Padri\Agostino\CastPerd\CastPerd.txt Il castigo e il perdono dei peccati e il Battesimo dei Bambini A Marcellino Libro I 1.1 - Prefazione Sebbene ci troviamo in mezzo al bollire di grandi preoccupazioni e fastidi a causa dei peccatori che abbandonano la legge di Dio e a causa anche degli stessi nostri peccati, tuttavia, carissimo Marcellino, non ho voluto e, per dire la verità, non ho potuto stare ancora più a lungo in debito con la tua premura che ti rende a me particolarmente soave e dolce. Infatti mi ha spinto sia la stessa carità, per la quale nell'Uno che non muta noi siamo già una cosa sola, benché da mutare in meglio, sia il timore d'offendere in te Dio che ti ha dato tale desiderio, servendo il quale io servirò lui che te l'ha dato. Questi sentimenti mi hanno spinto, indotto, tratto a risolvere, secondo le mie modestissime capacità, le questioni da te notificatemi per lettera, con un assillo che ha vinto nel mio animo sugli altri per tutto il tempo necessario a portare a termine qualcosa di valido che dimostrasse come ho servito con obbedienza, anche se non con sufficienza, la buona volontà di te e di quanti hanno a cuore questi problemi. 2.2 - Adamo non sarebbe morto, se non avesse peccato Coloro che dicono che "Adamo fu creato in tale stato che sarebbe morto anche senza il merito del peccato, non in pena di una colpa, ma per necessità di natura", devono riferire non alla morte del corpo, ma alla morte dell'anima, che muore nello stesso atto di peccare, le parole della Legge: Quando ne mangerete, certamente morirete. ( Gen 2,17 ) Di tale morte il Signore denominò morti gli infedeli, dicendo di essi: Lascia i morti seppellire i loro morti. ( Mt 8,22 ) Ma allora che cosa risponderanno a leggere che Dio nel rimproverare e condannare il primo uomo proprio dopo il peccato gli disse: Tornerai alla terra, perché da essa sei stato tratto? ( Gen 3,19 ) Infatti non quanto all'anima, ma, com'è evidente, quanto al corpo era stato tratto dalla terra e con la morte dello stesso corpo sarebbe tornato alla terra. Tuttavia, sebbene fosse terra secondo il corpo e portasse il corpo animale con il quale era stato creato, Adamo, se non avesse peccato, sarebbe stato trasformato in corpo spirituale e sarebbe passato senza la prova della morte a quella incorruttibilità che è promessa a quanti sono credenti e santi. E il desiderio di questa immortalità non solo sentiamo da noi stessi d'averlo dentro di noi, ma lo conosciamo pure attraverso la testimonianza dell'Apostolo che dice: Perciò sospiriamo in questo nostro stato, desiderosi di rivestirci del nostro corpo celeste: a condizione però di essere trovati vestiti, non nudi. In realtà quanti siamo in questo corpo, sospiriamo come sotto un peso, non volendo venire spogliati ma sopravvestiti, perché ciò che è mortale venga assorbito dalla vita. ( 2 Cor 5,2-4 ) Pertanto Adamo, se non avesse peccato, non avrebbe dovuto essere spogliato del suo corpo, ma sopravvestito d'immortalità e incorruttibilità, perché ciò che era mortale fosse assorbito dalla vita, cioè Adamo passasse da un corpo animale ad un corpo spirituale. 3.3 - Altro è poter morire, altro dover morire Non ci sarebbe stato in realtà da temere che, vivendo a lungo quaggiù in un corpo animale, fosse gravato dalla vecchiaia e giungesse un poco alla volta alla morte per senilità. Se Dio infatti concesse alle vesti e alle calzature degli israeliti di non logorarsi in tanti anni, ( Dt 29,5 ) che ci sarebbe di strano che la sua potenza concedesse all'uomo in premio della sua sottomissione che, pur avendo un corpo animale, cioè mortale, avesse in esso una tale costituzione che gli consentisse d'essere annoso senza decadenza, destinato a passare, quando Dio lo volesse, dalla mortalità all'immortalità saltando la morte? Come infatti la sola mancanza di necessità che questa nostra carne di adesso sia vulnerata non la fa invulnerabile, cosi la sola mancanza per la carne di allora della necessità di morire non la faceva immortale. Tale condizione credo sia stata concessa in un corpo ancora animale e mortale a coloro che sono stati portati via dalla terra senza morire. Enoch ed Elia infatti in cosi lungo tempo non hanno subito il decadimento della vecchiaia. Né tuttavia credo che essi siano già stati cambiati nella condizione del corpo spirituale, quale è promessa in quella risurrezione che era avvenuta per prima nel Signore. Al massimo forse essi non hanno bisogno nemmeno di questi cibi che si consumano per ristoro, ma da quando furono trasferiti vivono cosi da avere la medesima vigoria di quei quaranta giorni nei quali Elia senza mangiare visse di un orcio d'acqua e di una focaccia di pane. ( 1 Re 19,1-8; 1 Sam 19,6-8 ) Oppure, se hanno bisogno anche di questi sostentamenti, si cibano forse in paradiso in modo simile ad Adamo prima che meritasse d'uscirne per il peccato. A mio avviso infatti gli davano nutrimento contro il deperimento i frutti degli alberi e vigoria contro la vecchiaia l'albero della vita. 4.4 - Anche la morte del corpo viene dal peccato Oltre alle parole con le quali Dio inflisse la punizione: Tornerai alla terra, perché da essa sei stato tratto, ( Gen 3,19 ) parole che non saprei come si possano intendere se non della morte del corpo, ci sono anche altre testimonianze per dimostrare evidentissimamente che il genere umano meritò per il peccato non solo la morte dello spirito, ma anche quella del corpo. L'Apostolo dice ai Romani: Se il Cristo è in voi, il vostro corpo è morto per il peccato, ma lo spirito è vita per la giustizia. E se lo Spirito di colui che ha risuscitato Gesù dai morti abita in voi, colui che ha risuscitato Gesù Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi. ( Rm 8,10-11 ) Credo che non occorra spiegare, ma soltanto leggere una dichiarazione cosi limpida e aperta. Dice che il corpo è morto, non per la fragilità terrena perché fu fatto con la polvere del suolo, ma per il peccato. Che vogliamo di più? E accuratissimamente non dice che il corpo è "mortale", ma che è morto. 