri, é il primo principio e, si può dire, il cuore e l'anima dell'insegnamento sociale della Chiesa. « Credenti e non credenti sono pressoché concordi nel ritenere che tutto quanto esiste sulla terra deve essere riferito all'uomo, come a suo centro e a suo vertice ». È un principio che nella sua portata antropologica costituisce la fonte degli altri principi che fanno parte del corpo della dottrina sociale. L'uomo-persona é il soggetto e il centro della società, la quale con le sue strutture, organizzazioni e funzioni ha come scopo la creazione e il continuo adeguamento di condizioni economiche, culturali che permettano al maggiore numero possibile di persone lo sviluppo delle loro capacità e il soddisfacimento delle loro legittime esigenze di perfezione e di felicità. Per questa ragione la Chiesa non si stancherà mai d'insistere sulla dignità della persona, contro tutte le schiavitù, gli sfruttamenti e le manipolazioni perpetrati a danno degli uomini, non solo nel campo politico ed economico, ma anche culturale, ideologico e medico 32. I diritti umani I diritti umani derivano per una logica intrinseca dalla stessa dignità della persona umana. La Chiesa ha preso coscienza dell'urgenza di tutelare e di difendere questi diritti, considerando ciò come parte della sua stessa missione salvifica, sull'esempio di Gesù, che si é dimostrato sempre attento ai bisogni degli uomini, particolarmente dei più poveri. L'affermazione dei diritti umani é sorta nella Chiesa, prima che come un sistema teorico, organico e completo, come un servizio concreto all'umanità. Riflettendo su di essi, la Chiesa ne ha comunque riconosciuto i fondamenti filosofici e teologici e le implicazioni giuridiche, sociali, politiche ed etiche, come appare dai documenti del suo insegnamento sociale. Lo ha fatto però non nel contesto di un'opposizione rivoluzionaria dei diritti della persona contro le autorità tradizionali, ma sullo sfondo del Diritto iscritto dal Creatore nella natura umana. L'insistenza con cui la Chiesa, specialmente nel nostro tempo, si fa promotrice del rispetto e della difesa dei diritti dell'uomo, siano essi personali o sociali, si spiega non solo con il fatto che il suo intervento oggi come ieri è dettato dal Vangelo, ma anche perché dalla riflessione su di essi si sviluppa una nuova sapienza teologica e morale per affrontare i problemi del mondo contemporaneo. In particolare, il diritto alla libertà religiosa, in quanto attinge alla sfera più intima dello spirito, « si rileva punto di riferimento e, in certo modo, diviene misura degli altri diritti fondamentali ». Oggi, esso è affermato e difeso da varie Organizzazioni pubbliche e private, nazionali ed internazionali. Da parte sua, la Chiesa cattolica si mostra in special modo solidale con quanti sono discriminati o perseguitati a causa della fede, e opera con impegno e tenacia perché tali ingiuste situazioni siano superate. 33. Gli apporti del Magistero pontificio ai diritti umani Assieme al Magistero conciliare, il Magistero pontificio ha ampiamente trattato e sviluppato il tema dei diritti della persona umana. Già Pio XII aveva enunciato i principi, fondati sul diritto naturale, di un ordine sociale conforme alla dignità dell'uomo, concretato in una sana democrazia, capace di meglio rispettare il diritto alla libertà, alla pace, ai beni materiali. Successivamente l'enciclica Pacem in terris di Giovanni XXIII fu il primo testo pontificio ufficiale esplicitamente dedicato ai diritti dell'uomo. Infatti, scrutando i « segni dei tempi », la Chiesa percepiva la necessità di proclamare i diritti « universali, inviolabili e inalienabili » di tutti gli uomini, contro ogni discriminazione e ogni concezione particolaristica. Per questo la Pacem in terris, oltre che fondare i diritti dell'uomo sulla legge naturale inerente alla Creazione e ordinata alla Redenzione, corregge un certo aspetto individualistico della tradizionale concezione della reciprocità dei diritti-doveri, inserendo i diritti in un contesto di solidarietà e sottolineando le esigenze di ordine comunitario che essa comporta. A sua volta Paolo VI, nell'enciclica Populorum progressio, senza separare i diritti umani dal campo della ragione, procedendo nell'ottica seguita soprattutto dal Concilio Vaticano II, mette in evidenza il loro fondamento cristiano e mostra come la fede ne trasformi la stessa dinamica interna. Si deve inoltre osservare che, se la Pacem in terris la carta dei diritti dell'uomo, la Populorum progressio costituisce la carta dei diritti dei popoli poveri allo sviluppo. Più tardi, Giovanni Paolo II, approfondendo questa riflessione, fonda i diritti umani simultaneamente nelle tre dimensioni della verità completa sull'uomo: nella dignità dell'uomo in quanto tale, nell'uomo creato ad immagine e somiglianza di Dio, nell'uomo inserito nel mistero di Cristo. Su questa dignità dell'uomo, vista alla luce dell'opera redentrice di Cristo, si fonda la missione salvifica della Chiesa; è per questo che essa non può tacere quando sono lesi o sono in pericolo i diritti inviolabili dell'uomo e dei popoli. Dal punto di vista cristiano, infatti, le nazioni e le patrie sono una realtà umana di valore positivo e irrinunciabile, che fonda dei diritti inviolabili in seno ai vari popoli, e in particolare il diritto dei popoli alla propria identità e al proprio sviluppo. 34. Il rapporto persona-società La persona umana è un essere sociale per sua natura: ossia per la sua innata indigenza e per la sua connaturale tendenza a comunicare con gli altri. Questa socialità umana è il fondamento di ogni forma di società e delle esigenze etiche che vi sono iscritte. L'uomo non può bastare a se stesso per raggiungere il suo pieno sviluppo, ma ha bisogno degli altri e della società. Questo principio dell'interdipendenza persona-società, congiunto essenzialmente a quello della dignità della persona umana, si riferisce al complesso tessuto della vita sociale dell'uomo, che si regola secondo leggi proprie ed adeguate, perfezionate mediante la riflessione cristiana. La comprensione dei vari aspetti della vita sociale oggi non è sempre facile, visti i rapidi e profondi cambiamenti che si verificano in tutti i campi, grazie all'intelligenza e all'attività creativa dell'uomo. I cambiamenti, per parte loro, provocano delle crisi, che si riflettono sia negli squilibri interni dell'uomo, che aumenta sempre più il suo potere, senza riuscire sempre ad incanalarlo a giusti fini; sia nelle relazioni sociali, in quanto non sempre si perviene ad un'esatta applicazione delle leggi che regolano la vita sociale. 35. La società umana è quindi oggetto dell'insegnamento sociale della Chiesa, dal momento che essa non si trova né al di fuori né al di sopra degli uomini socialmente uniti, ma esiste esclusivamente in essi e, quindi, per essi. La Chiesa insiste sulla « natura intrinsecamente sociale » degli esseri umani. Va però osservato che qui il « sociale » non coincide con il « collettivo », per il quale la persona è soltanto un mero prodotto. La forza e il dinamismo di questa condizione sociale della persona si sviluppa pienamente nella società, che vede così crescere le relazioni di convivenza sia a livello nazionale che internazionale. 