L'interpretazione dei dogmi Presentazione 1. Come si pone il problema Se per l'uomo l'interpretazione del proprio essere, della storia e del mondo ha sempre costituito un problema importante, nella nostra epoca ci troviamo di fronte a una nuova dimensione dell'interpretazione, vale a dire quella del circolo ermeneutico: l'uomo concreto che siamo non ha mai a che fare con una oggettività pura; il reale esiste sempre in un certo contesto storico e culturale. Ora, il problema dei rapporti tra il soggetto e l'oggetto è studiato dall'ermeneutica, la quale, sia quella positivista sia quella antropocentrica, rischia di passare da un misconoscimento della soggettività umana a un soggettivismo spinto. Alcune correnti della teologia contemporanea che s'inseriscono all'interno del movimento ermeneutico concentrano la loro attenzione sul problema del senso dei dogmi, trascurando però la questione della loro verità immutabile. Così la teologia della liberazione e la teologia femminista radicale pongono l'interpretazione della fede sul piano dei fattori socioeconomici e culturali; di conseguenza, il progresso sociale e l'emancipazione della donna diventano i criteri che decidono il senso dei dogmi. L'importanza e l'attualità del problema dell'ermeneutica ha indotto la Commissione Teologica Internazionale a studiarla per porre in evidenza i dati centrali dell'interpretazione dei dogmi, come la teologia cattolica la concepisce. 2. Il lavoro della Commissione Teologica Internazionale Come era avvenuto per certe tematiche esaminate dalla Commissione Teologica Internazionale nei quinquenni precedenti, il problema dell'interpretazione dei dogmi è stato posto alla Commissione da varie istanze all'inizio del quarto quinquennio. Il prof. Walter Kasper, allora docente presso l'Università di Tubingen, venne designato quale presidente della sottocommissione incaricata di studiare il problema e di preparare i dibattiti di una futura sessione plenaria. D'intesa con il Card. Ratzinger, presidente della Commissione Teologica Internazionale, il prof. Kasper ha dunque formato tale sottocommissione, ogni membro della quale doveva elaborare una comunicazione su un determinato punto del problema. Egli stesso ha steso lo studio dal titolo: « Che cosa è un dogma? Riflessioni storiche e sistematiche », e poi le redazioni successive dello schema diventato il documento che pubblichiamo oggi. Le altre relazioni preparatorie della sottocommissione trattano i seguenti argomenti: « L'interpretazione dei dogmi secondo il Magistero della Chiesa, da Trento al Vaticano II » ( prof. Jan Ambaum ); « Lo stato della questione dell'interpretazione dei dogmi » ( prof. Giuseppe Colombo ); « Il dogma nella Tradizione e la comunione della Chiesa » ( prof. Jean Corbon ); « Tesi di un esegeta del Nuovo Testamento sulla corretta interpretazione dei dogmi » ( prof. Joachim Gnilka ); « L'ermeneutica moderna, la sua portata filosofica e le sue ripercussioni teologiche » ( prof. André-Jean Léonard ); « Problematica attuale dell'interpretazione legittima del dogma » ( prof. Stanislaw Nagy ); « Ermeneutica della fede nella teologia della liberazione » ( prof. Henrique de Noronha Galvâo ); « L'unità e la pluralità della fede » ( prof. Cari Peter ); « Dogma e vita spirituale » ( prof. Christoph von Schönborn ); « Dogma e inculturazione » ( prof. Felix Wilfred ). Durante la sessione plenaria del 1988, ogni membro della sottocommissione ha presentato la propria comunicazione e le discussioni hanno avuto luogo per un'intera settimana. Partendo dai dibattiti e dalle proposte consegnate per iscritto, il prof. Kasper, assistito dalla sottocommissione, ha elaborato un progetto di testo, che fu riveduto in varie riprese, e infine ampiamente approvato dalla Commissione in forma specifica nella sessione plenaria dell'ottobre 1989. 3. Le linee fondamentali del documento Nella prima parte il testo sottolinea l'importanza della storia, cioè della Tradizione, per la comprensione del dogma. Nel mondo occidentale di oggi, siamo giunti a una rivalutazione del presente al punto da considerare il passato come un'alienazione. Una certa ermeneutica cerca di superare la distanza che ci separa dal passato, e si presenta sotto varie forme, spesso riduttive. Occorre superarle per giungere a un'ermeneutica metafisica, che si fonda sul fatto che la verità si manifesta in e attraverso l'intelligenza umana. Qual è allora il rapporto tra verità e storia? Nonostante tutte le determinazioni della nostra intelligenza, noi pensiamo che esista una verità assoluta. Esistono verità universali che conservano sempre il loro valore. Nei confronti del problema teologico dell'interpretazione, la Chiesa parte dal presupposto che la verità rivelata da lei insegnata è universalmente valida e immutabile nella sua sostanza. Tuttavia, sorgono difficoltà quando si tratta di trasmettere i dogmi agli uomini che vivono nell'ambito di altre culture, ad esempio la cultura africana o asiatica. Come « interpretare » allora la fede? Alcuni danno risposte radicali: occorre interpretare la fede nella cornice del marxismo; o ancora una certa idea dell'emancipazione diventa la chiave di lettura della Bibbia. La seconda parte del documento mostra come la Chiesa, ricolma di Spirito Santo, testimonia la Rivelazione. La storia dei dogmi pone in luce il processo ininterrotto della Tradizione. Il testo richiama quindi le dichiarazioni del Magistero relative all'interpretazione dei dogmi ( Trento, Vaticano I, Pio X, Pio XII, Paolo VI ), per soffermarsi più a lungo sulla dottrina del Vaticano II. Viene sottolineata l'importanza delle note teologiche. Vi è pure la pratica del Magistero il quale, di fronte a nuovi sviluppi, interpreta certe posizioni precedenti ( ad esempio, quella relativa alla libertà religiosa ). Nel presentare una riflessione sistematica sul dogma all'interno della Paradosis, il documento spiega come la Tradizione dia un più profondo significato alle parole e alle immagini del linguaggio umano, quando se ne serve per esprimere la fede. Nel corso della storia, la Chiesa non aggiunge nulla di nuovo al Vangelo, ma annuncia Cristo in una maniera nuova. In tale evangelizzazione il posto dei dogmi, come pure il loro significato teologico, vanno intesi in tale senso. L'uso e l'interpretazione della Sacra Scrittura vengono esaminati nella terza sezione del testo intitolato: « Criteri d'interpretazione ». Il documento sottolinea l'unità della Sacra Scrittura, della Tradizione e della comunione della Chiesa per mantenere un'interpretazione dei dogmi all'interno della Chiesa. La necessità di un'interpretazione attuale oggi è fuori dubbio. Si tratta di porne in rilievo i principi direttivi. Il documento sottolinea il valore permanente delle formule dogmatiche, ma offrendo suggerimenti per il rinnovamento della loro interpretazione. I criteri per giudicare lo sviluppo dei dogmi, proposti da J.H. Newman, possono essere di aiuto. A questo punto, il documento richiama opportunamente la funzione del Magistero della Chiesa, al quale l'interpretazione autentica della Parola di Dio è stata affidata. Infatti, la posta in gioco di ogni interpretazione valida è che tutti gli uomini abbiano la vita eterna. Mons. Philippe Delhaye Segretario generale emerito Commissione Teologica Internazionale 1. Problematica 1. La problematica filosofica 1. Il problema fondamentale dell'interpretazione Il problema dell'interpretazione fa parte dei problemi originari dell'uomo, poiché, in quanto uomini, noi cerchiamo di comprendere il mondo e noi stessi. Ora, quando ci troviamo alle prese con il problema della verità del reale, non partiamo mai da zero. Il reale che si tratta di comprendere lo incontriamo concretamente nell'interpretazione attraverso il sistema dei simboli di una data cultura, che si manifesta specialmente nel linguaggio. La comprensione umana è dunque in relazione con la storia della comunità. Così, per interpretare, occorre anche appropriarsi e comprendere le testimonianze che la tradizione ha già dato. Il nesso tra interpretazione e tradizione dimostra chiaramente che occorre svincolarsi da un realismo ingenuo. Nella nostra conoscenza, non abbiamo mai a che fare con il reale nella sua astrattezza, ma sempre con un reale nel contesto culturale dell'uomo, con la sua interpretazione attraverso la tradizione e la sua attuale appropriazione. Di conseguenza, il problema fondamentale dell'interpretazione può essere formulato così: come possiamo prendere sul serio il circolo ermeneutico tra soggetto e oggetto senza cadere in un relativismo che conosce unicamente interpretazioni di interpretazioni, le quali, a loro volta, conducono senza interruzione a nuove interpretazioni? Non esiste non al di fuori, ma all'interno del processo storico stesso d'interpretazione - una verità che esista per se stessa? Si dà dunque una pretesa assoluta della verità? Vi sono affermazioni che devono essere ammesse o negate in ogni cultura e in ogni situazione storica? 2. Due ragioni dell'attualità del problema Il problema dell'interpretazione si pone oggi in maniera più acuta. A causa delle fratture culturali, si è accentuata la distanza tra le testimonianze della tradizione e la nostra situazione culturale attuale. Nel mondo occidentale in particolare, ciò ha condotto a un cambiamento di atteggiamenti nei confronti delle verità, dei valori e delle concezioni tradizionali, come purea una rivalutazione unilaterale del presente rispetto a ciò che viene dal passato, e a una stima unilaterale di ciò che è nuovo come criterio del pensare e dell'agire. Nella filosofia odierna, dobbiamo soprattutto a Marx, Nietzsche e Freud se è diventata imperante un'ermeneutica del sospetto, che considera la tradizione non più come mediatrice tra la realtà originaria e il presente, ma la sente come un'alienazione e un'oppressione. Rifiutando però la memoria creativa della tradizione, l'uomo si espone al nichilismo. La crisi odierna, generale e mondiale, della tradizione è diventata una delle sfide spirituali più radicali della nostra epoca. A questa crisi della tradizione si aggiunge oggi il fenomeno dell'incontro generalizzato delle culture e delle loro differenti tradizioni. Il problema dell'interpretazione si pone non soltanto come quello di una mediazione tra il passato e il presente, ma anche come l'impegno di trovare la mediazione tra le diverse tradizioni culturali. Oggi, una tale ermeneutica transculturale è diventata una condizione per la sopravvivenza dell'umanità nella pace e nella libertà. 