Libro della vita

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Capitolo 31

Tratta di alcune tentazioni esteriori con le apparizioni del demonio e dei tormenti che questi le dava.

Tratta anche di alcune cose molto utili ad ammonimento delle anime che seguono il cammino della perfezione.

1. Avendo già parlato di alcune tentazioni e agitazioni interiori e segrete che il demonio mi causava, voglio ora parlare di quelle quasi pubbliche di cui mi faceva oggetto, nelle quali non si poteva ignorare che si trattava di lui.

2. Una volta, mentre stavo in un oratorio, mi apparve al lato sinistro con un aspetto abominevole; siccome mi parlò, gli guardai soprattutto la bocca, che era spaventosa.

Da suo corpo sembrava sprigionarsi una gran fiamma molto chiara, senza ombre.

Mi disse con voce terribile che se ero riuscita a liberarmi dalle sue mani, egli avrebbe saputo riagguantarmi.

Ne ebbi terrore e mi feci, come potei, il segno della croce; egli allora sparì, ma ritornò subito.

Ciò mi accadde due volte.

Non sapevo che cosa fare; avevo lì l'acqua benedetta e la gettai da quella parte: non comparve mai più.

3. Un'altra volta mi tormentò per cinque ore, in cui soffrii tali terribili dolori e tale turbamento fisico e morale che mi pareva di non poterne più.

Le persone che si trovavano con me erano spaventate e non sapevano che fare, e io non sapevo come difendermi.

Ho l'abitudine, quando i dolori e il male fisico sono proprio intollerabili, di fare, come posso, in cuore atti di rassegnazione, supplicando il Signore di servirsi ai suoi fini delle mie sofferenze, di darmi pazienza e di lasciarmi in quello stato sino alla fine del mondo.

E allorché questa volta vidi che soffrivo tanto duramente, cercavo di aiutarmi con questi atti e con queste determinazioni, per poterlo sopportare.

Il Signore volle infine farmi capire che si trattava del demonio perché vidi presso di me un piccolo negro, orribile, che digrignava i denti come disperato di perdere dove sperava di guadagnare.

Appena lo vidi ne risi in cuor mio, e non ebbi alcuna paura, essendoci lì con me alcune suore le quali, però, non sapevano come aiutarmi né che rimedio opporre a tanto tormento, perché il demonio mi faceva dare grandi colpi, senza che io potessi resistergli, col corpo, con la testa, con le braccia; ma la cosa peggiore era l'interiore turbamento, tale che in nessun modo potevo trovare pace.

Non osavo chiedere acqua benedetta per non impaurirle e perché non capissero di che si trattava.

4. So, per ormai vecchia esperienza, che non c'è mezzo migliore dell'acqua benedetta per mettere in fuga il demonio e impedirgli di tornare.

Fugge anche dinanzi alla croce, ma poi torna.

Dev'essere ben grande la virtù dell'acqua benedetta; io, per lo meno, quando me ne servo, provo una particolare e ben percepibile consolazione.

Proprio così: nella maggior parte dei casi sento un sollievo che non saprei spiegare, come un diletto interiore che mi conforta tutta l'anima.

Questa non è una fantasia, né una cosa che mi sia accaduta una sola volta, ma moltissime volte, e che ho osservato con grande attenzione.

Diciamo che è come il refrigerio che si sente in tutta la persona quando, avendo molto caldo e molta sete, si beva una brocca d'acqua fresca.

Penso quanto sia grande tutto ciò che è nell'ordine liturgico, e m'inonda di gioia vedere come le parole rituali abbiano la virtù di trasmettere tanta forza all'acqua da renderla così diversa da quella che non è benedetta.

5. Poiché, dunque, il tormento non cessava, dissi: « Se non vi facessi ridere, chiederei un po' d'acqua benedetta ».

Me la portarono e me la gettarono addosso, ma senza alcun risultato.

Allora io la gettai lì dove stava il demonio, che fuggì all'istante, e sparirono, insieme, tutti i miei mali, quasi mi fossero tolti con la mano; solo che io rimasi così sfinita, come se mi avessero dato molte bastonate.

