Padri\Agostino\AiDonat\AiDonat.txt Ai Donatisti dopo la conferenza 1.1 - Ostinazione dei vescovi donatisti che continuano ad essere bugiardi Perché, Donatisti, vi lasciate ancora sedurre dai vostri vescovi? Le loro oscure trame sono emerse in piena luce, il loro errore è stato smascherato, la loro ostinazione è stata debellata! Perché lanciano ancora contro di voi le loro vane menzogne? Perché credete ancora a uomini vinti? Quando vi dicono che il giudice si è lasciato corrompere, inventano qualcosa di nuovo? Come si comportano abitualmente tutti gli sconfitti che non vogliono arrendersi alla verità, se non imbastendo menzogne sulla disonestà del giudice? Provate a porgli questa domanda ed esigete un'immediata risposta, se ne sono capaci: come mai hanno osato venire a Cartagine, riunendosi con noi in uno stesso luogo per confrontarci insieme? Noi, già da qualche anno li avevamo invitati ufficialmente ad una conferenza, per chiarire la verità ed eliminare il dissenso che ci divide; ma essi, indietreggiando proprio di fronte alla verità, consegnarono agli atti la seguente risposta: " È indecoroso che si riuniscano insieme i figli dei martiri e i discendenti dei traditori ". Perché, allora, hanno accettato questa volta di incontrarci? Non credo che avrebbero reputato di fare una cosa indegna, se non avessero riconosciuto che noi non siamo discendenti di traditori. Quantomeno vi spieghino chiaramente perché, dopo aver detto: " È indecoroso che si riuniscano insieme i figli dei martiri e i discendenti dei traditori ", hanno tenuto in seguito un'assemblea con noi. Quale fatto ha mai potuto indurli a compiere una cosa indegna? Infatti, non sono stati trascinati con mani e piedi legati: essi sono venuti in piena libertà! Se hanno detto: " Perché lo ha ordinato l'imperatore ", allora essi accettano di compiere un atto indegno quando lo ha ordinato l'imperatore? Perché, dunque, si adirano contro fantomatici traditori che non hanno alcun rapporto con la nostra causa? Certo, consegnare ai persecutori i Libri del Signore è senza dubbio una cosa indegna, ma non si può incriminare il traditore per questo atto, poiché è l'imperatore che lo aveva ordinato. Noi qui stiamo ragionando, è chiaro, non tanto secondo un criterio di verità, ma in base alla loro perversità. Proprio loro lo hanno affermato, e gli atti lo attestano pubblicamente: l'hanno dichiarato davanti al funzionario. E non è stato uno sconosciuto qualsiasi a dirlo, ma nientemeno che Primiano, il loro vescovo di Cartagine. Primiano in persona lo ha scritto al magistrato di Cartagine, e lo ha fatto mettere agli atti attraverso il suo diacono: " È indegno che si riuniscano insieme i figli dei martiri e i discendenti dei traditori ". Ed ecco che ci siamo riuniti in assemblea: che cosa hanno da ridire su questo fatto? Se dicono: " Non è indegno ", perché allora hanno mentito dicendo: " È indegno "? Se dicono: " È indegno ", perché hanno fatto ciò che è indegno? Per loro, c'è un solo modo di sostenere che non hanno fatto nulla di indecoroso, e con quelle parole di Primiano non hanno mentito, se dicono: " È certamente indegno che si riuniscano in assemblea i figli dei martiri e i discendenti dei traditori; ma, se ci siamo riuniti con voi, è perché abbiamo riconosciuto che voi non siete discendenti di traditori ". Se è davvero così, perché allora hanno lanciato contro di noi una simile calunnia, mentre eravamo già riuniti in assemblea? Non sarà, forse, perché anche noi potessimo conoscere che essi non erano figli di martiri? I martiri infatti sono chiamati testimoni. Ora, i testimoni di Cristo sono testimoni della verità; invece, tra le loro file, sono stati scoperti alcuni falsi testimoni, i quali hanno accusato alcuni di crimini di tradizione commessi da altri, che tuttavia non sono riusciti a provare. 2.2 - Dio ha reso testimonianza alla sua Chiesa attraverso molteplici testi delle Scritture Perché date ancora retta alle menzogne degli uomini, e non prestate attenzione alle testimonianze divine? Perché vi fidate ancora di uomini sconfitti, e non credete alla verità, che non è mai stata vinta? La verità di Dio - e noi lo abbiamo dimostrato anche nel corso della conferenza - ha reso testimonianza alla sua Chiesa attraverso molteplici testi delle sante Scritture, tratti dagli scritti profetici ed evangelici: essi hanno designato il luogo, da cui la Chiesa di Cristo avrebbe iniziato il cammino, e gli estremi confini della terra ai quali sarebbe giunta. Il Signore annunziò che la sua Chiesa avrebbe dovuto estendersi fra tutte le nazioni della terra, cominciando da Gerusalemme. ( Lc 24,47 ) Si legge il testo sacro, che descrive il suo inizio in Gerusalemme, ove lo Spirito Santo fu inviato dal cielo sui fedeli, ( At 2,3 ) riuniti per la prima volta. Si leggono i testi sacri che raccontano come essa si estese da Gerusalemme alle regioni vicine e lontane. Si citano i nomi dei luoghi, si precisano i nomi delle città, in cui la Chiesa di Cristo è stata fondata grazie alla fatica degli Apostoli: luoghi e città che hanno avuto il merito di ricevere anche le lettere inviate dagli Apostoli. Lettere che leggono essi stessi durante le vostre assemblee, e tuttavia non sono in comunione con le Chiese di quei luoghi e città, che furono degni di ricevere quelle stesse lettere. Costoro rimproverano ad esse non so quali misfatti degli Africani, il cui contagio le avrebbe fatte perire, e questo nonostante nel corso della nostra conferenza, che recentemente abbiamo tenuto a Cartagine, abbiano affermato: una causa non deve pregiudicare un'altra causa, né una persona un'altra persona. 3.3 - Né una causa pregiudica una altra causa, né una persona pregiudica una altra persona Questo però lo hanno dichiarato quando gli abbiamo detto: " Il concilio, che voi citate contro Ceciliano, non danneggia l'assente Ceciliano, così come il consesso, celebrato per la causa di Massimiano, nel quale fu condannato Primiano, non pregiudica l'assente Primiano ". In effetti, essi citarono un concilio di poco più di settanta vescovi che condannò Ceciliano assente, mentre si parla di un centinaio di vescovi del loro partito che condannarono Primiano assente. Per questo, dunque, abbiamo contestato loro che quel concilio non danneggiò Ceciliano, come il secondo non nocque a Primiano, in quanto i due concili furono celebrati contro imputati assenti. Costoro, non sapendo più cosa rispondere e ridotti ad un terribile imbarazzo, sostennero che né una causa pregiudica un'altra causa, né una persona pregiudica un'altra persona. Questo principio, la Chiesa cattolica lo ha sempre sulle labbra per controbattere tutte le calunnie degli uomini, ma oggi lo sostiene con ben maggiore energia e libertà, ora che la confessione stessa dei suoi nemici è venuta a confermare ciò che la verità ha sempre sostenuto. Chi, dunque, potrà tollerare senza profonda tristezza, chi reprimerà il proprio gemito, chi non scoppierà in lacrime e in grida di dolore, se considererà degnamente questo fatto? Eccolo: nel primo caso si tratta di conservare l'episcopato a Primiano, condannato dai vescovi del partito di Donato, o di tutelare la setta di Donato da eventuali reazioni di Primiano per la sua condanna, perché una causa non pregiudica un'altra causa, né una persona pregiudica un'altra persona; nel secondo caso, invece, si tratta di spogliare del proprio titolo episcopale Ceciliano, ugualmente condannato in sua assenza dai suoi nemici, e di contaminare con la sua colpa tutti i popoli cristiani fino agli estremi confini della terra, perché una causa pregiudica l'altra causa e una persona pregiudica l'altra persona. 4.4 - La voce di tutte le Chiese contro il partito di Donato Allora, gridino pure, con la voce della stessa unità, le Chiese del Ponto, della Bitinia, dell'Asia, della Cappadocia e delle altre regioni d'Oriente, alle quali scrive ( 1 Pt 1,1 ) il beato apostolo Pietro: " Partito di Donato, noi non sappiamo ciò che voi dite. Perché non siete in comunione con noi? Se Ceciliano ha fatto del male, che non ci è stato né provato né dimostrato con chiarezza; sì, se ha commesso del male, in che senso egli ci pregiudica? Se non ci volete ascoltare, ascoltate almeno voi stessi che dite: Né una causa pregiudica un'altra causa, né una persona pregiudica un'altra persona. O, forse, è capace di giungere a tanto la vostra perversità, da far valere questo principio per impedire che Primiano vi danneggi, e di non farlo valere perché Ceciliano ci danneggi "? Gridino ad alta voce anche le sette Chiese d'Oriente, alle quali l'apostolo Giovanni scrive, ( Ap 1,1 ) quella di Efeso, di Smirne, di Tiatira, di Sardi, di Filadelfia, di Laodicea, di Pergamo, e dicano: " Che cosa vi abbiamo fatto, fratelli, che avete preferito appartenere alla comunione del partito di Donato, anziché alla nostra? Se Ceciliano ha peccato - ma voi non avete potuto esibire le prove del suo misfatto, essendo stato condannato in sua assenza al pari di Primiano -, ebbene, qualunque sia stata la sua condotta, noi che cosa vi abbiamo fatto? Perché voi, che siete cristiani, non volete vivere in pace con i cristiani, e volete spezzare il vincolo dei sacramenti, comuni a tutti noi? Che cosa vi abbiamo fatto? Perché la causa di Primiano non pregiudica il partito di Donato, se è vero il principio che avete enunciato: una causa non pregiudica un'altra causa, né una persona pregiudica un'altra persona? Perché mai, dunque, la causa di Ceciliano pregiudica l'eredità di Cristo, nella quale il lavoro degli Apostoli ci ha piantato? A una di noi, l'apostolo Giovanni scrive che conta in Sardi solo pochi membri che non hanno macchiato le loro vesti; ( Ap 3,4 ) eppure, neanche a causa dei membri impuri di questa Chiesa sono state macchiate le vesti di quel piccolo numero, poiché il principio che voi avete citato è vero: una causa non pregiudica un'altra causa, né una persona pregiudica un'altra persona. Come dunque la causa e la persona di Ceciliano possono arrecare danno a noi? E, se essa non ci pregiudica, perché vi siete separati da noi? ". Parlino anche le Chiese, alle quali scrive l'apostolo Paolo: quella dei Romani, dei Corinzi, dei Filippesi, dei Colossesi, dei Tessalonicesi - abbiamo già parlato poco fa dei Galati e degli Efesini; che dicano dunque anch'esse: " Tutti i giorni, fratelli, leggete le lettere indirizzate a noi, voi che volete continuare a far parte del partito di Donato. Nelle stesse lettere l'Apostolo ci ha salutato con il nome della pace, dicendo: Grazia a voi e pace da parte di Dio Padre e del Signore Gesù Cristo. ( Rm 1,7 ) Perché avete appreso la pace leggendo le nostre lettere e vi rifiutate di mantenerla con noi? Noi, che ci troviamo in terre così lontane al di là del mare, saremmo responsabili del caso di un africano: Ceciliano? Senza alcun dubbio, il principio che voi citate è vero: una causa non pregiudica un'altra causa, né una persona pregiudica un'altra persona. Ma, allora, che santificazione privata e peculiare è mai questa, in virtù della quale a voi è permesso di sostenere che la causa dell'africano Primiano non pregiudica il partito africano di Donato, né la persona di Feliciano di Musti pregiudica la persona di Primiano di Cartagine, mentre i fatti pregiudizievoli dell'Africa sono addossati a noi, che siamo così lontane, e così la causa di Ceciliano ci pregiudica tutte? " 4.5 - Sentimento della Chiesa che è in Africa contro i Donatisti Parli anche la Chiesa cattolica, costituita nell'Africa stessa, e unita strettamente a tutte le altre nella comunione attraverso la pace e l'unità di Cristo; anch'essa dica: " La causa di Ceciliano non pregiudica neppure me, contro il quale, in sua assenza, settanta vescovi hanno pronunziato una sentenza di condanna, poiché questa causa non pregiudica affatto la Chiesa che è diffusa in tutto il mondo e con la quale io permango in comunione, altrimenti deve necessariamente pregiudicare il partito di Donato la causa di Primiano, che è stato pure condannato in sua assenza dai suoi colleghi in un concilio ben più numeroso. Se, dunque, essa non può pregiudicare, appunto perché una causa non pregiudica un'altra causa, né una persona pregiudica un'altra peRsona, a maggior ragione questo criterio di giustizia deve valere in favore dell'unità cattolica di Cristo, se anche il partito di Donato ne reclama l'applicazione in proprio favore ". Ecco ciò che proclama la Chiesa che è in Africa: " O partito di Donato, tu hai pronunciato queste parole, tu hai riconosciuto come tue queste parole, tu hai sottoscritto queste parole : una causa non pregiudica un'altra causa, né una persona pregiudica un'altra persona. Io leggo il nome di Ceciliano fra gli elenchi delle anime che riposano da gran tempo, tu vedi tuttora e frequenti fisicamente Feliciano, colui che ha condannato Primiano. Tu hai condannato Feliciano nella stessa causa di Primiano e poi lo hai unito a Primiano e a te come era prima, cioè nella dignità di vescovo. Se il principio, che una causa non pregiudica un'altra causa né una persona pregiudica un'altra persona, vale fino al punto che non ti pregiudica la comunione di Feliciano, il quale attualmente vive con te, come può pregiudicarmi la memoria di Ceciliano, morto da tanto tempo? " 4.6 - I cattivi non possono nuocere ai buoni, sia che siano ignorati sia che siano tollerati per tutelare la pace e la tranquillità della Chiesa Che cosa rispondono al riguardo coloro che continuano a spargere in mezzo a voi vuote menzogne, che potranno pregiudicare la loro stessa salvezza, se non si emendano? Perché continuano ancora a ripetere che noi abbiamo corrotto il giudice perché si pronunciasse in nostro favore? Non avremo per caso corrotto anche il vescovo, che gode di tanto merito presso di voi, il vostro brillante avvocato, perché pronunziasse quelle cose in nostro favore? L'obiettivo, infatti, che noi perseguivamo con la massima energia e puntiglio, era di dimostrare che la causa e la persona di Ceciliano, qualunque fosse la sua condotta, non aveva nulla a che vedere con la causa e la persona della Chiesa, che Dio ha reso salda con le sue divine testimonianze. Ed era anche quello di dimostrare, partendo dalle parabole evangeliche, che la causa e l'individualità della zizzania non pregiudica affatto la causa e l'individualità del grano, benché ambedue crescano insieme nello stesso campo e con la stessa pioggia fino alla mietitura, quando sarà necessario separarli; ( Mt 13,24-31 ) così pure la causa e l'individualità della paglia non pregiudica la causa e l'individualità del frumento: anche se saranno trebbiati insieme sulla stessa aia, la vagliatura finale li separerà; ( Mt 25,33 ) similmente la causa e l'individualità dei capri non pregiudica minimamente la causa e l'individualità delle pecore: ciascuno è ben custodito nei pascoli comuni, finché l'ultimo giudizio del pastore supremo li separerà, gli uni alla sua sinistra e gli altri alla sua destra; ( Mt 3,12 ) come anche la causa e l'individualità dei pesci cattivi non pregiudica la causa e l'individualità dei pesci buoni: benché siano racchiusi nella stessa rete, saranno separati all'approdo finale sulla riva, ove finisce il mare, cioè alla fine dei tempi. ( Mt 13,49 ) Queste parabole e figure preannunziano la Chiesa, che racchiuderà nel suo grembo buoni e cattivi sino alla fine del mondo, senza che i cattivi possano nuocere ai buoni, sia che siano ignorati sia che siano tollerati per tutelare la pace e la tranquillità della Chiesa - se, cioè, non sarà opportuno denunciarli o accusarli o non sarà possibile provare ai buoni la loro colpevolezza -, fermo restando però che non venga mai meno la vigilanza per emendare la condotta attraverso la correzione, la degradazione, la scomunica, ed ogni altro strumento disciplinare lecito e autorizzato che, salvaguardata la pace dell'unità, viene utilizzato quotidianamente nella Chiesa nel rispetto della carità, secondo il precetto dell'Apostolo che dice: Se qualcuno non obbedisce a quanto diciamo per lettera, prendete nota di lui e interrompete i rapporti, perché si vergogni; non trattatelo però come un nemico, ma ammonitelo come un fratello. ( 2 Ts 3,14-15 ) In tal modo la disciplina salvaguarda la pazienza e la pazienza stempera la disciplina, e sia l'una che l'altra sono finalizzate alla carità, per evitare che la pazienza senza la disciplina favorisca l'iniquità o la disciplina senza la pazienza dissolva l'unità. 5.7 - I Donatisti non hanno compreso le Scritture e hanno distrutto la stessa unità Quando i buoni si comportano così, non sono inquinati dai cattivi, perché rifiutandosi di acconsentire ai loro peccati, non solo non si compromettono con loro, ma si distaccano da loro, se non con il corpo almeno con lo spirito, a causa del diverso tipo di vita e della diversa condotta. In tal modo essi ottemperano al precetto del Signore che dice: Allontanatevi di là e non toccate l'impuro. ( Is 52,11 ) Infatti coloro che credono di non essere tenuti ad osservare questo comando in senso spirituale, per una sorta di sciocca arroganza, cadono in quell'errore che il Signore detesta per bocca dello stesso profeta: Essi dicono: Sta' lontano! Non mi toccare, perché sono puro; questo è il fumo della mia indignazione. ( Is 65,5 ) Ecco ciò che i vostri vescovi hanno creduto di dover fare, quando il giudice ci invitò a sedere gli uni accanto agli altri: essi rifiutarono di sedersi con noi, dicendo che la Scrittura inibiva loro di sedersi con siffatte persone. Senza dubbio avevano compreso, non in senso spirituale ma carnale, ciò che viene detto nel Salmo: Io non sederò con gli empi; ( Sal 26,5 ) e tuttavia fecero ciò che nello stesso testo del Salmo viene ugualmente proibito. Infatti lì il profeta dichiara: E non mi associerò mai con gli operatori di iniquità. ( Sal 26,4 ) Se dunque non vollero sedere con noi perché o ci conoscevano o ci consideravano iniqui, come mai, cosa altrettanto vietata, entrarono per stare con noi, in parte santi e in parte contaminati? Non sarà forse perché, non avendo compreso le sante Scritture e interpretandole in senso carnale, essi avevano distrutto anche la stessa unità? 