3. Vari tipi di ermeneutica Possiamo distinguere diversi tipi di ermeneutica. L'ermeneutica di orientamento positivista mette il polo oggettivo in primo piano. Notevole è stato il suo contributo per una migliore conoscenza del reale; ma essa considera la conoscenza umana unilateralmente come una funzione dei fattori naturali, biologici, psicologici, storici e socioeconomici, e perciò sottovaluta il significato della soggettività umana nel processo della conoscenza. L'ermeneutica di orientamento antropocentrico rimedia a tale insufficienza. Per essa, però, è il polo soggettivo che è, in maniera unilaterale, decisivo. Così, essa riduce la conoscenza del reale alla conoscenza del suo significato per la soggettività umana; il problema della verità del reale è ridotto a quello del suo senso per l'uomo. L'ermeneutica culturale comprende il reale attraverso la mediazione delle sue realizzazioni culturali oggettive nelle istituzioni umane, negli usi e nei costumi, specie nel linguaggio, a causa della comprensione soggettiva di se stessi e del mondo che è insita in ogni cultura e nel suo sistema di valori. Riconosciuto il significato di tale approccio, rimane il problema dei valori transculturali e della verità dell'humanum , che unisce gli uomini al di là di ogni diversità culturale. A differenza delle forme più o meno riduttive sin qui ricordate, l'ermeneutica metafisica pone il problema della stessa verità del reale. Essa parte dal fatto che la verità si manifesta in e attraverso l'intelligenza umana, in modo che nella luce dell'intelligenza umana brilli la verità stessa della realtà. Poiché la realtà è sempre più grande e profonda di ogni rappresentazione e di ogni concetto, condizionati dalla storia e dalla cultura, che ci formiamo di essa, s'impone la necessità di un'interpretazione critica sempre rinnovata e approfondita delle rispettive tradizioni culturali. Il compito principale che dobbiamo assolvere è dunque il seguente: nei nostri incontri e nelle nostre discussioni con l'ermeneutica contemporanea come pure con le scienze umane moderne dobbiamo sforzarci di giungere a un rinnovamento creatore della metafisica e della sua domanda sulla verità della realtà. Il problema fondamentale che si pone qui è quello del rapporto tra verità e storia. 4. La domanda fondamentale: la verità nella storia Circa i rapporti tra verità e storia, è ormai chiaro che in linea di principio non c'è conoscenza umana senza presupposti; anzi, ogni sapere umano e ogni linguaggio sono determinati da una struttura di precomprensione e di pregiudizi strutturali. Tuttavia, in tutto ciò che l'uomo conosce, dice e fa, e che è storicamente condizionato dalla storia, vi è talvolta un'anticipazione di qualcosa di ultimo, d'incondizionato e di assoluto. In ogni domanda e ricerca della verità, noi supponiamo che esista sempre la verità, come pure certe verità fondamentali ( ad esempio il principio di contraddizione ). Così, la luce della verità ci precede sempre; in altri termini, essa appare con un'evidenza oggettiva nella nostra intelligenza quando considera la realtà. Questo genere di affermazioni innate, che sono date in precedenza, e questi presupposti furono designati nell'antica Stoà con il termine di dogma. In questa misura, e in un senso ancora molto generale, possiamo parlare di una strutturazione dogmatica fondamentale dell'uomo. Per il fatto che la nostra conoscenza, il nostro pensiero e la nostra volontà sono sempre determinati collettivamente dalle rispettive culture e specialmente dal linguaggio, questa struttura dogmatica innata concerne non solo le singole persone, ma anche la società umana. Col tempo, nessuna società può sopravvivere senza convinzioni e senza valori fondamentali comuni, che caratterizzano e sostengono la sua cultura. L'unità, la mutua comprensione e la coesistenza pacifica, come pure il mutuo riconoscimento di una stessa dignità umana, fanno supporre d'altronde che, nonostante le profonde differenze tra le culture, esiste un insieme di valori umani e di conseguenza una verità comune a tutti gli uomini. Tale convinzione si manifesta oggi soprattutto nel riconoscimento dei diritti universali e inalienabili di ogni persona umana. Simili verità, che sono universali rispetto allo spazio e al tempo e che conservano quindi sempre il loro valore, non sono riconosciute però come tali se non in situazioni o in discussioni storiche particolari e, anzitutto, nell'incontro delle culture. Occorre tuttavia distinguere tra questo contesto di una situazione contingente, nella quale l'uomo esercita la sua conoscenza e compie le sue scoperte, e l'esistenza di un valore assoluto, che è inerente alla verità stessa che l'uomo conosce. Per sua essenza, la verità non può essere che la verità unica, e quindi universale. Ciò che è stato riconosciuto una volta come verità deve dunque essere riconosciuto come sempre valido e vero. La Chiesa, con la sua predicazione dell'unico Vangelo, rivelato nel tempo ma tuttavia destinato a tutti gli uomini e a tutti i tempi, può venire incontro a questa essenza dell'intelligenza umana, che è storica e nello stesso tempo aperta all'universale. Essa può purificarla e condurla alla perfezione più profonda. 2. La problematica teologica attuale 1. Il problema particolare dell'evangelizzazione e della nuova evangelizzazione La teologia cattolica parte dalla certezza di fede che la Paradosis1 della Chiesa, come pure i dogmi da essa trasmessi, sono affermazioni autentiche della verità che, nell'Antico e nel Nuovo Testamento, è stata rivelata da Dio. Essa afferma pure che la verità rivelata, trasmessa nella Paradosis della Chiesa, è universalmente valida e immutabile nella sua sostanza. Riguardo ai dogmi, questa certezza fu già messa in discussione ai tempi della Riforma nel XVI secolo. In forma più acuta e in ben altre condizioni, essa è entrata in una crisi globale a causa dell'ideologia illuminista e della moderna rivendicazione di libertà. Nei tempi moderni, il pensiero dogmatico, senza altra forma di processo, spesso è stato criticato come dogmatismo, e di conseguenza rifiutato. Diversamente da ciò che avveniva nella cultura occidentale dei secoli passati, segnata nel suo insieme dalla fede cristiana, nella nostra cultura contemporanea secolarizzata il linguaggio dogmatico tradizionale della Chiesa non sembra più essere immediatamente comprensibile, quando non si presta a malintesi, anche per molti cristiani. Alcuni lo considerano persino come un ostacolo alla trasmissione viva della fede. Questo problema si aggrava quando la Chiesa cerca di penetrare nelle culture africane e asiatiche con i suoi dogmi che sono stati elaborati, dal punto di vista puramente storico, nel contesto della cultura greco-romana e occidentale. Ciò esige molto più che una semplice traduzione dei dogmi; per giungere a un'inculturazione, il senso originale del dogma dev'essere di nuovo compreso nel contesto di un'altra cultura. Perciò il problema dell'interpretazione dei dogmi è diventato oggi un problema generale dell'evangelizzazione, specialmente della nuova evangelizzazione. 2. Soluzioni insufficienti della teologia ermeneutica Già all'inizio del nostro secolo, la teologia modernista ha voluto porsi il problema. Ma i suoi tentativi di soluzione non soddisfacevano, tra l'altro a causa di una comprensione insufficiente della Rivelazione e di una concezione pragmatica dei dogmi. La teologia contemporanea di orientamento ermeneutico cerca di gettare un ponte tra la tradizione dogmatica e il pensiero moderno, ponendo la questione del senso e dell'importanza dei dogmi per l'uomo di oggi. In questo modo, però, si separa la singola formula dogmatica dal suo nesso con la Paradosis e la si isola dalla fede vissuta della Chiesa. Si sostantiva così il dogma; inoltre, ponendo al centro il problema del significato pratico, esistenziale o sociale del dogma, si perde di vista la questione della sua verità. Questa obiezione è ugualmente valida quando il dogma è inteso unicamente come una convenzione, vale a dire considerato nella sua funzione come se fosse solo una regolamentazione del linguaggio ecclesiastico, necessario per l'unità, ma fondamentalmente provvisorio e suscettibile di correzione. Così il dogma non è più considerato nella sua funzione di mediazione obbligatoria della verità rivelata. 