Fu per me molto utile vedere che il demonio può fare tanto male, permettendoglielo il Signore, anche in un corpo e in un'anima che non gli appartengono; che cosa farà mai quando ne sia il padrone?

Ciò rinsaldò il mio desiderio di liberarmi da così malvagia compagnia.

6. Un'altra volta, poco tempo fa, mi accadde la stessa cosa, anche se non durò molto, e io ero sola.

Chiesi un po' d'acqua benedetta.

Le consorelle che entrarono dopo che i demoni già se n'erano andati ( le quali erano due monache molto degne di fede, che per nulla al mondo avrebbero detto bugie ), sentirono un pessimo odore, come di zolfo; io non lo sentii, ma durò tanto che fu ancora possibile avvertirlo.

Un'altra volta, stando in coro, fui presa da un grande impeto di raccoglimento; me ne uscii perché le altre non se ne accorgessero, anche se udirono tutte, lì presso, dalla parte dove ero andata, grandi colpi, mentre io sentivo vicino a me un parlottio, come di persone che complottassero qualche cosa.

Parlavano anche forte, ma ero così immersa nell'orazione da non capire nulla e da non avere alcun timore.

Questo accadeva tutte le volte in cui il Signore mi concedeva la grazia di esser utile a qualche anima con la mia opera di persuasione.

Mi avvenne, in proposito, un fatto che ora racconterò e di cui vi sono molti testimoni, in particolare il mio attuale confessore, il quale lo vide comprovato per iscritto da una lettera, e benché io non gli dicessi chi ne era l'autore, egli sapeva benissimo chi fosse.

7. Venne da me un sacerdote che da due anni e mezzo si trovava in peccato mortale, uno dei più abominevoli che io abbia mai udito, e in tutto questo tempo né l'aveva confessato, né aveva cercato di emendarsi, pur continuando a celebrare la Messa.

Gli altri peccati, sì, li confessava, ma questo diceva che gli era impossibile confessarlo, essendo troppo brutto.

E desiderava ardentemente liberarsene, ma da solo non ci riusciva.

Ebbi di lui molta compassione, e gran dolore mi procurò veder offendere Dio in quel modo.

Gli promisi di pregare vivamente il Signore di aiutarlo, e far sì che gli altri, migliori di me, lo pregassero.

Scrissi subito a una certa persona alla quale mi disse che potevo mandare le lettere.

E così, nella sua prima confessione, si accusò di quel peccato, poiché Dio volle, per le suppliche delle molte sante persone alle quali l'avevo raccomandato, usare verso quest'anima la sua misericordia; anch'io, quantunque così miserabile, avevo fatto per lui con molta diligenza tutto quello che avevo potuto.

Mi scrisse di esser già tanto migliorato che da più giorni non cadeva in quel peccato, ma che il tormento procuratogli dalla tentazione era così grande che gli sembrava di essere all'inferno, stando a quanto pativa, e perciò lo raccomandassi a Dio.

Io tornai a raccomandarlo alle mie consorelle, che presero molto a cuore la cosa, e per le cui preghiere il Signore mi avrebbe fatto questa grazia.

Si trattava di una persona che nessuno avrebbe potuto indovinare chi fosse.

Da parte mia supplicai Sua Maestà di far sì che avessero tregua quei tormenti dati dalle tentazioni e che quei demoni venissero a tormentare me, purché non avessi da offendere in nulla il Signore.

Fu così che passai un mese di grandissimi tormenti; i due fatti che le ho raccontato mi accaddero allora.

8. Piacque, infatti, al Signore che egli fosse lasciato in pace come mi fu scritto, dopo che io gli ebbi fatto sapere ciò che avevo sofferto in quel mese.

La sua anima, così, prese forza e restò completamente libera, tanto che egli non cessava di ringraziare il Signore e me, come se io avessi fatto qualche cosa, mentre era la convinzione da lui raggiunta che il Signore mi favorisse di grazie, a giovargli.

Diceva che quando si sentiva fortemente turbato, leggeva le mie lettere e la tentazione spariva; era molto stupito di quello che io avevo sofferto e di come egli fosse rimasto libero da ogni tormento.

