Autodifesa

Dizionario

1) Difesa personale da atti di aggressione

2) dir. Il sostenere la difesa legale di se stesso da parte dell'imputato


Con autodifesa o difesa personale si indicano le tecniche che una persona può utilizzare per difendersi dai pericoli e dalle minacce alla propria integrità fisica o psichica, tipicamente nei casi di aggressione per strada.

Essa può consistere anche nel saper gestire o evitare una disputa ( non necessariamente sfociante in aggressione di tipo fisico e/o verbale ) tra individui prima che essi, per svariati motivi, possano giungere ad uno scontro.

Generalmente, gli ordinamenti giuridici moderni prevedono una scriminante collegata all'esercizio della difesa personale - ossia la legittima difesa - ma solo a precise condizioni e presupposti.

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« La proibizione dell'omicidio – leggiamo nel Catechismo della Chiesa Cattolica – non abroga il diritto di togliere, a un ingiusto aggressore, la possibilità di nuocere ».

C'è un diritto alla vita, che comincia da sé: « È legittimo – è ancora il Catechismo a dirci – far rispettare il proprio diritto alla vita.

Chi difende la propria vita non si rende colpevole di omicidio, anche se è costretto a infliggere al suo aggressore un colpo mortale ».

Questo diritto diventa un dovere nei riguardi degli altri: « La legittima difesa, oltre che un diritto, può essere anche un grave dovere, per chi è responsabile della vita di altri ».

La difesa della vita altrui – in ragione della sua debolezza, piccolezza, impotenza – « esige che si ponga l'aggressore in stato di non nuocere », con il ricorso, se necessario, anche alla forza.

Non intervenire, potendolo fare, configura una complicità omissiva e quindi una colpa.

L'esercizio di questo diritto-dovere non è però ad arbitrium, ma « è sottomesso a rigorose condizioni di legittimità morale ».

La Chiesa insegna che « si devono considerare con rigore le strette condizioni che giustificano una legittima difesa con la forza ».

Esse sono essenzialmente tre.

La prima è che il ricorso alla forza sia un estremo rimedio.

Questo significa che si devono considerare ed esperire prima i mezzi non violenti e meno violenti di dissuasione e di difesa e che questi « si siano rivelati impraticabili o inefficaci ».

La seconda è che l'irruzione e la violenza dell'aggressore siano effettive, in atto e non ipotetiche, presunte o possibili.

La terza è che la violenza difensiva deve essere proporzionata: non può essere maggiore e causare più mali di quella aggressiva.

Dalla seconda condizione deriva l'illiceità di una violenza preventiva, dalla terza di una violenza vendicativa.

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L'insegnamento della Chiesa sulla « legittima difesa », che troviamo espresso nel Catechismo della Chiesa Cattolica e nell'enciclica Evangelium vitae, ci aiuta a inquadrare la questione.

« La legittima difesa delle persone e della società non costituisce un'eccezione alla proibizione di uccidere l'innocente » ( Catechismo 2263 ), in quanto è intenzionalmente un atto di autodifesa, l'eventuale ferimento o morte dell'ingiusto aggressore è involontario e va attribuito « allo stesso aggressore che vi si è esposto con la sua azione, anche nel caso in cui egli non fosse moralmente responsabile per mancanza dell'uso della ragione » ( Evangelium Vitae 55 ).

Far rispettare il diritto alla vita propria o altrui è un principio fondamentale della morale, per cui « chi difende la propria vita non si rende colpevole di omicidio » ( Catechismo 2264 ) qualora questo si verifichi, purché nell'autodifesa non si usi maggior violenza del necessario.

Inoltre, « La legittima difesa può essere non soltanto un diritto, ma un grave dovere, per chi è responsabile della vita di altri, del bene comune della famiglia o della comunità civile» ( Catechismo 2265 ).

A chi esprime dubbi sulla compatibilità della legittima difesa con lo spirito evangelico, si fa osservare che l'atto di autodifesa non è una scelta intenzionale di esercitare violenza per difendersi o per prevenire un'aggressione o comunque per uccidere.

