Apostolorum successores Direttorio per il ministero pastorale dei Vescovi Introduzione Successori degli Apostoli ( "Apostolorum Successores" ) per istituzione divina, i Vescovi, mediante lo Spirito Santo che è loro conferito nella consacrazione episcopale, sono costituiti Pastori della Chiesa, col compito di insegnare, santificare e guidare, in comunione gerarchica col Successore di Pietro e con gli altri membri del Collegio episcopale. Il titolo di "Successore degli Apostoli" è alla radice del ministero pastorale del Vescovo e della sua missione nella Chiesa e ben definisce la figura del Vescovo e la sua missione. I Vescovi, in quanto inseriti nel Collegio episcopale, che succede al Collegio apostolico, sono intimamente uniti a Cristo Gesù, che continua a scegliere e a mandare i suoi apostoli. Il Vescovo, come successore degli Apostoli, in forza della consacrazione episcopale e mediante la comunione gerarchica, è il principio visibile e il garante dell'unità della sua Chiesa particolare. Il libro dell'Apocalisse afferma che le mura della nuova Gerusalemme "poggiano su dodici basamenti, sui quali sono i dodici nomi dei dodici Apostoli" ( Ap 21,14 ). La Costituzione dogmatica Lumen Gentium insegna: "I Vescovi per divina istituzione sono succeduti al posto degli Apostoli, quali Pastori della Chiesa, e chi li ascolta, ascolta Cristo, chi li disprezza, disprezza Cristo e Colui che ha mandato Cristo". L'essere successori degli Apostoli dà ai Vescovi la grazia e la responsabilità di assicurare alla Chiesa la nota dell'apostolicità. Affinché il Vangelo si conservasse sempre integro e vivo nella Chiesa, gli Apostoli lasciarono come successori i Vescovi, affidando ad essi il loro proprio compito di magistero. Per questo i Vescovi, lungo il susseguirsi delle generazioni, sono chiamati a custodire e a trasmettere la Sacra Scrittura ed a promuovere la Traditio, cioè l'annuncio dell'unico Vangelo e dell'unica fede, nell'integra fedeltà all'insegnamento degli Apostoli; allo stesso tempo, sono tenuti ad illuminare con la luce del Vangelo le questioni nuove che i cambiamenti delle situazioni storiche dell'umanità continuamente presentano ( cambiamenti in questioni culturali, sociali ed economiche, scientifiche e tecnologiche, ecc. ). I Vescovi, inoltre, hanno il compito di santificare e di guidare il Popolo di Dio "cum et sub Petro", in continuità con l'opera svolta dai Vescovi loro predecessori e con dinamismo missionario. Il presente Direttorio, che riprende, aggiorna e completa quello del 22 febbraio 1973, è stato elaborato dalla Congregazione per i Vescovi al fine di offrire ai "Pastori del gregge di Cristo" uno strumento utile ad un più organico ed efficace esercizio del loro complesso e difficile ministero pastorale nella Chiesa e nella società di oggi. Esso intende aiutare i Vescovi ad affrontare con umile fiducia in Dio e con coerente coraggio le sfide che l'ora presente - caratterizzata da problemi nuovi, grande progresso e repentini cambiamenti - porta con sé, in questo inizio del terzo millennio. Il Direttorio fa seguito a quella ricca tradizione che, a partire dal XVI secolo, molti autori ecclesiastici crearono, con scritti di diverso nome, quali Enchiridion, Praxis, Statuta, Ordo, Dialogi, Aphorismata, Munera, Institutiones, Officium e altri simili, per fornire ai Vescovi organici sussidi pastorali per un miglior svolgimento del loro ministero. Le fonti principali di questo Direttorio sono costituite dal Concilio Vaticano II, dai molti documenti ed insegnamenti pontifici pubblicati in questi anni e dal Codice di Diritto Canonico, promulgato nel 1983. Significativamente, il Direttorio viene pubblicato all'indomani della promulgazione dell'Esortazione apostolica post-sinodale Pastores gregis, che ha raccolto le proposte e i suggerimenti della X Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi ( anno 2001 ), la quale ha avuto come tema: "Il Vescovo ministro del Vangelo di Gesù Cristo per la speranza del mondo" e che è stata dedicata al ministero episcopale. Con tale Esortazione apostolica è stata completata la riflessione magisteriale svolta dal Santo Padre, a seguito dei Sinodi relativi, sulle varie vocazioni del Popolo di Dio nell'ambito dell'ecclesiologia di comunione delineata dal Concilio Vaticano II, che ha nel Vescovo diocesano il centro propulsore ed il segno visibile. Pertanto, il Direttorio è strettamente collegato con l'Esortazione apostolica Pastores gregis per quanto concerne i suoi fondamenti dottrinali e pastorali. Esso è stato elaborato dopo un'ampia consultazione, tenendo presenti i suggerimenti ed i voti espressi da vari Vescovi diocesani e da alcuni Vescovi emeriti. Il Direttorio, infine, ha natura fondamentalmente pastorale e pratica, con indicazioni e direttive concrete per l'attività dei Pastori, salva restando la prudente discrezionalità del singolo Vescovo nell'attuarne l'applicazione, soprattutto in considerazione delle particolari condizioni di luogo, di mentalità, di situazione sociale e di fioritura della fede. Ovviamente, quanto in esso è desunto dalla disciplina della Chiesa conserva lo stesso valore che ha nelle proprie fonti. Capitolo I Identità e missione del Vescovo nel mistero di Cristo e della Chiesa "Io sono il Buon Pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me" ( Gv 10,14 ). "Le mura della città poggiano su dodici basamenti, sopra i quali sono i dodici nomi dei dodici Apostoli dell'Agnello" ( Ap 21,14 ). I. Il Vescovo nel Mistero di Cristo 1. Identità e missione del Vescovo. Il Vescovo, nel considerare se stesso ed i suoi compiti, deve tener presente come centro che delinea la sua identità e la sua missione il mistero di Cristo e le caratteristiche che il Signore Gesù volle per la sua Chiesa, "popolo adunato nell'unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo". È infatti, alla luce del mistero di Cristo, Pastore e Vescovo delle anime ( cf. 1 Pt 2,25 ), che il Vescovo comprenderà sempre più profondamente il mistero della Chiesa, nella quale la grazia della consacrazione episcopale lo ha posto come maestro, sacerdote e pastore per guidarla con la sua stessa potestà. Vicario del "Pastore grande delle pecore" ( Eb 13,20 ), il Vescovo deve manifestare con la sua vita e con il suo ministero episcopale la paternità di Dio, la bontà, la sollecitudine, la misericordia, la dolcezza e l'autorevolezza di Cristo, che è venuto per dare la vita e per fare di tutti gli uomini una sola famiglia, riconciliata nell'amore del Padre. Il Vescovo deve manifestare anche la perenne vitalità dello Spirito Santo, che anima la Chiesa e la sostiene nell'umana debolezza. Questa indole trinitaria dell'essere e dell'agire del Vescovo ha la sua radice nella vita stessa di Cristo. Egli è il Figlio eterno ed unigenito del Padre da sempre nel suo seno ( cf. Gv 1,18 ) e l'unto di Spirito Santo, mandato nel mondo ( cf. Mt 11,27; Gv 15,26; Gv 16,13-14 ). 2. Immagini espressive del Vescovo. Alcune immagini vive del Vescovo tratte dalla Scrittura e dalla Tradizione della Chiesa, quali quella del pastore, del pescatore, del padre, del fratello, dell'amico, del portatore di conforto, del servitore, del maestro, dell'uomo forte, del sacramentum bonitatis, rimandano a Gesù Cristo e mostrano il Vescovo come uomo di fede e di discernimento, di speranza e di impegno reale, di mitezza e di comunione. Tali immagini indicano che entrare nella successione apostolica significa entrare in combattimento per il Vangelo. Tra le diverse immagini quella del pastore, con particolare eloquenza, illustra l'insieme del ministero episcopale, in quanto manifesta il suo significato, il suo fine, il suo stile, ed il suo dinamismo evangelizzatore e missionario. Cristo Buon Pastore indica al Vescovo la quotidiana fedeltà alla propria missione, la piena e serena dedizione alla Chiesa, la gioia di condurre verso il Signore il Popolo di Dio che gli viene affidato e la felicità nell'accogliere nell'unità della comunione ecclesiale tutti i figli di Dio dispersi ( cf. Mt 15,24; Mt 10,6 ). Nella contemplazione dell'icona evangelica del Buon Pastore, il Vescovo trova il senso del dono continuo di sé, ricordando che il Buon Pastore ha offerto la vita per il gregge ( cf. Gv 10,11 ) ed è venuto per servire e non per essere servito ( cf. Mt 20,28 ); inoltre vi trova la fonte del ministero pastorale per cui le tre funzioni di insegnare, santificare e governare debbono essere esercitate con i tratti caratteristici del Buon Pastore. Per svolgere, dunque, un fecondo ministero episcopale, il Vescovo è chiamato ad uniformarsi a Cristo in maniera tutta speciale nella sua vita personale e nell'esercizio del ministero apostolico, così che il "pensiero di Cristo" ( 1 Cor 2,16 ) pervada totalmente le sue idee, i suoi sentimenti e i suoi comportamenti, e la luce che promana dal volto di Cristo illumini "il governo delle anime che è l'arte delle arti". Questo impegno interiore ravviva nel Vescovo la speranza di ricevere da Cristo, che verrà a radunare e a giudicare tutte le genti come pastore universale ( cf. Mt 25,31-46 ), la "corona di gloria che non appassisce" ( 1 Pt 5,4 ). Sarà questa speranza a guidare il Vescovo lungo il suo ministero, ad illuminare le sue giornate, ad alimentare la sua spiritualità, a nutrire la sua fiducia, a sostenere la sua lotta contro il male e l'ingiustizia, nella certezza che insieme ai fratelli contemplerà l'Agnello immolato, il Pastore che conduce tutti alle fonti della vita e della beatitudine di Dio ( cf. Ap 7,17 ). II. Il Vescovo nel Mistero della Chiesa 3. La Chiesa, Corpo mistico di Cristo e Popolo di Dio. La Costituzione Dogmatica "Lumen Gentium" riporta alcune immagini che illustrano il mistero della Chiesa e ne evidenziano le note caratteristiche rivelando l'inscindibile legame che il Popolo di Dio ha con Cristo. Tra queste spiccano quella del Corpo mistico, di cui Cristo è il capo, e quella di Popolo di Dio, che raccoglie in sè tutti i figli di Dio, sia pastori che fedeli, uniti intimamente dallo stesso Battesimo. Questo popolo ha per capo Cristo, il quale è stato "messo a morte per i nostri peccati ed è stato risuscitato per la nostra giustificazione" ( Rm 4,25 ); ha per condizione la dignità e la libertà dei figli di Dio, nel cui cuore come in un tempio dimora lo Spirito Santo; ha per legge il nuovo comandamento dell'amore e per fine il Regno di Dio iniziato già sulla terra. Questa sua Chiesa, una e unica, il nostro Salvatore la diede da pascere a Pietro ( cf. Gv 21,17 ) e agli altri Apostoli affidando loro la diffusione e il governo ( cf. Mt 28,18-20 ) e la costituì per sempre colonna e sostegno della verità ( cf. 1 Tm 3,15 ). 4. Sacerdozio comune e sacerdozio ministeriale. Tutti i membri di questo popolo, che Cristo ha dotato di doni gerarchici e carismatici, costituito in una comunione di vita, di carità e di verità, insignito della dignità sacerdotale ( cf. Ap 1,6; Ap 5,9-10 ) sono stati da Lui consacrati mediante il Battesimo perché offrano sacrifici spirituali mediante tutta la loro attività, e inviati come luce del mondo e sale della terra ( cf. Mt 5,13-16 ) per proclamare le opere meravigliose di Colui che li ha chiamati dalle tenebre alla sua ammirabile luce ( cf. 1 Pt 2,4-10 ). Alcuni membri del Corpo di Cristo, tuttavia vengono consacrati, mediante il sacramento dell'Ordine, per esercitare il sacerdozio ministeriale. Il sacerdozio comune e quello ministeriale o gerarchico differiscono essenzialmente tra loro, anche se sono ordinati l'uno all'altro, poiché ciascuno di essi partecipa a titolo differente all'unico sacerdozio di Cristo. "Il sacerdozio ministeriale, con la potestà sacra con cui è investito, forma e regge il popolo sacerdotale, compie il sacrificio eucaristico 'in persona Christi' e l'offre a Dio a nome di tutto il popolo; i fedeli, in virtù del regale loro sacerdozio, concorrono all'oblazione dell'Eucaristia e lo esercitano con il ricevere i sacramenti, con la preghiera e il ringraziamento, con la testimonianza di una vita santa, con l'abnegazione e l'operosa carità". 5. Le Chiese particolari. Il Popolo di Dio non è solo una comunità di genti diverse, ma nel suo stesso interno si compone anche di diverse parti, le Chiese particolari, formate ad immagine della Chiesa universale, nelle quali e dalle quali è costituita l'una ed unica Chiesa Cattolica. La Chiesa particolare è affidata al Vescovo, che è principio e fondamento visibile di unità, ed è attraverso la sua comunione gerarchica con il capo e gli altri membri del Collegio episcopale che la Chiesa particolare si inserisce nella "plena communio ecclesiarum" dell'unica Chiesa di Cristo. Per questo, l'intero Corpo mistico di Cristo è anche un corpo di Chiese, tra le quali si genera un'ammirevole reciprocità, giacché la ricchezza di vita e di opere di ciascuna ridonda nel bene di tutta la Chiesa e all'abbondanza soprannaturale di tutto il Corpo partecipano lo stesso pastore e il suo gregge. Queste Chiese particolari sono anche "nella" e "a partire dalla" Chiesa, che in esse "si trova e opera veramente". Per questo motivo, il Successore di Pietro, Capo del Collegio episcopale, ed il Corpo dei Vescovi sono elementi propri e costitutivi di ciascuna Chiesa particolare. Il governo del Vescovo e la vita diocesana debbono manifestare la reciproca comunione con il Romano Pontefice e con il Collegio episcopale, nonché con le Chiese particolari sorelle, particolarmente con quelle che sono presenti nello stesso territorio. 6. La Chiesa Sacramento di salvezza. La Chiesa è Sacramento di salvezza in quanto, per mezzo della sua visibilità, Cristo è presente tra gli uomini e continua la sua missione, donando ai fedeli il suo Spirito Santo. Il corpo della Chiesa si distingue pertanto da tutte le società umane; infatti, non sulle capacità personali dei suoi membri essa si regge, ma sull'intima unione con Cristo, da cui riceve e comunica agli uomini la vita e l'energia. La Chiesa non solo significa l'intima unione con Dio e l'unità di tutto il genere umano, ma ne è segno efficace e per questo è sacramento di salvezza. 7. La Chiesa comunione e missione. In pari tempo la Chiesa è comunione. Le immagini della Chiesa e le note essenziali che la definiscono rivelano che essa nella sua dimensione più intima, è un mistero di comunione, innanzitutto nella Trinità, perché come insegna il Concilio Vaticano II "i fedeli, uniti al Vescovo, hanno accesso a Dio Padre per mezzo del Figlio, Verbo incarnato, morto e glorificato, nell'effusione dello Spirito Santo, ed entrano in comunione con la Santissima Trinità". La comunione sta nel cuore dell'autoconoscenza della Chiesa ed è il legame che la esprime come realtà umana, come comunità dei Santi e come corpo di Chiese; la comunione infatti esprime anche la realtà della Chiesa particolare. La comunione ecclesiale è comunione di vita, di carità e di verità e, in quanto legame dell'uomo con Dio, fonda una nuova relazione tra gli uomini stessi e manifesta la natura sacramentale della Chiesa. La Chiesa è "la casa e la scuola della comunione" che si edifica intorno all'Eucaristia, sacramento della comunione ecclesiale, dove "partecipando realmente del corpo del Signore, siamo elevati alla comunione con Lui e tra di noi"; allo stesso tempo, l'Eucaristia è l'epifania della Chiesa, dove viene manifestato il suo carattere trinitario. La Chiesa ha la missione di annunziare e propagare il Regno di Dio fino agli estremi confini della terra, affinché tutti gli uomini credano in Cristo e così conseguano la vita eterna. La Chiesa è pertanto anche missionaria. Infatti, "la missione propria, che Cristo ha affidato alla sua Chiesa, non è di ordine politico o economico e sociale: il fine, infatti, che le ha prefisso è di ordine religioso. Eppure proprio da questa missione religiosa scaturiscono dei compiti, della luce e delle forze che possono contribuire a costruire e a consolidare la comunità degli uomini secondo la Legge divina". 8. Il Vescovo visibile principio di unità e di comunione. Il Vescovo, visibile principio di unità nella sua Chiesa, è chiamato a edificare incessantemente la Chiesa particolare nella comunione di tutti i suoi membri e, di questi, con la Chiesa universale, vigilando affinché i diversi doni e ministeri contribuiscano alla comune edificazione dei credenti ed alla diffusione del Vangelo. Quale maestro della fede, santificatore e guida spirituale, il Vescovo sa di poter contare su una speciale grazia divina, conferitagli nell'ordinazione episcopale. Tale grazia lo sostiene nel suo spendersi per il Regno di Dio, per la salvezza eterna degli uomini e anche nel suo impegno per costruire la storia con la forza del Vangelo, dando senso al cammino dell'uomo nel tempo. III. Il Collegio dei Dodici e il Collegio dei Vescovi 9. La missione pastorale dei Dodici. Il Signore Gesù, all'inizio della sua missione, dopo aver pregato il Padre, costituì dodici Apostoli perché stessero con lui e per mandarli a predicare il Regno di Dio e a scacciare i demoni. I Dodici furono voluti da Gesù come un collegio indiviso con a capo Pietro, e proprio come tale adempirono la loro missione, cominciando da Gerusalemme ( cf. Lc 24,46 ), poi, come testimoni diretti della sua risurrezione verso tutti i popoli della terra ( cf. Mc 16,20 ). Tale missione, che fu sottolineata come essenziale dall'apostolo Pietro davanti alla prima comunità cristiana di Gerusalemme ( cf. At 1,21-22 ), fu attuata dagli Apostoli annunciando il Vangelo e facendo discepole tutte le genti ( cf. Mt 28,16-20 ). Si continuava così l'opera stessa che il Risorto affidò loro la sera stessa di Pasqua: "come il Padre ha mandato me, così anch'io mando voi" ( Gv 20,21 ). 10. Gli Apostoli fondamenti della Chiesa. Gli Apostoli, con a capo Pietro, sono il fondamento della Chiesa di Cristo, i loro nomi sono scritti sulle fondamenta della Gerusalemme celeste ( cf. Ap 21,14 ); in quanto architetti del nuovo Popolo di Dio, essi ne garantiscono la fedeltà a Cristo, pietra fondamentale dell'edificio, e al suo Vangelo; insegnano con autorità, dirigono la comunità e ne tutelano l'unità. Così la Chiesa, "costruita sul fondamento degli Apostoli" ( Ef 2,20 ), ha in sé la nota dell'apostolicità, in quanto conserva e trasmette integro quel buon deposito che attraverso gli Apostoli ha ricevuto da Cristo stesso. L'apostolicità della Chiesa è garanzia di fedeltà al Vangelo ricevuto e al sacramento dell'Ordine che rende permanente nel tempo l'ufficio apostolico. 11. Continuità della missione dei Dodici nel Collegio episcopale. La missione pastorale del Collegio Apostolico perdura nel Collegio episcopale, come nel Romano Pontefice perdura l'ufficio primaziale di Pietro. Il Concilio Vaticano II insegna che "i Vescovi per divina istituzione sono succeduti al posto degli Apostoli quali pastori della Chiesa, e chi li ascolta, ascolta Cristo, chi li disprezza, disprezza Cristo e colui che ha mandato Cristo" ( cf. Lc 10,16 ). Il Collegio episcopale, con a capo il Romano Pontefice e mai senza di esso, è "soggetto di suprema e piena potestà sulla Chiesa universale", mentre lo stesso Pontefice, in quanto "Vicario di Cristo e pastore di tutta la Chiesa", ha la "potestà ordinaria, suprema, piena, immediata e universale sulla Chiesa che può sempre esercitare liberamente". Questo comporta che il Romano Pontefice ottiene anche il primato della potestà ordinaria su tutte le Chiese particolari e i loro raggruppamenti. L'episcopato, uno e indiviso, si presenta unito nella stessa fraternità intorno a Pietro, per attuare la missione di annunciare il Vangelo e di guidare pastoralmente la Chiesa, affinché cresca in tutto il mondo e, pur nella diversità di tempo e di luogo, continui ad essere comunità apostolica. 12. Appartenenza e forme di azione del Vescovo nel Collegio episcopale. Il Vescovo diviene membro del Collegio episcopale in forza della consacrazione episcopale, che conferisce la pienezza del sacramento dell'Ordine e configura ontologicamente il Vescovo a Gesù Cristo come pastore nella sua Chiesa. In forza della consacrazione episcopale, il Vescovo diviene sacramento di Cristo stesso presente ed operante nel suo popolo, che mediante il ministero episcopale annunzia la Parola, amministra i sacramenti della fede e guida la sua Chiesa. Il "munus" episcopale per poter essere esercitato ha bisogno della "missione canonica" concessa dal Romano Pontefice. Con essa il Capo del Collegio episcopale, affida una porzione del Popolo di Dio o un ufficio a beneficio della Chiesa universale. Pertanto, le tre funzioni, che costituiscono il "munus pastorale" ricevuto dal Vescovo nella consacrazione episcopale, debbono essere esercitate nella comunione gerarchica, anche se, per la loro diversa natura e finalità, la funzione di santificare è esercitata in modo distinto da quelle di insegnare e di governare. Queste ultime due funzioni, infatti, non possono essere esercitate se non nella comunione gerarchica per la loro intrinseca natura ( natura sua ), altrimenti gli atti compiuti non sono validi. La collegialità affettiva fa del Vescovo un uomo che non è mai solo perché sempre e continuamente è con i suoi fratelli nell'episcopato e con colui che il Signore ha scelto come Successore di Pietro. La collegialità affettiva si esprime come collegialità effettiva nel Concilio Ecumenico o con l'azione congiunta dei Vescovi sparsi nel mondo, promossa dal Romano Pontefice o recepita da esso, in modo che si realizzi un vero atto collegiale. L'affetto collegiale, che non è un semplice sentimento di solidarietà, si attua in gradi diversi e gli atti che ne derivano, possono avere conseguenze giuridiche. Tale affetto si concretizza in vari modi, quali ad esempio, il Sinodo dei Vescovi, la Visita ad limina, l'inserimento dei Vescovi diocesani nei Dicasteri della Curia Romana, la collaborazione missionaria, i Concili particolari, le Conferenze episcopali, l'impegno ecumenico, il dialogo interreligioso. Capitolo II La sollecitudine del Vescovo per la Chiesa universale e la collaborazione dei Vescovi tra loro "Tutti i Vescovi, in quanto membri del Collegio episcopale e legittimi successori degli Apostoli per istituzione e per comando di Cristo, sono tenuti ad estendere la loro sollecitudine a tutta la Chiesa" ( Pastores Gregis, 50 ). I. La sollecitudine del Vescovo per la Chiesa Universale 13. Collaborazione per il bene della Chiesa Universale. In forza della sua appartenenza al Collegio episcopale, il Vescovo ha la sollecitudine per tutte le Chiese ed è legato agli altri membri del Collegio mediante la fraternità episcopale e lo stretto vincolo che unisce i Vescovi al Capo del Collegio; ciò richiede che ciascun Vescovo collabori con il Romano Pontefice, Capo del Collegio episcopale, al quale, per l'ufficio primaziale su tutta la Chiesa, è affidato il compito di portare a tutti i popoli la luce del Vangelo. In primo luogo, il Vescovo dovrà effettivamente essere segno e promotore di unità nella Chiesa particolare, che egli rappresenta in seno alla Chiesa universale. Egli dovrà avere quella sollecitudine per tutta la Chiesa, che, anche se non è esercitata individualmente su concreti fedeli con la potestà di giurisdizione, contribuisce al bene di tutto il Popolo di Dio. È per questo motivo che il Vescovo dovrà "promuovere e difendere l'unità della fede e la disciplina comune a tutta la Chiesa", contribuendo al Magistero ordinario della Chiesa e all'adeguata applicazione della disciplina canonica universale, educando i propri fedeli al senso della Chiesa universale e collaborando a promuovere ogni attività comune alla Chiesa. Il Vescovo non dovrà mai dimenticare il principio pastorale secondo il quale, reggendo bene la propria Chiesa particolare, contribuisce al bene di tutto il Popolo di Dio, che è il corpo delle Chiese. Oltre alla principale forma istituzionale di collaborazione del Vescovo al bene di tutta la Chiesa, nella partecipazione al Concilio Ecumenico, nel quale si esercita in forma solenne e universale la potestà del Collegio episcopale, tale collaborazione si realizza anche nell'esercizio della suprema e universale potestà mediante l'azione congiunta con gli altri Vescovi, se essa è come tale indetta o liberamente recepita dal Romano Pontefice. Ogni Vescovo ha il diritto e il dovere di assistere e collaborare attivamente all'una o all'altra azione collegiale con la preghiera, lo studio ed esprimendo il suo voto. Il Sinodo dei Vescovi offre un prezioso aiuto consultivo alla funzione primaziale del Successore di Pietro, oltre a rafforzare i vincoli di unione tra i membri del Collegio episcopale. Se è chiamato a parteciparvi personalmente, il Vescovo compie l'incarico con zelante applicazione, guardando alla gloria di Dio e al bene della Chiesa. Questi stessi sentimenti devono guidarlo nel dare il proprio parere sulle questioni proposte alla riflessione sinodale o quando si tratta di eleggere, nel seno della propria Conferenza Episcopale, i Vescovi impegnati nel ministero o i Vescovi emeriti che, per conoscenza ed esperienza della materia, possano rappresentarlo nel Sinodo. La medesima sollecitudine per la Chiesa universale spingerà il Vescovo a presentare al Papa consigli, osservazioni e suggerimenti, a segnalargli pericoli per la Chiesa, occasioni per iniziative e altre utili indicazioni: così presta un inestimabile servizio al ministero primaziale e un contributo sicuro all'efficacia del governo universale. Alla richiesta di pareri intorno a questioni pastorali o sollecitato a collaborare nella preparazione di documenti di portata universale - specialmente se ricopre l'ufficio di membro o consultore di qualche Dicastero della Curia Romana - il Vescovo risponda con franchezza, dopo serio studio e meditazione della materia coram Domino. Se gli viene richiesto di espletare un incarico per l'interesse di tutta la Chiesa, il Vescovo farà il possibile per accettarlo e lo compirà con diligenza. Conscio della sua responsabilità per l'unità della Chiesa e tenendo presente con quanta facilità oggi qualunque dichiarazione venga conosciuta da larghi strati dell'opinione pubblica, il Vescovo si guardi dal mettere in discussione aspetti dottrinali del Magistero autentico o disciplinari per non recare danno all'autorità della Chiesa e a quella sua propria; egli ricorra piuttosto agli ordinari canali di comunicazione con la Sede Apostolica e con gli altri Vescovi, se ha questioni da porre al riguardo di tali aspetti dottrinali o disciplinari. 14. Collaborazione con la Sede Apostolica. Come conseguenza della sua consacrazione episcopale, della comunione gerarchica e della sua appartenenza al Collegio episcopale e quale segno di unione con Gesù Cristo, il Vescovo tenga nel più gran conto e alimenti di cuore la comunione di carità e di ubbidienza col Romano Pontefice, facendo proprie le sue intenzioni, le iniziative, le gioie e le preoccupazioni e incrementando anche nei fedeli i medesimi filiali sentimenti. Il Vescovo esegua fedelmente le disposizioni della Santa Sede e dei vari Dicasteri della Curia Romana, che aiutano il Romano Pontefice nella sua missione di servizio alle Chiese particolari e ai loro Pastori. Procuri, inoltre, che i documenti della Santa Sede giungano capillarmente a conoscenza dei sacerdoti o, secondo i casi, di tutto il popolo, illustrandone opportunamente il contenuto per renderlo accessibile a tutti. Per dare attuazione nel modo più appropriato ad ogni documento, oltre alle eventuali indicazioni presenti nel medesimo, il Vescovo dovrà studiarne la natura propria ( magisteriale, dispositiva, orientativa, ecc. ) e il contenuto pastorale; trattandosi di leggi e altre disposizioni normative, occorre speciale attenzione nell'assicurarne l'immediata osservanza dal momento della loro entrata in vigore, eventualmente mediante opportune norme applicative diocesane. Se si tratta di documenti di altro genere, per esempio di orientamento generale, il Vescovo stesso dovrà valutare con prudenza il modo migliore di procedere, in funzione del bene pastorale del suo gregge. Rapporti con il Legato Pontificio. Questi rappresenta il Romano Pontefice davanti alle Chiese particolari e davanti agli Stati. La sua missione non si sovrappone alla funzione dei Vescovi e neppure la ostacola o sostituisce, bensí la favorisce in molte maniere e la sostiene con fraterno consiglio. Pertanto, il Vescovo s'impegni a mantenere con il Rappresentante Pontificio rapporti improntati a sentimenti fraterni e di reciproca confidenza, tanto a livello personale come in seno alla Conferenza Episcopale, e utilizzi i suoi uffici per trasmettere informazioni alla Sede Apostolica e per sollecitare i provvedimenti canonici che ad essa competono. Come forma specifica di collaborazione con il ministero del Romano Pontefice, il Vescovo, insieme agli altri Pastori della provincia ecclesiastica o della Conferenza Episcopale o anche personalmente, segnali alla Sede Apostolica quei presbiteri che giudica idonei per l'episcopato. Nello svolgimento delle previe indagini sui possibili candidati, il Vescovo potrà consultare singolarmente persone informate; ma non consentirà mai che si faccia una consultazione collettiva, in quanto essa metterebbe in pericolo il segreto prescritto dalla legge canonica - necessario quando si tratta del buon nome delle persone - e condizionerebbe la libertà del Romano Pontefice nella scelta del più idoneo. "I Vescovi, in ragione del vincolo di unità e di carità, secondo le disponibilità della propria diocesi, contribuiscano a procurare i mezzi di cui la Sede Apostolica secondo le condizioni dei tempi necessita, per essere in grado di prestare in modo appropriato il suo servizio alla Chiesa universale". Il Vescovo neppure trascuri quella particolare questua che si chiama Obolo di San Pietro, destinata a far sì che la Chiesa di Roma possa validamente adempiere il suo ufficio di presidenza nella carità universale. Quando le possibilità della diocesi lo permettono e vi siano sacerdoti adatti e preparati che vengano richiesti, il Vescovo li metta a disposizione della Santa Sede ad tempus o in maniera illimitata. 15. La visita "ad limina". Secondo la disciplina canonica, il Vescovo diocesano compie ogni cinque anni l'antica tradizione della Visita "ad limina", per onorare i sepolcri dei santi Apostoli Pietro e Paolo e incontrare il successore di Pietro, il Vescovo di Roma. La visita, nei suoi diversi momenti liturgici, pastorali e di fraterno scambio, ha per il Vescovo un preciso significato: accrescere il suo senso di responsabilità come Successore degli Apostoli e rinvigorire la sua comunione con il successore di Pietro. La visita, inoltre, costituisce anche un momento importante per la vita della stessa Chiesa particolare la quale, per mezzo del proprio rappresentante, consolida i vincoli di fede, di comunione e di disciplina che la legano alla Chiesa di Roma e all'intero corpo ecclesiale. Gli incontri fraterni con il Romano Pontefice e i suoi più stretti collaboratori della Curia Romana offrono al Vescovo un'occasione privilegiata non solo per fare presente la situazione della propria diocesi e le sue aspettative, ma anche per avere maggiori informazioni circa le speranze, le gioie e le difficoltà della Chiesa universale e per ricevere opportuni consigli e direttive sui problemi del proprio gregge. Tale visita rappresenta un momento centrale anche per il Successore di Pietro che riceve i pastori delle Chiese particolari per trattare con essi le questioni riguardanti la loro missione ecclesiale. La visita "ad limina" è così espressione della sollecitudine pastorale di tutta la Chiesa. Per tali motivi, è necessaria una diligente preparazione. Con sufficiente anticipo ( non meno di sei mesi, se possibile ), il Vescovo si preoccuperà di inviare alla Santa Sede la Relazione sullo stato della diocesi, per la cui redazione dispone del relativo Formulario preparato dalla competente Congregazione per i Vescovi. Detta Relazione dovrà fornire al Romano Pontefice e ai Dicasteri romani un'informazione di prima mano - veritiera, sintetica e precisa - che è di grande utilità per l'esercizio del ministero petrino. Al Vescovo, poi, la Relazione offrirà un mezzo idoneo per esaminare lo stato della sua Chiesa e per programmare il lavoro pastorale: perciò, conviene che per la sua elaborazione il Vescovo si avvalga dell'aiuto dei suoi più stretti collaboratori nella funzione episcopale, sebbene il suo contributo personale risulti indispensabile, soprattutto negli aspetti che riguardano più da vicino la sua attività, per dare una visione d'insieme del lavoro pastorale. La prassi attuale è che le visite si svolgano di regola per Conferenze Episcopali, o divise in vari gruppi se troppo numerose, evidenziando così l'unione collegiale tra i Vescovi. Benché diversi momenti si svolgono in gruppo - visite alle tombe degli Apostoli, discorso del Papa, riunione con i Dicasteri della Curia Romana -, è sempre il singolo Vescovo che presenta la relazione e compie la visita a nome della sua Chiesa, incontrando personalmente il Successore di Pietro, ed avendo sempre il diritto e il dovere di comunicare direttamente con lui e con i suoi collaboratori su tutte le questioni riguardanti il suo ministero diocesano. 16. I Vescovi diocesani membri dei Dicasteri della Curia Romana. Ulteriore segno dell'affetto collegiale tra i Vescovi ed il Papa è dato dalla presenza di alcuni Vescovi diocesani quali membri dei Dicasteri della Curia Romana. Tale presenza permette ai Vescovi di presentare al Sommo Pontefice la mentalità, i desideri e le necessità di tutte le Chiese. In questo modo, mediante la Curia Romana, il vincolo di unione e di carità che vige nel Collegio episcopale si estende a tutto il Popolo di Dio. 17. L'opera missionaria. I Vescovi, insieme al Romano Pontefice, sono direttamente responsabili dell'evangelizzazione del mondo; pertanto, ciascun Vescovo attuerà tale responsabilità con la massima sollecitudine. In quanto coordinatore e centro dell'attività missionaria diocesana, il Vescovo sarà sollecito nell'aprire la Chiesa particolare alle necessità delle altre, suscitando lo spirito missionario nei fedeli, procurando missionari e missionarie, fomentando un fervido spirito apostolico e missionario nel presbiterio e nei religiosi e membri delle Società di vita apostolica, tra gli alunni del suo seminario e nei laici, collaborando con la Sede Apostolica nell'opera di evangelizzazione dei popoli, sostenendo le giovani Chiese con aiuti materiali e spirituali. In questo ed altri modi appropriati alle circostanze di luogo e di tempo, il Vescovo manifesta la sua fraternità con gli altri Vescovi ed adempie il dovere di annunciare il Vangelo a tutte le genti. Secondo le possibilità della diocesi, presi accordi con la Santa Sede e con gli altri Vescovi interessati, il Vescovo provveda ad inviare missionari e mezzi materiali ai territori di missione, tramite accordi particolari o stabilendo vincoli di fratellanza con una determinata Chiesa missionaria. Inoltre, promuova e sostenga nella sua Chiesa particolare le Opere Missionarie Pontificie, procurando il necessario aiuto spirituale ed economico. Per conseguire tali obiettivi il Vescovo designerà un sacerdote, un diacono o un laico competente, il quale si occupi di organizzare le diverse iniziative diocesane, come la giornata annuale per le missioni e la colletta annuale in favore delle opere pontificie. Parimenti, il Vescovo associ i propri sforzi con quelli della Santa Sede allo scopo di aiutare le Chiese che soffrono persecuzioni o sono travagliate da grave penuria di clero o di mezzi. Il vincolo di comunione fra le Chiese viene evidenziato dai sacerdoti "fidei donum", scelti fra quanti adatti e adeguatamente preparati, attraverso i quali le diocesi di antica fondazione contribuiscono efficacemente all'evangelizzazione delle nuove Chiese e, a loro volta, attingono freschezza e vitalità di fede da quelle giovani comunità cristiane. Quando un chierico idoneo ( sacerdote o diacono ) manifesta il desiderio di essere inserito tra i sacerdoti "fidei donum", il Vescovo, per quanto possibile, non neghi il permesso, anche se ciò possa comportare sacrifici immediati per la sua diocesi, e provveda a determinare i suoi diritti e doveri mediante una convenzione scritta con il Vescovo del luogo di destinazione. Al temporaneo trasferimento si potrà provvedere senza ricorrere all'escardinazione, di modo che al ritorno il chierico conservi tutti i diritti che gli corrisponderebbero se fosse rimasto nella diocesi. Anche i Vescovi delle giovani Chiese di missione incrementeranno il dono di sacerdoti, verso zone dello stesso Paese, dello stesso Continente o di altri Continenti, meno evangelizzati o con meno personale a servizio della Chiesa. Il Vescovo sarà largamente disponibile ad accogliere nella propria diocesi quei sacerdoti dei Paesi di missione che chiedono temporanea ospitalità per motivi di studio o per altri motivi. In tali casi, i Vescovi interessati stipuleranno una convenzione per concordare i vari settori di vita del presbitero. A tale scopo saranno osservate le norme stabilite dalla Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli. 18. L'impegno ecumenico. Consapevole che il ristabilimento dell'unità è stato uno dei principali intenti del Concilio Vaticano II e che esso non è soltanto un'appendice che s'aggiunge all'attività tradizionale della Chiesa, il Vescovo sentirà l'urgenza di promuovere l'ecumenismo, settore nel quale la Chiesa cattolica è impegnata in maniera irreversibile. Sebbene la direzione del movimento ecumenico spetti principalmente alla Santa Sede, ai Vescovi, tuttavia, singolarmente e riuniti in Conferenza Episcopale, spetta stabilire norme pratiche per applicare le superiori disposizioni alle circostanze locali. Seguendo fedelmente le indicazioni e gli orientamenti della Santa Sede, il Vescovo si preoccupi inoltre di mantenere rapporti ecumenici con le diverse Chiese e Comunità cristiane presenti nella diocesi, nominando un suo rappresentante che sia competente in materia, al fine di animare e coordinare le attività della diocesi in questo campo. Se le circostanze della diocesi lo consigliano, il Vescovo costituirà un segretariato o una commissione incaricati di proporre al Vescovo quanto possa aiutare l'unità fra i cristiani e realizzare le iniziative che lui stesso indichi, promuovere nella diocesi l'ecumenismo spirituale, proporre sussidi per la formazione ecumenica del clero e dei seminaristi, sostenere le parrocchie nell'impegno ecumenico. 19. Relazioni con l'Ebraismo. Il Concilio Vaticano II ricorda il vincolo con cui il popolo del Nuovo Testamento è spiritualmente legato con la stirpe di Abramo; è per questo legame che, rispetto alle religioni non cristiane, un posto del tutto particolare nelle attenzioni della Chiesa spetta agli ebrei, i quali "possiedono l'adozione a figli, la gloria, le alleanze, la legislazione, il culto, le promesse, i patriarchi; da essi proviene Cristo secondo la carne" ( Rm 9,4-5 ). Il Vescovo deve promuovere fra i cristiani un atteggiamento di rispetto verso questi nostri "fratelli maggiori", per evitare il prodursi di fenomeni di antigiudaismo, e deve vigilare affinché i ministri sacri ricevano una formazione adeguata sulla religione ebraica e i suoi rapporti con il cristianesimo. 20. Il dialogo interreligioso. La Chiesa cattolica nulla rigetta di quanto è vero e santo nelle altre religioni. "Essa considera con sincero rispetto quei modi di agire e di vivere, quei precetti e quelle dottrine che, quantunque in molti punti differiscano da quanto essa stessa crede e propone, tuttavia non raramente riflettono un raggio di quella Verità che illumina tutti gli uomini. Essa però annuncia ed è tenuta ad annunziare incessantemente Cristo che è 'la via, la verità e la vita' ( Gv 14,6 ), in cui gli uomini trovano la pienezza della vita religiosa e in cui Dio ha riconciliato a sé tutte le cose". Nel rapporto con le religioni non cristiane, la Chiesa è chiamata a stabilire un dialogo sincero e rispettoso che, senz'ombra di irenismo, aiuti a scoprire i semi di verità che si trovano nelle tradizioni religiose dell'umanità e incoraggi le legittime aspirazioni spirituali degli uomini. Tale dialogo è in stretta connessione con l'irrinunciabile chiamata alla missione, suscitata dal mandato di Cristo: "Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura" ( Mc 16,15 ), e guidato dal delicato rispetto della coscienza individuale. 21. Appoggio alle iniziative della Santa Sede in ambito internazionale. Il Vescovo, secondo le possibilità della sua Chiesa, contribuisce alle realizzazioni delle finalità delle istituzioni e associazioni internazionali promosse e sostenute dalla Sede Apostolica: per la pace e la giustizia nel mondo, per la tutela della famiglia e della vita umana a partire dal concepimento, per il progresso dei popoli e per altre iniziative. Come forma particolare di azione apostolica in ambito internazionale, la Santa Sede è rappresentata a pieno titolo in seno ai principali organismi internazionali e interviene attivamente in vari congressi convocati da questi organismi. In queste istanze internazionali, la Chiesa deve farsi ascoltare, in difesa della dignità dell'uomo e dei suoi diritti fondamentali, della protezione dei più deboli, del giusto assetto dei rapporti internazionali, del rispetto della natura, ecc. Il Vescovo non tralascerà di sostenere tali iniziative davanti ai fedeli e all'opinione pubblica, tenendo presente che il suo ministero pastorale può incidere notevolmente nel consolidamento di un ordine internazionale giusto e rispettoso della dignità dell'uomo. II. La Cooperazione Episcopale e gli Organi Sovradiocesani di Collaborazione A) La cooperazione episcopale 22. L'esercizio congiunto del ministero episcopale. "Ferma restando la potestà di istituzione divina che il Vescovo ha nella sua Chiesa particolare, la consapevolezza di far parte di un corpo indiviso ha portato i Vescovi, lungo la storia della Chiesa, ad adoperare, nel compimento della loro missione, strumenti, organi o mezzi di comunicazione che manifestano la comunione e la sollecitudine per tutte le Chiese e prolungano la vita stessa del Collegio degli Apostoli: la collaborazione pastorale, le consultazioni, l'aiuto reciproco, ecc". Pertanto, il Vescovo esercita il ministero affidatogli non soltanto quando disimpegna nella diocesi le funzioni che gli sono proprie, ma anche quando coopera con i confratelli nell'Episcopato nei diversi organismi episcopali sovradiocesani. Tra questi, vanno annoverate le riunioni dei Vescovi della Provincia ecclesiastica, della Regione ecclesiastica ( là dove siano state costituite dalla Sede Apostolica ) e, soprattutto, le Conferenze Episcopali. Queste assemblee episcopali sono espressione della dimensione collegiale del ministero episcopale e del suo necessario adattamento alle varie forme delle comunità umane tra le quali la Chiesa esercita la sua missione salvifica. Hanno come scopo principale il reciproco aiuto per l'esercizio dell'ufficio episcopale e l'armonizzazione delle iniziative di ciascun Pastore, per il bene di ogni diocesi e dell'intera comunità cristiana del territorio. Grazie ad esse, le stesse Chiese particolari stringono i vincoli di comunione con la Chiesa universale attraverso i Vescovi, loro legittimi rappresentanti. A parte i casi in cui la legge della Chiesa o uno speciale mandato della Sede Apostolica abbia loro attribuito potere vincolante, l'azione congiunta propria di queste assemblee episcopali deve avere, come criterio primario di azione, il delicato e attento rispetto della responsabilità personale di ciascun Vescovo in relazione alla Chiesa universale e alla Chiesa particolare a lui affidata, pur nella consapevolezza della dimensione collegiale insita nella funzione episcopale. B) Gli Organi Sovradiocesani e il Metropolita 23. Le diverse assemblee episcopali sovradiocesane a) Assemblea dei Vescovi della Provincia ecclesiastica. I Vescovi diocesani della Provincia ecclesiastica si riuniscono intorno al Metropolita per coordinare meglio le loro attività pastorali e per esercitare le comuni competenze concesse dal diritto. Le riunioni sono convocate dall'Arcivescovo Metropolita, con la periodicità che a tutti convenga, e ad esse partecipano anche i Vescovi Coadiutori e Ausiliari della Provincia, con voto deliberativo. Se l'utilità pastorale lo consiglia, e ottenuta la licenza della Sede Apostolica, ai lavori comuni possono associarsi i Pastori di una diocesi vicina, immediatamente soggetta alla Santa Sede, compresi i Vicari e i Prefetti apostolici, che governano in nome del Sommo Pontefice. b) Compiti dell'Arcivescovo Metropolita. Una speciale responsabilità per l'unità della Chiesa compete all'Arcivescovo Metropolita in relazione alle diocesi suffraganee e ai loro Pastori. Segno dell'autorità che, in comunione con la Chiesa di Roma, ha il Metropolita nella propria Provincia ecclesiastica è il Pallio che ciascun Metropolita deve chiedere personalmente o tramite un procuratore al Romano Pontefice. Il Pallio viene benedetto dal Romano Pontefice ogni anno nella solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo ( 29 giugno ) ed imposto ai Metropoliti presenti. Al Metropolita che non può recarsi a Roma il Pallio sarà imposto dal Rappresentante Pontificio. In ogni caso il Metropolita ha le facoltà inerenti alla sua funzione dal momento della presa di possesso dell'arcidiocesi. Il Metropolita può portare il Pallio in tutte le Chiese della sua Provincia ecclesiastica, mentre non può mai portarlo fuori di essa, nemmeno con il consenso del Vescovo diocesano. Quando il Metropolita viene trasferito ad una nuova sede metropolitana deve chiedere un nuovo Pallio al Romano Pontefice. Il Metropolita ha come funzione propria quella di vigilare perché in tutta la Provincia si mantengano con diligenza la fede e la disciplina ecclesiale, e perché il ministero episcopale sia esercitato in conformità alla legge canonica. Nel caso in cui notasse abusi o errori, il Metropolita, attento al bene dei fedeli e all'unità della Chiesa, riferisca accuratamente al Rappresentante Pontificio in quel Paese, affinché la Sede Apostolica possa provvedere. Prima di riferire al Rappresentante Pontificio, il Metropolita, qualora lo ritenga opportuno, potrà confrontarsi con il Vescovo diocesano riguardo alle problematiche emerse nella diocesi suffraganea. La sollecitudine verso le diocesi suffraganee sarà specialmente attenta nel periodo di vacanza della sede episcopale, o in eventuali momenti di particolari difficoltà del Vescovo diocesano. Ma la funzione del Metropolita non deve limitarsi agli aspetti disciplinari, bensì estendersi, come conseguenza naturale del mandato della carità, all'attenzione discreta e fraterna, alle necessità di ordine umano e spirituale dei Pastori suffraganei, dei quali può considerarsi in una certa misura fratello maggiore, "primus inter pares". Un ruolo effettivo del Metropolita, come previsto dal Codice di Diritto Canonico, favorisce un maggiore coordinamento pastorale e una più incisiva collegialità a livello locale fra i Vescovi suffraganei. Insieme ai Vescovi della Provincia ecclesiastica, l'Arcivescovo Metropolita promuove iniziative comuni per rispondere adeguatamente alle necessità delle diocesi della Provincia. In particolare i Vescovi della stessa Provincia ecclesiastica potranno attuare insieme, se le circostanze così consigliano, i corsi per la formazione permanente del clero e i convegni pastorali per la programmazione di orientamenti comuni su questioni che interessano lo stesso territorio. Per la formazione dei candidati al presbiterato potranno istituire il seminario metropolitano, sia maggiore che minore, oppure istituire una casa di formazione delle vocazioni adulte o per la formazione dei diaconi permanenti o di laici impegnati nell'animazione pastorale. Altri settori di impegno pastorale comune potranno essere proposti dal Metropolita ai Vescovi. Se in qualche caso particolare l'Arcivescovo avrà bisogno di facoltà peculiari per lo svolgimento della sua missione, soprattutto per poter attuare la programmazione pastorale comune elaborata insieme ai Vescovi suffraganei, d'intesa con i Vescovi della Provincia ecclesiastica, potrà chiederle alla Santa Sede. c) Assemblea dei Vescovi della regione ecclesiastica. Dove sia stata costituita una Regione ecclesiastica per varie Province ecclesiastiche, i Vescovi diocesani partecipano alle riunioni dell'assemblea regionale dei Vescovi secondo la forma stabilita dai suoi statuti. d) La Conferenza Episcopale. La Conferenza Episcopale è importante per rinsaldare la comunione fra i Vescovi e promuoverne l'azione comune in un determinato territorio che si estende in linea di principio ai confini di un Paese. Le sono affidate alcune funzioni pastorali proprie, che esercita attraverso atti collegiali di governo, ed è la sede adatta per la promozione di molteplici iniziative pastorali comuni per il bene dei fedeli. e) Le Riunioni internazionali di Conferenze Episcopali. Questi organismi sono naturale conseguenza dell'intensificazione dei rapporti umani e istituzionali tra Paesi appartenenti a una stessa area geografica. Sono stati costituiti per garantire un rapporto stabile tra Conferenze Episcopali, che di essi fanno parte attraverso i propri rappresentanti, in modo da facilitare la collaborazione fra Conferenze e il servizio agli episcopati di varie nazioni. C) I Concili Particolari 24. L'esperienza storica conciliare. "Fin dai primi secoli della Chiesa, i Vescovi che erano a capo di Chiese particolari … organizzarono i Sinodi, i Concili provinciali e, infine, i Concili plenari nei quali i Vescovi stabilirono una norma uguale per varie Chiese, che doveva osservarsi nell'insegnamento delle verità della fede e nell'ordinamento della disciplina ecclesiastica". 25. Natura. I Concili particolari sono assemblee di Vescovi, cui partecipano anche con voto consultivo altri ministri e fedeli laici, che hanno il fine di provvedere, nel proprio territorio, alle necessità pastorali del Popolo di Dio, stabilendo quanto convenga all'incremento della fede, al regolamento della comune attività pastorale, dei buoni costumi e alla tutela della disciplina ecclesiastica. I Concili particolari possono essere provinciali, se il loro ambito corrisponde alla Provincia ecclesiastica, o plenari, se si tratta delle Chiese particolari della stessa Conferenza Episcopale. Se si tratta di un Concilio plenario, oppure provinciale, quando la Provincia coincida con i confini di una nazione, è necessaria la previa approvazione della Sede Apostolica per procedere alla sua celebrazione. Per poter prendere una decisione al riguardo, la Sede Apostolica deve conoscere con esattezza il motivo che induce alla celebrazione e anche i temi o le materie che saranno sottoposti alla delibera. 