Altrettanto stupita ne ero io, ma avrei sopportato quella sofferenza per molti anni ancora, pur di vedere libera quell'anima.

Di tutto sia lodato il Signore perché molto può l'orazione di coloro che lo servono, come credo che facciano le sorelle di questa casa.

Se non che, essendo io quella che le inducevo a pregare, i demoni si adiravano, credo, soprattutto con me, e il Signore lo permetteva a causa dei miei peccati.

9. In quel periodo, una notte pensai anche che mi strangolassero; dopo che fu gettata molta acqua benedetta, vidi fuggire una gran turba di essi, come chi corre a precipizio.

Sono tante le volte in cui questi spiriti maledetti mi tormentano, ed è ormai così poca la paura che m'incutono, poiché vedo che se il Signore non lo consente, non possono muoversi, che se volessi raccontare tutto, stancherei la signoria vostra e mi stancherei io stessa.

10. Quanto ho detto serva di aiuto per i veri servi di Dio a non preoccuparsi degli spauracchi messi lì dai demoni per incutere timore; sappiano che ogni qualvolta si riesca a disprezzarli, essi perdono forza e l'anima acquista molto maggior padronanza di sé.

Dai loro assalti si ricava sempre qualche vantaggio di cui non parlo, per non dilungarmi; voglio solo narrare un fatto che mi accadde la sera del giorno dei Morti.

Mentre stavo in un oratorio, dopo aver recitato un notturno, dicendo alcune orazioni molto devote poste in fondo al nostro breviario, il demonio venne a mettersi sopra il libro per impedirmi di finire l'orazione; io mi feci il segno della croce ed egli fuggì.

Ricominciata la preghiera, tornò; credo siano state tre le volte che dovetti ricominciarla senza riuscire a finirla, finché non gli ebbi gettato addosso acqua benedetta.

Vidi allora uscire subito dal purgatorio alcune anime a cui doveva restare poco tempo per liberarsi dalla pena e pensai che il demonio aveva forse voluto ritardarne la liberazione.

Poche volte l'ho visto assumere una figura; molte, invece, senza alcuna figura, al modo di quelle visioni in cui, come ho detto, si vede chiaramente la presenza di qualcuno, pur mancando la figura.

11. Voglio raccontare anche quest'altro fatto che mi stupì moltissimo.

Il giorno della SS.ma Trinità, mentre ero in estasi nel coro di un certo monastero, vidi una gran lotta tra angeli e demoni e non riuscivo a capire il significato di quella visione.

Prima che fossero trascorsi quindici giorni, lo si capì bene per una certa contesa sorta tra persone di orazione e altre che non lo erano, da cui venne un gran danno alla casa in cui era sorta; fu una lotta che durò lungo tempo e causò molta sofferenza.

Altre volte mi vedevo intorno una gran turba di essi, e mi sembrava di essere circonfusa di una luce chiarissima che non permetteva loro di avvicinarsi.

Capivo allora che Dio vegliava su di me perché non si accostassero in modo da farmi recare offesa a lui.

Da quello che poi ho costatato in me più volte, mi sono resa conto che la visione era vera.

Il fatto è che io sono così convinta del loro scarso potere – se non agisco contro Dio – che non ne ho quasi affatto paura; infatti, la loro forza è nulla se non trovano anime vili e pronte alla resa, contro le quali danno prova del loro potere.

A volte, nelle tentazioni di cui ho già parlato, mi sembrava che mi si risvegliassero tutte le vanità e le debolezze del passato e dovevo raccomandarmi molto a Dio.

Poi subentrava il tormento di credere, visto che mi venivano quei pensieri, che tutto doveva essere opera del demonio, finché il confessore non mi metteva in pace.

Mi sembrava, infatti, che neanche un primo moto di pensieri cattivi dovesse avere chi riceveva tante grazie dal Signore.

12. Altre volte mi era causa di grande tormento, e lo è tuttora, il vedere che si fa molta stima e si dice molto bene di me, specialmente se si tratta di persone autorevoli.