5.8 - I buoni non sono in comunione con i cattivi, ma con l'altare e con i sacramenti di Dio No, i cattivi non inquinano i buoni che si trovano nello stesso campo, nella stessa aia, negli stessi pascoli, nelle stesse reti, poiché i buoni non sono in comunione con loro, ma con l'altare e con i sacramenti di Dio. Sono invece in comunione con i cattivi, coloro che sono conniventi con i loro peccati; è scritto infatti: Non solo coloro che fanno tali cose, ma anche coloro che sono d'accordo con coloro che le fanno. ( Rm 1,32 ) 6.8 - I cattivi non fanno alcun tipo di società con i buoni, né quella del regno dei cieli, né quella del fuoco eterno Ma quando i cattivi sono tollerati per la necessità di salvaguardare la pace, non si desidera la loro compagnia per essere complici della loro iniquità, affinché il buon grano assorba insieme alla zizzania la stessa pioggia soave, conservando tuttavia la propria fecondità senza diventare sterile come la zizzania, ma l'uno e l'altra crescano insieme fino alla mietitura, per evitare che, cogliendo la zizzania, si sradichi anche il grano buono. Quando si tollerano così i cattivi, essi non condividono nulla della salvezza o della perdizione con i buoni: Quale rapporto infatti ci può essere tra la giustizia e l'iniquità? I cattivi non fanno alcun tipo di società con i buoni, né quella del regno dei cieli, né quella del fuoco eterno: Quale connubio infatti può esserci fra le tenebre e la luce? ( 2 Cor 6,14 ) I cattivi non sono neppure in consonanza di vita o di volontà con i buoni: Quale intesa infatti può esserci fra Cristo e Belial? I buoni non condividono con i cattivi né la pena del peccato, né il premio della pietà: Quale parte infatti può avere il fedele con l'infedele? ( 2 Cor 6,15 ) Mentre si trovano insieme nelle stesse reti, finché non giungono a riva, entrambi ricevono gli stessi sacramenti divini, ma gli uni sono uniti e gli altri sono separati, qui c'è il consenso e là il dissenso; gli uni fruiscono della misericordia, gli altri del giudizio. Poiché la Chiesa canta al Signore la misericordia e il giudizio, ( Sal 101,1 ) chi mangia indegnamente, mangia la condanna, non per gli altri ma per sé. ( 1 Cor 11,29 ) Dello stesso pane, infatti, offerto dalla mano stessa del Signore, Giuda ricevette una parte e Pietro l'altra; e tuttavia quale consorzio, quale accordo, quale partecipazione in comune fra Pietro e Giuda, dal momento che una causa non pregiudica un'altra causa né una persona pregiudica un'altra persona? 6.9 - Le Scritture impiegano la parola mondo, non solo in senso negativo ma anche positivo Dunque, escano pure dalla Chiesa, sia coloro di cui sta scritto: Sono usciti di mezzo a noi, ma non erano dei nostri, ( 1 Gv 2,19 ) sia coloro che sembrano restare dentro, di cui il beato Cipriano parla in termini molto netti quando dice: " Anche se si nota nella Chiesa la presenza della zizzania, essa tuttavia non deve costituire un impedimento per la nostra fede o carità, tale da farci abbandonare la Chiesa perché in essa abbiamo scoperto la zizzania ". A queste parole i vostri vescovi non hanno osato dare la minima risposta, malgrado abbiano inutilmente e a lungo sostenuto che l'immagine della zizzania non era mai stata predetta e applicata alla Chiesa, poiché il Signore ha detto: Il campo è questo mondo, ( Mt 13,38 ) e non: " Il campo è la Chiesa ". Noi, al contrario, affermavamo che in questo caso il mondo significava la Chiesa, e così lo intese anche Cipriano, poiché la parabola prefigurava la Chiesa che si sarebbe diffusa nel mondo intero. Su questo punto essi sostenevano che il termine mondo aveva sempre un significato peggiorativo, e fornivano alcuni testi presi dalle Scritture, come questo: Se uno ama il mondo, l'amore del Padre non è in lui, ( 1 Gv 2,15 ) e altri simili; noi invece rispondevamo che le Scritture impiegano la parola mondo, non solo in senso negativo ma anche positivo, e ricordavamo tra l'altro il testo seguente: È stato Dio a riconciliare a sé il mondo in Cristo, ( 2 Cor 5,19 ) Lui che certamente non riconcilia a sé se non la Chiesa. Dunque, sia che i cattivi escano fuori sia che restino dentro in modo occulto o palese, la misericordia e la giustizia di Dio fanno sì che i cattivi non nuocciano ai buoni, i quali non acconsentono alle loro opere, ma ambedue portino il proprio fardello, ( Gal 6,5 ) e che neppure il figlio si veda addebitare i peccati del padre, a meno che non lo abbia imitato nel male; insomma, solo l'anima che ha peccato, essa stessa morirà. ( Ez 18,4 ) 7.9 - Chi imita nel male i cattivi, ne sopporta le conseguenze Pertanto, chiunque è connivente con i cattivi per compiere il male, fa già causa comune con loro e forma un'unica persona con tutta la società dei malvagi. Per questo preciso motivo, quando essi periscono insieme e insieme sono dannati, è la propria causa e la propria persona che ciascuno pregiudica, non quella degli altri. Quando invece i buoni e i cattivi ascoltano insieme la medesima parola di Dio e ricevono insieme i sacramenti di Dio, e tuttavia differiscono le cause delle proprie azioni, quindi le persone sono distinte per la loro differente volontà: gli uni mangiano degnamente lo stesso cibo santo e gli altri indegnamente, perché una causa non pregiudica un'altra causa né una persona pregiudica un'altra persona. 7.10 - I Donatisti sono in contrasto tanto con i Cattolici che con le Scritture Quali che siano, dunque, le testimonianze delle divine Scritture che i vostri vescovi abbiano potuto addurre, le quali preannunziavano una Chiesa immune da qualsiasi commistione con gli uomini malvagi, non si trattava certo della Chiesa allo stato attuale, ma di quella che sarà, dopo questa vita mortale, nella vita eterna. Così pure, quali che siano le testimonianze delle Scritture che hanno citato a proposito dei figli, i quali, secondo loro, facevano causa comune con i loro genitori, precisamente per la colpevolezza dei loro padri, e benché non li avessero imitati nel male, costoro, non interpretando correttamente le testimonianze divine, le costringevano a cozzare fra loro, anziché ricondurle a una perfetta concordanza, distinguendo bene nei diversi testi quando Dio parlava di differenti condizioni di tempi, cause e persone. E così, come si opponevano a noi, altrettanto pretendevano che i testi divini fossero in contrapposizione fra loro. Non c'era da meravigliarsi se non comprendevano l'armonia delle Scritture di Dio coloro che non erano in pace con la sua Chiesa! 8.11 - Si devono distinguere bene i tempi della Chiesa Noi, invece, accettando i due gruppi di testimonianze, dimostravamo anche la loro vicendevole concordanza. Infatti, accettavamo come riferito alla Chiesa sia il testo che avevano citato nella loro lettera: Mai più entrerà in te incirconciso e impuro, sia l'altro: Lasciate che l'una e l'altro crescano insieme fino alla mietitura, ( Mt 13,30 ) però affermavamo che quest'ultimo riguarda il campo, mentre il primo si realizzerà nel granaio. Così, dopo aver polemizzato lungamente con noi nel sostenere che la zizzania, lasciata crescere con il grano fino alla mietitura, si trovava nel mondo e non nella Chiesa, finirono per trovarsi in disaccordo anche con ciò che intendeva il martire Cipriano, il quale disse: " Anche se si nota nella Chiesa la presenza della zizzania, questo tuttavia non deve costituire un impedimento per la nostra fede o carità, tale da farci abbandonare la Chiesa perché in essa abbiamo scoperto la zizzania ". Inoltre, non accettano di ammettere che il termine mondo possa significare la Chiesa, malgrado si trovino in disaccordo con le parole dell'Apostolo: Dio ha riconciliato a sé il mondo in Cristo, ( 2 Cor 5,19 ) e contro l'affermazione del Signore stesso: Il Figlio dell'uomo non è venuto per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui. ( Gv 3,17 ) Come potrebbe, infatti, il mondo essere riconciliato con Dio e salvato da Cristo, se il termine mondo non significasse qui la Chiesa, unica ad essere salvata, in quanto riconciliata con lui per mezzo di Cristo? Tuttavia, circa quella parabola evangelica da noi citata, che, tanto i pesci buoni quanto i cattivi, sono mescolati insieme nelle stessi reti finché non verranno separati sulla riva, cioè alla fine del mondo, ( Mt 13,47-50 ) i vostri vescovi, vinti dall'evidenza della verità, hanno dovuto ammettere che, sì, nella Chiesa si incontrano cattivi mescolati ai buoni sino alla fine del mondo, ma essi sono occulti, poiché i sacerdoti ignorano la loro presenza, così come i pescatori ignorano quali pesci siano nelle reti finché sono nel mare. Ma, allora, come si può applicare alla Chiesa del tempo presente il testo del profeta che essi avevano inserito nella loro risposta: Mai più entrerà in te incirconciso e impuro, ( Is 52,1 ) se la Chiesa è raffigurata nelle reti, tuttora sommerse nel mare, nelle quali hanno ammesso che si trovano alla rinfusa pesci buoni e pesci cattivi, senza che si possano distinguere? La cosa è dunque chiara: soltanto nel secolo futuro, dopo il giudizio, nessun circonciso e impuro passerà per la Chiesa. Oh, violenza della verità, che torce i suoi nemici non nella carne, ma nel cuore, fino al punto che essi sono costretti a confessarla contro la loro volontà! 9.12 - La Chiesa non è adesso quella che sarà dopo la risurrezione Così è stato chiarito perfettamente ciò che noi sostenevamo: si devono distinguere bene i tempi della Chiesa; essa non è adesso quella che sarà dopo la risurrezione: ora è mescolata ai cattivi, allora non ne avrà assolutamente più. È alla purezza della Chiesa futura, non alla commistione di questo tempo, che fanno riferimento i testi scritturistici, attraverso i quali Dio predisse che sarebbe stata liberata del tutto dalla mescolanza con i cattivi. Ecco ciò che la verità del Vangelo li ha costretti ad ammettere senza scampo, nel momento in cui hanno affermato che in essa attualmente sono mescolati in incognito i cattivi. Non è dunque questo il tempo, di cui ha predetto il profeta: Mai più passerà in te l'incirconciso e l'impuro. ( Is 52,1 ) Dunque, adesso essi passano, anche se occultamente. Del resto, anche l'espressione: non passerà più ormai sta a dimostrare che essi prima passavano abitualmente, dopo invece non vi passeranno più. E intanto ci domandavano, non senza malizia, come mai il diavolo potesse seminare la zizzania nella Chiesa di Cristo, dal momento che proprio loro affermavano che nella Chiesa erano mescolati i cattivi, almeno in modo occulto, e non volevano ammettere che fosse stato sicuramente il demonio a seminarli. 10.13 - Nella Chiesa anche i cattivi notori sono mescolati ai buoni Ad essi sembrava di aver fatto una trovata davvero geniale, ma essa si ritorceva piuttosto contro di loro. Se infatti il Signore ha paragonato la Chiesa alle reti che raccolgono tanto i pesci buoni quanto i cattivi, è perché volle farci capire che i cattivi nella Chiesa non sono manifesti ma occulti, e neppure i sacerdoti li conoscono, proprio come avviene sott'acqua, per cui i pescatori ignorano che cosa sia andato a finire nelle reti. Così pure l'ha paragonata all'aia per preannunziare che in essa anche i cattivi notori sarebbero stati mescolati ai buoni. Infatti neppure la paglia, che nell'aia è mescolata al frumento, è nascosta sotto i flutti; al contrario, è talmente visibile agli occhi di tutti, che è piuttosto il frumento ad essere nascosto, mentre essa si vede bene. Su questa parabola dell'aia, che abbiamo estratta dal Vangelo insieme ad altre, essi non hanno potuto scrivere nulla contro di noi nella loro lettera, salvo citare il testo del profeta Geremia: Che rapporto c'è tra la paglia e il grano? Se lui si è espresso così, è per indicare che [ il grano e la paglia ] non si somigliano punto, ma non perché non possono stare mescolati; e non saranno insieme nel granaio, ma non perché non sono ugualmente trebbiati sull'aia. D'altra parte Geremia, quando pronunciava queste parole, non si riferiva tanto al popolo di Dio, ma ai sogni degli uomini e alle visioni dei profeti: due realtà che non possono essere assolutamente paragonate fra loro, proprio come non si può paragonare la levità della paglia con il turgore del frumento. 10.14 - Sarebbe meglio se i Donatisti si correggessero anziché falsificare i testi evangelici Naturalmente i vostri vescovi tentarono di sostenere che non esiste alcun testo del Vangelo, in cui la Chiesa venga paragonata a un'aia; ma subito dopo, convinti dalla citazione delle parole evangeliche, cambiarono parere fino al punto di dire che lì si parlava di cattivi occulti, non notori, dei quali è scritto: Egli ha in mano il ventilabro, pulirà la sua aia e raccoglierà il suo grano nel granaio, ma brucerà la pula con un fuoco inestinguibile. ( Mt 3,12 ) Ebbene, giudicate voi stessi, aprite gli occhi, tendete le orecchie alla verità! Se dunque il Signore, stando alle loro asserzioni, paragonò davvero la Chiesa alle reti perché voleva intendere che in essa i cattivi non sono manifesti, ma occulti, e quindi ignoti ai sacerdoti, così come sono occulti e quindi ignoti ai pescatori i pesci nelle reti sommerse tra i flutti, forse che il grano sull'aia si trebbia anche sott'acqua o sottoterra, di notte anziché nel solleone, oppure il contadino che vi lavora è cieco? Quanto sarebbe meglio, dunque, se costoro si correggessero anziché falsificare i testi evangelici, forzando le parole del Signore per renderle conformi ai menzogneri errori della loro mente! Una delle due: o il Signore ha esposto anche la parabola dei pesci per raffigurare, non tanto i peccatori occulti nella Chiesa, quanto la mescolanza in essa di tutti i peccatori, o certamente ha scelto per ciascuna categoria una parabola distinta: quella dei pesci per i peccatori occulti e quella dell'aia per i peccatori notori, in quanto essi sono mescolati ai buoni nella Chiesa, gli uni prima di giungere a riva, gli altri prima di essere vagliati col ventilabro. [ I vostri vescovi ] in effetti ci avvertono che l'immagine della paglia sull'aia sta a significare i peccatori notori nella Chiesa, e vogliono altresì farci capire che i pesci cattivi, nuotando dentro le reti, rappresentano i peccatori occulti, poiché, come i sacerdoti ignorano questi, così i pescatori ignorano quelli. Perché allora non potremmo dire: " Dunque, anche la paglia raffigura i peccatori notori, poiché i trebbiatori la vedono bene allo scoperto "? Ma, come non è possibile selezionare i pesci prima di averli tratti a riva, così neppure la paglia può essere vagliata prima del termine fissato. Dio però salvaguarda l'innocenza dei suoi santi e dei suoi fedeli, che sono i suoi buoni pesci, il suo pingue frumento, affinché nelle reti non nuoccia loro la mescolanza con i tipi di pesce da buttar via, e sull'aia non rechi danno la mescolanza con la paglia da ventilare, poiché, come essi stessi dichiararono, ribadirono e sottoscrissero, una causa non potrà mai pregiudicare un'altra causa né una persona potrà mai pregiudicare un'altra persona. 11.15 - I Donatisti, anche se costretti e nolenti, hanno dovuto sottoscrivere i loro interventi Essi probabilmente negheranno di aver mai pronunziato queste parole, a meno che la loro stessa firma non li inchiodi. Notate dunque con quanta sollecitudine ci siamo adoperati per la vostra salvezza, tanto da firmare i nostri interventi! Essi non volevano firmare assolutamente, ma alla fine si sono sentiti obbligati per un senso di dignità. Ne fanno fede le loro dichiarazioni, conservate agli atti, dalle quali risulta sia il loro rifiuto iniziale, sia il loro successivo assenso a fare ciò che in un primo tempo avevano ricusato. Tutto è stato scritto e da tutti sottoscritto. Dunque, se ne deduce che non volevano firmare per poter negare di aver detto quanto avevano dichiarato e per accusare il giudice di aver manipolato gli atti. Dato che ora non possono farlo più, sostengono che il giudice stesso sia stato corrotto. Ora, se lui si è pronunziato contro di loro, essi lo devono unicamente a se stessi, perché hanno fornito davvero molti argomenti a noi favorevoli e a loro contrari. Non possono negarlo: anche se costretti e nolenti, hanno dovuto sottoscrivere i loro interventi. È chiaro dunque che non volevano firmare per poter smentire quanto avevano detto, ricorrendo pretestuosamente alla calunnia che gli atti erano stati falsificati. Se, in seguito, su istanza del giudice, hanno acconsentito a firmare, è perché si sono resi perfettamente conto che, persistere nel loro rifiuto, non avrebbe avuto altro significato se non di mostrare a tutti che avevano una gran paura di sentirsi leggere le proprie dichiarazioni. Di fatto preferirono difendere in un secondo tempo le loro dichiarazioni con tutti i loro arzigogoli, piuttosto che condannarle prontamente. 12.16 - I Donatisti più si difendono e più si condannano Ma osservate, vi prego, come proprio la loro linea difensiva abbia peggiorato notevolmente la loro posizione, dando un sostegno alla nostra causa e un colpo di grazia alla loro. Infatti, dopo la conferenza, essi interposero appello avverso la condanna, e gli fu risposto con queste stesse parole, ed essi aggravano ancora la loro posizione volendo difenderle se voi domandate loro ciò che hanno fatto. Pensano che abbiate così poco buon senso, da non capire che essi sono stati definitivamente sconfitti, perché continuano a ripetervi delle storie che non racconterebbero mai e poi mai, se trovassero qualcosa di utile da dire. Chi può sopportare di stare a sentire gente sconfitta, che recrimina perché la sentenza è stata consegnata loro di notte? Come se i giudici non fossero spesso costretti, per esigenze del processo, a sedere in tribunale fino a notte inoltrata! Quasi che una cosa non sia vera solo perché è stata detta di notte! Non sentono il grido della Scrittura: Di giorno il Signore mi dona la sua misericordia e di notte si manifesta; ( Sal 42,9 ) e ancora: Per annunziare al mattino la tua misericordia e la tua verità lungo la notte. ( Sal 92,3 ) Proprio loro hanno affermato che i persecutori vennero di notte ad arrestare il Signore, senza tener conto che anche il Signore durante le ore notturne predicò la verità ai suoi discepoli; ( Gv 3,1-21; Gv 13,30-31 ) né hanno voluto tener conto di ciò che è scritto: che l'apostolo Paolo prolungò un sua conversazione fino a mezzanotte. ( At 20,7 ) Se essi avessero avuto una verità da comunicare, la notte certamente non avrebbe potuto impedirglielo. Invece non c'è dubbio che un'altra notte, fonda di tenebre, gravava sulle loro menti, quando producevano contro se stessi argomentazioni così insensate, né hanno voluto modificare il loro animo perverso con la luce della verità. In realtà, era ancora pieno giorno quando eccepivano, secondo l'uso forense, che la nostra richiesta era andata in prescrizione, dichiarando perciò decaduta la causa e assolutamente non più trattabile, senza rendersi conto che davano a vedere pubblicamente di avere soltanto una gran paura di affrontare un processo, che avrebbe svelato luminosamente a tutti la loro perversità e la verità cattolica. 