26. Membri. Nei Concili particolari, soltanto ai Vescovi spetta prendere le decisioni, poiché ad essi compete il voto deliberativo, ma debbono essere convocati anche i titolari di alcuni uffici ecclesiastici di rilievo e i Superiori maggiori degli Istituti religiosi e delle Società di vita apostolica, affinché collaborino con i Pastori con la loro esperienza e consiglio. Inoltre i Vescovi sono liberi di convocare anche chierici, religiosi e laici, vigilando però perché il loro numero non superi la metà dei membri di diritto. Per la grande importanza che hanno i Concili particolari in merito al regolamento della vita ecclesiastica nella Provincia o Nazione, il Vescovo collabora con il proprio personale contributo alla loro preparazione e celebrazione. 27. Potestà legislativa. Per raggiungere tali obiettivi, i Concili particolari hanno potestà di governo, soprattutto legislativa, in base alla quale i Vescovi stabiliscono, per le varie Chiese, medesime norme provvedendo così ad un'attività pastorale più efficace e consona alle esigenze dei tempi. Pertanto, la disciplina canonica lascia ampia libertà ai Vescovi della stessa Provincia o Conferenza per regolare insieme le materie pastorali, sempre nel rispetto delle norme superiori. Questa stessa libertà deve indurre i Vescovi a sottoporre al giudizio e alla decisione comuni soltanto quelle questioni che richiedono un medesimo regolamento in tutto il territorio, giacché diversamente verrebbe inutilmente limitata la potestà spettante a ciascun Vescovo nella sua diocesi. Tutte le decisioni vincolanti del Concilio particolare, sia decreti generali come particolari, debbono essere esaminate ed approvate dalla Sede Apostolica prima di essere promulgate. D) La Conferenza Episcopale 28. Finalità della Conferenza Episcopale. La Conferenza Episcopale, il cui ruolo in questi anni è diventato di grande importanza, contribuisce, in forma molteplice e feconda, all'attuazione e allo sviluppo dell'affetto collegiale tra i membri del medesimo Episcopato. In essa i Vescovi esercitano congiuntamente alcune funzioni pastorali per i fedeli del loro territorio. Tale azione risponde alla necessità, particolarmente avvertita oggi, di provvedere al bene comune delle Chiese particolari mediante un lavoro concorde e ben collegato dei suoi Pastori. Compito della Conferenza episcopale è di aiutare i Vescovi nel loro ministero, a vantaggio dell'intero Popolo di Dio. La Conferenza svolge un'importante funzione in diversi campi ministeriali mediante: – l'ordinamento congiunto di alcune materie pastorali, mediante decreti generali che obbligano tanto i pastori come i fedeli del territorio; – la trasmissione della dottrina della Chiesa, in maniera più incisiva e in armonia con la particolare natura e le condizioni di vita dei fedeli di una nazione; – il coordinamento di singoli sforzi mediante iniziative comuni d'importanza nazionale, nell'ambito apostolico e caritativo. Per questo fine, la legge canonica ha concesso determinate competenze alla Conferenza; – il dialogo unitario con l'autorità politica comune a tutto il territorio; – la creazione di utili servizi comuni, che molte diocesi non sono in grado di procurarsi. A ciò va sommata la vasta area del mutuo sostegno nell'esercizio del ministero episcopale, tramite l'informazione reciproca, lo scambio di idee, la concordanza dei punti di vista, ecc. 29. I membri della Conferenza Episcopale. Della Conferenza Episcopale fanno parte, in base allo stesso diritto, tutti i Vescovi diocesani del territorio e quanti siano loro equiparati, come anche i Vescovi Coadiutori, gli Ausiliari e gli altri Vescovi titolari che esercitano uno speciale incarico pastorale a beneficio dei fedeli. Sono membri anche quanti sono interinalmente a capo di una circoscrizione ecclesiastica del Paese. I Vescovi cattolici di rito orientale con sede nel territorio della Conferenza Episcopale, possono essere invitati all'Assemblea Plenaria dell'organismo con voto consultivo. Gli Statuti della Conferenza Episcopale possono stabilire che ne siano membri. In tal caso compete loro il voto deliberativo. I Vescovi emeriti non sono membri di diritto della Conferenza, però è auspicabile che siano invitati all'Assemblea Plenaria, alla quale parteciperanno con voto consultivo. È bene inoltre ricorrere a loro per le riunioni o commissioni di studio create per esaminare materie in cui tali Vescovi siano particolarmente competenti. Qualche Vescovo emerito può anche essere chiamato a far parte di Commissioni della Conferenza Episcopale. Il Rappresentante Pontificio pur non essendo membro della Conferenza Episcopale e non avendo diritto di voto, è invitato alla sessione di apertura della Conferenza Episcopale, secondo gli Statuti di ciascuna Assemblea episcopale. Dalla sua condizione di membro della Conferenza, derivano al Vescovo alcuni naturali doveri: a) il Vescovo procuri di conoscere bene le norme universali che regolano questa istituzione e anche gli Statuti della propria Conferenza che stabiliscono le norme fondamentali dell'azione congiunta. Ispirato da profondo amore alla Chiesa, vigili inoltre perché le attività della Conferenza si svolgano sempre secondo le norme canoniche; b) partecipi attivamente con diligenza alle assemblee episcopali, senza mai lasciare la comune responsabilità alla sollecitudine degli altri Vescovi; se viene eletto per qualche incarico della Conferenza, non rifiuti se non per un giusto motivo. Studi attentamente i temi proposti alla discussione, se occorre con l'aiuto di esperti, in modo che le sue posizioni siano sempre ben fondate e formulate con coscienza; c) nelle riunioni, manifesti la sua opinione con fraterna franchezza: senza timore quando è necessario pronunciarsi differentemente dal parere di altri, ma disposto ad ascoltare e comprendere le ragioni contrarie; d) quando il bene comune dei fedeli richieda una comune linea di azione, il Vescovo sarà pronto a seguire il parere della maggioranza, senza ostinarsi nelle sue posizioni; e) nei casi in cui in coscienza ritiene di non poter aderire ad una dichiarazione o risoluzione della Conferenza, dovrà soppesare attentamente davanti a Dio tutte le circostanze, considerando anche le pubbliche ripercussioni della sua decisione; se si trattasse di un decreto generale reso obbligatorio dalla "recognitio" della Santa Sede, è a quest'ultima che il Vescovo dovrà chiedere la dispensa per non attenersi a quanto disposto nel decreto; f) animato da spirito di servizio, segnali agli organi direttivi della Conferenza tutti i problemi da affrontare, le difficoltà da superare, le iniziative che il bene delle anime suggerisca. La Conferenza può invitare alle proprie riunioni persone che non siano membri, ma soltanto in casi determinati e con il solo voto consultivo. 30. Materie affidate concretamente alla Conferenza. È una realtà evidente che oggigiorno vi siano materie pastorali e problemi dell'apostolato che non possono essere debitamente affrontati se non a livello nazionale. Per questo motivo, la legge canonica ha affidato alcune aree alla comune attenzione dei Vescovi, in ciascun caso diversamente. Tra queste, emergono: – la formazione dei ministri sacri, sia candidati al sacerdozio che al diaconato permanente; – l'ecumenismo; – i sussidi della catechesi diocesana; – l'istruzione cattolica; – l'istruzione superiore cattolica e la pastorale universitaria; – i mezzi di comunicazione sociale; – la tutela dell'integrità della fede e dei costumi del popolo cristiano. In tutti questi settori, è necessario collegare le competenze proprie della Conferenza con la responsabilità di ciascun Vescovo nella sua diocesi. Tale armonia è la naturale conseguenza del rispetto delle norme canoniche che regolano le materie in questione. 31. Le competenze giuridiche e dottrinali della Conferenza Episcopale. Secondo le indicazioni del Concilio Vaticano II, alle Conferenze Episcopali, strumenti di mutuo aiuto tra i Vescovi, nel loro compito pastorale, è attribuita dalla Sede apostolica la potestà per dare norme vincolanti in determinate materie e per adottare altre decisioni particolari, che il Vescovo accoglie fedelmente ed esegue nella diocesi. La potestà normativa della Conferenza è esercitata dai Vescovi riuniti in Assemblea Plenaria, che rende possibile il dialogo collegiale e lo scambio di idee, e richiede il voto favorevole di due terzi dei membri dotati di voto deliberativo. Tali norme debbono essere riesaminate dalla Santa Sede, prima della loro promulgazione, per garantirne la conformità con l'ordinamento canonico universale. Nessun altro organismo della Conferenza può arrogarsi le competenze della Assemblea Plenaria. I Vescovi riuniti in Conferenza Episcopale esercitano, secondo le condizioni determinate dal diritto, anche una funzione dottrinale, essendo pure congiuntamente dottori autentici e maestri della fede per i loro fedeli. Nell'esercitare tale funzione dottrinale, soprattutto quando devono affrontare nuove questioni ed illuminare nuovi problemi che sorgono dalla società, i Vescovi saranno consapevoli dei limiti dei loro pronunciamenti, in quanto il loro Magistero non è universale pur essendo autentico e ufficiale. I Vescovi terranno ben presente che la dottrina è un bene di tutto il Popolo di Dio e vincolo della sua comunione, e pertanto seguiranno il Magistero universale della Chiesa e si impegneranno per farlo conoscere ai loro fedeli. Le Dichiarazioni dottrinali della Conferenza Episcopale, per poter costituire Magistero autentico ed essere pubblicate a nome della stessa Conferenza devono essere approvate all'unanimità dai Vescovi membri o con la maggioranza di almeno due terzi dei Vescovi aventi voto deliberativo. In questo secondo caso le dichiarazioni dottrinali per poter essere pubblicate devono ottenere la "recognitio" della Santa Sede. Queste dichiarazioni dottrinali dovranno essere inviate alla Congregazione per i Vescovi o a quella per l'Evangelizzazione dei Popoli, a seconda dell'ambito territoriale delle medesime. Tali Dicasteri procederanno a concedere la "recognitio" dopo aver consultato le altre istanze competenti della Santa Sede. Quando si tratta di approvare le dichiarazioni dottrinali della Conferenza Episcopale, i membri non Vescovi dell'organismo episcopale non hanno diritto di votare in seno all'Assemblea Plenaria. Qualora più Conferenze Episcopali ritenessero necessaria un'azione "in solidum", esse dovranno richiedere l'autorizzazione alla Santa Sede, che nei singoli casi indicherà le necessarie norme da osservare. Al di fuori di questi casi, i Vescovi diocesani sono liberi di adottare o meno nella propria diocesi e di attribuire natura di obbligo, in nome e con autorità propria, ad un orientamento condiviso dagli altri Pastori del territorio. Non è tuttavia lecito allargare l'ambito della potestà della Conferenza, trasferendo ad essa la giurisdizione e la responsabilità dei suoi membri per le loro diocesi, giacché tale trasferimento è competenza esclusiva del Romano Pontefice, che darà per sua iniziativa o su richiesta della Conferenza, un mandato speciale nei casi in cui lo giudichi opportuno. 32. Le Commissioni della Conferenza. Dalla Conferenza dipendono organi e commissioni varie, che hanno come compito specifico l'aiuto dei Pastori e la preparazione ed esecuzione delle decisioni della Conferenza. Le commissioni permanenti o "ad hoc" della Conferenza denominate "episcopali" devono essere formate da membri Vescovi o da coloro che ad essi sono equiparati nel diritto. Se il numero dei Vescovi fosse insufficiente per formare tali Commissioni, si possono costituire altri organismi come Consulte, Consigli presieduti da un Vescovo e formati da presbiteri, consacrati e laici. Tali organismi non si possono chiamare "episcopali". I membri delle diverse commissioni debbono essere consapevoli che il loro compito non è quello di guidare o coordinare il lavoro della Chiesa nella nazione in un particolare settore pastorale, ma un altro, molto più umile ma ugualmente efficace: aiutare l'Assemblea Plenaria - cioè, la Conferenza stessa - a raggiungere i suoi obiettivi e procurare ai Pastori sussidi adeguati per il loro ministero nella Chiesa particolare. Questo criterio basilare deve indurre i responsabili delle commissioni ad evitare forme di azione ispirate piuttosto ad un senso di indipendenza o di autonomia, come potrebbe essere la pubblicazione per proprio conto di orientamenti in un determinato settore pastorale o una forma di rapportarsi agli organi e alle commissioni diocesane senza passare dall'obbligato tramite del rispettivo Vescovo diocesano. Capitolo III Spiritualità e formazione permanente del Vescovo "Esercitati nella pietà … sii di esempio ai fedeli nelle parole, nel comportamento, nella carità, nella fede, nella purezza … Non trascurare il dono spirituale che è in te … Vigila su te stesso e sul tuo insegnamento e sii perseverante" ( 1 Tm 4,7.12.16 ). I. Gesù Cristo fonte della Spiritualità del Vescovo 33. Gesù Cristo sorgente della spiritualità del Vescovo. Con la consacrazione episcopale il Vescovo riceve una speciale effusione dello Spirito Santo che lo configura in maniera tutta speciale a Cristo, Capo e Pastore. Lo stesso Signore, "maestro buono" ( Mt 19,6 ), "sommo sacerdote" ( Eb 7,26 ), "buon pastore che offre la vita per le pecore" ( Gv 10,11 ) ha stampato il suo volto umano e divino, la sua somiglianza, la sua potestà e la sua virtù nel Vescovo. Egli è l'unica e permanente sorgente della spiritualità del Vescovo. Pertanto, il Vescovo, santificato nel Sacramento con il dono dello Spirito Santo, è chiamato a rispondere alla grazia ricevuta mediante l'imposizione delle mani santificandosi e uniformando la sua vita personale a Cristo nell'esercizio del ministero apostolico. La conformazione a Cristo permetterà al Vescovo di corrispondere con tutto se stesso allo Spirito Santo per armonizzare in sè gli aspetti di membro della Chiesa ed insieme di capo e pastore del popolo cristiano, di fratello e di padre, di discepolo di Cristo e di maestro della fede, di figlio della Chiesa ed, in un certo senso, di padre della medesima, essendo egli ministro della rigenerazione soprannaturale dei cristiani. Il Vescovo avrà sempre presente che la sua santità personale non si ferma mai ad un livello solo soggettivo, ma, nella sua efficacia ridonda a beneficio di coloro che sono stati affidati alla sua cura pastorale. Il Vescovo deve essere anima contemplativa, oltre che uomo d'azione, così che il suo apostolato sia un "contemplata aliis tradere". Il Vescovo, ben convinto che a nulla serve il fare se manca l'essere con Cristo, deve essere un innamorato del Signore. Inoltre non dimenticherà che l'esercizio del ministero episcopale per essere credibile necessita di quell'autorità morale e di quell'autorevolezza che gli provengono dalla santità di vita, che sostiene l'esercizio della potestà giuridica. 34. Spiritualità tipicamente ecclesiale. La spiritualità del Vescovo, in forza dei sacramenti del Battesimo e della Cresima, che lo uniscono a tutti i fedeli, e della stessa consacrazione sacramentale, è tipicamente ecclesiale e si qualifica essenzialmente come una spiritualità di comunione vissuta con tutti i figli di Dio nell'incorporazione a Cristo e nella sua sequela, secondo le esigenze del Vangelo. La spiritualità del Vescovo ha anche una sua specificità: infatti, in quanto pastore, servitore del Vangelo e sposo della Chiesa, egli deve rivivere, insieme al suo presbiterio, l'amore sponsale di Cristo nei riguardi della Chiesa sposa, nell'intimità della preghiera e nella donazione di sé ai fratelli e alle sorelle, affinché ami la Chiesa con cuore nuovo e mediante il suo amore la mantenga unita nella carità. Per questo, il Vescovo promuoverà instancabilmente con ogni mezzo la santità dei fedeli e si adopererà affinché il Popolo di Dio cresca nella grazia mediante la celebrazione dei sacramenti. In forza della comunione con Cristo Capo, il Vescovo ha lo stretto obbligo di presentarsi come il perfezionatore dei fedeli, e cioè maestro, promotore ed esempio della perfezione cristiana per i chierici, i consacrati attraverso i consigli evangelici e i laici, ciascuno secondo la sua particolare vocazione. Questa ragione deve portarlo a unirsi a Cristo nel discernere la volontà del Padre, in modo che "il pensiero del Signore" ( 1 Cor 2,16 ) occupi interamente il suo modo di pensare, di sentire e di comportarsi in mezzo agli uomini. La sua meta deve essere una santità sempre più grande, affinché possa dire con verità: "Fatevi miei imitatori come io lo sono di Cristo" ( 1 Cor 11,1 ). 35. Spiritualità mariana. Dal profilo mariano della Chiesa la spiritualità del Vescovo assume una connotazione mariana. L'icona della Chiesa nascente che vede Maria, unita agli Apostoli e ai discepoli di Gesù, nella preghiera unanime e perseverante, in attesa dello Spirito Santo, esprime il vincolo indissolubile che lega la Madonna ai Successori degli Apostoli. Ella in quanto madre, sia dei fedeli che dei pastori, modello e tipo della Chiesa sostiene il Vescovo nel suo impegno interiore di conformazione a Cristo e nel suo servizio ecclesiale. Alla scuola di Maria il Vescovo apprende la contemplazione del volto di Cristo, trova consolazione nello svolgimento della sua missione ecclesiale e forza per annunciare il Vangelo della salvezza. L'intercessione materna di Maria accompagna la preghiera fiduciosa del Vescovo per penetrare più profondamente nelle verità della fede e custodirla integra e pura come lo fu nel cuore della Madonna, per ravvivare la sua fiduciosa speranza, che già vede realizzata nella "Madre di Gesù glorificata nel corpo e nell'anima" e alimentare la sua carità affinché l'amore materno di Maria animi tutta la missione apostolica del Vescovo. In Maria, che "brilla innanzi al Popolo di Dio pellegrinante sulla terra", il Vescovo contempla ciò che la Chiesa è nel suo mistero, vede già raggiunta la perfezione della santità alla quale egli deve tendere con tutte le sue forze e la addita come modello di intima unione con Dio ai fedeli che gli sono stati affidati. Maria "donna Eucaristica" insegna al Vescovo ad offrire quotidianamente la sua vita nella Messa. Sull'altare egli farà proprio il fiat con cui la Madonna ha offerto se stessa nel momento gioioso dell'Annunciazione ed in quello doloroso sotto la croce del suo Figlio. Sarà proprio l'Eucaristia, "fonte e culmine di tutta l'evangelizzazione", alla quale sono strettamente uniti i Sacramenti a far sì che la devozione mariana del Vescovo sia esemplarmente riferita alla Liturgia, dove la Vergine ha una particolare presenza nella celebrazione dei misteri della salvezza ed è per tutta la Chiesa modello esemplare dell'ascolto e della preghiera, dell'offerta e della maternità spirituale. 36. La preghiera. La fecondità spirituale del ministero del Vescovo dipende dall'intensità della sua vita di unione con il Signore. È dalla preghiera che un Vescovo deve attingere luce, forza e conforto nella sua attività pastorale. La preghiera è per un Vescovo come il bastone al quale appoggiarsi nel suo cammino di ogni giorno. Il Vescovo che prega non si scoraggia davanti alle difficoltà per quanto gravi, perché sente Dio accanto e trova rifugio, serenità e pace fra le sue braccia paterne. Aprendosi poi con fiducia a Dio, si apre con maggiore generosità al prossimo diventando capace di costruire la storia secondo il progetto divino. La consapevolezza di questo dovere comporta che il Vescovo ogni giorno celebri l'Eucaristia e preghi la Liturgia delle Ore, si dedichi all'adorazione della SS. Eucaristia davanti al Tabernacolo e alla recita del Rosario, alla frequente meditazione della Parola di Dio e alla lectio divina. Tali mezzi alimentano la sua fede e la vita secondo lo Spirito, necessaria per vivere pienamente la carità pastorale nella quotidianità dello svolgimento del ministero, nella comunione con Dio e nella fedeltà alla sua missione. II. Le virtù del Vescovo 37. L'esercizio delle virtù teologali. È evidente che la santità alla quale è chiamato il Vescovo esige l'esercizio delle virtù, in primo luogo quelle teologali, perché per loro natura dirigono l'uomo direttamente a Dio. Il Vescovo, uomo di fede, speranza e carità, regoli la sua vita sui consigli evangelici e sulle beatitudini ( cf. Mt 5,1-12 ), cosicché anch'egli, come fu comandato agli Apostoli ( cf. At 1,8 ), possa essere testimone di Cristo davanti agli uomini, documento vero ed efficace, fedele e credibile della grazia divina, della carità e delle altre realtà soprannaturali. 38. La carità pastorale. La vita del Vescovo, gravata da tanti pesi ed esposta al rischio della dispersione a causa della molteplice diversità delle occupazioni, trova la sua unità interiore e la fonte delle sue energie nella carità pastorale, la quale, a buon diritto, deve chiamarsi il vincolo della perfezione episcopale ed è come il frutto della grazia e del carattere del sacramento dell'Episcopato. "Sant'Agostino definisce la totalità di questo ministero episcopale come amoris officium. Questo dona la certezza che mai, nella Chiesa, verrà meno la carità pastorale di Cristo". La carità pastorale del Vescovo è l'anima del suo apostolato. "Si tratta non soltanto di una existentia, ma pure di una pro-existentia, di un vivere, cioè, che si ispira al modello supremo costituito da Cristo Signore, e che si spende perciò totalmente nell'adorazione del Padre e nel servizio dei fratelli". Infiammato da questa carità, il Vescovo sia portato alla pia contemplazione ed imitazione di Gesù Cristo e del suo disegno di salvezza. La carità pastorale unisce il Vescovo a Gesù Cristo, alla Chiesa, al mondo che occorre evangelizzare, e lo rende idoneo a fungere da ambasciatore per Cristo ( cf. 2 Cor 5,20 ) con decoro e competenza, a spendersi ogni giorno per il clero e il popolo affidatigli e ad offrirsi a guisa di vittima sacrificale a pro dei fratelli. Avendo accettato l'ufficio di pastore con la prospettiva non della tranquillità ma della fatica, il Vescovo eserciti la sua autorità nello spirito di servizio e la consideri come una vocazione a servire tutta la Chiesa con le disposizioni stesse del Signore. Il Vescovo dovrà dare il massimo esempio di carità fraterna e di senso collegiale amando ed aiutando spiritualmente e materialmente il Vescovo Coadiutore, Ausiliare ed emerito, il presbiterio diocesano, i diaconi ed i fedeli, soprattutto i più poveri e bisognosi. La sua casa sarà aperta come lo sarà il suo cuore per accogliere, consigliare, esortare e consolare. La carità del Vescovo si estenderà ai Pastori delle diocesi vicine, particolarmente a quelli appartenenti alla stessa metropolia e ai Vescovi che ne abbiano necessità. 39. La fede e lo spirito di fede. Il Vescovo è uomo di fede, conforme a quanto la Sacra Scrittura afferma di Mosè che, nel condurre il popolo d'Egitto verso la terra promessa, "rimase saldo come se vedesse l'invisibile" ( Eb 11,27 ). Il Vescovo tutto giudichi, tutto compia, tutto sopporti alla luce della fede, e interpreti i segni dei tempi ( cf. Mt 16,4 ) per scoprire ciò che lo Spirito Santo trasmette alle Chiese in ordine all'eterna salvezza ( cf. Ap 2,7 ). Ne sarà capace se nutre la sua ragione e il suo cuore "con le parole della fede e della buona dottrina" ( 1 Tm 4,6 ), e coltiva con diligenza il suo sapere teologico e lo accresce sempre più con dottrine provate, antiche e nuove, in piena sintonia, in materia di fede e di costumi, con il Romano Pontefice e con il Magistero della Chiesa. 40. La speranza in Dio, fedele alle sue promesse. Sostenuto dalla fede in Dio, che è "fondamento delle realtà che si sperano e prova di quelle che non si vedono" ( Eb 11,1 ), il Vescovo aspetterà da Lui ogni bene, e riporrà nella divina Provvidenza la massima fiducia. Egli ripeterà con san Paolo: "tutto posso in colui che mi dà la forza" ( Fil 4,13 ), memore dei santi Apostoli e di tanti Vescovi i quali, pur sperimentando grandi difficoltà ed ostacoli di ogni genere, tuttavia predicarono il Vangelo di Dio con tutta franchezza ( cf. At 4,29-31; At 19,8; At 28,31 ). La speranza, la quale "non delude" ( Rm 5,5 ), stimola nel Vescovo lo spirito missionario, che lo indurrà ad affrontare le imprese apostoliche con inventiva, a portarle avanti con fermezza e a realizzarle fino alla conclusione. Il Vescovo sa, infatti, di essere stato mandato da Dio, signore della storia ( cf. 1 Tm 1,17 ), per edificare la Chiesa nel luogo e nei "tempi e momenti che il Padre ha riservato alla sua scelta" ( At 1,7 ). Di qui anche quel sano ottimismo che il Vescovo vivrà personalmente e, per così dire, irradierà negli altri, specialmente nei suoi collaboratori. 41. La prudenza pastorale. Nel pascere il gregge affidatogli, al Vescovo reca un grandissimo aiuto la virtù della prudenza, che è saggezza pratica e arte di buon governo, che domanda atti opportuni e idonei alla realizzazione del piano divino della salvezza e al conseguimento del bene delle anime e della Chiesa, posponendo ogni considerazione puramente umana. È perciò necessario che il Vescovo modelli il suo modo di governare tanto sulla saggezza divina, la quale gli insegna a considerare gli aspetti eterni delle cose, come sulla prudenza evangelica, che gli fa tenere sempre presenti, con abilità di architetto ( cf. 1 Cor 3,10 ), le mutevoli esigenze del Corpo di Cristo. Come pastore prudente, il Vescovo si mostri pronto ad assumere le proprie responsabilità e a favorire il dialogo con i fedeli, a far valere le proprie attribuzioni, ma anche a rispettare i diritti degli altri nella Chiesa. La prudenza gli farà conservare le legittime tradizioni della sua Chiesa particolare, ma al tempo stesso ne farà un promotore del lodevole progresso e uno zelante ricercatore di iniziative nuove, pur nella salvaguardia della necessaria unità. In tal modo, la comunità diocesana camminerà per la via di una sana continuità e di un doveroso adattamento alle nuove legittime esigenze. La prudenza pastorale condurrà il Vescovo a tenere presente l'immagine pubblica che egli offre, quella che emerge nei mezzi di comunicazione sociale e a valutare l'opportunità della sua presenza in determinati luoghi o riunioni sociali. Consapevole del suo ruolo, tenendo presenti le attese che egli suscita e l'esempio che deve dare, il Vescovo userà con tutti cortesia, buone maniere, cordialità, affabilità e dolcezza, come segno della sua paternità e fraternità. 42. La fortezza e l'umiltà. Poiché, come scrive san Bernardo, "la prudenza è madre della fortezza - Fortitudinis matrem esse prudentiam -", anche di questa si richiede l'esercizio da parte del Vescovo. Egli infatti necessita di essere paziente nel sopportare le avversità per il Regno di Dio, nonché coraggioso e fermo nelle decisioni prese secondo la retta norma. È per la fortezza che il Vescovo non esiterà a dire con gli Apostoli "noi non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato" ( At 4,20 ) e, senza alcun timore di perdere il favore degli uomini, non dubiterà nell'agire coraggiosamente nel Signore contro ogni forma di prevaricazione e di prepotenza. La fortezza si deve temperare con la dolcezza, secondo il modello di chi è "mite e umile di cuore" ( Mt 11,29 ). Nel guidare i fedeli, il Vescovo procuri di armonizzare il ministero della misericordia con l'autorità del governo, la dolcezza con la forza, il perdono con la giustizia, consapevole che "certe situazioni, infatti, non si superano con l'asprezza o la durezza, né con modi imperiosi, bensì più con l'ammaestramento che col comando, con l'ammonimento che con la minaccia". Al tempo stesso, il Vescovo deve operare con l'umiltà che nasce dalla consapevolezza della propria debolezza, la quale – come afferma San Gregorio Magno – è la prima virtù. Infatti egli sa di aver bisogno della compassione dei fratelli, come tutti gli altri cristiani, e come loro è obbligato a preoccuparsi della propria salvezza "con timore e tremore" ( Fil 2,12 ). Inoltre, la quotidiana cura pastorale, che offre al Vescovo maggiori possibilità di prendere decisioni a propria discrezione, gli presenta anche più occasioni di errore, quantunque in buona fede: ciò lo induce ad essere aperto al dialogo con gli altri e incline a chiedere e accettare i consigli altrui, sempre disposto ad imparare. 43. L'obbedienza alla volontà di Dio. Cristo, fattosi "obbediente fino alla morte e alla morte di croce" ( Fil 2,8 ), ( Cristo ) il cui cibo fu la volontà del Padre ( cf. Gv 4,34 ), sta continuamente innanzi agli occhi del Vescovo come il più alto esempio di quell'obbedienza che fu causa della nostra giustificazione ( cf. Rm 5,19 ). Conformandosi a Cristo, il Vescovo rende uno splendido servizio all'unità e alla comunione ecclesiale e, con la sua condotta, dimostra che nella Chiesa nessuno può legittimamente comandare agli altri se prima non offre se stesso come esempio di obbedienza alla Parola di Dio e all'autorità della Chiesa. 44. Il celibato e la perfettaù continenza. Il celibato, promesso solennemente prima di ricevere gli Ordini sacri, richiede al Vescovo di vivere la continenza "per amore del regno dei cieli" ( Mt 19,12 ), sulle orme di Gesù vergine, in modo da dimostrare a Dio e alla Chiesa il suo amore indiviso e la sua totale disponibilità al servizio, e offrire al mondo una fulgida testimonianza del Regno futuro. Anche per questo motivo il Vescovo, confidando nell'aiuto divino, pratichi volentieri la mortificazione del cuore e del corpo, non solo come esercizio di disciplina ascetica, ma anche e più per portare in se stesso "la morte di Gesù" ( 2 Cor 4,10 ). Infine col suo esempio e la sua parola, con la sua azione paterna e vigile il Vescovo non può ignorare o tralasciare l'impegno di offrire al mondo la verità di una Chiesa santa e casta, nei suoi ministri e nei suoi fedeli. Nei casi in cui si verifichino situazioni di scandalo, specie da parte dei ministri della Chiesa, il Vescovo deve essere forte e deciso, giusto e sereno nei suoi interventi. In tali deplorevoli casi, il Vescovo è tenuto ad intervenire prontamente, secondo le norme canoniche stabilite, sia per il bene spirituale delle persone coinvolte, sia per la riparazione dello scandalo, sia per la protezione e l'aiuto alle vittime. Operando in questo modo e vivendo in perfetta castità, il pastore precede il suo gregge come Cristo, lo Sposo che ha donato la sua vita per noi e che ha lasciato a tutti l'esempio di un amore limpido e verginale e, perciò, anche fecondo e universale. 45. La povertà affettiva ed effettiva. Per rendere testimonianza al Vangelo di fronte al mondo e di fronte alla comunità cristiana, il Vescovo con i fatti e con le parole deve seguire l'eterno Pastore, il quale "da ricco che era, si è fatto povero per noi, perché noi diventassimo ricchi per mezzo della sua povertà" ( 2 Cor 8,9 ). Pertanto egli dovrà essere ed apparire povero, sarà instancabilmente generoso nell'elemosina e condurrà una vita modesta che, senza togliere dignità al suo ufficio, tenga però conto delle condizioni socio-economiche dei suoi figli. Come esorta il Concilio, cerchi di evitare tutto ciò che possa in qualsiasi modo indurre i poveri ad allontanarsi, e più ancora degli altri discepoli del Signore veda di eliminare nelle proprie cose ogni ombra di vanità. Sistemi la propria abitazione in modo tale che nessuno possa ritenerla inaccessibile, né debba, anche se di condizione molto umile, trovarsi a disagio in essa. Semplice nel contegno, cerchi di essere affabile con tutti e non indulga mai a favoritismi col pretesto del censo o della condizione sociale. Si comporti da padre con tutti, ma in speciale modo con le persone di umile condizione: egli sa di essere stato, come Gesù ( cf. Lc 4,18 ), unto di Spirito Santo e inviato principalmente per annunciare il Vangelo ai poveri. "In questa prospettiva di condivisione e di semplicità, il Vescovo amministra i beni della Chiesa come il buon padre di famiglia e vigila affinché essi siano impiegati secondo i fini propri della Chiesa: il culto di Dio, il sostentamento dei ministri, le opere di apostolato, le iniziative di carità verso i poveri". In tempo opportuno egli farà il suo testamento disponendo che, se gli rimarrà qualcosa come proveniente dall'altare, torni interamente all'altare. 46. Esempio di santità. La tensione verso la santità richiede al Vescovo di coltivare seriamente la vita interiore, con i mezzi di santificazione che sono utili e necessari a ogni cristiano e specialmente ad un uomo consacrato dallo Spirito Santo per reggere la Chiesa e per diffondere il Regno di Dio. Anzitutto cercherà di adempiere fedelmente e indefessamente i doveri del suo ministero episcopale, quale via della sua propria vocazione alla santità. Il Vescovo, come capo e modello dei presbiteri e dei fedeli, riceva esemplarmente i sacramenti, che gli sono necessari per alimentare la sua vita spirituale come a ogni membro della Chiesa. In particolare, il Vescovo farà del Sacramento dell'Eucaristia, che celebrerà quotidianamente preferendo la forma comunitaria, il centro e la fonte del suo ministero e della sua santificazione. Si accosterà frequentemente al Sacramento della Penitenza per riconciliarsi con Dio ed essere ministro di riconciliazione nel Popolo di Dio. Se si ammala ed è in pericolo di vita, sia sollecito nel ricevere l'Unzione degli infermi e il santo Viatico, con solennità e partecipazione di clero e popolo, per comune edificazione. Mensilmente cercherà di riservare un congruo tempo per il ritiro spirituale ed annualmente per gli esercizi spirituali. Così la sua vita, malgrado molteplici impegni e attività, sarà saldamente basata sul Signore e troverà nell'esercizio stesso del ministero episcopale la via della santificazione. 47. Le doti umane. Nell'esercizio della sua sacra potestà, il Vescovo deve mostrarsi ricco di umanità, come Gesù, il quale è perfetto uomo. Per questo, nel suo comportamento debbono rifulgere quelle virtù e doti umane che scaturiscono dalla carità e che sono giustamente apprezzate nella società. Tali doti e virtù umane sono di aiuto alla prudenza pastorale e le consentono di tradursi continuamente in atti di saggia cura d'anime e di buon governo. Tra queste doti vanno ricordate: una ricca umanità, un animo buono e leale, un carattere costante e sincero, una mente aperta e lungimirante, sensibile alle gioie e alle sofferenze altrui, una larga capacità di autocontrollo, gentilezza, sopportazione e riserbo, una sana propensione al dialogo e all'ascolto, un'abituale disposizione al servizio. Queste qualità devono essere sempre coltivate dal Vescovo e fatte progredire costantemente. 48. L'esempio dei santi Vescovi. Durante il suo ministero, il Vescovo guarderà all'esempio dei santi Vescovi la cui vita, dottrina e santità sono in grado d'illuminare ed orientare il suo cammino spirituale. Tra i numerosi santi pastori, egli avrà come guida, a partire dagli Apostoli, i grandi Vescovi dei primi secoli della Chiesa, i fondatori delle Chiese particolari, i testimoni della fede in tempi di persecuzione, i grandi ricostruttori delle diocesi dopo le persecuzioni e le calamità, coloro che si sono prodigati per i poveri e i sofferenti costruendo ospizi ed ospedali, i fondatori di Ordini di Congregazioni religiose, senza dimenticare i suoi predecessori nella sede che hanno brillato per santità di vita. Affinché sia conservata sempre viva la memoria dei Vescovi eminenti nell'esercizio del loro ministero, il Vescovo con il presbiterio o la Conferenza Episcopale si adopererà di farne conoscere ai fedeli la figura attraverso biografie aggiornate e, se è il caso, di introdurre le loro cause di canonizzazione. III. La Formazione permanente del Vescovo 49. Il dovere della formazione permanente. Il Vescovo sentirà come proprio impegno il dovere della formazione permanente che accompagna tutti i fedeli, in ogni periodo e condizione della loro vita come ad ogni livello di responsabilità ecclesiale. Il dinamismo del sacramento dell'Ordine, la stessa vocazione e missione episcopale nonché il dovere di seguire attentamente i problemi e le questioni concrete della società da evangelizzare, chiedono al Vescovo di crescere quotidianamente verso la pienezza della maturità di Cristo ( cf. Ef 4,13 ), affinché anche attraverso la testimonianza della propria maturità umana, spirituale ed intellettuale nella carità pastorale, attorno alla quale deve incentrarsi l'itinerario formativo del Vescovo, risplenda sempre più chiaramente la carità di Cristo e la stessa sollecitudine della Chiesa verso tutti gli uomini. 50. Formazione umana. In quanto pastore del Popolo di Dio, il Vescovo alimenterà continuamente la sua formazione umana, strutturando la sua personalità episcopale con il dono della grazia, secondo le virtù umane già ricordate. La maturazione di tali virtù è necessaria affinché il Vescovo approfondisca la propria sensibilità umana, le sue capacità di accoglienza e di ascolto, di dialogo e di incontro, di conoscenza e di condivisione, in modo che renda la sua umanità più ricca, più autentica, semplice e trasparente della stessa sensibilità del Buon Pastore. Come Cristo, il Vescovo deve saper offrire la più genuina e perfetta umanità per condividere la vita quotidiana dei suoi fedeli ed essere partecipe ai loro momenti di gioia e di sofferenza. La stessa maturità di cuore e di umanità è richiesta al Vescovo per esercitare la sua autorità episcopale che, come quella del buon padre, è un autentico servizio all'unità e al retto ordine della famiglia dei figli di Dio. L'esercizio dell'autorità pastorale richiede al Vescovo la costante ricerca di un sano equilibrio di tutte le componenti della sua personalità e del senso del realismo per saper discernere e decidere serenamente e liberamente, avendo di mira soltanto il bene comune e quello delle persone. 51. Formazione spirituale. Il cammino della formazione umana del Vescovo è intrinsecamente unito alla sua maturazione spirituale personale. La missione santificatrice del Vescovo gli richiede di assimilare e vivere la vita nuova della grazia battesimale e quella del ministero pastorale a cui è stato chiamato dallo Spirito Santo, nella continua conversione e nella condivisione sempre più profonda dei sentimenti e degli atteggiamenti di Gesù Cristo. La continua formazione spirituale permetterà al Vescovo di animare la pastorale dell'autentico spirito di santità, promuovendo l'universale chiamata alla santità, di cui egli deve essere l'instancabile sostenitore. 52. Formazione intellettuale e dottrinale. Il Vescovo, consapevole di essere nella Chiesa particolare il moderatore di tutto il ministero della Parola e di aver ricevuto il ministero di araldo della fede, di dottore autentico e di testimone della divina e cattolica verità, dovrà approfondire la sua preparazione intellettuale, attraverso lo studio personale e l'aggiornamento culturale serio e impegnato. Il Vescovo, infatti deve saper cogliere e valutare le correnti di pensiero, gli orientamenti antropologici e scientifici del nostro tempo per discernerli e rispondere, alla luce della Parola di Dio e nella fedeltà alla dottrina e disciplina della Chiesa, alle nuove domande che sorgono dalla società. L'aggiornamento teologico sarà necessario al Vescovo per approfondire l'insondabile ricchezza del mistero rivelato, custodire ed esporre fedelmente il deposito della fede, condurre un rapporto di collaborazione rispettoso e fecondo con i teologi. Tale dialogo permetterà nuovi approfondimenti del mistero cristiano nella sua verità più profonda, una intelligenza sempre più viva della Parola di Dio, l'acquisizione di metodi e i linguaggi appropriati per presentarlo al mondo contemporaneo. Attraverso l'aggiornamento teologico, il Vescovo potrà fondare sempre più adeguatamente la sua funzione magisteriale per illuminare il Popolo di Dio. L'aggiornata conoscenza teologica permetterà al Vescovo anche di vigilare affinché le varie proposte teologiche che vengono avanzate siano conformi ai contenuti della Tradizione, respingendo le obiezioni alla sana dottrina e le sue deformazioni. 53. Formazione pastorale. La formazione permanente del Vescovo riguarda anche la dimensione pastorale che finalizza e conferisce determinati contenuti e precise caratteristiche agli altri aspetti della formazione del Vescovo. Il cammino della Chiesa che vive nel mondo richiede al Vescovo di essere attento ai segni dei tempi e di aggiornare gli stili ed i comportamenti, in modo che la sua azione pastorale sia più efficace e risponda alle esigenze della società. La formazione pastorale richiede nel Vescovo il discernimento evangelico della situazione socio-culturale, momenti di ascolto, di comunione e di dialogo con il proprio presbiterio, soprattutto con i parroci che, per la loro missione, possono avvertire con maggiore sensibilità i cambiamenti e le esigenze dell'evangelizzazione. Sarà prezioso per il Vescovo scambiare con loro esperienze, verificare metodi e valutare nuove risorse pastorali. L'apporto ed il dialogo con pastoralisti e con esperti nelle scienze socio-pedagogiche aiuterà il Vescovo nella sua formazione pastorale, come lo aiuteranno la conoscenza e l'approfondimento della legge, dei testi e dello spirito della liturgia. I quattro aspetti della formazione permanente, umana, spirituale, intellettuale-dottrinale e pastorale pur nella loro complementarietà, devono essere perseguiti unitariamente dal Vescovo. Tutta la sua formazione è finalizzata ad una più profonda conoscenza del volto di Cristo e ad una comunione di vita con il Buon Pastore. Nel volto del Vescovo i fedeli contemplino le qualità che sono dono della grazia e che nella proclamazione delle Beatitudini corrispondono all'autoritratto di Cristo: il volto della povertà, della mitezza e della passione per la giustizia; il volto misericordioso del Padre e dell'uomo pacifico e pacificatore, costruttore della pace; il volto della purezza di chi guarda costantemente ed unicamente a Dio e che rivive la compassione di Gesù con gli afflitti; il volto della fortezza e della gioia interiore di chi è perseguitato a causa della verità del Vangelo. 54. I mezzi della formazione permanente. Come gli altri membri del Popolo di Dio sono i primi responsabili della propria formazione, così il Vescovo dovrà sentire come proprio dovere quello di attivarsi personalmente per la sua costante formazione integrale. In forza della sua missione nella Chiesa, egli dovrà dare soprattutto in questo campo l'esempio ai fedeli che guardano a lui come modello del discepolo che si pone alla scuola di Cristo per seguirlo con quotidiana fedeltà nella via della verità e dell'amore, plasmando la propria umanità con la grazia della comunione divina. Per la sua formazione permanente, il Vescovo attuerà quei mezzi che la Chiesa ha sempre suggerito e che sono indispensabili per caratterizzare la spiritualità del Vescovo e, più in generale, per confidare nella grazia. La comunione con Dio nella preghiera quotidiana darà quella serenità di spirito e quella prudente intelligenza che permetteranno al Vescovo di accogliere le persone con paterna disponibilità e valutare con la necessaria ponderatezza le varie questioni del governo pastorale. L'esercizio di una ricca umanità, sapiente, equilibrata, gioiosa, paziente sarà facilitato dal necessario riposo. Sull'esempio stesso di Gesù, che invitava gli Apostoli a riposarsi dopo le fatiche del ministero ( cf. Mc 6,31 ), non dovranno mancare nella giornata del Vescovo sufficienti ore di riposo, periodicamente un giorno libero, un tempo di vacanza all'anno, secondo le norme stabilite dalla disciplina della Chiesa. Il Vescovo dovrà tener presente che la Sacra Scrittura per indicare la necessità del riposo si esprime dicendo che Dio stesso, al termine dell'opera della creazione, si riposò il settimo giorno ( cf. Gen 2,2 ). Tra i mezzi per la propria formazione permanente, il Vescovo dovrà privilegiare l'approfondimento dei documenti dottrinali e pastorali del Romano Pontefice, della Curia Romana, della Conferenza Episcopale e dei confratelli Vescovi, non solo per essere in comunione con il Successore di Pietro e con la Chiesa universale, ma anche per trarne orientamento per la sua opera pastorale e per saper illuminare i fedeli davanti alle grandi questioni che la società contemporanea continuamente pone ai cristiani. Il Vescovo dovrà seguire, attraverso lo studio, il cammino della teologia, per approfondire la conoscenza del mistero cristiano, per valutare, discernere e vigilare sulla purezza e l'integrità della fede. Con lo stesso impegno, il Vescovo seguirà le correnti culturali e sociali di pensiero per comprendere "i segni dei tempi" e valutarli alla luce della fede, del patrimonio del pensiero cristiano e della filosofia perennemente valida. Con particolare sollecitudine il Vescovo parteciperà, per quanto possibile, agli incontri di formazione organizzati dalle varie istanze ecclesiali: da quello che la Congregazione per i Vescovi organizza annualmente per i Presuli ordinati nell'anno, a quelli organizzati dalle Conferenze Episcopali Nazionali o Regionali o dai Consigli internazionali di esse. Occasioni per la formazione permanente del Vescovo sono anche gli incontri del presbiterio diocesano che egli stesso organizza insieme ai suoi collaboratori nella Chiesa particolare o le altre iniziative culturali attraverso le quali viene gettato il seme della verità nel campo del mondo. Su alcuni temi di grande importanza, il Vescovo non mancherà di prevedere momenti prolungati di ascolto, di dialogo con persone esperte, in una comunione di esperienze, di metodi, di nuove risorse di pastorale e di vita spirituale. Il Vescovo non dovrà mai dimenticare che la vita di comunione con gli altri membri del Popolo di Dio, la vita quotidiana della Chiesa ed il contatto con i presbiteri ed i fedeli rappresentano sempre momenti in cui lo Spirito parla al Vescovo, richiamandogli la sua vocazione e missione e formando il suo cuore attraverso la vita viva della Chiesa. È per questo che il Vescovo dovrà porsi in atteggiamento di ascolto di quanto lo Spirito dice alla Chiesa e nella Chiesa. Capitolo IV Il ministero del Vescovo nella Chiesa particolare "Pascete il gregge di Dio che vi è affidato, sorvegliandolo non per forza ma volentieri, secondo Dio; non per vile interesse, ma di buon animo; non spadroneggiando sulle persone a voi affidate, ma facendovi modelli del gregge. E quando apparirà il pastore supremo, riceverete la corona della gloria che non appassisce" ( 1 Pt 5,2-4 ). I. Principi Generali sul Governo Pastorale del Vescovo 55. Alcuni principi fondamentali. Nello svolgimento del ministero episcopale, il Vescovo diocesano si lascerà guidare da alcuni principi fondamentali che caratterizzano il suo modo di agire ed informano la sua stessa vita. Tali principi restano validi al di là delle circostanze di luogo e di tempo e sono il segno della sollecitudine pastorale del Vescovo verso la Chiesa particolare che gli è stata affidata e verso la Chiesa universale di cui è corresponsabile, in quanto membro del Collegio dei Vescovi con a capo il Romano Pontefice. 56. Il principio Trinitario. Il Vescovo non dimentica che è stato posto a reggere la Chiesa di Dio nel nome del Padre, del quale rende presente l'immagine; nel nome di Gesù Cristo suo Figlio, dal quale è stato costituito maestro, sacerdote e pastore; nel nome dello Spirito Santo che dà vita alla Chiesa. Lo Spirito Santo sostiene costantemente la sua missione pastorale e salvaguarda l'unica sovranità di Cristo. Rendendo presente il Signore, attuando la sua parola, la sua grazia, la sua legge, il ministero del Vescovo è un servizio agli uomini che aiuta a conoscere e a seguire la volontà dell'unico Signore di tutti. 57. Il principio della verità. In quanto maestro e dottore autentico della fede, il Vescovo fa della verità rivelata il centro della sua azione pastorale ed il primo criterio con il quale valuta opinioni e proposte che emergono sia nella comunità cristiana che nella società civile e, nello stesso tempo, con la luce della verità illumina il cammino della comunità umana, donando speranza e certezze. La Parola di Dio ed il Magistero della tradizione viva della Chiesa sono punti irrinunciabili di riferimento non solo per l'insegnamento del Vescovo, ma anche per il suo governo pastorale. Il buon governo chiede al Vescovo di ricercare personalmente con tutte le sue forze la verità e di impegnarsi a perfezionare il suo insegnamento e a curare, più che la quantità, la qualità dei suoi pronunciamenti. In tal modo eviterà il rischio di adottare soluzioni pastorali che sono solamente formali ma non rispondenti all'essenza e alla realtà dei problemi. La pastorale è autentica quando è ancorata alla verità. 58. Il principio della comunione. Nell'esercitare il ministero pastorale, il Vescovo si sente e si comporta come "visibile principio e fondamento" dell'unità della sua diocesi, ma sempre con l'animo e con l'azione rivolti all'unità dell'intera Chiesa cattolica. Egli promuoverà l'unità di fede, di amore e di disciplina, in modo che la diocesi si senta parte viva dell'intero Popolo di Dio. La promozione e la ricerca dell'unità, sarà proposta non come sterile uniformità, ma insieme alla legittima varietà, che il Vescovo è pure chiamato a tutelare e a promuovere. La comunione ecclesiale condurrà il Vescovo a ricercare sempre il bene comune della diocesi, ricordando che questo è subordinato a quello della Chiesa universale e che, a sua volta, il bene della diocesi prevale su quello delle comunità particolari. Per non ostacolare il legittimo bene particolare, il Vescovo si preoccupi di avere un'esatta conoscenza del bene comune della Chiesa particolare: conoscenza continuamente da aggiornare e verificare attraverso la frequentazione del Popolo di Dio affidatogli, la conoscenza delle persone, lo studio, le indagini socio-religiose, i consigli di persone prudenti, il dialogo costante con i fedeli, giacché le situazioni oggi sono soggette a rapidi mutamenti. 