Di questo ho sofferto e soffro molto, perché rivolgo subito lo sguardo alla vita di Cristo e dei santi e, vedendo che essi non conoscevano altra via se non quella del disprezzo e delle ingiurie, mi sembra di camminare alla rovescia.

E ne provo tale smarrimento che non oso alzare la testa e non vorrei farmi vedere, cosa che invece non mi accade quando sono oggetto di persecuzioni, in cui, anche se il corpo ne soffre e da una parte io ne sia afflitta, l'anima è tanto padrona di sé che io non so come questo possa essere, ma è così: l'anima sembra allora che stia proprio nel suo regno e tenga tutto sotto i suoi piedi.

La pena di cui parlo m'assaliva e mi durava a volte molti giorni; credevo che fosse virtù e, in un certo senso, umiltà, ma ora vedo chiaramente che era una tentazione.

Me lo spiegò bene un padre domenicano, dottissimo.

Al pensiero che queste grazie elargitemi dal Signore si sarebbero venute a sapere pubblicamente, il tormento era così grande da sconvolgermi l'anima.

Giunsi a tali estremi che, ripensandoci, credo che sarei stata disposta, anziché sopportarlo, a essere seppellita viva.

E così, quando cominciarono quei grandi raccoglimenti e rapimenti ai quali nemmeno in pubblico potevo resistere, rimanevo in seguito talmente piena di vergogna che non avrei voluto farmi più vedere da nessuno.

13. Trovandomi, una volta, in una grande pena per questo motivo, il Signore mi domandò di che temessi, visto che gli effetti non potevano essere che due: o che mormorassero di me o che lodassero lui, facendomi così intendere che quanti avessero creduto al suo intervento l'avrebbero glorificato, e quanti non vi credevano mi avrebbero condannato senza colpa; essendo entrambe le cose di vantaggio per me, non dovevo angustiarmi.

La tentazione giunse a tal punto che volevo andarmene da questa città e portare la mia dote in un altro monastero in cui la clausura era molto più stretta che in quello dove mi trovavo in quel momento.

Avevo sentito parlare del grande rigore a cui s'informava; apparteneva anche esso al mio Ordine ed era molto lontano, e proprio questo mi avrebbe dato serenità: stare dove nessuno mi conoscesse, ma il mio confessore non me lo permise mai.

14. Questi timori m'inceppavano molto la libertà dello spirito, tanto che finii col capire che non erano dovuti a una vera umiltà, se mi causavano una così grande inquietudine.

Il Signore m'insegnò questa verità: essere fermamente convinta che in me non v'era nulla di buono che non venisse da lui e che come non mi dispiaceva sentir lodare altre persone, anzi mi rallegrava e confortava molto il vedere in esse la manifestazione di Dio, così non doveva neppure dispiacermi che mostrasse in me le sue opere.

15. Caddi pure in un'altra esagerazione, cioè quella di supplicare Dio e fare preghiere speciali affinché, quando a qualcuno sembrasse di scorgere qualcosa di buono in me, Sua Maestà gli svelasse i miei peccati, in modo che vedesse come ricevessi quelle grazie senza alcun merito, cosa che io desidero sempre molto.

Il mio confessore mi disse di non farlo, ma fino a poco tempo fa, se vedevo che una persona aveva di me una gran buona opinione, con rigiri o come potevo, le facevo conoscere i miei peccati e così mi sembrava di aver pace; ma anche di questo mi hanno fatto sentire scrupolo.

16. Ciò, infatti, a mio parere, non procedeva da vera umiltà, ma dal fatto che una tentazione ne suscitava molte altre.

Mi sembrava di ingannare tutti quanti mentre, anche se è vero che s'inganna chi crede che in me ci sia qualcosa di buono, io non desideravo ingannare nessuno, né ho mai voluto farlo; è solo il Signore a permetterlo per qualche suo fine.

Pertanto, anche con i confessori, se non lo avessi visto necessario, non avrei parlato di nessuna cosa che mi fosse causa di grande scrupolo.

Ora capisco che tutti questi piccoli timori, pene e parvenze di umiltà erano dovuti a grande imperfezione e a scarsa mortificazione, perché a un'anima che si affida alle mani di Dio non importa che di lei si dica bene piuttosto che male, purché – beninteso – sia convinta, come il Signore le fa la grazia di capire, che di suo non ha nulla.