13.17 - Il caso di Milziade, di Stratone e di Cassiano Era ancora giorno, quando tentarono di invalidare la sentenza del vescovo di Roma, Milziade, che discolpò e assolse Ceciliano, denunciando anche lo stesso Milziade come traditore. E poiché si esigeva da essi di provare tale accusa, lessero un documento interminabile, nel quale non compariva affatto il nome di Milziade per aver consegnato alcunché. Produssero ancora altri atti, in cui si leggeva che Milziade aveva inviato al prefetto della città alcuni diaconi, muniti di lettere dell'imperatore Massenzio e del prefetto del pretorio al prefetto della città, per recuperare i luoghi confiscati ai cristiani durante la persecuzione. E poiché non emerse il minimo indizio sulla colpevolezza di Milziade, sostennero che negli atti relativi al crimine di tradizione, letti anteriormente, era stato menzionato un certo Stratone come traditore, nome che portava anche uno dei diaconi inviati da Milziade per recuperare i beni della Chiesa. Sostenevano che si trattasse proprio di lui, senza riuscire però a fornirne le prove. E neppure riuscirono a dimostrare che il presunto traditore Stratone fosse almeno un diacono. Ammesso che realmente fosse così, noi rispondemmo loro che, per un breve periodo di tempo, ci furono nel clero della Chiesa di Roma due diaconi di nome Pietro. Ma essi erano talmente accecati nella loro mente che continuavano a lanciare oscure calunnie, con l'aggiunta di una menzogna più che evidente: la coincidenza non soltanto del nome, ma anche delle località, delle regioni e delle persone, che concorrevano nel dimostrare che non si trattava d'altri se non di questo Stratone, benché negli atti non vi fosse la minima concordanza con tutto ciò, all'infuori dell'identità del nome. Ora, fa parte del costume più consolidato del genere umano che, non solo due, ma più persone siano chiamate con lo stesso nome. E lo dimostrarono molto bene con il loro Donato di Cartagine: temendo di vederlo condannato dal tribunale di Milziade, poiché lo tengono in grande considerazione, protestarono vibratamente che non lo si doveva confondere con Donato di Case Nere, perché questo Donato di Cartagine non era stato inviato contro Ceciliano al tribunale episcopale di Milziade. Era talmente fonda la notte che gravava sul loro cuore, da non volere che Donato fosse disonorato per la rassomiglianza con il nome di un altro, mentre pretendevano di infangare Milziade perché aveva un nome simile a quello di un altro. Ora, invece, si dice che aggiungano al nome di Stratone anche quello di Cassiano, di cui non avevano fatto parola durante la conferenza. Come se soltanto Stratone potesse avere un omonimo, e non anche Cassiano! Così pure, sempre ottenebrati dalla loro notte interiore, non si sono accorti che, oltre ai due Giovanni, il Battista e l'Evangelista, vi sono due Simone, uno Pietro e l'altro Mago; e per finire, persino nel ristretto gruppo degli Apostoli si contano, non soltanto due Giacomo, uno figlio di Alfeo e l'altro di Zebedeo, ma anche due Giuda, uno santo e l'altro demonio. ( Mt 10,2-4; Lc 6,14-16 ) E chi mai avrà lo spirito così ottenebrato da incriminare l'Apostolo Giuda del tradimento di Giuda, a meno che non voglia imitare costoro! Non c'è affatto da stupirsi se la reputazione di Milziade subisse dopo tanto tempo, a proposito dei due Cassiano o dei due Stratone, calunnie da parte loro, parallelamente a quelle che subì la verità del Vangelo a proposito dei due Erode. Infatti, poiché non è specificato quale sia l'Erode che massacrò gli innocenti al posto di Cristo e subito dopo morì, né quale Erode si unì a Pilato per perseguitare Cristo, qualcuno potrebbe pensare che si tratti dello stesso individuo, e quindi accusa il Vangelo di falsità, proprio come costoro, i quali pensano che vi sia stato un solo Stratone o un solo Cassiano e rimproverano a Milziade il crimine di tradizione. Ora, equivocare sul nome di Erode è un errore più tollerabile, poiché in tal caso vi è una certa concordanza, non solo sul nome ma anche sulla dignità - si legge infatti di entrambi: il re Erode -, costoro invece hanno inventato una concordanza inesistente di dignità, in quanto non hanno potuto in alcun modo leggere che quei due fossero diaconi. 14.18 - Autenticità del Concilio di Cirta Era ancora giorno, quando essi tentarono di dimostrare l'inautenticità del concilio di Cirta, seppur si possa chiamare concilio una riunione di appena undici o dodici vescovi, da cui abbiamo citato alcuni testi, in base ai quali risulta che certuni, che si erano pronunciati con Secondo di Tigisi per condannare Ceciliano, erano traditori. Costoro, volendo dimostrare il falso, dichiararono che durante la persecuzione era assolutamente impossibile per quegli undici o dodici vescovi tenere una riunione in qualche casa. E per provare che era tempo di persecuzione, presentarono gli atti dei martiri, affinché, compulsando le date e i nomi dei consoli, si potesse determinare con certezza di quale epoca si trattasse. In effetti, questi atti dei martiri li produssero contro se stessi, a loro confusione, poiché sono proprio quegli atti che rivelano chiaramente come le comunità cristiane usassero riunirsi in quel periodo di persecuzione. Da ciò risultò con certezza che non era inverosimile sentir leggere che anche quei vescovi si fossero riuniti in una abitazione privata, per ordinare clandestinamente un vescovo per quei fedeli che, potendolo fare, si riunivano anche durante la persecuzione, come appunto raccontano gli atti dei martiri. A sua volta, questo vescovo avrebbe potuto ordinare clandestinamente altri chierici, che lo coadiuvassero in una emergenza così grave, per il fatto che il vescovo suo predecessore con il proprio clero aveva defezionato, come risulta dalla stessa lettera di Secondo, che essi avevano allegato. Gli atti dei martiri che costoro esibivano, ci suggerirono l'idea di consultarne altri, e così vi scoprimmo, facendolo notare opportunamente, che in piena persecuzione era stata messa a disposizione una casa privata per le riunioni dei cristiani, cosa che essi avevano dichiarato impossibile, e persino in carcere erano stati battezzati alcuni confessori della fede in Cristo. Da questi elementi, essi poterono rendersi conto che non era poi così incredibile il fatto che un gruppetto di vescovi si riunisse in una casa privata durante la persecuzione, quando addirittura in un carcere si celebravano i sacramenti di Cristo, nel quale erano detenuti i confessori della fede in Cristo. Quale enorme aiuto, dunque, ci sia venuto dagli atti dei martiri, chiunque lo può constatare, a meno che non abbia nel suo cuore la stessa notte, che avevano questi ciechi! 15.19 - Futili obiezioni dei Donatisti Altro punto d'accusa da parte loro contro questi atti di Cirta: vi si leggeva la data e i consoli; pretendevano quindi che citassimo eventuali concili ecclesiastici con la registrazione della data e dei consoli. A tal proposito menzionavano il testo del concilio di Cartagine, privo di data e di consoli. Inoltre sostenevano che il concilio di Cipriano non faceva menzione dei consoli, benché recasse la data; ma il loro concilio di Cartagine non registrava neppure la data. Da parte nostra, dimostrammo loro che gli atti del concilio romano di Milziade, di cui avevamo il testo a portata di mano, analogamente a quello del concilio di Cirta, registravano la data e i consoli. Evidentemente, in quel momento, non ci interessava andare a sfogliare la data negli antichi archivi ecclesiastici per far vedere che questa consuetudine era già in uso da lungo tempo. Nonostante ciò, non abbiamo voluto opporre anche noi futili obiezioni sul fatto che nel concilio di Cipriano si trovi la data, mentre nei loro non si trova, appunto perché cercavano di provocare una serie di inutili ritardi, che noi invece cercavamo di evitare. Tant'è vero che esigevano da noi anche questo: mostrare dalle sacre Scritture una indicazione di data e di consoli, come se i concili dei vescovi fossero mai stati i loro libri, da equipararsi alle Scritture canoniche, o come se potessero citare nelle sante Scritture un concilio, in cui gli Apostoli abbiano presieduto come giudici ed abbiano condannato o assolto qualche imputato! E tuttavia noi contestammo loro che anche i profeti avevano autenticato i loro libri, annotando con cura e precisione il tempo del loro messaggio e segnando l'anno di regno del re, il mese dell'anno e il giorno del mese, in cui la parola del Signore era discesa su di loro. In tal modo abbiamo voluto porre in risalto la loro somma leggerezza e malizia nel sollevare questioni inutili sulla data e i consolati dei concili episcopali. In effetti, può darsi che i codici offrano letture diverse, per cui alcuni annotano con maggiore diligenza anche le date e i consoli, altri le tralasciano perché superflue. Era il caso dell'esemplare, letto all'inizio, che registrava la sentenza di Costantino, il quale dichiarava, in presenza delle parti, l'innocenza di Ceciliano e condannava i Donatisti come vili calunniatori: essa non recava né data né consolato; invece una seconda copia, presentata in seguito per rispondere alle loro accuse, portava tali indicazioni. Anche allora avevano sostenuto con odioso accanimento che noi avevamo letto una lettera dell'imperatore senza data e consolato; tuttavia anch'essi avevano letto un'altra lettera dell'imperatore senza menzione di data e console, scritta a proposito del processo di Felice, il consacrante di Ceciliano, che con incredibile cecità avevano prodotto contro se stessi. Noi comunque non abbiamo obiettato nulla al riguardo per non perdere altro tempo prezioso in schermaglie inutili. Se ve ne parliamo adesso, è perché, almeno voi, apriate gli occhi per evitare di sprofondare in quella notte tenebrosa che portavano nel cuore i vostri vescovi, essi che rimproveravano al giudice di aver pronunciato di notte la sentenza su questa causa; ma intanto, in pieno giorno, essi erano riusciti a dire con sorprendente cecità tali e tante cose contro se stessi, avvolti com'erano nelle tenebre interiori. 16.20 - Il famoso Donato, l'illustre Donato ha definito e dichiarato la colpevolezza di Ceciliano Negli atti del magistrato di Cartagine si legge la dichiarazione di Primiano, in cui dice espressamente che i loro antenati hanno vessato i loro padri con ogni tipo di esilio. Durante la conferenza [ i vostri vescovi ] hanno tentato di provare che, sulla base delle accuse dei loro antenati, l'imperatore condannò Ceciliano all'esilio. Nella loro lettera, essi sostengono che la loro comunione è la Chiesa della verità, quella che subisce la persecuzione anziché infliggerla; si affannano perciò a dimostrare che Ceciliano è stato condannato dalla sentenza dell'imperatore in seguito alle denunce dei loro antenati. Ora, essi attribuiscono questo fatto, non a Donato di Case Nere, ma a colui che esaltano al di sopra di tutti: Donato di Cartagine. Ecco ciò che tentano di accreditare, a quanto si dice, con i loro libelli, in cui gli sconfitti accusano il giudice, poiché la verità durante la notte ha confutato la notte del loro cuore. Il famoso Donato, sì, l'illustre Donato, che hanno chiamato l'ornamento della Chiesa di Cartagine ed eroe con l'aureola del martirio, per esaltarne il valore, sono giunti al punto di affermare che era stato proprio lui a dichiarare colpevole e a far condannare Ceciliano davanti al tribunale dell'imperatore Costantino. Dunque, questo eroe con l'aureola del martire ha definito e dichiarato la colpevolezza di Ceciliano davanti al tribunale dell'imperatore; in conseguenza di questa deposizione, fu irrogata a Ceciliano la condanna dell'imperatore! Ma noi abbiamo dimostrato irrefutabilmente che questo è falso, quando abbiamo letto una lettera dello stesso imperatore, tirata fuori dagli archivi pubblici, nella quale egli attesta di aver ascoltato le parti e pronunziato una sentenza che dichiara Ceciliano prosciolto e innocente, e respinge con forza le loro accuse. A questa lettera essi non trovarono assolutamente nulla da controbattere, anzi, senza volerlo la confermarono, producendo altri documenti a loro sfavore. Pertanto, è vero che Ceciliano fu accusato dai loro antenati presso l'imperatore, ma non consta affatto che sia stato condannato: risulta al contrario che è stato assolto. Perciò, almeno voi, rendetevi conto dell'aiuto che proprio i vostri vescovi hanno dato alla nostra causa, essi che volevano gloriarsi anche di questa menzogna! Se Donato, questo eroe dall'aureola del martire, ha veramente sostenuto davanti al tribunale dell'imperatore la colpevolezza di Ceciliano, se le accuse e gli intrighi di questo eroe dall'aureola del martire hanno fatto condannare realmente Ceciliano dall'imperatore, allora essi devono dire davanti a voi chi era veramente il martire in tutta questa faccenda: Donato, che tentava di far condannare questa persona dall'imperatore, o Ceciliano, che per la denuncia di costui sarebbe stato condannato dall'imperatore? Dov'è andato a finire il loro famoso e inderogabile principio: la comunione di Donato è la vera Chiesa, quella che subisce la persecuzione anziché farla? Ecco: Ceciliano la subisce, Donato la fa. Chi di loro è l'eroe con l'aureola del martire? 17.21 - I Donatisti si danno le arie di essere la Chiesa della verità, che subisce la persecuzione ma non la fa Fate attenzione! Riflettete bene, e non lasciatevi sedurre ancora da un errore esiziale. La verità che vi veniva occultata, Dio si è degnato di manifestarla; la falsità che vi accecava, Dio si è degnato di confutarla. Perché essere ancora ingrati di fronte a un tale beneficio? Questo, in realtà, è ciò che spesso vi dicevano: da qui stendevano con astuta menzogna un velo tenebroso sugli occhi del vostro cuore. Ora, benché sconfitti, continuano a vantarsene, a diffamarci pretestuosamente perché noi siamo i persecutori ed essi i perseguitati. Battuti ormai su tutti i fronti, ecco ciò che è restato loro per ingannare con i loro sofismi gente ignara: dandosi cioè le arie di essere la Chiesa della verità, che subisce la persecuzione ma non la fa. Non fatevi dunque più ingannare da costoro! Ciò che noi facciamo a loro è esattamente ciò che i loro antenati, con in testa colui che presentano come un eroe con l'aureola del martire, hanno inflitto a Ceciliano: cosa di cui vanno fieri! Sì, egli è responsabile di questo davanti all'imperatore, perché ha tentato di far condannare dal suo tribunale l'imputato Ceciliano; sì, anche noi abbiamo fatto ciò, perché essi fossero condannati e subissero la stessa sorte. Se questo è male, perché Donato lo faceva a Ceciliano? Se è bene, perché la Chiesa cattolica non potrebbe farlo al partito di Donato? Anzi, essi sono più che mai convinti di comportarsi bene, essi vanno fieri di questo gesto dei loro antenati e lo lodano senza riserve; allora, neppure noi abbiamo alcun dubbio, noi che non possiamo negare di avere il preciso dovere di fare tutto il possibile perché questi perturbatori, che non accettano di emendarsi con i semplici avvertimenti, siano puniti senza spargimento di sangue, con la pena più mite possibile, a tenore delle leggi; e se, per caso, l'imperatore, irritato per la sacrilega ostinazione della loro volontà, decidesse di punirli con una condanna più pesante, i giudici si adoperino con maggior mitezza, avendo sempre facoltà di ridurre e attenuare i rigori della sentenza. Comunque, anche se non potrà essere dimostrato che Ceciliano è stato condannato dall'imperatore Costantino, intanto siamo riusciti a liberarvi dall'errore di credere che la vera Chiesa è quella che soffre la persecuzione, non quella che l'infligge. Donato l'ha inflitta, Ceciliano l'ha subita. E se il partito di Donato subisce la persecuzione, anche il partito di Massimiano la soffre con lui: partito che - parola dei vostri vescovi - non è la Chiesa di Cristo. Ne consegue anche che, infliggere la persecuzione, non è indizio di malvagità, poiché anche i buoni l'infliggono ai cattivi e i cattivi ai buoni; subire quindi la persecuzione non è di per sé indizio di rettitudine, poiché la subiscono non solo i buoni per la loro pietà, ma anche i malvagi per la loro empietà. 