36. Dalla dignità della persona umana, dai suoi diritti e dalla sua socialità derivano gli altri principi permanenti di riflessione che orientano e regolano la vita sociale. Tra di essi, approfonditi dalla riflessione del Magistero, sono da menzionare quelli che riguardano il bene comune, la solidarietà, la sussidiarietà, la partecipazione, la concezione organica della vita sociale, e la destinazione universale dei beni. 37. Il bene comune Nel parlare delle leggi o dei principi che regolano la vita sociale, bisogna tener presente in primo luogo il « bene comune ». Esso, anche se « nei suoi aspetti essenziali e più profondi non può essere concepito in termini dottrinali e meno ancora determinato nei suoi contenuti storici », tuttavia può essere descritto come « l'insieme di quelle condizioni sociali che consentono e favoriscono negli esseri umani lo sviluppo integrale della loro persona ». Esso dunque, anche se è superiore all'interesse privato, è inseparabile dal bene della persona umana, impegnando i poteri pubblici a riconoscere, rispettare, comporre, tutelare e promuovere i diritti umani e a rendere più facile l'adempimento dei rispettivi doveri. Di conseguenza, l'attuazione del bene comune può considerarsi la stessa ragione di essere dei poteri pubblici, i quali sono tenuti a realizzarlo a vantaggio di tutti i cittadini e di tutto l'uomo - considerato nella sua dimensione terrena-temporale e trascendente -, rispettando una giusta gerarchia dei valori ed i postulati delle circostanze storiche. Considerato quindi il bene comune dalla Chiesa come un valore di servizio e di organizzazione della vita sociale e del nuovo ordine della convivenza umana, essa ne mette in rilievo il senso umano e l'idoneità ad animare le strutture sociali nella loro totalità e nei loro settori particolari, stimolando le trasformazioni in profondità, secondo il criterio della giustizia sociale. 38. Solidarietà e sussidiarietà La solidarietà e la sussidiarietà sono altri due importanti principi che regolano la vita sociale. Secondo il principio della solidarietà ogni persona, come membro della società, è indissolubilmente legata al destino della società stessa e, in forza del Vangelo, al destino di salvezza di tutti gli uomini. Nella recente enciclica Sollicitudo rei socialis, il Papa ha particolarmente sottolineato l'importanza di questo principio, qualificandolo come una virtù umana e cristiana. Le esigenze etiche della solidarietà richiedono che tutti gli uomini, i gruppi e le comunità locali, le associazioni e le organizzazioni, le nazioni e i continenti, partecipino alla gestione di tutte le attività della vita economica, politica e culturale, superando ogni concezione puramente individualistica. Come complemento della solidarietà è da considerarsi la sussidiarietà, che protegge la persona umana, le comunità locali e i « corpi intermedi » dal pericolo di perdere la loro legittima autonomia. La Chiesa è attenta all'applicazione di questo principio a motivo della dignità stessa della persona, del rispetto di ciò che vi è di più umano nell'organizzazione della vita sociale e della salvaguardia dei diritti dei popoli nelle relazioni tra società particolari e società universale. 39. Concezione organica della vita sociale Come risulta da quanto si è detto, un'ordinata società non si comprende adeguatamente senza una concezione organica della vita sociale. Questo principio esige che la società sia fondata, da una parte, sul dinamismo interiore dei suoi membri - che ha origine nell'intelligenza e nella volontà libera delle persone che cercano solidaristicamente il bene comune - e, dall'altra, sulla struttura e sull'organizzazione della società, costituita non solo da singole persone libere, ma anche da società intermedie, che vanno integrandosi in unità superiori, a partire dalla famiglia per arrivare, attraverso le comunità locali, le associazioni professionali, le regioni e gli Stati nazionali agli organismi soprannazionali e alla società universale di tutti i popoli e nazioni. 40. Partecipazione La partecipazione occupa un posto predominante nei recenti sviluppi dell'insegnamento sociale della Chiesa. La sua forza sta nel fatto che assicura la realizzazione delle esigenze etiche della giustizia sociale. La giusta, proporzionata e responsabile partecipazione di tutti i membri e settori della società nello sviluppo della vita socio-economica, politica e culturale, è la via sicura per raggiungere una nuova convivenza umana. La Chiesa non solo non tralascia di ricordare questo principio, ma trova in esso una motivazione permanente per favorire il progresso della qualità della vita degli individui e della società come tale. Si tratta di una aspirazione profonda dell'uomo, che esprime la sua dignità e libertà nel progresso scientifico e tecnico, nel mondo del lavoro e nella vita pubblica. 41. Strutture umane e comunità di persone La Chiesa ha cercato ripetutamente di prevenire il pericolo reale che minaccia la dignità della persona, la libertà individuale e le libertà sociali, e che deriva dalla concezione tecnicistica e meccanicistica della vita e della struttura sociale che non lascia spazio sufficiente allo sviluppo di un vero umanesimo. In non poche nazioni lo Stato moderno si trasforma in una gigantesca macchina amministrativa che invade tutti i settori della vita, trascinando l'uomo in uno stato di paura e di angustia che ne determina la spersonalizzazione. La Chiesa ha pertanto ritenuto necessari gli organismi e le molteplici associazioni private che riservano il dovuto spazio alla persona e stimolano la crescita delle relazioni di collaborazione nella subordinazione al bene comune; tuttavia, perché questi organismi siano delle autentiche comunità, i loro membri devono essere considerati e rispettati come persone e chiamati a partecipare attivamente nei compiti comuni. Secondo la Chiesa, pertanto, un cammino sicuro per raggiungere questa meta consiste nell'associare il lavoro e il capitale e nel dare vita a corpi intermedi. L'attuazione di questi principi, che regolano la vita sociale ai diversi livelli dell'organizzazione sociale e nei vari settori dell'attività umana, permette di superare ogni tensione tra socializzazione e personalizzazione. L'odierno fenomeno della moltiplicazione delle relazioni e delle strutture sociali a tutti i livelli, derivate da libere decisioni ed avviate a migliorare la qualità della vita umana, non può essere accolto se non positivamente, dato che esso rende manifesta la realizzazione della solidarietà umana e favorisce l'ampliamento della sfera dell'attività materiale e spirituale della persona. 42. Destinazione universale dei beni Con questo « principio tipico della dottrina sociale della Chiesa » si afferma che i beni della terra sono destinati all'uso di tutti gli uomini per soddisfare il loro diritto alla vita in modo consono alla dignità della persona e alle esigenze della famiglia. Infatti, « Dio ha destinato la terra e tutto quello che essa contiene all'uso di tutti gli uomini e popoli, e pertanto i beni creati debbono secondo un equo criterio essere partecipati a tutti, avendo come guida la giustizia e compagna la carità ». Ne consegue che il diritto alla proprietà privata, in sé valido e necessario, deve essere circoscritto entro i limiti imposti dalla sua funzione sociale. Come si esprime a tale proposito il Magistero nell'enciclica Laborem exercens, « la tradizione cristiana non ha mai sostenuto questo diritto come un qualcosa di assoluto ed intoccabile. Al contrario, essa l'ha sempre inteso nel più vasto contesto del comune diritto di tutti ad usare i beni dell'intera creazione: il diritto della proprietà privata come subordinato al diritto dell'uso comune, alla destinazione universale dei beni ». 