59. Il principio della collaborazione. L'ecclesiologia di comunione impegna il Vescovo a promuovere la partecipazione di tutti i membri del popolo cristiano all'unica missione della Chiesa; infatti tutti i cristiani, sia singolarmente sia associati tra loro, hanno il diritto e il dovere di collaborare, ciascuno secondo la propria vocazione particolare e secondo i doni ricevuti dallo Spirito Santo, alla missione che Cristo ha affidato alla Chiesa. I battezzati godono di una giusta libertà di opinione e di azione nelle cose non necessarie al bene comune. Nel governare la diocesi il Vescovo volentieri riconosca e rispetti questo sano pluralismo di responsabilità e questa giusta libertà sia delle persone sia delle associazioni particolari. Volentieri egli partecipi agli altri il senso della responsabilità individuale e comunitaria, e lo stimoli in coloro che occupano uffici e incarichi ecclesiali, manifestando loro tutta la sua fiducia: così essi assumeranno consapevolezza e adempiranno con zelo i compiti loro spettanti per vocazione o per disposizione dei sacri canoni. 60. Il principio del rispetto delle competenze. Il Vescovo, nel guidare la Chiesa particolare, attuerà il principio secondo il quale ciò che altri possono svolgere bene il Vescovo ordinariamente non lo accentra nelle sue mani; anzi, si mostra rispettoso delle legittime competenze altrui, concede ai collaboratori le opportune facoltà e favorisce le giuste iniziative, sia individuali sia associate, dei fedeli. Il Vescovo ritenga suo dovere non solo stimolare, incoraggiare e accrescere le forze che operano nella diocesi, ma anche coordinarle tra loro, salvi sempre la libertà e i diritti legittimi dei fedeli; così si evitano dannose dispersioni, inutili doppioni, deleterie discordie. Quando nel proprio territorio diocesano concorrano altre giurisdizioni ecclesiastiche di tipo personale, sia di rito latino ( es. ordinariati militari, ecc. ), sia di rito orientale, il Vescovo diocesano mostrerà il rispetto per le competenze delle altre autorità ecclesiastiche e la piena disponibilità per un fruttuoso coordinamento con esse, nello spirito pastorale e di collegialità affettiva. 61. Il principio della persona giusta al posto giusto. Nel conferire gli uffici all'interno della diocesi, il Vescovo sia guidato unicamente da criteri soprannaturali e dal solo bene pastorale della Chiesa particolare. Perciò egli guardi anzitutto al bene delle anime, rispetti la dignità delle persone e ne utilizzi le capacità, nel modo più idoneo e utile possibile, a servizio della comunità, assegnando sempre la persona giusta al posto giusto. 62. Il principio di giustizia e di legalità. Il Vescovo nel guidare la diocesi si atterrà al principio di giustizia e di legalità, sapendo che il rispetto dei diritti di tutti nella Chiesa esige la sottomissione di tutti, incluso egli stesso, alle leggi canoniche. I fedeli infatti hanno il diritto di essere guidati tenendo presenti i diritti fondamentali della persona, quelli dei fedeli e la disciplina comune della Chiesa, a tutela del bene comune e di quello dei singoli battezzati. Tale esempio del Vescovo condurrà i fedeli ad assolvere meglio i doveri di ciascuno nei confronti degli altri e della stessa Chiesa. Egli eviterà di governare secondo visioni e schemi personalistici riguardanti la realtà ecclesiale. II. La potestà episcopale 63. Il Vescovo centro di unità della Chiesa particolare. Alla cura pastorale del Vescovo, coadiuvato dal suo presbiterio, è affidata la diocesi che presiede con la sacra potestà, quale maestro di dottrina, sacerdote del culto e ministro del governo. Il Vescovo diocesano, nell'esercitare la sacra potestà abbia sempre dinanzi a sé l'esempio di Cristo e assuma l'autentico spirito di servizio evangelico, nei confronti della porzione del Popolo di Dio che gli è stata affidata. Nello svolgimento della sua missione, il Vescovo diocesano tenga costantemente presente che la comunità che presiede è una comunità di fede, che necessita di essere alimentata dalla Parola di Dio; una comunità di grazia, che viene continuamente edificata dal sacrificio eucaristico e dalla celebrazione degli altri sacramenti, attraverso i quali il popolo sacerdotale eleva a Dio il sacrificio della Chiesa e la sua lode. Una comunità di carità, spirituale e materiale, che sgorga dalla fonte dell'Eucaristia. Una comunità di apostolato, nella quale tutti i figli di Dio sono chiamati a diffondere le insondabili ricchezze di Cristo, manifestate in modo individuale o associati in gruppo. La diversità delle vocazioni e dei ministeri che struttura la Chiesa particolare chiede al Vescovo di esercitare il ministero della comunità non isolatamente, ma insieme ai suoi collaboratori, presbiteri e diaconi, con l'apporto dei membri degli Istituti di vita consacrata e delle Società di vita apostolica, che arricchiscono la Chiesa particolare con la fecondità dei carismi e la testimonianza della santità, della carità, della fraternità e della missione. Il Vescovo avrà la viva coscienza di essere nella diocesi il fondamento ed il visibile principio di unità della Chiesa particolare. Egli deve promuovere e tutelare continuamente la comunione ecclesiale nel presbiterio diocesano, in modo che il suo esempio di dedizione, di accoglienza, di bontà, di giustizia e di comunione effettiva ed affettiva con il Papa ed i confratelli nell'Episcopato, unisca sempre più i presbiteri tra loro e con lui e nessun presbitero si senta escluso dalla paternità, dalla fraternità e dall'amicizia del Vescovo. Questo spirito di comunione del Vescovo, incoraggerà i presbiteri nella sollecitudine pastorale per condurre alla comunione con Cristo e nell'unità della Chiesa particolare il popolo che è affidato alle loro cure pastorali. Verso i fedeli laici, il Vescovo si farà promotore di comunione inserendoli nell'unità della Chiesa particolare, secondo la vocazione e la missione loro propria, riconoscendone la giusta autonomia, ascoltandone il consiglio e valutandone con ogni sollecitudine le legittime richieste in ordine ai beni spirituali di cui necessitano. Accoglierà le aggregazioni laicali nella pastorale organica della diocesi, nel rispetto sempre dell'identità propria di ciascuna, valutandone i criteri di ecclesialità indicati dalla Esortazione apostolica post-sinodale Christifideles Laici, in modo che i membri delle associazioni, dei movimenti e dei gruppi ecclesiali uniti tra loro e con il Vescovo, collaborino con il presbiterio e con le istanze della diocesi all'avvento del regno di Dio nella società dove sono chiamati a immettere la novità del Vangelo e orientarla secondo Dio. 64. La potestà episcopale. L'origine divina, la comunione e la missione ecclesiale caratterizzano la potestà episcopale rispetto a quella esercitata in ogni altra società umana. Essa ha un'indole e un fine pastorale per promuovere l'unità della fede, dei sacramenti e della disciplina ecclesiale, nonché per ordinare adeguatamente la stessa Chiesa particolare, secondo le proprie finalità. Per compiere la sua missione il Vescovo diocesano esercita, in nome di Cristo, una potestà che, in quanto al diritto è annessa all'ufficio conferito con la missione canonica. Tale potestà è propria, ordinaria ed immediata, quantunque il suo esercizio sia regolato in definitiva dalla suprema autorità della Chiesa e quindi dal Romano Pontefice possa essere circoscritta entro certi limiti per il bene della Chiesa o dei fedeli. In virtù di questa potestà, i Vescovi hanno il sacro diritto, e davanti a Dio il dovere, di legiferare sui propri fedeli, di emettere giudizi e di regolare tutto quanto riguardi l'organizzazione del culto e dell'apostolato. Da qui la distinzione tra le funzioni legislativa, giudiziale ed esecutiva della stessa potestà episcopale. 65. Indole pastorale della potestà episcopale. Le funzioni di insegnare, santificare e governare sono intimamente congiunte e tutto il ministero del Vescovo è diretto, sull'esempio del Buon Pastore, al servizio di Dio e dei fratelli. Per compiere la sua missione, il Vescovo si serva dell'insegnamento, del consiglio e della persuasione, ma anche dell'autorità e della sacra potestà quando lo richieda l'edificazione dei fedeli. Infatti, pure il corretto uso degli strumenti giuridici è in se stesso un'attività pastorale, giacché le leggi canoniche nella società ecclesiale sono al servizio di un ordine giusto dove l'amore, la grazia e i carismi possono svilupparsi armoniosamente. Nel trattare i problemi e nel prendere le decisioni, la salvezza delle anime è legge suprema e canone inderogabile. Coerente quindi con questo principio, il Vescovo eserciti la sua autorità in modo che i fedeli della sua diocesi l'accettino come aiuto paterno e non già come giogo oppressivo: egli offra al suo gregge una guida dinamica e al tempo stesso discreta, che non impone pesi non necessari e insopportabili ( cf. Mt 23,4 ) ma esige soltanto ciò che Cristo e la sua Chiesa prescrivono, e ciò che è veramente necessario o molto utile alla salvaguardia dei vincoli della carità e della comunione. Come giudice prudente, il Vescovo giudicherà secondo quella sapiente equità canonica che è intrinseca a tutto l'ordinamento della Chiesa, avendo davanti agli occhi la persona, che in ogni circostanza va aiutata a raggiungere il suo bene soprannaturale, e il bene comune della Chiesa, per cui con animo misericordioso e benigno, ma anche fermo, sarà sempre al di sopra degli interessi personali e, alieno da ogni precipitazione o spirito di parte, attenderà di ascoltare gli interessati prima di giudicarne i comportamenti. 66. Dimensione ministeriale della potestà episcopale. Il Vescovo nell'esercitare la potestà episcopale ricordi che essa è principalmente un ministero, infatti, "questo incarico che il Signore affidò ai pastori del suo popolo è un vero servizio, che la Sacra Scrittura chiama a ragione diaconia, cioè ministero ( cf. At 1,17.25; At 21,19; Rm 11,13; 1 Tm 1,12 )". Il Vescovo consapevole che, oltre ad essere padre e capo della Chiesa particolare, è anche fratello in Cristo e fedele cristiano, non si comporti come se fosse al di sopra della legge, bensì si attenga alla stessa regola di giustizia che impone agli altri. In forza della dimensione diaconale del suo ufficio, il Vescovo eviti le maniere autoritarie nell'esercizio della sua potestà e sia pronto ad ascoltare i fedeli e a cercarne la collaborazione e il consiglio, attraverso i canali e gli organi stabiliti dalla disciplina canonica. C'è infatti una reciprocità, come una circolarità, tra il Vescovo e tutti i fedeli. Questi, in virtù del loro battesimo sono responsabili dell'edificazione del Corpo di Cristo, quindi del bene della Chiesa particolare, per cui il Vescovo, cogliendo le istanze che sorgono dalla porzione del Popolo di Dio che gli è affidata, in modo autoritativo propone ciò che coopera alla realizzazione della vocazione di ciascuno. Il Vescovo riconosca ed accetti la diversità multiforme dei fedeli, con le diverse vocazioni e carismi, e per questo sia attento a non imporre una forzata uniformità ed eviti inutili costrizioni o autoritarismi; il che non esclude – ma anzi presuppone – l'esercizio dell'autorità, unito al consiglio e all'esortazione, affinché le funzioni e le attività di ciascuno siano rispettate dagli altri e rettamente ordinate al bene comune. 67. Criteri dell'esercizio della funzione legislativa. Nell'esercizio della funzione legislativa, il Vescovo diocesano terrà presenti alcuni principi basilari: a) Il carattere personale: la potestà legislativa nell'ambito diocesano appartiene esclusivamente al Vescovo diocesano. Tale grave responsabilità non impedisce, anzi comporta, che il Vescovo ascolti il consiglio e ricerchi la collaborazione degli organi e dei consigli diocesani prima di emanare norme o direttive generali per la diocesi. Il Sinodo diocesano è lo strumento per eccellenza per prestare aiuto al Vescovo nel determinare l'ordinamento canonico della Chiesa diocesana. b) Autonomia: come conseguenza della natura stessa della Chiesa particolare, il significato della potestà legislativa non si esaurisce nella determinazione o applicazione locale delle norme emanate dalla Santa Sede o dalla Conferenza Episcopale, quando esse siano norme giuridicamente vincolanti, ma si estende anche alla regolazione di qualunque materia pastorale di ambito diocesano che non sia riservata alla suprema o ad altra autorità ecclesiastica. Cionondimeno, la potestà legislativa sia sempre esercitata con discrezione, in modo che le norme rispondano sempre a una reale necessità pastorale. c) Soggezione al diritto superiore: il Pastore diocesano sa bene che la sua potestà è soggetta alla suprema autorità della Chiesa e alle norme del Diritto Canonico. Per questo, nel disporre quanto convenga al bene della diocesi, deve sempre assicurare la necessaria armonia tra le disposizioni e gli orientamenti pastorali locali e la disciplina canonica universale e particolare determinata dalla Conferenza Episcopale o dal Concilio Particolare. d) Cura nel redigere le leggi: Il Vescovo avrà cura che i testi legislativi e i testi canonici siano redatti con precisione e rigore tecnico-giuridico evitando le contraddizioni, le ripetizioni inutili o la moltiplicazione di disposizioni su una stessa materia; porrà anche attenzione alla necessaria chiarezza affinché sia evidente la natura obbligatoria o orientativa delle norme e si conosca con certezza quali condotte vengono prescritte o proibite. A questo fine si avvarrà della competenza di specialisti in Diritto Canonico, che non dovranno mai mancare nella Chiesa particolare. Inoltre, per regolare come conviene un aspetto della vita diocesana, è condizione previa la precisa informazione sulla situazione della diocesi e le condizioni dei fedeli, giacché tale contesto ha un'influenza non indifferente nel modo di pensare e di agire dei cristiani. 68. Criteri dell'esercizio della funzione giudiziale. Nell' esercitare la funzione giudiziale, il Vescovo potrà avvalersi dei seguenti criteri generali: a) Purché ciò non comporti pregiudizio della giustizia, il Vescovo deve fare in modo che i fedeli risolvano in maniera pacifica le loro controversie e si riconcilino quanto prima, anche se il processo canonico fosse già iniziato, evitando così le permanenti animosità alle quali le cause giudiziarie sogliono dar luogo. b) Il Vescovo osservi e faccia osservare le norme di procedura stabilite per l'esercizio della potestà giudiziale, poiché sa bene che tali regole, lungi dall'essere un ostacolo meramente formale, sono un mezzo necessario per la verifica dei fatti e il conseguimento della giustizia. c) Se ha notizia di comportamenti che nuocciano gravemente al bene comune ecclesiale, il Vescovo deve investigare con discrezione, da solo o per mezzo di un delegato, sui fatti e la responsabilità del loro autore. Quando reputi di aver raccolto prove sufficienti dei fatti che hanno dato origine allo scandalo, proceda a riprendere o ammonire formalmente l'interessato. Ma ove ciò non bastasse per riparare lo scandalo, ristabilire la giustizia e conseguire l'emendazione della persona, il Vescovo dia inizio al procedimento per l'imposizione di pene, cosa che potrà fare in due modi: – mediante un regolare processo penale, nel caso in cui, per la gravità della pena, la legge canonica lo esiga o il Vescovo lo ritenga più prudente; – mediante un decreto extragiudiziale, conforme al procedimento stabilito nella legge canonica. d) Il Vescovo, conscio del fatto che il tribunale della diocesi esercita la sua stessa potestà giudiziaria, vigilerà affinché l'operato del suo tribunale si svolga secondo i principi dell'amministrazione della giustizia nella Chiesa. In particolare, tenuto conto della singolare importanza e rilevanza pastorale delle sentenze riguardanti la validità o nullità del matrimonio, dedicherà una particolare cura a tale settore, in sintonia con le indicazioni della Santa Sede, e all'occorrenza attuerà tutti i provvedimenti necessari per far si che cessino eventuali abusi, specialmente quelli che implichino il tentativo di introdurre una mentalità divorzista nella Chiesa. Eserciterà la sua parte di responsabilità anche nei riguardi dei tribunali costituiti per varie diocesi. 69. Criteri di esercizio della funzione esecutiva. Nell'esercizio della funzione esecutiva, il Vescovo terrà presenti i seguenti criteri: a) Verso i propri fedeli, può porre gli atti amministrativi anche se si trova fuori dal proprio territorio, o vi si trovino i fedeli stessi, a meno che non consti altro dalla natura della cosa o dalle disposizioni del diritto. b) Verso i forestieri, può porre gli atti amministrativi se si trovano nel territorio di sua competenza, qualora si tratti di concessioni di favori o di eseguire leggi, universali o particolari, che provvedono all'ordine pubblico, determinano formalità degli atti, o riguardano immobili situati nel territorio. c) La potestà esecutiva, non solo quando è ordinaria, ma anche quando è delegata per un insieme di casi, deve essere interpretata in senso largo. Quando è delegata per singoli casi, deve essere interpretata in senso stretto. d) Al delegato si intendono concesse quelle facoltà senza le quali la stessa funzione non può essere esercitata. e) Quando più soggetti sono competenti a compiere un atto, il fatto che ci si rivolga ad uno di essi non sospende la potestà degli altri, sia essa ordinaria o delegata. f) Quando un fedele deferisce il caso ad un'autorità superiore, l'inferiore non si deve intromettere nella questione, se non per una causa grave ed urgente. In tal caso egli deve avvertire immediatamente il superiore, per evitare che vi siano contraddizioni nelle decisioni. g) Quando si tratta di adottare provvedimenti straordinari di governo, in casi singolari, il Vescovo, prima di ogni altra cosa, cerchi le informazioni e le prove necessarie e, soprattutto nel limite del possibile si premuri di ascoltare gli interessati alla questione. A meno che non si frapponga causa gravissima, la decisione del Vescovo dovrà essere redatta per scritto e consegnata all'interessato. Nell'atto, senza ledere la buona fama delle persone, dovranno risultare con precisione i motivi, sia per giustificare la decisione, sia per evitare ogni apparenza di arbitrarietà ed eventualmente, per permettere all'interessato di ricorrere contro la decisione. h) Nei casi delle nomine ad tempus, scaduto il termine stabilito, sia per la certezza delle persone che per quella giuridica, il Vescovo deve provvedere con la massima sollecitudine o rinnovando formalmente la nomina del titolare allo stesso ufficio, o prorogandola per un periodo più breve di quello previsto, o comunicando la cessazione dall'ufficio e nominando il titolare ad un nuovo incarico. i) Il rapido disbrigo delle questioni è norma di ordinata amministrazione e anche di giustizia verso i fedeli. Quando la legge prescrive che il Vescovo prenda provvedimenti in una determinata questione o se l'interessato presenta legittimamente un'istanza o un ricorso, il decreto deve essere emesso entro tre mesi. l) Nell'uso delle sue ampie facoltà di dispensa dalle leggi ecclesiastiche, il Vescovo favorisca sempre il bene dei fedeli e dell'intera comunità ecclesiale, senza ombra di arbitrii o favoritismi. III. Il Vescovo Ausiliare, il Coadiutore e l'Amministratore Apostolico 70. Il Vescovo Ausiliare. Il Vescovo Ausiliare, che è dato per raggiungere più efficacemente il bene delle anime in una diocesi troppo estesa o con un elevato numero di abitanti o per altri motivi di apostolato, è il principale collaboratore del Vescovo diocesano nel governo della diocesi. Per questo egli consideri il Vescovo Ausiliare come fratello e lo renda partecipe dei suoi progetti pastorali, dei provvedimenti e di tutte le iniziative diocesane, affinché nel reciproco scambio di opinioni procedano in unità di intenti e in armonia di impegno. A sua volta il Vescovo Ausiliare, consapevole della sua funzione in seno alla diocesi, agirà sempre in piena obbedienza al Vescovo diocesano, rispettandone l'autorità. 71. Criteri per la richiesta del Vescovo Ausiliare. a) Il Vescovo diocesano, che intende avvalersi di un Vescovo Ausiliare, deve presentare motivata domanda alla Santa Sede quando lo richieda la reale necessità della diocesi. La richiesta non deve essere dettata da semplici ragioni di onore e di prestigio. b) Quando sia possibile provvedere adeguatamente ai bisogni della diocesi con la nomina di Vicari Generali o episcopali senza carattere vescovile, il Vescovo diocesano ricorra ad essi, anziché chiedere la nomina del Vescovo Ausiliare. c) Nella domanda per la concessione di un Vescovo Ausiliare, il Vescovo diocesano deve presentare una descrizione dettagliata degli uffici e dei compiti che egli intende affidare all'Ausiliare, anche quando si tratta di sostituire un Vescovo Ausiliare trasferito o dimissionario, assumendosi in prima persona l'impegno a valorizzare opportunamente il suo servizio episcopale per il bene dell'intera diocesi. Il Vescovo diocesano non deve affidare al Vescovo Ausiliare la cura d'anime in una parrocchia e incarichi solo marginali o occasionali. d) Il Vescovo Ausiliare, di norma, sarà costituito Vicario Generale, o almeno Vicario Episcopale, in modo che dipenda soltanto dall'autorità del Vescovo diocesano, il quale affiderà preferibilmente a lui la trattazione di questioni, che a norma del diritto, richiedano un mandato speciale. In circostanze particolarmente gravi, anche di carattere personale, la Santa Sede può nominare un Vescovo Ausiliare munito di facoltà speciali. 72. Il Vescovo Coadiutore. Quando le circostanze lo ritengano opportuno, la Santa Sede può nominare un Vescovo Coadiutore. Il Vescovo diocesano lo accoglierà volentieri e con spirito di fede e promuoverà un'effettiva comunione in forza della comune corresponsabilità episcopale instaurando autentici rapporti che con il Coadiutore devono essere ancora più intensi e fraterni, per il bene della diocesi. Il Vescovo diocesano terrà costantemente presente che il Vescovo Coadiutore ha il diritto di successione e quindi attuerà le proprie iniziative in pieno accordo con lui, in modo che resti facilmente aperta la via al futuro esercizio del ministero pastorale del proprio Coadiutore. Il Vescovo diocesano dimostrerà lo stesso accordo anche con l'Ausiliare munito di facoltà speciali. 73. L'Amministratore Apostolico "Sede plena". In circostanze particolari la Santa Sede può straordinariamente disporre che ad una diocesi che ha il proprio Vescovo sia preposto un Amministratore Apostolico. In tal caso il Vescovo diocesano collabora, per quanto gli compete, al pieno, libero e sereno espletamento del mandato dell'Amministratore Apostolico. 74. Rinuncia all'ufficio. Oltre che osservare quanto è previsto dal Codice di Diritto Canonico per il compimento del 75° anno di età, il Vescovo, quando per il venir meno delle forze o per una grande difficoltà di adattarsi alle nuove situazioni o per altro motivo diventi meno atto a compiere il proprio ufficio, voglia affrettarsi a presentare la rinuncia allo scopo di promuovere il bene delle anime e della Chiesa particolare. IV. Il Presbiterio 75. Il Vescovo e i sacerdoti della diocesi. Nell'esercizio della cura delle anime la principale responsabilità spetta ai presbiteri diocesani che, in forza dell'incardinazione o della dedizione ad una Chiesa particolare, sono consacrati interamente al suo servizio per pascere una medesima porzione del gregge del Signore. I presbiteri diocesani, infatti, sono i principali ed insostituibili collaboratori dell'ordine episcopale, insigniti dell'unico ed identico sacerdozio ministeriale di cui il Vescovo possiede la pienezza. Il Vescovo e i presbiteri sono costituiti ministri della missione apostolica; il Vescovo li associa alla sua sollecitudine e responsabilità, in modo che coltivino sempre il senso della diocesi, fomentando, allo stesso tempo, il senso universalistico della Chiesa. Come Gesù manifestò il suo amore verso gli Apostoli, così anche il Vescovo, padre della famiglia presbiterale, per mezzo del quale il Signore Gesù Cristo Supremo Pontefice è presente fra i credenti, sa che è suo dovere rivolgere il suo amore e la sua sollecitudine particolare verso i sacerdoti e i candidati al sacro ministero. Guidato da una carità sincera e indefettibile, il Vescovo si preoccupi di aiutare in tutti i modi i suoi sacerdoti, perché apprezzino la sublime vocazione sacerdotale, la vivano con serenità, la diffondano intorno a sé con gioia e svolgano fedelmente i loro compiti e la difendano con decisione. 76. Il Vescovo, padre, fratello e amico dei sacerdoti diocesani. I rapporti tra il Vescovo e il presbiterio debbono essere ispirati e alimentati dalla carità e da una visione di fede, in modo che gli stessi vincoli giuridici, derivanti dalla costituzione divina della Chiesa, appaiano come la naturale conseguenza della comunione spirituale di ciascuno con Dio ( cf. Gv 13,35 ). In questo modo sarà anche più fruttuoso il lavoro apostolico dei sacerdoti, giacché l'unione di volontà e di intenti con il Vescovo approfondisce l'unione con Cristo, che continua il suo ministero di capo invisibile della Chiesa per mezzo della Gerarchia visibile. Nell'esercizio del suo ministero, il Vescovo si comporti con i suoi sacerdoti non tanto come un mero governante con i propri sudditi, ma piuttosto come un padre e un amico. Si impegni totalmente nel favorire un clima di affetto e di fiducia in modo che i suoi presbiteri rispondano con un'obbedienza convinta, gradita e sicura. L'esercizio dell'obbedienza viene reso più soave, e non già indebolito, se il Vescovo, per quanto è possibile e salve sempre la giustizia e la carità, manifesta agli interessati i motivi delle sue disposizioni. Abbia uguali premure ed attenzioni verso ciascun presbitero, perché tutti i sacerdoti, benché dotati di attitudini e capacità diverse, sono ugualmente ministri al servizio del Signore e membri del medesimo presbiterio. Il Vescovo favorisca lo spirito di iniziativa dei suoi sacerdoti, evitando che l'obbedienza venga intesa in maniera passiva e irresponsabile. Si adoperi affinché ciascuno dia il meglio di sé e si doni con generosità, mettendo in gioco le proprie capacità al servizio di Dio e della Chiesa, con la maturità di figli di Dio. 77. Conoscenza personale dei sacerdoti. Il Vescovo consideri suo sacrosanto dovere conoscere i presbiteri diocesani, nel carattere e nelle attitudini e aspirazioni, il loro livello di vita spirituale, lo zelo e gli ideali, lo stato di salute e le condizioni economiche, le loro famiglie e tutto ciò che li riguardi. E li conosca non soltanto in gruppo ( come per esempio avviene negli incontri con il clero di tutta la diocesi o di una vicaria ) e in seno agli organismi pastorali, ma anche individualmente e, per quanto possibile, nel luogo di lavoro. A questo scopo è diretta la visita pastorale, durante la quale dev'essere dato tutto il tempo necessario agli incontri personali, più che alle questioni di carattere amministrativo o burocratico, che possono essere adempiute anche da un chierico delegato dal Vescovo. Con animo paterno e con semplice familiarità faciliti il dialogo trattando quanto è nel loro interesse, degli incarichi ad essi affidati, dei problemi relativi alla vita diocesana. A questo scopo il Vescovo faciliterà la mutua conoscenza tra le diverse generazioni di sacerdoti, inculcando nei giovani il rispetto e la venerazione per i sacerdoti anziani e negli anziani l'accompagnamento e il sostegno per i sacerdoti giovani, cosicché tutto il presbiterio si senta unito al Vescovo, davvero corresponsabile della Chiesa particolare. Egli nutra e manifesti pubblicamente la propria stima per i presbiteri, dimostrando fiducia e lodandoli se lo meritano; rispetti e faccia rispettare i loro diritti e li difenda da critiche infondate; dirima prontamente le controversie, per evitare che inquietudini prolungate possano offuscare la fraterna carità e danneggiare il ministero pastorale. 78. Ordinamento delle attività. L'attività dei presbiteri deve essere ordinata guardando prima di tutto al bene delle anime e alle necessità della diocesi, senza trascurare anche le diverse attitudini e legittime inclinazioni di ciascuno, nel rispetto della dignità umana e sacerdotale. Tale prudenza nel governare si manifesta tra l'altro: – Nella provvista degli uffici, il Vescovo agirà con la massima prudenza, per evitare il pur minimo sospetto di arbitrio, favoritismo o pressione indebita. A tal fine, solleciti sempre il parere di persone prudenti, ed accerti l'idoneità dei candidati anche mediante un esame. – Nel conferimento degli incarichi, il Vescovo giudichi con equità la capacità di ciascuno e non sovraccarichi nessuno di impegni che, per numero o importanza, potrebbero superare le possibilità dei singoli e anche danneggiarne la vita interiore. Non è bene collocare in un ministero troppo impegnativo i presbiteri subito appena terminata la formazione in seminario, bensí gradualmente e dopo un'opportuna preparazione ed una appropriata esperienza pastorale, affidandoli a Parroci idonei, affinché nei primi anni di sacerdozio possano ulteriormente sviluppare e rafforzare sapientemente la propria identità. – Il Vescovo non trascuri di rammentare ai presbiteri che tutto ciò che compiono per mandato del Vescovo, anche ove non comporti la cura diretta delle anime, può a ragione chiamarsi ministero pastorale ed è rivestito di dignità, di merito soprannaturale ed efficacia per il bene dei fedeli. Anche i presbiteri che, con il consenso dell'autorità competente, svolgono funzioni sovradiocesane o lavorano in organismi a livello nazionale ( come, per esempio, i superiori o i professori dei seminari interdiocesani o delle facoltà ecclesiastiche e gli officiali della Conferenza Episcopale ), collaborano con i Vescovi con una valida attività pastorale che merita una speciale attenzione da parte della Chiesa. Procuri, infine, che i sacerdoti si dedichino completamente a quanto è proprio del loro ministero, poiché sono molte le necessità della Chiesa ( cf. Mt 9,37-38 ).3 79. Rapporti dei presbiteri fra loro. Tutti i presbiteri, in quanto partecipi dell'unico sacerdozio di Cristo e chiamati a cooperare alla medesima opera, sono fra loro uniti da particolari vincoli di fraternità. È dunque opportuno che il Vescovo favorisca, per quanto possibile, la vita in comune dei presbiteri, che risponde alla forma collegiale del ministero sacramentale e riprende la tradizione della vita apostolica per una maggiore fecondità del ministero; i ministri si sentiranno così sostenuti nel loro impegno sacerdotale e nel generoso esercizio del ministero: questo aspetto ha una speciale applicazione nel caso di coloro i quali sono impegnati in una stessa attività pastorale. Il Vescovo promuova altresì le relazioni fra tutti i presbiteri, tanto secolari che religiosi o appartenenti alle Società di vita apostolica, poiché tutti appartengono all'unico ordine sacerdotale ed esercitano il proprio ministero per il bene della Chiesa particolare. Ciò si potrà ottenere mediante incontri periodici a livello di vicaria o di raggruppamenti analoghi di parrocchie in cui sia divisa la diocesi, per motivo di studio, di preghiera e di gioiosa condivisione. Un mezzo che si è dimostrato idoneo a favorire gli incontri sacerdotali è la cosiddetta "casa del clero". Il Vescovo appoggi ed apprezzi quelle associazioni di presbiteri eventualmente esistenti in diocesi che, sulla base di statuti riconosciuti dalla competente autorità ecclesiastica, per mezzo di un programma idoneo di vita e di aiuto fraterno, sostengono la santificazione del clero nell'esercizio del ministero e rafforzano i vincoli che legano il sacerdote al Vescovo e alla Chiesa particolare della quale fanno parte. 80. Attenzione ai bisogni umani dei presbiteri. I presbiteri non debbono mancare di quanto si addice ad un tenore di vita decoroso e degno e i fedeli della diocesi debbono essere consapevoli che ad essi spetta il dovere di venire incontro a tale necessità. In primo luogo sotto questo aspetto il Vescovo deve occuparsi della loro rimunerazione, che deve essere adeguata alla loro condizione, "considerando tanto la natura dell'ufficio da essi svolto come le circostanze di luogo e di tempo", ma sempre assicurando anche che possano provvedere alle proprie necessità e alla giusta rimunerazione di chi presta loro servizio. In questo modo non si vedranno costretti a cercare un sostegno supplementare esercitando attività estranee al loro ministero, cosa che può offuscare il significato della propria scelta e una riduzione dell'attività pastorale e spirituale. Occorre altresì fare in modo che possano usufruire dell'assistenza sociale, "mediante la quale si provvede adeguatamente alle loro necessità in caso di malattia, invalidità o vecchiaia". Questa giusta esigenza dei chierici potrà essere soddisfatta anche tramite istituzioni interdiocesane, nazionali e internazionali. Il Vescovo vigili sulla correttezza nel vestire dei presbiteri, anche religiosi, secondo la legge universale della Chiesa e le norme della Conferenza Episcopale, in modo che risulti sempre palese la loro condizione sacerdotale e siano anche nell'abito testimoni viventi delle realtà soprannaturali che sono chiamati a comunicare agli uomini. Il Vescovo sarà di esempio portando fedelmente e con dignità la veste talare ( filettata o semplicemente nera ), o, in certe circostanze, almeno il clergyman con colletto romano. Con animo paterno il Vescovo vigili con discrezione sulla dignità dell'alloggio e l'assistenza domestica, aiutando ad evitare anche l'apparenza di trascuratezza, o di stranezza, o di negligenza nel tenore di vita personale, cosa che arrecherebbe danno alla salute spirituale dei presbiteri. Non tralasci di esortarli ad utilizzare il tempo libero per sani svaghi e letture culturalmente formative, facendo un uso moderato e prudente dei mezzi di comunicazione sociale e degli spettacoli. Favorisca inoltre che ogni anno possano godere di un sufficiente periodo di vacanze. 81. Attenzione verso i sacerdoti in difficoltà. Il Vescovo, anche mediante il vicario di zona, cerchi di prevenire e rimediare alle difficoltà di ordine umano e spirituale in cui possono imbattersi i presbiteri. Venga amorevolmente in soccorso di chi può trovarsi in una situazione difficile, dei malati, degli anziani, dei poveri, affinché tutti sentano la gioia della loro vocazione e la gratitudine verso i propri pastori. Quando si ammalano, il Vescovo li conforti con una sua visita o almeno con un suo scritto o una telefonata e si assicuri che siano ben assistiti sia in senso materiale che spirituale; quando muoiono ne celebri le esequie personalmente, se possibile, o per mezzo di un suo rappresentante. Occorre poi fare attenzione ad alcuni casi specifici: a) È necessario prevenire la solitudine e l'isolamento dei sacerdoti, soprattutto se sono giovani ed esercitano il ministero in località piccole e poco popolate. Per risolvere eventuali difficoltà, converrà procurare l'aiuto di un sacerdote zelante ed esperto e favorire frequenti contatti con i confratelli nel sacerdozio, anche mediante possibili modalità di vita in comune. b) Occorre fare attenzione al pericolo dell'abitudine e della stanchezza che gli anni di lavoro o le difficoltà inerenti al ministero possono provocare. Secondo le possibilità della diocesi, il Vescovo studi, caso per caso, il modo di recupero spirituale, intellettuale e fisico, che aiuti a riprendere il ministero con rinnovata energia. Tra tali forme, in qualche caso eccezionale si può considerare anche il periodo detto "sabbatico". c) Il Vescovo si prodighi con paterno affetto verso quei sacerdoti che per affaticamento o per infermità si trovano in una situazione di debolezza o stanchezza morale, destinandoli ad attività che risultino più invitanti e facili da compiere nel loro stato, facendo in modo di evitare l'isolamento in cui possono trovarsi e infine assistendoli con comprensione e pazienza perché si sentano umanamente utili e scoprano l'efficacia soprannaturale - per l'unione con la Croce di nostro Signore - della loro presente condizione. d) Dal Vescovo siano trattati con animo paterno anche i presbiteri che abbandonano il servizio divino, sforzandosi di ottenere la loro conversione interiore e facendo sì che rimuovano la causa che li ha condotti al distacco, perché possano così tornare alla vita sacerdotale, o almeno regolarizzino la loro situazione nella Chiesa. A norma dello stesso rescritto di dimissione dallo stato clericale, li terrà lontani da quelle attività che presuppongono un incarico assegnato dalla gerarchia, evitando così scandalo tra i fedeli e confusione in diocesi. e) Di fronte a comportamenti scandalosi, il Vescovo intervenga con carità ma con fermezza e decisione: sia con ammonizioni o rimproveri sia procedendo alla rimozione o al trasferimento ad altro ufficio in cui non esistano le circostanze che favoriscano quei comportamenti. Se tali misure risultassero inutili o insufficienti, di fronte alla gravità della condotta e alla contumacia del chierico, imponga la pena di sospensione secondo il diritto o, nei casi estremi previsti dalla norma canonica, dia inizio al processo penale per la dimissione dello stato clericale. 82. Attenzione circa il celibato sacerdotale. Affinché i sacerdoti mantengano castamente il loro impegno con Dio e con la Chiesa, è necessario che il Vescovo abbia a cuore che il celibato sia presentato nella sua piena ricchezza biblica, teologica e spirituale. Si adoperi per suscitare in tutti una profonda vita spirituale, che colmi il loro cuore di amore per Cristo e attragga l'aiuto divino. Il Vescovo rafforzi i vincoli di fraternità e di amicizia tra i sacerdoti, e non manchi di mostrare il senso positivo che la solitudine esteriore può avere per la loro vita interiore e per la loro maturità umana e sacerdotale, e di presentarsi loro come amico fedele e confidente al quale possano aprirsi in cerca di comprensione e di consiglio. Il Vescovo è consapevole degli ostacoli reali che, oggi più di ieri, si oppongono al celibato sacerdotale. Dovrà perciò esortare i presbiteri all'esercizio di una prudenza soprannaturale ed umana, insegnando che un comportamento riservato e discreto nel trattare con le donne è conforme alla loro consacrazione celibataria e che una male interpretata naturalezza in questi rapporti può degenerare in attaccamento sentimentale. Se necessario, avverta o ammonisca chi possa trovarsi in una situazione rischiosa. Secondo le circostanze, converrà stabilire norme concrete che facilitino l'osservanza degli impegni connessi con l'Ordinazione sacerdotale. 83. Attenzione alla formazione permanente del clero. Il Vescovo educherà i sacerdoti di ogni età e condizione all'adempimento del loro dovere di formazione permanente e provvederà ad organizzarla, affinché l'entusiasmo per il ministero non diminuisca, ma anzi aumenti e maturi con il trascorrere degli anni, rendendo più vivo ed efficace il sublime dono ricevuto ( cf. 2 Tm 1,6 ). Già negli anni del seminario occorre inculcare ai futuri sacerdoti la necessità di continuare e approfondire la formazione anche dopo l'Ordinazione sacerdotale, in maniera che la fine degli studi istituzionali e della vita comunitaria non significhi un'interruzione rispetto a questo. È inoltre, necessario favorire nei sacerdoti più anziani quella giovinezza d'animo che si manifesta nel permanente interesse verso una crescita costante per raggiungere "in pienezza la statura di Cristo" ( Ef 4,13 ), aiutandoli a vincere le eventuali resistenze - dovute all'influenza della routine, alla stanchezza, ad un esagerato attivismo o ad un'eccessiva fiducia nelle proprie possibilità - in relazione ai mezzi di formazione permanente che la diocesi offre loro. Il Vescovo offrirà ai suoi presbiteri un valido esempio se, per quanto gli risulti possibile, insieme a loro, suoi più intimi collaboratori, parteciperà attivamente agli incontri formativi. Il Vescovo consideri come elemento integrante e primario per la formazione permanente del presbiterio gli esercizi spirituali annuali, organizzati in modo tale che siano per ciascuno un tempo di autentico e personale incontro con Dio e di revisione della propria vita personale e ministeriale. Nei programmi e nelle iniziative per la formazione dei sacerdoti, il Vescovo non tralasci di servirsi del Direttorio per il ministero e la vita dei presbiteri, che compendia la dottrina e la disciplina ecclesiale sull'identità sacerdotale e la funzione del sacerdote nella Chiesa, così come il modo di rapportarsi alle altre categorie di fedeli cristiani. Nel medesimo Direttorio, il Vescovo troverà anche indicazioni ed utili orientamenti per l'organizzazione e la direzione dei diversi mezzi di formazione permanente. V. Il Seminario 84. Istituzione primaria della diocesi. Fra tutte le istituzioni diocesane il Vescovo consideri come primissima il seminario e ne faccia oggetto delle cure più intense e assidue del suo ufficio pastorale, perché dai Seminari dipendono in gran parte la continuità e la fecondità del ministero sacerdotale della Chiesa. 85. Il seminario maggiore. Il Vescovo insista decisamente e con convinzione sulla necessità del seminario maggiore quale strumento privilegiato per la formazione sacerdotale e si adoperi affinché la diocesi abbia un seminario maggiore proprio, come espressione della pastorale vocazionale della Chiesa particolare e nello stesso tempo come comunità ecclesiale peculiare che forma i futuri presbiteri ad immagine di Gesù Cristo, Buon Pastore. L'istituzione del seminario maggiore diocesano è condizionata dalla possibilità della diocesi di offrire una profonda formazione umana, spirituale, culturale e pastorale ai candidati al sacerdozio. A tale scopo il Vescovo cercherà di favorire la formazione dei formatori e dei futuri professori al più alto livello accademico possibile. Se la diocesi non è in condizioni di avere un seminario proprio, il Vescovo unisca le sue forze con quelle di altre diocesi vicine per dar vita a un seminario interdiocesano, o invii i candidati nel seminario più vicino alla diocesi. La Santa Sede, appurata la reale difficoltà che ogni diocesi abbia il suo seminario maggiore, dà l'approvazione per l'erezione di un seminario interdiocesano. Ne approva pure gli statuti. I Vescovi interessati dovranno concordare le norme del regolamento ed è responsabilità di ciascuno visitare personalmente i propri alunni e interessarsi alla loro formazione per venire a conoscenza, dai superiori, di quanto gli possa essere utile per valutare se sussistano le condizioni per l'ammissione al sacerdozio. La possibilità di ridurre la permanenza prescritta dei seminaristi nel seminario è da considerarsi un'eccezione per singoli casi specifici. 86. Il seminario minore o istituzioni analoghe. Oltre al seminario maggiore il Vescovo si preoccuperà, laddove è possibile, di costituire il seminario minore o di sostenerlo dove è già presente. Tale seminario dovrà essere inteso come una peculiare comunità di ragazzi dove vengono custoditi e sviluppati i germi della vocazione sacerdotale. Il Vescovo diocesano imposti il seminario minore secondo un tenore di vita conveniente all'età, allo sviluppo degli adolescenti e secondo le norme di una sana psicologia e pedagogia sempre nel rispetto della libertà dei giovani nella scelta di vita. Il Vescovo, inoltre, sia consapevole che questo tipo di comunità necessita della continua circolarità educativa della comunità educante del seminario, dei genitori dei ragazzi e della scuola. Per la sua natura e la sua missione, sarebbe bene che il seminario minore divenisse nella diocesi un valido punto di riferimento della pastorale vocazionale, con opportune esperienze formative per ragazzi che sono alla ricerca del senso della loro vita, della vocazione o che sono già decisi a intraprendere la strada del sacerdozio ministeriale, ma non possono ancora iniziare un vero cammino formativo. Il Vescovo promuova un'intensa collaborazione tra la comunità educativa del seminario maggiore e quella del seminario minore in modo che non vi sia discontinuità nelle linee di fondo della formazione e quest'ultimo offra un'adeguata e solida base a coloro che dovranno continuare il cammino vocazionale nel seminario maggiore. Sarà necessario che il seminario minore offra agli alunni un corso di studi equivalente a quello previsto dal curriculum statale, possibilmente riconosciuto dallo Stato stesso. 87. Le vocazioni adulte. Analogamente alla cura che il Vescovo dovrà avere verso i germi di vocazione degli adolescenti e dei giovani, così dovrà provvedere alla formazione delle vocazioni adulte, disponendo a tal fine adeguati istituti o un programma formativo adeguato all'età e alla condizione di vita del candidato al sacerdozio. 88. Il Vescovo primo responsabile della formazione sacerdotale. L'attuale e assai problematica situazione dell'universo giovanile richiede specialmente dal Vescovo che si operi un attento discernimento dei candidati al momento della loro ammissione in seminario. In alcuni casi difficili, nella selezione dei candidati per l'ammissione al seminario, sarà opportuno sottoporre i giovani a test psicologici, ma soltanto "si casus ferat", perché il ricorso a tali mezzi non può essere generalizzato e lo si deve fare con grande prudenza, per non violare il diritto della persona a conservare la propria intimità. In questo contesto si deve anche prestare una grande attenzione all'ammissione in seminario di candidati al sacerdozio provenienti da altri seminari o da famiglie religiose. In questi casi, l'obbligo del Vescovo è quello di applicare scrupolosamente le norme previste dalla disciplina della Chiesa circa l'ammissione in seminario degli ex seminaristi e degli ex religiosi e membri delle Società di vita apostolica. Come manifestazione della sua primaria responsabilità nella formazione dei candidati al sacerdozio, il Vescovo visiti spesso il seminario, o gli alunni della propria diocesi che risiedono nel seminario interdiocesano o in altro seminario, intrattenendosi cordialmente con loro in modo che essi possano stare con lui. Il Vescovo riterrà tale visita come uno dei momenti importanti della sua missione episcopale, in quanto la sua presenza in seminario aiuta ad inserire questa peculiare comunità nella Chiesa particolare, la sprona a conseguire la finalità pastorale della formazione e a dare il senso di Chiesa ai giovani candidati al sacerdozio. In tale visita il Vescovo cercherà un incontro diretto e informale con gli alunni in modo da conoscerli personalmente, alimentando il senso della familiarità e dell'amicizia con loro per poter valutare le inclinazioni, le attitudini, le doti umane ed intellettuali di ciascuno ed anche gli aspetti della loro personalità che necessitano di una maggior cura educativa. Questo rapporto familiare permetterà al Vescovo di poter valutare meglio l'idoneità dei candidati al sacerdozio e di confrontare il suo giudizio con quello dei superiori del seminario che è alla base della promozione al sacramento dell'ordine. Infatti, sul Vescovo ricade l'ultima responsabilità dell'ammissione dei candidati agli ordini sacri. La loro idoneità gli deve risultare provata con argomenti positivi, per cui, se per precise ragioni dovesse avere dei dubbi, non ammetta all'ordinazione. Il Vescovo si preoccupi di inviare presbiteri intellettualmente dotati a continuare gli studi nelle università ecclesiastiche, per assicurare alla diocesi un clero accademicamente formato, un insegnamento teologico di qualità e disporre inoltre di persone ben preparate all'esercizio dei ministeri che esigono una particolare competenza. Per ottenere maggior frutto dalla loro esperienza di studi, può risultare in genere spesso conveniente che questi sacerdoti facciano prima un periodo di esercizio del ministero. 89. Il Vescovo e la comunità educativa del seminario. Il Vescovo scelga con particolare cura il Rettore, il Direttore Spirituale, i Superiori e i Confessori del seminario, i quali debbono essere i migliori tra i sacerdoti della diocesi, eccellere in devozione e sana dottrina, conveniente esperienza pastorale, zelo per le anime e speciale attitudine formativa e pedagogica; e se non ne dispone, li richiede ad altre diocesi meglio provviste. È opportuno che i formatori godano di una qualche stabilità ed abbiano residenza abituale nella comunità del seminario. Al Vescovo spetta anche un'attenzione e una sollecitudine del tutto particolari per la loro preparazione speciale, che sia veramente tecnica, pedagogica, spirituale, umana e teologica. Mentre avanza il percorso formativo, il Vescovo solleciti i superiori del seminario a fornire informazioni precise circa la situazione e il profitto degli alunni. Con prudente anticipo, si assicuri mediante scrutini che ciascuno dei candidati sia idoneo per i sacri ordini e pienamente deciso a vivere le esigenze del sacerdozio cattolico. Non agisca mai con precipitazione in una materia così delicata e, nei casi di dubbio, piuttosto differisca la sua approvazione, finché non si sia dissipata ogni ombra di mancanza di idoneità. Qualora il candidato non venga ritenuto idoneo a ricevere i sacri ordini, gli si comunichi per tempo la valutazione di non idoneità. Sono parimenti responsabili della formazione integrale al sacerdozio tutti i professori del seminario, anche chi si occupa di materie non strettamente teologiche, e per tale incarico debbono essere nominati soltanto coloro che si distinguano per una sicura dottrina e abbiano sufficiente preparazione accademica e capacità pedagogica. Il Vescovo vigili attentamente affinché compiano con diligenza il loro compito e se qualcuno si discosta dalla dottrina della Chiesa o dà cattivo esempio agli alunni, lo allontani con decisione dal seminario. In casi particolari, e secondo la natura della disciplina scientifica, l'incarico di professore del seminario può essere affidato anche a laici che siano competenti e diano esempio di autentica vita cristiana. Con i responsabili del seminario, il Vescovo mantenga frequenti contatti personali, in segno di fiducia, per animarli nel loro operato e far sì che tra loro regni uno spirito di piena armonia, di comunione e di collaborazione. 