Se così fosse, infatti, l'autodifesa che sfociasse addirittura nell'uccisione dell'aggressore sarebbe omicidio diretto e volontario e, quindi, una scelta di farsi giustizia da sé che non è lecita, perché fare giustizia è compito delle pubbliche autorità.

San Tommaso afferma decisamente che è illecito che un privato cittadino « miri direttamente a uccidere per difendere se stesso » ( S.Th., II-II, q. 64, a. 7 ).

L'autodifesa consiste nel contrastare l'azione posta in essere dall'aggressore e non contro la sua persona o la sua vita, qualora si verificassero delle lesioni sarebbero conseguenze collaterali, non intenzionali, dell'azione lecita di difendersi.

Per valutare la liceità dell'atto di autodifesa la dottrina morale prevede che si verifichino contemporaneamente le seguenti condizioni:

che si tratti di un'aggressione in atto,

che l'aggressione sia ingiusta,

che si usi il minimo di violenza indispensabile per respingere l'aggressore,

che il male arrecato sia proporzionale al bene difeso.

Il Catechismo nell'elencare le condizioni per la « legittima difesa militare », la cui decisione spetta al giudizio prudente di chi ha la responsabilità del bene comune, oltre a precisare ulteriormente le condizioni appena indicate aggiunge anche, opportunamente, « che ci siano fondate condizioni di successo » ( n. 2309 ).

Evangelium vitae ricorda anche che in alcune particolari circostanze una persona può sentirsi chiamata a esercitare eroicamente la carità e la mitezza rinunciando a difendere la propria vita dall'aggressione, considerando che: « Al diritto di difendersi … nessuno potrebbe rinunciare per scarso amore alla vita o a se stesso, ma solo in forza di un amore eroico, che approfondisce e trasfigura lo stesso amore di sé, secondo lo spirito delle beatitudini evangeliche nella radicalità oblativa di cui è esempio sublime lo stesso Signore Gesù » ( n. 55 ).

Per cui tale « rinuncia » non può essere presentata come un dovere morale generale e in ogni caso il Vangelo, con le sue esigenze di carità, mitezza e perdono, non è in contraddizione con le esigenze fondamentali della giustizia.

Il Vangelo ci chiama alla mitezza e al perdono, ma non tutela l'aggressione né può essere invocato per colpevolizzare chi si difende con moderazione, senza odio e con spirito di carità.

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La possibilità di stare in giudizio personalmente e senza il ministero del difensore viene riconosciuta solo nell'ambito del processo civile, non potendosi estendere tale possibilità anche al processo penale, stante la diversa natura degli interessi che in quest'ultimo caso vengono in rilievo.

Il codice di procedura civile riconosce pertanto il diritto del cittadino a stare in giudizio senza la rappresentanza di un legale nelle cause civili dinanzi al giudice di pace il cui valore non superi i 1.100,00 euro ( art. 82 c.p.c., come modificato dal Dl. n. 212/11 convertito con Legge n. 10/12 ) e nelle controversie di lavoro quando il valore della causa non superi i 129,11 euro ( art. 417 c.p.c. ).

In tutte le cause civili, a prescindere dal valore della causa, il soggetto può evitare di farsi rappresentare "quando ha la qualità necessaria per esercitare l'ufficio di difensore" ( art. 86 c.p.c. ): in pratica se è un avvocato, abilitato a stare in giudizio dinnanzi la giurisdizione procedente.

Negli altri casi, le parti non possono stare in giudizio se non col ministero o con l'assistenza di un difensore.

Il giudice di pace tuttavia, in considerazione della natura ed entità della causa, con decreto emesso anche su istanza verbale della parte, può autorizzarla a stare in giudizio di persona.


Catechismo della Chiesa Cattolica

Se invece reagisce con moderazione, allora la difesa è lecita 2264
La legittima difesa è un dovere grave per chi ha la responsabilità della vita altrui o del bene comune. 2321

Magistero

Enciclica Giovanni Paolo II - Evangelium vitae 55
la legittima difesa può essere non soltanto un diritto, ma un grave dovere

Summa Teologica

e sia permesso uccidere per difendersi II-II, q64, a7