3. Legittimità e limiti di nuovi approcci in rapporto alla teoria e alla pratica Per la teologia della liberazione, il problema dell'ermeneutica dei dogmi si pone sullo sfondo della povertà, della situazione di oppressione sociale e politica che domina in numerose regioni del Terzo Mondo; esso diventa il problema del rapporto tra la teoria e la pratica. Così viene spesso sottolineato un aspetto importante dell'idea biblica della verità, cioè che si deve « fare la verità ». ( Gv 3,21 ) Esiste certo una teologia della liberazione conforme al Vangelo, che ha diritto di cittadinanza nella Chiesa; essa parte dalla priorità della missione evangelica della Chiesa, ma insiste nello stesso tempo sui suoi presupposti e sulle sue conseguenze sociali. Nella teologia della liberazione radicale, invece, la liberazione economica, sociale e politica diventa il fattore che determina tutto; in essa il rapporto tra la teoria e la prassi è inteso nel senso dell'ideologia materialista marxista. In tal modo, il messaggio della grazia e del fine escatologico della vita e del mondo svanisce. La fede e le formule dogmatiche della fede non sono più viste nel loro contenuto peculiare di verità, ma in nome della realtà economica, la sola che conti in tale ottica. Si assegna loro solo il ruolo di un motore nel processo di liberazione politica rivoluzionaria. Oggi ci sono anche altre ermeneutiche; nonostante le loro differenze, esse hanno in comune il fatto di spostare il corretto centro ermeneutico della verità dell'essere - in altri termini, della Rivelazione come sorgente di senso - verso un'altra componente, in sé legittima ma particolare, che pongono a centro e criterio dell'insieme. È il caso della teologia femminista radicale. Per essa, i dati rivelati non costituiscono più la base e la norma degli sforzi per fare emergere la dignità della donna, che è importante e legittimo mostrare. Al contrario, una certa idea dell'emancipazione diventa la sola e definitiva chiave ermeneutica per l'interpretazione della Sacra Scrittura e della Tradizione. In tal modo, la questione dell'interpretazione dei dogmi ci pone di fronte i problemi fondamentali della teologia. Sullo sfondo si trova, in ultima analisi, la questione della comprensione teologica della verità e della realtà. Anche dal punto di vista teologico, questo problema sfocia in quello dei rapporti tra una verità universale e sempre valida da un lato, e la storicità dei dogmi dall'altro. Si tratta concretamente di sapere come la Chiesa possa trasmettere oggi il suo insegnamento della fede con la sua forza di obbligazione, affinché dalla memoria della Tradizione scaturisca la speranza per il presente e per il futuro. Di fronte alle diverse situazioni socioculturali in cui vive ora la Chiesa, si tratta anche del problema dell'unità e della pluriformità nell'esposizione dogmatica della verità e della realtà della Rivelazione. 2. I fondamenti teologici 1. I fondamenti biblici 1. Tradizione e interpretazione della Sacra Scrittura La Rivelazione, attestata nella Sacra Scrittura, si è compiuta con parole e fatti nella storia dei rapporti di Dio con l'uomo. L'Antico Testamento è il processo di una reinterpretazione e di una rilettura sempre rinnovate. Esso ha trovato la sua interpretazione escatologica e definitiva solo in Gesù Cristo. Poiché la rivelazione, preparata nell'Antico Testamento, ha trovato il proprio compimento solamente in Gesù Cristo, quando la pienezza dei tempi è giunta. ( Eb 1,13, da confrontare con Gal 4,4; Ef 1,10; Mc 1,15 ) In quanto Parola di Dio fatta Uomo, Gesù è l'interprete del Padre, ( Gv 1,14-18 ) la Verità in persona. ( Gv 14,6 ) Nel suo essere e nella sua vita, attraverso ciò che ha detto e i segni che ha compiuto, e soprattutto attraverso la sua morte, risurrezione, esaltazione come attraverso il dono dello Spirito di verità, ( Gv 14,17 ) Gesù è pieno di grazia e di verità. ( Gv 1,14 ) La verità che è stata rivelata una volta per sempre non può essere riconosciuta e accettata se non nella fede donata dallo Spirito Santo. Secondo il senso che le dà la Sacra Scrittura, tale fede è l'abbandono personale dell'uomo a Dio che si rivela; comporta l'adesione alle parole e ai fatti della Rivelazione, come pure la loro professione, in particolare l'adesione a Cristo e alla vita nuova che egli ha donato; è di conseguenza insieme l'atto con cui l'uomo crede ( fides qua ) e il contenuto in cui crede ( fides quae creditur ); è « fondamento delle cose che si sperano e prova di quelle che non si vedono ». ( Eb 11,1 ) Trasmessa una volta per tutte dagli Apostoli, la fede è fedelmente custodita nella Chiesa come depositum fidei. ( 1 Tm 6,20; 2 Tm 1,14 ) La Chiesa è infatti il Corpo di Cristo animato dallo Spirito Santo e ha ricevuto da Gesù Cristo la promessa che lo Spirito Santo la guiderà sempre di nuovo verso la verità tutt'intera. ( Gv 16,13 ) « Il Vangelo della verità » ( Ef 1,13 ) è stato affidato alla Chiesa come popolo di Dio in cammino. Con la sua vita, con la sua confessione della fede e con la liturgia che celebra, essa deve testimoniare la fede di fronte al mondo. Possiamo indicarla come « colonna e supporto della verità ». ( 1 Tm 3,15 ) Certo, ora conosciamo la verità soltanto come in uno specchio e in maniera parziale; solo nel compimento escatologico vedremo Dio faccia a faccia, quale Egli è. ( 1 Cor 13,12; 1 Gv 3,2 ) In questo modo, la nostra conoscenza della verità è posta nella tensione tra il « già » e il « non ancora ». 2. Prospettive ermeneutiche nella Scrittura La maniera con cui si deve interpretare il messaggio biblico risulta dalla sua stessa natura. Poiché la verità rivelata, quale è insegnata dalla Sacra Scrittura, è la verità di Dio che si mostra fedele attraverso la storia ( emeth ): in ultima analisi, è la comunicazione che di se stesso fa il Padre in Gesù Cristo, in vista di un'azione permanente nello Spirito Santo. Parole, azioni e la vita tutta della Chiesa ne sono testimoni. Perciò, per un cristiano, Gesù Cristo è la Parola unica, presente nella molteplicità delle parole; tutte le affermazioni dell'Antico come del Nuovo Testamento devono essere comprese in rapporto a Lui e come tendenti verso di Lui. Ecco perché esse formano un'unità. Così bisogna interpretare l'Antico Testamento alla luce del suo compimento neotestamentario, mentre il Nuovo Testamento va compreso alla luce delle promesse veterotestamentarie. Tanto l'Antico come il Nuovo Testamento vanno spiegati e resi presenti nello Spirito Santo che è presente nella Chiesa. Ognuno deve contribuire, con il dono della grazia, ricevuta « secondo la misura di fede che Dio gli ha dato », all'edificazione del Corpo di Cristo, la Chiesa. ( Rm 12,48; 1 Cor 12,4s ) Perciò già la Seconda Lettera di Pietro ( 2 Pt 1,20 ) mette in guardia contro un'interpretazione arbitraria della Sacra Scrittura. La verità rivelata vuole segnare con il suo sigillo la vita degli uomini che l'hanno accolta. Secondo san Paolo, il modo indicativo dell'esistenza nel Cristo e nello Spirito deve diventare un modo imperativo di passare ora alla vita nuova. L'importante è dimorare nella verità, e non solo coglierla sempre meglio sul piano intellettuale, ma farla penetrare più profondamente nella vita, « farla ». ( Gv 3,21 ) Così, la verità si mostra come l'assolutamente certo, e come il fondamento che sorregge l'esistenza umana. Più di ogni altra cosa, la liturgia, ma anche la preghiera, sono un luogo ermeneutico importante per la conoscenza e la mediazione della verità. 3. Le formule bibliche di confessione di fede Quanto abbiamo detto sinora non ha minore valore delle « omologie », delle formule di confessione di fede, che si trovano già nelle parti più antiche del Nuovo Testamento. Queste ultime confessano la fede in Gesù come Cristo, ( Mt 16,16par ) Kyrios ( Rm 10,9; 1 Cor 12,3; Fil 2,11 ) e Figlio di Dio. ( Mt 14,33; Mt 16,16; Gv 1,34.48; 1 Gv 4,15; 1 Gv 5,5 ) Esse attestano la fede nella morte e nella risurrezione di Gesù; ( 1 Cor 15,35; 1 Ts 4,14; Rm 8,34; Rm 14,9 ) proclamano la sua missione ela sua nascita, ( Gal 4,4 ) il sacrificio della sua vita ( Rm 4,25; Rm 8,32; Gal 2,20 ) come la sua parusia. ( 1 Tm 1,10; Fil 3,20ss ) La divinità di Gesù, la sua incarnazione ed esaltazione sono celebrate in inni. ( Fil 2,6-11; Col 1,15-20; 1 Tm 3,16; Gv 1,1-18 ) Da tutto ciò deriva che la fede delle comunità neotestamentarie si fonda non sulla testimonianza privata di alcuni individui, ma su una confessione di fede comune a tutti, pubblica e vincolante. Incontriamo tale confessione di fede nel Nuovo Testamento, ma senza che essa vi rivesta una monotona uniformità. La verità unica si esprime piuttosto in una grande e multiforme ricchezza di formule. Vi sono anzi, nel Nuovo Testamento, formule che manifestano un progresso nella conoscenza della verità: le verità di cui è testimone possono infatti completarsi reciprocamente e approfondirsi, ma mai contraddirsi. Si tratta sempre dell'unico mistero della salvezza di Dio in Gesù Cristo, che si è espresso sotto molteplici forme e sottodiversi aspetti. 2. Dichiarazioni e prassi del Magistero della Chiesa 1. Le dichiarazioni del Magistero circa l'interpretazione dei dogmi Il cammino storico percorso dal primo Concilio di Nicea ( 325 ) sino al Costantinopolitano I ( 381 ), Efeso ( 431 ), Calcedonia ( 451 ), Costantinopolitano II ( 553 ) e ai Concili successivi della Chiesa antica, mostra che la storia dei dogmi è il processo di un'interpretazione ininterrotta e viva della Tradizione. Il secondo Concilio di Nicea riassumeva la dottrina illuminante dei Padri, secondo la quale il Vangelo è trasmesso nella Paradosis della Chiesa cattolica guidata dallo Spirito Santo. Il Concilio di Trento ( 1545-1563 ) ha difeso tale dottrina; esso mette in guardia i credenti contro un'interpretazione privata della Sacra Scrittura e aggiunge che spetta alla Chiesa giudicare il senso autentico della Scrittura e la sua interpretazione. Il Concilio Vaticano I ( 1869-1870 ) ha riaffermato la dottrina di Trento. Andando oltre, ha riconosciuto uno sviluppo dei dogmi, purché esso si compia nel medesimo senso e secondo lo stesso significato ( eodem sensu eademque sententia ). In tal modo, il Concilio insegna che, per ciò che riguarda i dogmi, si deve mantenere il senso definito una volta per tutte dalla Chiesa. Per questa ragione, esso condanna chiunque si discosti da tale senso con il pretesto e in nome di una conoscenza superiore, o del progresso delle scienze, o di una pretesa interpretazione più profonda della formulazione dogmatica, o di un progresso scientifico. Tale irreversibilità e irriformabilità sono implicite nell'infallibilità della Chiesa guidata dallo Spirito Santo, particolarmente quella che il Papa esercita in materia di fede e di costumi. Essa trova il suo fondamento nel fatto che, nello Spirito Santo, la Chiesa partecipa alla veracità di Dio che non può né errare né ingannare ( qui nec falli necfallere potest ). Il Magistero della Chiesa ha difeso questa dottrina contro l'interpretazione meramente simbolica e pragmatica dei dogmi che è quella dei modernisti. Nell'enciclica Humani generis Pio XII ha dato un nuovo avvertimento contro un relativismo dogmatico che abbandona il modo di parlare recepito nella Chiesa per esprimere il contenuto della fede in termini che mutano lungo il corso della storia. In maniera analoga, Paolo VI, nell'enciclica Mysterium Fidei ( 1965 ), ha insistito sul fatto che si devono conservare le espressioni esatte dei dogmi fissate dalla Tradizione. 