90. La formazione dei seminaristi. È competenza del Vescovo approvare il Progetto Formativo del seminario e il Regolamento. Tale progetto dovrà essere articolato secondo i principi stabiliti dalla Ratio Fundamentalis Institutionis Sacerdotalis data dalla Congregazione per l'Educazione Cattolica, dagli altri documenti della Santa Sede e dalla Ratio Institutionis Sacerdotalis data dalla Conferenza Episcopale, nonché dalle necessità concrete della Chiesa particolare. L'obiettivo fondamentale del progetto formativo avrà come nucleo centrale la configurazione dei seminaristi a Cristo capo e pastore, nell'esercizio della carità pastorale. Tale obiettivo sarà raggiunto mediante: a) la formazione umana attraverso l'educazione a quelle virtù, che consentano ai seminaristi di sviluppare una personalità armonica e di accrescere la propria efficacia apostolica; b) la formazione spirituale, che disponga gli alunni a conseguire la santità cristiana attraverso il ministero sacerdotale, esercitato con fede viva e amore per le anime; c) la formazione dottrinale, in modo che gli alunni raggiungano una conoscenza integrale della dottrina cristiana che sostenga la loro vita spirituale e li aiuti nel ministero dell'insegnamento. A tal fine, il Vescovo dovrà vigilare sulla retta dottrina dei professori, così come dei manuali e degli altri libri utilizzati nel seminario; d) la formazione pastorale, con la quale si cerchi di inserire i seminaristi nelle diverse attività apostoliche della diocesi e nell'esperienza pastorale diretta, tramite modalità concrete determinate dal Vescovo. Questa formazione abbia una naturale continuità specialmente durante i primi anni dell'esercizio del ministero presbiterale, in conformità con quanto disponga il piano di formazione sacerdotale nazionale; e) la formazione missionaria, che è esigita dalla natura universalistica del ministero sacro, fa sì che i seminaristi sentano sollecitudine non solo per la propria Chiesa particolare, ma anche per la Chiesa universale e siano pronti a offrire la propria opera a quelle Chiese particolari che si trovano in gravi necessità. Quelli tra i seminaristi che mostrassero il desiderio di esercitare il loro ministero in altre Chiese siano incoraggiati e ricevano una formazione speciale. 91. La pastorale vocazionale e l'opera diocesana per le vocazioni. La pastorale vocazionale, strettamente connessa alla pastorale dei giovani, trova il suo nucleo ed organo specifico nell'opera diocesana per le vocazioni. Converrà perciò costituire nella diocesi, sotto la guida di un sacerdote, un servizio comune per tutte le vocazioni, per coordinare le diverse iniziative, sempre nel rispetto dell'autonomia propria di ogni istituzione ecclesiale. Se può risultare utile, il Vescovo crei "piani operativi" diocesani a breve e lungo termine. In particolare, è dovere prioritario dei Vescovi provvedere alla sufficienza numerica dei sacri ministri, sostenendo le opere già esistenti a tale scopo e promuovendo altre iniziative. Il Vescovo abbia a cuore di istruire tutti i fedeli circa l'importanza del sacro ministero insegnando loro la responsabilità di suscitare vocazioni per il servizio dei fratelli e l'edificazione del Popolo di Dio. Ciò è stato sempre un compito necessario, ma oggi è divenuto un dovere più grave e più urgente. Il Vescovo non tralasci di fomentare nei sacerdoti l'impegno per dare continuità alla loro missione divina, come naturale conseguenza dello spirito apostolico e dell'amore alla Chiesa. Soprattutto i parroci hanno un ruolo del tutto speciale nella promozione delle vocazioni al ministero sacro, per cui dovranno premurosamente seguire i bambini e i ragazzi che dimostrino una particolare attitudine al servizio dell'altare, dando loro una guida spirituale conforme all'età, e frequentando anche i genitori. VI. I Diaconi permanenti 92. Il ministero diaconale. Il Concilio Vaticano II, secondo la venerabile tradizione ecclesiale, ha definito il diaconato un "ministero della liturgia, della parola e della carità". Il diacono, pertanto, partecipa secondo un modo proprio delle tre funzioni di insegnare, santificare e governare, che corrispondono ai membri della Gerarchia. Egli proclama e illustra la Parola di Dio; amministra il Battesimo, la Comunione e i Sacramentali; anima la comunità cristiana, principalmente in ciò che si riferisce all'esercizio della carità e all'amministrazione dei beni. Il ministero di questi chierici, nei suoi differenti aspetti, è penetrato dal senso di servizio che dà nome all'ordine "diaconale". Come nel caso di qualunque altro ministro sacro, il servizio diaconale si rivolge in primo luogo a Dio, e, in nome di Dio, ai fratelli; ma la diaconia è anche servizio all'episcopato e al presbiterato, ai quali l'ordine diaconale è legato da vincoli di obbedienza e di comunione, secondo le modalità stabilite dalla disciplina canonica. In questo modo, tutto il ministero diaconale costituisce un'unità al servizio del piano divino di redenzione, i cui distinti ambiti sono saldamente connessi tra loro: il ministero della parola conduce al ministero dell'altare, che a sua volta comporta l'esercizio della carità. Pertanto, il Vescovo deve adoperarsi affinché tutti i fedeli, e in particolare i presbiteri, apprezzino e stimino il ministero dei diaconi, per il servizio che esercitano ( liturgico, catechetico, socio-caritativo, pastorale, amministrativo, ecc. ), per l'edificazione della Chiesa e perché essi suppliscono all'eventuale scarsità di sacerdoti. 93. Funzioni e incarichi affidati al diacono permanente. È molto importante disporre le cose in modo che i diaconi possano, nella misura delle proprie possibilità, svolgere in pienezza il loro ministero: predicazione, liturgia, carità. I diaconi debbono comprendere che i loro differenti incarichi non sono un insieme di attività diverse, bensì sono strettamente legate grazie al sacramento ricevuto, e che tali compiti, benché alcuni di essi possano essere espletati anche da laici, sono sempre diaconali, perché è un diacono a realizzarli, in nome della Chiesa, sostenuto dalla grazia del sacramento. Per questo motivo, qualunque incarico di supplenza della presenza del presbitero deve essere affidato preferibilmente a un diacono piuttosto che a un laico, soprattutto ove si tratti di collaborare stabilmente alla guida di una comunità cristiana carente di presbitero o di assistere, in nome del Vescovo o del parroco, a gruppi dispersi di cristiani. Ma allo stesso tempo, occorre fare in modo che i diaconi esercitino le attività proprie, senza essere relegati alla sola funzione di supplenza dei presbiteri. 94. Rapporti dei diaconi tra loro. Come i Vescovi e i presbiteri, i diaconi costituiscono un ordine di fedeli uniti da vincoli di solidarietà nell'esercizio di un'attività comune. Per questo, il Vescovo deve favorire le relazioni umane e spirituali dei diaconi, che li portino a gustare una speciale fraternità sacramentale. Ciò potrà realizzarsi utilizzando i mezzi di formazione diaconale permanente e anche tramite riunioni periodiche, convocate dal Vescovo per valutare l'esercizio del ministero, scambiarsi esperienze e avere un sostegno per perseverare nella chiamata ricevuta. I diaconi, come gli altri fedeli e gli altri chierici, hanno il diritto di associarsi con altri fedeli e con altri chierici per accrescere la propria vita spirituale ed esercitare opere di carità o di apostolato conformi allo stato clericale e non contrarie all'adempimento dei loro propri doveri. Tuttavia, tale diritto associativo non sfocia in un corporativismo per la tutela dei comuni interessi, il che sarebbe un'imitazione impropria dei modelli civili, inconciliabile con i vincoli sacramentali che legano i diaconi tra loro, con il Vescovo e con gli altri membri dell'Ordine sacro. 95. I diaconi che esercitano una professione o un'occupazione secolare. Il ministero diaconale è compatibile con l'esercizio di una professione o di un incarico civile. Secondo le circostanze di luogo ed il ministero affidato al singolo diacono, è auspicabile che egli abbia un proprio lavoro ed una propria professione, così da poter avere il necessario per vivere. Tuttavia, l'esercizio di compiti secolari non trasforma il diacono in laico. Quei diaconi che esercitano una professione debbono saper dare a tutti un esempio di onestà e di spirito di servizio e prendere avvio dai rapporti professionali e umani per avvicinare le persone a Dio e alla Chiesa. Dovranno impegnarsi per conformare il loro operato alle norme della morale individuale e sociale, per cui non tralasceranno di consultare il proprio Pastore quando l'esercizio della professione diventi più un ostacolo che un mezzo di santificazione. I diaconi possono esercitare qualunque professione o attività onesta, purché non ne siano impediti, per principio, dai divieti che la disciplina canonica stabilisce per gli altri chierici. Ciononostante, sarebbe opportuno fare in modo che i diaconi svolgano quelle attività professionali più strettamente vincolate alla trasmissione della verità evangelica e al servizio dei fratelli: come l'insegnamento - principalmente della religione -, i diversi servizi sociali, i mezzi di comunicazione sociale, alcuni settori di ricerca e di applicazione della medicina, ecc. 96. I diaconi coniugati. Il diacono sposato dà testimonianza di fedeltà alla Chiesa e della sua vocazione di servizio anche mediante la vita familiare. Ne consegue che si rivela necessario il consenso della moglie per l'ordinazione del marito e che occorre riservare una particolare attenzione pastorale alla famiglia del diacono, in maniera che possa vivere con gioia l'impegno del marito e del padre e sostenerlo nel suo ministero. Tuttavia, non vanno affidate alla consorte o ai figli del diacono funzioni e attività proprie del ministero, perché la condizione diaconale è propria ed esclusiva della persona: ciò naturalmente non impedisce ai familiari di prestare aiuto al diacono nello svolgimento dei suoi compiti. Del resto, l'esperienza di vita familiare conferisce ai diaconi sposati una speciale idoneità per la pastorale familiare, diocesana e parrocchiale, per la quale occorre siano convenientemente preparati. 97. La formazione dei diaconi permanenti. La formazione dei diaconi, tanto iniziale quanto permanente, ha una considerevole importanza per la loro vita e il loro ministero. Per determinare quanto riguarda la formazione degli aspiranti al diaconato permanente occorre osservare le norme emanate dalla Santa Sede e dalla Conferenza Episcopale. È bene che i Diaconi permanenti non siano troppo giovani ma abbiano maturità anche umana, oltre che spirituale, e che siano formati in un'apposita comunità per tre anni, a meno che in qualche singolo caso gravi motivazioni non consiglino diversamente. Tale formazione comprende i medesimi ambiti di quella dei presbiteri, con alcune peculiarità: – la formazione spirituale del diacono tende a favorire la santità cristiana di questi ministri, e deve essere realizzata ponendo in particolare risalto quanto distingue il suo ministero, cioè lo spirito di servizio. Evitando, perciò, ogni sospetto di mentalità "burocratica" o una frattura tra la vocazione e l'operato, è necessario inculcare al diacono l'anelito di conformare la sua intera esistenza a Cristo, che tutti ama e serve; – l'esercizio del ministero, in particolare per ciò che riguarda la predicazione e l'insegnamento della Parola di Dio, suppone una continua formazione dottrinale, impartita con la dovuta competenza; – occorre prestare speciale attenzione al sostegno personalizzato di ogni diacono, cosicché sia in grado di affrontare le sue peculiari condizioni di vita: i suoi rapporti con gli altri membri del Popolo di Dio, il suo lavoro professionale, i suoi legami familiari, ecc. VII. La Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica 98. La vita consacrata e le Società di vita apostolica nella comunità diocesana. Il Vescovo, come padre e pastore della Chiesa particolare in tutte le sue componenti, accoglie le varie espressioni della vita consacrata come una grazia. Sarà pertanto suo impegno sostenere le persone consacrate, in modo che queste, rimanendo fedeli all'ispirazione fondazionale, si aprano ad una sempre più fruttuosa collaborazione spirituale e pastorale corrispondente alle esigenze della diocesi. In questo modo gli istituti di vita consacrata, le società di vita apostolica, nonché gli Eremiti e le Vergini consacrate fanno parte a pieno titolo della famiglia diocesana perché hanno in essa la loro residenza e, con la testimonianza esemplare della propria vita e del proprio lavoro apostolico, le prestano un beneficio inestimabile. I sacerdoti debbono essere considerati parte del presbiterio della diocesi, con il cui Pastore collaborano nella cura delle anime. Il Vescovo diocesano consideri lo stato consacrato come un dono divino che, "sebbene non appartenga alla struttura gerarchica della Chiesa, tuttavia appartiene, in maniera indiscutibile, alla sua vita e santità", ed apprezzi la specificità del suo modo di essere nella Chiesa e la grande energia missionaria ed evangelizzatrice derivante dall'essere consacrato che esso procura alla diocesi. Per queste ragioni, il Vescovo lo accoglie con profondo sentimento di gratitudine, lo sostiene, ne valorizza i carismi mettendoli a servizio della Chiesa particolare. 99. Adeguato inserimento nella vita diocesana. Come naturale conseguenza dei vincoli che legano i fedeli consacrati agli altri figli della Chiesa, il Vescovo si impegni affinché: a) i membri degli Istituti di vita consacrata e delle Società di vita apostolica si sentano parte viva della comunità diocesana, disposti a prestare ai Pastori la maggior collaborazione possibile. A tal fine, cerchi di conoscere bene il carisma di ciascun Istituto e Società descritto nelle loro Costituzioni, incontri personalmente i Superiori e le comunità verificando il loro stato, le loro preoccupazioni e le loro speranze apostoliche; b) il Vescovo faccia in modo che la vita consacrata sia conosciuta ed apprezzata dai fedeli e, in particolare, provveda perché clero e seminaristi, tramite i rispettivi mezzi di formazione, siano istruiti sulla teologia e sulla spiritualità della vita consacrata, e giungano ad apprezzare sinceramente le persone consacrate, non soltanto per la collaborazione che esse possono offrire alla pastorale diocesana, ma soprattutto per la forza della loro testimonianza di vita consacrata e per la ricchezza introdotta nella Chiesa, universale e particolare, dalla loro vocazione e dal loro stile di vita; c) i rapporti tra il clero diocesano e i chierici degli Istituti di vita consacrata e delle Società di vita apostolica siano improntati ad uno spirito di fraterna collaborazione. Il Vescovo promuova la partecipazione dei presbiteri religiosi alle riunioni dei chierici della diocesi, per esempio quelle che si tengono a livello vicariale, perché possano così conoscersi, accrescere la reciproca stima e dare ai fedeli esempio di unità e di carità. Procuri anche, se per loro risulta opportuno, che partecipino ai mezzi di formazione del clero della diocesi; d) gli organismi consultivi diocesani riflettano adeguatamente la presenza della vita consacrata nella diocesi, nella varietà dei suoi carismi, stabilendo norme opportune al riguardo: disponendo, per esempio, che i membri degli Istituti partecipino secondo l'attività apostolica espletata da ciascuno, assicurando al tempo stesso una presenza dei diversi carismi. Nel caso del Consiglio Presbiterale, va consentito ai sacerdoti elettori ( religiosi e secolari ) di scegliere liberamente membri di Istituti che li rappresentino. 100. La potestà del Vescovo in relazione alla vita consacrata. Le persone consacrate, insieme agli altri membri del Popolo di Dio, sono soggette all'autorità pastorale del Vescovo in quanto maestro della fede e responsabile dell'osservanza della disciplina ecclesiastica universale, custode della vita liturgica e moderatore di tutto il ministero della parola. Il Vescovo, mentre tutela con grande zelo - anche di fronte agli stessi consacrati - la disciplina comune, rispetti e faccia rispettare la giusta autonomia degli Istituti di vita consacrata e delle Società di vita apostolica, senza interferire nella loro vita e nel loro governo e senza farsi autorevole interprete del loro carisma di fondazione. In tutti i consacrati rafforzi lo spirito di santità, ravvivando in essi l'obbligo che hanno, anche se immersi nell'apostolato esterno, di essere impregnati dello spirito del proprio carisma e rimanere fedeli all'osservanza della loro regola e alla sottomissione ai superiori, giacché il loro contributo specifico all'evangelizzazione consiste principalmente "nella testimonianza di una vita completamente dedicata a Dio e ai fratelli". È suo dovere perciò, richiamare l'attenzione dei Superiori quando osservi abusi nelle opere dirette dagli Istituti o nel tenore personale di vita di qualche consacrato. Il Vescovo rammenterà alle persone consacrate il dovere e la grazia gioiosa che compete loro, come esigenza della propria vocazione, di dare esempio di adesione al Magistero pontificio ed episcopale. Quale maestro della verità cattolica nella sua diocesi, si preoccupi in particolare: a) di esigere con umile fermezza i propri diritti nel campo delle pubblicazioni, mediante opportuni contatti con i Superiori, in modo da assicurare l'armonia con il Magistero ecclesiale; b) di assicurare che le scuole dirette dai diversi Istituti impartiscano una formazione pienamente concorde con la loro identità cattolica, visitandole di tanto in tanto personalmente o tramite un suo rappresentante. Il Vescovo, secondo la norma del diritto, riconosca l'esenzione degli Istituti, per la quale "il Romano Pontefice, in virtù del suo primato sulla Chiesa universale, può esentare gli Istituti di vita consacrata dal regime degli Ordinari del luogo e sottoporli esclusivamente a se stesso o ad altra autorità ecclesiastica". Tale esenzione, tuttavia non annulla la sottomissione di tutti i consacrati alla potestà del Vescovo ( oltre che ai propri Superiori ) per quanto concerne la cura d'anime, l'esercizio pubblico del culto divino e le opere di apostolato. In tali aspetti è necessario che i consacrati, sempre osservando il proprio carisma, diano esempio di comunione e di sintonia con il Vescovo, in ragione della sua autorità pastorale e della necessaria unità e concordia nel lavoro apostolico. 101. Diverse forme di cooperazione apostolica e pastorale dei consacrati con la diocesi. Per comprendere adeguatamente il regime di ciascuna opera apostolica servita dagli Istituti o dai suoi membri, è necessario distinguere: a) Le opere proprie, che gli Istituti costituiscono secondo il proprio carisma e che sono dirette dai rispettivi Superiori. Occorre inserire queste opere nel quadro generale della pastorale diocesana, per cui la loro creazione non deve essere decisa autonomamente, ma sulla base di un accordo tra Vescovo e Superiori, tra i quali deve sussistere un dialogo costante nella direzione di tali opere, senza detrimento dei diritti conferiti a ciascuno dalla disciplina canonica. Gli Istituti religiosi e le Società di vita apostolica necessitano del consenso scritto del Vescovo diocesano nei seguenti casi: per l'erezione di una casa nella diocesi, per destinare una casa a opere apostoliche diverse da quelle per le quali fu costituita, per costruire e aprire una chiesa pubblica e per stabilire scuole secondo il proprio carisma. Il Vescovo deve essere consultato anche per la chiusura, da parte del Moderatore supremo, di una casa religiosa aperta legittimamente. b) Le opere diocesane e le parrocchie affidate ad Istituti religiosi o Società di vita apostolica, restano sotto l'autorità e la direzione del Vescovo, mantenendo comunque la fedeltà del responsabile consacrato alla disciplina del proprio Istituto e la sottomissione ai propri Superiori. Il Vescovo stipulerà un accordo con l'Istituto o la Società, per determinare chiaramente quanto si riferisce al lavoro che va realizzato, alle persone che vi si dedicheranno e all'aspetto economico. c) Inoltre, per affidare un ufficio diocesano ad un religioso, secondo la norma canonica, debbono intervenire sia il Vescovo che i Superiori religiosi. Il Vescovo eviti di chiedere collaborazioni che risultino difficilmente compatibili con le esigenze della vita religiosa ( per esempio, se possono costituire un ostacolo per la vita comune ) e ricordi a tali persone che, qualunque sia l'attività da essi svolta, il loro primo apostolato consiste nella testimonianza della propria vita consacrata. La collaborazione tra la diocesi e gli Istituti o i loro membri può interrompersi per iniziativa di una delle parti interessate, tenendo presenti i diritti e gli obblighi stabiliti dalle norme o dalle convenzioni. Ma in tal caso occorre assicurare l'opportuna informazione della controparte ( Vescovo o Istituto ), evitando di metterla davanti al fatto compiuto. In questo modo si potranno prendere i necessari provvedimenti per il bene dei fedeli, come per esempio, sollecitare un'altra istituzione o persona a farsi carico dell'opera o dell'incarico, e studiare anche con la dovuta attenzione gli aspetti umani ed economici che l'abbandono di un'opera può comportare. 102. Coordinamento degli Istituti. Al Vescovo, padre e pastore dell'intera Chiesa particolare, compete promuovere la comunione e il coordinamento nell'esercizio dei diversi legittimi carismi nel rispetto della loro identità. Da parte loro, gli Istituti, ciascuno secondo la sua peculiare natura, "sono chiamati ad esprimere una fraternità esemplare, che sia d'esempio agli altri componenti ecclesiali nel quotidiano impegno di testimonianza del Vangelo". Per ottenere un migliore coordinamento delle diverse opere e programmi apostolici nel contesto pastorale della diocesi, così come un'adeguata conoscenza e una reciproca stima, conviene che il Vescovo incontri periodicamente i Superiori degli Istituti. Tali incontri costituiranno un'ottima occasione per individuare, grazie allo scambio di esperienze, obiettivi evangelizzatori e modalità idonee per venire incontro alle necessità dei fedeli, cosicché gli Istituti possano progettare nuove attività apostoliche e migliorare quelle già esistenti. Allo stesso modo sarà sua premura incontrare periodicamente i responsabili delle delegazioni diocesane della Conferenza dei Superiori e/o Superiore Maggiori. Allo scopo di facilitare le relazioni del Vescovo con le diverse comunità, in molti luoghi sarà opportuno costituire un Vicario episcopale per la vita consacrata, dotato di potestà ordinaria esecutiva, che faccia le veci del Vescovo nei riguardi degli Istituti e dei loro membri. Sarà anche cura del Vicario mantenere i Superiori dovutamente informati sulla vita e sulla pastorale diocesana. Date le molteplici e puntuali competenze del Vescovo in relazione agli Istituti - diversificate, poi, secondo la natura propria di ciascun istituto converrà che il Vicario sia egli stesso un consacrato o per lo meno buon conoscitore della vita consacrata. 103. La vita contemplativa. Tanto nei Paesi di salda tradizione cattolica come nei territori di missione, dovranno essere grandemente favoriti gli Istituti di vita contemplativa: infatti questi Istituti, specialmente ai giorni nostri, costituiscono una splendida testimonianza della trascendenza del Regno di Dio al di sopra di qualunque realtà terrena e transitoria, che li fa degni della particolare stima del Vescovo, del clero e del popolo cristiano. Il Vescovo coinvolga religiosi e religiose di vita contemplativa nella missione della Chiesa, sia universale che particolare, anche con il contatto diretto, per esempio confortandoli con visite personali durante le quali li spronerà a perseverare nella fedeltà alla loro vocazione, informandoli delle iniziative diocesane e universali, ed encomiando il profondo valore del loro nascosto apostolato di preghiera e di penitenza per la diffusione del Regno di Dio. Il Vescovo faccia anche in modo che i fedeli della diocesi possano beneficiare di questa scuola di preghiera costituita dai monasteri e, se fosse conforme alle loro peculiari norme, mantenendo le esigenze della clausura, procuri di favorire la partecipazione alle celebrazioni liturgiche di queste comunità. 104. Le donne consacrate. Molteplice e prezioso è l'aiuto che la donna consacrata negli Istituti religiosi, nelle Società di vita apostolica, negli Istituti secolari e nell'Ordine delle Vergini sta prestando alle diocesi, e sarà anche maggiore quello che potrà dare in futuro. Per questo il Vescovo si preoccupi in special modo di procurare idonei e, per quanto possibile, abbondanti sussidi per la loro vita spirituale e per la loro istruzione cristiana, così come per il loro progresso culturale. Una particolare sollecitudine il Vescovo dovrà averla per l'Ordine delle Vergini, che sono state consacrate a Dio attraverso le sue mani, e sono affidate alla sua cura pastorale, essendo dedicate al servizio della Chiesa. Consapevole delle attuali necessità formative delle donne consacrate oggi, non inferiori a quelle degli uomini, assegni loro cappellani e confessori tra i migliori, buoni conoscitori della vita consacrata e che si distinguano per pietà, sana dottrina e spirito missionario ed ecumenico. Il Vescovo vigili anche affinché alle donne consacrate siano dati adeguati spazi di partecipazione nelle diverse istanze diocesane, come i Consigli pastorali diocesano e parrocchiale, ove esistano; le diverse commissioni e delegazioni diocesane; la direzione di iniziative apostoliche ed educative della diocesi, e siano presenti anche nei processi di elaborazione delle decisioni, soprattutto in ciò che le riguarda, in modo tale da poter mettere al servizio del Popolo di Dio la loro particolare sensibilità e il loro fervore missionario, la loro esperienza e la loro competenza. 105. I Monasteri autonomi e le case di Istituti religiosi di diritto diocesano. Il Vescovo sarà particolarmente sollecito verso i Monasteri autonomi a lui affidati e alle comunità degli Istituti religiosi di diritto diocesano che hanno la casa nel territorio della sua diocesi, praticando il suo diritto-dovere di visita canonica, anche per quanto riguarda la disciplina religiosa, ed esaminando il loro rendiconto economico. 106. Gli eremiti. Il Vescovo deve seguire con speciale cura pastorale gli eremiti, specialmente coloro che sono riconosciuti dal diritto come tali perché professano pubblicamente i tre consigli evangelici nelle sue mani o sono stati confermati mediante i voti o altro vincolo sacro. Sotto la sua guida osservino la forma di vita che è loro propria dedicando l'esistenza alla lode di Dio e alla salvezza dell'umanità, nella separazione dal mondo, nel silenzio, nella solitudine, con la preghiera assidua e la penitenza. Il Vescovo deve anche vigilare per prevenire possibili abusi e inconvenienti. 107. Nuovi carismi della vita consacrata. Al Vescovo spetta discernere sui nuovi carismi che nascano nella diocesi, in modo da accogliere quelli autentici con gratitudine e gioia, ed evitare che sorgano istituti superflui e carenti di vigore. Dovrà quindi curare e valutare i frutti del loro lavoro ( cf. Mt 7,16 ), il che gli consentirà di intravedere l'azione dello Spirito Santo nelle persone. Esamini concretamente "la testimonianza di vita e l'ortodossia dei fondatori e delle fondatrici di tali comunità, la loro spiritualità, la sensibilità ecclesiale nel compiere la loro missione, i metodi di formazione e le forme di aggregazione alla comunità". Per un'approvazione non sarà invece sufficiente una teorica utilità operativa delle attività o, tanto meno, certi fenomeni devozionali, in sé ambigui, che possono verificarsi. Per accertare la qualità umana, religiosa ed ecclesiale di un gruppo di fedeli, che desiderano costituirsi in una forma di vita consacrata, conviene che incominci con inserirli in diocesi come "Associazione pubblica di fedeli" e solo dopo un periodo di esperienza e aver consultato e ottenuto il nulla-osta della Santa Sede, potrà procedere alla sua erezione formale come Istituto di diritto diocesano, ponendolo così sotto la propria speciale cura. VIII. I Fedeli Laici 108. I fedeli laici nella Chiesa e nella diocesi. L'edificazione del Corpo di Cristo è compito dell'intero Popolo di Dio, perciò il cristiano ha il diritto e il dovere di collaborare, sotto la guida dei Pastori, alla missione della Chiesa, ciascuno secondo la propria vocazione e i doni ricevuti dallo Spirito Santo. È quindi un dovere di tutti i ministri ridestare nei fedeli laici il senso della loro vocazione cristiana e della piena appartenenza alla Chiesa, evitando che possano sentirsi sotto qualche aspetto cristiani di seconda categoria. Sia in prima persona, che per mezzo dei sacerdoti, il Vescovo si preoccupi di far sì che i laici siano consapevoli della loro missione ecclesiale, e li sproni a realizzarla con senso di responsabilità, guardando sempre al bene comune. Il Vescovo accetti di buon grado il parere dei laici circa le questioni diocesane, in funzione della loro competenza, saggezza e fedeltà e ne abbia la dovuta considerazione. Tenga presente anche le opinioni circa i problemi religiosi o ecclesiali in generale, espressi dai laici tramite i mezzi di comunicazione come giornali, riviste, circoli culturali, ecc. Inoltre rispetti la libertà di opinione e di azione che loro è propria nella sfera secolare, sempre però nella fedeltà alla dottrina della Chiesa. 109. La missione dei fedeli laici. La vocazione universale alla santità, proclamata dal Concilio Vaticano II, è strettamente connessa con la vocazione universale alla missione apostolica. Ricade pertanto sui laici il peso e l'onore di diffondere il messaggio cristiano con l'esempio e la parola, nei diversi ambiti e rapporti umani in cui si svolge la loro vita: la famiglia, i rapporti di amicizia, di lavoro, il variegato mondo associativo secolare, la cultura, la politica, ecc. Questa missione laicale non è soltanto una questione di efficacia apostolica, bensì un dovere e un diritto fondato sulla dignità battesimale. Lo stesso Concilio ha segnalato la peculiarità di vita per la quale si distinguono i fedeli laici, senza separarli dai sacerdoti e dai religiosi: la secolarità, che si esprime nel "cercare di ottenere il Regno di Dio gestendo i problemi temporali e disporli secondo il disegno di Dio", in modo tale che le attività secolari divengano ambito di esercizio della missione cristiana e mezzo di santificazione. Il Vescovo promuova la collaborazione tra i fedeli laici affinché insieme iscrivano la legge divina nella costruzione della città terrena. Per raggiungere questo ideale di santità e di apostolato, i fedeli laici debbono saper svolgere le loro occupazioni temporali con competenza, onestà e spirito cristiano. 110. Il ruolo dei fedeli laici nell'evangelizzazione della cultura. All'apostolato proprio dei laici oggi si schiudono grandi orizzonti, tanto per la diffusione della Buona Novella di Cristo come per la costruzione dell'ordine temporale secondo l'ordine voluto da Dio. I fedeli laici, immersi come sono in tutte le attività secolari, hanno un ruolo importante da esercitare nell'evangelizzazione della cultura "dal di dentro", ricomponendo così la frattura esistente tra cultura e Vangelo, che si avverte ai giorni nostri. Tra i settori che hanno maggiormente bisogno della sensibilità del Vescovo verso lo specifico contributo dei laici emergono: a) La promozione del giusto ordine sociale, che metta in pratica i principi della dottrina sociale della Chiesa. Specialmente coloro che si occupano in modo professionale di tale ambito debbono essere in grado di dare una risposta cristiana ai problemi più intimamente legati al bene della persona, come: le questioni di bioetica ( rispetto della vita dell'embrione e del moribondo ); la difesa del matrimonio e della famiglia, dalla cui salute dipende la stessa "umanizzazione" dell'uomo e della società; la libertà educativa e culturale; la vita economica e i rapporti di lavoro, che debbono essere sempre improntati al rispetto per l'uomo e per il creato, come alla solidarietà e all'attenzione per i meno fortunati; l'educazione alla pace e la promozione di un'ordinata partecipazione democratica . b) La partecipazione alla politica, alla quale i laici a volte rinunciano, forse indotti dal disprezzo per l'arrivismo, l'idolatria del potere, o la corruzione di determinati personaggi politici, o per la diffusa opinione che la politica sia un luogo di inevitabile pericolo morale. Essa è invece un servizio primario ed importante alla società, al proprio Paese e alla Chiesa ed è una forma eminente di carità verso il prossimo. In questo nobile compito, tuttavia, i laici debbono tener presente che l'applicazione dei principi ai casi concreti può avere modalità diverse, per cui si deve evitare la tentazione di presentare le proprie soluzioni come fossero dottrina della Chiesa. Quando l'azione politica si confronta con principi morali fondamentali che non ammettono deroghe, eccezioni o compromesso alcuno, allora l'impegno dei cattolici si fa più evidente e carico di responsabilità, perché dinanzi a queste esigenze etiche fondamentali e irrinunciabili è in gioco l'essenza dell'ordine morale, che riguarda il bene integrale della persona. È il caso delle leggi civili in materia di aborto, di eutanasia, della protezione dell'embrione umano, di promozione e tutela della famiglia fondata sul matrimonio monogamico tra persone di sesso diverso e protetta nella sua stabilità e unità, nella libertà di educazione da parte dei genitori per i loro figli, delle leggi che tutelano socialmente i minori e liberano le persone dalle moderne forme di schiavitù, come quelle leggi che promuovono un'economia al servizio della persona, la pace e la libertà religiosa individuale e collettiva. Davanti a questi casi i cattolici hanno il diritto ed il dovere di intervenire per richiamare al senso più profondo della vita e alla responsabilità che tutti possiedono dinanzi ad essa, per tutelare l'esistenza e l'avvenire dei popoli nella formazione della cultura e dei comportamenti sociali. I cattolici che sono impegnati nelle Assemblee legislative hanno il preciso obbligo di opporsi ad ogni legge che risulti un attentato alla vita umana. Tuttavia, quando per esempio, l'opposizione all'aborto è chiara e nota a tutti, potrebbero offrire il loro "sostegno a proposte mirate a limitare i danni di una tale legge e a diminuirne gli effetti negativi sul piano della cultura e della moralità pubblica". c) Ai laici spetta anche l'evangelizzazione dei centri di diffusione culturale, come scuole e università, gli ambienti di ricerca scientifica e tecnica, i luoghi di creazione artistica e di riflessione umanistica e, gli strumenti di comunicazione sociale, che occorre dirigere rettamente, in modo che contribuiscano al miglioramento della stessa cultura. d) Comportandosi da cittadini a tutti gli effetti, i laici debbono saper difendere la libertà della Chiesa per il compimento del suo proprio fine, non soltanto come enunciato teorico, ma rispettando e apprezzando il grande aiuto che essa presta al giusto ordine sociale. Ciò comporta in particolare la libertà associativa e la difesa del diritto ad impartire l'insegnamento secondo i principi cattolici. 111. Collaborazione dei laici con la Gerarchia ecclesiale. In seno alla comunità ecclesiale, i laici prestano una preziosa collaborazione ai Pastori, e senza di essa l'apostolato gerarchico non può avere la sua piena efficacia. Tale contributo laicale nelle attività ecclesiali è stato sempre importante e ai giorni nostri è una necessità fortemente avvertita. I laici possono essere chiamati a collaborare con i Pastori, secondo la propria condizione, in vari ambiti: – nell'esercizio delle funzioni liturgiche; – nella partecipazione alle strutture diocesane e all'attività pastorale; – nell'incorporazione alle associazioni erette dall'autorità ecclesiastica; – e, singolarmente, nell'opera di catechesi diocesana e parrocchiale. Tutte queste forme di partecipazione laicale non solo sono possibili, ma anche necessarie. Tuttavia occorre evitare che i fedeli abbiano un interesse non preponderante per i servizi e gli impegni ecclesiali, salve le vocazioni speciali, cosa che li allontanerebbe dall'ambito secolare: professionale, sociale, economico, culturale e politico, giacché sono questi gli ambiti della loro responsabilità specifica, in cui la loro azione apostolica è insostituibile. La collaborazione dei laici avrà, in genere, l'impronta della gratuità. Per situazioni specifiche il Vescovo farà in modo che venga assegnata una giusta retribuzione economica ai laici che collaborano con il proprio lavoro professionale in attività ecclesiali, come per esempio i docenti di religione nelle scuole, gli amministratori di beni ecclesiastici, i responsabili di attività socio-caritative, coloro che lavorano nei mezzi di comunicazione sociale della Chiesa, ecc. La stessa regola di giustizia deve osservarsi quando si tratti di avvalersi temporaneamente dei servizi professionali dei laici. 112. Le attività di supplenza. In situazioni di carenza di sacerdoti e diaconi, il Vescovo potrà sollecitare dei laici particolarmente preparati che svolgano suppletivamente alcuni compiti propri dei ministri sacri. Questi sono: l'esercizio del ministero della predicazione ( mai però tenere l'Omelia ), la presidenza delle celebrazioni domenicali in assenza del sacerdote, il ministero straordinario dell'amministrazione della comunione, l'assistenza ai matrimoni, l'amministrazione del Battesimo, la presidenza delle celebrazioni delle esequie e altri. Questi compiti dovranno essere svolti secondo i riti prescritti e le norme della legge universale e particolare. Tale fenomeno, se da un lato è motivo di preoccupazione, poiché è conseguenza dell'insufficienza di ministri sacri, dall'altro evidenzia la generosa disponibilità dei laici, per questo degni di encomio. Vigili il Vescovo che tali incarichi non creino confusione tra i fedeli rispetto alla natura e al carattere insostituibile del sacerdozio ministeriale, essenzialmente distinto dal sacerdozio comune dei fedeli. Pertanto, occorrerà evitare che venga di fatto a stabilirsi "una struttura ecclesiale di servizio parallela a quella fondata nel sacramento dell'Ordine" o si attribuiscano ai laici termini o categorie che corrispondo soltanto ai chierici, come "cappellano", "pastore", "ministro", ecc. A questo scopo il Vescovo vigili attentamente "perché si eviti un facile e abusivo ricorso a presunte "situazioni di emergenza", là dove obiettivamente non esistono o là dove è possibile ovviarvi con una programmazione pastorale più razionale". Per l'esercizio di tali funzioni si richiede un mandato straordinario, conferito temporaneamente, secondo la norma del diritto. Prima di concederlo, il Vescovo dovrà accertarsi, personalmente o tramite un delegato, che i candidati rientrino nelle condizioni di idoneità. Ponga ogni cura nella formazione di queste persone, affinché svolgano tali compiti con conoscenza adeguata e piena coscienza della propria dignità. Provveda inoltre che siano sostenuti dai ministri sacri responsabili della cura delle anime. 113. I ministeri del lettore e dell'accolito. Il Vescovo promuova i ministeri del lettore e dell'accolito, a cui possono essere ammessi i laici di sesso maschile, mediante l'apposito rito liturgico e attese le disposizioni delle diverse Conferenze Episcopali. Con tali ministeri istituiti si esprime la consapevole e attiva partecipazione dei fedeli laici alle celebrazioni liturgiche, in modo che lo svolgimento di esse manifesti la Chiesa come assemblea costituita nei suoi diversi ordini e ministeri. In particolare il Vescovo affidi al lettore, oltre che la lettura della Parola di Dio nell'assemblea liturgica, il compito di preparare gli altri fedeli alla proclamazione della Parola di Dio, nonché ad istruire i fedeli a partecipare degnamente alle celebrazioni sacramentali e a introdurli nella comprensione della Sacra Scrittura mediante particolari incontri. Il compito dell'accolito è quello di servire all'altare aiutando il diacono e i sacerdoti nelle azioni liturgiche. Come ministro straordinario della comunione eucaristica, può distribuirla in casi di necessità, inoltre può esporre il SS. Sacramento per l'adorazione dei fedeli senza impartire la benedizione. Sarà sua cura preparare coloro che servono all'altare. Il Vescovo non manchi di offrire ai lettori e agli accoliti una appropriata formazione spirituale, teologica e liturgica, affinché possano partecipare alla vita sacramentale della Chiesa con una consapevolezza sempre più profonda. 114. Le aggregazioni laicali. "La nuova stagione aggregativa dei fedeli laici" che si registra oggi, soprattutto grazie al fenomeno dei movimenti ecclesiali e delle nuove comunità, è motivo di gratitudine alla provvidenza di Dio, che non cessa di avvicinare i propri figli ad un crescente e sempre attuale impegno nella missione della Chiesa. Il Vescovo, riconoscendo il diritto di associazione dei fedeli, in quanto fondato sulla natura umana e sulla condizione battesimale del fedele cristiano, incoraggi con spirito paterno lo sviluppo associativo accogliendo con cordialità i "movimenti ecclesiali" e le nuove comunità per ridare vigore alla vita cristiana e all'evangelizzazione. Alle nuove realtà aggregative dei fedeli laici, il Vescovo offra il servizio del suo paterno accompagnamento affinché si inseriscano con umiltà nella vita delle Chiese locali e nelle sue strutture diocesane e parrocchiali; inoltre il Vescovo vigili anche perché siano approvati gli statuti come segno del riconoscimento ecclesiale delle realtà aggregative laicali, e perché le differenti opere di apostolato associativo presenti nella diocesi siano coordinate sotto la propria direzione, nel modo opportuno per ciascun caso. Lo stretto contatto con i direttivi di ciascuna aggregazione laicale offrirà al Vescovo l'occasione di conoscerne e comprenderne lo spirito e gli obiettivi. Come padre della famiglia diocesana, sarà suo compito promuovere le relazioni di cordiale collaborazione tra i diversi movimenti associativi laicali, evitando dissensi o sospetti che talvolta potrebbero verificarsi. Il Vescovo è consapevole che il giudizio circa la autenticità di particolari carismi laicali e il loro esercizio armonico nella comunità ecclesiale, compete ai Pastori della Chiesa, ai quali corrisponde di "non spegnere lo Spirito, ma di esaminare tutto e tenere ciò che è buono" ( 1 Ts 5,12.19-21 ). Il Vescovo tenga presente il riconoscimento o l'erezione di associazioni internazionali da parte della Santa Sede per la Chiesa universale. 115. Assistenza ministeriale delle opere laicali. Il Vescovo provveda affinché nelle iniziative apostoliche dei laici non manchi mai una prudente e assidua assistenza ministeriale consona alle singole caratteristiche di ogni iniziativa. Per un compito così importante scelga con attenzione chierici veramente idonei per carattere e capacità di adattamento all'ambiente nel quale debbono esercitare questa attività, dopo aver sentito gli stessi laici interessati. Questi chierici, per quanto possibile, siano esonerati da altri incarichi che risultino difficilmente compatibili con tale ufficio e si provveda al loro opportuno sostentamento. Gli assistenti ecclesiastici, nel rispetto dei carismi e/o finalità riconosciute e della giusta autonomia che corrisponde alla natura dell'associazione o dell'opera laicale, e alla responsabilità che i fedeli laici assumono in esse, anche a livello di moderazione, debbono saper istruire e aiutare i laici a seguire il Vangelo e la dottrina della Chiesa come norma suprema del proprio pensiero e della propria azione apostolica, e con amabilità e fermezza esigere che mantengano le proprie iniziative conformi alla fede e alla spiritualità cristiana. Debbono inoltre trasmettere fedelmente le direttive e il pensiero del Vescovo, che rappresentano, e pertanto favorire le buone relazioni reciproche. Il Vescovo promuova incontri tra i gli assistenti ecclesiali, per stringere i vincoli di comunione e collaborazione tra questi e il Pastore della diocesi e studiare i mezzi più idonei al loro ministero. È particolarmente importante che sacerdoti specialmente preparati offrano la loro premurosa assistenza ai giovani, alle famiglie, ai fedeli laici che assumono importanti responsabilità pubbliche, a quelli che sviluppano significative opere di carità e a quelli che rendono testimonianza del Vangelo in ambienti molto secolarizzati o in condizioni di particolari difficoltà. 116. La formazione dei fedeli laici. Dall'importanza dell'azione dei laici oggi scaturisce la necessità di provvedere in larga misura alla loro formazione, che deve essere una delle priorità dei piani e dei programmi diocesani di azione pastorale. Il Vescovo saprà provvedere generosamente a questa grande sfida, apprezzando adeguatamente le autonome iniziative di altre istituzioni gerarchiche della Chiesa, degli Istituti di vita consacrata, e delle associazioni, movimenti ed altre realtà ecclesiali, nonché promuovendole direttamente sollecitando la collaborazione di sacerdoti, consacrati, membri di Società di vita apostolica e laici ben preparati in ciascuna area, in modo che tutte le istanze diocesane e gli ambienti formativi si adoperino con generosità e si possa raggiungere capillarmente un gran numero di fedeli: parrocchie, istituzioni educative e culturali cattoliche, associazioni, gruppi e movimenti. Ci si preoccupi, in primo luogo, con mezzi antichi e nuovi ( esercizi e ritiri spirituali, incontri di spiritualità, ecc. ) della formazione spirituale dei laici, che li induca a considerare le attività della vita ordinaria come occasione di unione con Dio e di adempimento della sua volontà, e anche come servizio agli altri uomini, portandoli alla comunione con Dio in Cristo. Tramite corsi e conferenze si dia loro una sufficiente formazione dottrinale, che dia una visione il più ampia e profonda possibile del mistero di Dio e dell'uomo, sapendo inserire in quell'orizzonte la formazione morale, compresa l'etica professionale e la dottrina sociale della Chiesa. Infine, non si perda di vista la formazione nei valori e nelle virtù umane, senza i quali non può esserci neppure una vera vita cristiana, e che saranno prova di fronte agli uomini del carattere salvifico della fede cristiana. Tutti questi aspetti della formazione dei laici debbono essere orientati a ridestare in loro un profondo senso apostolico, che li porti a trasmettere la fede cristiana con la propria testimonianza spontanea, con franchezza e coraggio. 117. Il Vescovo e le autorità pubbliche. Il ministero pastorale e anche il bene comune della società esigono normalmente che il Vescovo mantenga relazioni dirette o indirette con le autorità civili, politiche, socio-economiche, militari, ecc. Il Vescovo adempia tale compito in modo sempre rispettoso e cortese, ma senza mai compromettere la propria missione spirituale. Mentre nutre personalmente e trasmette ai fedeli un grande apprezzamento per la funzione pubblica e prega per i rappresentanti della cosa pubblica ( cf. 1 Pt 2,13-17 ), non consenta restrizioni alla propria libertà apostolica di annunciare apertamente il Vangelo e i principi morali e religiosi, anche in materia sociale. Pronto a lodare l'impegno e gli autentici successi sociali, lo sia altrettanto per condannare ogni offesa pubblica della legge di Dio e della dignità umana, operando sempre in modo da non dare alla comunità la minima impressione di intromettersi in sfere che non gli competono o di approvare interessi particolari. I presbiteri, i consacrati e i membri delle Società di vita apostolica debbono ricevere dal Vescovo esempio di condotta apostolica, per potere anch'essi mantenere la stessa libertà nel proprio ministero o compito apostolico. Capitolo V Il "Munus docenti" del Vescovo diocesano "Non è per me un vanto predicare il Vangelo; è per me un dovere: guai a me se non predicassi il Vangelo!" ( 1 Cor 9,16 ). I. Il Vescovo, Dottore autentico nella Chiesa 118. Caratteristiche della Chiesa particolare La Chiesa particolare, è: – una comunità di fede, che necessita di essere alimentata dalla Parola di Dio; – una comunità di grazia, nella quale si celebra il sacrificio eucaristico, si amministrano i sacramenti e si eleva a Dio incessantemente la preghiera; – una comunità di carità, sia spirituale sia materiale, che sgorga dalla fonte dell'Eucaristia; – una comunità di apostolato, nella quale tutti sono chiamati a diffondere le insondabili ricchezze di Cristo. Tutti questi aspetti, che riguardano ministeri diversi, trovano la loro radicale unità e armonia nella figura del Vescovo: posto al centro della Chiesa particolare, circondato dal suo presbiterio, coadiuvato da religiosi e laici, il Vescovo insegna, santifica e governa, in nome e con l'autorità di Cristo, il popolo al quale è strettamente unito come il pastore al suo gregge. C'è una reciprocità, o circolarità, tra i fedeli e il loro pastore e maestro, il Vescovo. Questi ripresenta in maniera autentica il contenuto del deposito della fede, a cui tutto il Popolo di Dio aderisce e che anch'egli ha ricevuto in quanto membro di tale popolo. 119. Il Vescovo, maestro della fede. Tra i diversi ministeri del Vescovo, eccelle quello di annunciare, come gli Apostoli, la Parola di Dio ( cf. Rm 1,1 ); proclamandola con coraggio ( cf. Rm 1,16 ) e difendendo il popolo cristiano di fronte agli errori che lo minacciano ( cf. At 20,29; Fil 1,16 ). Il Vescovo, in comunione con il Capo e i membri del Collegio, è maestro autentico, rivestito cioè dell'autorità di Cristo, sia quando insegna individualmente sia quando lo fa insieme agli altri Vescovi, e perciò i fedeli debbono aderire con religioso ossequio al suo insegnamento. C'è una stretta relazione tra il ministero d'insegnare del Vescovo e la testimonianza della sua vita. Questa "diventa per un Vescovo come un nuovo titolo d'autorità, che si accosta al titolo oggettivo ricevuto nella consacrazione. All'autorità si affianca così l'autorevolezza. Ambedue sono necessarie. Dall'una, infatti, sorge l'esigenza oggettiva dell'adesione dei fedeli all'insegnamento autentico del Vescovo; dalla seconda, la facilitazione a riporre la fiducia nel messaggio". Il Vescovo è chiamato, pertanto, a meditare la Parola di Dio e a dedicarsi generosamente a questo ministero ( cf. At 6,4 ), così che tutti prestino obbedienza non a una parola di uomo, ma a Dio rivelatore, e insegni ai chierici che l'annuncio della Parola di Dio è compito essenziale del pastore di anime. L'ufficio di evangelizzare del Vescovo non si esaurisce nella sollecitudine verso i fedeli, ma riguarda anche coloro che non credono in Cristo o hanno abbandonato, intellettualmente o praticamente, la fede cristiana. Egli orienti gli sforzi dei suoi collaboratori verso questo obiettivo e non si stanchi di ricordare a tutti la fortuna e la responsabilità di collaborare con Cristo nell'attività missionaria. 