Si fidi di chi le dà tali favori, che sa perché li rende pubblici, e si prepari alla persecuzione, inevitabile ai nostri tempi, quando il Signore vuol far conoscere che concede a un'anima simili grazie, perché allora ha mille occhi addosso, mentre addosso a mille anime di altra fatta non ce n'è neppure uno.

17. In verità, non v'è poca ragione di temere, pertanto il mio timore non era dovuto ad umiltà, ma a pusillanimità.

Infatti, l'anima che Dio permette sia esposta agli occhi del mondo, deve prepararsi ad essere martire del mondo perché, anche se essa non vuol morire al mondo, il mondo stesso la ucciderà.

Certo, è l'unica cosa buona che veda in esso, questa di non perdonare alcun difetto a coloro che praticano la virtù, finché, a forza di mormorazioni, non li induca a correggersi.

Aggiungo che, se uno non è perfetto, gli occorre più coraggio per cercare di diventarlo che non per essere subito martire, perché la perfezione non si raggiunge in breve tempo, a meno che si tratti di persone a cui il Signore voglia concedere questa grazia per speciale privilegio.

Il mondo, quando vede qualcuno avviato per tale strada, esige che sia perfetto e mille miglia lontano scopre in lui una mancanza, che forse è virtù, ma siccome in chi lo condanna la stessa cosa proverrebbe da vizio, giudica che sia così anche nell'altro.

Egli non dovrebbe né mangiare né dormire né, come si dice, respirare; più è tenuto in considerazione, più si è indotti a dimenticare, sembra, che è ancora di carne e ossa.

Per quanto perfetta abbia l'anima, vive ancora sulla terra, soggetto alle sue miserie, benché le tenga sempre più sotto i piedi.

È perciò necessario, come dico, un gran coraggio perché la povera anima non ha ancora cominciato a camminare e già pretendono che voli; ancora non ha vinto le passioni e già esigono che in difficili occasioni resti così salda come leggono che avveniva ai santi confermati in grazia.

È motivo di lode per il Signore quanto accade in questa circostanza, ed è anche motivo di gran pena per il nostro cuore perché moltissime anime che, poverine, non sanno farsi valere, tornano indietro.

E così credo che sarebbe stato anche della mia se il Signore, nella sua infinita misericordia, non avesse fatto tutto lui: finché egli non è intervenuto con la sua bontà in mio favore, la signoria vostra avrà visto che non facevo altro se non cadere e rialzarmi.

18. Vorrei sapermi spiegare, perché credo che a questo riguardo molte anime s'ingannino, pretendendo di volare prima che il Signore dia loro le ali.

Mi pare di aver già riportato questo paragone, ma qui calza a proposito.

Ne parlerò perché vedo alcune anime molto afflitte a causa di ciò.

Esse cominciano con gran desiderio e fervore, fermamente decise a progredire nella virtù; e alcune, per quanto appare all'esterno, lasciano tutto per lui, ma quando vedono in altre persone più avanzate in questo cammino maggiori doni di virtù concessi loro da Dio, tali che da soli non possiamo ottenerli, e leggono in tutti i libri di orazione e contemplazione che per salire a tale dignità si devono fare cose che esse non possono riuscire a fare, si scoraggiano;

per esempio, non preoccuparsi che si dice male di noi, anzi esserne contenti, più di quando se ne dice bene;

tenere in poco conto l'onore;

staccarsi dai propri parenti, al punto da non voler trattarli, anzi averli a noia, se non sono persone di orazione,

e molte altre cose di tal genere che, a mio parere, devono essere concesse da Dio, perché mi sembra che siano beni soprannaturali, o almeno contrari alla nostra naturale inclinazione.

Tali anime, perciò, non si affliggano; sperino nel Signore, perché quanto ora è solo nei loro desideri, Sua Maestà farà sì che giungano ad averlo di fatto, purché continuino nell'orazione e facciano, da parte loro, tutto quello che possono.