5.5 - Corpo mortale, morituro, morto Prima infatti d'essere trasferito a quell'incorruttibilità che è promessa per il tempo della risurrezione dei santi, il corpo di Adamo poteva essere mortale, sebbene non fosse morituro, come questo nostro corpo può ammalarsi, anche se di fatto non si ammalerà. Chi ha un corpo che non possa ammalarsi, benché per un qualche incidente venga a morire prima d'ammalarsi? Cosi anche il corpo di Adamo era già mortale e la sua mortalità sarebbe stata assorbita dalla trasformazione nell'incorruttibilità eterna, se in Adamo fosse perseverata la giustizia, cioè l'obbedienza: ma quello stesso corpo mortale non divenne un corpo morto se non per il peccato. Poiché invece la trasformazione che ci sarà nella futura risurrezione escluderà in modo assoluto non solo la morte che fu inflitta per il peccato, ma anche la mortalità che il corpo animale aveva prima del peccato, Paolo non dice: "Dio che risuscitò dai morti Gesù Cristo darà la vita anche ai vostri corpi morti", mentre sopra aveva detto che il corpo è morto, ma dice darà la vita anche ai vostri corpi mortali, perché cesseranno sia di essere morti, sia di essere mortali, quando il corpo animale risorgerà come corpo spirituale e questo corpo mortale si vestirà d'immortalità ( 1 Cor 15, 44.53 ) e ciò che è mortale sarà assorbito dalla vita. ( 2 Cor 5,4 ) 6.6 - In che senso il corpo è morto per il peccato Sarebbe strano se cercassimo qualcosa di più limpido di questa verità manifesta. A meno che non si voglia accogliere in contrasto con tanta chiarezza l'interpretazione che intende qui la morte del corpo nel senso in cui è detto: Mortificate le vostre membra che sono sulla terra. ( Col 3,5 ) Ma secondo questo testo il corpo viene mortificato per la giustizia, non per il peccato: mortifichiamo infatti le nostre membra corporali per operare la giustizia. Se invece credono di poter intendere il complemento per il peccato non del peccato già commesso, bensi del peccato da evitare, come se dicesse che "Il corpo è morto per non commettere il peccato", allora che significa il complemento per la giustizia dopo le parole lo spirito è vita? Bastava che dicesse lo spirito è vita e si sarebbe sottinteso anche qui: "Per non commettere il peccato". Cosi una sola motivazione, quella d'evitare il peccato, varrebbe per ambedue i fatti: per la morte del corpo e per la vita dello spirito. Ugualmente, se voleva dire per la giustizia intendendo solo per fare la giustizia, poteva riferirsi ad ambedue le cose: alla morte del corpo e alla vita dello spirito. Invece ha detto che il corpo è morto per il peccato e che lo spirito è vita per la giustizia, attribuendo cause diverse ad effetti diversi: alla morte del corpo il merito del peccato, alla vita dello spirito il merito della giustizia. Perciò se, com'è indubitabile, lo spirito è vita per la giustizia, cioè per il merito della giustizia, allora l'affermazione che il corpo è morto per il peccato come possiamo o dobbiamo intenderla se non del merito del peccato, per non pervertire e storcere arbitrariamente il senso manifestissimo della Scrittura? Anche le parole susseguenti portano altra luce. È vero infatti che esponendo la grazia del tempo presente dice che il corpo è morto per il peccato, in quanto in esso non ancora rinnovato dalla risurrezione persiste il merito del peccato, cioè la necessità della morte, e dice al contrario che lo spirito è vita per la giustizia, in quanto, benché siamo ancora soffocati dal corpo di questa morte, ( Rm 7,24 ) tuttavia, avendo già ricevuto il rinnovamento nel nostro intimo, torniamo a respirare nella speranza della giustizia della fede. Nondimeno, perché l'umana ignoranza non disperasse della risurrezione del corpo, dice che anche lo stesso corpo che per il merito del peccato aveva chiamato morto nel secolo presente dovrà essere rimesso in vita nel secolo futuro per il merito della giustizia e non solamente in modo che da morto diventi vivo, ma anche che da mortale diventi immortale. 7.7 - La vita dello spirito prepara la vita del corpo Benché io tema a forza di spiegare una verità evidente di renderla oscura, avverti nondimeno la luce della sentenza dell'Apostolo. Dice: Se il Cristo è in voi, il corpo è morto per il peccato, ma lo spirito è vita per la giustizia. ( Rm 8,10 ) L'ha detto, perché gli uomini non reputassero di non aver ricevuto dalla grazia del Cristo beneficio alcuno o minimo per il fatto che subiranno necessariamente la morte del corpo. Devono considerare che il corpo porta, si, ancora il merito del peccato soggiacendo alla condizione della morte, ma ha già cominciato a vivere per la giustizia della fede lo spirito che, pur esso, era stato estinto nell'uomo da una specie di morte d'infedeltà. Dice: "Non vi dovete dunque credere poco beneficati, se per la presenza del Cristo in voi il vostro spirito vive già per la giustizia in un corpo morto per il peccato, né dovete disperare per questo della vita del corpo stesso. Se infatti lo Spirito di colui che risuscitò il Cristo dai morti abita in voi, colui che risuscitò il Cristo dai morti, darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi". ( Rm 8,11 ) Perché su tanta luce si sparge ancora il fumo della discordia? L'Apostolo grida: "Il corpo è morto in voi per il peccato, ma anche i vostri corpi mortali verranno risuscitati per la giustizia, per la quale già fin da ora lo spirito è vita. E tutto si compirà per mezzo della grazia del Cristo, ossia per mezzo del suo Spirito che abita in voi". E si borbotta ancora! Dice pure in quale modo avverrà che la vita uccidendo la morte la converta in vita. Scrive: Cosi dunque, fratelli, noi siamo debitori, ma non verso la carne per vivere secondo la carne; poiché se vivete secondo la carne, voi morirete; se invece con l'aiuto dello Spirito voi fate morire le opere del corpo, vivrete. ( Rm 8,12-13 ) Che significa se non questo: "Se vivrete secondo la morte, tutto morirà; se invece vivendo secondo la vita ucciderete la morte, tutto vivrà"? 