17.22 - Atrocità dei circoncellioni contro i Cattolici Rimosso questo errore, non vi resta dunque che vedere nella Chiesa cattolica la Chiesa di Cristo e restarvi fedeli. Non dovete affatto sceglierla perché essa subisce la persecuzione. Se è vero che il Signore ha detto: Beati coloro che soffrono persecuzione, per evitare che gli eretici se ne vantino, ha aggiunto: per causa della giustizia. ( Mt 5,10 ) In verità, anche voi conoscete molto bene gli orrendi crimini, perpetrati contro i nostri da quella razza furibonda di chierici e di circoncellioni del partito di Donato: chiese incendiate, libri santi gettati alle fiamme, bruciate anche case private, persone strappate dalle loro abitazioni, rapine e distruzioni di tutto ciò che vi si trovava, ed esse fatte a pezzi, straziate, accecate. Non si arrestarono neppure di fronte all'omicidio, benché sia meno crudele togliere a un morente la luce della vita che privare un vivente della luce dei propri occhi. Si dava la caccia alle persone, non per arrestarle e condurle in qualche luogo, ma semplicemente per torturarle. Comunque noi non dichiariamo giusti i nostri per il solo fatto di aver subito queste violenze, ma perché ciò è stato inflitto loro a causa della verità cristiana, per la pace di Cristo, per l'unità della Chiesa. Quanto ad essi, pur soggetti all'autorità di leggi così numerose e severe, e alla somma potestà che il Signore ha accordato alla Chiesa cattolica, che cosa hanno sofferto a causa di tutto ciò? Se subiscono talora la pena della morte, è perché o si suicidano o altri li uccidono per legittima difesa quando sono assaliti in modo cruento, non certo per la causa della comunione con il partito di Donato né per l'errore del loro sacrilego scisma, ma esclusivamente per i loro delitti e infamie, commessi alla luce del sole, secondo lo stile dei briganti, con furore e crudeltà inauditi. Invece, per il partito di Donato, essi a malapena soffrono una minima parte di quanto dovette soffrire, secondo loro, Ceciliano in seguito alle accuse di Donato. 17.23 - O non è ingiusta qualsiasi persecuzione, o non si deve chiamare persecuzione se è giusta Conclusione: o non è ingiusta qualsiasi persecuzione, o non si deve chiamare persecuzione se è giusta. Ne consegue che il partito di Donato o ha subìto una persecuzione giusta, oppure non ha subìto alcuna persecuzione, poiché l'ha subìta per giusti motivi. Ceciliano, invece, l'ha subìta senza un giusto motivo, perché è stata comprovata la sua innocenza ed è stato rimesso in libertà. Cosa che [ i vostri vescovi ] hanno negato, sostenendo piuttosto che sia stato l'imperatore a condannarlo; ecco perché hanno confessato che i loro antenati, ma soprattutto quel Donato che lodano tanto, hanno perseguitato Ceciliano. Naturalmente, non hanno potuto in alcun modo provare che egli sia stato dichiarato colpevole e condannato; anzi, come noi sostenevamo, sono stati proprio loro, con tutta una serie di documenti che li smentivano, a confermare la sua innocenza e il suo proscioglimento. Nonostante ciò, vanno sbandierando in giro che l'imperatore ha accordato loro la libertà! Sconfitti e smascherati, essi reclamavano tuttora, come una concessione loro dovuta, quella libertà che i loro antenati non vollero concedere a Ceciliano, accusandolo di fatto presso l'imperatore, e volendo far credere che, in base alle loro menzogne, Ceciliano fosse stato realmente condannato dall'imperatore. Ora, se è doveroso accordare a ciascuno la libertà, allora si doveva accordare prima di tutto a Ceciliano. Se poi il giudizio su tali questioni non si deve affidare a un giudice umano, ma piuttosto si deve rimettere a Dio, allora Ceciliano non doveva essere denunciato in prima istanza all'imperatore. 18.24 - D'ora in poi vivete nell'armonia della pace, aderite all'unità, acquietatevi nella carità, arrendetevi alla verità! Svegliatevi una buona volta! Non lasciatevi intorpidire da un sonno mortale! L'empia consuetudine non vi sommerga più nell'abisso di un errore sacrilego! D'ora in poi vivete nell'armonia della pace, aderite all'unità, acquietatevi nella carità, arrendetevi alla verità! Riconoscete che la Chiesa cattolica, che ha avuto il suo inizio da Gerusalemme, si estende dappertutto: con essa, il partito di Donato non è in comunione, la causa di Ceciliano non può più esserle di pregiudizio. Tante volte è già stato giustificato e tante volte è stato assolto; comunque, anche se non fosse stato innocente, una causa non pregiudica un'altra causa né una persona un'altra persona. Ecco l'appello che la Chiesa universale fa risuonare per tutto il mondo, che poi è anche il grido di un suo membro in Africa: "Io conosco la testimonianza di Dio, ignoro la questione di Ceciliano; credo innocente l'uomo, che i vostri antenati hanno perseguitato e che vedo ripetutamente assolto. Ma, qualunque sia la causa, essanon pregiudica per nulla la mia causa; qualunque sia la sua persona, essa non pregiudica affatto la mia persona. Voi lo avete proclamato, voi lo avete sottoscritto: Una causa non pregiudica un'altra causa, né una persona pregiudica un'altra persona. Ecco ciò che dice il Signore: A tutte le nazioni, cominciando da Gerusalemme. ( Lc 24,47 ) Aderiamo saldamente alla verità divina nell'unica Chiesa e poniamo fine, una buona volta, alle liti umane!". 19.25 - I Donatisti si sono trovati in una situazione molto più aggrovigliata Questo principio, da essi proclamato, che una causa non pregiudica un'altra causa né una persona pregiudica un'altra persona, hanno forse potuto sfruttarlo in qualche modo ai fini della loro difesa dopo la conferenza, o non si sono trovati piuttosto in una situazione molto più aggrovigliata? Ecco, infatti, ciò che affermano in alcuni loro scritti: " È stato riferito correttamente - dicono - che noi abbiamo sostenuto: Una causa non pregiudica un'altra causa né una persona pregiudica un'altra persona, ma soltanto in questo senso: Non arrecano pregiudizio alla nostra causa coloro che noi abbiamo espulso o coloro che abbiamo condannato. Quanto a coloro che discendono dall'ordinazione di Ceciliano, la cui dipendenza originaria da un simile predecessore annovera fra i colpevoli, come potrebbero non essere collegati ai crimini del loro consacratore, dal momento che la fune dei peccati, allungandosi a poco a poco, deve necessariamente rendere complici di peccato tutti coloro che ha legato insieme attraverso il vincolo della comunione? ". Apologia stupenda! È così densa e compatta la melma, nella quale sono affondati i loro piedi, che, sforzandosi inutilmente di tirarli fuori, vi figgono anche le mani e la testa; e più indugiano in quella poltiglia, più vi si avvoltolano! Infatti, fra coloro che rammentano o perché espulsi o perché condannati, cioè i Massimianisti, essi tengono con sé Feliciano, che a sua volta condannò Primiano e fu condannato da loro nella causa di Primiano. Ora, come possono pretendere di avvolgere in una fune così lunga la Chiesa cattolica, che parte da Ceciliano e arriva fino ai giorni nostri, quando non vedono la loro catena così prossima? Celebre, poi, la sentenza di Bagai, che dice testualmente di Massimiano e dei suoi soci: " La catena del sacrilegio ha trascinato una moltitudine nella complicità del crimine ". Dunque, Feliciano era trascinato da questa catena; ora, se Feliciano non pregiudica costoro, perché mai Ceciliano dovrebbe pregiudicare noi? O, forse, una causa pregiudica quando lo vogliono loro, un'altra invece non pregiudica se non lo vogliono loro? Sarà mai che, per un loro capriccio, una corda vecchia sia più resistente di una catena nuova? Dunque: Massimiano non pregiudica Feliciano, da cui è stato condannato; Massimiano e Feliciano non pregiudicano Primiano, dai quali è stato condannato; Massimiano non pregiudica coloro che ricevettero una dilazione, suoi complici nel medesimo scisma; Feliciano non pregiudica il partito di Donato, che lo ha accolto con gli stessi onori e non ha rigettato il battesimo che egli ha conferito durante lo scisma sacrilego; invece Ceciliano, lui sì, pregiudica tante comunità cristiane: lui, che una volta è stato condannato assente come Primiano e tre volte è stato assolto in sua presenza, al contrario di Primiano. Uno sconosciuto, morto da tanto tempo, ci è di pregiudizio; invece uno che vive tuttora, di cui si legge che lo hanno recentemente condannato, e adesso lo si vede in perfetta comunione con loro, lui non è di pregiudizio per loro. La corda di Ceciliano ci avvolge, noi che l'ignoriamo; la catena di Feliciano invece non li rinserra, pur avendo essi emesso una sentenza contro di lui, in cui è condannata la stessa catena. Essi hanno il diritto di affermare: " Noi abbiamo accolto coloro che avevamo condannato per salvaguardare la pace di Donato, poiché una causa non pregiudica un'altra causa, né una persona un'altra persona "; noi invece non abbiamo il diritto di dire: " Non abbandoniamo la pace di Cristo a causa di coloro che voi avete condannato, poiché né una causa pregiudica un'altra causa né una persona pregiudica un'altra persona ". O teste dure come il ferro, o follia tenebrosa! Essi hanno da recriminare col giudice perché ha emesso la sentenza di notte, e nella notte del loro cuore vanno a tentoni, si urtano, cadono! Litigano rabbiosamente contro di noi, ma dicono cose così stupende in nostro favore! 20.26 - Non è il contatto dei corpi, ma quello delle anime che inquina gli uomini Per di più, osano citare ancora le testimonianze dei Profeti e degli Apostoli, pur avendo dato loro una risposta globale ed esauriente durante la conferenza. Noi gli abbiamo dimostrato che questi santi Profeti vivevano insieme ai peccatori in un unico tempio, sotto la guida degli stessi sacerdoti, compartecipi nella celebrazione degli stessi sacramenti, senza per questo essere inquinati dai peccatori, poiché sapevano distinguere bene tra il santo e l'impuro, senza scindere il popolo in due corpi separati, come vanno dicendo costoro, ma con il loro saggio discernimento e la santità della loro vita. Ed essi si dedicavano a quest'opera incessantemente, affinché in quella grande casa, ove si trovavano - come dice l'Apostolo - vasi destinati ad usi nobili e vasi per usi più spregevoli, si purificassero attraverso una condotta opposta a quella di questi ultimi, per essere vasi di onore, utili al Signore, sempre pronti ad ogni opera buona. ( 2 Tm 2,20-21 ) È stato un bene che essi stessi, attraverso i numerosi testi che hanno inserito nella lettera senza comprenderne il senso, i quali poi hanno presentato e letto durante la conferenza, abbiano rammentato, poco dopo la conferenza che li vide sconfitti, il testo del profeta Aggeo come il più importante. In questo profeta, in effetti, noi troviamo la prova più evidente di ciò che vogliamo dimostrare, e cioè: non è il contatto dei corpi, ma quello delle anime, il quale si verifica attraverso il consenso che inquina gli uomini, ed è proprio il loro consenso che unifica la loro causa. 20.27 - I buoni e i cattivi comunicano allo stesso corpo e sangue di Cristo Infatti, quando il Signore volle mandare in perdizione gli empi anche con un castigo visibile, egli stesso separò i giusti con un avviso. Così, separò Noè con la sua famiglia da coloro che stavano per essere travolti dal diluvio, ( Gen 7-8 ) Lot da coloro che stavano per essere consunti dal fuoco, ( Gen 19 ) il suo popolo dalla banda di Abiron, che presto sarebbe stata distrutta. ( Nm 16 ) Così pure nel caso dell'uomo che non indossava la veste nuziale, non furono coloro che avevano portato gli inviti, ma il signore del convito in persona che lo fece legare e gettar fuori. Non vorrete mica sostenere che anche quell'uomo era come i pesci fra le onde, quindi non poteva essere notato da coloro che lo avevano invitato, come il pesce non può essere riconosciuto dai pescatori quando è in mare! D'altra parte, perché non si pensasse, come pensano costoro, che si trattava di un individuo isolato, intrufolatosi di soppiatto tra la folla [ dei convitati ] senza che qualcuno se ne accorgesse, il padrone non tarda un istante a spiegare che proprio in quello stesso unico individuo, che egli fa gettare fuori dal convito, legato mani e piedi, nelle tenebre esteriori, è simbolizzata la grande moltitudine dei peccatori, tra i quali una minoranza di buoni vive nel convivio del Signore. Infatti, dopo aver detto: Legatelo mani e piedi e gettatelo nelle tenebre esteriori; là sarà pianto e stridore di denti, soggiunse subito: Molti infatti sono i chiamati, ma pochi gli eletti. ( Mt 22,13-14 ) Come potrebbe esser vera questa parola, dal momento che un solo uomo, fra questa folla, fu gettato fuori nelle tenebre esteriori, se in quell'uno non fosse raffigurato il grande corpo di tutti i peccatori, mescolati nel convivio del Signore prima del giudizio divino? Nel frattempo, i buoni si separano dai cattivi con il cuore e la condotta, anche se mangiano e bevono insieme il corpo e il sangue del Signore; ma con una differenza di fondo: gli uni portano in onore dello sposo l'abito nuziale, perché non cercano i propri interessi, ma quelli di Gesù Cristo; ( Fil 2,21 ) gli altri invece non hanno la veste nuziale, cioè quella fedelissima carità dello sposo, in quanto cercano i propri interessi, non quelli di Gesù Cristo. Per questo, benché siano riuniti nell'unico e identico convito, gli uni mangiano la misericordia, gli altri la condanna, ( 1 Cor 11,29 ) poiché il cantico del convivio è quello che ho già ricordato prima: Misericordia e giudizio canterò a te, Signore. ( Sal 101,1 ) 20.28 - La disciplina ecclesiastica è vigile, pur tollerando la presenza dei cattivi Non per questo tuttavia deve sonnecchiare la disciplina della Chiesa, rinunciataria nel correggere i turbolenti. Ma neppure separiamo dal popolo di Dio coloro che abbiamo relegato, in seguito a degradazione o a scomunica, al posto più umile della penitenza. E quando, per tutelare la pace e la tranquillità della Chiesa, non ci è consentito adottare tali misure, non trascuriamo certo la disciplina della Chiesa, ma piuttosto tolleriamo ciò che non vogliamo, per giungere là ove vogliamo, cautelandoci con il precetto del Signore, per evitare di sradicare il grano buono volendo raccogliere anzitempo la zizzania. ( Mt 13,29 ) Seguiamo anche l'esempio e il precetto del beato Cipriano, il quale, in considerazione del bene supremo della pace, sopportava così com'erano i suoi colleghi: usurai, imbroglioni e rapinatori, senza che il reciproco contatto lo rendesse simile ad essi. Anche noi, pertanto, se siamo il grano buono, ripetiamo con la massima confidenza le parole dello stesso beato martire: " Anche se nella Chiesa è presente la zizzania, ciò non deve costituire un impedimento alla nostra fede e alla nostra carità, fino al punto di abbandonare la Chiesa, solo perché abbiamo scoperto che nella Chiesa c'è la zizzania ". Ecco le parole che i nostri antenati avrebbero potuto pronunziare con profonda giustizia e pietà, anche se avessero scoperto che Ceciliano e alcuni suoi colleghi nell'episcopato erano peccatori, che essi tuttavia non potevano separare dalla Chiesa a causa di coloro ai quali non potevano dimostrare la colpa dei loro colleghi, e che consideravano buoni e innocenti. Ecco le parole che essi, né più né meno, avrebbero dovuto dire e pensare, per non sradicare anche il grano buono, volendo separare sconsideratamente la zizzania. 20.29 - Esempi tratti dall'Antico Testamento Un certo profeta ricevette l'ordine di non mangiare pane e non bere acqua in Samaria, ove era stato inviato per correggere coloro che avevano designato alcune giovenche per essere adorate alla maniera degli idoli degli Egizi. ( 1 Re 13 ) Egli dovette eseguire alla lettera l'ordine del Signore, che voleva in tal modo riprendere gli idolatri: il profeta, in quanto suo inviato, non doveva toccare alcun cibo in quella regione. È quanto non manca di fare la Chiesa ogni giorno, quando ci rifiutiamo di prender cibo alla loro mensa per correggerli più severamente, anche se ci troviamo nella loro dimora, affinché comprendano bene quanto deploriamo i loro peccati. Ma, con tutto ciò, dobbiamo forse creare scissioni anche tra i fedeli, col rischio di sradicare indiscriminatamente quell'erba tenera che sono i deboli [ nella fede ], i quali non sono in grado di giudicare le intenzioni dei cuori umani e la natura di fatti sconosciuti, anche se a noi noti? Ora, nella stessa Samaria si trovavano sia Elia che Eliseo, anche se vivevano in luoghi solitari, non tanto per evitare di partecipare ai sacri misteri, ma perché erano perseguitati da re empi. ( 1 Re 19 ) Tant'è vero che in quella regione c'erano anche settemila uomini, di cui Elia ignorava l'esistenza, i quali non vivevano certamente separati dal popolo, e non avevano voluto piegare le ginocchia davanti a Baal. ( 1 Re 19,18 ) E, per finire, Samuele, considerato uno dei più grandi santi, rimproverò aspramente Saul; nonostante ciò, senza giustificarsi partì per andare ad offrire un sacrificio al Signore ( 1 Sam 15 ) insieme a lui: il contagio dei peccati di Saul non lo toccò e rimase assolutamente puro nell'integrità dei suoi meriti. 20.30 - Il profeta Aggeo risolve la questione a nostro favore Ma tale questione, benché sia stata risolta con chiarezza nel corso della conferenza ed anche adesso, lasciamo che ce la risolva in modo ancor più chiaro Aggeo, la cui testimonianza fu scelta da loro come la più probante, tanto che la propongono tuttora come la sintesi di tutte. Il Signore, attraverso il profeta Aggeo, rimprovera il resto del suo popolo, reduce da Babilonia, perché trascurava la Casa del Signore e abbelliva le sue dimore: per questo annuncia che tutta la regione sarà colpita dalla piaga della sterilità. Allora Zorobabele, figlio di Salatiel, e il sommo sacerdote Gesù, figlio di Iosedec, e tutto quel popolo divinamente ispirato, si misero a lavorare nella Casa del Signore, loro Dio. Così dice testualmente la Scrittura: E il Signore destò lo spirito di Zorobabele, figlio di Salatiel, della tribù di Giuda, e lo spirito del gran sacerdote Gesù, figlio di Iosedec, e lo spirito di tutto il resto del popolo; ed essi entrarono e lavorarono nella casa del Signore onnipotente, loro Dio, il ventiquattro del sesto mese, nel secondo anno del regno di Dario. ( Ag 1,14; Ag 2,1 ) Ecco come viene precisato persino il giorno, in cui si misero a lavorare nella casa di Dio. Sono convinto che quegli uomini e quel popolo, lavorando nella Casa di Dio, non fossero impuri, tanto più che il Signore aveva detto loro: Io sono con voi, ( Ag 1,13 ) e aveva eccitato il loro spirito a lavorare bene nella sua Casa. Ma osservate ciò che segue subito dopo, quando la stessa Scrittura aggiunge: Nel settimo mese, il ventuno del mese, il Signore parlò per mezzo del profeta Aggeo, dicendo a Zorobabele, figlio di Salatiel della tribù di Giuda, e a Gesù, gran sacerdote, figlio di Iosedec, e a tutto il resto del popolo: Chi di voi ha visto questa Casa nel suo primitivo splendore? Ma ora, in quali condizioni voi la vedete, come se fosse ridotta a un nulla ai vostri occhi? Allora, coraggio, Zorobabele! dice il Signore. Coraggio, gran sacerdote Gesù, figlio di Iosedec! Coraggio, popolo tutto del paese! dice il Signore onnipotente. Il mio spirito è in mezzo a voi. Abbiate fiducia, perché così dice il Signore onnipotente: Una volta ancora scuoterò il cielo e la terra, il mare e la terraferma, e scuoterò tutte le nazioni, e verranno tutti i tesori dei popoli, e io riempirò questa casa, dice il Signore onnipotente, ( Ag 2,1-7 ) e il resto del vaticinio che egli aggiunge, profetizzando alcuni eventi futuri. Tutto ciò di solito viene riferito più esattamente al tempo di nostro Signore Gesù Cristo, di cui il popolo è il tempio di Dio più autentico e santo, che non è formato da coloro di cui è tollerata la mescolanza, ma solo da coloro che al presente sono separati spiritualmente dai malvagi per la loro vita santa, in attesa della separazione fisica, che anch'essa un giorno verrà. In verità quel popolo, che aveva accolto l'annunzio di questa profezia e stava lavorando nella Casa di Dio, annoverando anche quei due: Zorobabele, figlio di Salatiel, e Gesù, figlio di Iosedec, quali esortazioni e raccomandazioni avesse ricevuto dal Signore, appare chiaramente dalle parole del profeta che abbiamo citato alla lettera. Potremo dunque chiamare costoro popolo impuro, il cui contatto inquina, questo popolo cui è detto: Allora, coraggio, Zorobabele! dice il Signore. Coraggio, gran sacerdote Gesù, figlio di Iosedec! Coraggio, popolo tutto del paese! dice il Signore onnipotente. Il mio spirito è in mezzo a voi? ( Ag 2,4-5 ) Chi sarà mai così stolto da pensare che, chi si avvicina a questo popolo, sarà inquinato? 