2 - Valori fondamentali 43. La via sicura I principi di riflessione della dottrina sociale della Chiesa, in quanto leggi che regolano la vita sociale, non sono indipendenti dal riconoscimento reale dei valori fondamentali inerenti alla dignità della persona umana. Questi valori sono principalmente: la verità, la libertà, la giustizia, la solidarietà, la pace e la carità o amore cristiano. Vivere questi valori è la via sicura non solo per il perfezionamento personale, ma anche per attuare un autentico umanesimo e una nuova convivenza sociale. Ad essi, dunque, bisogna riferirsi per operare le riforme sostanziali delle strutture economiche, politiche, culturali e tecnologiche e i necessari cambiamenti nelle istituzioni. 44. Verso un rinnovamento della società L'importanza vitale di questi valori spiega perché la Chiesa li abbia sempre proposti con tanta insistenza come veri fondamenti di una nuova società più degna dell'uomo. Pur riconoscendo l'autonomia delle realtà terrene, la Chiesa, però, sa che le leggi scoperte ed impiegate dall'uomo nella vita sociale non garantiscono da sé, quasi meccanicamente, il bene di tutti. Esse infatti devono essere applicate sotto la guida dei valori che derivano dalla concezione della dignità della persona umana. Tutti questi valori manifestano la priorità dell'etica sulla tecnica, il primato della persona sulle cose, la superiorità dello spirito sulla materia. 45. La « sapienza » nell'impegno sociale I valori però entrano frequentemente in conflitto con le situazioni in cui sono negati apertamente o indirettamente. In tali casi, l'uomo si trova nella difficoltà di onorarli tutti in modo coerente e simultaneo. Per questa ragione diventa ancor più necessario il discernimento cristiano delle scelte da fare nelle diverse circostanze, alla luce dei valori fondamentali del cristianesimo. Questo è il modo di praticare l'autentica « sapienza », che la Chiesa richiede nell'impegno sociale ai cristiani e a tutti gli uomini di buona volontà. 46. Valori per lo sviluppo Tenendo conto della grande complessità della società umana contemporanea e della necessità di promuovere determinati valori come fondamento di una nuova società, la Chiesa è chiamata ad intensificare il processo di educazione con la finalità di far comprendere non solo agli individui, ma anche all'opinione pubblica, almeno nei Paesi dove la sua presenza è ammessa e la sua azione permessa, la necessità vitale di difendere e di promuovere i valori fondamentali della persona umana, senza dei quali non si potrà avere un vero sviluppo umano ed integrale di ogni società. Per questo, non sarà possibile porre le basi dell'autentico sviluppo umano, richiesto dalla Chiesa nel suo più recente Magistero sociale, senza una permanente riaffermazione della dignità umana e delle sue esigenze etiche e trascendenti; senza una etica di responsabilità e di solidarietà tra i popoli e di giustizia sociale; senza una revisione del senso del lavoro, che comporta una sua ridistribuzione più equa. IV - Criteri di giudizio 47. Conoscenza della realtà La dottrina sociale della Chiesa ha lo scopo di comunicare un sapere non solo teorico, ma anche pratico e orientativo dell'azione pastorale. Ecco perché essa, oltre ai principi permanenti di riflessione, offre anche dei criteri di giudizio sulle situazioni, le strutture, le istituzioni che organizzano la vita economica, sociale, politica, culturale, tecnologica e sugli stessi sistemi sociali. A questo proposito, non vi è dubbio che il pronunciarsi circa le condizioni di vita più umane o meno umane delle persone, circa il valore etico delle strutture e dei sistemi sociali, economici, politici e culturali, in rapporto alle esigenze della giustizia sociale, fa parte della missione evangelizzatrice della Chiesa. Per poter dare in modo corretto il suo giudizio a tale riguardo, la Chiesa ha bisogno di conoscere le situazioni storiche locali, nazionali e internazionali, e l'identità culturale di ogni comunità e popolo. Anche se qui essa s'avvale di tutti i mezzi forniti dalle scienze, rimane tuttavia fermo che il suo riferimento principale all'approccio della realtà sociale sono sempre i summenzionati valori fondamentali, che forniscono ben precise « norme di giudizio » per il discernimento cristiano. Queste, che si trovano incluse, secondo le dichiarazioni ufficiali, nella dottrina sociale, sono irrinunciabili, e devono essere pertanto fatte conoscere ed apprezzare nell'insegnamento impartito nei Seminari e nelle Facoltà teologiche. 48. Capacità di giudicare obiettivamente Il diritto-dovere della Chiesa di emettere giudizi morali richiede la capacità di tutti gli operatori pastorali, ecclesiastici e laici, di giudicare oggettivamente le diverse situazioni e strutture e i diversi sistemi economico-sociali. Già la conoscenza dei problemi sociali e la loro interpretazione etica alla luce del messaggio evangelico, come viene espresso nella dottrina sociale della Chiesa, offrono orientamenti per questo giudizio, da cui devono essere guidati i comportamenti e le scelte cristiane. Però il passaggio dal dottrinale al pratico suppone mediazioni di natura culturale, sociale, economica e politica, per le quali sono competenti particolarmente, anche se non esclusivamente, i laici, ai quali spetta di sviluppare le attività temporali di propria iniziativa e sotto la propria responsabilità. 49. Esempi di giudizi Di fatto l'esame dei documenti fa rilevare che la dottrina sociale della Chiesa contiene numerosi giudizi sulle situazioni concrete, le strutture, i sistemi sociali e le ideologie. Si possono citare alcuni casi a modo di esempio: la Rerum novarum parla delle cause del malessere degli operai, riferendosi al « giogo » imposto ad essi da « un piccolissimo numero di straricchi »; la Quadragesimo anno giudica che lo stato della società umana del tempo è tale da favorire violenza e lotte; il Concilio Vaticano II, descrivendo gli squilibri del mondo moderno, termina con l'affermazione che essi conducono a sfiducie, conflitti e disgrazie dirette contro l'uomo; la Populorum progressio non dubita di denunciare come ingiuste le relazioni tra i paesi sviluppati e quelli in via di sviluppo; la Laborem exercens dice che anche oggi diversi sistemi ideologici sono causa di flagranti ingiustizie; la Sollicitudo rei socialis critica la divisione del mondo in due blocchi ( Est-Ovest ) e le conseguenze negative che ne derivano per le nazioni in via di sviluppo. È ovvio che la formulazione di giudizi morali su situazioni, strutture e sistemi sociali non riveste lo stesso grado di autorità che è proprio del Magistero della Chiesa quando si pronuncia in merito ai principi fondamentali. Tuttavia, tra i vari giudizi, quelli riguardanti le prevaricazioni contro la dignità umana hanno grande autorità, perché legati a principi e valori fondati sulla stessa legge divina. 