8.8 - S. Paolo parla della morte del corpo Cosi pure le parole: A causa di un uomo venne la morte, a causa di un uomo verrà anche la risurrezione dei morti, ( 1 Cor 15,21 ) come si possono intendere se non della morte del corpo, atteso che nel dire questo parlava della risurrezione del corpo e intendeva provarla con la volontà più viva e tenace? Ciò che dice ai Corinzi: A causa di un uomo venne la morte, a causa di un uomo verrà anche la risurrezione dei morti, e come tutti muoiono in Adamo, cosi tutti riceveranno la vita nel Cristo, ( 1 Cor 15,21-22 ) cos'è se non ciò che dice pure ai Romani: A causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e con il peccato la morte? ( Rm 5,12 ) Costoro vogliono che s'intenda in questa morte non quella del corpo, ma quella dell'anima; come se altro significassero le parole scritte ai Corinzi: A causa di un uomo venne la morte, dove non è consentito ad essi intendere la morte dell'anima, perché si trattava della risurrezione del corpo, che è contraria alla morte del corpo. Ivi perciò ha ricordato solo la morte causata dall'uomo e non anche il peccato, perché non si trattava della giustizia che è contraria al peccato, ma della risurrezione del corpo che è contraria alla morte del corpo. 9.9 - Il peccato si è diffuso anche con la procreazione, oltre che con l'imitazione di Adamo Quanto al testo dove l'Apostolo dice: A causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e con il peccato la morte, ( Rm 5,12 ) mi hai informato nella tua lettera che costoro tentano di storcerlo ad una nuova interpretazione, ma non mi hai detto quale sia. Per quanto ho appreso da altre fonti, questa è la loro sentenza: "primo, che la morte ivi ricordata non è quella del corpo, perché negano che Adamo l'abbia meritata peccando, bensi quella dell'anima che muore nello stesso atto di peccare; secondo, che lo stesso peccato non è passato dal primo uomo negli altri uomini per propagazione, ma per imitazione". La ragione infatti per la quale non vogliono credere che anche nei bambini si scioglie con il battesimo il peccato originale è che sostengono che nei nascenti non esiste assolutamente nessun peccato. Però, se l'Apostolo non avesse voluto alludere al peccato che è entrato in questo mondo con la propagazione, ma con l'imitazione, non ne avrebbe fatto principe Adamo, bensi il diavolo, di cui sta scritto: Il diavolo è peccatore fin dal principio. ( 1 Gv 3,8 ) Di lui si legge pure nel libro della Sapienza: Per invidia del diavolo entrò la morte nel mondo. ( Sap 2,24 ) Poiché infatti questa morte venne dal diavolo negli uomini, non in quanto siano stati generati da lui, ma in quanto hanno imitato lui, aggiunge subito: Lo imitano coloro che sono dalla sua parte. ( Sap 2,25 ) L'Apostolo perciò, volendo riferirsi a quel peccato e a quella morte che da uno passarono in tutti mediante la propagazione, ne ha posto qual principe quegli da cui ha preso l'avvio la propagazione del genere umano. 9.10 - Peccato attuale e peccato originale Certamente imitano Adamo quanti trasgrediscono per disobbedienza un comandamento di Dio. Ma altro è il rapporto dell'esempio per quelli che peccano volontariamente, altro è il rapporto dell'origine per quelli che nascono con il peccato. Anche i santi del Cristo imitano il Cristo nel seguire la giustizia. Tanto che il medesimo Apostolo dice: Fatevi miei imitatori come io lo sono del Cristo. ( 1 Cor 11,1 ) Ma oltre a questa imitazione c'è la sua grazia che opera anche intrinsecamente la nostra illuminazione e giustificazione con quell'opera di cui il medesimo predicatore della grazia dice: Né chi pianta, né chi irriga è qualche cosa, ma Dio che fa crescere. ( 1 Cor 3,7 ) Infatti con questa grazia inserisce nel proprio corpo all'atto del battesimo anche i bambini che certamente non sono capaci d'imitare alcuno. Come dunque colui nel quale tutti vengono vivificati, oltre ad offrirsi modello di giustizia per coloro che lo vogliono imitare, dona pure ai fedeli l'occultissima grazia del suo Spirito e la infonde invisibilmente anche nei bambini, cosi colui nel quale tutti muoiono, oltre ad essere esempio d'imitazione per coloro che trasgrediscono volontariamente un precetto del Signore, ha pure corrotto in sé per la marcia segreta della sua concupiscenza carnale tutti coloro che verranno dalla sua stirpe. Proprio per questo e non per altro l'Apostolo dice: A causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e con il peccato la morte, e cosi ha raggiunto tutti gli uomini, che tutti hanno peccato in lui. ( Rm 5,12 ) Se fossi io a dirlo, costoro si opporrebbero e strillerebbero che non è retto il mio dire, che non è retto il mio sentire. Ma da chiunque altro fosse detto ciò che dice l'Apostolo, non potrebbe avere per loro un significato diverso da quello che non vogliono intendere nell'Apostolo. Però poiché sono parole dell'Apostolo, alla cui autorità e dottrina essi soccombono, rinfacciano a noi ottusità di mente e tentano di storcere a non so qual altro senso quelle parole che sono state dette con tanta nitidità. L'Apostolo dice: A causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e con il peccato la morte. Questo è proprio della propagazione e non dell'imitazione; perché, se dell'imitazione, direbbe: "A causa del diavolo". Ora, nessuno mette in dubbio che parli del primo uomo chiamato Adamo. E cosi, dice, ha raggiunto tutti gli uomini. 10.11 - Tutti peccarono in Adamo Le parole che seguono: Tutti hanno peccato in lui con quanta circospezione, proprietà, univocità sono state dette! Se infatti intendi che tutti hanno peccato nel peccato che a causa di uno solo è entrato nel mondo, è certamente chiaro che altra cosa sono i peccati propri di ciascuno nei quali peccano soltanto coloro che li commettono, altra cosa è questo peccato unico in cui hanno peccato tutti quando tutti erano quell'unico uomo. Se poi nel complemento in lui non s'intende il peccato, ma quell'unico uomo nel quale hanno peccato tutti, che cosa c'è di più evidente anche di questa evidenza? Proprio cosi. Leggiamo che quanti credono nel Cristo, vengono giustificati in lui mediante una segreta comunicazione e infusione di grazia spirituale, per cui chi si unisce al Signore forma con lui un solo spirito, ( 1 Cor 6,17 ) a parte l'imitazione del Signore che i suoi santi praticano ugualmente. Mi si legga qualcosa di simile sul conto di quelli che si sono fatti imitatori dei suoi santi: se di qualcuno di essi si dica che è stato giustificato in Paolo o in Pietro o in chiunque di quanti eccellono nel popolo di Dio per grandezza d'autorità. Solo in Abramo si dice che siamo benedetti, come gli fu promesso: Saranno benedette in te tutte le genti, ( Gen 12,3 ) in ragione del Cristo che è suo seme secondo la carne. E lo si dice più chiaramente con quest'altre parole: Saranno benedette nel tuo seme tutte le genti. ( Gen 22,18 ) Non so invece se possa trovarsi detto da parole divine che qualcuno ha peccato o pecca nel diavolo, sebbene lo imitino tutti i malvagi e gli empi. Nondimeno, pur avendo l'Apostolo detto del primo uomo: Tutti hanno peccato in lui, si continua a discutere della propaggine del peccato e si oppone non so qual nebbiosa imitazione. 