20.31 - Anche nell'Antico Testamento non c'era separazione fra i buoni e i cattivi Or dunque, fate bene attenzione a ciò che la Scrittura aggiunge subito dopo la profezia che ha annunciato a quel popolo i tempi di Cristo: Il ventiquattro del nono mese, secondo anno di Dario, la parola del Signore fu rivelata al profeta Aggeo in questi termini: Dice l'Onnipotente: Interroga i sacerdoti intorno alla legge dicendo: Se uno in un lembo del suo vestito porta carne consacrata e con il lembo tocca il pane, il companatico, il vino o qualunque altro cibo, questi ultimi saranno consacrati? I sacerdoti risposero: No! E Aggeo soggiunse: Se uno che è contaminato per il contatto di un cadavere tocca una di quelle cose, sarà essa immonda? I sacerdoti risposero: Sì! E Aggeo rispose: Tale è questo popolo, tale è questa nazione davanti a me - oracolo del Signore - e tale è ogni lavoro delle loro mani. E chiunque si avvicinerà a lui, sarà immondo a motivo dei loro profitti precoci ricavati dal loro lavoro. E voi avevate preso in odio costoro [ alle porte ], dicendo parole di riprovazione. ( Ag 2,10-14 ) Qual è questo popolo così impuro, il cui approccio costituisce per tutti un inquinamento? Sarà forse quello, cui è stato detto: Coraggio! Il mio spirito è in mezzo a voi? ( Ag 2,4-5 ) Non sia mai quello! Supponiamo dunque che fossero due: uno, che era immondo, e l'altro, che aveva ricevuto la proibizione di avvicinare l'immondo, e veniva esortato ad avere coraggio, perché lo Spirito di Dio era in mezzo a loro. Se davvero erano due, facciano vedere che c'erano anche due templi: uno ove entrava il primo, l'altro ove entrava il secondo; si mostrino anche i due altari, in cui uno e l'altro offrivano le loro vittime; si mostrino anche i sacerdoti, quelli per il primo e quelli per il secondo, che sacrificavano separatamente ciascuno per il suo popolo. Tentare di sostenere una cosa simile è autentica follia: questi due popoli formavano un solo popolo, sotto la guida dell'unico sommo sacerdote, frequentando l'unico tempio, proprio come erano sotto la guida del solo Mosè, quando alcuni offesero il Signore e altri gli restarono fedeli. Di essi l'Apostolo dice: Ma della maggior parte di loro Dio non si compiacque. ( 1 Cor 10,5 ) Non dice infatti: Nella loro totalità non furono graditi a Dio, come se tutti avessero recato dispiacere a Dio, ma afferma: Della maggior parte di loro Dio non si compiacque; dunque: di alcuni, non di tutti. Eppure, tutti erano sotto la guida degli stessi sacerdoti nell'unico e medesimo tabernacolo, tutti offrivano i loro sacrifici sopra un solo e identico altare, e tuttavia formavano due gruppi distinti, per le loro azioni non per i luoghi, per i loro sentimenti non per il tempio, per i loro costumi non per gli altari. Così gli uni evitavano gli altri per non essere inquinati da loro, cioè, non approvavano la loro cattiva condotta per non subire l'identica condanna. Neppure un profeta della statura di Mosè ignorava quei peccatori, dovendo sopportare ogni giorno le loro malvage mormorazioni e orrende cattiverie. Supponiamo invece che Mosè li ignorasse. E, allora, Samuele ignorava forse anch'egli Saul, che Dio stesso con la sua bocca aveva condannato ad un castigo eterno? In verità, egli vedeva entrare sia Saul che il santo Davide nell'unico tabernacolo di Dio e assistere agli stessi sacrifici; ma li vedeva senza dubbio in maniera differente, perché li vedeva nella loro diversità: uno lo amava per l'eternità, l'altro lo tollerava per un certo tempo. Anche Aggeo sapeva che due popoli, facenti parte di un unico popolo, entravano nel medesimo tempio e vivevano sotto la guida di un unico gran sacerdote: uno lo denunciava come immondo e all'altro impediva di avvicinarsi all'immondo; tuttavia, né costoro né lui si separavano dallo stesso tempio e dagli stessi altari. Proibiva dunque la consonanza spirituale e il consenso alle loro azioni. Le sue stesse parole lo proclamano, purché ci siano orecchie che lo ascoltino, non otturate da una passione incontrollata, non assordate dal clamore di dispute vane. Dice infatti il profeta: Chiunque si avvicinerà a lui sarà inquinato. ( Ag 2,14 ) Egli ha segnalato il vizio e ne ha interdetto l'accesso, ma non ha separato gli uni dagli altri con una barriera materiale. Ora, si accede al vizio della corruzione attraverso il vizio del consenso. 20.32 - Regola per ben comprendere il linguaggio della Scrittura Qualcuno potrebbe dire: " Questo popolo che prima si è sentito dire: Coraggio! perché il mio spirito dimora in mezzo a voi, ( Ag 2,4-5 ) come ha potuto nel giro di pochi giorni corrompersi talmente, da meritarsi questa apostrofe: Così è questo popolo, così questa nazione; chiunque gli si avvicinerà sarà macchiato? ". ( Ag 2,14 ) In effetti si contano circa novanta giorni fra quel discorso, ricco di benevolenza verso il popolo, e quest'ordine di evitare la sua impurità. E perché nessuno potesse pensare che tale buon popolo, in un così breve volgere di tempo fosse diventato talmente malvagio, osservate ciò che segue e notate il contenuto del messaggio pronunziato il ventiquattresimo giorno del nono mese, lo stesso giorno in cui è stato detto: Tale è questo popolo e questa nazione; chiunque si avvicinerà ad esso sarà inquinato. Dopo queste parole e la rievocazione dei loro misfatti, che dimostravano perché erano immondi, il profeta incalza dicendo: E voi avevate preso in odio costoro [ alle porte ], dicendo parole di riprovazione, e subito dopo soggiunge: Ed ora, riflettete bene nel vostro cuore, da oggi e per l'avvenire: Prima che si cominciasse a porre pietra sopra pietra nel tempio del Signore, come andavano le vostre cose? Andavate a un mucchio da cui si attendevano venti misure di orzo e ce n'erano dieci; quando voi andavate al torchio della cantina per ritirare cinquanta anfore, ce n'erano venti. Io vi ho colpiti con la sterilità e con venti malsani e con la grandine in tutti i lavori delle vostre mani, ma voi non siete ritornati a me - parola del Signore. Considerate bene nel cuore da oggi in poi, dal ventiquattro del nono mese, cioè dal giorno in cui si posero le fondamenta del tempio del Signore, riflettete nel vostro cuore se il grano mancherà ancora sull'aia, o se la vigna, o il frutteto, o il fico, o il melograno e gli olivi non produrranno più i loro frutti. Da oggi in poi io vi benedirò. ( Ag 2,15-19 ) Ecco, nello stesso giorno essi hanno meritato di essere anche benedetti. Ora, credo che questa benedizione non si riferisca a quegli individui, alla cui impurità [il profeta] proibisce di acconsentire, ma piuttosto riguarda i buoni che ricevono questo tipo di interdizione. Dunque, essi coesistevano nell'unico popolo sia mescolati che separati: mescolati per il contatto fisico, separati per l'orientamento opposto della volontà. Ma la Scrittura usa il suo linguaggio abituale: rimprovera i malvagi come se tutti i membri di questo popolo fossero malvagi, consola i buoni come se in esso tutti fossero buoni. Dunque, i vostri vescovi hanno lavorato a nostro favore con questo scritto, che si dice abbiano composto dopo la conferenza che li vide sconfitti, citandovi la profezia di Aggeo; con questo testo ci hanno ricordato che quanto andiamo dicendo era comprovato con maggior rilievo, poiché se esistono uomini che vivono insieme in uno stesso popolo, in un unico tempio, sotto gli stessi sacerdoti, partecipando agli stessi sacramenti, ma si oppongono per la volontà e si distinguono per la diversa condotta di vita, una causa non può pregiudicare un'altra causa né una persona un'altra persona. 21.33 - Anche nella chiesa di Corinto si trovavano insieme buoni e cattivi Nei loro scritti essi citano anche un testo di una lettera dell'Apostolo che dice: Non lasciatevi legare al giogo degli infedeli; quale rapporto infatti ci può essere tra luce e tenebre? ( 2 Cor 6,14 ) e ciò che segue, che abbiamo citato prima, mostrando come dovesse essere correttamente inteso. Essi che altro fanno se non ricordarci a chi l'Apostolo ha scritto queste cose? Sì, anche presso lo stesso popolo dei Corinzi noi troviamo la prova concreta di quanto andiamo dicendo, perché non pensino che fosse solo un'abitudine dei profeti, e non del Nuovo Testamento ma solo un'usanza del Vecchio, riprendere quel popolo, come se tutti fossero meritevoli di riprensione, e lodare coloro che lo meritavano, come se tutti fossero da lodare. Ecco infatti come l'Apostolo si rivolge anche ai Corinzi: Paolo, chiamato ad essere apostolo di Gesù Cristo per volontà di Dio, e il fratello Sòstene, alla chiesa di Dio che è in Corinto, a coloro che sono stati santificati in Cristo Gesù, chiamati ad essere santi insieme a tutti quelli che in ogni luogo invocano il nome del Signore nostro Gesù Cristo, Signore nostro e loro: grazia a voi e pace da Dio Padre nostro e dal Signore Gesù Cristo. Ringrazio continuamente il mio Dio per voi, a motivo della grazia di Dio che vi è stata data in Cristo Gesù, perché in lui siete stati arricchiti di tutti i doni, quelli della parola e quelli della scienza, poiché la testimonianza di Cristo si è stabilita tra voi così saldamente, che nessun dono di grazia più vi manca. ( 1 Cor 1,1-7 ) Chi, all'udire queste parole, potrà credere che nella Chiesa di Corinto vi fosse un solo reprobo, dal momento che queste parole risuonano come un elogio diretto a tutti? Tuttavia, poco dopo, egli dice: Vi esorto, fratelli, ad essere tutti unanimi nel parlare, perché non vi siano divisioni tra voi. ( 1 Cor 1,10 ) E di nuovo, come se volesse biasimare e rimproverare tutti per questo orrendo vizio, dice: Cristo è stato forse diviso? Forse Paolo è stato crocifisso per voi, o è nel nome di Paolo che siete stati battezzati? ( 1 Cor 1,13 ) Penso allora che i membri di quella comunità, i quali affermavano: Io sono di Cristo, non facessero coppia con coloro che dicevano: Io sono di Paolo, io di Apollo, io di Cefa; ( 1 Cor 1,12 ) eppure tutti si accostavano all'unico altare e comunicavano con gli stessi sacramenti, pur senza condividere gli stessi vizi. Infatti ai medesimi Corinzi è stato detto anche questo: Chi mangia e beve indegnamente, mangia e beve la propria condanna. ( 1 Cor 11,29 ) E a chi si riferiva l'Apostolo se non a questi ciarlatani, poiché non si accontentò di dire: mangia e beve la propria condanna, ma aggiunse: per sé, per indicare chiaramente che questo richiamo non si applicava a coloro che, pur mangiando lo stesso pane insieme a loro, non mangiavano la loro condanna? 21.34 - Solo i cristiani credono nella risurrezione Fra quegli stessi Corinzi, c'erano alcuni che non credevano alla risurrezione dei morti, articolo di fede peculiare dei cristiani. L'Apostolo così si rivolge a loro: Ora, se si predica che Cristo è risuscitato dai morti, come possono dire alcuni tra voi che non esiste risurrezione dai morti? ( 1 Cor 15,12 ) Egli non dice: In questa terra, oppure: In questo mondo, ma: tra voi. Non avrebbe neppure potuto alludere alla risurrezione di Cristo se non si fosse rivolto a individui già cristiani; ed egli, sempre a proposito di questa risurrezione di Cristo, dice loro: Tale è la nostra predicazione e tale è la vostra fede. ( 1 Cor 15,11 ) Consideriamo bene i termini, con i quali loda la Chiesa dei Corinzi nell'esordio della sua lettera, arrivando a dire: Ringrazio continuamente il mio Dio per voi, a motivo della grazia di Dio che vi è stata data in Cristo Gesù, perché in lui siete stati arricchiti di tutti i doni, quelli della parola e quelli della scienza. La testimonianza di Cristo si è infatti stabilita tra voi così saldamente, che non vi manca più alcun dono di grazia. ( 1 Cor 1,4-7 ) Ecco come essi erano talmente ricchi in Cristo in ogni parola e in ogni scienza, che non mancava loro nulla in ogni genere di grazia, eppure fra loro c'era chi non credeva ancora alla risurrezione dei morti. Sono convinto che coloro ai quali non mancava nulla in alcun genere di grazia, non prendevano il giogo con quelli che non credevano alla risurrezione futura dei morti. Ecco in che senso i credenti non prendono il giogo con gli infedeli, benché siano tutti mescolati nello stesso popolo e siano iniziati dagli stessi sacerdoti agli stessi misteri. 21.35 - Diverso è il criterio per correggere il singolo e la massa In definitiva, lo stesso Apostolo, per salvaguardare da questa incredulità la fede di coloro che ammettevano già la risurrezione dei morti, non ordinò loro una separazione fisica: in questo caso si trattava di molti, non di un solo individuo, come quel tale che si era preso la moglie di suo padre e l'Apostolo giudica degno di aperta condanna e quindi di scomunica. ( 1 Cor 5,1-5 ) Vi è una notevole differenza fra la maniera di curare e guarire questo individuo e una moltitudine corrotta: separando i due gruppi di fedeli, si rischia di provocare uno scisma nefasto e di sradicare anche il buon grano. Per questo l'Apostolo non separa fisicamente coloro che già credevano nella risurrezione dei morti da coloro che, nella stessa comunità, non vi credevano; tuttavia non trascura occasione per separarli spiritualmente dicendo: Non lasciatevi ingannare: le cattive compagnie corrompono i buoni costumi. ( 1 Cor 15,33 ) Non teme il loro stare insieme, ma il loro decidere insieme, affinché non accada che le cattive compagnie modifichino la fede e i buoni costumi. Li esorta dunque ad essere separati non all'altare, ma nei costumi. E, per finire, prima che l'Apostolo scrivesse loro questo, dovevano esserci nella stessa Chiesa alcuni che non credevano nella risurrezione dei morti e altri che abbondavano in ogni genere di grazia: i primi non inquinavano affatto con la loro incredulità gli altri, perché questi non consentivano con la loro incredulità. Ecco, allora, la maniera giusta per non avere contatti inquinanti con ciò che potrebbe inquinare; ecco perché la luce non ha nulla in comune con le tenebre; ecco perché le due categorie di pesci nuotano nelle stesse reti, appunto perché una causa non pregiudica l'altra causa né un persona l'altra persona. 21.36 - La causa di Ceciliano non può recar pregiudizio al mondo cattolico Stando così le cose, può esserci stoltezza più pervicace e sonno più greve del cuore, che non possa scuotersi, affinché finalmente si renda conto che la causa di Ceciliano non può recar pregiudizio a tutto il mondo cattolico, col quale il partito di Donato non è in comunione, se la causa di Massimiano o, meglio, la causa di Feliciano e di Primiano, ora così uniti mentre poco fa si condannavano reciprocamente, non pregiudica il partito di Donato? Certo è sufficiente, per usare il loro linguaggio, che i pesci cattivi, nascosti fra le onde, non inquinino i pescatori, dal momento che questi ne ignorano la presenza; ed è altrettanto vero che qui non si fa questione di pescatori, come anche è possibile che il Signore in questa parabola ( Mt 13,47-51 ) abbia voluto significare gli angeli. Infatti è bene prestare maggiore attenzione al fatto che, nell'interno stesso delle reti, i pesci cattivi non possono contaminare quelli buoni, in quanto è impossibile che fra loro si vedano mentre nuotano insieme. Ma, come ho appena detto, è sufficiente per la nostra questione che i cattivi non inquinino quando le loro malefatte sono ignote. 