50. Pericolo dell'influsso ideologico Ai fini di un dialogo più realistico con gli uomini, di una giusta apertura alle differenti circostanze della convivenza sociale, e di una conoscenza oggettiva delle situazioni, delle strutture e dei sistemi, la Chiesa, quando emette un giudizio, può avvalersi di tutti « gli aiuti che possono offrire le scienze », per esempio dei dati empirici criticamente avvalorati, sapendo bene tuttavia che non è suo compito analizzare scientificamente la realtà e le possibili conseguenze dei cambiamenti sociali. Ciò vale sia per la Chiesa universale come per le Chiese particolari. Un criterio importante per l'uso dei mezzi che offrono le scienze sociali è il ricordare che l'analisi sociologica non sempre offre un'elaborazione oggettiva dei dati e dei fatti, in quanto essa, già in partenza può trovarsi soggetta ad una determinata visione ideologica o ad una ben precisa strategia politica, come si verifica nell'analisi marxista. Com'è noto, il Magistero non ha mancato di pronunciarsi ufficialmente circa il pericolo che da questo tipo di analisi può venire per la fede cristiana e per la vita della Chiesa. Questo pericolo dell'influsso ideologico sull'analisi sociologica esiste anche nell'ideologia liberale che ispira il sistema capitalistico; in esso i dati empirici sono spesso sottomessi per principio a una visione individualistica del rapporto economico-sociale, in contrasto con la concezione cristiana. Non si può certo rinchiudere il destino dell'uomo tra questi due progetti storici contrapposti, perché ciò sarebbe contrario alla libertà e alla creatività dell'uomo. E infatti la storia degli uomini, dei popoli e delle comunità si è rivelata sempre ricca e articolata e i progetti dei modelli sociali sono stati sempre molteplici nelle diverse epoche. A questo proposito, è importante precisare che molte variazioni del principio del liberismo economico, come sono rappresentate dai partiti cristiano-democratici o social-democratici, possono essere considerate non più come espressione di « liberalismo » in senso stretto, ma come nuove alternative di organizzazione sociale. 51. Discernimento delle scelte Speciale attenzione merita il dialogo della Chiesa con i movimenti storici che hanno cercato di superare il dilemma acuto esistente tra il capitalismo e il socialismo. Tuttavia, la Chiesa, con il suo insegnamento sociale, non pretende incoraggiare un sistema socio-economico e politico alternativo, né formulare un suo progetto ben definito di società, in quanto questo compito spetta ai gruppi e alle comunità a cui sono assegnati ruoli sociali e politici. In essi comunque i cristiani sono chiamati ad esercitare un discernimento permanente. Inoltre il dialogo e l'eventuale impegno dei cristiani nei movimenti « che sono nati da diverse ideologie ma che, d'altra parte, sono differenti da esse », dovranno sempre svolgersi con l'attenzione e con il discernimento critico dovuti, e sempre con il riferimento al giudizio morale pronunciato dal Magistero della Chiesa. La missione salvifica della Chiesa scaturita dagli insegnamenti, dalla testimonianza e dalla vita stessa di Gesù Cristo, il Salvatoré, implica due scelte ineludibili: una per l'uomo secondo il Vangelo e l'altra per l'immagine evangelica della società. Senza ipotizzare una « terza via »  di fronte all'« utopia liberale » e all'« utopia socialista », i credenti devono optare sempre per un modello umanizzante delle relazioni socio-economiche, che sia conforme alla scala dei valori menzionata più sopra. In questa prospettiva, i pilastri di ogni modello veramente umano, cioè conforme alla dignità della persona, sono la verità, la libertà, la giustizia, l'amore, la responsabilità, la solidarietà, e la pace. La realizzazione di questi valori nelle strutture della società comporta il primato dell'uomo sulle cose, la priorità del lavoro sul capitale, il superamento dell'antinomia lavoro-capitale. Queste scelte in se stesse non sono politiche, però toccano la sfera politica, e particolarmente il rapporto Chiesa-politica; non sono neppure socio-economiche, ma interessano anche questa dimensione nel rapporto uomo-società e Chiesa-società. Cosi è chiaro che non si può fare a meno del giudizio etico della Chiesa circa i fondamenti del sistema sociale che si vuole costruire, e circa i progetti e i programmi concreti della convivenza, in cui deve confluire anche l'immagine dell'uomo e della società offerta dal Vangelo. 52. Compiti sociali delle Chiese particolari Le Chiese particolari sono, nei rispettivi territori, centri di pensiero, di riflessione morale e di azione pastorale anche nel campo sociale. Esse infatti non possono prescindere dalle particolari problematiche locali, che richiedono opportuni adattamenti, come dimostrano numerose lettere dei Vescovi e delle Conferenze Episcopali. Per valutare però giustamente le situazioni e le realtà socio-economiche, politiche e culturali nelle quali si trovano, come anche per contribuire efficacemente al loro progresso e, se necessario, alla loro trasformazione, molto importa che esse attingano i principi ed i criteri di giudizio dalle fonti dell'insegnamento sociale che sono validi per la Chiesa universale. 53. Nuovi giudizi in nuove situazioni Può darsi che il cambiamento delle situazioni postuli la modifica di un precedente giudizio, espresso in una situazione diversa. Ciò spiega perché realmente nella dottrina sociale della Chiesa si abbiano oggi giudizi differenti da quelli di un tempo, pur nella continuità di una linea imposta dai principi. Ad ogni modo, è evidente che un giudizio maturo sulle nuove situazioni, sui nuovi modelli della società e sui nuovi programmi, non dipende solo dalla dottrina sociale, ma anche dalla formazione filosofico-teologica, dal senso politico e dal discernimento delle mutazioni del mondo. Tutto ciò richiede preparazione remota e prossima, studio e riflessione, come viene raccomandato in questi « Orientamenti ». V - Direttive per l'azione sociale 54. Criteri di azione La dottrina sociale della Chiesa, in quanto sapere teorico-pratico, è orientata all'evangelizzazione della società: include dunque necessariamente l'invito all'azione sociale offrendo, per le diverse situazioni, opportune direttive ispirate ai principi fondamentali e ai criteri di giudizio, più sopra illustrati. L'azione che viene suggerita non si deduce a priori una volta per tutte da considerazioni filosofiche ed etiche, ma si precisa di volta in volta per mezzo del discernimento cristiano della realtà, interpretata alla luce del Vangelo e dell'insegnamento sociale della Chiesa, che dimostra così ad ogni momento storico la sua attualità. Sarebbe perciò un grave errore dottrinale e metodologico se nell'interpretazione dei problemi di ciascuna epoca storica non si tenesse conto della ricca esperienza acquisita dalla Chiesa ed espressa nel suo insegnamento sociale. Pertanto tutti i cristiani dovranno mettersi di fronte alle nuove situazioni con una coscienza ben formata secondo le esigenze etiche del Vangelo e con una sensibilità sociale veramente cristiana, maturata attraverso lo studio attento dei diversi pronunciamenti magisteriali. 