120. Oggetto della predicazione del Vescovo. È obbligo del Vescovo predicare personalmente con frequenza, proponendo ai fedeli, in primo luogo, ciò che debbono credere e fare per la gloria di Dio e per la salvezza eterna. Egli annuncia il mistero della salvezza compiutosi in Cristo, in maniera da mostrare nostro Signore come unico Salvatore e centro della vita dei fedeli e di tutta la storia umana. È anche compito del Vescovo proclamare ovunque e sempre i principi morali dell'ordine sociale, annunciando così la liberazione autentica dell'uomo portata nel mondo dall'Incarnazione del Verbo. Quando i diritti della persona umana o la salvezza delle anime lo esigano, è suo dovere esprimere un giudizio fondato sulla Rivelazione circa le realtà concrete della vita umana: in particolare, quanto concerne il valore della vita, il significato della libertà, l'unità e la stabilità della famiglia, la procreazione e l'educazione dei figli, il contributo al bene comune e il lavoro, il significato della tecnica e l'utilizzo dei beni materiali, la pacifica e fraterna convivenza di tutti i popoli. Il Vescovo non mancherà di trasmettere ai suoi fedeli gli insegnamenti e le indicazioni che riceve dalla Santa Sede. 121. Stile della predicazione. La Parola di Dio deve essere annunciata con autorità, poiché non procede dagli uomini, ma da Dio stesso, e con forza, senza cedere con motivazioni opportunistiche all'umana convenienza, cercando allo stesso tempo di presentarla in modo attraente e come dottrina che, prima di essere predicata, è stata messa in pratica. Dunque, il Vescovo si preoccupi che la sua predicazione sia fermamente ancorata alla dottrina della Chiesa e basata sulla Scrittura; le sue parole siano impregnate di carità pastorale, e per questo sia attento alla scelta dei temi e di uno stile appropriato, ispirandosi ai grandi maestri, in particolare ai Padri della Chiesa. 122. Modalità di predicazione a) L'omelia. Per essere parte della liturgia, culmine e fonte di tutta la vita della Chiesa, l'omelia eccelle fra tutte le forme di predicazione e in un certo senso le riassume. Il Vescovo procuri di esporre la verità cattolica nella sua integrità, con linguaggio piano, familiare e adatto alle capacità di tutti gli astanti, basandosi - salvo particolari ragioni pastorali - sugli stessi testi della liturgia del giorno. Attraverso un proprio piano annuale farà in modo di esporre tutte le verità cattoliche. b) Le lettere pastorali. Il Vescovo proponga la dottrina anche servendosi di lettere pastorali e di messaggi in occasione di circostanze speciali per la vita diocesana, dirette a tutta la comunità cristiana, opportunamente lette nelle Chiese e negli oratori e anche distribuite a stampa capillarmente ai fedeli. Nel redigere le lettere, il Vescovo potrà servirsi dell'aiuto dei suoi collaboratori, del Consiglio presbiterale e, secondo i casi, anche del Consiglio pastorale diocesano, affinché propongano temi da trattare, obiezioni correnti da confutare, o indichino problemi attinenti alla diocesi sui quali è opportuno che il Vescovo si pronunci con autorità. c) Altre forme di predicazione. Il Vescovo non trascuri alcuna possibilità di trasmettere la dottrina salvifica, anche attraverso i diversi mezzi di comunicazione sociale: articoli sui giornali, trasmissioni televisive e radiofoniche, incontri o conferenze su temi religiosi, in special modo rivolti ai responsabili della diffusione delle idee, come sono i professionisti dell'educazione e dell'informazione. II. Il Vescovo, Moderatore del ministero della Parola 123. Il compito di vigilanza del Vescovo sull'integrità dottrinale. Compito del Vescovo non è soltanto quello di attendere personalmente all'annunzio del Vangelo, ma anche quello di presiedere a tutto il ministero della predicazione nella diocesi, e vigilare soprattutto sull'integrità dottrinale del suo gregge e sull'osservanza diligente delle norme canoniche in quest'ambito. 124. I collaboratori del Vescovo nel ministero della Parola. In virtù del sacramento dell'Ordine, il ministero della predicazione è proprio dei presbiteri - principalmente dei parroci e degli altri sacerdoti a cui è affidata la cura delle anime - e anche dei diaconi, in comunione con il Vescovo e il presbiterio. Al Vescovo compete vigilare sull'idoneità dei ministri della parola, e ha la facoltà di imporre condizioni particolari per l'esercizio della predicazione. Si preoccuperà che, già negli anni del seminario e poi tramite i mezzi di formazione permanente, ricevano una preparazione specifica estesa anche agli aspetti formali, come la sacra eloquenza, la fonetica, l'arte della comunicazione, ecc. In caso di scarsità di presbiteri e diaconi, attenendosi alle norme date dalla Conferenza Episcopale, il Vescovo può chiamare altri fedeli - specialmente religiosi e membri delle Società di vita apostolica, ma anche laici esemplari e opportunamente formati - all'incarico di collaborare nel ministero della predicazione fermo restando che l'omelia è sempre riservata esclusivamente al sacerdote o al diacono. D'altra parte, i laici che presentino le condizioni di idoneità possono ricevere dall'autorità ecclesiastica il corrispondente mandato per l'insegnamento delle scienze sacre a ogni livello. È principale responsabilità del Vescovo vigilare sulla ortodossia e integrità dell'insegnamento della dottrina cristiana, senza esitare a far uso della sua autorità quando il caso lo richieda. Egli tempestivamente ammonisca coloro che osassero proporre dottrine discordanti dalla fede e, in caso di mancato ravvedimento, li privi della facoltà di predicare o insegnare. 125. L'ordinamento generale del ministero della Parola. Il Vescovo promuova, organizzi e regoli la predicazione nelle chiese della diocesi aperte al pubblico, non escluse quelle dei religiosi. Con gli eventuali sussidi degli organismi della Conferenza Episcopale e servendosi del consiglio di esperti in teologia e catechetica, la sua diocesi studierà l'opportunità di preparare un programma generale di predicazione e di catechesi, tenendo specialmente conto che: a) L'omelia, non si deve mai tralasciare nelle Messe con partecipazione di popolo nelle domeniche e feste di precetto, nella Messa del Matrimonio e nelle altre Messe rituali secondo le rubriche. La predicazione è raccomandata, anche sotto forma di omelia breve, nelle ferie d'Avvento, di Quaresima e di Pasqua, affinché il mistero pasquale di Cristo, significato e ripresentato nell'Eucaristia, sia da tutti celebrato con viva fede e devozione. b) La catechesi, tanto quella di preparazione ai sacramenti, come quella sistematica, secondo le modalità esposte nel prossimo paragrafo. c) Le forme particolari di predicazione, adeguate alle necessità dei fedeli, come gli esercizi spirituali, le missioni sacre, ecc. d) I mezzi adatti per far giungere la Parola di Dio a coloro che per diverse ragioni, non possono godere sufficientemente della comune cura pastorale. 126. L'opera dei teologi. In quanto partecipi della successione apostolica, i Vescovi possiedono un carisma certo di verità, perciò ad essi compete custodire e interpretare la Parola di Dio e giudicare autorevolmente quanto sia conforme o sia difforme da essa. A tal fine Gesù Cristo ha promesso loro l'assistenza dello Spirito Santo. Al tempo stesso, i Pastori necessitano dell'aiuto dei teologi, i quali hanno la vocazione di acquisire, in comunione con il Magistero, un'intelligenza sempre più profonda della Parola di Dio contenuta nella Sacra Scrittura e trasmessa dalla Tradizione viva della Chiesa. Le indagini teologiche, anche se non costituiscono la norma di verità, arricchiscono e illuminano la profondità del Magistero. Pertanto il Vescovo vorrà servirsi della collaborazione di teologi qualificati sia per la predicazione diretta ai fedeli come per i lavori che gli affidi la Santa Sede e la Conferenza Episcopale. È dovere del Vescovo, in forza dell'autorità ricevuta da Cristo stesso, vigilare per difendere fermamente l'integrità e l'unità della fede, in modo tale che il deposito della fede sia conservato e trasmesso fedelmente e che le posizioni particolari siano unificate nell'integrità del Vangelo di Cristo. È perciò necessario che tra Vescovi e teologi si instauri una cordiale collaborazione e un fruttuoso dialogo nel mutuo rispetto e nella carità, per conservare il Popolo di Dio nella verità e per impedire divisioni e contrapposizioni, oltre che per incoraggiare tutti verso una ricca convergenza nell'unità della fede custodita dal Magistero della Chiesa. III. Il Vescovo, primo responsabile della Catechesi 127. Dimensioni della catechesi. Per mezzo della catechesi si trasmetta la Parola di Dio in modo completo e integro, cioè senza falsificazioni, deformazioni o mutilazioni, in tutto il suo significato e la sua forza. Nel promuovere e programmare l'opera di catechesi, il Vescovo terrà presente una serie di importanti elementi: a) Catechizzare significa spiegare il mistero di Cristo in tutte le sue dimensioni, sì che la Parola di Dio dia frutti di vita nuova. Per questo, oltre alla trasmissione intellettuale della fede, che non deve mancare, è necessario che la catechesi trasmetta la gioia e le esigenze del cammino di Cristo; b) la catechesi deve essere collocata nella dovuta relazione con la liturgia. Così si evita il rischio di ridurre la conoscenza della dottrina cristiana ad un bagaglio intellettuale inoperante o di impoverire la vita sacramentale, che si traduce in vuoto ritualismo; c) la catechesi deve riferirsi alla condizione dell'uomo, sempre bisognoso di perdono e allo stesso tempo capace di conversione e di miglioramento. Perciò, deve indirizzare i fedeli ad una vita di continua riconciliazione con Dio e con i fratelli, ricevendo con frequenza e fruttuosamente il sacramento della Penitenza; d) nella catechesi dei giovani occorre prestare attenzione alle reali condizioni in cui oggi vivono e alla forte pressione esercitata su di essi dai mezzi di comunicazione sociale. Debbono quindi essere educati al valore intrinseco della vita umana e alle diverse dimensioni della personalità umana integrale, secondo la retta ragione e la dottrina di Cristo: tra queste, in particolare, l'educazione all'amore umano, alla castità e al matrimonio; e) senza la pratica della carità la vita cristiana perderebbe una dimensione essenziale. Per questo occorre fare in modo che le nuove generazioni siano formate nel senso cristiano del dolore e si dedichino alle opere di misericordia, in quanto elemento indispensabile della loro maturazione cristiana. 128. Il Vescovo, responsabile della catechesi diocesana. Il Vescovo ha la funzione principale, insieme alla predicazione, di promuovere una catechesi attiva ed efficace. Nessuna organizzazione nella Chiesa può rivendicare il monopolio della catechesi, pertanto, è responsabilità solo del Vescovo ordinare la catechesi diocesana secondo i principi e le norme emanati dalla Sede Apostolica, disponendo le diverse modalità di catechesi adeguate alle necessità dei fedeli. Deve inoltre provvedere a fornire la diocesi di abbondanti mezzi per la catechesi: – in primo luogo, un buon numero di catechisti, sostenuti da un'efficace organizzazione diocesana che provveda adeguatamente alla loro formazione tanto di base che permanente, in maniera che siano essi stessi catechesi vivente. Il Vescovo dia rilievo al peculiare carattere ecclesiale dei catechisti conferendo loro il mandato. – poi, gli strumenti idonei per l'esercizio dell'opera catechistica, per la quale il Vescovo potrà valersi di catechismi pubblicati dalla Conferenza Episcopale oppure, se ritenuto più opportuno, approntare un catechismo proprio della diocesi. I contenuti del Catechismo della Chiesa Cattolica sono testo di riferimento obbligato, anche per l'elaborazione dei catechismi locali. 129. Forme di catechesi a) In occasione del battesimo ai bambini, occorre dare inizio ad una catechesi organica, che a partire dalla preparazione delle famiglie dei bambini, continui poi mediante la successione di periodi di catechesi, corrispondenti all'ammissione ai sacramenti della Penitenza e dell'Eucaristia, della Confermazione e del Matrimonio. Si tratta di un mezzo di grande importanza per coltivare ed educare la fede dei fedeli in momenti importanti della loro vita e disporli alla degna accoglienza dei sacramenti, che così si traduce in un rinnovato impegno di vita cristiana. Occorre prestare attenzione anche alla catechesi effettuata durante lo stesso rito del sacramento, in modo che aiuti gli astanti a comprendere quanto si sta compiendo e possa suscitare una conversione in cristiani di fede tiepida che forse assistono alla cerimonia unicamente per convenienza sociale. b) Il Vescovo provveda affinché in tutta la diocesi si osservi il catecumenato per gli adulti che desiderano ricevere i sacramenti dell'iniziazione cristiana, in modo che i catecumeni ricevano un'istruzione progressiva nella Parola di Dio e siano introdotti a poco a poco alla dottrina della Chiesa, alla liturgia, all'azione caritativa e all'apostolato, secondo le norme del Codice di Diritto Canonico, quelle date dalla Sede Apostolica e dalla Conferenza Episcopale. c) Occorre anche provvedere ad una catechesi sistematica e continuata dei fedeli, con particolare attenzione per quella degli adulti. A tale scopo si può elaborare un programma ben concepito e distribuito nel corso dell'anno o degli anni, distinguendo secondo le diverse età - giovani, adulti, anziani - per adeguarlo alle necessità e agli interrogativi propri di ogni stadio della vita. d) Consapevole che la famiglia assume un ruolo primario nell'educazione alla fede, è necessario dare accurate indicazioni perché essa sia realmente luogo di catechesi. Nell'elaborare i suggerimenti per "la Chiesa domestica" si deve tener conto che nella famiglia il Vangelo viene radicato nel contesto di profondi valori umani attraverso l'occasionalità della vita quotidiana. Questa forma familiare di catechesi richiede più la testimonianza dei membri della famiglia che il loro insegnamento. 130. Ambienti in cui si svolge la catechesi. Occorre impegnarsi perché la Parola di Dio penetri, in modo differenziato secondo la formazione e le condizioni delle persone, in tutti gli ambienti e in tutte le categorie della società contemporanea: nell'ambiente urbano e in quello rurale, studentesco, professionale, operaio, ecc., e provvedere anche a trasmettere la dottrina cristiana a quelle persone che hanno meno accesso all'attenzione pastorale comune, come chi è affetto da forme di incapacità fisica o mentale o gruppi particolari ( profughi, rifugiati, nomadi, circensi e lunaparkisti, immigrati, carcerati, ecc ). Nell'ambiente urbano - oggi sempre più esteso - si potranno istituire corsi periodici di catechesi specifica secondo i diversi interessi professionali e gradi di formazione culturale: per operai, per intellettuali, per professionisti di alcuni settori, per impiegati e commercianti, per artisti, ecc. A tal fine, occorre scegliere le modalità più idonee per ciascun caso: lezioni, conferenze, dibattiti, tavole rotonde, e i luoghi più appropriati: in primo luogo le parrocchie, ma anche, se è possibile, gli stessi posti di lavoro ( centri di insegnamento, negozi, uffici ), i centri culturali, sportivi, di riposo, di turismo, di pellegrinaggio, di pubblico divertimento. Per realizzare questo obiettivo, il Vescovo convochi chierici, religiosi e membri delle Società di vita apostolica e laici, già presenti nei diversi ambienti sociali e che, pertanto, abbiano esperienza diretta della mentalità professionale, parlino lo stesso linguaggio e - nel caso dei laici - condividano il medesimo stile di vita. Con questo intento, il Vescovo deve incitare tutte le istanze diocesane e richiedere il generoso aiuto di associazioni, comunità e movimenti ecclesiali. Infine, occorre ricordare sempre ai genitori cristiani che ad essi compete il diritto e il dovere irrinunciabile di educare cristianamente i figli, in primo luogo con l'esempio di una retta vita cristiana, ma anche con l'insegnamento, specialmente quando altri ambienti di catechesi si dimostrino insufficienti. Converrà inoltre spingerli a intraprendere utili iniziative catechistiche di ambito familiare o "catechesi familiare" a beneficio dei figli propri e di famiglie amiche, procurando loro a tale scopo i sussidi necessari. 131. Insegnamento della dottrina sociale della Chiesa. L'aspirazione ad una trasformazione della vita umana secondo il piano creatore e redentore di Dio, si traduce nella promozione di un ordine sociale retto e rispettoso della dignità delle persone. È pertanto necessario formare i chierici, i consacrati e i laici ad un vivo senso della giustizia sociale, tanto sul piano nazionale come internazionale, sì che possano praticarla e diffonderla in tutte le sfere della loro vita quotidiana: in famiglia, al lavoro, nella vita sociale e civile. Così il Vescovo si preoccupi di diffondere la dottrina sociale della Chiesa, che chiarisce il senso dei rapporti umani e il mondo economico alla luce della rivelazione, mediante la predicazione dei ministri, la catechesi e soprattutto con l'istruzione impartita nei centri di insegnamento cattolico. 132. La formazione religiosa nella scuola. Il Vescovo deve impegnarsi ad ottenere che in tutti i centri educativi ( scuole, collegi, istituti ), dipendenti o no dall'autorità ecclesiastica, gli alunni battezzati ricevano una solida educazione religiosa e morale che li porti alla maturazione come discepoli autentici di Cristo e lievito di vita cristiana. Per questo fine il Vescovo, attenendosi alle eventuali disposizioni della Conferenza Episcopale, si preoccupi di regolare quanto concerne l'istruzione e l'educazione religiosa cattolica, in qualunque centro di studi venga impartita. Per quanto riguarda le scuole e gli istituti pubblici, bisogna coltivare i buoni rapporti con l'autorità civile e con le associazioni professionali, sì da facilitare la regolare istruzione religiosa degli alunni o, se ciò non fosse possibile, almeno impartire la formazione catechistica come attività parascolastica, affidata a chierici, religiosi e laici idonei. Si provveda inoltre ad istituire, secondo le possibilità della diocesi, centri cattolici di insegnamento, che potranno essere di diversi tipi, econdo i bisogni della comunità ristiana e dell'opera di evangelizzazione: scuole o collegi di istruzione generale, scuole professionali o tecniche per l'apprendistato di un mestiere, scuole di magistero, istituti pedagogici, per l'istruzione di adulti o "scuole serali", ecc. D'altra parte, il Vescovo valorizzi i centri educativi promossi dagli stessi fedeli, specialmente dai genitori cattolici, rispettando la loro autonomia organizzativa e vigilando affinché si mantenga fedelmente l'identità cattolica del loro progetto formativo, anche attraverso accordi con le istituzioni della Chiesa che possano garantire tale identità e fornire assistenza pastorale alla comunità educativa. 133. La scuola cattolica. La scuola cattolica occupa un posto importante nella missione salvifica della Chiesa, giacché in essa si provvede ad una formazione completa della persona, educata pienamente alla fede e ad un vero spirito cristiano. In quanto depositaria di un mandato della Gerarchia, la scuola cattolica deve operare in piena sintonia con i Pastori. È diritto del Vescovo dettare norme sull'organizzazione generale della scuola cattolica e visitare periodicamente, di persona o tramite un proprio rappresentante, le istituzioni scolastiche, anche dipendenti da Istituti religiosi, presenti in diocesi, affinché vi si accresca lo spirito apostolico e l'opera di insegnamento si inserisca in modo adeguato nella pastorale organica generale della diocesi. L'identità cattolica della scuola porta alla promozione dell'uomo integrale, perché è in Cristo, uomo perfetto, che tutti i valori umani trovano la piena realizzazione e pertanto la loro unità. Per questo, la scuola cattolica si sforza di realizzare una sintesi tra cultura e fede, tra fede e vita, attraverso l'integrazione dei diversi contenuti del sapere umano alla luce del messaggio evangelico, e tramite lo sviluppo delle virtù che caratterizzano l'uomo onesto e il buon cristiano. Per raggiungere questo ideale formativo, è necessario che i docenti della scuola e anche le famiglie condividano il medesimo progetto educativo. La scuola cattolica deve perciò preoccuparsi di offrire mezzi di formazione cristiana, non soltanto in favore degli alunni, ma anche per i genitori, i professori e il personale. La scuola cattolica presti un'attenzione particolare agli alunni più bisognosi per difetti naturali o difficoltà familiari e provveda per quanto possibile - sollecitando la generosità delle famiglie più abbienti - a coloro i quali non dispongono di mezzi economici. Sia aperta anche verso chi non ha il dono della fede, avendo però cura di garantire la sintonia formativa con i genitori degli alunni. 134. La formazione dei docenti di religione. Per attuare il vasto programma di educazione alla fede nei giovani, il Vescovo susciti la generosa collaborazione di fedeli idonei, assicurandosi che gli aspiranti al ruolo di insegnante di religione abbiano un'adeguata istruzione teologica e sufficiente capacità pedagogica, che risulti dalla presentazione di un titolo o certificato o anche da esami e colloqui personali. Quindi provveda, da solo o insieme agli altri Vescovi, alla formazione dei futuri docenti di religione, cosicché siano molti i fedeli che approfondiscono lo studio delle scienze sacre, se è possibile accedendo alle facoltà ecclesiastiche esistenti, oppure mediante scuole o corsi compatibili con gli orari di lavoro, da seguire per un certo numero di anni sotto la guida di professori idonei e capaci. Questi studi potranno col tempo divenire facoltà ecclesiastiche per decreto della Sede Apostolica o giungere a far parte di un'Università civile già operante. 135. Le università e i centri di studi superiori cattolici. La Chiesa ha avuto sempre una grande stima per il mondo universitario, poiché l'università contribuisce molto efficacemente al progresso della civiltà e alla promozione della persona umana. È per questo motivo che, secondo una tradizione che risale agli esordi dell'istituzione universitaria, non ha mai cessato di promuovere l'erezione di università cattoliche, atte ad un insegnamento delle diverse discipline umane in conformità alla dottrina di Gesù Cristo e ad essa ispirato. Il Vescovo, mentre rispetta l'autonomia dell'istituzione universitaria secondo i suoi propri statuti, osservi i suoi doveri e le disposizioni della Conferenza Episcopale, e vigili perché non venga meno la fedeltà alle linee della sua identità cattolica, e cioè: una completa adesione al messaggio cristiano così come lo presenta il Magistero ecclesiastico e una riflessione costante, compiuta alla luce della fede cattolica, circa la crescente ricchezza di umane conoscenze. Accertate l'idoneità umana, ecclesiale, scientifica e didattica del candidato all'insegnamento di discipline concernenti la fede e la morale, il Vescovo diocesano, a norma degli Statuti dell'Università, dà il mandato al candidato, che deve emettere la professione di fede della quale fa parte integrante il giuramento di fedeltà, secondo la forma stabilita dalla Chiesa. È dunque assai opportuno che il Vescovo coltivi frequenti relazioni con le autorità universitarie, in modo da instaurare una stretta collaborazione, personale e pastorale, contraddistinta dalla reciproca fiducia. Il Vescovo cercherà di intrattenere rapporti di dialogo e di collaborazione con tutte le università presenti nella sua diocesi. In particolare, oltre alle università formalmente costituite come cattoliche, apprezzerà specialmente il contributo di quei centri promossi dagli stessi fedeli con un'ispirazione veramente cattolica. Nel rispetto della loro autonomia accademica, il Vescovo si adopererà per favorire tale ispirazione, anche mediante la stipula di accordi formali con la diocesi o con altre istituzioni della Chiesa che possano garantire l'impostazione dottrinale e morale della docenza e della ricerca e forniscano l'opportuna assistenza pastorale. Se un'istituzione si presentasse in qualche modo come cattolica senza esserlo davvero, il Vescovo, dopo aver cercato di risolvere positivamente il problema, dovrà dichiarare pubblicamente tale contrasto con la fede e la morale della Chiesa, per dissipare ogni equivoco dinanzi all'opinione pubblica. 136. Le università e facoltà ecclesiastiche. Alla Sede Apostolica competono l'erezione o l'approvazione e la suprema direzione di università e facoltà ecclesiastiche, cioè quelle che si occupano dell'istruzione e della ricerca scientifica nelle scienze sacre o di altre discipline ad esse collegate. Se il Vescovo ricopre la carica di Gran Cancelliere, eserciti le funzioni che gli sono proprie. Diversamente, ricade comunque su di lui la responsabilità di vigilare sulle università o facoltà ecclesiastiche situate nella diocesi, perché i principi della dottrina cattolica siano fedelmente osservati. Se notasse abusi o irregolarità, lo comunichi al Gran Cancelliere o, se è il caso, alla competente Congregazione Romana. Il Gran Cancelliere rappresenta la Santa Sede presso l'Università o la Facoltà e così pure questa presso la Santa Sede, ne promuove la conservazione e il progresso, ne favorisce la comunione con la Chiesa sia particolare che universale. Accertate l'idoneità umana, ecclesiale, scientifica e didattica del candidato all'insegnamento di discipline concernenti la fede e la morale, il Gran Cancelliere, o il suo delegato, dà la missione canonica dopo che il candidato abbia emesso la professione di fede della quale fa parte integrante il giuramento di fedeltà, secondo la forma stabilita dalla Chiesa. I docenti di altre materie devono ricevere l'autorizzazione ad insegnare, ossia la "venia docendi". Prima di concedere la missione canonica del docente che sta per essere assunto in modo stabile, il Gran Cancelliere richieda il nulla osta della Santa Sede. In vista del bene della diocesi, il Vescovo diocesano invii presso le università ecclesiastiche i seminaristi e i giovani sacerdoti che si distinguono per carattere, virtù ed intelligenza. IV. Il Vescovo e gli strumenti della Comunicazione Sociale 137. I moderni "areopaghi". La missione della Chiesa si rivolge all'uomo considerato nella sua individualità, ma possiede anche una dimensione sociale e culturale, come l'essere stesso delle persone. Si tratta, pertanto, dell'affascinante sfida dell'evangelizzazione della cultura umana, attraverso tutti i modi onesti di relazione e comunicazione sociale, perché la Chiesa sia un segno sempre più chiaro per gli uomini di ogni epoca. Seguendo, poi, l'esempio di San Paolo ( cf. At 17 ), la Chiesa si impegna a diffondere il messaggio salvifico attraverso i moderni "areopaghi" nei quali la cultura viene definita e diffusa, e in particolare mediante i mezzi di comunicazione sociale. Tra questi, periodici e riviste, televisione, radio, cinema e, con incidenza crescente, internet e gli strumenti informatici. Nella formazione dei fedeli in questo campo delle comunicazioni sociali, va messo in risalto il contributo che tutti possono dare, ognuno dalla propria situazione nella Chiesa e nel mondo. In questo senso, va specialmente valorizzato il lavoro dei fedeli la cui attività professionale si svolge in quest'ambito, cercando di spronarli a contribuire attivamente in quei mezzi ove sia moralmente possibile una loro collaborazione, e anche in mezzi che possano essi stessi creare, in sintonia con altre persone con cui si possa impostare una collaborazione positiva per il bene della società. Non va dimenticata la responsabilità dei fedeli come destinatari dei mezzi: in quanto possono scegliere di servirsi o meno delle diverse offerte; in quanto possono usare - individualmente o costituendo associazioni - il diritto a giudicare pubblicamente in modo positivo o negativo l'andamento dei mezzi; in quanto hanno la possibilità di influire sull'orientamento delle comunicazioni con il sostegno economico a certe iniziative. 138. Trasmissione della dottrina cristiana mediante gli strumenti di comunicazione sociale. I Pastori della Chiesa debbono saper utilizzare tali strumenti nello svolgere la loro missione, coscienti della notevole efficacia che ne deriva per la diffusione del Vangelo. In primo luogo, al Vescovo compete organizzare il modo di trasmettere la dottrina cristiana attraverso i mezzi di comunicazione, spronando a tal fine il generoso contributo di fedeli, chierici, religiosi e membri delle Società di vita apostolica e laici. Nel piano pastorale diocesano sia previsto anche il tema dei Mass-Media. Se le circostanze lo richiedono, è auspicabile che il Vescovo elabori un piano pastorale diocesano per le comunicazioni sociali. Dovrà anche vigilare perché i contenuti dei programmi e delle iniziative cattoliche siano pienamente conformi alla dottrina della Chiesa e perché venga osservato quanto disposto dalla Conferenza Episcopale circa questo particolare apostolato. Tra i diversi aspetti della formazione pastorale dei seminaristi, non deve mancare l'uso di questi mezzi. Per un adeguato insegnamento, il Vescovo si servirà di professionisti ben preparati nelle diverse tecniche, senza perdere di vista il fine ultimo di questa attività, cioè la salvezza delle anime e il reale miglioramento delle persone. 139. Gli strumenti della comunicazione cattolici. Il Vescovo sommi le proprie forze a quelle delle altre diocesi per creare strumenti propri o almeno utilizzare liberamente quelli già esistenti, senza ammettere in questo campo monopoli di persone o di istituzioni, quantunque si presentino come "pubbliche". Consideri come un impegno legato alla sua funzione magisteriale stampare e diffondere giornali o riviste cattoliche, tanto di informazione generale come religiosa. In questo ambito, sempre attuale, di azione evangelizzatrice, sia le stesse diocesi che i religiosi e le associazioni di fedeli hanno un importante ruolo da svolgere. Prescindendo dal titolare dell'impresa, tali mezzi, essendo cattolici, debbono svolgere la loro attività in sintonia con la dottrina della Chiesa e in comunione con i Pastori, secondo le norme canoniche. Non va dimenticato, infine, quanto realizzato dai bollettini parrocchiali e da altre pubblicazioni periodiche a diffusione limitata per accrescere la coesione delle comunità locali, diffondere capillarmente le notizie sulla vita della Chiesa e prestare un valido aiuto all'opera di catechesi e di formazione liturgica dei fedeli. 140. Vigilanza sui mezzi di comunicazione sociale. Il Vescovo, consapevole della grande influenza di questi strumenti sulle persone, intensifichi la propria azione presso le competenti istituzioni sociali affinché i mezzi di comunicazione sociale, e in particolare i programmi televisivi e radiofonici, siano conformi alla dignità umana e rispettosi della Chiesa, e trasmetta tale preoccupazione a tutta la comunità cristiana. Non trascuri inoltre, di esortare i Pastori e i genitori perché nelle famiglie e negli ambienti cristiani tali mezzi vengano usati con prudenza e moderazione e si eviti quanto possa nuocere alla fede e al comportamento dei fedeli, specialmente i più giovani. Se il caso lo richiede, censuri pubblicamente gli scritti e i programmi che risultino dannosi. Come è esperienza di provata efficacia in molte nazioni, il Vescovo potrà creare e mantenere un servizio di informazione che orienti rettamente genitori ed educatori alla programmazione prevista nei diversi mezzi. E non trascuri di vigilare, con la sollecitudine di un padre di famiglia, perché l'informazione non si discosti dalle regole del buon senso umano e cristiano. Gli scritti dei fedeli che trattino della fede o dei buoni costumi, prima di essere pubblicati, debbono essere sottoposti al giudizio del Vescovo quando così è prescritto dalle norme canoniche universali o particolari ed è raccomandabile che lo siano anche negli altri casi. Se alcuni casi lo richiedono, il Vescovo applichi le sanzioni previste dal diritto della Chiesa, per ottenere il ravvedimento degli autori e soprattutto per proteggere il bene spirituale dei fedeli e la comunione ecclesiale. 141. Vigilanza sui libri e sulle riviste. Il Vescovo sa bene che è suo dovere e suo diritto nella Chiesa quello di esaminare, se è possibile prima della loro pubblicazione e, se del caso, riprovare e condannare i libri e le riviste nocivi alla fede o alla morale. Perciò: a) Personalmente o per mezzo di altre persone, tra i quali i censori approvati dalla Conferenza Episcopale, egli vigili su libri e riviste che si stampano o si vendono sul suo territorio, anche se tradotti da altra lingua, e non tralasci di riprovare scritti la cui lettura potrebbe costituire un danno o un pericolo spirituale per i fedeli. b) Gli scritti di cui sopra li faccia opportunamente confutare, esponendo e ivulgando la dottrina cattolica impugnata o messa in pericolo dai medesimi. Tuttavia, se quegli scritti hanno in diocesi una larga diffusione, e il pericolo per la fede e la morale è grave e certo, allora egli ricorra anche alla pubblica riprovazione. c) Il Vescovo non giunga alla condanna di libri prima di avere, per quanto possibile, informato i loro autori degli errori di cui li si accusa, e aver loro data ampia possibilità di difendersi anche a mezzo di altre persone di loro scelta. d) A meno che, in casi particolari, un grave motivo non consigli di fare diversamente, vengano esposte pubblicamente le ragioni della proibizione dei libri, affinché i fedeli possano ben conoscere la natura e la gravità del pericolo che incontrerebbero nel leggerli. e) Sia permessa una nuova edizione di un libro condannato solo quando vi siano stati apportati gli emendamenti richiesti. L'autore di un libro condannato ha la facoltà di scrivere o editare altri libri, anche sul medesimo argomento, quando consti che egli ha rettificato le sue erronee opinioni. Capitolo VI Il "Munus sanctificandi" del Vescovo diocesano "Ti raccomando … che si facciano domande, suppliche, preghiere e ringraziamenti per tutti gli uomini … Uno solo, infatti, è Dio e uno solo il Mediatore tra Dio e gli uomini, l'Uomo Cristo Gesù … Voglio dunque che gli uomini preghino dovunque si trovino, alzando al cielo mani pure senza ira e senza contese" ( 1 Tm 2,1.5.8 ). I. Il Vescovo, Pontefice nella comunità di Culto 142. L'esercizio della funzione santificante. Il Vescovo deve considerare come proprio ufficio innanzitutto quello di essere il responsabile del culto divino e, in ordine a questa funzione, esercita gli altri compiti di maestro e di pastore. Infatti, la funzione santificante, benché strettamente unita per sua propria natura ai ministeri di magistero e di governo, si distingue in quanto specificamente esercitata nella persona di Cristo, Sommo ed Eterno Sacerdote, e costituisce il culmine e la fonte della vita cristiana. 143. Il Vescovo, dispensatore dei misteri cristiani. Il Vescovo è rivestito della pienezza del sacerdozio di Cristo e, come suo strumento, comunica la grazia divina agli altri membri della Chiesa, perciò si può affermare che dal suo ministero deriva e dipende in certa misura la vita spirituale dei fedeli. Di conseguenza, il Vescovo si applichi con tutta diligenza a coltivare in se stesso e nei fedeli l'atteggiamento religioso verso Dio e, in quanto principale dispensatore dei divini misteri, si dedichi continuamente ad accrescere nel gregge la vita della grazia mediante la celebrazione dei sacramenti. Chiamato ad intercedere davanti a Dio per il popolo a lui affidato, il Vescovo non tralasci di offrire il Santo Sacrificio della Messa per le necessità dei fedeli, specialmente la domenica e nelle feste di precetto, in cui tale applicazione è per lui un preciso dovere ministeriale. Nel celebrare i sacri misteri, si mostri pervaso del mistero che si accinge a celebrare, come conviene al pontefice, "posto al servizio di Dio per il bene degli uomini" ( Eb 5,1 ). 144. Le celebrazioni liturgiche presiedute dal Vescovo. Compito del Vescovo è presiedere frequentemente le celebrazioni liturgiche circondato dal suo popolo, poiché così viene simboleggiata l'unità nella carità del Corpo Mistico, e, purché sia possibile, celebri le feste di precetto e le altre solennità nella chiesa Cattedrale. Ricordi che le celebrazioni da lui presiedute devono avere una funzione di esemplarità per tutte le altre. È opportuno che il Vescovo celebri la liturgia anche in altre chiese della diocesi, profittando delle occasioni offerte dall'esercizio del suo ministero: principalmente la visita pastorale, l'amministrazione del Battesimo agli adulti e la Confermazione, come in altre circostanze, quando è maggiore o qualificata l'affluenza dei fedeli, o in riunioni di sacerdoti. In questo modo si rafforza la necessaria comunione di tutti i membri del Popolo di Dio con il loro Vescovo, capo della comunità orante. Il Vescovo è il ministro ordinario del sacramento della Confermazione, per cui cerchi sempre, se possibile, di amministrarlo personalmente. In questo modo viene posta in evidenza l'efficacia spirituale di questo sacramento, che vincola più strettamente alla Chiesa, presente nella persona del Successore degli Apostoli, e corrobora nel fedele cristiano la missione di testimoniare Cristo. Il Vescovo vigili affinché i confermati ricevano un'opportuna preparazione e amministri il sacramento con la dovuta solennità e in presenza della comunità cristiana. Il Vescovo eserciti il ministero di capo e allo stesso tempo di servo della comunità di fedeli soprattutto nel conferimento dell'Ordine sacro del diaconato e del presbiterato. È prerogativa del Vescovo conferirlo personalmente ai propri candidati, meglio se in presenza di un nutrito gruppo di fedeli, per edificazione del popolo cristiano e perché le famiglie crescano nella stima della vocazione sacerdotale e offrano ai prescelti il prezioso aiuto della preghiera. II. L'ordinamento della Sacra Liturgia 145. Il Vescovo, moderatore della vita liturgica diocesana. Come Pontefice responsabile del culto divino nella Chiesa particolare, il Vescovo deve regolare, promuovere e custodire tutta la vita liturgica della diocesi. Dovrà perciò vigilare perché le norme stabilite dalla legittima autorità siano attentamente osservate e in particolare ciascuno, tanto i ministri come i fedeli, svolga l'incarico che gli spetta e non altro, senza mai introdurre cambiamenti nei riti sacramentali o nelle celebrazioni liturgiche secondo preferenze o sensibilità personali. Compete al Vescovo dettare opportune norme in materia liturgica, che obbligano tutti nella diocesi, sempre nel rispetto di quanto abbia disposto il legislatore superiore. Tali norme possono riferirsi, tra l'altro: – alla partecipazione dei fedeli laici alla liturgia; – all'esposizione dell'Eucaristia da parte dei fedeli laici, quando il numero dei ministri sacri risulti insufficiente; – alle processioni; – alle celebrazioni domenicali della liturgia della Parola, quando manca il ministro sacro o vi sia un grave impedimento a partecipare alla celebrazione eucaristica; – alla possibilità per i sacerdoti di celebrare due messe al giorno per giusta causa o, se lo richiede la necessità pastorale, tre messe nelle domeniche e nelle feste di precetto; – rispetto alle indulgenze, il Vescovo ha il diritto di concedere indulgenze parziali ai suoi fedeli. Il Vescovo saprà valersi dell'aiuto di uffici o commissioni diocesane di liturgia, di musica sacra, di arte sacra, ecc., che offrano un prezioso sostegno per promuovere il culto divino, curare la formazione liturgica dei fedeli e fomentare nei pastori di anime un interesse prioritario per tutto ciò che riguarda la celebrazione dei divini misteri. 146. Dignità del culto divino. Giacché la liturgia costituisce il culto comunitario e ufficiale della Chiesa, come Corpo mistico di Cristo, costituito dal capo e dalle sue membra, il Vescovo vigili attentamente perché venga celebrata con il dovuto decoro e ordine. Dovrà quindi vigilare sul decoro degli ornamenti e oggetti liturgici, perché i ministri ordinati, gli accoliti e i lettori si comportino con la necessaria dignità, e i fedeli partecipino in modo "pieno, cosciente e attivo", e tutta l'assemblea eserciti la sua funzione liturgica. La musica sacra occupa nel culto un posto importante per dare rilievo alla celebrazione e suscitare una risonanza profonda nei fedeli; deve essere sempre unita alla preghiera liturgica, distinguersi per la sua bellezza espressiva ed adeguarsi all'armoniosa partecipazione dell'assemblea nei momenti previsti dalle rubriche. 147. Adattamenti in campo liturgico. Ai Vescovi riuniti in Conferenza Episcopale compete adattare i libri liturgici all'indole e alle tradizioni del popolo e alle particolari necessità del ministero pastorale, entro i margini stabiliti dai rituali stessi. In questo necessario quanto delicato compito, il Vescovo terrà presente che la inculturazione comporta la trasformazione degli autentici valori delle diverse culture mediante l'integrazione nel cristianesimo, e, pertanto, la purificazione di quegli elementi culturali che risultino incompatibili con la fede cattolica, in modo che la diversità non danneggi l'unità in una stessa fede e nei medesimi segni sacramentali. 148. La santificazione della domenica. La domenica è il giorno liturgico per eccellenza, nel quale i fedeli si riuniscono "per ricordare la passione, la resurrezione e la gloria del Signore Gesù e rendere grazie a Dio, ascoltando la Parola di Dio e partecipando all'Eucaristia". Perciò il Vescovo si adoperi affinché i fedeli santifichino la domenica e la celebrino come autentico "giorno del Signore", mediante la partecipazione al Santo Sacrificio della Messa, le opere di carità e il necessario riposo dal lavoro. La Messa domenicale deve essere molto curata perché per molti la conservazione e l'alimentazione della fede è legata alla partecipazione a tale celebrazione eucaristica. Dal punto di vista organizzativo, conviene osservare alcuni aspetti concreti: – gli orari delle Messe domenicali nelle diverse chiese di una stessa zona debbono essere opportunamente stabiliti e resi pubblici in modo da facilitare la partecipazione dei fedeli, senza però moltiplicare inutilmente le celebrazioni; – ove risulti possibile, si organizzi il culto divino a beneficio di chi si allontana dalla città per motivi di riposo o è costretto a svolgere una attività professionale: con le Messe della vigilia e altre Messe celebrate il mattino presto e in luoghi idonei, come in vicinanze di stazioni, aeroporti, o nei pressi di mercati e altre sedi di lavoro domenicale; – ci si preoccupi, specialmente nelle grandi città, del servizio religioso degli stranieri, perché possano assistere alla Messa nella propria lingua o in latino. L'orario di questa Messa venga esposto anche sulla porta delle chiese e, se possibile, nelle stazioni, negli alberghi e in altri luoghi da essi frequentati. 149. Carattere comunitario della liturgia. Ogni azione liturgica è celebrazione della Chiesa e atto pubblico di culto, anche quella celebrata senza partecipazione di fedeli. Tuttavia, purché si conservi la natura di ciascun rito, la celebrazione comunitaria deve preferirsi a quella individuale. In conformità a questa dimensione comunitaria della liturgia, si tengano presenti alcuni orientamenti pratici: – le messe domenicali delle parrocchie siano aperte a tutti, evitando le liturgie particolari per gruppi determinati di fedeli; – si faccia in modo che il Battesimo sia amministrato prevalentemente di domenica, in apposite celebrazioni, in presenza della comunità; in qualche occasione sarà conveniente che venga amministrato durante la celebrazione eucaristica, e si faccia il possibile perché venga celebrato durante la Veglia Pasquale; – la Confermazione sia amministrata prevalentemente la domenica, in presenza della comunità riunita nell'assemblea eucaristica; – nella celebrazione dei sacramenti e sacramentali, si eviti quanto possa alludere a preferenza per persone o categorie, salvo gli onori dovuti all'autorità civile, secondo le leggi liturgiche; – in casi particolari, quando lo richiede una necessità pastorale, la celebrazione della Messa può avvenire al di fuori di un luogo sacro. Il Vescovo intervenga decisamente quando gli risulta che ci siano abusi, come, disattendendo a quanto disposto dal diritto, la celebrazione compiuta in un luogo non decoroso, oppure il sorgere di gruppi esclusivi e di privilegi; – poiché la celebrazione della Liturgia delle Ore è vera "liturgia", il Vescovo esorti i pastori di anime ad invitare i fedeli alla recita comunitaria in chiesa di alcune parti, per esempio le lodi o i vespri, accompagnata, se è il caso, da una opportuna catechesi. 150. La celebrazione dei sacramenti e dei sacramentali. Il Vescovo deve regolare la disciplina dei sacramenti secondo le norme stabilite dalla competente autorità della Chiesa, e preoccuparsi affinché tutti i fedeli possano riceverli abbondantemente. Si dedichi in particolare a istruire i fedeli, perché comprendano il significato di ogni sacramento e lo "vivano" in tutto il suo valore personale e comunitario. Vigili, pertanto, perché i ministri celebrino i sacramenti e i sacramentali con il massimo rispetto e diligenza, in conformità con le rubriche approvate dalla Sede Apostolica e specialmente: – il Battesimo dei bambini venga amministrato senza ritardi e accompagnato dalla conveniente catechesi dei genitori e dei padrini; – pastori e fedeli si attengano all'età della Confermazione, stabilita dalla legge universale e dalla Conferenza Episcopale; – si vigili affinché la facoltà di ricevere le confessioni sia concessa unicamente ai sacerdoti che, oltre a possedere la necessaria competenza teologica e pastorale, siano in completa sintonia con il Magistero della Chiesa in materia morale; si stabiliscano orari per le confessioni nelle parrocchie, santuari ed altri luoghi sacri dove si esercita la cura delle anime, in modo che le confessioni vengano facilitate ai fedeli, specialmente prima delle Messe, ma anche durante, per venire incontro alle necessità dei fedeli; si osservino rigorosamente le norme circa l'assoluzione collettiva riaffermate dal Motu proprio "Misericordia Dei" che richiama la vera eccezionalità delle situazioni in cui si può ricorrere a tale forma penitenziale; – nella Eucaristia si utilizzi materia valida e lecita; – la prima comunione dei bambini abbia luogo una volta raggiunto l'uso della ragione e sia sempre preceduta dalla prima confessione; – il Matrimonio venga celebrato dopo un'opportuna preparazione, anche ersonale, dei fidanzati, in modo che siano evitati nella misura del possibile, le celebrazioni nulle per mancanza di capacità o di vera volontà matrimoniale, e che gli sposi novelli siano aiutati a vivere fruttuosamente la loro unione sacramentale, e la cerimonia nuziale sia celebrata nel pieno rispetto del suo carattere religioso; – i sacramentali ( principalmente le benedizioni ) siano amministrati secondo i riti propri e i fedeli li comprendano e li venerino adeguatamente, evitando atteggiamenti superstiziosi. III. Gli Esercizi di Pietà 151. Importanza della pietà popolare. La pietà popolare costituisce un vero e proprio tesoro di spiritualità nella vita della comunità cristiana. I fedeli con essa vengono condotti all'incontro personale con Cristo, alla comunione con la Beata Vergine Maria e con i Santi, specialmente per mezzo dell'ascolto della Parola di Dio, della partecipazione alla vita sacramentale, della testimonianza della carità e della preghiera. Cristo Gesù ha insistito sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi ( cf. Lc 18,1 ): nella vita spirituale infatti si avanza nella misura in cui si prega. È nella preghiera fatta con fede che sta il segreto per affrontare i problemi e le fatiche personali e sociali. "La preghiera interiorizza e assimila la liturgia durante la sua celebrazione e dopo la medesima. Anche quando la preghiera viene vissuta 'in segreto' ( Mt 6,6 ), è sempre preghiera della Chiesa, comunione con la Santissima Trinità". 152. Ordinamento delle forme di pietà. Per incrementare la pietà di tutto il Popolo di Dio, il Vescovo raccomandi caldamente e favorisca il culto divino. Parimenti promuova gli esercizi di culto e di pietà verso la santissima Vergine Maria e gli altri Santi e li ordini in modo che si armonizzino con la sacra liturgia, che da essa traggano ispirazione e ad essa conducano. "È infatti compito dei Vescovi con l'aiuto dei loro diretti collaboratori, in modo speciale dei Rettori dei santuari, stabilire norme e dare orientamenti pratici tenendo conto delle tradizioni locali e di particolari espressioni di religiosità popolare". In particolare, il Vescovo: a) Con la più grande cura favorisca l'adorazione verso Cristo Signore realmente presente nell'Eucaristia, anche al di fuori della Messa. Per facilitare la devozione dei fedeli, faccia in modo che le chiese rimangano aperte secondo gli usi e le opportunità locali, curando anche la sicurezza del luogo. Il Vescovo provveda che nelle parrocchie della sua diocesi annualmente si svolgano iniziative di adorazione eucaristica, come le cosiddette "Quarant'ore" e che si celebri con la massima solennità la festa del Corpo e Sangue di Cristo. Periodicamente potrà promuovere il Congresso Eucaristico Diocesano, occasione propizia per rendere culto pubblico alla SS. Eucaristia e richiamare ai fedeli la dottrina e la centralità dell'Eucaristia nella vita cristiana ed ecclesiale. b) Favorisca le espressioni della pietà radicate nel popolo cristiano, purificandole, se è il caso, da eventuali eccessi meno conformi alla verità o al sentire cattolico e lasci prudentemente aperta la possibilità per nuove forme di pietà popolare. Una forma eccelsa di pietà che occorre conservare e promuovere sono il culto al Sacro Cuore di Gesù e la devozione alla Madonna. c) Deve esaminare le preghiere e i canti che debbono essere pubblicati e darne l'opportuna approvazione. Il Vescovo vigili sulla loro ispirazione biblica e liturgica e sulla correttezza dottrinale, in modo che i testi contribuiscano alla catechesi dei fedeli e ad una pietà più profonda, e perché non si introducano preghiere o composizioni musicali contrarie alla genuina ispirazione cristiana, o presentino un aspetto o significato profani. Qualora si tratti di tradurre preghiere nella propria lingua e adattare quelle antiche, è bene ricorrere al consiglio di pastori, teologi e letterati. d) Si preoccupi che i santuari, molti dei quali sono in onore della Santa Madre di Dio, rendano un efficace servizio alla vita spirituale della diocesi. Perciò vigili sulla dignità delle celebrazioni liturgiche e la predicazione della Parola di Dio e provveda a far rimuovere dalle vicinanze ciò che può costituire ostacolo alla pietà dei fedeli o suggerire un prevalente interesse di lucro. e) In occasione di ricorrenze del calendario universale, del calendario particolare diocesano o di feste locali previste dalle norme e particolarmente sentite ( es. del Santo patrono, della Vergine Maria, di Natale, di Pasqua, ecc. ), il Vescovo veda favorevolmente le manifestazioni popolari, espressioni di festa spesso appartenenti ad antiche tradizioni, ma faccia in modo che i fedeli le associno alla gioia che deriva dai misteri cristiani, e, inserisca in esse, quando è giusto, elementi di catechesi e di autentica devozione. 