22.37 - Anche i contemporanei di Ceciliano meritano la lode Ai tempi di Ceciliano ci furono alcuni beati operatori di pace che l'avrebbero tollerato, anche se fossero venuti a sapere che non era innocente, proprio per salvaguardare l'unità cattolica. Costoro, vedendolo così intimamente unito, per la partecipazione comune agli stessi sacramenti, a tanti popoli sconosciuti, attraverso i quali la stessa unità si dilata, e vedendo che era praticamente impossibile fornire le prove di ciò che essi direttamente sapevano di lui, si sarebbero difesi contro queste calunnie con le parole del beato Cipriano, uomo di pace, e avrebbero proclamato con fiducia totale: " No, noi non abbandoniamo l'unità per colpa di Ceciliano, poiché anche se sembra che nella Chiesa esista la zizzania, la nostra fede e la nostra carità non devono essere impedite fino al punto di farci abbandonare la Chiesa per il solo fatto che vi abbiamo scoperto la zizzania ". Alla pacifica pazienza di costoro si adatta molto bene quello splendido elogio, con cui viene lodato l'angelo della Chiesa di Efeso - nessuno, in grado di interpretare correttamente questo testo, può dubitare che costui impersoni la Chiesa -, al quale lo Spirito dice nell'Apocalisse: Conosco le tue opere, la tua fatica e la tua costanza, per cui non puoi sopportare i cattivi; li hai messi alla prova - quelli che si dicono apostoli e non lo sono - e li hai trovati bugiardi. Sei costante e hai molto sopportato per il mio nome, senza stancarti. ( Ap 2,2-3 ) Anche i contemporanei di Ceciliano meritano la stessa lode; essi, per il nome del Signore, che come profumo diffondeva la sua fragranza per tutto l'universo attraverso innumerevoli popoli, non avrebbero mancato di tollerare con somma pazienza quest'uomo, pur sapendolo peccatore, se costui si fosse trovato in tali situazioni che, a loro giudizio, non si poteva dimostrare la sua colpevolezza agli altri né poteva essere estromesso e separato. La nostra situazione è ben diversa: noi non dobbiamo attribuirci la gloria di questa pazienza. In effetti non possiamo sostenere di aver tollerato, per amore della pace, una vicenda che ci è rimasta completamente sconosciuta. Per noi, la causa di Ceciliano è rimasta sotto i flutti. Il nostro linguaggio è identico a quello di tutte le altre nazioni cristiane, contro le quali [ i vostri vescovi ] non hanno potuto dire assolutamente nulla. Tuttavia, pur essendo del tutto ignota a noi la causa di Ceciliano, abbiamo valide ragioni per considerarla giusta: leggiamo infatti che fu condannato una volta sola da una fazione avversaria, ma leggiamo che è stato assolto per ben tre volte, malgrado le loro accuse. Orbene, prima essi credano alla dichiarazione di un centinaio di vescovi del partito di Donato sui misfatti di Primiano, e soltanto allora potranno tentare di farci accettare, in base alla testimonianza dei loro settanta antenati, i misfatti di Ceciliano. Se poi affermano che Ceciliano, con la sua assenza, ha tacitamente sottoscritto le accuse di cui veniva incriminato in quel concilio, allora anche Primiano ha controfirmato le accuse, lanciate da quei cento vescovi contro di lui, e nessuno in seguito ha potuto dimostrare che siano state smentite. 22.38 - La causa e la persona della Chiesa cattolica è al di sopra di qualsiasi altra causa e persona Ma, naturalmente, una causa non pregiudica un'altra causa né una persona un'altra persona, quando si tratta di evitare danni al partito di Donato; invece una causa pregiudica l'altra, se si tratta di dividere l'eredità di Cristo! O, forse, la causa di Ceciliano non pregiudica l'unità cattolica, che possediamo e di cui siamo felici di far parte, perché Ceciliano era vescovo di Cartagine, mentre la pregiudica la causa di Novello di Tizica e di Faustino di Tuburbo, che essi non hanno creduto opportuno accusare in seguito, come hanno fatto per Ceciliano e Felice? I loro nomi, anzi, gli stessi nomi delle città in cui vissero, non sono conosciuti neppure in tutta l'Africa e, forse, neppure in tutta la provincia proconsolare. Ecco, costoro vorrebbero che la causa di questi pesciolini, anche se furono cattivi, così celati negli abissi, pregiudicasse la causa di quell'enorme pesca che ricolma le reti sparse su tutta la terra: essi che a stento potevano essere notati dagli altri pesci che nuotavano al loro fianco! Perché, allora, non crediamo che anch'essi furono innocenti, dal momento che non sono stati giudicati degni di essere accusati da parte di quelli, come ho già detto, mentre invece quell'altro ha potuto giustificarsi: colui che i predecessori dei vostri vescovi hanno chiamato " fonte di tutti i mali ", in occasione di quell'odioso complotto che fu il loro famigerato concilio? 23.39 - I Donatisti accusano i Cattolici di aver corrotto i giudici Ma, che essi siano stati buoni o cattivi, che ce ne importa? Sta di fatto che non possono legittimamente contestarci [ quando diciamo ] che la causa e la persona di non so qual personaggio non sono pregiudizievoli alla causa e alla persona della Chiesa cattolica, se è vero che una causa non pregiudica un'altra causa né una persona pregiudica un'altra persona. Tuttavia, per continuare a sedurvi, essi ci accusano di aver dato dell'oro al giudice perché la sentenza fosse contro di loro e a nostro favore. Ora, ditecelo voi se ne siete in grado, quanto denaro avremmo dovuto sborsare ai vostri vescovi, eletti come difensori, perché dichiarassero o producessero contro se stessi e a nostro favore prove tali, da favorire la nostra causa e demolire la loro! A qual prezzo avremmo dovuto comprarli, se, dopo le parole di Primiano, che aveva rivolto loro: " È indecoroso che si riuniscano insieme i figli dei martiri e i discendenti dei traditori ", vennero ugualmente e si riunirono in assemblea con noi: fatto indecoroso secondo le loro affermazioni? E quanto abbiamo dovuto sborsare perché, secondo la prassi degli avvocati forensi, essi invocassero contro di noi l'argomento della prescrizione circa i tempi, le date e anche le persone, per mostrare così a tutti in maniera ineccepibile, compresi coloro che non capivano un bel nulla delle nostre discussioni, che la loro causa era faziosa, in quanto mostravano tanta paura di produrre le prove e di difenderle davanti al giudice, di cui avevano ampiamente lodato la benevolenza e il senso di giustizia nei loro confronti, e di cui non avevano ancora avvertito alcun atteggiamento ostile verso di loro? A quale prezzo abbiamo dovuto comprarli, perché di loro iniziativa esigessero in seguito di non discutere con loro secondo le procedure forensi, ma solo sulla base dei testi delle sante Scritture, promettendo a loro volta di rispondere allo stesso modo; e quando venne letto il mandato del concilio cattolico, che avevamo presentato, dal quale si evinceva chiaramente, per loro esplicita ammissione, la nostra volontà di risolvere la questione della Chiesa cattolica sulla base delle testimonianze delle sante Scritture, essi, come se si fossero nuovamente dimenticati di ciò che avevano detto di preferire, ripresero a discutere sulla base degli ordinamenti forensi con dispute tortuose e disgustose? 23.40 - Proprio i Donatisti erano incorsi nel reato di falso E quanto abbiamo dovuto pagare perché proprio loro esigessero, sollecitati dal gran numero di firme da noi apposte su quel documento, la presenza di tutti i membri del nostro concilio, mentre in conformità all'editto del giudice ci eravamo presentati in numero di diciotto; e perché sollevassero la questione di falso circa l'autenticità delle firme, in quanto alcuni avrebbero firmato al posto degli altri? In tal modo si procedette anche al controllo delle loro firme e si scoprì che proprio loro erano incorsi nel reato di falso, di cui avevano voluto gettare su di noi il sospetto. Così, non solo si lessero sul loro documento alcune firme, poste per conto di assenti che non erano venuti a Cartagine, ma anche di uno che, a loro dire, era deceduto durante il viaggio, perché non rispondeva all'appello in aula. E quando si chiese loro come avesse potuto firmare a Cartagine uno che era deceduto durante il viaggio, essi finirono per ammettere, con grande imbarazzo e confusione, contraddicendosi e mutando opinione, che costui era morto durante il viaggio di ritorno al suo paese, dopo aver già firmato. Successivamente, sotto giuramento divino, fu chiesto loro di rispondere se constava che costui effettivamente fosse stato a Cartagine; allora essi, ancor più agitati dissero: " Che importa se un altro ha firmato in sua vece? ". In tal modo, con le loro stesse parole confermarono che il falso, di cui ci avevano accusato, era palese nel loro mandato ed era stato chiaramente messo in evidenza. 24.41 - I Donatisti hanno detto il falso anche sul loro numero E quanto abbiamo dovuto sborsare perché, volendo gloriarsi del loro gran numero, raccontassero menzogne anche al riguardo? I nostri, infatti, erano presenti in numero lievemente superiore e avevamo comunicato che un altro centinaio di vescovi cattolici non erano potuti venire a Cartagine perché impediti o dall'età avanzata o dallo stato di salute o da diversi impegni. A queste parole, dissero che un numero ben maggiore di loro non era venuto a Cartagine. E si vantavano, come fanno tuttora, di essere oltre quattrocento in tutta l'Africa, ma dimenticavano quella frase della loro relazione, che cioè erano venuti tutti a Cartagine, eccettuati unicamente coloro che o nelle proprie sedi o durante il viaggio erano stati trattenuti da malattia, per cui neppure l'età avanzata o lo strapazzo per il lungo viaggio avevano potuto impedire ai più anziani di prendervi parte. Allora furono lette le firme nel loro documento, e dopo il computo ufficiale, risultò il numero di duecentosettantanove, comprese quelle che risultarono falsificate o messe al posto di assenti, col pretesto che gli interessati non erano stati in grado di venire a Cartagine per malattia. Come può essere vero, allora, che essi siano più di quattrocento, dal momento che gli unici a non venire a Cartagine, stando alle loro affermazioni, erano quelli impediti dalla malattia? Ora, tenendo conto che avevano firmato altri al posto di quei pochi, perché non si potrebbe dire che ciò sia stato fatto per tutti gli altri malati? O, forse, la peste era talmente dilagata fra loro, da abbatterne fulmineamente un terzo? La lettera circolare, inviata dal loro primate per convocarli, raccomandava a tutti di venire a Cartagine per la conferenza, lasciando da parte ogni altro impegno, poiché dovevano sapere che, chi si fosse rifiutato di intervenire, avrebbe compromesso ciò che per loro era di vitale importanza. Evidentemente, il meglio della loro causa consisteva nel dare spettacolo con il loro grande numero, come se la possibilità di trovare facilmente un oggetto fosse proporzionale al numero di ciechi che ne andassero alla ricerca! 24.42 - Una proroga richiesta dai Donatisti, disorientati di fronte alla posizione così solida della verità E quanto abbiamo dovuto pagare, dopo aver deciso di comune accordo di rinviare la conferenza di due giorni, perché essi richiedessero con lettera all'ufficio di avere a disposizione una copia del nostro mandato, col pretesto che in sì poco tempo l'ufficio non sarebbe stato in grado di redigere gli atti, per poterne prendere comoda visione prima di venire al dibattito? Ed avvenne infatti che l'indomani, giorno dell'udienza, domandarono ed ottennero una proroga: richiesta certo ragionevole, visto il grande imbarazzo in cui si trovavano, dopo aver studiato la causa nella esposizione integrale del nostro mandato; domanda che tra l'altro contraddiceva in pieno il motivo per cui avevano acconsentito di riunirsi. Nulla di più giusto, infatti, di una domanda di proroga, visto il loro disorientamento di fronte alla posizione così solida della verità. Magari gli avesse giovato l'esame del nostro mandato, contro cui non poterono assolutamente ribattere nulla, e li avesse portati a correggere la loro malvagità, anziché aggravarla! Sì, chiedevano giustamente una proroga, ma non avrebbero dovuto affermare il giorno prima nella loro lettera di richiesta che si doveva esibire loro il nostro mandato perché potessero venire preparati al giorno fissato, visto che i segretari non potevano venire immediatamente con la registrazione degli atti; e poi, il giorno del dibattito, non potevano prendersela di nuovo con i segretari perché non erano venuti subito con la redazione completa degli atti. Quale fu mai il motivo che li spinse a fare ciò, se non la loro grande agitazione, vedendo che noi, nel redigere il nostro mandato, avevamo impostato la causa in maniera tale che essi non sapevano più come controbattere? E quanto dovemmo sborsare per ottenere che essi domandassero una proroga e ottenessero sei giorni di tempo, perché nessuno potesse dire di non aver potuto preparare convenientemente la risposta al nostro mandato per mancanza di tempo? 25.43 - Violenza della verità E quanto abbiamo dovuto sborsare il terzo giorno della nostra conferenza per i loro inconsistenti e inconcludenti interventi, che rivelavano soltanto il rifiuto assoluto di affrontare la causa? Con la loro stessa paura proclamavano ad alta voce quanto fosse sciagurata la loro posizione; paura che, d'altra parte, si manifestò anche con frasi assai significative, come questa: " A poco a poco siamo indotti alla causa ", e ancora: " La tua potestà vede bene che noi a poco a poco siamo condotti al nocciolo della questione ". O violenza della verità, più possente di qualsiasi cavalletto, di qualsiasi uncino per estorcere una confessione! Si radunano tanti vescovi da tutta l'Africa, entrano a Cartagine con gran pompa in corteo magnifico per attirare su di loro gli sguardi e l'attenzione di una città così importante; vengono prescelti oratori, incaricati di parlare a nome di tutti; si allestisce in pieno centro un edificio, degno di ospitare una tale assemblea; le due parti si riuniscono, il giudice è presente, i registri sono aperti, tutti con il cuore sospeso attendono l'esito di una conferenza così decisiva. Ed è a questo punto che alcune personalità, le più elette e faconde, anziché agire con la massima energia, che si sarebbe dovuta dispiegare per risolvere la questione, fanno di tutto perché non se ne faccia nulla! Sollecitano un dibattito sull'identità delle persone, secondo lo stile forense: arringhe che gli avvocati sanno trascinare per anni. Certo, nel corso dell'udienza essi hanno riconosciuto che i Cattolici, per redigere il loro mandato, si sono serviti prevalentemente di testi scritturistici, anziché di formule forensi, e hanno promesso di presentare anche le loro repliche argomentando dalle Scritture. Ma poiché Dio, con un intervento mirabile, ha fatto sì che, sollevando costoro la questione sull'identità del richiedente per evitare di arrivare alla causa, fosse precisamente l'inchiesta sulla persona del richiedente a costringerli ad entrare nel vivo della causa, questi brillanti personaggi, apparentemente designati per portare avanti la causa, si comportarono come se fossero stati scelti per bloccarla: protestano maliziosamente col giudice, perché li si voleva condurre a poco a poco nel cuore del processo! Come se lui avesse dovuto mettere da parte ogn'altra cosa per trattare esclusivamente di ciò che essi precisamente rifiutavano di trattare, né dopo né più tardi, essendo decisi a tutto, pur di non trattare ciò su cui temevano di essere sconfitti. Chi di noi avrebbe mai potuto far erompere dal fondo segreto del loro cuore questo grido clamoroso della loro paura, non dico colmandoli dei doni più splendidi, ma sottoponendoli perfino alle torture più atroci? 25.44 - Sulla questione della persona dei richiedenti Essi dunque sollevarono la questione della persona dei richiedenti con le sottigliezze puntigliose degli avvocati, volendo provare che noi eravamo i richiedenti, per poter così usare del diritto di discutere sulle nostre persone, cogliendovi il pretesto per creare ritardi che avrebbero potuto durare anche degli anni. Lessero così una petizione che avevamo precedentemente consegnato al proconsole, per chiedere a lui di invitarli ad un incontro comune con noi, che sarebbe stata in definitiva la conferenza che l'imperatore era in procinto di indire su nostra richiesta, ed è su questa petizione che puntavano per dimostrare come noi fossimo i richiedenti. Noi rispondemmo che sempre abbiamo voluto celebrare questa conferenza, ma non per rinfacciargli i loro crimini, quanto per giustificarci delle loro accuse che abitualmente lanciano contro di noi. Ciò che, in effetti, li rende eretici e separati dall'unità della Chiesa è accusarci di delitti che non sono in grado di provare. Ora, il giudice sembrava orientato a seguire l'ordine cronologico per dare la precedenza agli atti che noi avevamo presentato, dai quali risultava che anch'essi avevano domandato ai prefetti di riunire una conferenza; antepose dunque la nostra petizione, presentata proprio da loro, in quanto cronologicamente anteriore a quegli atti prefettizi. Presentatasi questa opportunità, chiedemmo al giudice, senza alcuna difficoltà e del tutto legittimamente, che, nel caso fosse data priorità di lettura ai documenti che risultavano cronologicamente anteriori, ordinasse preferibilmente la lettura degli atti, nei quali essi, per il tramite del proconsole Anullino, accusarono Ceciliano davanti all'imperatore Costantino, i cui crimini essi riversano sulla nostra comunione e di cui noi volevamo essere scagionati in quella conferenza. Si iniziò pertanto la lettura del documento; ma poiché tutti i punti del testo segnavano per loro una schiacciante sconfitta, si misero a gridare: " A poco a poco ci introducono nella causa ", e anche: " La tua potestà vede bene che a poco a poco noi siamo condotti al cuore della causa ". O grande, ma non certo sorprendente, confusione! Quando mai il demonio ha temuto tanto l'esorcista, come essi temettero la lettura di quegli atti, che dimostravano chiaramente come i loro predecessori avessero accusato Ceciliano davanti all'imperatore, e lui fosse stato assolto con sentenze così numerose, non solo dei vescovi ma dello stesso imperatore? 25.45 - I Donatisti tornano nuovamente allo stesso argomento sulla prescrizione del tempo Quando mai e a quale prezzo avremmo potuto comprarli, perché, presi dallo stesso panico, osassero tornare nuovamente allo stesso argomento sulla prescrizione del tempo? Essi avevano sostenuto al riguardo che la causa era ormai caduta in prescrizione e, spirati i quattro mesi, non la si poteva assolutamente trattare più. Che cosa è questo? Si può trovare forse un indizio più appropriato, a definire il loro animo, di questo timore così dichiarato? Tanto che, mentre il timore normalmente sopprime la libertà, costoro hanno temuto così liberamente, da non preoccuparsi di coprire col silenzio il giudizio sulla loro mala causa, anzi lo hanno proclamato con un linguaggio quanto mai esplicito. O trepidazione tanto veemente da estorcere la confessione! La paura uscì con tale impeto dalle loro labbra, che fece sparire dalla fronte il pudore. Se non fossero stati letti i documenti comprovanti le accuse a Ceciliano e la sua assoluzione, si sarebbero cercati i richiedenti per aprire il processo, avremmo discusso la questione delle persone, e così, per i ritardi accumulati a causa di queste capziosità, non si sarebbe mai giunti ad iniziare la causa, perché impigliati in una serie di lungaggini: tutte cose che però, di diritto, apparivano legittime in vista del processo. Così, dopo aver presentato alla lettura la causa veramente ottima di Ceciliano, si riprese l'argomento già demolito e rigettato della prescrizione, urlando che il termine ultimo per iniziare il processo era già spirato. 