55. Rispetto della dignità della persona umana La Chiesa nella sua pastorale sociale si impegna per la piena realizzazione della promozione umana. Tale promozione rientra nel disegno della promozione salvifica dell'uomo e della costruzione del Regno di Dio, in quanto tende a nobilitare la persona umana in tutte le sue dimensioni, di ordine naturale e soprannaturale. Come insegna la Gaudium et spes, la missione di evangelizzazione, che mira alla salvezza, cioè alla liberazione definitiva dell'uomo, richiede un'azione pastorale diversificata secondo gli ambienti in cui essa si realizza: profetica, liturgica e di carità. L'azione pastorale della Chiesa nelle sue relazioni con il mondo è un'azione di presenza, di dialogo e di servizio a partire dalla fede, nell'ampio e vasto campo sociale, economico, politico, culturale, tecnologico, ecologico, ecc.: essa abbraccia, in una parola, tutto il panorama delle realtà temporali. Dato il primato dell'uomo sulle cose, un primo criterio o norma non solo di giudizio, ma anche di azione è la dignità della persona umana, che comporta il rispetto e la promozione di tutti i diritti personali e sociali inerenti alla sua natura. La moralità, la discriminazione tra il giusto e l'ingiusto, dipenderà dalla conformità o dalla difformità delle linee politiche e delle decisioni, dei progetti e dei programmi adottati dai vari agenti sociali ( governi, partiti politici, istituzioni ed organizzazioni, persone e gruppi ) con la dignità della persona, che ha delle esigenze etiche inviolabili. 56. Dialogo rispettoso Nella situazione del mondo contemporaneo i profondi cambiamenti in tutti i campi dell'attività umana, economica, culturale, scientifica e tecnica, hanno fatto emergere nuovi problemi che reclamano l'impegno di tutti gli uomini di buona volontà. Tra questi problemi risaltano quelli della fame, della violenza, del terrorismo nazionale e internazionale, del disarmo e della pace, del debito estero e del sottosviluppo dei Paesi del Terzo Mondo, delle manipolazioni genetiche, della droga, del deterioramento dell'ambiente, ecc. In questo contesto, l'azione pastorale della Chiesa deve svolgersi in collaborazione con tutte le forze vive e operanti nel mondo attuale. Pertanto, un secondo criterio di azione è l'esercizio del dialogo rispettoso come metodo idoneo per trovare una soluzione ai problemi, mediante accordi programmatici e operativi. 57. Lotta per la giustizia e la solidarietà sociale Il mondo di oggi è caratterizzato inoltre da altre « zone di miseria » e da « altre forme d'ingiustizia molto più vaste » di quelle delle epoche precedenti, come la fame, la disoccupazione, l'emarginazione sociale, la distanza che separa i ricchi - Paesi, regioni, gruppi e persone - dai poveri. Perciò un terzo criterio di azione è la « lotta nobile e ragionata in favore della giustizia e della solidarietà sociale ». 58. Formazione alle necessarie competenze L'azione concreta nel campo delle realtà temporali, secondo le indicazioni del Magistero, è principalmente compito dei laici, i quali devono lasciarsi guidare costantemente dalla loro coscienza cristiana. È pertanto doveroso che essi acquisiscano, unitamente alla formazione morale e spirituale, le necessarie competenze nel campo scientifico e politico che li rendano capaci di condurre un'azione efficace, attuata secondo retti criteri morali. Compiti di non minore importanza a tale riguardo spettano però anche ai Pastori, i quali devono aiutare i laici a formarsi una retta coscienza cristiana e dare loro « luce e forza spirituale ». È ovvio che i Pastori potranno adempiere questo compito specifico soltanto se a loro volta saranno buoni conoscitori e sostenitori della dottrina sociale ed avranno acquisito una sensibilità per l'azione in questo campo, alla luce della parola di Dio e dell'esempio del Signore. Pertanto, un quarto criterio di azione è la formazione a queste competenze. Ciò che più conta è che Pastori e fedeli siano e si sentano uniti nel partecipare, ciascuno secondo le proprie capacità, competenze e funzioni, nella diversità dei doni e dei ministeri, all'unica missione salvifica della Chiesa. In questa visione ecclesiologica, il compito di animare cristianamente le realtà temporali non è delegato ai laici dalla gerarchia, ma scaturisce nativamente dal loro essere battezzati e cresimati. Nel nostro tempo si è presa una coscienza sempre più viva della necessità del contributo dei laici alla missione evangelizzatrice della Chiesa. La Lumen gentium afferma che in certi luoghi e in certe circostanze, la Chiesa, senza di essi, non può diventare sale della terra e luce del mondo. 59. L'esperienza delle realtà temporali e l'esperienza della fede L'identità ecclesiale dei laici, radicata nel battesimo e nella cresima, attualizzata nella comunione e nella missione, comporta una duplice esperienza: quella che si fonda sulla conoscenza delle realtà naturali, storiche e culturali di questo mondo e quella che proviene dalla loro interpretazione alla luce del Vangelo. Esse non sono interscambiabili: l'una non può sostituire l'altra, ma entrambe trovano l'unità nel loro primo fondamento, che è la Parola di Dio, il Verbo mediante il quale tutto è stato fatto, e nel loro ultimo fine, che è il regno di Dio. Pertanto, un quinto criterio riguardante l'aspetto metodologico dell'azione è l'uso della duplice esperienza: quella delle realtà temporali e quella della fede cristiana. Questo metodo seguito nell'applicazione della dottrina sociale della Chiesa aiuterà tutti i cristiani, e in particolare i laici, a dare alla realtà una più giusta interpretazione. Cosi facendo, essi potranno vedere in quale grado s'incarnano nella realtà storica i valori umani e cristiani che definiscono la dignità della persona umana; vincolare i principi generali del pensiero e dell'azione in campo sociale ai valori che una società deve sempre rispettare per risolvere i propri problemi; possedere un orientamento nella ricerca concreta delle soluzioni necessarie; stimolare il cambiamento o la trasformazione delle strutture della società, che si rivelino insufficienti o ingiuste; valutare con saggezza i programmi elaborati da tutte le forze vive sul piano politico e culturale. In questo modo, sarà assicurato l'autentico progresso dell'uomo e della società in una dimensione più umana dello sviluppo, che non prescinda, ma che nemmeno sia comandato esclusivamente dalla crescita economica. 60. Apertura ai doni dello Spirito Come si è già detto, la Chiesa non offre un suo modello per la vita sociale; essa piuttosto rimane aperta a un certo pluralismo di progetti e di ipotesi per l'azione, secondo i carismi e i doni che lo Spirito concede ai laici per il compimento della loro missione nell'ambito della famiglia, del lavoro, dell'economia, della politica, della cultura, della tecnica, dell'ecologia, ecc. Ne deriva che le direttive di azione contenute nella dottrina sociale della Chiesa assumono un significato particolare secondo le caratteristiche specifiche dell'azione da svolgere in ciascuno di questi campi. Di qui, un sesto criterio d'azione: l'apertura ai carismi e ai doni dello Spirito Santo nell'impegno e nelle scelte cristiane nella vita sociale. 