153. Promozione di alcune pratiche di pietà. Occorre conservare gelosamente, come prezioso patrimonio spirituale, alcuni esercizi di pietà che i Pastori della Chiesa non hanno cessato di raccomandare: – tra questi, eccelle il santo Rosario, come una specie di compendio del Vangelo e per questo, una forma di pietà profondamente cristiana che ci fa contemplare con gli occhi di Maria Vergine i misteri della vita di Gesù Cristo; – sono anche da mantenere ed incrementare la pia meditazione della passione del Signore, o "Via Crucis", e la recita dell'Angelus, che interrompe le abituali occupazioni del cristiano con la breve meditazione dell'Incarnazione del Verbo; – meritano di essere incoraggiate anche le novene, specialmente quelle precedenti le solennità liturgiche ( ad esempio: Pentecoste, Natale, ecc. ) e le vigilie di preparazione alle grandi solennità. Il sentimento religioso del popolo cristiano ha inoltre dato vita, nel corso dei secoli, ad altre varie forme di pietà che si aggiungono alla vita sacramentale della Chiesa, come la venerazione delle reliquie, le processioni, l'uso di scapolari e medaglie, e altre che sono espressione di un'autentica e profondamente radicata inculturazione della fede cristiana. Lo zelo per l'incremento della vita spirituale dei fedeli porti a favorire e diffondere tali pratiche di pietà, specialmente quando si ispirino alla Sacra Scrittura e alla liturgia, siano sgorgate dal cuore dei Santi o testimoniate da una lunga tradizione di fede e di pietà. Qualora si rendesse necessario modificarne o adattarne i testi, il Vescovo non trascurerà di consigliarsi con i Pastori delle altre diocesi interessate, secondo l'ambito di diffusione. IV. Le chiese e altri luoghi sacri 154. Destinazione sacra delle chiese. Le chiese, nelle quali si celebra e si conserva la santissima Eucaristia, non sono semplici luoghi di riunione dei fedeli, ma dimora di Dio e simbolo della Chiesa che si trova in quel luogo. Poiché sono luoghi destinati permanentemente al culto di Dio, il Vescovo deve celebrare in forma solenne il rito della dedicazione o favorire che lo faccia un altro Vescovo o, in casi eccezionali, un sacerdote. Per quanto concerne l'uso dei luoghi sacri, "si può ammettere soltanto ciò che favorisce l'esercizio e la promozione del culto, della pietà e della religione, e si deve proibire quanto non è conforme alla santità del luogo. Il Vescovo può tuttavia consentire, in casi concreti, altri usi, purché non contrari alla santità del luogo". In particolare, con riferimento ai concerti, occorre vigilare comunque che venga eseguita soltanto musica sacra - cioè composta come accompagnamento alla liturgia - o per lo meno di ispirazione religiosa cristiana, e che siano programmati ed eseguiti con l'esplicita finalità di promuovere la pietà e il sentimento religioso e mai in detrimento del primario servizio pastorale che deve offrire il luogo. In ogni caso tali iniziative siano valutate con saggezza e ristrette a pochi casi. 155. La chiesa Cattedrale. Tra i templi della diocesi, il posto più importante spetta alla chiesa Cattedrale, che è segno di unità della Chiesa particolare, luogo dove si realizza il momento più alto della vita della diocesi e si compie pure l'atto più eccelso e sacro del munus sanctificandi del Vescovo, che comporta insieme, come la liturgia stessa che egli presiede, la santificazione delle persone e il culto e la gloria di Dio. La Cattedrale è anche il segno del magistero e della potestà del Pastore della diocesi. Il Vescovo deve provvedere affinché le funzioni liturgiche della Cattedrale si svolgano con il decoro, il rispetto delle rubriche e il fervore comunitario che si addicono a quella che è madre delle chiese della diocesi, e a tal fine esorti il Capitolo dei canonici. 156. Norme e orientamenti per l'edificazione e il restauro delle chiese. L'architettura e la decorazione delle chiese deve essere "nitida, ideata per la preghiera e le sacre solennità" e caratterizzarsi, più che per il lusso, per la nobiltà delle forme, in modo da presentarsi realmente come simbolo delle realtà ultraterrene. Per quanto riguarda la disposizione del tabernacolo, dell'altare e degli altri elementi ( presbiterio, sede, ambone, ecc. ), occorre seguire la relativa normativa liturgica nonché quella canonica circa i materiali per la costruzione degli altari. In particolare, il Vescovo abbia cura che la Cappella del Sacramento o il tabernacolo, che devono avere il massimo decoro, siano collocati in posizione immediatamente visibile. Vanno osservate con diligenza anche le prescrizioni canoniche sul luogo di celebrazione del Battesimo e della Penitenza. In particolare "la sede per le confessioni è disciplinata dalle norme emanate dalle rispettive Conferenze Episcopali, le quali garantiranno che essa sia collocata 'in luogo visibile' e sia anche 'provvista di grata fissa', così da consentire ai fedeli ed agli stessi confessori che lo desiderano di potersene liberamente servire". Nella costruzione o restauro di chiese, è doveroso conciliare pietà, bellezza artistica e funzionalità e impostazione dottrinalmente sana della composizione della chiesa. Osservando sempre l'importanza prioritaria della carità e tenendo conto anche della situazione economica e sociale della comunità cristiana e delle reali possibilità economiche della diocesi, ci si assicuri che i materiali siano di qualità: questo modo di procedere, oltre a concorrere alla dignità propria dell'edificio, è una maniera di praticare la virtù della povertà, perché così si garantisce la conservazione delle opere nel tempo. Fin dall'inizio, si disponga anche quanto relativo all'assicurazione dell'opera e alle misure di conservazione e di custodia. Tutte queste norme suggeriscono che il Vescovo si consigli sempre con esperti, in modo da osservare i principi della liturgia, dell'arte sacra e le leggi civili del proprio Paese oltre alle esigenze tecniche. 157. Raffigurazioni e immagini sacre. L'uso di esporre le immagini sacre nelle chiese e di raffigurare artisticamente i misteri cristiani deve essere saldamente conservato, perché costituisce un aiuto insostituibile per la pietà e la catechesi dei fedeli. A tale scopo: – nelle chiese, le immagini debbono essere esposte in quantità moderata e conservando il dovuto ordine, perché non suscitino una devozione deviata; – occorre evitare le innovazioni vistose, per quanto possano sembrare artistiche, o possano provocare meraviglia più che alimentare la pietà dei fedeli. Capitolo VII Il "Munus regendi" del Vescovo diocesano "Vi ho dato l'esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi" ( Gv 13,15 ) I. Il Governo Pastorale 158. Il Vescovo padre e pastore della diocesi. Il Vescovo, nell'esercizio del suo ministero di padre e pastore in mezzo ai suoi fedeli, deve comportarsi come colui che presta servizio, avendo sempre sotto gli occhi l'esempio del Buon Pastore, che è venuto non per essere servito, ma per servire ( cf. Mt 20,28; Mc 10,45 ) e dare la sua vita per le pecore. Al Vescovo, inviato in nome di Cristo come pastore per la cura della porzione di Popolo di Dio affidatagli, spetta il compito di pascere il gregge del Signore ( cf. 1 Pt 5,2 ), educare i fedeli come figli amatissimi in Cristo ( cf. 1 Cor 4,14-15 ) e governare la Chiesa di Dio ( cf. At 20,28 ) per farla crescere quale comunione nello Spirito Santo per mezzo del Vangelo e dell'Eucaristia. Da questo deriva per il Vescovo la rappresentanza e il governo della Chiesa affidatagli, con la potestà necessaria per esercitare il ministero pastorale ( "munus pastorale" ) sacramentalmente ricevuto, come partecipazione alla stessa consacrazione e missione di Cristo. In forza di ciò, i Vescovi "reggono le Chiese particolari loro affidate, come vicari e legati di Cristo, col consiglio, la persuasione, l'esempio, ma anche con l'autorità e la sacra potestà, della quale però non si servono se non per edificare il proprio gregge nella verità e nella santità, ricordandosi che chi è più grande si deve fare come il più piccolo, e chi è il capo, come colui che serve ( cf. Lc 22,26-27 )". Perciò il Vescovo è pastore buono che conosce le sue pecorelle ed è da esse conosciuto, vero padre che si distingue per il suo spirito di carità e di zelo verso tutte; tuttavia, anche come giudice che amministra la giustizia abitualmente tramite il Vicario giudiziale e il tribunale, egli presta un non meno eccellente servizio alla comunità, imprescindibile al bene spirituale dei fedeli. Infatti in virtù della sacra potestà, di cui è investito con l'ufficio di Pastore della Chiesa affidatagli, e che esercita personalmente in nome di Cristo, ha il sacro dovere di dare leggi ai suoi sudditi, di giudicare e di regolare tutto quanto appartiene al culto e all'apostolato. "Il Vescovo, dunque, è investito, in virtù dell'ufficio che ha ricevuto, di una potestà giuridica oggettiva, destinata ad esprimersi in atti potestativi mediante i quali attuare il ministero di governo ( munus pastorale ) ricevuto nel Sacramento. Il governo del Vescovo, tuttavia, sarà pastoralmente efficace - occorre ricordarlo anche in questo caso - se poggerà su un'autorevolezza morale, data dalla sua santità di vita. Sarà questa a disporre gli animi ad accogliere il Vangelo da lui annunciato nella sua Chiesa, come anche le norme da lui fissate per il bene del Popolo di Dio". 159. Il Vescovo, guida del suo popolo. Il Vescovo è colui che deve camminare insieme al suo popolo ed andare avanti, indicando con la parola e con la testimonianza della vita, prima ancora che con l'autorità ricevuta da Cristo, il cammino da percorrere. Egli deve essere una guida spirituale coerente e coraggiosa, che, come Mosè, vede l'invisibile e non abbia titubanze ad andare contro corrente, quando il bene spirituale lo esige. Egli deve adoperarsi perché la sua parola e le sue iniziative siano bene accolte e non sia scalfita la sua autorità agli occhi della comunità diocesana, ma poi quello che deve maggiormente importare ad un Vescovo è il giudizio di Dio. 160. La responsabilità personale del Vescovo. Il Vescovo è chiamato a promuovere la partecipazione dei fedeli alla vita della Chiesa, sforzandosi di suscitare la necessaria collaborazione. Egli deve anche compiere le opportune consultazioni di persone competenti ed ascoltare, secondo le prescrizioni del diritto, i vari organismi di cui la diocesi dispone per far fronte ai problemi umani, sociali, giuridici, che spesso presentano difficoltà non indifferenti. In questo modo il Vescovo potrà raccogliere quali sono le istanze e le esigenze presenti nella porzione di Popolo di Dio che gli è stata affidata; tuttavia, il Vescovo, consapevole di essere Pastore della Chiesa particolare e segno di unità, eviterà di svolgere un ruolo di mera moderazione tra i vari Consigli e altre istanze pastorali, ma agirà secondo i suoi diritti e doveri personali di governo che lo impegnano a decidere personalmente secondo coscienza e verità, e non in base al peso numerico dei consiglieri, salvo ovviamente i casi in cui il diritto richieda che per porre un determinato atto, il Vescovo necessiti del consenso di un collegio o di un gruppo di persone. La responsabilità di governare la diocesi pesa sulle spalle del Vescovo. 161. Il dovere della residenza. Il servizio di amore e la responsabilità nei confronti della Chiesa particolare richiedono al Vescovo l'osservanza dell'antica legge della residenza, sempre attuale e necessaria per assicurare il buon governo pastorale. Essa è un obbligo fondamentale del Vescovo: primo dovere infatti del Vescovo riguarda la sua diocesi e per poterlo assolvere adeguatamente è, innanzitutto, necessario che vi risieda. Il Vescovo deve personalmente risiedere in diocesi anche quando ha il Coadiutore o l'Ausiliare. Potrà legittimamente allontanarsi dalla diocesi per un mese ogni anno sia continuato o interrotto, sia per le proprie vacanze che per altri motivi. In ogni caso il Vescovo, prima di allontanarsi dalla diocesi, dovrà fare in modo che dalla sua assenza non derivi alcun danno alla diocesi e provvederà quanto è necessario per garantire la guida della Chiesa particolare. Gli impegni del Vescovo a favore della Chiesa universale quali: la Visita "ad limina", la partecipazione al Concilio Ecumenico o a quello particolare, al Sinodo dei Vescovi e alla Conferenza Episcopale non rientrano nel mese a disposizione del Vescovo, così come non vi rientrano i giorni per gli esercizi spirituali o quelli dedicati a particolari incarichi ricevuti dalla Santa Sede. Anche in queste circostanze il Vescovo curi di essere assente dalla diocesi solo per lo stretto tempo necessario. Per altre assenze il Vescovo deve chiedere la licenza della Santa Sede. In ogni caso il Vescovo dovrà sempre essere in diocesi per le maggiori solennità quali: il Natale, la Settimana Santa, la Risurrezione del Signore, la Pentecoste, il Corpo e il Sangue di Cristo. Qualora il Vescovo sia rimasto assente illegittimamente dalla diocesi per più di sei mesi, è dovere del Metropolita, o, nel caso riguardante lo stesso Metropolita, del Vescovo più anziano della Provincia Ecclesiastica, informare la Santa Sede. II. La Missione evangelizzatrice del Vescovo 162. Il Vescovo guida e coordinatore dell'evangelizzazione. La Chiesa è chiamata a portare a tutti gli uomini la verità e la grazia di Cristo, attraverso l'azione apostolica concorde di tutti i suoi figli. In virtù del suo mandato apostolico, al Vescovo spetta suscitare, guidare e coordinare l'opera evangelizzatrice della comunità diocesana, affinché la fede del Vangelo si diffonda e cresca, le pecore smarrite siano ricondotte all'ovile di Cristo ( cf. Gv 10,16; Lc 15,4-7 ) e il Regno di Dio si diffonda fra tutti gli uomini. Questa dimensione apostolica ed evangelizzatrice assume aspetti e significati differenti secondo i luoghi, poiché, mentre alcune Chiese sono chiamate a svolgere la missione "ad gentes", altre invece affrontano con vigore la sfida di una "rievangelizzazione" degli stessi battezzati o della carenza di mezzi per l'assistenza pastorale dei fedeli. Per questo, in molti luoghi la demarcazione tra cura pastorale dei fedeli ed evangelizzazione non è definita. 163. La conoscenza dell'ambiente culturale e sociale. La Chiesa svolge la sua attività apostolica in un determinato ambiente storico, che condiziona in modo non indifferente la vita delle persone. S'impone quindi un'adeguata comprensione dei diversi fattori sociali e culturali che influenzano le disposizioni religiose degli uomini, cosicché l'apostolato risponda sempre alle loro necessità e al loro tenore di vita. A ciò va sommata la conoscenza delle diverse tendenze e correnti di pensiero che riguardano direttamente la religione in generale e il ruolo della Chiesa in particolare: l'ateismo; le diverse concezioni sulla "secolarità" o il "secolarismo"; il fenomeno positivo del "ritorno religioso" che si avverte in molti luoghi, anche se a volte si traduce in forme deviate di religiosità; l'estesa ignoranza, anche in paesi di tradizione cattolica, sulla realtà storica e attuale della Chiesa e sulla sua dottrina, ecc. La constatazione di tali fenomeni, nei loro aspetti positivi e negativi, sollecita lo zelo apostolico dei Pastori che, pieni di fiducia in Dio, debbono andare alla ricerca di tutte le anime per riportarle alla vita della grazia e della verità, proponendo l'annuncio di Dio e di Cristo, Figlio di Dio incarnato e Redentore dell'umanità, e l'insegnamento circa la grazia e la vita eterna, con sicurezza e chiarezza, ma anche con un linguaggio e strumenti adeguati alle condizioni del nostro tempo. Occorre in special modo prestare attenzione alla formazione dei ministri della Chiesa, in modo che la predicazione e la catechesi diano una risposta certa agli interrogativi dell'uomo di oggi. 164. Il coordinamento dell'apostolato e il piano pastorale diocesano. Perché la Parola di Dio raggiunga i diversi ambienti e persone, è necessario uno stretto coordinamento di tutte le opere di apostolato sotto la guida del Vescovo, "in modo che tutte le imprese e istituzioni: catechetiche, missionarie, caritative, sociali, familiari, scolastiche e qualunque altra che persegua un fine pastorale, vengano ridotte ad azione concorde, affinché al tempo stesso emerga con più chiarezza l'unità della diocesi". Il Vescovo coinvolga tutti i fedeli, sia individualmente che come membri delle aggregazioni nell'apostolato diocesano. Ciò va fatto rispettando la legittima libertà delle persone e delle associazioni, per realizzare i rispettivi apostolati, secondo la disciplina ecclesiale comune e particolare, ma assicurando al contempo che ogni iniziativa giovi al comune bene ecclesiale. Il Vescovo provveda a organizzare in maniera adeguata l'apostolato diocesano, secondo un programma o piano pastorale che preveda un opportuno coordinamento delle diverse aree pastorali "specializzate" ( liturgica, catechetica, missionaria, sociale, culturale, familiare, scolastica, ecc. ). Per l'elaborazione del piano, il Vescovo impegni i diversi uffici e consigli diocesani: in questo modo l'azione apostolica della Chiesa risponderà veramente alle necessità della diocesi e riuscirà a sommare gli sforzi di tutti nella sua esecuzione, senza mai però dimenticare l'azione dello Spirito Santo nell'opera dell'evangelizzazione. L'elaborazione del piano richiede una previa analisi sulle condizioni sociologiche in cui si svolge la vita dei fedeli, cosicché l'azione pastorale sia sempre più efficace e affronti le reali difficoltà. Il piano deve prendere in considerazione i diversi aspetti geografici, la distribuzione demografica, la composizione della popolazione, tenendo presente le trasformazioni avvenute o che possono avvenire in un prossimo futuro. Deve rivolgersi a tutta la diocesi nel suo insieme e nella sua complessità, anche ai settori lontani dall'ordinaria cura pastorale. Dopo aver studiato i diversi campi di evangelizzazione e aver opportunamente programmato le risorse pastorali, occorre inculcare in quanti lavorano apostolicamente un autentico "ardore di santità", coscienti che l'abbondanza dei frutti e la reale efficacia saranno i risultati non tanto di una perfetta organizzazione delle strutture pastorali, quanto dell'unione di ciascuno con chi è la Via, la Verità e la Vita ( cf. Gv 14,6 ). III. Gli Organismi di partecipazione alla funzione pastorale del Vescovo 165. La partecipazione dei fedeli ai Consigli diocesani. In forza del Battesimo tra i fedeli vige una vera uguaglianza nella dignità e nell'agire, per cui tutti sono chiamati a cooperare all'edificazione del Corpo di Cristo, quindi ad attuare la missione che Dio ha affidato alla Chiesa da compiere nel mondo, secondo la condizione ed i compiti di ciascuno. L'organicità della comunione ecclesiale e la spiritualità di comunione impegneranno il Vescovo a valorizzare gli organismi di partecipazione previsti dal Diritto Canonico. Tali organismi imprimono uno stile comunionale al governo pastorale del Vescovo, in quanto si realizza una sorta di circolarità tra quanto il Vescovo è chiamato a disporre e provvedere con responsabilità personale per il bene della diocesi e la collaborazione di tutti i fedeli. Il Vescovo ricorderà chiaramente che gli organismi di partecipazione non si ispirano ai criteri della democrazia parlamentare, perché sono di natura consultiva e non deliberativa. Il reciproco ascolto tra il Pastore ed i fedeli, li unirà "a priori in tutto ciò che è essenziale, e a convergere normalmente anche nell'opinabile verso scelte ponderate e condivise". Il Vescovo nel promuovere la partecipazione dei fedeli alla vita della Chiesa, ricorderà i suoi diritti e doveri personali di governo che lo impegnano, oltre che a testimoniare, nutrire e curare la fede, anche a valutarla, a tutelarla e proporla nella forma retta. Il coordinamento e la partecipazione di tutte le forze diocesane richiedono momenti di riflessione e di confronto collegiale. Il Vescovo dovrà impegnarsi perché queste riunioni siano sempre ben preparate, contenute nella durata, abbiano un obiettivo concreto, siano sempre propositive, e sia sempre osservato da tutti un rapporto mutuo di spirito cristiano, che lasci nei presenti un sincero desiderio di collaborare con gli altri. a) Il Sinodo diocesano 166. Atto di governo ed evento di comunione. Secondo una norma di attività pastorale trasmessa attraverso i secoli e poi codificata dal Concilio di Trento, ripresa dal Concilio Vaticano II e prevista dal Codice di Diritto Canonico, al vertice delle strutture di partecipazione della diocesi, nel governo pastorale del Vescovo il Sinodo diocesano occupa un posto di primario rilievo. Esso si configura come un atto del governo episcopale e come evento di comunione che esprime l'indole della comunione gerarchica che appartiene alla natura della Chiesa. 167. Natura del Sinodo. Il Sinodo diocesano è una riunione o assemblea consultiva, convocata e diretta dal Vescovo, alla quale sono chiamati, secondo le prescrizioni canoniche, sacerdoti e altri fedeli della Chiesa particolare, per aiutarlo nella sua funzione di guida della comunità diocesana. Nel Sinodo e attraverso di esso, il Vescovo esercita in forma solenne l'ufficio e il ministero di pascere il suo gregge. 168. Applicazione ed adattamento della disciplina universale. Nella sua duplice dimensione di "atto di governo episcopale ed evento di comunione", il Sinodo è mezzo idoneo per applicare e adattare le leggi e le norme della Chiesa universale alla situazione particolare della diocesi, indicando i metodi che occorra adottare nel lavoro apostolico diocesano, superando le difficoltà inerenti all'apostolato e al governo, animando opere e iniziative di carattere generale, proponendo la retta dottrina e correggendo, se esistessero, gli errori sulla fede e la morale. 169. Composizione a immagine della Chiesa particolare. Sempre nel rispetto delle prescrizioni canoniche, è necessario fare in modo che la composizione dei membri del Sinodo rifletta la diversità di vocazioni, di impegni apostolici, di origine sociale e geografica che caratterizza la diocesi, procurando però di affidare ai chierici un ruolo prevalente, secondo la loro funzione nella comunione ecclesiale. Il contributo dei sinodali sarà tanto più valido quanto più emergano per rettitudine di vita, prudenza pastorale, zelo apostolico, competenza e prestigio. 170. Presenza degli osservatori delle altre Chiese o comunità cristiane. Per introdurre la preoccupazione ecumenica nella pastorale diocesana, il Vescovo, se lo ritiene opportuno, può invitare come osservatori alcuni ministri o membri di Chiese o Comunità ecclesiali che non sono in piena comunione con la Chiesa cattolica. La presenza degli osservatori contribuirà a far crescere la reciproca conoscenza, la carità vicendevole e, possibilmente, la fraterna collaborazione. Per la loro individuazione, di solito, converrà procedere d'intesa con i capi di tali Chiese o Comunità che segnaleranno la persona più idonea a rappresentarle. 171. Diritti e doveri del Vescovo nel Sinodo. Spetta al Vescovo convocare il Sinodo diocesano, quando, dopo aver sentito il Consiglio Presbiterale, a suo giuizio, le circostanze della diocesi lo suggeriscano. Spetta a lui decidere la maggiore o minore periodicità di convocazione del Sinodo. Il criterio che deve guidare il Vescovo in tale decisione sono le necessità della diocesi e del governo diocesano. Il Vescovo, tra i motivi, terrà conto anche della necessità di promuovere una pastorale d'insieme, la necessità di applicare norme o orientamenti superiori in ambito diocesano, particolari problemi della diocesi che necessitano di una soluzione condivisa, la necessità di una maggiore comunione ecclesiale. Nel valutare l'opportunità della convocazione sinodale, il Vescovo terrà conto dei risultati della visita pastorale che, più delle indagini sociologiche o inchieste, gli consente di conoscere i bisogni spirituali della diocesi. Spetta, inoltre, al Vescovo anche individuare l'argomento del Sinodo ed emanare il Decreto di convocazione, che annunzierà in occasione di una festa liturgica di particolare solennità. Chi guida la diocesi interinalmente non ha la facoltà di indire il Sinodo diocesano. Se il Vescovo ha la cura pastorale di più diocesi, come Vescovo proprio o come Amministratore, può convocare un solo Sinodo diocesano per tutte le diocesi affidategli. Il Vescovo fin dall'inizio del cammino sinodale dovrà chiarire che i sinodali sono chiamati a prestare aiuto al Vescovo diocesano con il loro parere e con il voto consultivo. La forma consultiva del voto stà ad indicare che il Vescovo, pur riconoscendone l'importanza, è libero di accogliere o meno le opinioni dei sinodali. D'altra parte, egli non si discosterà da opinioni o voti espressi in larga maggioranza, se non per gravi motivi di carattere dottrinale, disciplinare o liturgico. Il Vescovo chiarisca subito, qualora ve ne fosse bisogno, che non si può mai contrapporre il Sinodo al Vescovo in forza di una pretesa rappresentanza del Popolo di Dio. Una volta convocato il Sinodo, il Vescovo, pur potendo delegare il Vicario Generale o quello episcopale a presiedere singole sessioni, lo diriga personalmente. In esso come maestro della Chiesa insegna, corregge, discerne in modo che tutti aderiscano alla dottrina della Chiesa. È dovere del Vescovo sospendere e sciogliere il Sinodo diocesano, qualora gravi motivi dottrinali, disciplinari o di ordine sociale, a suo giudizio, perturbino il pacifico svolgimento del lavoro sinodale. Prima di emettere il Decreto di sospensione o di scioglimento, è opportuno che il Vescovo senta il parere del Consiglio Presbiterale, pur rimanendo libero di prendere la decisione che egli riterrà giusta. Il Vescovo farà in modo che i testi sinodali siano redatti con formule precise, evitando di restare nel generico o in mere esortazioni. Le dichiarazioni e i decreti sinodali dovranno essere sottoscritti soltanto dal Vescovo. Le espressioni usate nei documenti devono mostrare chiaramente che nel Sinodo diocesano l'unico legislatore è il Vescovo diocesano. Il Vescovo tenga presente che un decreto sinodale contrario al diritto superiore è giuridicamente invalido. 172. Preparazione del Sinodo. Il Vescovo deve sentirsi profondamente impegnato nella preparazione, programmazione e celebrazione del Sinodo, con forme rinnovate e adattate alle attuali necessità della Chiesa. A questo scopo il Vescovo si atterrà all'Istruzione sui Sinodi diocesani emanata dalle Congregazioni per i Vescovi e per l'Evangelizzazione dei Popoli. Affinché si svolga bene e risulti veramente fecondo per la crescita della comunità diocesana, il Sinodo deve essere adeguatamente preparato. Per tale finalità, il Vescovo costituisca una commissione preparatoria come organismo che, durante la fase di preparazione lo assista ed esegua quanto viene disposto. In questo modo si proceda all'elaborazione del regolamento del Sinodo. 173. Suggerimenti, preghiera ed informazioni nella preparazione del Sinodo diocesano. Il Vescovo inviti i fedeli a formulare liberamente suggerimenti al Sinodo e, in particolare, solleciti i sacerdoti perché trasmettano proposte relative al governo pastorale della diocesi. Sulla base di questi apporti e con l'aiuto di gruppi di esperti o di membri del Sinodo già eletti, il Vescovo fissi le diverse questioni da proporre alla discussione e deliberazione sinodale. Fin dall'inizio dei lavori preparatori, il Vescovo si preoccupi perché tutta la diocesi sia informata sull'evento e non tralasci di chiedere abbondanti preghiere per il suo felice esito. Può anche disporre una capillare catechesi, offrendo adeguati sussidi per la predicazione sulla natura della Chiesa, sulla dignità della vocazione cristiana e sulla partecipazione di tutti i fedeli alla sua missione soprannaturale, alla luce degli insegnamenti conciliari. 174. Celebrazione del Sinodo. Il carattere ecclesiale dell'assemblea sinodale si manifesta in primo luogo nelle celebrazioni liturgiche, che ne costituiscono il nucleo più visibile. È opportuno che tanto le solenni liturgie eucaristiche di apertura e di conclusione del Sinodo, come le celebrazioni quotidiane, siano aperte a tutti i fedeli. Gli studi e i dibattiti sulle questioni o gli schemi proposti sono riservati ai membri dell'assemblea sinodale, sempre alla presenza e sotto la direzione del Vescovo o del suo delegato. "Tutte le questioni proposte si sottoporranno alla libera discussione dei membri nelle sessioni del Sinodo", ma "il Vescovo ha il dovere di escludere dalla discussione sinodale tesi o posizioni - magari proposte con la pretesa di trasmettere alla Santa Sede "voti" in merito - discordanti dalla perenne dottrina della Chiesa o del Magistero Pontificio o relative a materie disciplinari riservate alla suprema o ad altra autorità ecclesiastica". Al termine degli interventi, il Vescovo affiderà a diverse commissioni la redazione dei progetti di documenti sinodali, dando le opportune indicazioni. Infine, esaminerà i testi preparati e, come unico legislatore, sottoscriverà i decreti e le dichiarazioni sinodali e li farà pubblicare con la sua personale autorità. Concluso il Sinodo, il Vescovo disporrà la trasmissione dei decreti e delle dichiarazioni al Metropolita e alla Conferenza Episcopale, per favorire la comunione e l'armonia legislativa tra le Chiese particolari di uno stesso ambito, ed invierà, attraverso la Rappresentanza Pontificia, ai Dicasteri interessati della Santa Sede, particolarmente alla Congregazione per i Vescovi e a quella per l'Evangelizzazione dei Popoli, il Libro del Sinodo. Se i documenti sinodali di carattere soprattutto normativo non si pronunziano circa la loro applicazione, sarà il Vescovo a determinare le modalità di esecuzione, affidandola anche agli organismi diocesani. 175. "Forum" e altre Assemblee ecclesiali similari. È auspicabile che la sostanza delle norme del Codice di Diritto Canonico sul Sinodo diocesano e le indicazioni dell'Istruzione sui Sinodi diocesani, servatis servandis, siano osservate anche nei "forum" e nelle altre assemblee ecclesiali di tipo sinodale. Il Vescovo con grande senso di responsabilità deve guidare tali assemblee e vigilare affinché non siano adottate proposte che sono contrarie alla fede e alla disciplina della Chiesa. b) La Curia diocesana 176. La Curia diocesana, in generale. "La Curia diocesana consta di quegli organismi e persone che collaborano con il Vescovo nel governo di tutta la diocesi, principalmente nella direzione dell'attività pastorale, nell'amministrazione della diocesi e nell'esercizio della potestà giudiziale". Essa è, infatti, "la struttura di cui il Vescovo si serve per esprimere la propria carità pastorale nei suoi vari aspetti". La struttura essenziale della Curia diocesana che viene indicata dai cann. 469-494 del Codice di Diritto Canonico, può essere integrata dal Vescovo - senza però alterare gli organismi stabiliti dalla disciplina vigente - con altri uffici con attribuzioni ordinarie o stabilmente delegate, soprattutto di carattere pastorale, a seconda delle necessità della diocesi, della sua ampiezza e delle consuetudini locali. Il Vescovo nomina liberamente i titolari dei diversi uffici della Curia tra coloro che si distinguono per competenza nella relativa materia, per zelo pastorale e per integrità di vita cristiana, evitando di affidare uffici o incarichi a persone inesperte: dovrà anzi assicurarsi della loro preparazione teologica, pastorale e tecnica e solamente allora introdurle gradualmente nei diversi campi di lavoro specializzato. Per provvedere ai diversi uffici è conveniente che il Vescovo ascolti il parere di alcuni sacerdoti e laici secondo i modi che ritenga opportuni. Se si tratta di presbiteri, il Vescovo curi che abbiano qualche altro ministero con cura d'anime, per mantenere vivo il loro zelo apostolico ed evitare che sviluppino, per mancanza di contatto diretto con i fedeli, una dannosa mentalità burocratica. I diversi compiti della Curia assicurano il buon funzionamento dei servizi diocesani e la continuità dell'amministrazione, al di là dell'avvicendarsi delle persone. È importante che il Vescovo appena nominato conosca le peculiarità organizzative della Curia e la sua prassi amministrativa e vi si adegui nella misura del possibile, giacché ciò facilita il rapido disbrigo delle pratiche. Questo non impedisce, ovviamente, la doverosa introduzione di miglioramenti funzionali e la correzione accurata di quanto sia meno conforme alla disciplina canonica. 177. Il coordinamento dei diversi uffici. "Il Vescovo diocesano deve vigilare perché vengano dovutamente coordinate tutte le questioni che si riferiscono all'amministrazione della diocesi, e che ciò venga fatto nella maniera più efficace per il bene della porzione del Popolo di Dio a lui affidata". Il coordinamento dell'attività pastorale della diocesi spetta naturalmente al Vescovo diocesano, dal quale dipendono direttamente i Vicari, generale ed episcopali. Se lo ritiene opportuno, il Vescovo può costituire un "Consiglio episcopale" formato dai suoi Vicari, allo scopo di coordinare l'intera azione pastorale diocesana. Il Vescovo può anche stabilire l'ufficio di Moderatore di Curia, con la specifica funzione di coordinare le questioni amministrative e di vigilare perché il personale della Curia adempia fedelmente il proprio incarico. L'ufficio di Moderatore dovrà essere affidato ad un Vicario Generale, purché particolari circostanze non consiglino diversamente; in ogni caso, il Moderatore deve essere un sacerdote. Nel dirigere e coordinare il funzionamento di tutti gli organi diocesani, il Vescovo terrà presente, come principio generale, che le strutture diocesane debbono essere sempre al servizio del bene delle anime e che le esigenze organizzative non debbono anteporsi alla cura delle persone. Occorre, perciò, fare in modo che l'organizzazione sia agile ed efficiente, estranea ad ogni inutile complessità e burocratismo, con l'attenzione sempre rivolta al fine soprannaturale del lavoro. 178. Il Vicario Generale e i Vicari episcopali. Il Vescovo deve nominare il Vicario Generale, ufficio preminente della Curia diocesana, perché lo aiuti nel governo della diocesi. Anche se di norma è preferibile che vi sia soltanto un Vicario Generale, qualora il Vescovo lo ritenga opportuno, per l'ampiezza della diocesi, o per altra ragione pastorale, ne può costituire anche di più. Avendo tutti la stessa potestà su tutta la diocesi è necessario un chiaro coordinamento della loro attività, nell'osservanza di quanto il Codice dispone circa le grazie concesse da uno o dall'altro Ordinario, e in generale, circa l'esercizio delle competenze assegnate a ciascuno. Quando lo richieda il buon governo della diocesi, il Vescovo può nominare anche uno o più Vicari episcopali. Essi hanno la medesima potestà del Vicario Generale, ma limitata ad una parte della diocesi o ad un certo genere di questioni, in relazione o ai fedeli di un rito particolare o a un determinato gruppo umano. La nomina dei Vicari episcopali deve essere fatta sempre per un certo tempo da determinarsi nell'atto di costituzione. Nella nomina di un Vicario episcopale, il Vescovo farà attenzione a definire chiaramente l'ambito delle sue facoltà, evitando così la sovrapposizione di competenze o, cosa anche peggiore, l'incertezza del titolare o dei fedeli. Il Vescovo diocesano nomini Vicario Generale o Vicari episcopali sacerdoti dottrinalmente sicuri, degni di fiducia, stimati dal presbiterio e dall'opinione pubblica, saggi, onesti e moralmente retti, con esperienza pastorale ed amministrativa, capaci di instaurare autentiche relazioni umane e di saper trattare gli affari che interessano la diocesi. Quanto all'età, dovranno aver compiuto almeno i 30 anni, ma prudenzialmente, dove è possibile, è auspicabile che abbiano compiuto i 40 anni, e aver raggiunto anche un'adeguata preparazione accademica con il conseguimento del dottorato o della licenza in Diritto Canonico o in Sacra Teologia, o almeno dovranno essere veramente esperti in tali discipline. Il Vicario Generale e, nell'ambito delle loro attribuzioni, quelli episcopali, in virtù del loro ufficio, hanno potestà esecutiva ordinaria, pertanto possono compiere tutti gli atti amministrativi di competenza del Vescovo diocesano, ad eccezione di quelli che lui stesso abbia riservato per sé e che il Codice di Diritto Canonico affida espressamente al Vescovo diocesano: per esercitare anche tali atti il Vicario necessita di un mandato speciale dello stesso Vescovo. Il Vescovo diocesano non può nominare agli uffici di Vicario Generale e di Vicario episcopale i propri consanguinei fino al quarto grado. Tali uffici non sono compatibili con quello di canonico Penitenziere. I Vicari debbono agire sempre secondo la volontà e le intenzioni del Vescovo, al quale debbono rendere conto delle questioni principali di cui si occupano. 179. Il Cancelliere della Curia e gli altri notai. "In ciascuna Curia deve esserci un cancelliere, la cui principale funzione consiste nel preoccuparsi che si redigano gli atti della Curia, si compilino e si conservino nell'archivio". Tuttavia, la funzione di cancelliere non si limita a questi settori, giacché a lui ( e al vicecancelliere, se esiste ) competono anche due altri importanti incarichi: a) Notaio della Curia: l'ufficio notarile che detengono l cancelliere e gi altri eventuali notai, ha una particolare importanza canonica, poché la sua firma fa pubblica fede della realizzazione di atti giuridici, giudiziali o aminstrativi, cioè "certifica" l'identità giuridica del documento, il che presuppone una previa qualifica dell'atto stesso e una verifica della sua corretta esposizione per iscritto. Il Vescovo si serva inoltre dell'aiuto del cancelliere e dei notai per la preparazione dei documenti giuridici, come atti giuridici di vario genere, decreti, indulti, ecc., in modo che la redazione risulti precisa e chiara. b) Segretario di Curia: con il compito di vigilare, in stretto contatto con il Vicario Generale e, se esiste, con il Moderatore della Curia, per il buon ordine dei compiti amministrativi curiali. Spetta al diritto particolare di precisare il rapporto del cancelliere con gli altri uffici principali della Curia. L'ufficio di cancelliere deve essere affidato ad un fedele che si distingua per onestà personale al di sopra di ogni sospetto, abilità canonica ed esperienza nella gestione delle pratiche amministrative. Nelle cause in cui può essere implicata la fama di un sacerdote, il notaio deve essere sacerdote. In caso di necessità, o quando il Vescovo lo riterrà necessario, al cancelliere può essere affiancato un vice-cancelliere con le stesse funzioni del cancelliere. Anch'egli dovrà possedere le doti richieste per il cancelliere. 180. Il tribunale diocesano. Il Vescovo esercita la potestà giudiziaria sia personalmente sia mediante il Vicario giudiziale e i giudici. L'amministrazione della giustizia canonica è un compito di grave responsabilità che esige, innanzitutto, un profondo senso di giustizia, ma anche un'adeguata perizia canonica e la corrispondente esperienza. Per questo motivo, il Vescovo sceglierà attentamente i titolari dei diversi uffici: – il Vicario giudiziale, giudice e capo dell'amministrazione giudiziaria deve essere necessariamente costituito dal Vescovo. La sua nomina sarà a tempo determinato rinnovabile. Il Vicario giudiziale ed eventuali Vicari giudiziali aggiunti devono essere sacerdoti, aver compiuto almeno 30 anni, essere di integra fama, dottori o licenziati in Diritto Canonico. Il Vicario giudiziale durante la sede vacante rimane in carica, e non può essere rimosso dall'Amministratore diocesano; – gli altri giudici diocesani, per la cui nomina si richiedono le stesse qualità che per il Vicario giudiziale, che in nome del Vescovo decidono le cause canoniche; – il promotore di giustizia e il difensore del vincolo, con l'incarico di vigilare, ciascuno secondo la propria competenza, sul bene pubblico ecclesiale. Il Vescovo può affidare questi due uffici a laici esperti, secondo le modalità e le condizioni stabilite dalle norme canoniche, in modo che i chierici siano più liberi per svolgere i compiti indispensabili relativi all'Ordine sacro. Qualora lo permetta la Conferenza episcopale, i fedeli laici possono anche essere giudici; di essi, se la necessità lo suggerisce, uno può essere assunto a formare un collegio. Se, per le locali circostanze, varie diocesi costituiscono un tribunale interdiocesano di prima istanza, i Vescovi interessati esercitano in comune le funzioni che spetterebbero a ciascuno rispetto al tribunale diocesano. Consapevole del fatto che l'amministrazione della giustizia è un aspetto della sacra potestà, il cui giusto e tempestivo esercizio è molto importante per il bene delle anime, il Vescovo considererà l'ambito giudiziario come oggetto della sua personale preoccupazione pastorale. Rispettando la giusta indipendenza degli organi legittimamente costituiti, vigilerà tuttavia sull'efficacia del loro lavoro e soprattutto sulla loro fedeltà alla dottrina della Chiesa sulla fede e sui costumi, specialmente in materia matrimoniale. Senza lasciarsi intimorire dall'indole tecnica di molte questioni, saprà consigliarsi e prendere le misure di governo opportune per riuscire ad avere un tribunale in cui risplenda la vera giustizia intraecclesiale. 181. Gli organi pastorali diocesani. Allo scopo di fare della Curia uno strumento idoneo anche per la direzione delle opere di apostolato, conviene costituire, secondo le possibilità della diocesi, anche altri uffici o commissioni, sia permanenti che temporanei, con l'incarico di eseguire i programmi diocesani e di studiare le iniziative nei diversi campi pastorali ed apostolici ( famiglia, insegnamento, pastorale sociale, ecc. ). Il Vescovo esamina e decide circa le proposte di questi organi con l'aiuto dei Consigli presbiterale e pastorale della diocesi. Per determinare quali uffici o commissioni convenga creare, il Vescovo si servirà delle indicazioni della Santa Sede e delle raccomandazioni della Conferenza Episcopale, e vigilerà anche sulle particolari necessità e sulle abitudini della diocesi. Qualunque sia il modello organizzativo adottato, occorre evitare il crearsi e perpetuarsi di strutture di governo atipiche, che in qualche modo sostituiscano o diventino competitive con gli organi previsti nella legge canonica, cosa che certamente non aiuterebbe l'efficacia del governo pastorale. Questo imperativo ha un necessario corollario a livello parrocchiale, dove il parroco e il Consiglio pastorale debbono effettivamente svolgere la funzione che a ciascuno spetta, evitando l'assemblearismo. Per una maggiore efficacia, bisogna far sì che il lavoro di questi organismi sia ben distribuito e coordinato, evitando le reciproche interferenze, le distinzioni superflue dei compiti o al contrario la loro confusione. Il Vescovo cerchi di inculcare in tutti un forte spirito di collaborazione per l'unico fine comune, e di responsabile iniziativa nel dirigere le proprie questioni. Il Vescovo si incontri frequentemente con i responsabili di questi organi o i delegati, per orientarne il lavoro e incoraggiare il loro zelo apostolico. Risulta utile inoltre che tutti coloro che sono destinati ad una medesima area si riuniscano periodicamente per valutare insieme il comune impegno, scambiare punti di vista e cercare di raggiungere gli obiettivi prefissati. c) I Consigli Diocesani 182. Il Consiglio Presbiterale. La comunione gerarchica tra il Vescovo e il presbiterio, fondata sull'unità del sacerdozio ministeriale e della missione ecclesiale, si manifesta istituzionalmente per mezzo del Consiglio Presbiterale, in quanto "gruppo di sacerdoti che sia come il senato del Vescovo, in rappresentanza del presbiterio, la cui missione è aiutare il Vescovo nel governo della diocesi conformemente alla norma del diritto, per provvedere nel miglior modo al bene pastorale della porzione del Popolo di Dio a lui affidata". In questo modo, il Consiglio, oltre a facilitare il necessario dialogo tra il Vescovo e il presbiterio, serve ad accrescere la fraternità tra i diversi settori del clero della diocesi. Il Consiglio affonda le sue radici nella realtà del presbiterio e nella particolare funzione ecclesiale che compete ai presbiteri, in quanto collaboratori primi dell'ordine episcopale. Il Consiglio è dunque "diocesano" per natura propria, deve essere obbligatoriamente costituito in ciascuna diocesi e la condizione sacerdotale è requisito indispensabile sia per far parte del Consiglio che per partecipare all'elezione dei suoi membri. Il Consiglio Presbiterale non deve mai agire all'insaputa del Vescovo diocesano, in quanto soltanto a lui spetta convocarlo, presiederlo, determinare le questioni da trattare e divulgare il contenuto delle discussioni e le eventuali decisioni adottate. Anche se organo di natura consultiva, il Consiglio è chiamato a coadiuvare il Vescovo su ciò che riguarda il governo della diocesi. Esso è anche la sede idonea per fare emergere una visione di insieme della situazione diocesana e per discernere ciò che lo Spirito Santo suscita per mezzo di persone o di gruppi; per scambiare pareri ed esperienze; per determinare, infine, obiettivi chiari dell'esercizio dei vari ministeri diocesani, proponendo priorità e suggerendo metodi. Il Vescovo deve consultare il Consiglio nelle questioni di maggiore importanza, relative alla vita cristiana dei fedeli, e al governo della diocesi. Dopo aver ottenuto il parere del Consiglio, il Vescovo è libero di prendere le decisioni che ritenga opportune valutando e decidendo "coram Domino", a meno che il diritto universale o particolare esigano l'assenso del medesimo per determinate questioni. Cionondimeno, il Vescovo non deve allontanarsi dall'opinione concorde dei consiglieri senza una seria motivazione, che deve soppesare secondo il suo prudente giudizio. La composizione del Consiglio deve rispecchiare una adeguata rappresentanza dei presbiteri che lavorano a beneficio della diocesi, curando soprattutto la diversità dei ministeri e delle diverse zone, in maniera da riflettere la presenza numerica e l'importanza pastorale di ciascun settore diocesano. Se il numero dei sacerdoti della diocesi è molto ridotto, nulla vieta di convocarli tutti. Tale Assemblea del Presbiterio sostituirà quella formale del Consiglio Presbiterale. Il Consiglio deve elaborare i propri Statuti, nei quali vengono stabilite le norme circa la sua composizione, l'elezione dei membri, le principali materie da sottoporre allo studio, la frequenza delle riunioni, gli incarichi interni ( moderatore, segretario, ecc. ) ed eventuali commissioni per trattare determinati argomenti, il modo di procedere nelle sessioni, ecc. La proposta di Statuti verrà presentata alla libera approvazione del Vescovo, il quale dovrà comprovarne la conformità alle prescrizioni del Codice e della Conferenza Episcopale e verificare che la struttura progettata sia quella propria di un organo consultivo, senza complessità organizzative che potrebbero toglierle chiarezza. Con il suo atteggiamento di dialogo sereno e attento ascolto di quanto viene espresso dai membri del Consiglio, il Vescovo incoraggerà i sacerdoti ad assumere posizioni costruttive, responsabili, lungimiranti, avendo a cuore soltanto il bene della diocesi. Al di là delle visioni parziali e personalistiche, il Vescovo diocesano cercherà di promuovere all'interno del Consiglio un clima di comunione, di attenzione e di ricerca comune delle soluzioni migliori. Eviterà di dare l'impressione dell'inutilità dell'organismo e condurrà le riunioni in modo che tutti i consiglieri possano esprimere liberamente il loro parere. Qualora il Consiglio Presbiterale non adempisse la sua funzione per il bene della diocesi o ne abusasse gravemente, il Vescovo, a norma del diritto può scioglierlo, con l'obbligo di costituirlo di nuovo entro un anno. Quando la sede della diocesi diviene vacante, il Consiglio Presbiterale cessa ed i suoi compiti passano al Collegio dei consultori. Il nuovo Vescovo deve costituire nuovamente il Consiglio entro un anno dalla presa di possesso della diocesi. 183. Il Collegio dei consultori. "Tra i membri del Consiglio Presbiterale, il Vescovo nomina liberamente alcuni sacerdoti, in numero non inferiore a sei e non superiore a dodici, che formino per cinque anni il Collegio di consultori, al quale competono le funzioni stabilite dal diritto". L'erezione del Collegio mira a garantire una qualificata assistenza al Vescovo, dando il suo consenso e parere secondo quanto stabilito nel Diritto, al momento di prendere importanti provvedimenti di natura economica e, in caso di vacanza o impedimento della sede, ad assicurare la continuità del governo episcopale e l'ordinata successione. La Conferenza Episcopale può stabilire che le funzioni del Collegio vengano affidate al Capitolo cattedrale. Le riunioni del Collegio dei consultori debbono essere presiedute dal Vescovo diocesano o da chi ne fa le veci, i quali si astengono dal votare con i consultori quando al Collegio sia chiesto il parere o il consenso. 