2. La dottrina del Concilio Vaticano II Il Concilio Vaticano II ha presentato la dottrina tradizionale della Chiesa in un contesto più ampio e, così, ha valorizzato ugualmente la dimensione storica dei dogmi. Esso insegna che il popolo di Dio nella sua totalità partecipa all'ufficio profetico di Cristo e che, con l'aiuto dello Spirito Santo, vi è nella Chiesa un progresso nella comprensione della tradizione apostolica. Nel quadro della missione e della responsabilità comune a tutti, il Concilio ha fermamente affermato tanto la dottrina di un Magistero autentico spettante solo ai vescovi37 quanto quella dell'infallibilità della Chiesa. Ma il Concilio vede i vescovi soprattutto come gli araldi del Vangelo e subordina il loro servizio di dottori al loro servizio di evangelizzazione. Questa valorizzazione del carattere pastorale del Magistero ha richiamato l'attenzione sulla distinzione tra il deposito immutabile della fede, cioè le verità della fede da un lato, e la loro espressione dall'altro. Ciò significa che l'insegnamento della Chiesa, conservando sempre lo stesso senso e lo stesso contenuto, dev'essere trasmesso agli uomini in una maniera viva e corrispondente alle esigenze del loro tempo. La dichiarazione Mysterium Ecclesiae ( 1973 ) si è servita di tale distinzione e l'ha precisata e approfondita contro la falsa interpretazione propria del relativismo dogmatico. Certo, i dogmi sono storici, nel senso che il loro significato « dipende in parte dalla forza espressiva che la lingua adoperata possedeva in un dato momento della storia e in certe circostanze ». Definizioni successive conservano e confermano quelle precedenti, ma le spiegano pure e, il più delle volte, in un confronto con problemi nuovi e con errori le rendono vive e fruttuose nella Chiesa. Ciò non significa che si possa ridurre l'infallibilità a un immobilismo fondamentale nella verità. Le formule dogmatiche non definiscono la verità in una maniera indeterminata, mutevole o approssimativa, e meno ancora la trasformano o la deformano. Occorre conservare la verità in una forma ben determinata. Qui è il senso storico delle formulazioni dogmatiche che fa autorità. Nella lettera apostolica Ecclesia Dei ( 1988 ), il papa Giovanni Paolo II ha recentemente riaffermato con forza questo senso di una Tradizione viva. Ma il rapporto tra la formulazione e il contenuto dei dogmi necessita di chiarificazione ulteriore. 3. Note teologiche Il fatto che la Tradizione sia una realtà veramente viva spiega perché incontriamo un numero considerevole di dichiarazioni del Magistero, la cui importanza è maggiore o minore e il cui carattere obbligatorio può variare di grado. Per valutare con esattezza e interpretare tali dichiarazioni, la teologia ha elaborato la dottrina delle note teologiche, che è stata parzialmente ripresa dal Magistero della Chiesa. In questi ultimi tempi, purtroppo, essa è più o meno caduta nell'oblio; ma è utile per l'interpretazione dei dogmi e dovrebbe quindi essere rinnovata e ulteriormente sviluppata. Secondo la dottrina della Chiesa, « per fede divina e cattolica devono credersi tutte quelle cose che nella parola di Dio scritta e tramandata sono contenute e dalla Chiesa, sia con giudizio solenne sia con magistero ordinario e universale, sono proposte, perché siano credute, come divinamente rivelate ». Così appartengono a questo credendum le verità di fede ( in senso stretto ) come anche le verità riguardanti la vita morale che attesta la Rivelazione. Verità naturali e dottrine morali naturali possono indirettamente appartenere alla dottrina vincolante della Chiesa, quando hanno un nesso necessario e intrinseco con le verità di fede. Tuttavia, il Vaticano II fa chiaramente una distinzione tra la dottrina della fede e i principi di ordine morale naturale, in quanto per la prima, il Concilio parla « di annunciare » e « d'insegnare con autorità », ma per i secondi, « di spiegare con autorità » e di « confermare ». Essendo l'insegnamento del Magistero un tutto vivo, l'accordo dei credenti non può limitarsi a verità formalmente definite. Altre affermazioni del Magistero, che, senza essere definizioni definitive, emanate dal Papa, dalla Congregazione per la Dottrina della Fede o da vescovi, vanno ugualmente accolte, in gradi differenti, con un'obbedienza religiosa ( religiosum obsequium ). Tali affermazioni appartengono al Magistero autentico quando l'intenzione magisteriale vi è dichiarata; essa si palesa « specialmente sia dalla natura dei documenti, sia dal frequente riproporre la stessa dottrina, sia dal tenore dell'espressione verbale ». Il senso esatto di questa dichiarazione conciliare esige ancora una spiegazione teologica più definita. Sarebbe auspicabile anzitutto che, per evitare che la sua autorità si affievolisca inutilmente, lo stesso Magistero della Chiesa indicasse chiaramente ogni volta la modalità e il grado di obbligatorietà delle proprie dichiarazioni. 4. La prassi del Magistero La prassi del Magistero ecclesiastico deve tendere ad accordarsi con il suo carattere pastorale. Il suo compito, che è di attestare autenticamente la verità di Gesù Cristo, si colloca all'interno della missione più ampia della cura animarum. Conformemente alla sua natura pastorale, essa affronta con prudenza e discernimento problemi nuovi di ordine sociale, politico ed ecclesiale. Negli ultimi secoli si può riconoscere, da parte del Magistero della Chiesa, l'interpretazione di certe prese di posizioni anteriori di fronte a nuovi sviluppi, in particolare quando un dato complesso è stato sufficientemente analizzato e chiarito. Ciò si verifica nell'atteggiamento circa i problemi sociali in relazione con le acquisizioni delle scienze moderne della natura, circa i diritti umani e specialmente la libertà religiosa, circa il metodo storico-critico, circa il movimento ecumenico, la stima per le Chiese orientali e varie richieste fondamentali dei Riformatori ecc. In una società caratterizzata dal pluralismo e in una comunità ecclesiale dalle differenziazioni più accentuate, il Magistero compie la propria missione ricorrendo sempre più all'argomentazione. In tale situazione, l'eredità della fede può essere trasmessa solo quando il Magistero e le altre persone incaricate di una responsabilità pastorale e teologica sono disposti a un lavoro in comune di ordine argomentativo. Tenuto conto delle ricerche scientifiche e tecniche degli ultimi tempi, sembra opportuno evitare prese di posizione troppo precipitose, e viceversa favorire decisioni differenziate e indicanti la direzione da seguire, specialmente in vista di decisioni definitive del Magistero. 3. Riflessioni teologiche sistematiche fondamentali 1. Il dogma all'interno della Paradosis della Chiesa La proclamazione fondamentale della fede cristiana consiste nella confessione che il Logos, il quale, per anticipazione e in maniera frammentaria, brilla in ogni realtà, e la cui venuta fu promessa concretamente nell'Antico Testamento, è apparso sotto una figura storica e concreta, in tutta la sua pienezza, in Gesù Cristo. ( Gv 1,3.14 ) Nella pienezza dei tempi, ( Gal 4,4 ), la pienezza della divinità abita corporalmente in Gesù Cristo. ( Col 2,9 ) In lui si trovano nascosti tutti i tesori della sapienza e della conoscenza. ( Col 2,3 ) Egli è in persona la via, la verità e la vita. ( Gv 14,6 ) La presenza dell'eterno in una figura concreta e storica appartiene di conseguenza alla struttura essenziale del mistero cristiano della salvezza. In lui l'apertura indeterminata dell'uomo è determinata concretamente da Dio. Tale determinazione concreta e non equivoca dev'essere ugualmente determinante per la confessione della nostra fede in Gesù Cristo. Il cristianesimo è perciò, per così dire nella stessa sua natura, dogmatico. La verità di Dio non sarebbe, con Gesù Cristo, venuta escatologicamente e definitivamente nella storia se, nello Spirito Santo che ci ricorda ogni volta nuovamente Gesù Cristo e che ci conduce verso la verità tutta intera, ( Gv 14,26; Gv 16,13 ) non fosse stata ricevuta e confessata pubblicamente dalla comunità dei fedeli. In Maria e nel « Sì » senza riserve nei confronti della volontà salvifica di Dio che lei ha pronunciato per tutto il genere umano, la Chiesa vede l'archetipo del suo proprio « Sì » nella fede. Nello Spirito Santo, la Chiesa è il Corpo di Cristo, nel quale e mediante il quale la sapienza multiforme di Dio è annunciata a tutti gli uomini. ( Ef 3,10s; cf. Rm 16,25s; Col 1,26s ) Nella sua Tradizione, la comunicazione che il Padre fa di sé mediante il Logos nello Spirito Santo rimane sempre presente nella Chiesa sotto molteplici forme: nella sua parola e nelle sue opere, nella sua liturgia e nella sua preghiera come pure in tutta la sua vita. Le definizioni dogmatiche sono solo un elemento all'interno di tale Tradizione molto più comprensiva. Così « possediamo » la realtà e la verità del Cristo solo attraverso la mediazione della testimonianza della Chiesa, sorretta e animata dallo Spirito Santo. Senza la Chiesa non « abbiamo » Cristo, Vangelo e Sacra Scrittura. Un cristianesimo a-dogmatico che prescindesse da questa mediazione ecclesiale non sarebbe che esteriorità. La Paradosis della Chiesa fa sue l'apertura e l'universalità del linguaggio umano, delle sue immagini e dei suoi concetti; conferisce ad essi il loro significato definitivo purificandoli e trasformandoli. Alla realtà della nuova creazione corrisponde dunque un linguaggio nuovo, mediante il quale tutti i popoli s'intendono e nel quale si prepara l'unità escatologica della nuova umanità. Ciò è reso possibile perché la Paradosis s'incarna nei simboli e nelle lingue di tutti i popoli, purifica e trasforma le loro ricchezze per inserirle nell'economia dell'unico mistero della salvezza. ( Ef 3,9 ) In questo processo storico, la Chiesa non aggiunge nulla di nuovo ( non nova ) al Vangelo, ma annuncia la novità di Cristo in una maniera ogni volta nuova ( noviter ). Essa trae dal suo tesoro ogni volta nuovi elementi sempre in armonia con quelli antichi. La continuità all'interno di questo processo della Paradosis viva ha infine il suo fondamento nel fatto che la Chiesa è il soggetto della fede trascendente lo spazio e il tempo. Per tale ragione, la Chiesa in ogni tempo deve tener presente la storia della sua fede, nella sua memoria animata dallo Spirito Santo; deve renderla viva e feconda in una maniera profetica per il presente e per il futuro. 