61. Pratica dell'amore e della misericordia La coscienza di essere chiamata ad offrire il suo servizio alle realtà sociali é stata sempre viva nella Chiesa, dai primi secoli fino ad oggi. Infatti la sua storia é piena di opere sociali di carità e di assistenza, nelle quali, prese insieme, risplende il volto di una comunità povera e misericordiosa, tutta tesa a mettere in pratica il « discorso della montagna ». Le testimonianze di questa coscienza pastorale sono innumerevoli nei Papi, maestri di dottrina sociale. Nei loro documenti, essi invitano a migliorare le condizioni dei lavoratori e promuovono esperienze in questo senso; raccomandano di praticare la carità, armonizzandola con la giustizia; estendono l'azione sociale a ogni ambito temporale; richiedono che l'affermazione dei principi, la dichiarazione delle intenzioni e la denuncia delle ingiustizie siano accompagnate da un'azione effettiva e responsabile; ricordano che sono prova della costante attenzione della Chiesa alla questione sociale, non solo i documenti del Magistero - conciliare, pontificio ed episcopale - ma anche l'attività dei diversi centri di pensiero e d'azione, e le iniziative concrete di apostolato sociale nelle Chiese particolari e nel campo internazionale; invitano il clero, i religiosi e i laici ad impegnarsi nei « diversi settori, opere e servizi » della « pastorale sociale ». Da questa coscienza sociale emerge un ultimo criterio di azione, che deve essere presente in tutti gli altri criteri sopra menzionati: la pratica del comandamento dell'amore e della misericordia in tutto, che, nello spirito del Vangelo, assegna la priorità ai poveri. Tale priorità, testimoniata da tutta la tradizione della Chiesa, è stata ribadita con forza dalla Sollicitudo rei socialis. Nel documento pontificio si legge infatti che « oggi, attesa la dimensione mondiale che la questione sociale ha assunto, questo amore preferenziale, con le decisioni che esso ci ispira, non può non abbracciare le immense moltitudini di affamati, di mendicanti, di senzatetto, senza assistenza medica e, soprattutto, senza speranza di un futuro migliore: non si può non prendere atto dell'esistenza di queste realtà. L'ignorarle significherebbe assimilarci al "ricco Epulone", che fingeva di non conoscere Lazzaro il mendico, giacente fuori della sua porta ( cf. Lc 16,19-31 ) ». 62. Vincolo tra la dottrina sociale e la prassi cristiana Nella coscienza della Chiesa è evidente il vincolo d'unione essenziale tra la dottrina sociale e la prassi cristiana nei settori, nelle opere e nei servizi, con cui si cerca di dare attuazione ai principi e alle norme. In particolare, la pastorale presuppone la dottrina sociale e questa conduce all'azione pastorale come parte privilegiata della prassi cristiana. La presenza e il dialogo della Chiesa con il mondo per cercare di risolvere i complessi problemi degli uomini esige la necessaria competenza nei pastori, e richiede loro pertanto uno studio serio della dottrina sociale, accompagnato dalla formazione alla sensibilità per l'azione pastorale e l'apostolato. Ancora una volta ci si trova dinanzi a una precisa esigenza di programmazione adeguata e di buona impostazione dell'insegnamento. 63. Riflessi nel campo politico Il fatto che la Chiesa non possiede né offre un particolare « modello » di vita sociale, né è legata a un qualche sistema politico come ad una « via » sua propria da scegliere tra altri sistemi, non vuol dire che essa non debba formare e incoraggiare i suoi fedeli - e in modo speciale i laici - perché prendano coscienza della loro responsabilità nella comunità politica, e optino a favore di soluzioni e, quando storicamente sia riscontrabile, di un modello in cui l'ispirazione della fede possa diventare prassi cristiana. Le direttive della dottrina sociale della Chiesa per l'azione dei laici sono valide tanto in materia politica come negli altri campi della realtà temporale, in cui la Chiesa deve essere presente in forza della sua missione evangelizzatrice. La fede cristiana, infatti, valorizza e stima grandemente la dimensione politica dell'esistenza umana e dell'attività in cui essa si esprime. Ne consegue che la presenza della Chiesa nel campo politico è un'esigenza della stessa fede, alla luce della regalità del Cristo, che porta a escludere il divorzio tra la fede e la vita quotidiana, « uno dei più gravi errori della nostra epoca ». E tuttavia evangelizzare la totalità dell'esistenza umana, inclusa la sua dimensione politica, non significa negare l'autonomia della realtà politica, come dell'economia, della cultura, della tecnica, ecc., ciascuna nel suo proprio ordine. Per chiarire questa presenza della Chiesa, è bene distinguere i « due concetti di politica e d'impegno politico ». Per quanto riguarda il primo concetto, la Chiesa può e deve giudicare i comportamenti politici non solo in quanto toccano la sfera religiosa, ma anche per tutto ciò che riguarda la dignità e i diritti fondamentali dell'uomo, il bene comune, la giustizia sociale: tutti problemi che hanno una dimensione etica, considerata e valutata dalla Chiesa alla luce del Vangelo, in forza della sua missione di « evangelizzare l'ordine politico » e, per ciò stesso, di umanizzarlo compiutamente. Si tratta di una politica intesa nel suo più alto valore sapienziale, che è compito di tutta la Chiesa. Invece l'impegno politico, nel senso di concrete decisioni da prendere, di programmi da formulare, di campagne da condurre, di rappresentanze popolari da gestire, di potere da esercitare, è un compito che spetta ai laici, secondo le giuste leggi e istituzioni della società terrena di cui fanno parte. Ciò che la Chiesa chiede e cerca di procurare a questi suoi figli, è che posseggano una coscienza retta e conforme alle esigenze del Vangelo proprio per operare saggiamente e responsabilmente al servizio della comunità. I Pastori e gli altri ministri della Chiesa, per conservare meglio la loro libertà nell'evangelizzazione della realtà politica, si manterranno al di fuori dei vari partiti o gruppi, che potrebbero creare divisioni o compromettere l'efficacia dell'apostolato, e nemmeno vi daranno appoggi preferenziali, a meno che in « circostanze concrete ed eccezionali, l'esiga il bene della comunità ». 64. Segno della presenza del Regno Nel quadro di valori, di principi e di norme che si è delineato, appare che l'azione sociale della Chiesa, illuminata dal Vangelo, è un segno della presenza del Regno di Dio nel mondo, in quanto proclama le esigenze di questo Regno nella storia e nella vita dei popoli come fondamento di una nuova società; in quanto denuncia tutto ciò che attenta alla vita e alla dignità della persona negli atteggiamenti, nelle strutture e nei sistemi sociali; in quanto promuove una piena integrazione di tutti nella società, come esigenza etica del messaggio evangelico della giustizia, della solidarietà e dell'amore. È un'azione pastorale compiuta mediante la Parola che trasforma la coscienza degli uomini; mediante l'elaborazione e la diffusione di una dottrina sociale, volta a richiamare l'attenzione e a suscitare la sensibilità di tutti, e specialmente della gioventù, sui problemi sociali e sull'esigenza evangelica dell'impegno per la giustizia a favore dei poveri e di tutti i sofferenti; infine mediante un'azione pronta e generosa che cerchi di rispondere ai molti problemi concreti che rendono più difficile la vita delle persone e della società. Così, la Parola illumina la coscienza e le opere incarnano la Parola. 