26.46 - La loro stessa paura è un giudice contro i Donatisti Perché aspettate ancora di conoscere la sentenza che il giudice ha pronunziato a nostro favore, dal momento che state già vedendo quel che ha pronunciato la paura dei vostri vescovi contro se stessi? Certo, il giudice aveva dato loro la facoltà di scegliere liberamente oltre a lui un altro giudice; ma essi rifiutarono perché, se ne avessero scelto uno, non avrebbero potuto raccontarvi che noi avevamo corrotto anche lui col denaro. Eppure fecero proprio ciò che avevano rifiutato: fissarono esattamente un secondo giudice che lo affiancasse, non un estraneo qualsiasi, ma un loro intimo amico. Ecco: ancora una volta proprio il loro timore fu il secondo giudice. Certamente costui non ha ricevuto nulla da noi, eppure si è liberamente pronunciato a nostro favore: non ha favorito la loro persona, benché dimorasse nel loro intimo e provenisse dalla camera segreta di costoro. E prima ancora di iniziare a trattare la causa, fu il primo a giudicare, perché per primo l'aveva conosciuta nel fondo del loro cuore. Quando dunque l'altro giudice salì in tribunale per istruire la causa, anch'esso salì conoscendola già: quello giudicò stando in piedi, ascoltando, parlando; questi si accontentò di incedere nel mezzo. Sono convinto che avessero veramente ragione di insistere perché non si trattasse neppure la causa: influì infatti ben più la paura di questi attaccabrighe sulla conclusione della causa, che non la solerzia del giudice! Costui indagava in base a ciò che avrebbero tirato fuori dai loro documenti, l'altro manifestò ciò che passava nei loro cuori. 27.47 - I Donatisti non cessano di ripetere inezie E poiché essi, presi dal panico per i documenti da noi presentati per essere letti, erano venuti nella determinazione di affermare che la causa era ormai caduta in prescrizione e quindi non si poteva più trattare, ci proposero allora una questione già trattata: se si discuteva utilizzando i testi delle sante Scritture, non si sarebbe dovuta leggere una parola di quei documenti; se invece noi optavamo per farli leggere in assemblea, essi avrebbero tirato fuori l'argomento molto solido della prescrizione per non permettere assolutamente che si trattasse una questione già obsoleta per decorrenza dei termini. In verità, essi non avevano mantenuto la promessa precedente di rispondere ugualmente con testi dalle Scritture al nostro mandato, in cui noi, per loro esplicita ammissione, trattavamo la causa della Chiesa con argomentazioni desunte dalle Scritture, proprio loro che adesso volevano discutere della persona dei richiedenti, come si usa fare in un processo civile e non in una discussione. Noi allora rispondemmo loro che, se volevano restringere il dibattito alla sola questione di sapere chi è e dove è la Chiesa cattolica, avremmo sviluppato la discussione servendoci delle testimonianze divine che l'avevano preannunziata; se invece mettevano sotto processo individui per questo o quest'altro misfatto, cosa che evidentemente non potevano provare con testi della Scrittura ma soltanto con documenti d'altro genere, come ad esempio quello in questione, allora anche noi ci saremmo serviti di quei documenti per confutarli. Ecco le inezie che non cessavano di ripetere e la replica con cui noi puntualmente rispondevamo senza demordere; ed ecco anche come la verità trionfò su di loro, e li costrinse, confutati e battuti, ad ascoltare la lettura dei nostri documenti. Ormai si rendevano conto che, se non riuscivano ad addossare i crimini di Ceciliano alla nostra comunione, non restava loro più alcun argomento per giustificare la loro separazione dall'unità; e se volevano imputarci i crimini di Ceciliano, essi non potevano dimostrarli se non attraverso quei documenti e noi non avremmo potuto confutarli in altra maniera. 28.48 - Non c'è distinzione fra la Chiesa africana e le Chiese d'oltremare E quanto avremmo dovuto pagare la risposta che buttarono là, nel mezzo delle loro accesissime discussioni? Gli avevamo fatto la proposta di dimostrare, se ne erano in grado, le accuse che abitualmente scagliano contro la nostra comunione, la quale è diffusa in tutte le nazioni, per renderci conto in tal modo se la loro separazione fosse legittima. Per tutta risposta dissero che noi volevamo trattare una questione non pertinente, cioè, quella delle Chiese transmarine, alle quali non muovevano alcun addebito in proposito, poiché si trattava in tal caso di una controversia tra Africani. Quelle Chiese, piuttosto, non dovevano far altro che attendere l'esito della conferenza per aggregarsi ai vincitori, con i quali avrebbero condiviso la qualifica di Cattolici. Perché, dunque, indagate ancora? Perché esitate ancora per sapere quale Chiesa voi dovete seguire? Ecco la Chiesa, contro la quale i vostri vescovi hanno ammesso di non avere questione alcuna, alla quale è unita la nostra comunione e dalla quale la loro si è separata! Se infatti hanno dichiarato che essa per il momento non doveva far altro che attendere l'esito della conferenza per aggregarsi al gruppo vincitore e attribuirgli il titolo di cattolico, allora senza dubbio i nostri antenati hanno vinto precedentemente la causa contro i loro antenati; per questo, uniti a quella Chiesa, hanno conservato il nome cattolico nella sua unità. Quanto ai vostri vescovi, se i loro antenati sono già stati vinti dai nostri antenati, perché polemizzano ancora con i nostri? Se, poi, non sono stati vinti, perché non sono in comunione con quella Chiesa, contro la quale, non potendo negarle il titolo di cattolica, confessarono di non essere in grado di muovere contro di essa alcuna causa? Ecco la Chiesa cattolica d'oltremare, diffusa in mezzo a tante nazioni, la quale, secondo loro, dovrebbe attendere di conoscere i vincitori per aggregarvisi; ma, come deve attendere di aggregarsi ai vincitori, se è completamente estranea a quei crimini, di cui si discute fra noi? Poiché, se essa stessa vi è coinvolta, anch'essa rea, vinta con i vinti, come si aggregherà ai vincitori? Di più: se essa, come ammettono, è estranea a questi crimini, allora lo siamo anche noi, essendo uniti a lei attraverso la nostra comunione. Infatti, se in forza di questa comunione il crimine degli altri ci contamina, anche il nostro crimine deve contaminare quella con cui siamo in comunione. Costoro però hanno confessato che essa non è mai stata contaminata dal crimine degli Africani, malgrado la comunione dei sacramenti che li univa ad essa. Ne consegue dunque che essi sono costretti ad ammettere che neppure noi abbiamo potuto essere macchiati dal crimine di coloro ai quali siamo associati attraverso la comunione dei sacramenti, in quanto non siamo coinvolti da alcun rapporto di connivenza. D'altra parte, le loro stesse dichiarazioni finiscono per dimostrare con estrema facilità che la causa di Ceciliano è tutta a suo favore. Infatti, se la Chiesa d'oltremare, pur essendo estranea a questi crimini, deve attendere l'esito delle nostre discussioni per aggregare a sé e al nome cattolico coloro che risulteranno vincitori, vuol dire che essa era già in aspettativa quando i predecessori di costoro lottavano aspramente contro Ceciliano. Orbene, egli vinse allora, ed essa lo unì a sé dopo aver atteso l'esito del conflitto. Diciamo meglio: se essa poté unire a sé nella comunione dei sacramenti persino un uomo inquinato e, malgrado ciò, come essi hanno già ammesso, poté restare incontaminata da questi crimini, allora la nostra vittoria è ancor più schiacciante, in quanto ne tiriamo la conclusione che ciascuno porta il proprio fardello, ( Gal 6,5 ) e che una causa non pregiudica un'altra causa né una persona pregiudica un'altra persona. 29.49 - I Donatisti non hanno risposto al mandato dei Cattolici E perché si convincessero a rispondere al nostro mandato, che abbracciava l'insieme della causa, non con una replica improvvisata, ma con una risposta scritta, quanto dovemmo sborsare? In effetti fu subito chiaro che non sarebbero stati in grado di rispondere al ventaglio di questioni sollevate dal nostro mandato, e per questo si guardarono bene dal rispondere nella loro lettera. D'altra parte, non si può neppure sostenere che fosse impossibile per loro memorizzare la nostra argomentazione, e quindi abbiamo voluto rispondere all'essenziale, tralasciando tutto il resto. Tant'è vero che avevano ricevuto una copia del nostro mandato, richiesta espressamente da loro per iscritto, allegando come giustificazione la possibilità di studiarlo a fondo per poter rispondere a tutto. E benché fossero già sette i delegati, prescelti dagli altri per trattare tutto a nome di tutti, essi presentarono a nome di tutto il loro concilio una lettera, come se fosse stata indirizzata da tutti quelli al giudice, con la quale tentavano di rispondere al nostro mandato. Sarebbe stato nel nostro pieno diritto ricusare questa lettera, poiché non era contemplato dalla procedura che, dopo aver affidato il compito di dibattere la causa a sette delegati, si trattasse successivamente qualsiasi questione attraverso altri che non fossero quelli già designati. Ma, per non dare l'impressione con il nostro scritto di temere la loro lettera, abbiamo dato senz'alcuna esitazione il consenso perché fosse letta ed allegata. In effetti, avremmo dovuto sospirare e pagare ben caro, l'ho già detto, che, dopo una dilazione così prolungata, da noi accordata alla loro richiesta, portassero il risultato delle loro elucubrazioni, da cui risaltava molto chiaramente ai lettori delle due lettere che non avevano risposto al nostro mandato; quanto a noi, constava invece che avevamo risposto alla loro lettera immediatamente, senza esitazione alcuna. Possono forse esistere uomini di ingegno così tardo, da credere che costoro abbiano detto qualcosa intorno ai punti del nostro mandato, dei quali non hanno voluto tacere; ma non credo che ci sia un individuo così stolto, da pensare che costoro, anche sui punti su cui hanno taciuto del tutto, abbiano risposto qualcosa. Ora, non si tratta di cose di poco conto o addirittura trascurabili: lì risiede la sostanza stessa della causa. 29.50 - La testimonianza di Cipriano Infatti, le testimonianze delle Scritture, in base alle quali abbiamo sostenuto che la Chiesa, con cui siamo in comunione, si è diffusa in tutto il mondo cominciando da Gerusalemme, ( Lc 24,47 ) le ignorarono del tutto, schiacciati com'erano dal peso dell'autorità divina, come se non fossero mai state dette. Così pure, il riferimento contenuto nel nostro mandato e concernente il beato Cipriano, il quale raccomandò con la sua parola e confermò con il suo esempio di tollerare piuttosto i peccatori nella Chiesa, anziché abbandonare la Chiesa a causa dei peccatori, essi non hanno osato neppure sfiorarlo. Penso che si siano resi perfettamente conto che, qualora avessero tentato di mettere in dubbio l'autorità di Cipriano in un qualsiasi suo scritto, avrebbero dovuto ammettere conseguentemente che anche noi abbiamo ragione quando non cediamo di fronte alla sua autorità in ciò che sono soliti ricordarci circa i suoi principi o decisioni in merito alla reiterazione del battesimo. Ed essi non hanno voluto menzionare apertamente proprio questa opinione di Cipriano sul battesimo, essendo ben consci che anche lì, se l'avessero fatto, avrebbero fatto naufragio, poiché Cipriano non ha abbandonato l'unità, ma è rimasto con coloro che pensavano diversamente da lui. Da ciò deriva la seguente conclusione: o si deve affermare che la Chiesa già da allora era scomparsa e non esisteva più una Chiesa da cui nacque il loro Donato, oppure - e questa è la verità - se la Chiesa continuò, allora in essa i cattivi non inquinano i buoni, come giudicò anche Cipriano, il quale restò nella stessa comunione universale con coloro che avevano ideecontrarie alle sue. Per questo motivo essi si sono addossati la responsabilità del detestabile sacrilegio dello scisma, essi che non avrebbero dovuto assolutamente infrangere l'unità, diffusa nel mondo intero, a causa di non so quali crimini indimostrati di alcuni, fossero pure veri. Ecco, a quanto è dato di capire, ciò che essi prevedevano quando hanno coperto col silenzio più assoluto la testimonianza di Cipriano, alla quale facevamo appello nel nostro mandato. 29.51 - Il caso dei Massimianisti e di Ceciliano C'era anche questo. Nella causa dei Massimianisti avevano proclamato anch'essi con un proprio giudizio che non si deve abbandonare l'unità, neppure a causa dei cattivi, poiché dicevano che Massimiano non aveva inquinato i propri soci: per questo motivo in seguito reintegrarono fra loro con tutti gli onori coloro che avevano condannato. Mostrarono altresì che si deve riconoscere e non distruggere il battesimo di Cristo, anche se amministrato al di fuori della Chiesa, allorché essi non osarono battezzare di nuovo coloro che erano stati battezzati da Feliciano durante lo scisma, al momento di riammetterli fra loro insieme a lui. Leggendo questi fatti nel nostro mandato, essi giudicarono più opportuno tacerli e passare oltre, anziché riaccendere la polemica senza contraddirsi minimamente. La loro risposta non sfiorò neppure la causa di Ceciliano, che nel nostro mandato avevamo ben distinto dalla causa della Chiesa, ma comunque avevamo ben difesa anch'essa fin nei minimi dettagli. Chi, dunque, potrà pensare che essi abbiano risposto al nostro mandato, quando non hanno neppure azzardato la minima replica contro l'insieme delle nostre argomentazioni o almeno una parvenza di risposta? Chi ne avrà voglia, legga pure ciò che credettero opportuno rispondere, e giudichi confrontando la loro lettera con il nostro mandato, senza dimenticare la risposta che noi abbiamo dato loro immediatamente, la quale ha sovvertito tutte le loro vane macchinazioni. 30.52 - Ancora il principio che una causa non pregiudica un'altra causa né una persona un'altra persona Ma c'è ben altro. Se avessimo dato loro anche montagne d'oro, quando mai avremmo potuto comprare questa confessione? Noi avevamo esposto loro l'affare di Massimiano perché si rendessero conto che non pregiudicò Ceciliano quel concilio, nel corso del quale settanta vescovi decretarono contro di lui, in sua assenza, ciò che vollero; come pure non pregiudicò Primiano il concilio, durante il quale un centinaio di vescovi favorevoli a Massimiano lo condannò, sempre in sua assenza. Completamente frastornati e in preda a vergognoso imbarazzo, essi risposero che una causa non pregiudica un'altra causa né una persona un'altra persona. Con queste scarne parole, diedero vittoria definitiva alla nostra causa, attorno alla quale avevamo discusso accanitamente fino a quel momento. Infatti, che altro tentavamo di fare, se non provare, con tante testimonianze dei santi Oracoli, con l'autorità sì grande dei Profeti, degli Apostoli, dei vescovi, e perfino degli avversari, che la comunione dei sacramenti con i cattivi non contamina i buoni, se cuore, volontà, condotta, azioni hanno cause diverse e rappresentano persone diverse? Perché mai dovevamo darci tanto da fare, se non perché fosse chiaro il principio che una causa non pregiudica un'altra causa né una persona un'altra persona? Questa breve frase, proprio loro la proclamarono, costretti da ineluttabile forza maggiore! Noi lo ripetevamo da gran tempo, ma essi si erano rifiutati di arrendersi alla verità. 31.53 - I Donatisti confessarono l'innocenza di Ceciliano E con quali tesori, con quali ricchezze, con quale quantità di pietre preziose avremmo dovuto comprare ciò che seguì? Essi, non solo avevano confessato che i loro antenati avevano perseguitato Ceciliano davanti all'imperatore Costantino, ma anche con assoluta convinzione lo avevano dichiarato apertamente e se ne gloriavano, volendo sostenere anche la fandonia che era stato condannato dall'imperatore! E dove è andata a finire quella diceria, con cui erano soliti ingannarvi per aizzare il vostro astio contro di noi, secondo la quale noi vogliamo trattare la causa della Chiesa davanti all'imperatore? Dove sono andate a finire le parole di Primiano, consegnate agli atti del magistrato di Cartagine: " Essi portano le lettere di numerosi imperatori, noi non presentiamo se non i Vangeli"? Che fine ha fatto quel magnifico elogio, con cui esaltano il loro scisma, dicendo che la vera Chiesa è quella dei perseguitati, non quella dei persecutori?. Eccola distrutta, eccola a terra! I resoconti delle loro persecuzioni si leggono: non possono negarli perché vi si leggono le loro firme. Noi li sorprendiamo nell'atto di confessare, proclamare, gloriarsi che i loro antenati hanno duramente perseguitato Ceciliano presso l'imperatore; noi li sorprendiamo anche mentre dicono che è per le loro accuse che Ceciliano fu condannato dall'imperatore. La smettano dunque di proclamare che la loro sètta è la vera Chiesa perché non fa, ma subisce la persecuzione, oppure ammettano che essa non era la vera Chiesa quando Ceciliano subì la persecuzione da parte dei loro antenati. Se infatti sono sempre buoni coloro che subiscono la persecuzione, anche Ceciliano era buono quando subiva la persecuzione. Se, al contrario, può verificarsi che anche i cattivi subiscano persecuzioni, ma in nessun modo sono i buoni ad infliggerle, allora i loro antenati non erano buoni quando perseguitavano Ceciliano. Infine, seppure potrà verificarsi il caso che ibuoni facciano la persecuzione e i cattivi la subiscano, né si deve accusare noi né si deve lodare loro perché subiscono un trattamento simile a quello inflitto a Ceciliano, di cui lodano i loro antenati. Comunque, non consta assolutamente che Ceciliano sia stato condannato dall'imperatore, tant'è vero che per la sua assoluzione e giustificazione, quale risulta dalla sentenza emessa dai vescovi e dall'imperatore, non si può provare che in seguito sia intervenuto un cambiamento qualsiasi. Il risultato fu che si mise daparte la condanna di Ceciliano, inventata da loro di sana pianta, e rimase soltanto la persecuzione inflittagli dai loro antenati, per loro esplicita ammissione. 