2. La dottrina della Chiesa ( dogmi in senso più ampio ) All'interno del tutto che è la Paradosis ecclesiale, per dogma in senso più ampio s'intende la testimonianza dottrinale e vincolante della Chiesa alla verità salvifica di Dio promessa nell'Antico Testamento e rivelata in maniera definitiva e nella sua pienezza da Gesù Cristo; essa rimane presente nella Chiesa mediante lo Spirito Santo. Non c'è alcun dubbio che, sin dalle origini del Nuovo Testamento, questa componente dottrinale appartenga alla predicazione della fede. Gesù stesso si è presentato come un dottore ( Rabbi ). Del resto è così che si sono rivolti a lui. Insegnava egli stesso e inviava i propri discepoli a insegnare. ( Mt 28,20 ) Nelle prime comunità esistevano dottori propriamente detti. ( Rm 12,7; 1 Cor 12,28; Ef 4,11 ) Notiamo che un peculiare tipo d'insegnamento sembra aver accompagnato la Paradosis relativa al battesimo. ( Rm 6,17 ) Questa importanza della dottrina risalta ancora più chiaramente negli scritti apostolici piùtardivi. ( 1 Tm 1,10; 2 Tm 4,2s; Tt 1,9 etc ) L'esposizione magisteriale della verità rivelata è una testimonianza della parola di Dio nella e mediante la parola dell'uomo. Essa partecipa del carattere definitivo ed escatologico della verità divina apparsa in Gesù Cristo, come della storicità e del carattere limitato di ogni linguaggio umano. La dottrina della Chiesa può essere compresa e interpretata correttamente solo nella fede. Ne consegue che: - I dogmi vanno interpretati come un verbum rememorativum. Vanno compresi come un'anamnesi, un'interpretazione rievocativa dei magnolia Dei, che le testimonianze della Rivelazione annunciano. Per tale motivo, vanno compresi partendo dalla Scrittura e dalla Tradizione, e spiegati mediante esse. Vanno interpretati nella totalità dell'Antico e del Nuovo Testamento secondo l'analogia della fede. - I dogmi vanno compresi come un verbum demonstrativum. Non parlano solo delle opere salvifiche del passato, ma vogliono esprimere la salvezza in maniera effettiva qui e ora. Vogliono essere luce e vita. Vanno interpretati perciò come verità salvifica e trasmessi in maniera viva, attraente e stimolante agli uomini di ogni epoca. - I dogmi vanno interpretati come un verbum prognosticum. Come testimonianza della verità e della realtà della salvezza escatologica, i dogmi sono affermazioni escatologico-anticipative. Devono suscitare la speranza e di conseguenza essere spiegati in funzione del fine ultimo, del compimento dell'uomo e del mondo e compresi come dossologia. 3. Dogmi nel senso stretto del termine L'insegnamento magisteriale della verità rivelata può avvenire in forme diverse e più o meno espressamente, e secondo gradi variabili di obbligazione. In senso stretto ( senso che è stato elaborato solamente in epoca moderna ), un dogma è una dottrina nella quale la Chiesa propone in maniera definitiva una verità rivelata, in una forma che obbliga il popolo cristiano nella sua totalità, in modo che la sua negazione è respinta come un'eresia e stigmatizzata con anatema. Nel dogma in senso stretto convergono una prima componente, dottrinale, e una seconda, che riguarda la disciplina. Simili affermazioni dottrinali di diritto divino hanno un fondamento incontestabile nella Sacra Scrittura, in particolare nel potere di legare e, di sciogliere che Gesù ha conferito alla Chiesa e che ha forza di legge anche in cielo, cioè di fronte a Dio. ( Mt 16,19; Mt 18,18 ) Persino l'anatema ha un fondamento nel Nuovo Testamento. ( 1 Cor 16,22; Gal 1,8s; cf. 1 Cor 5,2-5; 2 Gv 10 etc ) Questa insistenza insieme dottrinale e giuridica, posta su di una sola proposizione, corrisponde al carattere concreto della fede cristiana e della decisione che essa implica. Ma comporta ugualmente il pericolo di un positivismo come pure di un minimalismo dogmatico. Per evitare questi due pericoli, è necessaria una duplice integrazione dei dogmi: - L'integrazione dell'insieme dei dogmi nella totalità della dottrina e della vita ecclesiali. Poiché « la Chiesa, nella sua dottrina, nella sua vita e nel suo culto, perpetua e trasmette a tutte le generazioni tutto ciò che essa è, tutto ciò che essa crede ». Di conseguenza i dogmi vanno interpretati nel contesto generale della vita e della dottrina della Chiesa. - L'integrazione di ogni dogma nell'insieme di tutti i dogmi. Essi non sono comprensibili se non partendo dal loro ambiente intrinseco ( nexus mysteriorum ) e nella loro struttura d'insieme. Al riguardo occorre prestare un'attenzione particolare all'ordine o alla « gerarchia delle verità » nella dottrina cattolica. Questa dipende dai modi diversi secondo cui i dogmi sono legati al fondamento cristologico della fede cristiana. Certo, tutte le verità rivelate si devono ritenere di una stessa fede divina, ma il loro significato e il loro peso si differenziano in funzione del loro rapporto al mistero di Cristo. 4. Il significato teologico dei dogmi In ultima analisi, ogni rivelazione è la rivelazione e la comunicazione che Dio Padre fa di sé mediante il Figlio nello Spirito Santo, affinché entriamo in comunione con lui. Per tale ragione Dio è l'unico oggetto, che tutto comprende, della fede e della teologia ( san Tommaso d'Aquino ). Di conseguenza è esatto dire che actus credendi non terminatur ad enuntiabile, sedad rem. In accordo con ciò, la tradizione teologica del Medioevo stabilisce a proposito dell'articolo di fede: articulus fidei est perceptio divinae veritatis tendens in ipsam. Ciò significa che l'articolo di fede è un'apprensione reale e vera della verità divina; è una mediazione dottrinale che contiene la verità di cui è testimone. Proprio perché è vero, esso rimanda, oltre se stesso, al mistero della verità divina. Ne consegue che l'interpretazione dei dogmi è, come ogni interpretazione, un cammino che ci conduce dalla parola esteriore al cuore del suo significato e, infine, all'unica ed eterna Parola di Dio. Perciò l'interpretazione dei dogmi non procede da una parola e da una formula particolare ad altri termini; procede piuttosto dalle parole, dalle immagini e dai concetti alla verità della cosa che essi contengono. Ne consegue che alla fine ogni conoscenza della fede è un'anticipazione della visione eterna di Dio faccia a faccia. Da questo significato teologale dei dogmi deriva quindi che: - Come qualsiasi proposizione umana relativa a Dio, i dogmi vanno compresi analogicamente, vale a dire che la somiglianza delle creature con il Creatore non è mai disgiunta da una dissomiglianza maggiore. L'analogia è una barriera sia contro una comprensione oggettivante e cosificata della fede e dei dogmi, sia contro una teologia negativa eccessiva, che comprende i dogmi come mere « cifre » di una trascendenza che rimane in ultima istanza inafferrabile e che quindi ignora la natura storica e concreta del mistero cristiano della salvezza. - Il carattere analogico dei dogmi non dev'essere erroneamente confuso con una concezione meramente simbolica, che consideri il dogma come un'oggettivazione posteriore sia di un'esperienza religiosa esistenziale originaria, sia di una certa prassi sociale o ecclesiale. I dogmi vanno piuttosto compresi come una forma dottrinale che ci viene rivolta con valore obbligante nei confronti della verità salvifica di Dio. Essi sono la forma dottrinale il cui contenuto è costituito dalla parola e dalla verità di Dio stesso; vanno quindi interpretati anzitutto teologicamente. - Secondo la dottrina dei Padri, l'interpretazione teologica dei dogmi non è solo un processo meramente intellettuale. Più profondamente ancora è un evento spirituale, vale a dire portato dallo Spirito di verità, che non è possibile senza una purificazione preliminare degli « occhi del cuore ». Essa presuppone la luce della fede che Dio ci dona, una partecipazione alle cose divine e un'esperienza spirituale della realtà alla quale crediamo. In noi ciò è opera dello Spirito Santo. Soprattutto in questo senso più profondo l'interpretazione dei dogmi è un problema di teoria e di prassi; è indissolubilmente legata con la vita di comunione con Gesù Cristo nella Chiesa. 3. Criteri d'interpretazione 1. Dogma e Sacra Scrittura 1. Il significato fondamentale della Sacra Scrittura Gli scritti dell'Antico e del Nuovo Testamento sono stati composti sotto la mozione dello Spirito Santo, al fine di essere « utili per insegnare, convincere, correggere e formare alla giustizia ». ( 2 Tm 3,16 ) Tali scritti sono riuniti nel Canone. Con il suo Magistero, la Chiesa ha riconosciuto in questo Canone la testimonianza apostolica della fede, l'espressione autentica e certa della fede della Chiesa delle origini, e non cessa di farlo. « La Chiesa ha sempre venerato le divine Scritture come ha fatto per il corpo stesso del Signore, non mancando mai, soprattutto nella sacra liturgia, di nutrirsi del pane di vita dalla mensa sia della parola di Dio sia del corpo di Cristo, e di porgerlo ai fedeli ». È necessario dunque che tutta la predicazione ecclesiale « sia nutrita e regolata dalla Sacra Scrittura ». Lo studio della Sacra Scrittura dev'essere nello stesso tempo l'anima della teologia e di ogni predicazione. La testimonianza della Sacra Scrittura deve quindi essere anche il punto di partenza e il fondamento della comprensione dei dogmi. 