È molto necessario, per la debolezza di questa nostra natura, avere una gran fiducia, non perdersi d'animo e pensare che, sforzandoci, non mancheremo di uscirne con vittoria.

19. Siccome ho molta esperienza di questo, dirò qualcosa che serva di avvertimento alla signoria vostra.

Non pensi mai d'aver già acquistato una virtù, anche se le sembra di sì, se non ne fa la prova con il suo contrario.

Finché viviamo, dobbiamo esser molto guardinghi e non distrarci, perché subito ci si riattacca alla terra se Dio non ci ha fatto del tutto la grazia di conoscere quello che è il mondo.

In questa vita non c'è nulla che sia esente da molti pericoli.

Pochi anni fa, mi sembrava non solo di non essere attaccata ai miei parenti, ma persino di esserne annoiata, ed era certo così perché non potevo sopportare neppure la loro conversazione.

A causa di un certo affare di grande importanza che ci fu proposto, dovetti stare con una mia sorella alla quale prima volevo molto bene, ma, benché sia migliore di me, non mi trattenevo a conversare con lei perché, essendo in uno stato diverso dal mio, cioè sposata, la conversazione non poteva sempre svolgersi su quello che io avrei voluto, perciò cercavo di stare sola quanto più potevo.

Tuttavia, mi accorsi che le sue pene mi angustiavano, mi preoccupavano molto più che non quelle degli altri; così capii che non ero libera quanto pensavo e che avevo bisogno di fuggire le occasioni affinché questa virtù che il Signore aveva cominciato a darmi potesse crescere.

E d'allora in poi, con la sua grazia, ho sempre cercato di farlo.

20. Quando il Signore comincia a darci una virtù dobbiamo tenerla in gran conto e non esporci in nessun modo al pericolo di perderla, com'è per cose riguardanti l'onore e molte altre, perché la signoria vostra non creda che siamo completamente distaccati dal mondo tutti noi che pensiamo di esserlo: bisogna star sempre attenti a questo.

Qualsiasi persona senta in sé un qualche attaccamento al punto d'onore, se vuole avanzare in virtù, mi creda, si getti dietro le spalle questo legame, perché è come una catena che nessuna lima può rompere, tranne che lo faccia Dio in virtù della nostra orazione e di tutti i nostri sforzi.

Mi sembra proprio un impaccio tale su questo cammino che resto sgomenta al pensiero del danno che ne deriva.

Vedo alcune sante persone le cui opere sono talmente grandi da stupire la gente.

Ma, Dio mio, perché hanno ancora l'anima attaccata alla terra?

Perché non è ancora arrivata al vertice della perfezione?

Come si spiega?

Che cosa è a trattenere chi ha fatto tanto per Dio?

Ahimè, è che è schiava del punto d'onore!

E il peggio consiste nel fatto che non vuole riconoscerlo d'averlo, e ciò perché a volte il demonio le fa credere di essere obbligati a osservarlo.

21. Mi credano, dunque, credano per amor del Signore a questa piccola formica che parla per volere di Dio: se non si tolgono questo verme d'addosso, anche se non rovinerà tutto l'albero, perché alcune virtù resteranno, esse, però, saranno completamente bacate.

Non è un albero fiorente, ma un albero che non cresce e impedirà di crescere anche a quelli che gli stanno vicino; i frutti di buon esempio che dà sono guasti e di poca durata.

Lo ripeto spesso: per piccolo che sia, il punto d'onore è come un errore di tono o di battuta nel suono dell'organo, che basta, esso solo, a rompere l'armonia di tutta la musica; è una cosa che nuoce molto all'anima, in qualsiasi stato, ma in quello dell'orazione è senz'altro una peste.

22. Noi cerchiamo di raggiungere Dio mediante l'unione, pretendiamo di seguire i consigli di Cristo, gravato d'ingiurie e di false imputazioni, e poi vogliamo conservare per intero il nostro onore e la nostra reputazione.

Non è possibile giungere alla meta senza seguire un cammino coerente.

Il Signore si unisce all'anima solo se noi ci sforziamo e facciamo di tutto per perdere i nostri diritti in molte cose.

Qualcuno dirà: non ho modo né mi si offre occasione di far ciò.