10.12 - Un peccato più antico della legge Nota bene anche le parole che seguono. Dopo aver detto: Tutti hanno peccato in lui, aggiunge: Fino alla legge infatti c'era peccato nel mondo. ( Rm 5,13 ) Cioè, nemmeno la legge poté togliere il peccato, essendo sopraggiunta essa a far sovrabbondare il peccato, ( Rm 5,20 ) sia la legge naturale nella quale chi ha già l'uso di ragione comincia ad aggiungere al peccato originale anche i peccati propri, sia la stessa legge scritta data al popolo per mezzo di Mosè. Se infatti fosse stata data una legge capace di conferire la vita, la giustizia scaturirebbe davvero dalla legge; la Scrittura invece ha rinchiuso ogni cosa sotto il peccato, perché ai credenti la promessa venisse data in virtù della fede in Gesù Cristo. ( Gal 3,21-22 ) Ma il peccato non poteva essere imputato quando mancava la legge. ( Rm 5,13 ) Che significa non poteva essere imputato se non: "Si ignorava, non si reputava peccato dagli uomini"? Non era infatti lo stesso Signore Dio a considerarlo come inesistente, essendo scritto: Tutti quelli che hanno peccato senza la legge, periranno anche senza la legge. ( Rm 2,12 ) 11.13 - Uno stesso peccato comune a tutti Dice: Ma la morte regnò da Adamo fino a Mosè, ( Rm 5,14 ) cioè dal primo uomo fino anche alla stessa legge promulgata divinamente, perché nemmeno essa poté sopprimere il regno della morte. Per regno della morte intende tale dominio tra gli uomini del reato del peccato da impedire a loro di giungere alla vita eterna che è la vera vita e trarli viceversa anche alla morte seconda che è la pena eterna. Questo regno della morte lo distrugge in ciascun uomo soltanto la grazia del Salvatore. Essa operò anche in tutti gli antichi santi, che, sebbene non fosse venuto ancora il Cristo nella carne, appartenevano tuttavia alla sua grazia adiuvante, non alla lettera della legge, che poteva solo comandare e non aiutare. Nel Vecchio Testamento infatti, secondo una giustissima amministrazione dei tempi, si celava quello che ora si rivela nel Nuovo. Dunque regnò la morte da Adamo fino a Mosè su tutti coloro che dalla grazia del Cristo non furono aiutati cosi che in loro fosse distrutto il regno della morte. Dunque su quelli che non avevano peccato con una trasgressione simile a quella di Adamo, su coloro cioè che non peccarono di propria volontà come Adamo, ma contrassero da lui il peccato originale. Egli è la forma del futuro ( Rm 5,14 ): perché in Adamo fu stabilito il tipo di condanna per i suoi posteri che si propagassero da lui, di modo che da uno nascessero tutti per la condanna, dalla quale non libera se non la grazia del Salvatore. So bene che molti codici latini hanno quest'altra lezione: Regnò la morte da Adamo fino a Mosè su coloro che peccarono a somiglianza della prevaricazione di Adamo. Anche questa lezione da coloro che leggono in tal modo viene riferita al medesimo senso: intendono che quanti peccarono in Adamo peccarono a somiglianza della sua prevaricazione in quanto meritarono d'esser creati simili a lui, come uomini da uomo, cosi peccatori da peccatore, morituri da morituro, condannati da condannato. Invece i codici greci, dai quali deriva la versione latina, hanno tutti o quasi il primo testo da me riferito. 11.14 - La redenzione sorpassa il peccato originale Scrive: Ma il dono di grazia non è come la caduta: se infatti per la caduta di uno solo morirono in tanti, sui tanti si sono riversati molto più abbondantemente la grazia di Dio e il dono concesso in grazia di un solo uomo, Gesù Cristo. ( Rm 5,15 ) Non dice: "Su tanti di più", cioè su molti più uomini, perché quelli che vengono giustificati non sono più numerosi di quelli che vengono condannati; ma dice: Si sono riversati molto più abbondantemente. Adamo cioè ci ha generati rei per un solo suo peccato, il Cristo viceversa con la sua grazia ha sciolto e condonato anche i peccati che gli uomini hanno aggiunto di propria volontà al peccato originale in cui sono nati. Lo dice più esplicitamente nel seguito. 12.15 - La condanna di tutti per un solo peccato Ma osserva più attentamente che tanti, dice, sono morti per il peccato di un solo. Perché mai per il peccato di quel solo uomo e non al contrario per i loro peccati propri, se in questo passo dobbiamo intendere l'imitazione e non la propagazione? Nota poi quello che segue: E non è accaduto per il dono di grazia come per il peccato di uno solo: il giudizio parti da uno solo per la condanna, il dono di grazia invece da molte cadute per la giustificazione. ( Rm 5,16 ) Ora, dicano dove in queste parole abbia luogo quell'imitazione. Scrive: Da uno solo per la condanna. Da che uno solo se non da un solo peccato? E infatti lo spiega soggiungendo: Il dono di grazia invece da molte cadute per la giustificazione. Perché dunque il giudizio di condanna per un solo peccato e la grazia invece della giustificazione da molti peccati? Posto che non esista il peccato originale, perché non è detto che non solo la grazia conduce gli uomini alla giustificazione da molti peccati, ma che anche il giudizio li conduce alla condanna per molti peccati? Invece si dice che la grazia condona molti peccati, ma non che anche il giudizio condanna molti peccati. Nell'interpretazione infine che vengono condotti alla condanna per un solo peccato in quanto tutti i peccati che si condannano sono stati commessi per