2. Crisi e risultati positivi dell'esegesi moderna Il conflitto tra l'esegesi e la dogmatica è un fenomeno dei tempi moderni. Dopo l'Illuminismo, gli strumenti della critica storica sono stati sviluppati anche allo scopo di favorire l'emancipazione nei confronti dell'autorità dogmatica ed ecclesiastica. Tale critica si è fatta sempre più radicale. Presto non si è trattato più solo del conflitto tra la Scrittura e il dogma: si cominciò a sottoporre il testo stesso della Scrittura alla critica per rilevare i cosiddetti « ritocchi dogmatici » nella stessa Scrittura. I metodi critici sociopolitici e psicologici hanno proseguito in tale linea e hanno esaminato il testo per scoprirvi antagonismi sociopolitici o dati psichici repressi. Quello che è comune a queste varie tendenze della critica è che esse sospettano il dogma della Chiesa e la stessa Scrittura di celare una realtà originaria che può essere colta solo attraverso l'analisi critica. Certo, non si devono trascurare la preoccupazione positiva e il risultato della critica della tradizione peculiari all'Illuminismo. La critica storica della Scrittura ha potuto mettere in evidenza che la stessa Bibbia è ecclesiale; essa è radicata nella Paradosis della Chiesa primitiva, e la fissazione delle sue frontiere canoniche è un processo ecclesiale di decisione. Così l'esegesi ci riconduce al dogma e alla Tradizione. Ma la critica storica non è giunta alla conclusione che Gesù Cristo stesso sia assolutamente « a-dogmatico ». Persino agli occhi della critica storica più rigorosa, permane un nucleo storico del Gesù terrestre, significativamente incontestabile. A questo nucleo appartiene ciò che si manifesta nelle parole e nelle azioni di Gesù, cioè la sua affermazione riguardante la sua missione, la sua persona, il suo rapporto con Dio suo Abba. Tale pretesa contiene implicitamente l'evoluzione dogmatica posteriore già presente nel Nuovo Testamento e costituisce il nucleo di tutte le definizioni dogmatiche. La forma primitiva del dogma cristiano è di conseguenza la confessione, centro stesso del Nuovo Testamento, che Gesù Cristo è il Figlio di Dio. ( Mt 16,16 ) 3. La dottrina del Concilio Vaticano II sull'interpretazione della Scrittura Il Concilio Vaticano II ha ripreso le preoccupazioni positive della critica storica moderna. Ha sottolineato che, nell'interpretazione della Sacra Scrittura, si tratta di ricercare con cura « ciò che gli agiografi in realtà hanno inteso significare e che cosa a Dio è piaciuto manifestare con le loro parole ». Per scoprirlo, occorre conoscere la situazione storica come pure i modi d'intendere, di esprimersi e di raccontare dell'epoca. L'interpretazione storico-critica dev'essere inserita come un contributo nell'interpretazione teologica ed ecclesiale. « Poiché la Sacra Scrittura dev'essere letta e interpretata con l'aiuto dello stesso Spirito mediante il quale è stata scritta, [ … ] si deve badare con non minor diligenza al contenuto e all'unità di tutta la Scrittura ». L'interpretazione teologica della Scrittura deve partire da Gesù Cristo che ne è il centro. Egli è l'unico interprete ( exegesato ) del Padre. ( Gv 1,18 ) Sin dall'inizio, egli fa partecipi di tale interpretazione i discepoli, introducendoli nel suo stile di vita, affida loro il suo messaggio e li dota del suo potere e del suo Spirito che li condurrà verso la verità tutta intera. ( Gv 16,13 ) Nella forza di questo Spirito gli Apostoli e i loro discepoli hanno riportato e trasmesso la testimonianza di Gesù. L'interpretazione della testimonianza di Gesù è quindi legata indissolubilmente all'azione del suo Spirito nella continuità della sua testimonianza ( successione apostolica ) e al senso della fede del popolo di Dio. Si tratta dunque, nel dogma della Chiesa, dell'interpretazione corretta della Scrittura. In questa interpretazione dogmatica e vincolante della Scrittura, il Magistero non è al di sopra della parola di Dio, ma piuttosto al suo servizio. Il Magistero non giudica la parola di Dio, ma l'esattezza dell'interpretazione. Un'epoca non può ritornare al di qua di ciò che è stato formulato nel dogma dallo Spirito Santo come chiave di lettura della Scrittura. Ciò non esclude che in un'epoca posteriore appaiano punti di vista nuovi e nuove formulazioni. Infine, il giudizio della Chiesa in materia di fede è continuamente approfondito grazie al lavoro preparatorio degli esegeti e alla loro ricerca attenta a ciò che la Sacra Scrittura intendeva esprimere. 4. Il cristocentrismo della Scrittura come criterio Nonostante tutte le acquisizioni dei tempi moderni e le trasformazioni radicali di ordine spirituale conseguenti all'Illuminismo, rimane che Cristo è la rivelazione definitiva di Dio e che non sono da attendersi né tempi nuovi, nel senso di una nuova era di salvezza che supererebbe quella di Cristo, né un altro Vangelo. Il tempo che va sino al ritorno di Cristo rimane essenzialmente legato all'« una-volta-per-tutte » ( ephapax ) storica di Gesù Cristo, come anche alla tradizione della Scrittura e della Paradosis ecclesiale che rendono testimonianza di lui. La signoria presente di Gesù Cristo, benché ancora nascosta, è la misura e il giudizio con i quali, sin d'ora, si determinano verità e menzogna. Ancora in rapporto a Gesù Cristo si fa anche la separazione tra ciò che, nei nuovi metodi d'interpretazione della Scrittura, svela il Cristo autentico e ciò che lo misconosce o, più ancora, lo falsifica. Molte prospettive aperte dal metodo storico-critico o da altri metodi più recenti ( storia comparata delle religioni, strutturalismo, semiotica, storia sociale, psicologia del profondo ) possono contribuire a fare meglio risaltare la figura di Cristo per gli uomini del nostro tempo. Tuttavia tutti questi metodi possono riuscire fruttuosi solo nella misura in cui vengono adoperati nell'obbedienza della fede e non pretendono l'autonomia. La comunione ecclesiale rimane il luogo in cui l'interpretazione della Scrittura è al riparo dal pericolo di venire travolta dalla correnti caratteristiche di questa o di quell'epoca. 2. Il dogma nella Tradizione e nella comunione della Chiesa 1. Il nesso indissolubile tra Scrittura, Tradizione e comunione della Chiesa L'unico Vangelo, che, come compimento delle promesse dell'Antico Testamento, è stato rivelato nella sua pienezza una volta per tutte da Gesù Cristo, rimane permanentemente la sorgente di ogni verità salvifica e di ogni insegnamento in materia morale. Grazie all'assistenza dello Spirito Santo, gli Apostoli e i loro discepoli l'hanno trasmesso con la loro predicazione, con il loro esempio e con le istituzioni che hanno fondato; con l'ispirazione dello stesso Spirito lo hanno anche affidato a documenti scritti. In tal modo, la Scrittura e la Tradizione costituiscono insieme l'unico deposito della fede ( depositum fidei ) che la Chiesa deve custodire fedelmente. ( 1 Tm 6,20; 2 Tm 1,14 ) Il Vangelo non è stato dunque dato alla Chiesa in lettere morte, scritte solo su pergamena; esso è scritto dallo Spirito Santo nel cuore dei fedeli. ( 2 Cor 3,3 ) Così, grazie allo Spirito Santo, il Vangelo è presente in permanenza nella comunione della Chiesa, nella sua dottrina, nella sua vita e soprattutto nella sua liturgia. La Sacra Scrittura la Tradizione e la comunione della Chiesa non sono quindi realtà tra loro isolate; esse formano un'intima unità, che trova il suo fondamento più profondo nell'invio congiunto, da parte del Padre, della sua Parola e del suo Spirito, per donarceli. Lo Spirito produce le grandi opere della salvezza: chiama e ispira i profeti che annunciano e spiegano quelle opere; suscita un popolo che le confessa nella fede, e ne dà testimonianza. Nella pienezza dei tempi, egli opera l'incarnazione della Parola eterna di Dio; ( Mt 1,20; Lc 1,35 ) con il battesimo edifica la Chiesa, Corpo di Cristo, ( 1 Cor 12,13 ) le ricorda incessantemente le parole, l'opera e la persona di Gesù Cristo, e l'introduce in tutta la verità. ( Gv 14,26; Gv 15,26; Gv 16,13s ) Con l'azione dello Spirito Santo, la parola esteriore diventa « spirito e vita » nei credenti. È Dio stesso che istruisce con la sua unzione. ( 1 Gv 2,20.27; Gv 6,45 ) Lo Spirito risveglia e nutre il sensus fidelium, vale a dire quel senso interiore con il quale, sotto la guida del Magistero, il popolo di Dio riconosce nella predicazione non solo la parola degli uomini, ma quella di Dio, che accetta e custodisce con indefettibile fedeltà. 