Ma io credo che a chi avrà preso questa determinazione il Signore non vorrà far perdere un così gran bene: Sua Maestà preparerà tante occasioni per far acquistare all'anima questa virtù che non avrà da desiderarne.

Mano all'opera, dunque!

23. Voglio parlare di certe inezie, vere cose di poco conto, che facevo al principio, o almeno di qualcuna di esse: le pagliuzze che, come ho detto, cercavo di porre sul fuoco, perché di più non sapevo fare.

Il Signore accetta tutto.

Sia per sempre benedetto!

Tra gli altri difetti avevo quello di conoscere poco il quotidiano ufficio divino, le rubriche e le cerimonie del coro, per pura negligenza e perché ero presa da altre cose del tutto vane.

Vedevo che varie novizie avrebbero potuto farmi da maestre, ma ricordo che mi astenevo dall'interrogarle per non far conoscere la mia ignoranza.

Subito si pensa che si è tenuti a non essere di cattivo esempio; questo accade di frequente.

Quando però Dio mi aprì un po' gli occhi, anche se una cosa la sapevo, bastava il minimo dubbio perché ne interrogassi le più giovani, né per questo perdetti onore e reputazione; anzi, a mio parere, piacque al Signore di darmi, in seguito, più memoria.

Cantavo male e soffrivo tanto se non avevo studiato bene la parte che mi spettava ( non già per mancare davanti al Signore, poiché questo sarebbe stato virtù, ma per le molte persone che mi udivano ) da agitarmi a tal punto, per puro rispetto umano, che rendevo molto meno di quello che sapevo.

In seguito presi la decisione, quando non ero ben preparata, di dire che non la sapevo.

Da principio mi costava molto, ma poi giunsi a provarne piacere.

E così, cominciando a non preoccuparmi di far conoscere la mia ignoranza, mi avveniva di cantare molto meglio perché era questo falso punto d'onore a impedirmi di fare ciò che io tenevo ad onore; ognuno infatti lo mette dove vuole.

24. Con queste inezie, che non sono niente – come assolutamente niente sono io che me ne affliggevo –, man mano si vanno compiendo sforzi, e così, anche a piccole cose come queste, essendo fatte per amore di Dio, il Signore dà molta importanza e ci aiuta a compierne di più grandi.

Quanto all'umiltà, ricordo che, vedendo tutte le consorelle progredire nella virtù, solo io no, perché non sono mai stata buona a nulla, quando uscivano dal coro, mettevo in ordine, piegandoli, tutti i loro mantelli.

Mi sembrava, così, di servire quegli angeli che lì cantavano le lodi di Dio, finché – non so come – esse vennero a saperlo e ne ebbi non poca vergogna, perché la mia virtù non arrivava ad accettare che queste cose si sapessero, e non credo fosse per umiltà, ma perché temevo avessero a ridersi di me, trattandosi di sciocchezze.

25. Oh, mio Signore, che vergogna mi dà vedere in me tante colpe e raccontare tante piccole cose, granelli di rena che non avevo neppure la forza di sollevare da terra per amor vostro, involti com'erano in mille miserie!

Ancora non sgorgava l'acqua della vostra grazia al di sotto di questa rena per lanciarla in alto.

Oh, mio Creatore, potessi almeno, accanto alle grazie da voi ricevute, raccontare qualche mio atto buono di un certo rilievo, tra tante mie infedeltà!

Proprio così, mio Signore, e non so come il mio cuore possa sopportarlo né come chi leggerà questo scritto potrà fare a meno di disprezzarmi, vedendo che, dopo aver così male corrisposto a grazie straordinarie, non abbia vergogna di raccontare questi servizi miserevoli quanto me.

Sì, mio Signore, ne arrossisco!

Ma il non aver altro da dire da parte mia, mi fa narrare queste mie piccole, umili cose iniziali, per alimentare la speranza in chi ne compirà di grandi, perché se il Signore ha apprezzato, come sembra, questi miei atti, apprezzerà ben di più i suoi.

Piaccia a Sua Maestà di farmi la grazia di non restare sempre agli inizi! Amen.

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