184. Il Consiglio pastorale. Pur facendo uso della libertà che la disciplina canonica lascia, è bene che in ogni diocesi si costituisca il Consiglio pastorale diocesano, come forma istituzionale di esprimere la partecipazione di tutti i fedeli, di qualunque stato canonico, alla missione della Chiesa. Pertanto, il Consiglio pastorale è composto di fedeli, chierici, membri di Istituti di vita consacrata e soprattutto laici, e ad esso spetta, "sotto l'autorità del Vescovo, studiare e valutare quanto si riferisce alle attività pastorali nella diocesi, e suggerire le relative soluzioni pratiche". I suoi Statuti sono stabiliti e, se è il caso, modificati dal Vescovo. Anche se a rigore non rappresenta i fedeli, il Consiglio deve essere una immagine fedele della porzione del Popolo di Dio che costituisce la Chiesa particolare e i suoi membri debbono essere scelti "considerando le loro distinte regioni, condizioni sociali e professioni, come anche il ruolo da essi svolto nell'apostolato, sia personalmente che in associazione con altri". Tutti i membri del Consiglio pastorale debbono essere in piena comunione con la Chiesa cattolica e distinguersi per fede sicura, buoni costumi e prudenza. Spetta al Vescovo decidere, mediante le opportune indicazioni statutarie, le modalità di designazione dei suoi membri: per esempio, affidando alle parrocchie e ad altre istituzioni la proposta di candidati, riservandosi comunque - forse tramite la conferma di quelli precedentemente eletti - il diritto di escludere coloro che non appaiano idonei. Il Vescovo convochi il Consiglio almeno una volta l'anno. Lo stesso Vescovo propone le questioni da esaminare, presiede le riunioni, decide se convenga o meno rendere pubblici i temi trattati e determina il modo di realizzare le relative conclusioni. Il lavoro del Consiglio è, pertanto, di natura consultiva, e deve essere sempre contraddistinto da un delicato rispetto sia della giurisdizione episcopale che dell'autonomia dei fedeli, individui o associati, senza pretese direttive o di coordinamento estranee alla sua natura. Tuttavia, il Vescovo deve tenere nella dovuta considerazione il parere dei membri del Consiglio, in quanto responsabile collaborazione della comunità ecclesiale al suo ufficio apostolico. Il Vescovo può proporre alle discussioni del Consiglio temi relativi alle attività pastorali della diocesi: come per esempio, il piano pastorale, le diverse iniziative missionarie, catechetiche e apostoliche diocesane, i mezzi per migliorare la formazione dottrinale e la vita sacramentale dei fedeli, il modo di facilitare il ministero pastorale dei chierici, la sensibilizzazione dell'opinione pubblica sui problemi della Chiesa, ecc. Affinché l'operato del Consiglio risulti più efficace, converrà che le sessioni siano precedute da un adeguato studio preparatorio, servendosi a tal fine dell'aiuto delle istituzioni e degli uffici pastorali diocesani. Circa l'attività dei Consigli pastorali diocesani, è opportuno che i Vescovi ne discutano in sede di Conferenza Episcopale, cosicché ciascuno nella propria diocesi possa utilizzare l'esperienza degli altri. Il Consiglio pastorale cessa la propria attività durante la sede vacante della diocesi e può essere sciolto dal Vescovo quando non compie le funzioni ad esso assegnate. d) Il Capitolo dei canonici 185. Compiti del Capitolo e nomina dei canonici. "Il Capitolo di canonici, cattedrale o collegiale, è un collegio di sacerdoti, al quale spetta celebrare le funzioni liturgiche più solenni nella chiesa Cattedrale o nella collegiata; compete inoltre al Capitolo adempiere quegli uffici che il diritto o il Vescovo diocesano gli affidino". Per formare parte del Capitolo, il Vescovo chiami sacerdoti esperti che si distinguano per la dottrina e l'esempio della loro vita sacerdotale, anche tra coloro che attualmente esercitano uffici di rilievo nella diocesi, tenendo tuttavia presente che il Vicario Generale, i Vicari Episcopali e i consanguinei del Vescovo fino al quarto grado non possono ricoprire l'incarico di canonico penitenziere. 186. Erezione, modifica e soppressione del Capitolo. L'erezione, che non è obbligatoria, del Capitolo della Cattedrale, la sua modificazione o soppressione sono riservate alla Sede Apostolica. Nel rispetto delle leggi di fondazione e tenendo presenti i costumi e gli usi locali, lo stesso Capitolo elabora i propri Statuti, che vengono poi presentati all'approvazione del Vescovo. Risulta conveniente compilare un regolamento, in cui si contemplino questioni più dettagliate sul modo di procedere. 187. Uffici nel Capitolo. Ogni Capitolo ha un presidente, come primus inter pares e moderatore delle riunioni. Gli Statuti possono determinare che il presidente sia eletto dai canonici, nel cui caso necessita anche della conferma del Vescovo. Tra gli altri uffici del Capitolo - tutti di libera determinazione episcopale – deve annoverarsi quello del penitenziere, con l'importante funzione di assolvere dalle censure canoniche nel foro interno. Laddove non è stato costituito il Capitolo dei canonici, il Vescovo deve nominare un sacerdote che svolga le funzioni di penitenziere. e) Il Vescovo amministratore dei beni ecclesiastici della diocesi. L'Economo ed il Consiglio per gli Affari Economici 188. Compiti del Vescovo nell'amministrazione dei beni patrimoniali. In ragione della presidenza che gli compete nella Chiesa particolare, spetta al Vescovo l'organizzazione di quanto relativo all'amministrazione dei beni ecclesiastici, mediante opportune norme e indicazioni, in armonia con le direttive della Sede Apostolica e valendosi degli eventuali orientamenti e sussidi della Conferenza Episcopale. Inoltre, in quanto amministratore unico della diocesi, gli compete: – vigilare, affinché non si insinuino abusi, sull' amministrazione di tutti i beni delle persone giuridiche che gli siano soggette; stabilire mediante decreto, dopo aver udito il Consiglio diocesano per gli affari economici, quali atti eccedono i limiti e le modalità dell'amministrazione ordinaria; alienare, con il consenso del Consiglio diocesano per gli affari economici e del Collegio dei Consultori, i beni il cui valore sta tra la somma minima e la somma massima stabilita dalla Conferenza Episcopale. Per le alienazioni di beni il cui valore ecceda la somma massima oppure di ex voto o di oggetti preziosi di valore artistico o storico, si richiede anche la licenza della Santa Sede; – dare esecuzione alle donazioni e disposizioni "mortis causa" ( chiamate "pie volontà" ) in favore delle cause pie. Dovrà in questo caso compiere o far compiere la volontà del benefattore. Nell'amministrazione dei beni, supposta sempre l'osservanza della giustizia, il Vescovo deve occuparsi in primo luogo delle necessità del culto, della carità, dell'apostolato e del sostentamento del clero, subordinando ad esse qualunque altra finalità. 189. Principali criteri che debbono guidare l'amministrazione dei beni. Tali criteri basilari sono i seguenti: a) Il criterio di competenza pastorale e tecnica: "l'amministrazione economica della diocesi sia affidata a persone competenti oltre che oneste, in modo che la si possa proporre come esempio di trasparenza per tutte le altre analoghe istituzioni ecclesiastiche". Il Vescovo, infatti, deve sollecitare la collaborazione del Collegio dei consultori e del Consiglio per gli affari economici nelle materie determinate dalla legge universale della Chiesa e anche quando l'importanza del caso o le sue peculiari circostanze impongano tale regola di prudenza. b) Il criterio di partecipazione: il Vescovo deve far partecipe il clero diocesano, attraverso il Consiglio Presbiterale, delle decisioni importanti che vuole adottare in materia economica, e chiederne il parere al riguardo. Secondo la natura del caso, può essere utile interpellare anche il Consiglio pastorale diocesano. È altresì opportuno che la comunità diocesana sia al corrente della situazione economica della diocesi. Perciò, a meno che in qualche caso la prudenza suggerisca diversamente, il Vescovo prescriverà di rendere pubblici i rapporti economici alla fine di ogni anno e alla conclusione delle opere diocesane. Parimenti potranno procedere le parrocchie e le altre istituzioni, sotto la vigilanza del Vescovo. c) Il criterio ascetico, che, secondo lo spirito evangelico, esige che i discepoli di Cristo usino del mondo come se non usassero di esso ( cf. 1 Cor 7,31 ), e che debbono perciò essere moderati e disinteressati, fiduciosi nella divina provvidenza e generosi con chi è nel bisogno, conservando sempre il vincolo dell'amore. d) Il criterio apostolico, che induce ad utilizzare i beni come strumento al servizio dell'evangelizzazione e della catechesi. Questa regola deve guidare l'uso dei mezzi di comunicazione e dell'informatica, l'organizzazione delle esposizioni e mostre di arte sacra, le visite guidate a monumenti religiosi, ecc. e) Il criterio del buon padre di famiglia nel modo diligente e responsabile di condurre l'amministrazione. Come manifestazioni particolari di questo criterio, il Vescovo: – curerà che sia messa al sicuro la proprietà dei beni ecclesiastici in modi validi civilmente e farà osservare le disposizioni canoniche e civili o quelle imposte dal fondatore o dal donatore o dalla legittima autorità. Inoltre, sarà attento che dall'inosservanza della legge civile non derivi danno alla Chiesa; – nell'affidare i lavori osserverà e farà osservare accuratamente le leggi civili relative al lavoro e alla vita sociale, tenendo conto dei principi della Chiesa; – farà osservare le prescrizioni del diritto civile, in special modo quelle relative ai contratti e alle disposizioni "mortis causa" in favore della Chiesa; – dovrà conoscere e far osservare le decisioni della Conferenza Episcopale circa gli atti di amministrazione straordinaria e le condizioni per la cessione e la locazione di beni ecclesiastici; – provvederà ad inculcare nei pastori e nei custodi di beni un forte senso di responsabilità per la loro conservazione, in modo da impiegare ogni misura di sicurezza per evitare i furti; – promuoverà la preparazione e l'aggiornamento di inventari, anche fotografici, nei quali vengano chiaramente enumerati e descritti i beni immobili e mobili preziosi o di valore culturale. 190. Enti patrimoniali per la copertura delle spese della diocesi. Per far fronte alle principali necessità economiche, la disciplina canonica prevede la creazione di due istituti: a) La diocesi deve provvedere alla remunerazione dei chierici che vi prestano servizio, mediante la costituzione di un istituto o ente speciale per la raccolta dei beni e delle offerte dei fedeli, oppure in un altro modo. b) Nella misura in cui sia necessario, si costituirà anche una "massa comune" diocesana, per sovvenire alle altre necessità della diocesi e per aiutare le diocesi più povere. Tuttavia, a questa finalità si può provvedere anche mediante convenzioni e istituzioni di ambito interdiocesano o nazionale. È auspicabile che tutte queste istituzioni si costituiscano in modo che abbiano valore anche di fronte alle leggi civili. 191. Partecipazione dei fedeli al sostentamento della Chiesa. Il Vescovo provveda con mezzi idonei acciocché i fedeli siano educati a partecipare al sostentamento della Chiesa, come membri attivi e responsabili; così tutti sentiranno come proprie le opere ecclesiali e le attività benefiche e saranno lieti di collaborare alla buona amministrazione dei beni. Per sovvenire alle necessità della Chiesa, il Vescovo solleciti la generosità dei fedeli tramite offerte ed elemosine, secondo le norme date dalla Conferenza Episcopale. Ha inoltre competenza per: – imporre tributi moderati, osservando le condizioni canoniche; – stabilire, quando convenga, collette speciali in favore delle necessità della Chiesa; – dettare norme sulla destinazione delle offerte ricevute dai fedeli in occasione delle funzioni liturgiche e sulla rimunerazione dei sacerdoti addetti a tali funzioni. A tale riguardo il Vescovo deve attentamente ponderare la reale ed onesta necessità di reperire fondi, ma anche l'opportunità di non aggravare i fedeli con eccessive richieste economiche. Il Vescovo, infine, non trascuri di istruire ed eventualmente di informare i fedeli sul significato delle offerte di Messe e offerte compiute in occasione dell'amministrazione dei sacramenti e sacramentali, in rapporto al sostentamento del culto e dei sacri ministri e l'aiuto ai poveri; e istruisca i chierici perché si eviti in questa materia ogni apparenza di interesse profano. 192. Il Consiglio Diocesano per gli Affari Economici e l'Economo. In ogni diocesi si deve costituire un Consiglio per gli affari economici, presieduto dal Vescovo o da un suo delegato. Simili Consigli dovranno costituirsi anche in ciascuna parrocchia e nelle altre persone giuridiche. Per integrare tali organi ci si affiderà a fedeli scelti per la conoscenza della materia economica e del diritto civile, dotati di riconosciuta onestà e di amore per la Chiesa e per l'apostolato. Là dove sia instaurato il ministero, occorre fare in modo che i diaconi permanenti partecipino a questi organi, secondo il proprio carisma. Insieme al Consiglio diocesano per gli affari economici, il Vescovo esamini i progetti delle opere, i bilanci, i piani di finanziamento, ecc., e prenda decisioni conformi al diritto. Inoltre, il Consiglio diocesano per gli affari economici, unitamente al Collegio dei Consultori deve essere ascoltato per gli atti di amministrazione che, attesa la situazione economica della diocesi, sono di maggiore importanza; per gli atti di amministrazione straordinaria ( stabiliti dalla Conferenza Episcopale ) il Vescovo necessita del consenso del Collegio dei Consultori e del Consiglio diocesano per gli affari economici. Nell'esecuzione materiale dei diversi atti di amministrazione, salva la sua competenza, il Vescovo si avvarrà della collaborazione dell'economo diocesano. La diocesi deve avere infatti anche un economo, che deve essere nominato dal Vescovo per un quinquennio, rinnovabile, dopo aver sentito il Collegio dei consultori e quello per gli affari economici. L'economo, che può essere anche un diacono permanente o un laico, deve possedere una grande esperienza in campo economico-amministrativo ed essere a conoscenza della legislazione canonica e civile riguardante i beni temporali e le eventuali intese o leggi civili circa i beni ecclesiastici. L'economo diocesano deve amministrare i beni della diocesi, sotto l'autorità del Vescovo, secondo le modalità approvate dal Consiglio per gli affari economici e secondo il preventivo approvato. Alla fine di ogni anno, l'economo deve rendere conto delle entrate e delle uscite al Consiglio per gli affari economici. IV. L'esercizio della Carità 193. Seguendo le orme di Cristo. Cristo ha lasciato ai suoi discepoli il mandato della carità: "Come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri" ( Gv 13,34 ). La carità è amare come Cristo. Per testimoniare ciò, i membri della Chiesa hanno dato vita a innumerevoli opere di carità. La Chiesa infatti sa che la sua missione, quantunque sia di natura spirituale, abbraccia anche gli aspetti temporali della vita umana, giacché la realizzazione dei piani di Dio per l'uomo vincola saldamente l'annuncio evangelico e la promozione umana. Questa convinzione si traduce nelle molteplici forme di aiuto e beneficio integrale dei poveri, degli oppressi, degli emarginati, di quanti si trovano in situazioni di indigenza e di debolezza, e che la Chiesa guarda con amore preferenziale. Con uguale attenzione e sollecitudine, la Chiesa mediante le sue opere assistenziali cerca di alleviare la "sofferenza dell'anima" e la "sofferenza del corpo". Tale impegno è espresso nel dovere cristiano di compiere le opere di misericordia corporale e spirituale. Tali opere sono state praticate nella Chiesa fin dai suoi inizi, mediante le elemosine ( cf. At 9,36; Eb 13,16 ), la distribuzione dei beni ( cf. At 2,44-45; At 4,32-34-37 ), le mense comuni ( cf. At 6,2 ) e le collette per i poveri ( cf. At 9,36.39; At 10,2.31; Gal 2,9-10 ). All'inizio vennero scelti sette uomini che gli Apostoli, con la preghiera e l'imposizione delle mani, destinarono a tale ministero caritativo ( cf. At 6,2-6 ). Anche nella comunità cristiana di oggi la carità deve mantenere il suo posto preminente e suggerire nuove forme di assistenza e promozione, che si aggiungano a quelle tradizionali. 194. La Chiesa, comunità di carità. La responsabilità del Vescovo nell'ambito ella carità appare fin dalla liturgia dell'ordinazione episcopale, quando al candidato viene posta la domanda specifica: "Vuoi essere sempre accogliente e misericordioso, nel nome del Signore, verso i poveri e tutti i bisognosi di conforto e di aiuto?". In tale modo il Vescovo, cosciente della sua funzione di presidente e ministro della carità nella Chiesa, mentre compie personalmente tale compito in tutte le forme che le condizioni della popolazione richiedano e i mezzi a sua disposizione gli consentano, cerca di infondere in tutti i fedeli - chierici, religiosi e laici - reali sentimenti di carità e di misericordia verso quanti siano per qualche ragione "affaticati e oppressi" ( Mt 11,28 ), cosicché in tutta la diocesi regni la carità come accoglienza e testimonianza del comandamento di Gesù Cristo. In questo modo, i fedeli sperimenteranno che la Chiesa è una vera famiglia di Dio riunita nell'amore fraterno ( cf. 1 Pt 1,22 ) e saranno molti gli uomini e le donne desiderosi di seguire Cristo. Pertanto, il Vescovo, secondo il modello del buon samaritano ( cf. Lc 10,25-37 ), provveda affinché i fedeli siano istruiti, esortati ed opportunamente aiutati a praticare tutte le opere di misericordia, sia personalmente nelle circostanze concrete della loro vita, sia partecipando alle diverse forme organizzate di carità. Trova così espressione nella vita cristiana quella reciproca relazione che esiste tra predicazione, liturgia e testimonianza. Animati dall'ascolto della Parola e nutriti dai Sacramenti, i fedeli si adopereranno in quell'esercizio della carità che dà prova autentica della fede che professano. Nella carità si manifesta, infatti, quel comandamento nuovo che rivela al mondo la natura nuova dei figli di Dio. Il Vescovo sostenga e favorisca perciò tutte quelle iniziative di carità che, nel corso della storia e nei nostri giorni, sono sorte e continuano a nascere per l'assistenza e la promozione integrale dei più poveri, tanto nei paesi sviluppati come quelli in via di sviluppo. Abbia cura, altresì, della formazione permanente dei fedeli impegnati in tali iniziative a livello direttivo ed operativo. Il ministero della carità, anche se è obbligo di tutti i ministri, è parte specifica del carisma diaconale. Per questa ragione, tutti i candidati agli ordini sacri, ma in particolare gli aspiranti al diaconato permanente, dovranno prepararsi all'attività caritativa mediante un'adeguata formazione, che andrà perfezionata poi alla luce dell'esperienza. I diaconi permanenti, secondo la personale capacità, possono essere d'aiuto all'amministrazione economica della diocesi. La cura pastorale della Chiesa si rivolgerà anche agli operatori sociali e ai professionisti del mondo della sanità, e a maggior ragione se lavorano in istituzioni sanitarie cattoliche, affinché questi fedeli scoprano il significato vocazionale del loro lavoro professionale, che richiede indubbiamente competenza tecnica, ma anche una delicata sensibilità per le necessità umane e spirituali delle persone e dei pazienti. 195. Le opere assistenziali della diocesi. Se nella diocesi già esistono opere di carità e di assistenza, il Vescovo faccia in modo che crescano e si perfezionino sempre più e, se è necessario, se ne creino altre, corrispondenti ai nuovi bisogni: soprattutto nel campo dell'assistenza ai bambini, ai giovani, agli anziani, ai malati e agli invalidi, agli emigrati e ai rifugiati, per i quali deve essere sempre aperta e disponibile la diaconia della carità della Chiesa. Le grandi città sollecitano in particolare la creatività dei Pastori, poiché nelle metropoli la povertà si presenta sotto nuovi aspetti: basti pensare al gran numero di operai di diverse razze e nazioni, alle famiglie prive di alloggio o vitto, o a chi vive nelle baracche, ai giovani dediti alla droga. Neppure vanno dimenticate quelle grandi povertà dello spirito, oggi sempre più diffuse, come la mancanza del senso della vita, la solitudine e l'assenza di speranza. Per realizzare l'assistenza ai bisognosi in maniera efficace, il Vescovo promuova nella diocesi la Caritas diocesana o altre simili istituzioni che, da lui presiedute, animano il senso della carità fraterna in tutta la diocesi e promuovono la generosa collaborazione dei fedeli diocesani alle opere caritative della Chiesa particolare, in quanto manifestazioni della carità cattolica. La Caritas diocesana, a seconda delle circostanze, potrà collaborare con analoghe istituzioni civili. La trasparenza nel suo operare e la sua fedeltà al dovere di testimonianza dell'amore, le consentirà di animare cristianamente quelle istituzioni civili e, talora, anche di poterle coordinare. In ogni caso, la Caritas diocesana parteciperà a tutte le iniziative autenticamente umanitarie per testimoniare la presenza e la solidarietà della Chiesa con i bisogni umani. Il Vescovo abbia cura che anche i fedeli laici che operano in tali istituzioni civili possano avere un'adeguata formazione spirituale affinché possano offrire competente e coerente testimonianza. Il Vescovo, allo stesso tempo, stabilirà che, per quanto possibile, in ciascuna parrocchia sia presente la Caritas parrocchiale che, unita a quella diocesana, si farà strumento di animazione e di sensibilizzazione e di coordinamento nella comunità parrocchiale della carità di Cristo. Sarebbe molto opportuno che in ciascuna istituzione dipendente dall'autorità ecclesiastica, vi fosse la presenza di associazioni finalizzate al riconoscimento dei casi di bisogno, sia fisico che spirituale, alla raccolta di aiuti e al consolidamento di rapporti di carità tra benefattori e beneficiati. 196. Spirito genuino delle opere assistenziali della Chiesa. Ogni attività caritativa del Vescovo e della comunità cristiana deve spiccare per rettitudine, lealtà, magnanimità e così manifestare l'amore gratuito di Dio verso l'uomo, "che fa sorgere il sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti" ( Mt 5,45 ). Senza mai convertire le opere di carità in uno strumento di disonesto proselitismo, il Vescovo e la comunità diocesana si propongano di dare attraverso di esse testimonianza del Vangelo e indurre i cuori all'ascolto della Parola di Dio e alla conversione. Tutte le opere di pietà e di assistenza realizzate dalla comunità cristiana debbono manifestare lo spirito di carità soprannaturale che le anima, per essere argomento eloquente che spinga i cuori a glorificare il Padre celeste ( cf. Mt 5,16 ). Per il compimento delle opere di promozione umana e di assistenza alle popolazioni colpite da calamità, il Vescovo, quando sia opportuno e secondo le norme e gli orientamenti della Sede Apostolica, abbia cura di favorire le relazioni degli organismi caritativi diocesani con quelli paritetici dei fratelli separati affinché attraverso l'aiuto concorde si testimoni l'unità nella carità di Cristo e si faciliti la reciproca conoscenza, che un giorno potrebbe prender forma, con l'aiuto divino, nella desiderata unione di quanti confessano il nome di Cristo. Al Vescovo compete di dare il via a tale relazioni, di disciplinarle e di vigilare sull'azione ecumenica degli organismi caritativi diocesani. 197. Rapporti tra l'assistenza della Chiesa e l'assistenza pubblica e privata. Benché sappia che l'autorità civile ha il dovere e il merito di intervenire nei diversi settori dell'assistenza sanitaria e sociale per provvedere nel migliore dei modi ai bisogni di tutti, il Vescovo non dimentichi che nel mondo ci saranno sempre poveri ( cf. Mt 26,11 ), cioè persone bisognose nel campo spirituale, psicologico o materiale, e perciò affidate alla carità della Chiesa. Inoltre, la Chiesa ha in questo campo una missione insostituibile da compiere, che deriva dalla virtù soprannaturale della carità. Il Vescovo eviti ogni apparenza di competizione delle opere di carità diocesane con altre istituzioni simili pubbliche o private e invece favorisca la reciproca stima e la collaborazione tra le une e le altre. Tuttavia rivendichi alla Chiesa il diritto di assistere i bisognosi e di essere presente laddove vi è qualsiasi tipo di necessità spirituale o materiale e in questo ambito non consenta alcun monopolio. Si preoccupi, infine, che le opere e le istituzioni assistenziali promosse dalla Chiesa si adattino tanto alle esigenze del progresso tecnico e scientifico che alla legislazione civile. V. Importanza del "servizio sociale" e del volontariato 198. Gli assistenti sociali ed i volontari. Tra le moderne iniziative assistenziali, occupa una posizione di rilievo il cosiddetto servizio sociale, che si realizza specialmente nelle fabbriche e nei posti di lavoro, nelle famiglie, nei quartieri popolari, nei sobborghi delle città, nelle carceri, come forma di aiuto offerto agli individui e ai gruppi per sviluppare il senso della dignità della vita, educare alla coscienza delle proprie responsabilità e incoraggiare nell'impegno per il superamento delle difficoltà materiali e spirituali. È dunque opportuno che nella diocesi ci sia un buon numero di assistenti sociali, scelti tra giovani di entrambi i sessi e anche tra i religiosi, che siano adeguatamente formati, specialmente nella dottrina sociale della Chiesa, nelle scuole e nei centri creati allo scopo. Questi assistenti sociali potranno svolgere la loro attività in appositi centri, istituiti nelle parrocchie più grandi o nelle arcipreture o nei decanati, in nome e a spesa di tutta la comunità cristiana per affrontare sia le vecchie che le nuove povertà "che investono spesso anche gli ambienti e le categorie non prive di risorse economiche, ma esposte alla disperazione del non senso, all'insidia della droga, all'abbandono nell'età avanzata o nella malattia, all'emarginazione o alla discriminazione sociale". È consolante la fioritura, in tempi recenti, di varie forme di volontariato con le quali i cristiani, insieme ad altre persone di buona volontà, specialmente i giovani, dedicano il proprio tempo e le proprie energie ad assistere in modo organizzato i bisognosi, sia nella propria diocesi che nelle varie parti del mondo. Tali iniziative fanno un gran bene, poiché, oltre ad alleviare le necessità degli indigenti, contribuiscono in maniera non indifferente alla formazione delle giovani generazioni cristiane e sono un mezzo efficace per avvicinare altre persone alla fede della Chiesa. Pertanto, dove il volontariato non sia sufficientemente esteso, il Vescovo susciti lo spirito di esso, che spinge alla dedizione verso gli altri e favorisca la creazione di strutture adeguate e, se necessario, provveda personalmente ad istituirle. Dato il grande interesse che hanno tali opere per il bene comune, in molti casi sarà naturale sollecitare la collaborazione economica delle istanze pubbliche o, soprattutto nei Paesi più poveri, di altri enti o organizzazioni, per la loro istituzione e sostentamento. 199. Rapporti tra carità e liturgia. Per infondere nei fedeli il senso della carità cristiana, il Vescovo insegni che la partecipazione attiva e cosciente alla liturgia, soprattutto alla Eucaristia, porta necessariamente alla pratica della carità con i poveri e i bisognosi. Per esprimere tale vincolo tra Eucaristia e carità fraterna, susciterà la generosa offerta di denaro e altri beni, secondo le rubriche e norme liturgiche, durante la stessa celebrazione eucaristica. Con la medesima finalità il Vescovo può ricorrere anche ad altre opportune iniziative: come la visita ai malati, ai carcerati, alle famiglie povere e ad istituzioni. 200. Aiuto alle diocesi povere e alle opere cattoliche di carità e di apostolato. Seguendo l'esempio degli Apostoli i quali, oltre a vigilare sulla giusta distribuzione dei beni in ciascuna delle Chiese, organizzavano anche collette in favore delle comunità più povere ( cf. At 11,29-30; 1 Cor 16,1-14; 2 Cor 9,2; Rm 15,26; Gal 2,10; ecc. ), il Vescovo destini tutto l'aiuto che la sua diocesi può permettersi ad altre diocesi più bisognose, come anche alle opere cattoliche nazionali o internazionali di pietà e di assistenza. Con tale intento, il Vescovo proponga al clero e al popolo la celebrazione delle "giornate" speciali stabilite a livello universale o nazionale, allo scopo di destare l'interesse, promuovere la preghiera e chiedere alla comunità cristiana il suo contributo economico. È conveniente che il clero, già dagli anni di seminario, venga opportunamente preparato per vivere la povertà e la mutua carità come una vocazione, seguendo l'esempio della Chiesa primitiva ( cf. At 2,44-45; At 4,32ss ). Sarebbe una chiara testimonianza di spirito evangelico che i sacerdoti, con a capo il Vescovo, e le istituzioni ecclesiastiche, si impegnassero a destinare ogni anno una percentuale fissa dei loro profitti alla carità, sia della diocesi che della Chiesa universale. Esempio che anche i laici potrebbero seguire, secondo le proprie possibilità. VI. Alcuni settori in particolare 201. Alcuni settori pastorali, secondo i luoghi e le diverse situazioni ecclesiali o sociali, richiedono una particolare attenzione dei Pastori. Questo Direttorio si limita ad alcuni. 202. La famiglia. Per il Vescovo la famiglia nella società contemporanea rappresenta una priorità pastorale. Le sfide che la famiglia oggi deve affrontare sono enormi: un'erronea antropologia che separa l'uomo dalla famiglia e dal supremo valore della vita; la svalutazione dell'amore coniugale e la diffusa mentalità contraccettiva; la tendenza a relegare la famiglia nella sfera privatistica e la sua dissociazione dal matrimonio; la pressione sui Parlamenti affinché vengano riconosciuti come famiglie, fondate sul matrimonio, le unioni omosessuali; la nuova situazione della donna che, sebbene veda oggi riconosciuti i suoi diritti e la sua dignità e diminuite le forme di discriminazioni alle quali essa è stata ed è sottoposta, viene svalutata nella sua missione di sposa e di madre, considerata come una sottomissione servile e un servizio discriminante. Il Vescovo, quale primo responsabile della pastorale familiare, incorporerà tale pastorale in quella organica della diocesi e si adopererà affinché nella famiglia, base e cellula primordiale della società e della Chiesa, convergano tutti i valori e la ricchezza umana e cristiana in modo che essa sia sempre più capace di formare integralmente la persona e di trasmettere la fede. A questo scopo, è dovere del Vescovo di fare ogni sforzo per organizzare convenientemente una efficace pastorale familiare e attuarla in tutte le parrocchie e egli altri istituti e comunità diocesane con l'attiva partecipazione di sacerdoti, diaconi, religiosi e membri delle Società di vita apostolica, laici e delle stesse famiglie. Questo impegno, che riguarda trasversalmente tutti i campi della pastorale, ha come contenuti: la preparazione al matrimonio sia remota che immediata, opportunamente svolta "come in un cammino catecumenale" entro il quale, nell'ultima fase, si collocano i corsi di preparazione al matrimonio che devono essere realizzati con serietà, ottimi contenuti, sufficiente durata e obbligatorietà; la formazione ad un amore responsabile, che richiede una necessaria educazione sessuale con la proposta di principi e valori etici; l'informazione sui metodi naturali per la regolazione della fertilità, il ricorso ai quali deve avere giuste motivazioni che non siano solo il rifiuto della paternità e della maternità; la bioetica e, soprattutto con l'impegno dei laici, la riflessione attraverso corsi, conferenze, incontri. Per promuovere la partecipazione della famiglia alla vita sociale e politica e per prevenire leggi ingiuste, il Vescovo si impegni anche a promuovere una pastorale della famiglia nella società civile, mantenendo uno stretto contatto con i politici, soprattutto con quelli cattolici, offrendo strumenti per la loro formazione. Il Vescovo provveda ad istituire la Commissione di pastorale familiare sia nella diocesi che nei Vicariati Foranei e, per quanto possibile, nelle parrocchie. È auspicabile che a tali organismi siano attribuite anche le competenze per la vita, l'infanzia, la donna e, secondo i casi, la gioventù. Per la formazione degli operatori pastorali, la diocesi potrà erigere un centro formativo o "istituto della famiglia". A questo riguardo sono di provata efficacia anche le associazioni familiari istituite per il mutuo appoggio e la difesa dei valori della famiglia di fronte alla società e allo Stato. Con amarezza si constata come oggi sia in aumento il numero dei battezzati che si trovano in una situazione irregolare per quanto riguarda il matrimonio: il cosiddetto "matrimonio in prova", le unioni di fatto, i cattolici uniti soltanto con il rito civile, i divorzi; tutte situazioni che nuocciono gravemente ai diretti interessati, ai loro figli e alla società in generale. In tutti questi casi, i Pastori mettano il massimo impegno per ottenere, se possibile, la regolarizzazione di questi rapporti. Al contempo, siano caritatevoli con queste persone, giacché molte volte si tratta di situazioni che, specialmente per la presenza di figli comuni, sono difficilmente modificabili. In ogni caso, il Vescovo motivi la norma della Chiesa secondo la quale non possono ricevere la comunione eucaristica coloro i quali si trovano in situazioni che obiettivamente contraddicono l'unione di amore tra Cristo e la Chiesa, che l'Eucaristia significa e rende presente. Nei riguardi dei divorziati risposati, il Vescovo non mancherà di far sentire la sollecitudine materna della Chiesa e farà in modo che non siano emarginati dalla vita ecclesiale, restando ovviamente chiaro che essi possono partecipare abitualmente alla vita delle loro rispettive parrocchie. È molto opportuno che in ogni diocesi o a livello interparrocchiale vi siano momenti formativi per queste persone. 203. Gli adolescenti e i giovani. Un settore che deve interessare vivamente il Vescovo e accrescerne la paterna sollecitudine è quello dei giovani e, in particolare, dei giovani studenti, i quali, privi di un chiaro orientamento, sono soggetti all'influsso di opinioni diverse e di novità ideologiche, per cui con molta facilità si allontanano dalla Chiesa, per seguire vie diverse da quelle ecclesiali o rimanere, addirittura, nel vuoto esistenziale. È pertanto necessario portare i giovani a professare una fede matura rendendoli protagonisti della vita e delle scelte pastorali della diocesi. Sarà opportuno che nelle varie istanze diocesane e parrocchiali, si preveda una rappresentanza del mondo giovanile in modo che possa esprimere le proprie necessità spirituali ed essere inserito gradualmente nella vita diocesana e parrocchiale. Il Vescovo si preoccupi che nella sua diocesi non manchi un buon numero di presbiteri, religiosi e laici idonei, dediti all'apostolato della gioventù. Il Vescovo abbia premura affinché la pastorale giovanile si attui in ogni parrocchia, o, almeno, a livello interparrocchiale. Tra le forme più efficaci vi è senza dubbio l'insegnamento della religione nelle scuole, ma a livello pastorale devono essere sostenute anche quelle opere e associazioni finalizzate alla formazione degli adolescenti, come i vari gruppi o associazioni che hanno tale finalità. Quanti collaborano nella pastorale della gioventù, debbono mostrarsi ai giovani come fratelli e amici, ma allo stesso tempo portatori di una verità e di un ideale di vita più alto. Sapranno comprendere le loro aspirazioni, i punti di vista e il modo di esprimersi, ma senza accondiscendere a leggerezze e anomalie nel vano tentativo di essere da loro meglio accettati: infatti non si rende un servizio ai giovani accettando i loro difetti, ma indicando loro ideali; dovranno, infine, stimolare con iniziative concrete il loro senso di responsabilità, perché si sentano e siano realmente attivi e responsabili artefici della comunità cristiana. Tra i giovani, gli studenti universitari occupano un posto privilegiato, e di grande interesse apostolico, per la peculiarità della loro sensibilità e del loro ambiente. Personalmente, o in collaborazione con le altre diocesi interessate, il Vescovo potrà provvedere alla cura pastorale della gioventù universitaria, erigendo eventualmente una parrocchia personale entro il "campus" universitario o nelle adiacenze, e promuovendo residenze e altri centri che offrano agli studenti un aiuto permanente, spirituale ed intellettuale. Parimenti, incoraggerà e sosterrà, per quanto di sua competenza, le opere di altre istituzioni e associazioni ecclesiali che si adoperano in questo settore apostolico, non esente da difficoltà, e vigilerà perché in ogni centro - dipendente o meno dalla diocesi - si forniscano mezzi idonei di formazione cristiana e vengano osservati la conveniente disciplina e l'atteggiamento umano e spirituale. 204. Gli operai e i contadini. Il Vescovo si preoccuperà vivamente della cura pastorale degli operai e dei contadini, perché l'evangelizzazione del mondo operaio e rurale fa parte della missione della Chiesa ed anche perché sono gli operai a pagare le conseguenze di un'industrializzazione poco attenta alla dignità umana e soffrono lo sradicamento che è conseguenza dell'emigrazione. Non presterà minor attenzione al mondo contadino, in non pochi luoghi sottomesso a dure condizioni di vita e a volte carente della presenza sacerdotale. Perciò, il Vescovo cercherà il contatto diretto con operai e contadini, anche nel loro ambiente, e farà in modo che siano sacerdoti idonei e ben preparati, particolarmente nella dottrina sociale della Chiesa, a svolgere il ministero apostolico nelle periferie operaie e nell'ambiente rurale, con mezzi e iniziative che si adattino alle condizioni sociali, psicologiche e spirituali di queste persone. Il Vescovo vigilerà affinché nelle parrocchie e negli altri centri destinati all'assistenza a operai e contadini venga promossa l'attività pastorale tra le famiglie, si organizzi l'istituzione e la direzione di circoli, associazioni, scuole serali, centri di addestramento professionale, luoghi ricreativi, ecc. Sono lodevoli le opere e istituzioni di carattere economico-sociale che abbiano come obiettivo l'aiuto ai poveri, facilitando l'accesso alla proprietà o all'utilizzo dei beni o la loro equa distribuzione, per mezzo di studi e attività sociali di cooperazione, di associazioni tra operai e artigiani, di iniziative economiche e finanziarie, ecc. Si tratta di un settore molto vasto, nel quale i cristiani laici sono chiamati ad esercitare la carità sotto forma di giustizia e di solidarietà umana, in perfetta sintonia con la loro vocazione secolare. Il Vescovo pertanto non tralascerà di incoraggiare tali laici e, se necessario, promuoverà personalmente tali opere, impregnandole di spirito cristiano. Il Vescovo darà anche il proprio contributo sulla questione ecologica per la salvaguardia del creato, insegnando il corretto rapporto dell'uomo con la natura, che alla luce della dottrina su Dio, Creatore del cielo e della terra, è un rapporto ministeriale, in quanto l'uomo è collocato al centro della creazione come ministro del Creatore. In questo senso c'è bisogno di una conversione ecologica nella consapevolezza che, insieme alla salvaguardia del creato, si deve operare, con maggiore intensità, per un'ecologia umana che protegga il bene radicale della vita in tutte le sue manifestazioni e prepari alle generazioni future uno sviluppo sostenibile, che si avvicini di più al progetto del Creatore. 205. I sofferenti. La tutela della salute occupa nella società attuale una delle sfide più impegnative. Sono ancora molte le malattie endemiche presenti in varie parti del mondo. Nonostante gli sforzi della medicina e della scienza nella ricerca di nuove soluzioni o di aiuti per affrontarle, emergono nuove situazioni in cui la salute fisica e psichica viene sempre più minata. La sollecitudine per l'uomo spinge il Vescovo a imitare il Buon Samaritano che con bontà e misericordia si prende cura di ogni persona sofferente. Ogni Vescovo nell'ambito della propria diocesi, con l'aiuto di persone qualificate, è chiamato ad operare perché sia annunciato il Vangelo della Vita. L'umanizzazione della medicina e dell'assistenza agli ammalati, la vicinanza a tutti nel momento della sofferenza risveglia nell'animo di ciascuno la figura di Gesù, medico dei corpi e delle anime, che tra le istruzioni affidate ai suoi Apostoli non ometteva d'inserire l'esortazione a guarire gli ammalati ( cf. Mt 10,8 ). Pertanto l'organizzazione e la promozione di un'adeguata pastorale per gli operatori sanitari, in vista del maggior bene dei malati, merita davvero una priorità nel cuore di un Vescovo. Tale pastorale non potrà non tener conto dei seguenti punti: la proclamazione della difesa della vita nelle applicazioni della ingegneria biogenetica e nelle cure palliative e nelle proposte di eutanasia; l'aggiornamento della pastorale sacramentale, specialmente quella che riguarda l'Unzione dei malati ed il Viatico, senza trascurare l'amministrazione del Sacramento della Penitenza; la presenza delle persone consacrate, che donano la loro vita alla cura dei malati e dei volontari della pastorale della salute; la sollecitudine dei parroci per i malati delle parrocchie. Il Vescovo incoraggi la presenza degli ospedali cattolici e, secondo i casi, ne crei di nuovi e ne sostenga l'ideale cattolico quando, per diverse ragioni, passano alla direzione del personale laico. Nelle Facoltà di medicina cattoliche, il Vescovo vigili affinché venga insegnata un'etica secondo il Magistero della Chiesa, specialmente nelle questioni di Bioetica. 206. Persone che richiedono una specifica attenzione pastorale. Il Vescovo deve porre particolare cura nell'attenzione alle necessità spirituali di quei gruppi umani che, per le loro condizioni di vita, non possono usufruire sufficientemente dell'ordinaria cura pastorale territoriale. In questo paragrafo vengono esaminate le diverse situazioni che esigono risposte pastorali: a) L'emigrazione internazionale. Essa è un fenomeno di proporzioni crescenti, che richiede la sollecitudine dei Pastori: basti pensare al gran numero di quanti si spostano in altri Paesi in cerca di lavoro, o per studi, ai profughi, ai nomadi. Questo dovere è particolarmente urgente quando, come accade ancora con frequenza oggi, gli emigranti sono fedeli cattolici. Per fornire a questi fedeli un'attenzione pastorale conforme alla loro indole e ai bisogni spirituali, è necessario avere una conveniente collaborazione tra i Pastori del paese di origine e quelli delle diocesi di destinazione, tanto individualmente che in seno alle rispettive Conferenze Episcopali. Tale programma potrà essere ottimamente realizzato mediante l'invio di sacerdoti, diaconi e altri fedeli che accompagnino gli emigranti, creando allo scopo centri speciali di formazione, o tramite la creazione di strutture pastorali personali di coordinamento della pastorale diretta a questi fedeli. Non bisogna poi dimenticare anche gli itineranti, vale a dire i pellegrini, viaggiatori, circensi, lunaparkisti, i senza dimora, ecc. b) I gruppi dispersi di fedeli. Per provvedere alla cura pastorale e all'apostolato in favore di gruppi omogenei dispersi entro i limiti diocesani, il Vescovo può erigere una parrocchia personale, o anche nominare cappellani alcuni presbiteri idonei, fornendoli delle necessarie facoltà. Per l'assistenza ai pescatori e ai marinai, egli promuova l'Opera dell'Apostolato del Mare, secondo le sue peculiari norme. Oggi più che in passato, si avverte l'importanza che il Vescovo organizzi un'opportuna assistenza pastorale nelle località turistiche, creandovi chiese e oratori succursali delle parrocchie, come anche - secondo le possibilità della diocesi - nelle vicinanze delle principali vie di comunicazione, stazioni e aeroporti. c) I militari. I militari costituiscono una categoria particolare di fedeli che, per il loro stile di vita, richiedono un'attenzione specifica. Per la loro assistenza pastorale, la Santa Sede erige il corrispondente Ordinariato Militare, il cui Prelato è equiparato al Vescovo diocesano. Il Pastore del luogo, pertanto, mantenga relazioni fraterne con l'Ordinario Militare e cerchi di aiutarlo in quanto di sua competenza, anche ad avere sacerdoti idonei, cosicché i militari di professione, le loro famiglie e i numerosi giovani che prestano servizio temporale nell'esercito possano contare su un'adeguata assistenza per la loro vita cristiana. 207. La pastorale ecumenica. Il Vescovo estenda il suo zelo e la sua carità pastorale ai membri delle Chiese e Comunità cristiane non cattoliche. A tale scopo, si rende necessaria una formazione ecumenica della comunità diocesana, in modo che tutti i fedeli, e in particolare i ministri sacri, apprezzino l'inestimabile dono dell'unità, crescano in carità e comprensione, pur senza irenismi, per gli altri fratelli cristiani e si uniscano alla preghiera di tutta la Chiesa, secondo il desiderio e le norme del Concilio Vaticano II e le istruzioni della Sede Apostolica. Importanza speciale va attribuita alla formazione ecumenica nei seminari e in altri centri e ambienti di formazione del clero e dei laici. È opportuno favorire anche l'esercizio pratico dell'ecumenismo: prima di tutto l'ecumenismo spirituale, che consiste nella conversione interiore dei cristiani; poi, la preghiera, della quale una realizzazione abbastanza diffusa e degna di lode è la cosiddetta "Settimana per l'Unità dei Cristiani"; infine, la collaborazione ecumenica con gli altri cristiani, di cui le principali modalità sono l'orazione comunitaria, il dialogo, la comune testimonianza cristiana e l'impegno congiunto per la difesa dei valori umani e cristiani. È inoltre opportuno tener presente la situazione dei matrimoni misti tra cattolici e altri battezzati. Questi matrimoni, anche se possono dare buoni frutti in campo ecumenico, richiedono tuttavia una speciale attenzione pastorale, sia per assicurarsi che entrambi i coniugi conoscano e aderiscano alla dottrina cattolica sul matrimonio, sia per allontanare ogni rischio di distacco dalla fede da parte del coniuge cattolico e per favorire che possa trasmettere la fede cattolica ai figli. Per quanto riguarda la "communicatio in sacris", debbono essere strettamente osservate le norme date al rispetto dal Concilio Vaticano II, dal Codice di Diritto Canonico e dalla Sede Apostolica. Occorre formare i fedeli perché sappiano rispondere con chiarezza alle sollecitazioni delle cosiddette "sette" di ispirazione cristiana o sincretista, che possono confondere le persone meno preparate, non solo con le proprie teorie, ma anche con esperienze religiose fortemente sentimentali. 208. La pastorale in ambito plurireligioso. La presenza in Paesi di tradizione cristiana di persone appartenenti ad altre religioni è oggi un fenomeno crescente, specialmente nelle grandi città e nei centri universitari e industriali, dove si trovano per motivi di lavoro, di studio, o di turismo. La carità cristiana e lo zelo missionario spingono la comunità diocesana, in relazione a queste persone, all'aiuto umanitario, al dialogo e all'annuncio di Cristo, in vari modi: a) Il Vescovo sproni ad esercitare disinteressatamente la carità cristiana verso queste persone, aiutandole nelle loro difficoltà di integrazione sociale, scolastica, linguistica, di alloggio, assistenza medica, ecc. A tal fine potrà opportunamente servirsi delle associazioni cattoliche. b) Il rispetto per la tradizione religiosa di ciascuno e per la dignità umana, invitano a stabilire un dialogo interreligioso per promuovere la mutua comprensione e collaborazione. Tale dialogo deve rispettare i principi fondamentali della coscienza religiosa, oggi esposti agli assalti di una civiltà secolarizzata. Per realizzare questo apostolato, il Vescovo avrà cura di formare persone idonee a portare avanti questo compito. In tal senso è opportuno che, laddove non esista, se vi è la possibilità, si crei una Commissione per il dialogo interreligioso e che ci si avvalga anche dell'aiuto di esperti sia chierici, religiosi che laici. c) Infine, occorre fare in modo che queste persone possano conoscere e abbracciare la verità che Dio ha portato nel mondo per mezzo dell'Incarnazione di suo Figlio, giacché in nessun altro c'è salvezza; "non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possono essere salvati" ( At 4,12 ). Il cammino che porta a tali conversioni sarà spesso il frutto dell'amicizia personale e della testimonianza da parte di cattolici che debbono agire sempre nel pieno rispetto delle coscienze, in modo che l'adesione alla vera fede sia sempre il risultato di un interiore convincimento e mai un mezzo per ottenere vantaggi materiali o per comprare il favore delle persone. Sarebbe opportuno anche prevedere un catecumenato serio e appropriato che tenga conto del cammino spirituale già percorso. d) In un ambiente plurireligioso, il Vescovo si troverà spesso ad essere coinvolto in iniziative interreligiose e ad incontrare altri capi religiosi. Queste iniziative, opportunamente vagliate con la prudenza ed il discernimento, potranno rivelarsi occasioni di fruttuoso incontro e di vicendevole scambio. Per quanto riguarda il campo della preghiera in contemporanea dei credenti di diverse religioni è opportuno valutare volta per volta le modalità dello svolgimento e della partecipazione, evitando accuratamente tutto ciò che possa ingenerare l'impressione di indifferentismo o di sincretismo religioso. 