2. L'unica Tradizione e la pluralità delle tradizioni La Tradizione ( Paradosis ) infine non è altro che la comunicazione che di se stesso fa Dio Padre mediante Gesù Cristo nello Spirito Santo, in vista di una presenza sempre nuova nella comunità della Chiesa. Sin dall'inizio questa Tradizione viva nella Chiesa assume numerose forme differenti nelle tradizioni particolari ( traditiones ). La sua ricchezza inesauribile si manifesta in una pluralità di dottrine, canti, simboli, riti, discipline e istituzioni. La Tradizione mostra anche la propria fecondità con la sua « inculturazione » nelle Chiese locali distinte, secondo le situazioni culturali di queste. Tali molteplici tradizioni in tanto sono ortodosse, in quanto testimoniano dell'unica Tradizione apostolica e la trasmettono. Il discernimento degli spiriti ( 1 Cor 12,10; 1 Ts 5,21; 1 Gv 4,1 ) fa dunque parte di quell'opera dello Spirito Santo che consiste nell'introduzione « in tutta quanta la verità ». Si tratta di distinguere la Tradizione ricevuta dal Signore ( 1 Cor 11,23 ) dalle tradizioni degli uomini. ( Col 2,8 ) La Tradizione apostolica nella Chiesa non può subire nessuna corruzione essenziale in virtù dell'assistenza permanente dello Spirito Santo che tutela la sua indefettibilità. Perciò nella Chiesa, che è la Chiesa santa ma insieme anche la Chiesa dei peccatori, avviene che s'infiltrino tradizioni umane, che sminuiscono l'unica Tradizione apostolica, o ne maggiorano certi aspetti in maniera così sproporzionata che il suo nucleo ne risulta velato. Perciò la Chiesa sente costantemente il bisogno della purificazione, della penitenza e del rinnovamento nei confronti delle tradizioniche si trovano in essa. I criteri di un tale « discernimento degli spiriti » derivano dalla natura stessa della Tradizione: - Poiché è l'unico Spirito che opera lungo tutta la storia della salvezza, nella Scrittura e nella Tradizione come in tutta la vita della Chiesa attraverso i secoli, un criterio fondamentale è la coerenza intrinseca della Tradizione. Tale coerenza è assicurata dal fatto che Gesù Cristo è il centro della Rivelazione. Gesù Cristo stesso è dunque il punto di unità per la Tradizione e per le sue molteplici forme; egli è criterio del discernimento e dell'interpretazione. Proprio partendo da questo centro, la Scrittura e la Tradizione, come anche le tradizioni particolari, nella loro corrispondenza e nelle loro connessioni, devono essere considerate e interpretate. - Poiché la fede ci è stata trasmessa una volta per tutte, ( Gd 3 ) la Chiesa è legata in modo permanente all'eredità degli Apostoli. Di conseguenza l'apostolicità è un criterio essenziale. La Chiesa deve rinnovarsi continuamente attraverso la memoria viva della sua origine e interpretare i dogmi alla luce di tale origine. - L'unica fede apostolica, che è stata data alla Chiesa nel suo insieme, prende forma nella diversità delle tradizioni delle Chiese locali. Un criterio essenziale è la cattolicità, vale a dire l'accordo all'interno della comunione della Chiesa. L'accordo su un punto della dottrina della fede che non è stato contestato per un lungo periodo di tempo costituisce un segno dell'apostolicità di tale dottrina. - La connessione della Tradizione con la communio ecclesiale si manifesta e si attualizza anzitutto nella celebrazione della liturgia. Perciò la lex orandi è allo stesso tempo la lex credendi. La liturgia è il luogo teologico vivente e unificante della fede. Lo è non solo nel senso superficiale che le espressioni liturgiche e le espressioni dottrinali devono corrispondersi; anche la liturgia attualizza il « mistero della fede ». La comunione al Corpo eucaristico di Cristo serve l'edificazione e la crescita del corpo ecclesiale del Signore, la comunità che è la Chiesa. ( 1 Cor 10,17 ) 3. L'interpretazione dei dogmi all'interno della comunione della Chiesa La Chiesa è il sacramento, vale a dire insieme luogo, segno e strumento della Paradosis. Essa annuncia il Vangelo delle opere salvifiche di Dio ( martyria ); trasmette la confessione della fede a coloro che battezza; ( Rm 6,17 ) confessa la propria fede al momento della frazione del pane e nella preghiera; ( leitourgia ( At 2,42 ) ) serve Gesù Cristo nei poveri, nei perseguitati, nei prigionieri, nei malati e nei moribondi. ( diakonia ( Mt 25 ) ) I dogmi sono un'espressione di questa stessa tradizione della fede nell'ordine dottrinale. Non si possono quindi isolare dal contesto della vita ecclesiale, per interpretarli come formule meramente concettuali. Il significato dei dogmi e la loro interpretazione è piuttosto soteriologico: devono tutelare la comunità ecclesiale dall'errore, guarirne le ferite ed essere a servizio della crescita nella fede viva. Il ministero della Paradosis e della sua interpretazione è stato affidato alla Chiesa nel suo insieme. In seno alla Chiesa spetta ai vescovi, che sono stabiliti nella successione apostolica, interpretare autenticamente la Tradizione della fede. In comunione con il Vescovo di Roma, al quale il ministero dell'unità è stato affidato in maniera particolare, essi hanno collegialmente il potere di definire dogmi e d'interpretarli autenticamente. Ciò può essere fatto dall'insieme dei vescovi in unione con il Papa, e dal solo Papa, capo del collegio dei vescovi. Il compito d'interpretare i dogmi nella Chiesa compete anche ai « testimoni » e ai dottori che sono in comunione con i vescovi. La testimonianza concorde dei Padri della Chiesa ( unanimis consensus Patrum ), la testimonianza di coloro che hanno subito il martirio per la fede, come quella degli altri santi canonizzati dalla Chiesa, e in particolare dei dottori della Chiesa, assumono qui un significato del tutto particolare. 4. Al servizio del consensus fidelium Un criterio essenziale per il discernimento degli spiriti è l'edificazione dell'unità del Corpo di Cristo. ( 1 Cor 12,4-11 ) Per questa ragione l'azione dello Spirito Santo nella Chiesa si manifesta anche nella « mutua recezione ». La Sacra Scrittura come la Tradizione rivelano il loro senso anzitutto quando sono realizzate e attualizzate nella liturgia. Sono pienamente recepite dalla comunità della Chiesa quando sono celebrate all'interno del « mistero della fede ». L'interpretazione dei dogmi è una forma del ministero del consensus dei fedeli, nel quale il popolo di Dio, « dai vescovi fino agli ultimi fedeli laici » ( sant'Agostino ), esprime il suo consenso generale in materia di fede e di costumi. I dogmi e la loro interpretazione devono rafforzare questo consensus dei fedeli nella confessione di « ciò che abbiamo udito dal principio ». ( 1 Gv 2,7.24 ) 3. Il dogma e la sua interpretazione attuale 1. La necessità di un'interpretazione attuale La Tradizione viva del popolo di Dio pellegrino attraverso la storia non si arresta in un punto determinato di tale storia; giunge al tempo presente, che attraversa, per prolungarsi nel futuro. La definizione di un dogma non è dunque solo il termine di uno sviluppo, ma sempre anche un nuovo inizio. Se una verità di fede è divenuta un dogma, s'inserisce per sempre nella Paradosis che progredisce. Alla definizione segue quindi la recezione, vale a dire l'appropriazione vitale di quel dogma nella vita comunitaria della Chiesa, e la penetrazione più profonda nella verità che attesta. Giacché il dogma non dev'essere un vestigio dei tempi passati; deve produrre frutti nella vita della Chiesa. Per tale ragione, non basta vederne unicamente il suo significato negativo o limitativo; esso va compreso nel suo senso positivo, che apre alla verità. Una simile interpretazione dei dogmi per il presente deve tener conto di due principi che, a prima vista, sembrano contraddirsi: il valore permanente della verità e l'attualità della verità. Ciò significa che non si può né rinunciare alla Tradizione o tradirla, né, sotto l'apparenza della fedeltà, trasmettere una tradizione fossilizzata. Bisogna che dalla memoria della Tradizione nasca la speranza per il presente e per il futuro. In definitiva, una definizione può essere significante per il presente solo perché e in quanto è vera. La validità permanente della verità e la sua attualità si condizionano quindi reciprocamente. Solo la verità rende liberi. ( Cf. Gv 8,32 ) 2. I principi direttivi dell'interpretazione attuale Poiché rappresenta una parte della storia della Tradizione e dei dogmi che continua, l'interpretazione attuale del dogma è guidata e specificata dagli stessi princìpi di tale storia. Ciò significa anzitutto che una simile interpretazione attualizzante non è un processo meramente intellettuale, e neppure solo esistenziale o sociale. Essa neanche consiste unicamente nella definizione più precisa dei singoli concetti, né nella rifusione o invenzione delle formule: è ispirata, sostenuta e guidata dall'azione dello Spirito Santo nella Chiesa e nel cuore di ogni cristiano. Si compie nella luce della fede; riceve il proprio impulso dai carismi e dalla testimonianza dei santi che lo Spirito di Dio dona alla sua Chiesa in una data epoca. Ugualmente in tale contesto si situano la testimonianza profetica dei movimenti spirituali e la sapienza interiore derivante dall'esperienza spirituale dei laici ripieni dello Spirito di Dio. Proprio come la Paradosis della Chiesa nella sua totalità, l'interpretazione attualizzante dei dogmi si fa nella e attraverso la vita ecclesiale nella sua totalità. Ha luogo nella predicazione e nella catechesi, nella celebrazione della liturgia, nella vita di preghiera, nella diaconia, nella testimonianza quotidiana dei cristiani e anche nell'ordine giuridico-disciplinare della Chiesa. La testimonianza profetica di cristiani o di gruppi deve trovare la propria misura in questo: essa è, e fino a che punto, in comunione con la vita di tutta la Chiesa? In altri termini, può essere ricevuta e accettata dalla Chiesa in un processo eventualmente lungo e talora persino doloroso? La fede e la comprensione viva della fede sono pure autentici atti umani, che utilizzano tutte le forze dell'uomo: la sua intelligenza, la sua volontà e la sua sensibilità. ( Cf. Mc 12,30 ) La fede deve rispondere di fronte a tutti gli uomini ( apo-logia ) della ragione della speranza ( logos ). ( Cf. 1 Pt 3,15 ) Perciò il lavoro teologico, lo studio storico delle fonti, il contributo delle scienze umane, l'ermeneutica e la linguistica, come pure la filosofia, rivestono un'importanza considerevole per l'interpretazione attuale dei dogmi. Tutte queste discipline possono stimolare la testimonianza della Chiesa e compiere un lavoro preparatorio per la sua interpretazione davanti alle istanze della ragione. Ma in questo servizio, esse hanno naturalmente il loro fondamento e la loro norma nella predicazione, nell'insegnamento e nella vita della Chiesa. 