imitazione di quell'unico, la stessa ragione vale perché anche la loro giustificazione s'intenda connessa con un solo peccato in quanto tutti i peccati che vengono rimessi ai giustificati sono stati commessi per imitazione di quell'unico. Ma si può dire che l'Apostolo non arrivava a capire tutto questo, quando diceva: Il giudizio parti da uno solo per la condanna, il dono di grazia invece da molte cadute per la giustificazione? Siamo viceversa noi che dobbiamo capire l'Apostolo e vedere che in tanto il giudizio di condanna è stato messo in dipendenza da un solo peccato in quanto alla condanna basterebbe il solo peccato originale, anche se negli uomini non ce ne fossero altri. Sebbene infatti sia più grave la condanna di coloro che alla colpa originale aggiungono anche le proprie e sia tanto più grave per ciascuno quanto più gravemente ha peccato, tuttavia anche quel solo peccato che si è contratto originalmente non esclude soltanto dal regno di Dio, dove anche costoro confessano che non possono entrare i bambini morti senza aver ricevuto la grazia del Cristo, ma priva pure della salvezza e della vita eterna, che non può essere al di fuori del regno di Dio, dove introduce solamente la comunione con il Cristo. 13.16 - Non tutti i peccati da Adamo, la remissione di tutti i peccati da Gesù Cristo Pertanto da Adamo nel quale tutti peccammo non abbiamo tratto tutti i nostri peccati, ma solo quello originale; viceversa dal Cristo nel quale veniamo tutti giustificati non riceviamo solo la remissione del peccato originale, bensi anche di tutti gli altri che abbiamo aggiunti a quello. Perciò non è accaduto per il dono di grazia come per il peccato di uno solo. Il giudizio infatti può condurre alla condanna anche per un solo peccato se non viene rimesso, cioè per il peccato originale; la grazia al contrario conduce alla giustificazione rimettendo molti peccati, cioè non solo quello originale, ma anche tutti gli altri. 13.17 - Il regno della morte e il regno della vita Infatti se per la caduta di uno solo la morte ha regnato a causa di quel solo uomo, molto di più quelli che ricevono l'abbondanza della grazia e del dono della giustizia regneranno nella vita per mezzo del solo Gesù Cristo. ( Rm 5,17 ) Perché mai per la caduta di uno solo ha regnato la morte a causa di quel solo uomo se non perché gli uomini erano detenuti dal vincolo della morte in quell'unico uomo nel quale peccarono tutti, anche senza aggiungere peccati propri? Altrimenti la morte non avrebbe regnato a causa di uno solo per la sola sua colpa, ma per molte colpe di molti a causa di ciascun peccatore. Se infatti la ragione per cui tutti gli altri uomini sono morti per il peccato di un altro uomo fosse che l'hanno imitato seguendo nel peccare il suo esempio di battistrada, tanto più allora mori Adamo per il peccato d'un altro, cioè del diavolo, che l'ha preceduto cosi nel peccare da persuaderlo anche direttamente a peccare. Mentre viceversa Adamo non suggeri nulla ai suoi imitatori, e molti che vengono detti suoi imitatori o non hanno sentito dire o non credono affatto che egli sia esistito e abbia commesso tale peccato. Quanto più giustamente dunque, come ho già detto, l'Apostolo avrebbe posto il diavolo qual principe da cui solo far discendere in tutti il peccato e la morte, se in questo passo non avesse voluto riferirsi alla propagazione, ma all'imitazione! Sarebbe infatti molto più ragionevole chiamare Adamo imitatore del diavolo, da cui è stato persuaso al peccato, se fosse vero che uno può imitare anche chi non l'ha istigato a nulla o addirittura chi non è affatto conosciuto da lui. Che significano le parole: Quelli che ricevono l'abbondanza della grazia e del dono della giustizia? Significano che la grazia della remissione non viene data solo al peccato nel quale hanno peccato tutti, ma anche ai peccati che si sono aggiunti e significano che a questi peccatori viene data una giustizia cosi grande che, mentre Adamo consenti al diavolo che lo persuase a peccare, questi non cedono nemmeno a chi li costringe. E che senso hanno le parole: Molto di più regneranno nella vita, dal momento che il regno della morte trae alle pene eterne molte più persone? C'è solo da intendere le stesse persone nell'uno e nell'altro regno: quelle che da Adamo passano al Cristo, cioè dalla morte alla vita, regneranno senza fine nella vita eterna, più di quanto su di esse la morte abbia regnato temporaneamente e a termine. 13.18 - La giustificazione operata da Gesù non è imitabile Come dunque per la colpa di uno solo si è riversata su tutti gli uomini la condanna, cosi anche per la giustificazione di uno solo si riversa su tutti gli uomini la giustificazione che dà vita. ( Rm 5,18 ) Questa colpa di uno solo, se si intende l'imitazione, non sarà se non quella del diavolo. Ma poiché è evidente che si parla di Adamo e non del diavolo, resta da intendere non l'imitazione, bensi la propagazione del peccato. 14 - Lo esplicita di più infatti anche la parola che adopera nei riguardi del Cristo dicendo: Per la giustificazione di uno solo, meglio che se dicesse: "Per la giustizia di uno solo". Parla appunto di quell'opera di giustificazione con la quale il Cristo giustifica il peccatore e che non propone alla nostra imitazione, essendo l'opera di giustificazione possibile al Cristo soltanto. L'Apostolo infatti ha potuto dire: Fatevi miei imitatori come io lo sono del Cristo, ( 1 Cor 11,1 ) ma non direbbe mai: "Siate giustificati da me come io sono stato giustificato dal Cristo". Ci possono essere, ci sono e ci furono molti uomini giusti degni d'essere imitati, ma nessuno all'infuori del Cristo è giusto e giustificante. Perciò è scritto: A chi crede in colui che giustifica l'empio la sua fede gli viene accreditata come giustizia. ( Rm 4,5 ) Chiunque pertanto oserà dire: Io ti giustifico, bisognerà che dica altresi: Credi in me. E nessuno dei santi è stato mai in diritto di dirlo, meno che il Santo dei santi il quale ha detto: Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me, ( Gv 14,1 ) perché, essendo lui stesso che giustifica l'empio, a chi crede in lui che giustifica l'empio la fede sia accreditata come giustizia. 