31.54 - I Donatisti non furono assolutamente in grado di dimostrare che Ceciliano fu condannato Ma non si limitarono a gloriarsi, mentendo temerariamente e senza poterne fornire le prove, che Ceciliano fosse stato condannato dall'imperatore. Soprattutto dimostrarono anche che l'assoluzione di Ceciliano - e su questo punto i nostri documenti gli diedero una grossa mano - aveva conservato tutto il suo valore, poiché, contrariamente alle loro false asserzioni, nessuna sentenza imperiale era stata emessa in seguito per convertirla in condanna. Difatti, prima sollecitarono la lettura di un testo di Ottato, vescovo cattolico della Chiesa di Milevi, assicurando di avere in mano la prova che Ceciliano era stato condannato dall'imperatore. Ma questa lettura tornò piuttosto a loro danno, tanto che nessuno poté trattenere le risa. Sarebbe stato difficile, certo,ufficializzare queste risa negli atti, quindi tutto sarebbe rimasto completamente occulto, se non fossero stati proprio loro a impedirgli di passare inosservato, dicendo: " Stiano attenti coloro che hanno riso! ". E questo fu bell'e scritto e firmato. Il testo, di cui avevano reclamato la lettura perché lo ritenevano favorevole alla loro causa, era in effetti ambiguo. Anche il giudice molto giustamente ordinò di riprendere la lettura poco sopra per tentare di chiarire meglio quelle parole. E fu letto proprio ciò che essi non volevano, cioè che Ceciliano era stato prosciolto. Ma anche il testo che avevano fatto leggere precedentemente, non diceva che Ceciliano era stato condannato, come essi pretendevano, bensì che era stato trattenuto a Brescia per tutelare il bene della pace. A questo punto, sostennero che, con tali parole, Ottato aveva inteso ridimensionare l'importanza della condanna di Ceciliano. Allora si disse loro di addurre una prova certa della condanna di Ceciliano, perché si potesse realmente capire se Ottato ne aveva sminuito l'importanza, lui che aveva scritto senza mezzi termini che Ceciliano era stato assolto. Essi non furono assolutamente in grado di dimostrarlo, anzi, esauriti ormai tutti gli espedienti ostruzionistici e le inutili digressioni, finirono per aiutarci nel modo più esplicito. Come se fossero stati istruiti da noi o, meglio, fossero stati scelti per difendere con noi e mettere in luce l'innocenza di Ceciliano! Infatti essendo stato richiesto loro se fossero in grado di provare ciò che avevano sostenuto, e cioè che Ceciliano era stato condannato dall'imperatore con una sentenza successiva, la cui lettera che lo dichiarava innocente avevamo letto, essi produssero una supplica, indirizzata dai loro antenati allo stesso imperatore Costantino, ( con la quale dimostravano in modo lampante che proprio loro erano stati condannati dalla sua sentenza. Accadde ad essi, dunque, nei confronti dell'autorità imperiale, ciò che accadde ai nemici del santo Daniele: essi subirono nelle fauci dei leoni la sorte che avevano voluto far subire a un innocente. ( Dn 6, 24 ) Gli facemmo osservare brevemente che quel documento era stato presentato piuttosto a nostro favore e contro di loro; ne produssero un altro: la lettera, indirizzata dallo stesso imperatore al vicario Verino, in cui esprime la sua ferma condanna contro di loro e li rimette al giudizio di Dio, che già cominciava a punirli, e con la più ignominiosa indulgenza li liberava dalla pena dell'esilio. In tal modo risultava evidentissimo che, non solo non era sopravvenuta in seguito alcuna condanna di Ceciliano, ma che anche la sua assoluzione e giustificazione aveva trovato conferma nella pena inflitta ai suoi nemici, poi pienamente condonata loro a conferma di tutto ciò. Tutti questi documenti di grande valore probatorio, ci teniamo a riconoscerlo, non erano a nostra disposizione; ma se per qualche casualità ne avessimo intuito l'esistenza in un dato luogo, da cui non avrebbero potuto fornirceli gratuitamente, saremmo stati disposti a pagare qualsiasi prezzo pur di procurarcene una copia. E che cosa non avremmo sborsato, se ci fosse stato proposto di comperarli, per farli leggere anche ai nostri avversari, a tutto vantaggio della nostra causa! 32.55 - L'innocenza di Felice fu pienamente messa in luce Si poteva ancora aggiungere qualcosa per colmare la misura del loro aiuto fornito a noi? Ebbene, essi fecero di più! Infatti tirarono fuori la causa di Felice d'Aphthungi, il consacrante di Ceciliano, contro il quale avevano lanciato l'accusa di essere stato un traditore. Dopo l'assoluzione di Ceciliano, mentre si lavorava per ricucire l'unità, [ i vostri antenati ] avevano sollevato il caso di questo Felice, pensando in tal modo di poter coinvolgere nei crimini altrui Ceciliano, già dichiarato innocente. Si discusse anche questa causa nel tribunale proconsolare, e l'innocenza di Felice fu pienamente messa in luce. Ma nacque anche il caso di un certo Ingenzio, il quale aveva ammesso di aver testimoniato il falso durante il processo contro Felice. Non poteva essere punito alla leggera, trattandosi di un processo che metteva in causa un vescovo, e neppure dovette essere facile per il proconsole rimettere in libertà chi era imputato di un crimine così grave, senza consultare l'imperatore, su istanza del quale era stato avviato tutto il processo. Il proconsole riferì dunque all'imperatore e questi rispose per iscritto, ordinando di rinviare alla sua corte quel tale Ingenzio: intendeva così confutare alla loro presenza i predecessori di costoro, che lo pressavano ogni giorno con le loro interpellanze; lui comunque non metteva minimamente in dubbio l'assoluzione [ di Felice ], anzi, la confermava espressamente, come attesta il suo rescritto. L'insieme di questi documenti, concernenti la causa di Felice, li avevamo fra le mani e avevamo disposto di farli leggere in assemblea. Ma essi in questo ci prevennero: furono infatti i primi a produrre e a leggere questa lettera dell'imperatore, che ordina di inviargli Ingenzio. Probabilmente noi non l'avremmo più fatta leggere, poiché con questo giudicavamo che anche la causa di Ceciliano era stata trattata in modo esauriente, senza lasciare nulla in sospeso. Ma, dal momento che i nostri avversari si adoperavano per mettere in rilievo la persecuzione che i loro antenati avevano mosso contro i nostri presso gli imperatori, e le loro calunnie ormai risultavano del tutto superate, che altro dovevamo fare se non accettare volentieri il regalo e ringraziare di tutto il Signore? Presentarono dunque la lettera di Costantino ed essi stessi la lessero. Ciò che sto per dire ha dell'incredibile, ma gli atti lo attestano: i loro interventi sono scritti e si conservano le loro firme. Ribadisco che furono proprio loro a leggere la lettera di Costantino, in cui si diceva che " il proconsole Aeliano aveva concesso udienza competente nella causa di Felice ed era stata appurata l'innocenza di Felice quanto al crimine di tradizione; tuttavia [ Costantino ] aveva ordinato che fosse portato a corte Ingenzio, perché a coloro che conducono l'attuale processo - precisava - e non la smettono di fare interpellanze durante la giornata, si possa mostrare e notificare, in loro presenza e davanti a me, che senza motivazione alcuna hanno voluto accusare malignamente Ceciliano, insorgendo violentemente contro di lui ". Lo lessero proprio loro! E chi di noi avrebbe mai osato augurarsi che coloro, i quali erano stati fatti diventare dall'iniquità nostri accusatori, la verità li trasformasse in nostri difensori? Allo stesso modo, né più né meno, il celebre Balaam, che in tempi antichi l'iniquità aveva trascinato a maledire il popolo di Dio, fu costretto dalla verità a benedirlo. ( Nm 23 ) 33.56 - Giustificati sia Felice che Ceciliano Lo dimostra appunto la successione dei consoli, che in quel momento per mancanza di tempo non era possibile accertare - noi infatti non avevamo a disposizione le cosiddette liste consolari; d'altra parte, chi di noi avrebbe mai potuto credere che costoro avrebbero sollevato una questione così futile, pretendendo di sapere ciò che seguì all'invio di Ingenzio, o se Ingenzio fosse stato realmente inviato, poiché, da un lato, la sentenza del proconsole aveva dichiarato l'innocenza di Felice, sentenza confermata dalla risposta dell'imperatore, che proprio loro avevano presentato e letto, e dall'altro lato, essi stessi si riservavano di produrre altre prove se avessero avuto la convinzione, una volta inviato Ingenzio, che qualche decisione sarebbe stata presa in loro favore -, la successione dei consoli, ripeto, dimostra che Ceciliano una prima volta fu dichiarato innocente dal giudizio episcopale di Milziade e, poco tempo dopo, una sentenza del proconsole stabiliva l'innocenza di Felice; fu allora che Ceciliano fu giustificato anche dall'imperatore, il quale aveva ascoltato le due parti; infine, dopo qualche anno, con quel gesto ignominioso di amnistia, i suoi avversari poterono rientrare dall'esilio. In effetti, Milziade emise la sua sentenza sotto il terzo consolato di Costantino e il secondo di Licinio, il sesto giorno prima delle none di ottobre. Il proconsole Aeliano diede udienza nella causa di Felice sotto il consolato di Volusiano e di Anniano, il quindicesimo giorno prima delle calende di marzo, cioè circa quattro mesi dopo. Costantino scrisse al vicario Eumalio, a proposito della giustificazione di Ceciliano, sotto il consolato di Sabino e di Rufino, quattro giorni prima delle idi di novembre, cioè dopo circa due anni e otto mesi. Lo stesso imperatore inviò al vicario Valerio la sua lettera, nella quale li proscioglieva dall'esilio e rimetteva la loro ribellione alla giustizia di Dio, sotto il secondo consolato di Crispo e di Costantino, il terzo giorno prima delle none di maggio, cioè dopo circa quattro anni e quasi sei mesi. Ne risulta con assoluta certezza - che Ingenzio sia stato inviato o no a corte - che nessuna sentenza è stata emessa in seguito contro Ceciliano. Che dico? Gli stessi pronunciamenti successivi dell'imperatore lo hanno dichiarato vincitore dei suoi avversari e dei suoi persecutori. 34.57 - Il partito di Donato, ripetutamente sconfessato e diffamatore e menzognero e confutato Esca pure dalla scena adesso il partito di Donato, ripetutamente sconfessato e diffamatore e menzognero e confutato: più volte e in ogni modo vinto e confutato! Continui pure a darla ad intendere che noi abbiamo subornato il giudice, come se questo non fosse il linguaggio abituale dei vinti! Sì, avremmo proprio dovuto corrompere il giudice perché con la sua autorità infirmasse ciò che essi avevano così brillantemente condotto! Ma, non direi comunque che costoro si siano comportati male; al contrario, si sono comportati ottimamente, essi che hanno parlato tanto e in modo così persuasivo contro i loro errori e a favore della verità. Infatti, se si considera attentamente la loro causa, è chiaro che il giudice si è realmente pronunciato contro di loro; ma, a leggere le loro argomentazioni, egli ha giudicato piuttosto secondo la loro impostazione. In verità, che bisogno c'era che l'arbitro fra le due parti nel corso del dibattito prendesse posizione contro di noi, quando i nostri avversari avevano parlato, prodotto prove, fatto leggere tali apologie in nostro favore? Che bisogno avevamo di comprare il giudice, quando non avevamo dovuto comprare dai nostri avversari quelle verità che avrebbero costretto il giudice, anche se avesse ricevuto denaro da loro, a pronunciarsi a nostro favore? D'altra parte, se non l'avessimo conosciuto come uomo timorato di Dio, amante della giustizia ed estraneo a tutte le bassezze di questo genere, saremmo stati noi i primi ad aver concepito un simile sospetto su di lui. Egli, veramente dotato di eccezionale pazienza, pur vedendoli assediati dalla verità, non ha voluto infierire su di loro e ha tollerato con fin troppa pazienza quegli individui che vagavano nel vuoto con il loro profluvio di parole inutili e con il martellante insistere sulle stesse argomentazioni già confutate, tanto che quasi nessuno accetterebbe volentieri il compito di sfogliare i volumi così ponderosi degli atti per apprendere attraverso la lettura come si svolse la causa. E quale fu il loro movente: il vuoto di verità o lo zelo dell'astuzia? Non lo so. In ogni caso, l'unico risultato fu che essi poterono favorire soltanto, per così dire, una causa tanto infame, che avrebbero fatto meglio a lasciar perdere. E, per finire, qualora gli altri [ vescovi donatisti ] accusassero i loro rappresentanti di essersi lasciati corrompere da noi per portare tante argomentazioni e produrre tanti testi che favorivano la nostra causa e compromettevano la loro, non so come potrebbero difendersi e liberarsi da questo sospetto, a meno che non dicano: " Se ci fossimo lasciati corrompere, avremmo chiuso ancor più in fretta una causa così malvagia, dimostrata tale sia da noi che da loro; ora, almeno, dateci atto che ce l'abbiamo messa tutta e abbiamo voluto rendere un qualche servizio, non fosse altro che con la nostra parlantina. E così siamo riusciti intanto nell'intento di far leggere non senza fatica il processo verbale e di non venire subito a conoscere la nostra disfatta! ". Se non avessero tenuto questo comportamento, nessuno forse crederebbe, nonostante i loro e nostri giuramenti, che ci abbiano dato, senza compenso alcuno, una serie così cospicua di documenti, che comunicarono e lessero a nostro favore e a loro danno. Ma non è certo a loro, bensì a Dio che noi esprimiamo la nostra gratitudine. Se essi hanno prodotto e divulgato tante cose con discorsi e documenti che favorivano la nostra causa, non è certamente per l'invito della carità, ma per la pressione della verità. Ecco, l'errore è smascherato! Ecco, la verità si è manifestata! 35.58 - Perché, dunque, fuggite ancora l'unità; perché offendete ancora la carità? Per questo, fratelli, se non vi irrita il fatto che vi chiamiamo fratelli - [ i vostri vescovi ] infatti, quando si sono sentiti chiamare così da noi, hanno fatto mettere agli atti che lo consideravano un affronto, ed anche l'ammonimento contenuto nel nostro mandato, desunto da un testo del profeta, non è valso a rammentare loro che si trattava di un comando di Dio: Dite: " voi siete nostri fratelli ", a coloro che vi odiano e vi respingono, affinché il nome del Signore sia santificato e brilli davanti a loro gioiosamente, loro invece siano confusi ( Is 66,5 ) -; dunque, fratelli, brilli gioiosamente su di voi il nome del Signore, che è stato invocato su di noi e di cui portiamo gli uni e gli altri i sacramenti: per questo, a buon diritto, ci chiamiamo fratelli! Ormai amate la pace, abbandonate l'abitudine inveterata dell'errore, litigiosa e calunniatrice, almeno adesso che è stato evidenziato e smascherato, e non odiate i vostri vescovi quando si correggono e ritornano a noi, ma quando rimangono nel loro empio errore per continuare ancora a sedurvi! Che essi non si inorgogliscano perché nell'unità conservano la stessa dignità [ episcopale ], che devono gestire per la propria redenzione; se invece la possiedono al di fuori dell'unità, allora sono da condannare maggiormente. È più nefasto per gli usurpatori mantenere le insegne militari, anziché non averle più; pertanto, quando costoro si emendano e vengono reintegrati nei ranghi delle milizie dell'imperatore, esse non sono distrutte o annullate: prima tradivano coloro che le portavano e li esponevano alla pena, ora sono per essi un ornamento e una difesa. Perché prestate ancora attenzione alle loro folli contestazioni e vuote menzogne? La causa è terminata di notte, ma per mettere fine alla notte dell'errore. La sentenza è stata pronunziata di notte, ma essa brilla dello splendore della verità. Essi si dolsero come se fossero stati rinchiusi in una prigione; anche noi ci trovavamo là: gli uni e gli altri o hanno subìto la stessa ingiuria o sono stati oggetto della stessa sollecitudine. Allora, come parlare d'ingiuria, quando pensiamo che ci trovavamo in un luogo così spazioso, luminoso e fresco? Come poteva essere un carcere il luogo, ove si trovava anche il giudice? E, per finire, noi non sapevamo che quel luogo fosse stato chiuso, [ sapevamo soltanto ] che lì eravamo tutti insieme. Come hanno saputo questo, se non per il fatto che tentarono di fuggire? Ora, chi non si rende conto che costoro non avrebbero pronunciato simili falsità, degne di ilarità più che di confutazione, contro un giudice così eccellente, se avessero potuto trovare un argomento valido per la loro causa? Sappiamo che molti fra voi, forse tutti o quasi tutti, amate dire: " Oh, se costoro si riunissero in uno stesso luogo; oh, se finalmente tenessero una conferenza e brillasse la verità nelle loro discussioni! ". Ecco, la cosa è bell'e fatta! Ecco, l'errore è smascherato! Ecco, la verità si è manifestata! Perché, dunque, fuggite ancora l'unità; perché offendete ancora la carità? Che bisogno abbiamo di dividerci ancora intorno a dei nomi di uomini? Non c'è che un solo Dio che ci ha creati, un solo Cristo che ci ha redenti, un solo Spirito che deve riunirci. Ormai, che il nome del Signore sia onorato e brilli su di voi nella letizia, affinché riconosciate i vostri fratelli nella sua stessa unità. Ormai l'errore che ci separava è stato vinto nel corso degli interventi dei vostri vescovi: anche il diavolo sia finalmente sconfitto nei vostri cuori. Cristo, che ci ha dato questo precetto dell'unità, assista propizio il suo gregge, riunificato e pacificato! ( Ef 2,14 )