209. Il Vescovo operatore di giustizia e di pace. Il mondo contemporaneo presenta gravi forme di ingiustizia dovute al divario sempre più profondo tra ricchi e poveri, ad un sistema economico ingiusto a causa del quale in tante parti del mondo si soffre la fame ed aumenta il numero degli emarginati, mentre in altre c'è opulenza; alla guerra che minaccia continuamente la pace e la stabilità della comunità internazionale; alla discriminazione tra uomo e uomo e all'avvilimento della dignità della donna, da una parte per la cultura edonista e materialista, dall'altra per la mancanza del riconoscimento dei suoi fondamentali diritti di persona. Davanti a queste sfide il Vescovo è chiamato ad essere profeta di giustizia e di pace, difensore dei diritti inalienabili della persona, predicando la dottrina della Chiesa, in difesa del diritto alla vita, dal concepimento fino alla sua naturale conclusione, e della dignità umana; prenda a cuore la difesa dei deboli, si renda voce di chi non ha voce per far valere il suo diritto. Allo stesso modo il Vescovo deve condannare con vigore tutte le forme di violenza e levare la sua voce a favore di chi è oppresso, perseguitato, umiliato, per chi è disoccupato e per i bambini che sono vessati in gravi modi. Il Vescovo, con la stessa forza d'animo, annuncerà la pace di Cristo, chiamando a costruirla, giorno dopo giorno, i suoi fedeli e tutti gli uomini di buona volontà. Il Vescovo non si stancherà di insegnare che la pace nasce dalla vita di persone che coltivano costanti atteggiamenti di pace, che apprezzano pienamente la dimensione comunitaria della vita, che si aprono a Dio promuovendo la fraternità universale ed una cultura ed una spiritualità di solidarietà e di pace, che invocano costantemente Dio nella preghiera. Il Vescovo sarà profeta e artefice instancabile di pace, mostrando che la speranza cristiana è intimamente connessa con la promozione integrale dell'uomo e della società. Capitolo VIII La Parrocchia, i Vicariati foranei e la visita pastorale "Poiché nella sua Chiesa il Vescovo non può presiedere personalmente sempre e ovunque l'intero suo gregge, deve costituire per ciò delle assemblee di fedeli, tra cui hanno un posto preminente le parrocchie organizzate localmente sotto la guida di un pastore che fa le veci del Vescovo: esse infatti rappresentano la Chiesa visibile stabilita su tutta la terra. Per questo motivo la vita liturgica della parrocchia e il suo legame con il Vescovo devono essere coltivati nell'animo e nell'azione dei fedeli e del clero; e bisogna fare in modo che il senso della comunità parrocchiale fiorisca soprattutto nella celebrazione comunitaria della Messa domenicale" ( Sacrosanctum Concilium, 42 ). I. La Parrocchia 210. La parrocchia, comunità stabile della diocesi. Ogni diocesi deve essere suddivisa in parrocchie, che sono comunità di fedeli costituite in forma stabile ed affidate ad un parroco come proprio pastore. Le parrocchie, in via ordinaria, sono costituite dai fedeli di un determinato territorio. Tuttavia, dove risulti opportuno, possono costituirsi parrocchie personali, cioè per gruppi di persone, ovunque sia ubicato il loro domicilio diocesano, sulla base del rito, della lingua, della nazionalità o di altre precise motivazioni. Se a motivo di difficoltà ( di ordine civile o economico, ecc. ) non è possibile costituire in parrocchia una determinata comunità di fedeli, il Vescovo potrà erigere provvisoriamente una quasi-parrocchia, affidandola ad un sacerdote come suo pastore. Quanto la disciplina canonica dispone circa la parrocchia, si applica anche alla quasi-parrocchia, a meno che le medesime norme stabiliscano diversamente. L'organizzazione diocesana della struttura parrocchiale deve preoccuparsi, tenendo conto della distribuzione della popolazione del territorio, che i fedeli possano essere una vera comunità ecclesiale che si incontra per celebrare l'Eucaristia, che accoglie la Parola di Dio, vive la carità attraverso le opere di misericordia corporale e spirituale ed i pastori possano conoscere personalmente i fedeli e prestar loro una continua assistenza pastorale. In particolare, occorre facilitare ai parroci e ai vicari parrocchiali la realizzazione dei compiti che la disciplina canonica affida loro: la trasmissione della Parola di Dio, la celebrazione della liturgia e l'amministrazione dei sacramenti - specialmente le funzioni dette "parrocchiali" - e la sollecita presenza pastorale accanto ai fedeli, soprattutto i più bisognosi. Il Vescovo provveda all'opportuna regolamentazione dell'attività parrocchiale, particolarmente per le seguenti materie: – il Consiglio pastorale parrocchiale, la cui presenza è auspicabile in ogni parrocchia, a meno che l'esiguità del numero degli abitanti non consigli diversamente. Il Vescovo diocesano, sentito il Consiglio Presbiterale, valuterà la possibilità o meno di renderlo obbligatorio in tutte o nelle parrocchie più numerose; – il Consiglio parrocchiale per gli affari economici, che deve essere costituito in ogni parrocchia, anche se formata da un ristretto numero di fedeli; – i libri parrocchiali; – i diritti e doveri dei vicari parrocchiali; – la cura pastorale della parrocchia in assenza del parroco. 211. Il modello di parrocchia. La parrocchia deve essere caratterizzata soprattutto dall'unione delle persone, in modo da presentarsi come una vera comunità di fede, di grazia e di culto, presieduta dal parroco. In concreto, è opportuno prestare attenzione a una serie di caratteristiche che conformano il modello di parrocchia e ne accrescono l'efficacia pastorale: – Collaborazione presbiterale. Senza rinunciare alla responsabilità che gli compete, il parroco insieme ai vicari parrocchiali e agli altri suoi collaboratori, studi la programmazione e l'esecuzione delle iniziative attinenti alla cura delle anime. È utile che il parroco e i vicari vivano nella casa parrocchiale, o almeno abbiano nella giornata momenti di incontro e di vita comune, per favorire la conoscenza, l'intesa e la comunione tra loro e dare anche testimonianza della fraternità sacerdotale. – Partecipazione dei fedeli ( chierici, consacrati e laici ). Coloro che collaborano alle attività parrocchiali assumano e compiano, in piena responsabilità, gli impegni apostolici conformi alla loro condizione, curando sempre di operare in comunione di intenti con il parroco e in armonia con gli altri responsabili. Il parroco non tralascerà di chiedere il loro parere per le diverse questioni relative alla vita parrocchiale, soprattutto per mezzo del Consiglio pastorale parrocchiale, dove esista, o mediante altre forme di partecipazione alla vita parrocchiale. – Promozione delle aggregazioni parrocchiali, specialmente quelle create dall'autorità della Chiesa per favorire la catechesi e il culto pubblico. – Creazione di centri formativi di diverso tipo, come scuole di catechismo, scuole materne, elementari o di altro grado, sedi per incontri formativi dei giovani, centri di assistenza caritativa e sociale e per l'apostolato familiare, biblioteche, ecc. In breve, una rete organizzata che possa penetrare capillarmente e in maniera diversificata nei vari ambienti e gruppi della popolazione. 212. Il servizio del parroco e i vicari parrocchiali. Il parroco, con l'aiuto dei suoi vicari e degli altri presbiteri aggregati alla parrocchia, fa presente in una determinata comunità della diocesi il molteplice servizio del Vescovo: maestro, sacerdote e pastore. Egli è pastore proprio della comunità parrocchiale ed agisce sotto l'autorità del Vescovo. I rapporti tra i pastori e i fedeli affidati loro debbono riflettere la natura comunitaria della Chiesa. Per questo il Vescovo cerchi di infondere nei chierici, e in particolare nei parroci, un animo paterno che li porti a trattare personalmente con i fedeli. Questo compito può essere difficile se il numero dei fedeli affidati a ciascun pastore risulta eccessivo, cosa che può verificarsi non soltanto nei territori di missione, ma anche in parrocchie di zone urbane cresciute a dismisura. Finché è possibile far fronte alla situazione, il Vescovo saprà suscitare lo zelo dei pastori, mettendoli in guardia di fronte a una visione efficientista o "burocratica" del ministero, e li spingerà a profittare di ogni occasione per avvicinarsi ai fedeli, soprattutto alle famiglie nelle proprie case. Gli stessi atti del ministero pastorale - la comunione degli infermi, la benedizione delle famiglie, la visita agli anziani, ecc. - costituiscono occasioni privilegiate. Considerata l'importanza della funzione del parroco nella cura delle anime, il Vescovo farà uso di una diligenza speciale per la sua scelta. Attraverso opportune indagini sulle esigenze particolari della parrocchia, con l'aiuto del vicario foraneo o zonale, che non mancherà di consultare, si assicuri, in primo luogo, di trovare una persona idonea per sana dottrina e rettitudine, ma anche per zelo apostolico e per altre virtù necessarie al ministero parrocchiale, come la capacità di comunicazione e le doti organizzative e direttive. Vaglierà prudentemente anche l'ambiente umano, le possibilità e i problemi della parrocchia da provvedere, cercando di inviarvi un sacerdote che possa ben integrarsi nel contesto della parrocchia. Il bene delle anime è la norma suprema che deve guidare il Vescovo nella nomina o cessazione dei parroci. Proprio il bene dei fedeli e il sereno esercizio della cura delle anime richiedono la stabilità dei pastori, i quali debbono essere, per principio, nominati a tempo indeterminato, sebbene sia anche possibile la nomina temporanea se ciò è stato approvato dalla Conferenza Epscopale. L'indicazione della temporaneità della nomina deve essere indicata nel decreto di nomina del Parroco. Il Vescovo non potrà nominare un parroco per un tempo inferiore a quello indicato dalla Conferenza Episcopale. Tuttavia, la stabilità non deve essere un ostacolo alla disponibilità dei parroci ad assumere un'altra parrocchia, se lo richiede il bene delle anime. La rinuncia del parroco, anche quella presentata ai 75 anni di età, non dovrà essere automaticamente accettata, ma occorrerà soppesare con attenzione il bene della comunità e le condizioni del parroco rinunciante. Secondo i casi, il Vescovo può affidare una parrocchia più piccola e meno impegnativa ad un parroco che ha rinunciato. Se, esistendo oggettive e documentate motivazioni di salute e relativa incapacità, il parroco si rifiuta di presentare la rinuncia nel tempo stabilito, il Vescovo cercherà con insistenza di fargli comprendere la necessità di sottostare al giudizio dei Pastori della Chiesa. L'invito a rinunciare ai 75 anni di età potrà diventare un imperativo, se il bene della comunità lo esige e non concorrano altre cause di cessazione. La rimozione o il trasferimento forzati del parroco sono possibili soltanto per gravi motivazioni e secondo il procedimento stabilito dalla disciplina canonica. 213. L'organizzazione parrocchiale nelle grandi città. La grande città è un agglomerato estremamente complesso, caratterizzato da una notevole mobilità dei suoi abitanti e da marcate differenze tra le sue distinte zone. È solitamente suddivisa in quartieri molto differenziati: per esempio, il centro storico, con monumenti, musei e negozi; le zone residenziali, abitate da famiglie abbienti; la periferia o i sobborghi, in continua, rapida espansione, dove si rifugiano poveri ed emigrati, che spesso occupano dei veri e propri tuguri; le zone industriali, abitate da moltitudini di operai; i quartieri-dormitorio, popolati da grandi edifici multifamiliari, ecc. Dal punto di vista ecclesiastico, lo sviluppo accelerato dell'area urbana può provocare uno squilibrio tra le sue diverse zone, cosicché alcune possono contare su di un numero sufficiente, a volte sovrabbondante, di luoghi di culto e di case religiose, mentre in altre zone sono insufficienti o mancano del tutto. Le parrocchie della grande città hanno la peculiarità che molte realtà sociali esistenti nei loro confini ( uffici, scuole, fabbriche, ecc. ) ospitano o danno lavoro a fedeli che, per motivi di domicilio, non appartengono alla parrocchia. Perciò, dopo un attento esame della situazione nei suoi aspetti, il Vescovo si preoccupi perché: a) sia equa ed efficiente la distribuzione dei ministri sacri in tutte le zone della città. Nella scelta dei chierici, occorre considerare le attitudini personali in rapporto alla sensibilità degli abitanti della zona e alla specificità del ministero che sono chiamati ad esercitare; b) le parrocchie, chiese e oratori, case religiose e altri centri di evangelizzazione e di culto siano organizzate con criteri appropriati, per quanto riguarda la distribuzione geografica e le dimensioni territoriali; c) esista uno stretto coordinamento dei responsabili delle parrocchie con i chierici e i religiosi che esercitano un incarico pastorale di portata interparrocchiale o diocesana; d) per il bene dei fedeli, le parrocchie poco popolate della zona urbana offrano i propri servizi spirituali e svolgano un'attività pastorale anche nei confronti delle persone che lavorano nella zona. 214. Pianificazione dell'erezione di parrocchie. Il Vescovo diocesano dovrà preoccuparsi di organizzare le strutture pastorali in modo che si adattino all'esigenza della cura delle anime, in una visione globale e organica che offra la possibilità di una penetrazione capillare. Quando lo consigli il bene dei fedeli, dopo aver ascoltato il Consiglio Presbiterale, dovrà procedere alla modificazione dei limiti territoriali, alla divisione delle parrocchie troppo grandi o alla fusione di quelle piccole, alla erezione di nuove parrocchie o di centri per l'assistenza pastorale di comunità non territoriali, e anche ad un nuovo riassetto globale delle parrocchie di una stessa città. Per lo studio di tutte le questioni attinenti all'erezione di parrocchie e alla costruzione di chiese, si potrà costituire un ufficio o una commissione, che operi in collaborazione con le altre commissioni interessate della diocesi. Conviene che questo ufficio o commissione sia integrato da chierici e altri fedeli, scelti per la competenza professionale. Considerando lo sviluppo demografico della diocesi e anche i piani edilizi e di industrializzazione programmati dall'autorità civile, il Vescovo farà in modo di prevedere opportunamente le aree di ubicazione delle future chiese e di assicurarsi per tempo gli spazi necessari e gli strumenti giuridici per l'erezione di parrocchie, affinché non avvenga che, per trascuratezza, si trovi poi senza spazi disponibili o gli abitanti della zona si allontanino dalla pratica religiosa, non potendo contare su mezzi adeguati. In questi casi, è meglio destinare quanto prima i ministri all'assistenza dei fedeli, senza attendere la fine dei lavori. Quando sia gli Istituti religiosi e le Società di vita apostolica sia istituzioni o altre persone vogliono edificare una chiesa nel territorio della diocesi, devono ottenere il permesso scritto del Vescovo. Per prendere la decisione, il Vescovo ascolterà il Consiglio Presbiterale e i parroci delle chiese vicine, e dovrà valutare se la nuova chiesa costituirà un bene per le anime e se i promotori dispongono di ministri e di mezzi sufficienti per la costruzione e il culto. 215. Adattamento dell'assistenza parrocchiale a particolari necessità. Per far fronte a talune necessità pastorali, il Vescovo può ricorrere alle seguenti soluzioni: a) In alcuni casi può risultare utile affidare un insieme di parrocchie a vari sacerdoti, i quali le amministrino in solido e di cui uno sia il "moderatore". b) Si va diffondendo il ricorso alle cosiddette "unità pastorali" con le quali si intendono promuovere forme di collaborazione organica tra parrocchie limitrofe, come espressione della pastorale d'insieme. Quando il Vescovo ritiene opportuno la costituzione di tali strutture, conviene che si attenga ai seguenti criteri: che le aree territoriali siano delimitate in modo omogeneo, anche dal punto di vista sociologico; che le parrocchie coinvolte realizzino una reale pastorale d'insieme; che si garantiscano efficacemente i servizi pastorali alle singole comunità presenti sul territorio. La diversa organizzazione del servizio pastorale non deve far dimenticare che ogni comunità, anche piccola, ha diritto ad un autentico ed efficace servizio pastorale. c) Alcuni Vescovi, a motivo della scarsità di clero, hanno provveduto ad istituire le cosiddette "équipes pastorales", composte da un sacerdote e da alcuni fedeli – diaconi, religiosi e laici –, che sono incaricati di svolgere le attività pastorali in più parrocchie riunite in una, anche se non formalmente. In qualche caso l'esercizio della cura pastorale di una parrocchia è stato partecipato a uno o più diaconi o ad altri fedeli, con un sacerdote che li diriga pur mantenendo altri uffici ecclesiastici. In tali casi, bisogna che risulti di fatto e in concreto, e non solo giuridicamente, che è il sacerdote ad avere la guida della parrocchia ed a rispondere al Vescovo della sua conduzione. Il diacono, i religiosi, i laici aiutano il sacerdote collaborando con lui. Ovviamente, solo ai ministri sacri sono riservate le funzioni che richiedono il sacramento dell'Ordine. Il Vescovo istruisca i fedeli che si tratta di una situazione di supplenza per mancanza di un sacerdote che possa essere nominato parroco, e sia sollecito a porre fine a tale situazione appena gli sarà possibile. d) Quando una comunità ben definita non può costituirsi in parrocchia o quasi-parrocchia, il Vescovo diocesano provveda altrimenti alla sua assistenza pastorale: in alcune circostanze, come l'aumentato afflusso di immigrati in un quartiere della città o la notevole dispersione di determinate comunità, il Vescovo può provvedere tramite l'erezione di un centro pastorale: un luogo, cioè, dove si celebrano le funzioni sacre, si impartisce la catechesi e si realizzano altre attività ( di carità, culturali, di assistenza, ecc. ) a beneficio dei fedeli. Per garantire la dignità del culto, converrà dotare il centro pastorale di una chiesa, semplice e idonea, o di un oratorio. Il centro pastorale può essere affidato ad un vicario parrocchiale e dipende, a tutti gli effetti, dal parroco del luogo. Per l'amministrazione del centro e per la sua attività quotidiana, venga richiesta la collaborazione di religiosi o laici, i quali eserciteranno le funzioni conformi alla propria condizione. e) Una modalità pratica di suddivisione della parrocchia in alcune regioni è la costituzione di "comunità ecclesiali di base" o gruppi di cristiani che si radunano per aiutarsi nella vita spirituale e nella formazione cristiana e per condividere problemi umani ed ecclesiali rispetto a un comune impegno; tali comunità hanno dato prova di efficacia evangelizzatrice, soprattutto in parrocchie di ambienti popolari e rurali. Occorre però evitare ogni tentazione di isolamento dalla comunione ecclesiale o di strumentalizzazione ideologica. 216. Contributo economico dei fedeli. Appellandosi allo spirito di fede del Popolo di Dio, il Vescovo solleciti la generosità dei fedeli perché contribuiscano economicamente alle necessità della Chiesa e al sostentamento del clero, nonché all'edificazione di nuove parrocchie e di altri luoghi di culto. A tal fine, potrà stabilire che in tutte le chiese e negli oratori aperti ai fedeli, anche quelli appartenenti a Istituti religiosi e a Società di vita apostolica, si realizzi una colletta speciale in favore di queste iniziative diocesane, sotto forma di speciali "giornate" o in altro modo. Con lo stesso scopo, è anche possibile l'imposizione di tributi ordinari o straordinari. Per una sana propaganda tra i fedeli e per la raccolta delle offerte, laddove la Conferenza Episcopale non abbia diversamente provveduto, potrà essere utilmente costituita una speciale associazione o fondazione canonica retta da fedeli laici. In questo campo, il Vescovo cerchi di evitare attentamente che gli aspetti finanziari prevalgano su quelli pastorali, giacché agli occhi di tutti deve risplendere lo spirito di fede e di distacco dai beni materiali, che è proprio della Chiesa. II. Le Foranie 217. I Vicariati foranei o Decanati o Arcipreture e simili. Per facilitare l'assistenza pastorale tramite un'attività comune, varie parrocchie limitrofe possono essere riunite in gruppi peculiari, quali sono i vicariati foranei detti anche decanati o arcipreture o anche zone pastorali o Prefetture. In modo analogo si potrà procedere in relazione ad altri uffici con cura di anime, come per esempio i cappellani di ospedali e scuole, cosicché ne derivi un opportuno sviluppo di ciascun settore pastorale. Per rendere possibile l'attuazione del loro fine pastorale, nella erezione dei vicariati foranei o simili occorre che il Vescovo consideri alcuni criteri quali: l'omogeneità dell'indole e le consuetudini della popolazione, le caratteristiche comuni del settore geografico ( per esempio, un quartiere urbano, un bacino minerario, una circoscrizione ), la prossimità geografica e storica delle parrocchie, la facilità di incontri periodici per i chierici e altro, senza escludere gli usi tradizionali. È opportuno dotare i vicariati foranei di uno statuto comune, che il Vescovo approverà dopo aver ascoltato il Consiglio Presbiterale, e nel quale si stabilisca, fra l'altro: – la composizione di ogni vicariato foraneo; – la denominazione dell'ufficio di presidenza, secondo le tradizioni del luogo ( Arciprete, Decano, Vicario foraneo ), le sue facoltà, la forma di designazione, la durata dell'incarico, ecc.; – le riunioni a livello di forania: dei parroci e vicari parrocchiali, dei responsabili dei vari settori pastorali, ecc.; – se non si fosse provveduto in altra sede, gli statuti possono determinare anche che alcuni vicari foranei siano, in base al proprio ufficio, membri dei Consigli diocesani presbiterale e pastorale. Dove risulti conveniente, potranno costituirsi servizi pastorali comuni per le parrocchie della forania, animati da gruppi di presbiteri, religiosi e laici. 218. La missione del Vicario foraneo, dell'Arciprete o Decano e simili. L'ufficio di Vicario foraneo riveste una notevole importanza pastorale, in quanto collaboratore stretto del Vescovo nella cura pastorale dei fedeli e sollecito "fratello maggiore" dei sacerdoti della forania, soprattutto se sono malati, o in situazioni difficili. A lui spetta coordinare l'attività pastorale che le parrocchie realizzano in comune, vigilare affinché i sacerdoti vivano conformemente al loro stato e perché venga osservata la disciplina parrocchiale, soprattutto liturgica. Converrà perciò che il Vescovo tenga incontri periodici con i Vicari foranei, per trattare i problemi della diocesi e per essere debitamente informato della situazione delle parrocchie. Il Vescovo, altresì, consulterà il Vicario foraneo per la nomina dei parroci. Se il diritto particolare o la legittima consuetudine non prevedono altrimenti - per esempio, stabilendo un sistema elettivo o misto, oppure assegnando la carica ai titolari di alcune parrocchie principali - il Vescovo sceglie personalmente i Vicari foranei, considerando però le preferenze dei sacerdoti della forania. Egli può rimuovere qualunque Vicario foraneo quando, secondo il suo prudente giudizio, vi sia una giusta causa. Il Vicario foraneo deve avere le seguenti caratteristiche: – essere un sacerdote che risiede nella forania e sia possibilmente in cura d'anime; – essersi guadagnato la stima del clero e dei fedeli per la sua prudenza e dottrina, pietà e zelo apostolico; – meritare la fiducia del Vescovo, il quale così possa, quando sia necessario, delegargli delle facoltà; – avere sufficienti doti di direzione e di lavoro in équipe. 219. Le zone pastorali e simili. I medesimi criteri che portano alla costituzione di foranie possono suggerire, in diocesi di una certa estensione, la costituzione di raggruppamenti vari, sotto il nome di zona pastorale o altro. Alla guida di ciascuna zona potranno porsi Vicari episcopali, i quali abbiano potestà ordinaria per l'amministrazione pastorale della zona in nome del Vescovo, oltre a speciali facoltà che questi decida di affidare loro. III. La Visita Pastorale 220. Natura della visita pastorale. "Il Vescovo ha l'obbligo di visitare la diocesi ogni anno interamente o parzialmente, in modo che almeno ogni cinque anni visiti tutta la diocesi, di persona o, se ne è legittimamente impedito, per mezzo del Vescovo Coadiutore, o dell'Ausiliare, o del Vicario Generale o episcopale, o di un altro presbitero". La visita pastorale è una delle forme, collaudate dall'esperienza dei secoli, con cui il Vescovo mantiene contatti personali con il clero e con gli altri membri del Popolo di Dio. È occasione per ravvivare le energie degli operai evangelici, lodarli, incoraggiarli e consolarli, è anche l'occasione per richiamare tutti i fedeli al rinnovamento della propria vita cristiana e ad un'azione apostolica più intensa. La visita gli consente inoltre di valutare l'efficienza delle strutture e degli strumenti destinati al servizio pastorale, rendendosi conto delle circostanze e difficoltà del lavoro di evangelizzazione, per poter determinare meglio le priorità e i mezzi della pastorale organica. La visita pastorale è pertanto un'azione apostolica che il Vescovo deve compiere animato da carità pastorale che lo manifesta concretamente quale principio e fondamento visibile dell'unità nella Chiesa particolare. Per le comunità e le istituzioni che la ricevono, la visita è un evento di grazia che riflette in qualche misura quella specialissima visita con la quale il "supremo pastore" ( 1 Pt 5,4 ) e guardiano delle nostre anime ( cf. 1 Pt 2,25 ), Gesù Cristo, ha visitato e redento il suo popolo ( cf. Lc 1,68 ). Alla visita pastorale sono soggetti "le persone, istituzioni cattoliche, cose e luoghi sacri che si trovino entro l'ambito della diocesi", compresi i monasteri autonomi e le case degli Istituti religiosi di diritto diocesano e tenute presenti le limitazioni di esercizio poste dalla norma canonica per quanto attiene alle chiese ed oratori di quelli di diritto pontificio. 221. Modo di effettuare la visita pastorale alle parrocchie. Nella visita alle parrocchie, il Vescovo cerchi di realizzare, secondo le possibilità di tempo e di luogo, i seguenti atti: a) celebrare la Messa e predicare la Parola di Dio; b) conferire solennemente il sacramento della Confermazione, possibilmente durante la Messa; c) incontrare il parroco e gli altri chierici che aiutano nella parrocchia; d) riunirsi con il Consiglio pastorale o, se non esiste, con i fedeli ( chierici, religiosi e membri delle Società di vita apostolica e laici ) che collaborano nei diversi apostolati e con le associazioni di fedeli; e) incontrarsi con il Consiglio per gli affari economici; f) avere un incontro con i bambini, i ragazzi e i giovani che percorrono l'itinerario catechistico; g) visitare le scuole e altre opere e istituzioni cattoliche dipendenti dalla parrocchia; h) visitare, nei limiti del possibile, alcuni malati della parrocchia. Il Vescovo potrà anche decidere altri modi di farsi presente tra i fedeli, considerando gli usi del posto e l'opportunità apostolica: con i giovani, per esempio in occasione di iniziative culturali e sportive; con gli operai, per stare in loro compagnia, dialogare, ecc. Nella visita non si deve tralasciare, infine, l'esame della amministrazione e conservazione della parrocchia: luoghi sacri e ornamenti liturgici, libri parrocchiali e altri beni. Tuttavia, alcuni aspetti di questo compito potranno essere lasciati ai vicari foranei o ad altri chierici idonei, nei giorni precedenti o successivi alla visita, cosicché il Vescovo possa dedicare il tempo della visita soprattutto agli incontri personali, come compete al suo ufficio di Pastore. 222. Preparazione della visita pastorale. La visita pastorale, programmata con il dovuto anticipo, richiede un'adeguata preparazione dei fedeli, mediante speciali cicli di conferenze e prediche su temi relativi alla natura della Chiesa, alla comunione gerarchica e all'episcopato, ecc. Si potranno anche pubblicare opuscoli e utilizzare altri mezzi di comunicazione sociale. Per mettere in risalto l'aspetto spirituale e apostolico, la visita può essere preceduta da un corso di missioni popolari, che raggiunga tutte le categorie sociali e tutte le persone, anche quelle lontane dalla pratica religiosa. Il Vescovo deve anche prepararsi in modo adeguato ad effettuare la visita, informandosi in precedenza sulla situazione socio-religiosa della parrocchia: tali dati potranno rivelarsi utili a lui e agli uffici diocesani interessati, per avere un quadro reale dello stato delle comunità e adottare gli opportuni provvedimenti. 223. Atteggiamento del Vescovo durante la visita. Durante la visita, come in ogni esercizio del suo ministero, il Vescovo si comporti con semplicità e amabilità, e dia esempio di pietà, carità e povertà: tutte virtù che, insieme alla prudenza, distinguono il Pastore della Chiesa. Il Vescovo stimi la visita pastorale come quasi anima episcopalis regiminis, un'espansione della sua presenza spirituale tra i suoi fedeli. Avendo come modello Gesù, il buon Pastore, egli si presenti ai fedeli non "con ostentazione di eloquenza" ( 1 Cor 2,1 ), né con dimostrazioni di efficientismo, bensì rivestito di umiltà, bontà, interesse per le persone, capace di ascoltare e di farsi comprendere. Durante la visita, il Vescovo deve preoccuparsi di non gravare sulla parrocchia o sui parrocchiani con spese superflue. Ciò non impedisce, tuttavia, le semplici manifestazioni festive, che sono la naturale conseguenza della gioia cristiana ed espressione di affetto e venerazione per il Pastore. 224. Conclusione della visita. Conclusa la visita pastorale alle parrocchie, è opportuno che il Vescovo rediga un documento che testimoni la avvenuta visita per ciascuna parrocchia, dove ricordi la visita svolta, apprezzi gli impegni pastorali e stabilisca quei punti per un cammino più impegnato della comunità, senza tralasciare di far presente lo stato dell'edilizia di culto, delle opere pastorali e di altre eventuali istituzioni pastorali. Capitolo IX Il Vescovo emerito "È giunto il momento di sciogliere le vele. Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede. Ora mi resta solo la corona di giustizia che il Signore, giusto giudice, mi consegnerà in quel giorno; e non solo a me, ma anche a tutti coloro che attendono con amore la sua manifestazione" ( 2 Tm 4,7-8 ). 225. Invito a presentare la rinuncia all'ufficio. Il Vescovo diocesano, il Vescovo Coadiutore ed il Vescovo Ausiliare al compiere i 75 anni di età sono invitati a presentare la rinuncia all'ufficio al Sommo Pontefice, il quale provvederà ad accettare tali dimissioni dopo aver valutato tutte le circostanze. In caso di infermità o di altra grave causa che possa pregiudicare lo svolgimento del ministero episcopale, il Vescovo, in quanto vivamente invitato dal diritto a farlo, si senta in dovere di presentare la rinuncia al Romano Pontefice. Dal momento in cui viene pubblicata l'accettazione della rinuncia da parte del Romano Pontefice, il Vescovo diocesano assume, ipso iure, il titolo di Vescovo emerito della diocesi; mentre il Vescovo Ausiliare conserva il titolo della sua sede titolare aggiungendo l'appellativo di "già Vescovo Ausiliare" della diocesi. 226. Relazione fraterna con il Vescovo diocesano. I rapporti tra il Vescovo diocesano ed il Vescovo emerito devono essere improntati a quella fraternità che nasce dall'appartenenza al medesimo Collegio episcopale e alla condivisione della comune missione apostolica, nonché dallo stesso affetto per la Chiesa particolare. La fraternità tra il Vescovo diocesano e quello emerito sarà di edificazione per il Popolo di Dio e particolarmente per il Presbiterio diocesano. Il Vescovo diocesano, se il Vescovo emerito risiede nella diocesi, potrà ricorrere a lui per l'amministrazione dei sacramenti, specialmente quelli della confessione e della confermazione e, se lo riterrà opportuno, potrà affidare al Vescovo emerito qualche altro compito particolare. Il Vescovo diocesano apprezzerà il bene che il Vescovo emerito compie nella Chiesa in genere, ed in particolare nella diocesi, con la preghiera, a volte con la sofferenza accettata per amore, con l'esempio della vita sacerdotale e con il consiglio, quando viene richiesto. A sua volta il Vescovo emerito avrà cura di non interferire in nulla né direttamente né indirettamente nella guida della diocesi ed eviterà ogni atteggiamento ed ogni rapporto che potrebbe dare anche solo l'impressione di costituire quasi una autorità parallela a quella del Vescovo diocesano, con conseguente pregiudizio per la vita e l'unità pastorale della comunità diocesana. A questo fine il Vescovo emerito svolgerà la sua attività sempre in pieno accordo ed in dipendenza dal Vescovo diocesano, in modo che tutti comprendano chiaramente che solo quest'ultimo è il capo e il primo responsabile del governo della diocesi. 227. Diritti del Vescovo emerito in relazione ai "munera" episcopali. a) Il Vescovo emerito conserva il diritto di predicare dovunque la Parola di Dio, a meno che il Vescovo diocesano non lo abbia negato espressamente a motivo di particolari situazioni. b) Conserva anche il diritto di amministrare tutti i sacramenti, in particolare: 1. la Cresima, con la licenza almeno presunta del Vescovo diocesano; 2. la Confessione, di cui mantiene la facoltà di riceverla ovunque. Nel foro sacramentale può rimettere le pene latae sententiae non dichiarate e non riservate alla Sede Apostolica; 3. l'Ordine del Diaconato e del Presbiterato, con le lettere dimissorie dell'Ordinario del candidato, e la consacrazione episcopale con il mandato Pontificio; 4. assiste validamente al Matrimonio con la delega dell'Ordinario del luogo o del parroco. 228. Diritti del Vescovo emerito in relazione alla Chiesa particolare. a) Il Vescovo emerito, se lo desidera, può continuare ad abitare entro i confini della diocesi di cui fu Vescovo. Se non ha provveduto personalmente, la diocesi deve assicurargli un alloggio conveniente. La Santa Sede, per particolari circostanze, può disporre che il Vescovo emerito non risieda nel territorio della diocesi. Il Vescovo emerito gode della facoltà di avere nella propria abitazione la Cappella privata con i medesimi diritti dell'oratorio e di conservarvi l'Eucaristia. Il Vescovo religioso, se egli così preferisce, può scegliersi un'abitazione fuori dalle case dell'Istituto, a meno che la Sede Apostolica non abbia disposto altrimenti. b) Il Vescovo emerito ha il diritto di ricevere il sostentamento dalla diocesi in cui ha prestato il servizio episcopale. Tale dovere incombe, secondariamente alla Conferenza Episcopale e, nel caso del Vescovo religioso, l'Istituto proprio può provvedere liberamente al suo onesto sostentamento. c) Il Vescovo emerito ha il diritto di ricevere dalla diocesi il bollettino diocesano e altra documentazione del genere, per poter essere informato della vita e delle iniziative della Chiesa particolare. d) Il Vescovo emerito ha il diritto di essere sepolto nella propria chiesa Cattedrale e, se è religioso, eventualmente nel cimitero del suo Istituto. 229. Diritti del Vescovo emerito in relazione alla Chiesa universale. a) Il Vescovo emerito continua ad essere membro del Collegio episcopale "in virtù della consacrazione episcopale e mediante la comunione gerarchica con il Capo e con i membri del Collegio". Ha quindi diritto di assistere il Romano Pontefice e di collaborare con lui per il bene di tutta la Chiesa. Inoltre, ha il diritto di intervenire al Concilio Ecumenico, con voto deliberativo, e di esercitare la potestà collegiale entro i termini di legge. b) Il Vescovo emerito può essere eletto dalla Conferenza Episcopale per partecipare all'Assemblea del Sinodo dei Vescovi in qualità di rappresentante eletto dalla medesima Conferenza. c) In forza delle proprie competenze, il Vescovo emerito può essere nominato membro ( fino agli 80 anni ) e consultore dei Dicasteri della Curia Romana. d) Il Vescovo emerito conserva il diritto di presentare alla Sede Apostolica i nomi dei presbiteri giudicati degni ed idonei per l'episcopato. e) In materia penale, colui che usa violenza fisica alla persona del Vescovo emerito incorre nell'interdetto latae sententiae o se chierico, nella sospensione. In caso di giudizio contenzioso, il Vescovo emerito ha il diritto di essere giudicato dal Tribunale Apostolico della Rota Romana, mentre nelle cause penali dal Romano Pontefice. Egli, inoltre, ha il diritto di scegliere il luogo dove essere interrogato in giudizio. f) Il Vescovo emerito ha il diritto di esercitare la sollecitudine verso tutte le Chiese, attraverso una particolare sollecitudine per l'opera missionaria, sostenendo attraverso il suo ministero, le iniziative missionarie in modo che il Regno di Dio si estenda su tutta la terra. 230. Il Vescovo emerito e gli organi sovradiocesani. a) Il Vescovo emerito può essere invitato al Concilio particolare. In tal caso egli ha voto deliberativo. b) è opportuno che il Vescovo emerito sia invitato all'Assemblea della Conferenza Episcopale con voto consultivo, a norma degli Statuti. Al riguardo è auspicabile che gli Statuti delle Conferenze Episcopali ne prevedano tale partecipazione con voto consultivo. c) Si raccomanda alle Conferenze Episcopali di utilizzare per lo studio delle varie questioni di carattere pastorale e giuridico la competenza e l'esperienza dei Vescovi emeriti, ancora in buona salute e disponibili a dare la loro opera. Fra l'altro i Vescovi emeriti hanno normalmente più tempo per approfondire i singoli problemi. Le Presidenze delle Conferenze Episcopali sono autorizzate ad aggiungere ad ognuna delle Commissioni Episcopali un Vescovo emerito, che abbia particolare esperienza nel relativo settore pastorale e sia disponibile ad assumere l'incarico che gli viene proposto. Il Vescovo emerito nella Commissione Episcopale a cui sia chiamato ha voto deliberativo. Conclusione 231. L'ufficio pastorale del Vescovo, cioè l'abituale e quotidiana cura del gregge, di cui questo Direttorio ha trattato sia pure in forma sommaria, è senza dubbio una cosa ardua, specialmente oggi. Il Vescovo con umile saggezza riconosca la pochezza delle sue capacità, ma non si perda affatto d'animo. Egli sa in Chi ha creduto ( cf. 2 Tm 1,12 ); è certo che si tratta della causa stessa di Dio, "il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità" ( 1 Tm 2,4 ); ha fiducia di poter tutto in Colui che gli dà la forza ( cf. Fil 4,13 ); e pertanto, è sostenuto dall'incrollabile speranza che la sua fatica, qualunque essa sia, non è vana nel Signore ( cf. 1 Cor 15,58 ). Il Signore Gesù assiste sempre la sua Chiesa e i suoi ministri, specialmente i Vescovi, ai quali ne ha affidato il governo: con l'ufficio Egli dona la grazia, assieme all'onere Egli elargisce le forze. La Madre della Chiesa, la sempre Vergine Maria, aiuto dei Vescovi, protegga e soccorra i Pastori della Chiesa nella loro missione apostolica. Il Sommo Pontefice Giovanni Paolo II, nel corso dell'udienza concessa al sottoscritto Cardinale Prefetto il 24 gennaio 2004, ha approvato il presente Direttorio e ne ha ordinato la pubblicazione. Roma, dalla sede della Congregazione per i Vescovi, il 22 febbraio 2004, festa della Cattedra di S. Pietro. Giovanni Battista Card. Re Prefetto Francesco Monterisi Segretario Appendice La sede vacante della diocesi 232. Le cause della vacanza della diocesi. La sede episcopale diviene vacante per la morte del Vescovo diocesano, o per la rinuncia accettata dal Romano Pontefice, o per il trasferimento o per la privazione intimata al Vescovo. In caso di morte del Vescovo diocesano, la vacanza della sede si produce "ipso facto". Chi assume interinalmente il governo della diocesi deve informare quanto prima la Santa Sede. Gli atti posti dal Vicario Generale o dal Vicario episcopale sono validi fino al momento in cui i medesimi ricevono notizia certa del decesso del Vescovo. In caso di privazione in via penale, la sede diviene vacante dal momento in cui il Vescovo riceve l'intimazione della pena. In caso di rinunzia, la sede diviene vacante dal momento della pubblicazione dell'accettazione di essa da parte del Romano Pontefice. 233. Il trasferimento del Vescovo diocesano. In caso di trasferimento del Vescovo diocesano, la sede diviene vacante nel giorno in cui il Vescovo trasferito prende possesso della nuova diocesi. Dal momento della pubblicazione del trasferimento del Vescovo fino alla presa di possesso della nuova diocesi, il Vescovo ha nella diocesi "a qua" la potestà di Amministratore diocesano, con i relativi obblighi. Le facoltà del Vicario Generale e dei Vicari episcopali, nonostante la diocesi non sia ancora vacante finché il Vescovo trasferito non abbia preso possesso della diocesi "ad quam", cessano con la pubblicazione del trasferimento del Vescovo, ma questi come Amministratore diocesano può confermare le loro facoltà. 234. Il Vescovo Coadiutore ed il Vescovo Ausiliare nella sede vacante. Non appena si verifica la vacanza della sede episcopale, il Vescovo Coadiutore diviene immediatamente Vescovo diocesano della diocesi per cui fu costituito, purché ne abbia preso legittimamente possesso. Il Vescovo Ausiliare, anche quello con speciale facoltà, se non è stato stabilito diversamente dalla Santa Sede, mantiene le stesse facoltà che aveva durante la sede plena come Vicario Generale o come Vicario episcopale. Se non venisse eletto Amministratore diocesano, continua ad esercitare gli stessi uffici in forza del diritto, sotto l'autorità di colui che presiede al governo della diocesi. È desiderabile che all'ufficio di Amministratore diocesano sia eletto il Vescovo Ausiliare, o se questi sono più di uno, uno di essi. 235. Il Governo della diocesi ed il Collegio dei Consultori. Dal momento in cui si verifica la vacanza della sede episcopale, il governo della diocesi è affidato al Vescovo Ausiliare, e se ve ne sono più di uno, al più anziano di essi per nomina, fino all'elezione dell'Amministratore diocesano o alla nomina dell'Amministratore Apostolico. Se non vi è un Vescovo Ausiliare, il governo della diocesi viene assunto dal Collegio dei consultori, fino all'elezione dell'Amministratore diocesano, a meno che la Santa Sede non abbia provveduto con la nomina di un Amministratore Apostolico. Chi assume il governo della diocesi prima dell'elezione dell'Amministratore diocesano, ha le facoltà che spettano al Vicario Generale. Nei paesi in cui la Conferenza Episcopale ha stabilito di affidare al Capitolo cattedrale i compiti del Collegio dei consultori, il governo della diocesi passa al medesimo Capitolo che procederà all'elezione dell'Amministratore diocesano. 236. L'elezione dell'Amministratore diocesano. Il Collegio dei consultori, entro otto giorni dalla notizia certa della vacanza della sede episcopale, deve eleggere l'Amministratore diocesano. Esso è convocato da chi ha assunto il governo della diocesi o dal sacerdote del Collegio più anziano per ordinazione, che lo presiede fino all'elezione dell'Amministratore diocesano. Qualora il Collegio dei consultori non elegga entro il tempo stabilito l'Amministratore diocesano, la sua nomina spetta al Metropolita. Se anche la sede metropolitana è vacante, il Vescovo suffraganeo più anziano per promozione nomina l'Amministratore diocesano. Colui che viene eletto Amministratore diocesano deve informare quanto prima la Santa Sede della sua elezione. 237. Condizioni necessarie per la valida elezione dell'Amministratore diocesano. Il Collegio dei consultori deve essere formato da soli sacerdoti, in numero non minore di 6 e non maggiore di 12, pena la nullità dell'elezione dell'Amministratore diocesano. Si deve eleggere un solo Amministratore diocesano. L'elezione simultanea di due o più persone è invalida per tutti coloro che venissero eletti. La consuetudine contraria a questa prescrizione non ha valore ed è riprovata. Se alla guida della diocesi venisse eletto l'Economo diocesano, il Consiglio per gli Affari economici deve eleggerne temporaneamente un altro. Con la presa di possesso del nuovo Vescovo l'Amministratore diocesano riprende il precedente ufficio di Economo della diocesi. 238. La procedura da seguire per l'elezione dell'Amministratore diocesano. Per la validità dell'elezione dell'Amministratore diocesano si deve necessariamente seguire la procedura prevista dai canoni 165-178. Considerata l'importanza primaria dell'elezione, la legge particolare non può modificare tale normativa. Gli statuti possono specificare se il voto possa essere dato per lettera, per procuratore o per compromesso. Si richiede la maggioranza qualificata di due terzi dei votanti e si applica la prescrizione del can. 119 in caso di scrutini inefficaci. 239. Requisiti richiesti. Può essere validamente eletto all'ufficio di Amministratore diocesano un sacerdote del presbiterio locale o anche di un'altra diocesi, che abbia compiuto almeno 35 anni di età, oppure lo stesso Vescovo emerito o un altro Vescovo. Non deve essere stato già eletto, nominato o presentato per la stessa sede vacante. Deve distinguersi per dottrina e prudenza. 240. Facoltà dell'Amministratore diocesano. L'Amministratore diocesano assume la potestà ordinaria e propria sulla diocesi dal momento dell'accettazione della sua elezione. Da tale potestà è escluso tutto ciò che non gli compete per la natura delle cose o per disposizione del diritto. Può confermare o istituire i presbiteri che siano stati legittimamente eletti o presentati per una parrocchia. Solo dopo un anno dalla vacanza della sede può nominare i parroci, ma non può affidare parrocchie ad un Istituto religioso o a una Società di vita apostolica. L'amministratore diocesano può amministrare la Cresima e può concedere ad un altro presbitero la facoltà di amministrarla. L'amministratore diocesano può rimuovere, per giusta causa, i vicari parrocchiali, salvaguardando però quanto il diritto prevede nel caso specifico in cui si tratti di religiosi. Per il periodo in cui regge la diocesi, l'Amministratore diocesano è membro della Conferenza Episcopale, con voto deliberativo, ad eccezione delle dichiarazioni dottrinali, qualora non fosse Vescovo. 241. Doveri dell'Amministratore diocesano. Non appena eletto, l'Amministratore deve emettere la Professione di fede a norma del can. 833, 4° dinanzi al Collegio dei consultori. Dal momento in cui ha assunto la guida della diocesi, l'Amministratore è tenuto a tutti gli obblighi del Vescovo diocesano, in particolare deve osservare la legge della residenza in diocesi e deve applicare ogni domenica e nei giorni di precetto la Messa per il popolo. 242. Limiti alla potestà dell'Amministratore diocesano. Durante la vacanza della sede, l'Amministratore diocesano deve attenersi all'antico principio di non procedere ad alcuna innovazione. Ugualmente non deve compiere alcun atto che possa arrecare pregiudizio alla diocesi o ai diritti del Vescovo; in modo speciale deve custodire con particolare diligenza tutti i documenti della Curia diocesana senza modificarne, distruggerne o sottrarne alcuno. Con la stessa diligenza vigili affinché nessun altro possa manomettere gli archivi della Curia. Soltanto lui, in caso di vera necessità, può accedere all'Archivio segreto della Curia. Con il consenso del Collegio dei consultori, può concedere le lettere dimissorie per l'ordinazione dei diaconi e dei presbiteri, se queste non furono negate dal Vescovo diocesano. Non può concedere l'escardinazione e l'incardinazione e nemmeno concedere la licenza ad un chierico di trasferirsi in un'altra Chiesa particolare, a meno che non sia trascorso un anno dalla vacanza della sede e abbia il consenso del Collegio dei consultori. L'Amministratore diocesano non è competente ad erigere Associazioni pubbliche di fedeli. Non può rimuovere il Vicario giudiziale. Non può convocare il Sinodo diocesano. Non gli è consentito di convocare altre iniziative similari, particolarmente quelle che potrebbero compromettere i diritti del Vescovo diocesano. Non può rimuovere dall'ufficio il Cancelliere o gli altri notai, se non con il consenso dei Consultori . Non può conferire i canonicati sia nel Capitolo cattedrale sia in quello collegiale. 243. Cessazione dell'ufficio. L'Amministratore diocesano cessa dall'ufficio con la presa di possesso della diocesi da parte del nuovo Vescovo, o per rinuncia, o per rimozione. La rinuncia deve essere presentata dall'Amministratore diocesano al Collegio dei consultori in forma autentica, precisamente per scritto o davanti a due testimoni, e non ha bisogno di essere accettata; la rimozione, invece, è riservata alla Santa Sede. Il Collegio dei consultori, che lo ha eletto, non ha alcun potere al riguardo. In caso di morte, di rinuncia, o di rimozione dell'Amministratore diocesano, il Collegio dei consultori deve procedere ad una nuova elezione, entro otto giorni e secondo le norme canoniche sopra indicate. 244. L'Amministratore Apostolico "sede vacante". La Santa Sede può provvedere al governo della diocesi nominando un Amministratore Apostolico. Anche se gli sono concesse tutte le facoltà del Vescovo diocesano, il regime della diocesi è quello della sede vacante, pertanto cessano gli uffici del Vicario Generale e dei Vicari episcopali, nonché la funzione dei Consigli presbiterale e pastorale. L'Amministratore Apostolico può però confermare, in forma delegata, il Vicario Generale e i Vicari episcopali, fino alla presa di possesso della diocesi da parte del nuovo Vescovo, ma non può prorogare i compiti dei Consigli, in quanto le loro funzioni sono svolte dal Collegio dei consultori. 245. La morte e le esequie del Vescovo diocesano. Avvenuta la morte del Vescovo, la salma sia esposta in un luogo adatto alla preghiera e alla venerazione del popolo. Il corpo del Vescovo sia rivestito con i paramenti di colore violaceo e con le insegne pontificali ed il Pallio se Arcivescovo metropolita, ma senza il pastorale. Presso il feretro, o nella chiesa Cattedrale, sia celebrata la liturgia delle ore per i defunti o altre celebrazioni vigiliari. È bene che sia soprattutto il Capitolo cattedrale a curare tali celebrazioni. Particolari preghiere si svolgano anche in tutte le chiese parrocchiali. Le esequie si svolgano nella chiesa Cattedrale e siano presiedute dal Metropolita o dal Presidente della Conferenza Episcopale regionale, e con lui concelebrino gli altri Vescovi e il presbiterio diocesano. Il Vescovo diocesano sia sepolto in una chiesa, che è opportuno sia la Cattedrale della sua diocesi, a meno che non abbia disposto diversamente. 246. Preghiera per l'elezione del nuovo Vescovo. Durante la sede vacante, l'Amministratore diocesano inviti i sacerdoti, le comunità parrocchiali e religiose, ad elevare ferventi preghiere per la nomina del nuovo Vescovo e per le necessità della diocesi. Nella Cattedrale e in tutte le altre chiese della diocesi si celebrino Sante Messe con il formulario previsto dal Messale romano, per l'elezione del Vescovo.