65. Conclusione sul significato e sul dinamismo della dottrina sociale Dall'esame della natura e della dimensione storica della dottrina sociale della Chiesa e dei suoi elementi costitutivi, quali sono i principi fondamentali, i criteri di giudizio e le direttive di azione, si ricava la convinzione che essa, pur costituendo già un « patrimonio ricco e complesso », sufficientemente delineato e consolidato, ha ancora davanti a sé molte tappe da percorrere, secondo il dinamismo di sviluppo della società umana nella storia. Per questa sua condizione, la dottrina sociale, pur essendo difficilmente definibile in termini rigorosamente scolastici, tuttavia, nei paragrafi precedenti, si profila, almeno nei suoi contorni essenziali, con sufficiente chiarezza, presentandosi in primo luogo come « parte integrante della concezione cristiana della vita ». Infatti, si è visto che la sua incidenza nel mondo non è marginale, ma decisiva, in quanto azione della Chiesa, « fermento », « sale della terra », « seme » e « luce » dell'umanità. ( Mt 5,13-14; Mt 13,13.24 ) In base a questi presupposti, il Magistero della Chiesa - papale, conciliare, episcopale - con l'apporto dello studio e dell'esperienza di tutta la comunità cristiana, elabora, articola ed espone questa dottrina come insieme di insegnamenti offerti non solo ai credenti, ma anche a tutti gli uomini di buona volontà, per illuminare con il Vangelo il comune cammino verso lo sviluppo e la liberazione integrale dell'uomo. VI - La formazione 66. Finalità del documento Gli orientamenti dati nell'esposizione precedente sono destinati a coloro che hanno il compito e la responsabilità della formazione dei candidati al sacerdozio e degli studenti dei vari Istituti teologici. Essi sono stati preparati nell'intento di facilitare e di stimolare l'opera formativa nel campo della dottrina sociale; non v'è pertanto alcun dubbio che i docenti sapranno trarne profitto per una buona impostazione dei contenuti e dei metodi dell'insegnamento. Lo scopo del documento è infatti quello di mettere in evidenza i punti che nello studio di questa disciplina sono fondamentali e quindi indispensabili per una solida formazione teologica e pastorale dei futuri sacerdoti. Si ritiene pertanto opportuno dedicare il presente capitolo ad indicazioni concrete che promuovano la preparazione specifica dei professori e strutturino meglio la formazione degli alunni. 1 - La formazione dei professori 67. Formazione teologica, scientifica e pastorale Non è necessario insistere sul fatto che la buona accoglienza della dottrina sociale della Chiesa da parte degli studenti dipende in grande misura dalla competenza e dal metodo di insegnamento dei professori. L'acquisizione di queste qualità richiede da parte loro una grande preparazione, che non può essere garantita solo da qualche corso di dottrina sociale fatto nell'ambito degli studi filosofici e teologici. Per questo, i Vescovi e i Superiori dei Centri di formazione ecclesiastica hanno la grave responsabilità d'inviare qualche allievo, capace e interessato, alle Facoltà di Scienze Sociali e ad altri Istituti superiori affini, approvati dall'autorità ecclesiastica, per poter così disporre di docenti dotati di una formazione scientifica adeguata. La Chiesa desidera che tali docenti, cui viene affidata la formazione del clero, siano scelti tra i migliori e posseggano una solida dottrina e una conveniente esperienza pastorale, unite ad una buona formazione spirituale e pedagogica. Si deve inoltre tener presente che per insegnare la dottrina sociale non basta la pura conoscenza dei relativi documenti del Magistero. È, necessario che i professori posseggano un'ampia e profonda formazione teologica, siano competenti nella morale sociale e conoscano almeno gli elementi fondamentali delle scienze sociali moderne. Inoltre, occorre promuovere la loro stretta collaborazione con i professori di morale, di dogmatica e di pastorale per garantire la coerenza, l'unità, la solidità dell'insegnamento e alla fine, permettere agli alunni di avere una visione sintetica della teologia e della pastorale. Bisogna altresì cercare che la formazione dottrinale e la formazione pastorale siano strettamente congiunte a quella spirituale. 68. Funzione delle scienze sociali Come è già stato accennato sopra ( n. 10, n. 50 ), la dottrina sociale della Chiesa non può fare a meno delle scienze sociali, se vuole mantenersi a contatto con la vita della società ed incidere effettivamente sulla realtà pastorale. Per questa ragione si raccomanda vivamente ai professori di dottrina sociale di interessarsi della buona riuscita della preparazione pastorale dei candidati al sacerdozio, tenendo presente che nell'insegnamento non possono limitarsi « semplicemente a ricordare principi generali », ma che devono preoccuparsi di svilupparli « mediante una riflessione maturata al contatto con le situazioni mutevoli nel mondo, sotto l'impulso del Vangelo come fonte di rinnovamento ». Ne consegue che è loro compito iniziare gli alunni anche all'uso dei mezzi che offrono le scienze umane, secondo le norme della Chiesa. Le scienze umane, infatti, sono uno strumento importante per valutare le situazioni che cambiano e stabilire un dialogo con il mondo e con gli uomini d'ogni opinione. Esse offrono all'insegnamento sociale il contesto empirico, nel quale i principi fondamentali possono e debbono essere applicati; mettono a disposizione un abbondante materiale d'analisi per la valutazione e il giudizio circa le situazioni e le strutture sociali; aiutano a orientarsi nelle scelte concrete da fare. Senza dubbio, nello studio e nell'interesse per le scienze sociali, si dovrà evitare il pericolo di cadere nei tranelli delle ideologie che manipolano l'interpretazione dei dati, o nel positivismo che sopravvaluta i dati empirici a scapito della comprensione globale dell'uomo e del mondo. 69. Formazione permanente È un fatto evidente che la realtà sociale e le scienze che la interpretano sono soggette ad un continuo e rapido cambiamento. Per questa ragione, è particolarmente necessaria la formazione permanente dei professori, che garantisca il loro continuo aggiornamento. La mancanza di uno stretto contatto con le nuove problematiche e i nuovi orientamenti a livello nazionale, internazionale e mondiale, come pure con i nuovi sviluppi della dottrina sociale della Chiesa, può privare d'interesse e di capacità formativa il loro insegnamento. 70. Esperienza pastorale Perché i professori possano insegnare la dottrina sociale non come una teoria astratta, ma come una disciplina orientata all'azione concreta, sarà loro utilissima l'esperienza pastorale diretta. Sarà un'esperienza diversificata secondo i luoghi, le situazioni, le capacità e le propensioni di ciascuno, ma scelta ed impostata sempre in maniera tale da favorire la concretezza, la validità e l'incisività dell'insegnamento. 2 - La formazione degli alunni 71. Istruzione pastorale Nello spirito del Concilio Vaticano II e del Codice di Diritto Canonico, l'idoneità al ministero pastorale dei candidati al presbiterato si raggiunge mediante una formazione integrale, che sia attenta a far crescere tutti gli aspetti della personalità sacerdotale: umani, spirituali, teologici e pastorali. Analogo discorso si può fare per la preparazione dei laici all'apostolato. A questo proposito, si deve ricordare che pur essendo vero che tutta la formazione ha una finalità pastorale, tuttavia è necessario prevedere per tutti un'istruzione specificamente pastorale, che tenga conto anche della dottrina sociale della Chiesa. 