3. Valore permanente delle formule dogmatiche Il problema dell'interpretazione attuale dei dogmi si concentra nel problema del valore permanente delle formule dogmatiche. Certamente si deve distinguere il contenuto sempre valido dei dogmi dalla forma nella quale esso viene espresso. Il mistero di Cristo trascende le possibilità di espressione di ogni epoca storica e sfugge quindi a qualsiasi sistematizzazione esclusiva. ( Cf. Ef 3,8-10 ) Nell'incontro con le diverse culture e con i segni dei tempi che si succedono, lo Spirito Santo continua a rendere il mistero di Cristo presente nella sua novità. Tuttavia non si possono separare nettamente contenuto e forma di espressione. Il sistema simbolico del linguaggio non è solo un rivestimento esterno, ma in qualche modo l'incarnazione di una verità. Ciò vale, sullo sfondo dell'incarnazione della Parola eterna, in maniera particolarissima per la professione di fede della Chiesa. Questa assume ovviamente una forma concreta e formulabile che, come espressione reale-simbolica del contenuto della fede, contiene e rende presente ciò che essa indica. Perciò le sue immagini e i suoi concetti non sono intercambiabili a piacimento. Lo studio della storia dei dogmi mostra chiaramente che, in questi dogmi, la Chiesa non ha semplicemente ripreso una concettualizzazione già data. Essa ha piuttosto sottoposto concetti già esistenti, per lo più desunti dal linguaggio colto dell'ambiente, a un processo di purificazione e di trasformazione o di rielaborazione. Così, ha creato il linguaggio adatto al proprio messaggio. Si pensi, ad esempio, alla distinzione tra « sostanza » ( o natura ) e « ipostasi », e all'elaborazione del concetto di persona che, in quanto tale, non esisteva nella filosofia greca, ma che è il risultato della riflessione sulla realtà del mistero della salvezza e sul linguaggio biblico. Per un verso, il linguaggio dogmatico della Chiesa si è dunque formato nel dibattito con certi sistemi filosofici, ma non è legato in nessun modo a un determinato sistema filosofico. Nel processo di espressione verbale della fede, la Chiesa si è creata il proprio linguaggio, con il quale ha dato espressione a realtà che non erano state conosciute e percepite prima, ma che appartengono ora, proprio mediante tale espressione linguistica, alla Paradosis della Chiesa e attraverso essa all'eredità storica dell'umanità. Come comunità della fede, la Chiesa è una comunità nella parola della confessione. Perciò l'unità nelle parole fondamentali della fede fa anche parte, diacronicamente come sincronicamente, dell'unità della Chiesa. Queste parole fondamentali della fede non sono rivedibili, neppure quando ci si propone di non perdere di vista la realtà che è espressa in esse. Ma ci si deve sforzare di assimilarle sempre più e di procedere oltre nella loro spiegazione, grazie a tutta una gamma di forme diverse di evangelizzazione. In particolare, l'inculturazione del cristianesimo in altre culture può, per tale compito, fornire un'occasione o creare un obbligo. La verità rivelata rimane sempre la medesima, « non solo nella sostanza, ma altresì negli enunciati fondamentali ». 4. I criteri dell'interpretazione attuale Per il processo della Paradosis che prosegue ai nostri giorni sono validi i criteri esposti nei paragrafi precedenti. È essenziale che « l'asse cristologico » sia preservato, in modo che Gesù Cristo rimanga il punto di partenza, il centro e la misura di ogni interpretazione. Per assicurare che sia così, il criterio dell'origine, vale a dire dell'apostolicità, come pure quello della comunione ( koinonia ), cioè della cattolicità, stanno al primo posto. Oltre a questi due criteri già presi in esame, anche il « criterio antropologico » svolge un ruolo importante oggi nell'interpretazione. Con tale affermazione non si vuole ovviamente dire che l'uomo stesso, certi suoi bisogni e interessi, o persino anche le tendenze della moda, possono essere la misura della fede e dell'interpretazione dei dogmi. Ciò è già escluso dal fatto che l'uomo è per se stesso una questione non risolta, per la quale Dio solo è la risposta integrale. Solamente in Gesù Cristo il mistero dell'uomo è chiarito: in lui, l'Uomo nuovo, Dio ha pienamente rivelato l'uomo all'uomo, gli ha rivelato la sua vocazione più sublime. L'uomo non è dunque la misura, ma il punto di riferimento dell'interpretazione della fede e anche dei dogmi. Egli è anche il cammino della Chiesa nella spiegazione dei suoi dogmi. Già il Concilio Vaticano I ha insegnato che un'intelligenza più profonda dei misteri della fede è possibile, se li consideriamo nella loro analogia con la conoscenza naturale e se li vediamo in rapporto con il fine ultimo dell'uomo. Il Concilio Vaticano II parla di « segni dei tempi » che per un verso vanno interpretati partendo dalla fede, ma che per un altro verso possono anche suscitare un'intelligenza più profonda della fede trasmessa. In tal modo la Chiesa vuole chiarire, nella luce di Cristo, il mistero dell'uomo e cooperare alla ricerca di una soluzione dei problemi più urgenti della nostra epoca. 5. I sette criteri di J.H. Newman J.H. Newman ha elaborato una criteriologia dello sviluppo dei dogmi, che prepara e completa quanto abbiamo esposto. Essa può essere applicata proporzionalmente all'interpretazione dei dogmi più approfondita che li attualizza. Newman enumera sette principi, cioè i seguenti criteri: 1) Preservazione del tipo, cioè della forma fondamentale, delle proporzioni e dei rapporti tra le parti e il tutto. Quando la struttura d'insieme permane, pure il tipo è mantenuto, anche se certi concetti particolari cambiano. Ma tale struttura d'insieme può venire corrotta, anche nei casi in cui i concetti rimangono gli stessi, se essi sono inseriti in un contesto o in un sistema di coordinate totalmente diverso. 2) Continuità dei principi: le diverse dottrine ripresentano i princìpi più profondamente soggiacenti, anche se spesso potranno essere conosciuti solo più tardi. Una stessa dottrina, se è avulsa dal principio che la fonda, può essere interpretata in varie maniere e condurre a conclusioni opposte. La continuità dei princìpi è dunque un criterio che permette di distinguere uno sviluppo corretto e legittimo da un'evoluzione erronea. 3) Potere di assimilazione: un'idea viva mostra la propria forza attraverso la sua capacità di penetrare il reale, di assimilare altre idee, di stimolare il pensiero e di svilupparsi senza perdere la propria unità interiore. Un simile potere d'integrazione è un criterio di sviluppo legittimo. 4) Conseguenza logica: lo sviluppo dei dogmi è un processo vitale troppo comprensivo per essere considerato solo come una spiegazione logica e una deduzione a partire da determinate premesse. Tuttavia bisogna che le sue conclusioni siano logicamente coerenti con i dati iniziali. Inversamente, si può giudicare uno sviluppo dalle sue conseguenze e riconoscerlo dai suoi frutti come legittimo o illegittimo. 5 ) Anticipazione del futuro: tendenze, che si realizzano e giungono a conclusione piena solo più tardi, possono divenire rimarchevoli presto isolatamente e imprecisamente. Tali anticipazioni sono segni dell'accordo dello sviluppo posteriore con l'idea originaria. 6 ) Influsso preservatore del passato: uno sviluppo diventa una corruzione quando contraddice la dottrina originaria o sviluppi anteriori. Uno sviluppo autentico conserva e tutela gli sviluppi e le formulazioni che lo hanno preceduto. 7 ) Vigore duraturo: la corruzione conduce alla disintegrazione. Ciò che si corrompe non può durare a lungo. Una forza vitale è invece criterio di uno sviluppo fedele. 6. L'importanza del Magistero per l'interpretazione attuale I criteri ora elencati non sarebbero completi se tralasciassimo di ricordare la funzione del Magistero della Chiesa, al quale è stata affidata l'interpretazione autentica della parola di Dio, scritta e trasmessa dalla Tradizione, e che esercita il proprio mandato in nome di Gesù Cristo e con l'assistenza dello Spirito Santo. La sua missione non consiste solamente nel ratificare e rendere definitivo, come un « notaio » supremo, il processo d'interpretazione nella Chiesa. Deve anche stimolarlo, accompagnarlo, dirigerlo e, fino a che tale processo non abbia raggiunto un termine positivo, mediante la sua convalida dargli un'autorità oggettiva e universalmente vincolante. In tal modo il Magistero darà orientamento e certezza ai fedeli che si trovano alle prese con la confusione delle opinioni e con una interminabile disputa teologica; lo può fare in modi diversi e secondo gradi differenti di obbligazione, dalla predicazione quotidiana, dall'esortazione o incoraggiamento, sino alle dichiarazioni dottrinali autentiche o anche infallibili. « Di fronte a presentazioni della dottrina gravemente ambigue, addirittura incompatibili con la fede della Chiesa, questa ha la possibilità d'individuare l'errore e l'obbligo di rimuoverlo, fino al rigetto formale dell'eresia come rimedio estremo per tutelare la fede del popolo di Dio ». « Un cristianesimo che non potesse più dire ciò che è e ciò che non è, né attraverso dove passano le sue frontiere, non avrebbe più nulla da dire ». La funzione apostolica di colpire con l'anatema fa parte, anche oggi, dei diritti del Magistero della Chiesa; e l'esercitarlo può diventare un obbligo per esso.131 Ogni interpretazione dei dogmi deve servire a quest'unico fine: che nella Chiesa e in ogni credente « lo spirito e la vita » nascano dalla lettera dei dogmi. Nell'oggi sempre rinnovato, la speranza deve germogliare dalla memoria della Tradizione della Chiesa; nella diversità delle situazioni umane, culturali, economiche, politiche, nella pluralità delle razze, l'unità e la cattolicità della fede devono essere rafforzate e promosse come il segno e lo strumento dell'unità e della pace nel mondo. Tutto sta in questo: che gli uomini abbiano la vita eterna, « conoscendo l'unico vero Dio e suo Figlio Gesù Cristo ». ( Gv 17,3 )