15.19 - Nessuno è generato senza Adamo, nessuno è rigenerato senza Gesù Se infatti l'imitazione da sola fa peccatori per Adamo, perché anche l'imitazione da sola non fa giusti per il Cristo? L'Apostolo scrive: Come per la colpa di uno solo si è riversata su tutti gli uomini la condanna, cosi anche per la giustificazione di uno solo si riversa su tutti gli uomini la giustificazione che dà vita. ( Rm 5,18 ) Conseguentemente per quei due, "uno" ed "uno", non avrebbero dovuto essere scelti Adamo e il Cristo, ma Adamo e Abele. Poiché, sebbene molti peccatori abbiano preceduto noi nel tempo di questa vita e li abbiano imitati quelli che peccarono posteriormente, tuttavia costoro vogliono che si consideri soltanto Adamo come l'uomo in cui tutti hanno peccato per imitazione, proprio perché fu il primo degli uomini a peccare. E per questo avrebbe dovuto essere considerato Abele come l'uomo in cui tutti gli uomini vengono giustificati per imitazione, perché fu il primo degli uomini a vivere giusto. Oppure, se il Cristo è stato proposto all'imitazione come capo dei giusti per una qualche svolta di tempo che concerne l'inizio del Nuovo Testamento, allora il suo traditore Giuda avrebbe dovuto essere proposto come capo dei peccatori. Al contrario, se in tanto il Cristo è quell'Uno in cui tutti vengono giustificati in quanto a fare giusti non è solo la sua imitazione, ma la grazia che rigenera per mezzo dello Spirito, anche Adamo in tanto è quell'unico in cui tutti peccarono in quanto a fare peccatori non è solo la sua imitazione, ma anche una pena insita nella generazione carnale. Per questo è stato scritto pure: Tutti e tutti. Non che tutti quelli che vengono generati per mezzo di Adamo, proprio tutti siano rigenerati per mezzo del Cristo. Ma l'affermazione è esatta nel senso che come non c'è per nessuno la generazione carnale se non per mezzo di Adamo, cosi non c'è per nessuno la generazione spirituale se non per mezzo del Cristo. Se infatti alcuni potessero essere generati nella carne senza Adamo e alcuni essere rigenerati nello spirito senza il Cristo, non sarebbe esatto parlare di tutti né in un caso, né nell'altro. Gli stessi tutti poi li dice molti, perché in certi casi i tutti possono essere pochi. Molti invece conta la generazione carnale, molti anche quella spirituale, benché non tanti quanti la prima. Si corrispondono tra loro nel senso che come la generazione carnale comprende tutti gli uomini, cosi la generazione spirituale comprende tutti gli uomini giusti: nessuno infatti è uomo senza la prima, nessuno è uomo giusto senza la seconda, e in ambedue le generazioni sono molti. Come infatti per la disobbedienza di uno solo molti sono stati costituiti peccatori, cosi anche per l'obbedienza di uno solo molti saranno costituiti giusti. ( Rm 5,19 ) 15.20 - Generazione carnale e generazione spirituale a confronto tra loro La legge poi sopraggiunse, perché abbondasse il peccato. ( Rm 5,20 ) Questo peccato gli uomini hanno aggiunto di propria volontà al peccato originale senza trarlo da Adamo. Anch'esso però si scioglie e si sana per mezzo del Cristo: infatti laddove è abbondato il peccato ha sovrabbondato la grazia, perché, come il peccato aveva regnato con la morte, compreso il peccato che gli uomini non contrassero da Adamo, ma aggiunsero per loro volontà, cosi regni anche la grazia con la giustizia per la vita eterna. ( Rm 5,21 ) Non tuttavia che esista giustizia al di fuori del Cristo, come esistono peccati al di fuori di Adamo. Perciò, dopo aver detto: Come il peccato aveva regnato con la morte, non aggiunse: "A causa di uno solo", o "a causa di Adamo", perché sopra aveva parlato anche del peccato che abbondò al sopraggiungere della legge, e che non è di origine, ma piuttosto di propria volontà. Invece dopo aver detto: Cosi regni anche la grazia con la giustizia per la vita eterna, aggiunge: Per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore, perché con la generazione da parte della carne si contrae solamente il peccato originale, con la rigenerazione da parte dello Spirito si ha invece la remissione non solo del peccato originale, ma anche dei peccati volontari. 16.21 - La condanna dei bambini morti senza il battesimo È dunque giusto dire che i bambini che muoiono senza il battesimo si troveranno nella condanna, benché mitissima a confronto di tutti gli altri. Molto inganna e s'inganna chi insegna che non saranno nella condanna, mentre l'Apostolo dice: Il giudizio parti da un solo peccato per la condanna, e poco dopo: Per la colpa di uno solo si è riversata su tutti gli uomini la condanna. ( Rm 5,16.18 ) Quando dunque Adamo peccò disobbedendo a Dio, allora il suo corpo perse la grazia dalla quale, pur rimanendo animale e mortale, era reso obbediente in tutto e per tutto alla propria anima. Allora sorti fuori quel movimento bestiale e vergognoso per gli uomini che fece arrossire Adamo per la propria nudità. E avvenne cosi che essi, per una specie di malattia scoppiata da una repentina e pestifera infezione, perduto il privilegio di rimanere stabili nell'età in cui furono creati, attraverso le mutazioni delle età s'incamminarono alla morte. Quantunque in seguito siano vissuti per molti anni, tuttavia cominciarono a morire quel giorno stesso in cui ricevettero la legge di morte che li avrebbe fatti invecchiare e decadere. Infatti non sta fermo nemmeno un istante, ma ininterrottamente passa tutto ciò che da una mutazione all'altra corre di giorno in giorno verso la fine non del suo compimento, bensi del suo annientamento. Cosi pertanto si adempi quello che aveva detto Dio: Quando ne mangerete, certamente morirete. ( Gen 2,17 ) Ogni bambino dunque che viene generato carnalmente da questa disobbedienza della carne, da questa legge di peccato e di morte, ha bisogno d'essere rigenerato spiritualmente non solo per essere portato al regno di Dio, ma anche per essere liberato dalla condanna del peccato. I bambini quindi nascono nella carne soggetti inseparabilmente al peccato e alla morte del primo uomo e rinascono nel battesimo associati inseparabilmente alla giustizia e alla vita eterna del secondo