72. Nell'ambito di questa formazione, che senza dubbio richiede e include, come si è detto, una preparazione teologica adeguata per l'annuncio della Parola secondo le esigenze delle persone, dei luoghi e dei tempi e per il dialogo della Chiesa con il mondo, occorre suscitare negli alunni l'interesse e la sensibilità per la dottrina e la pastorale sociale della Chiesa. In questo senso il Codice parla della necessità di educare i futuri presbiteri al « dialogo con le persone » e di sensibilizzarli ai « compiti sociali » che spettano alla Chiesa. 73. Corso di dottrina sociale Quanto allo spazio da riservare alla dottrina sociale all'interno del programma degli studi nei Centri di formazione ecclesiastica, appare chiaro che, in conformità a quanto si è detto, non basta trattarne in alcune lezioni facoltative nei corsi di filosofia e di teologia, ma che è indispensabile programmare dei corsi obbligatori e a sé stanti per questa disciplina. Quale sia il momento più opportuno per questo studio, dipende dall'ordinamento scolastico dei diversi Centri e Istituti di formazione. Forse può essere utile collocare i corsi durante tutto l'arco della formazione degli alunni. Questa soluzione assicurerebbe la necessaria continuità e gradualità dell'apprendimento, e permetterebbe di comprendere meglio le nozioni di filosofia sociale e di teologia presenti nei vari documenti. In ogni caso è indispensabile che durante la formazione sia garantita la conoscenza delle grandi encicliche sociali. Queste devono essere materia di corsi speciali e rappresentare una lettura obbligatoria per gli studenti. Il loro accostamento dovrà tener conto del contesto socio-culturale nel quale furono scritte, dei presupposti teologici e filosofici su cui si basano, della loro relazione con le scienze sociali e del loro significato per l'attuale situazione. Inoltre, in connessione con i documenti della Chiesa universale, si dovranno studiare anche le problematiche sociali delle Chiese particolari e locali. 74. Fondamento filosofico-teologico Oltre alla sensibilizzazione pastorale per i problemi sociali, è necessario offrire agli alunni un solido fondamento filosofico-teologico sui principi della dottrina sociale e sulle sue relazioni interdisciplinari. Questo fondamento è di particolare importanza nell'attuale situazione di « dialogo con il mondo », che la Chiesa vive mettendo in pratica gli orientamenti del Concilio Vaticano II. Infatti sia i sacerdoti sia i laici impegnati nell'apostolato sociale sono frequentemente interpellati da ideologie radicali e totalitarie, tanto collettivistiche che individualistiche, da tendenze secolarizzanti, quando non addirittura da un secolarismo estraneo allo spirito cristiano. 75. Il messaggio autentico e integrale di Cristo Come già è stato detto, la formazione teologico-pastorale e spirituale di tutti quelli che vogliono dedicarsi all'azione sociale comporta la sensibilizzazione ai diversi problemi della società, la consuetudine a valutare con i criteri della dottrina della Chiesa le situazioni, le strutture e i sistemi economici, sociali e politici. Comporta, inoltre, una specifica preparazione per poter operare adeguatamente ai vari livelli e nei differenti settori dell'attività umana. Ma al di sopra di tutto, tale formazione richiede che laici e candidati al presbiterato prendano coscienza di dover, con la loro opera, rendere testimonianza di Cristo in mezzo al mondo. In particolare, i vescovi e i sacerdoti sono chiamati a predicare il messaggio di Cristo, in modo tale che tutta l'attività temporale degli uomini rimanga permeata della luce del Vangelo. Senza dubbio, il contributo essenziale della Chiesa nel campo sociale è sempre l'annuncio integrale del Vangelo: annuncio che peraltro riserva grande attenzione ai problemi sociali. L'interpretazione e l'applicazione del Vangelo alla realtà sociale dell'uomo d'oggi è dunque essenziale nella formazione teologica e interdisciplinare degli alunni e ha un valore determinante per l'efficacia della pastorale. In questa formazione la testimonianza della vita, la predicazione e l'azione non si possono separare, poiché stanno unite nella persona stessa di Gesù, nel Vangelo e nella tradizione della Chiesa. 76. Le prime esperienze pastorali Durante il periodo della formazione, si consiglia di avviare gli studenti ad esperienze di carattere pastorale e sociale, che li mettano a contatto diretto con i problemi studiati, come si sta già facendo in alcuni Paesi con risultati positivi. In questa formazione molto importa che gli alunni siano pienamente consapevoli del ruolo specificamente sacerdotale nell'azione sociale, sottolineato specialmente in questi ultimi tempi in varie occasioni dal Magistero sia della Chiesa universale che delle Chiese particolari. Molto consigliati sono le visite e i dialoghi degli studenti, accompagnati dai professori, con il mondo del lavoro - imprenditori, operai, sindacati -, con le organizzazioni sociali e con i settori emarginati. 77. Compito del sacerdote riguardo ai laici Fa parte della formazione alla pastorale sociale istruire gli alunni sul compito e sul metodo da seguire per far prendere ai laici una coscienza sempre più viva della loro missione e della loro responsabilità nel campo sociale. In questa prospettiva, il compito del sacerdote è di aiutare i laici a prendere coscienza del loro dovere, di formarli sia spiritualmente che dottrinalmente, di accompagnarli nell'azione sociale, di partecipare alle loro fatiche e alle loro sofferenze, di riconoscere l'importante funzione che hanno le loro organizzazioni tanto sul piano apostolico che su quello dell'impegno sociale, di dar loro la testimonianza di una profonda sensibilità sociale. L'efficacia del messaggio cristiano dipende pure, oltre che dall'azione dello Spirito Santo, dallo stile di vita e dalla testimonianza pastorale del sacerdote che, servendo evangelicamente gli uomini, rivela il volto autentico della Chiesa. 78. Conclusione Infine, la Congregazione per l'Educazione Cattolica, affidando il presente documento agli Ecc.mi Vescovi e ai vari Istituti di studi teologici, si augura che esso possa offrire loro un valido aiuto e un sicuro orientamento per l'insegnamento della dottrina sociale della Chiesa. Tale insegnamento, se impartito correttamente, saprà senz'altro infondere nuovo slancio apostolico ai futuri presbiteri e agli altri operatori pastorali, indicando loro la strada sicura per un'azione pastorale efficace. In considerazione delle molteplici necessità spirituali e materiali dell'odierna società, segnalate in tante occasioni dal Sommo Pontefice Giovanni Paolo II, non v'è da desiderare altro che ogni candidato al sacerdozio diventi messaggero illuminato e responsabile di questa moderna espressione della predicazione evangelica, che è l'unica in grado di proporre efficaci rimedi ai mali della nostra epoca e di contribuire così alla salvezza del mondo. Sarà compito degli Ecc.mi Vescovi e dei Responsabili degli Istituti di formazione sacerdotale provvedere con tutti i mezzi affinché questi « Orientamenti », debitamente illustrati ed integrati nei programmi formativi, possano produrre quel rinvigorimento della preparazione dottrinale e pastorale, che è oggi dovunque atteso e risponde ai nostri comuni desideri. Roma, dal Palazzo della Congregazione, il 30 dicembre 1988. William Wakefield Card. Baum Prefetto José Saraiva Martins Arcivescovo tit. di Tuburnica Segretario