uomo. Anche nell'Ecclesiastico è scritto a questo proposito: Dalla donna ha avuto inizio il peccato, per causa sua tutti moriamo. ( Sir 25,24 ) Che si dica dalla donna o da Adamo, ci si riferisce sempre al primo uomo, perché la donna, sappiamo, viene dall'uomo e ambedue sono una sola carne. Per questo è scritto: I due saranno una sola carne. ( Gen 2,24 ) E il Signore dice: Non sono più due, ma una carne sola. ( Mt 19,6 ) 17.22 - I bambini non hanno peccati attuali Perciò coloro che dicono che i bambini si battezzano per rimettere a loro un peccato proprio che hanno contratto in questa vita e non il peccato che hanno tratto da Adamo, non sono da confutarsi con grande affanno. Se infatti riflettono per poco con se stessi senza settarismo quanto ciò che dicono sia assurdo e indegno d'esser discusso, cambieranno subito sentenza. Nel caso che si rifiutino, non dobbiamo disperare cosi tanto del buon senso degli uomini da temere che riescano a convincere qualcuno della loro dottrina. Essi, se non sbaglio, sono stati spinti a sostenere quanto dicono per non contraddire qualche altra loro sentenza. Ecco: poiché riconoscevano che al battezzato si rimettono i peccati e poiché non volevano riconoscere venuto da Adamo il peccato che riconoscevano rimesso ai bambini, sono stati costretti ad accusare la stessa infanzia, quasi che l'accusatore dell'infanzia diventasse più sicuro perché l'accusata non poteva rispondergli. Ma, come ho detto, non occupiamoci di costoro. Non valgono infatti né parole né prove per dimostrare l'innocenza dei bambini per quanto riguarda la loro vita personale appena iniziata, se non la riconosce il buon senso umano senza bisogno d'essere aiutato dagli espedienti di qualsiasi dotta discussione. 18.23 - La salvezza viene dal battesimo ricevuto in remissione dei peccati, almeno del peccato originale Invece fanno colpo e sembra che propongano qualcosa che sia degno di considerazione e d'esame quanti dicono che i neonati ricevono il battesimo non per la remissione di un peccato, ma perché, non avendo ancora la procreazione spirituale, siano procreati nel Cristo e diventino partecipi del regno dei cieli e nello stesso modo figli ed eredi di Dio e coeredi del Cristo. ( Rm 8,17 ) Quando però domandiamo a costoro se quelli che non sono stati battezzati e non sono diventati coeredi del Cristo e partecipi del regno dei cieli abbiano almeno il beneficio della salvezza eterna nella risurrezione dei morti, si trovano in grande difficoltà e non trovano una risposta. Chi infatti tra i cristiani può sopportare che si conceda a qualcuno la possibilità di giungere alla salvezza eterna senza rinascere nel Cristo? ( Gv 3, 3.5 ) E ciò Cristo l'ha legato al battesimo, già fin da allora in cui si è dovuto istituire un tale sacramento per rigenerare gli uomini alla speranza della salvezza eterna. ( 1 Pt 1,3 ) In merito a ciò l'Apostolo dice: Egli ci ha salvati non in virtù di opere di giustizia da noi compiute, ma per sua misericordia mediante un lavacro di rigenerazione. ( Tt 3,5 ) Dice tuttavia che la salvezza è solo nella speranza, finché viviamo in questa vita: Nella speranza noi siamo stati salvati. Ora, ciò che si spera, se visto, non è più speranza; infatti ciò che uno già vede come potrebbe ancora sperarlo? Ma se speriamo quello che non vediamo, lo attendiamo con perseveranza. ( Rm 8,24-25 ) Che dunque i bambini possano essere salvi in eterno senza questa rigenerazione, come se per essi non fosse morto il Cristo, chi oserebbe affermarlo? Dichiaratamente il Cristo mori per gli empi. ( Rm 5,6 ) Ma se i bambini, che manifestamente non hanno commesso nella loro propria vita nessun peccato, non sono nemmeno originalmente coinvolti in nessun vincolo di peccato, com'è morto per loro colui che è morto per gli empi? Se non sono stati colpiti in nessun modo dalla malattia del peccato originale, perché il pio timore dei loro parenti li porta di corsa al Medico che è il Cristo, ossia a ricevere il sacramento della salute eterna, e non si dice nella Chiesa ai loro cari: "Togliete di qui questi innocenti; del medico non hanno bisogno i sani, ma i malati; il Cristo non è venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori"? ( Mt 9,12-13 ) Mai è stata detta, mai si dice, mai certamente si dirà una tale sciocchezza nella Chiesa del Cristo. 19.24 - I bambini non battezzati sono peccatori E nessuno pensi che la ragione di dover portare al battesimo i bambini sia il fatto che essi, com'è vero che non sono peccatori, cosi è vero pure che non sono nemmeno giusti. Con tale opinione in qual modo allora si accorderebbero coloro che trovano lodato dal Signore il merito dell'infanzia quando disse: Lasciate che i bambini vengano a me, perché di tali è il regno dei cieli? ( Mt 19,14 ) Se ciò infatti non fu detto per la somiglianza con l'umiltà che ci fa piccoli, ma per la vita innocente dei bambini, essi sono certamente anche giusti. Altrimenti non sarebbe stato conveniente che si dicesse: Di tali è il regno dei cieli, perché non può essere se non dei giusti. Ma forse non è proprio esatto dire che il Signore abbia lodato la vita dei bambini con le parole: Di tali è il regno dei cieli, perché è vera invece l'interpretazione che ha visto nell'età piccola la somiglianza con l'umiltà. A parte però tutto questo, probabilmente è da ritenersi buona l'opinione che ho detto: i bambini si devono battezzare, proprio perché essi, com'è vero che non sono peccatori, cosi è vero pure che non sono nemmeno giusti. Ma c'è da notare che dopo aver detto: Non sono venuto a chiamare i giusti, quasi gli si replicasse: "Chi dunque sei venuto a chiamare?", soggiunse subito: Ma i peccatori a penitenza. Atteso questo, Gesù non è venuto a chiamare i bambini né se sono giusti, né ugualmente se non sono peccatori, avendo egli detto: Non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori. E quindi sembrerebbe non solo cosa vana, ma anche cattiva che si precipitino al battesimo di colui che non li chiama. Stia lontano da noi condividere una tale opinione. Secondo noi, li chiama dunque il Medico che non è necessario ai sani, ma ai malati e che non è venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori a penitenza. E perciò, poiché non sono ancora responsabili di nessun peccato della loro propria vita, viene sanata in essi la malattia originale nella grazia di colui che salva gli uomini mediante il lavacro della rigenerazione. ( Tt 3,5 ) 19.25 - I bambini nel sacramento del battesimo diventano penitenti e credenti Dirà qualcuno: "Ma in che modo dunque sono chiamati a penitenza anche i bambini? Piccolini cosi tanto possono forse pentirsi di qualcosa?". Gli si risponde: "Se non possono essere chiamati penitenti perché ancora non hanno il senso intimo del pentimento, non possono neppure esser chiamati fedeli perché ugualmente non hanno ancora il senso intimo della fede. Se viceversa giustamente si chiamano fedeli perché in qualche modo professano la fede per bocca di coloro che li portano al battesimo, come non saranno ritenuti già prima anche penitenti, se per bocca degli stessi che li portano mostrano di rinunziare al diavolo e a questo secolo? Tutto ciò avviene solo nella speranza per la forza del sacramento e della grazia divina che il Signore ha donato alla Chiesa". Che se poi uno, battezzato da bambino, arrivato agli anni della ragione, non crederà e non si asterrà dalle passioni illecite, chi ignora che non avrà nessun giovamento da ciò che ha ricevuto nell'infanzia? Se invece emigrerà da questa vita dopo aver ricevuto il battesimo ed essere stato sciolto dal reato a cui sottostava originalmente, raggiungerà la sua perfezione nella luce della verità, che durando immutabilmente in eterno illumina i giustificati con la presenza del Creatore. Soltanto i peccati separano infatti gli uomini da Dio ed essi vengono sciolti dalla grazia del Cristo, il Mediatore dal quale siamo riconciliati, quando giustifica il peccatore. 20.26 - Non c'è salvezza e vita eterna fuori dal regno dei cieli Costoro sono terrorizzati dalla sentenza del Signore che dice: Se uno non sarà nato di nuovo, non vedrà il regno di Dio, spiegata poi da lui cosi: Se uno non sarà rinato dall'acqua e dallo Spirito, non entrerà nel regno dei cieli. ( Gv 3,3.5 ) Per questo cercano d'attribuire ai bambini non battezzati la salvezza e la vita eterna per merito d'innocenza, ma di escluderli dal regno dei cieli per mancanza di battesimo. È una nuova e strana pretesa, quasi che ci possa essere l'eterna salvezza della vita eterna al di fuori dell'eredità del Cristo, al di fuori del regno dei cieli. Hanno evidentemente dove rifugiarsi e nascondersi, perché il Signore non ha detto: Se uno non sarà rinato dall'acqua e dallo Spirito "non avrà la vita", ma ha detto: Non entrerà nel regno di Dio. Se avesse detto la vita, non sarebbe potuto nascere nessun dubbio. Togliamo allora l'incertezza. Ascoltiamo subito il Signore, non più i sospetti e le congetture dei mortali. Ascoltiamo, dico, il Signore che non parlando proprio del sacramento del santo lavacro, ma del sacramento della sua santa mensa, alla quale nessuno accede ritualmente senza essere stato battezzato, dichiara: Se non mangerete la mia carne e non berrete il mio sangue, non avrete in voi la vita. ( Gv 6,54 ) Che altro cerchiamo? Che si può rispondere a questo, a meno che la cocciutaggine non voglia rivoltarsi rabbiosa contro la saldezza d'una verità evidente? 20.27 - Il precetto eucaristico obbliga anche i bambini Ma qualcuno forse oserà dire anche questo: tale sentenza non riguarda i bambini ed essi possono avere in sé la vita anche senza la partecipazione di questo corpo e sangue, perché il Signore non ha detto: "Chi non mangerà", come ha detto del battesimo: Chi non sarà rinato, ma ha detto: Se non mangerete, quasi per rivolgersi a coloro che potevano udire e capire, come certamente non possono i bambini. Ma chi dice questo non si accorge che, se tale sentenza non obbliga tutti, cosicché non possano avere la vita senza il corpo e il sangue del Figlio dell'uomo, inutilmente si preoccupa di cibarsi anche l'età adulta. Se non guardi infatti alla volontà di colui che parlava, ma solo alle sue parole, può sembrar detto esclusivamente per quelli a cui il Signore parlava allora, perché non dice: Chi non mangerà, ma dice: Se non mangerete. E come va che nel medesimo luogo dice di questo medesimo sacramento: Il pane che io darò è la mia carne per la vita del secolo? ( Gv 6,52 ) Da queste parole capiamo che quel sacramento appartiene anche a noi che non esistevamo ancora quando le pronunziava, perché non possiamo dire di non appartenere al secolo per la cui vita il Cristo diede la sua carne. Ora, chi può dubitare che con il nome di secolo siano stati indicati gli uomini che nascendo vengono in questo secolo? Infatti, dice altrove: I figli di questo secolo generano e sono generati. ( Lc 20,34 ) E quindi anche per la vita dei bambini è stata data la carne che è stata data per la vita del secolo e, se non mangeranno la carne del Figlio dell'uomo, nemmeno essi avranno la vita. 20.28 - I bambini non battezzati si computano tra i non credenti agli effetti della dannazione C'è a proposito anche quest'altro testo: Il Padre ama il Figlio e gli ha dato in mano ogni cosa. Chi crede nel Figlio, ha la vita eterna; chi non crede al Figlio, non vedrà la vita, ma l'ira di Dio incombe su di lui. ( Gv 3,35-36 ) In quale dunque di queste categorie metteremo i bambini? In quella di coloro che credono nel Figlio o in quella di coloro che sono increduli al Figlio? "In nessuna delle due, dirà qualcuno, perché, non potendo credere ancora, non sono da computarsi nemmeno come increduli". Non dà questa indicazione la regola ecclesiastica che conta i bambini battezzati nel numero dei fedeli. I bambini che si battezzano, per la virtù e la celebrazione di un cosi grande sacramento, pur non facendo essi con il loro cuore e con la loro bocca ciò che concerne la fede da possedere interiormente e da professare esteriormente, ( Rm 10,10 ) sono tuttavia computati nel numero dei credenti. Certamente quei bambini ai quali è mancato il sacramento devono considerarsi tra coloro che non credono al Figlio e quindi, se usciranno dal corpo privi della grazia di questo sacramento, subiranno la conseguenza già detta: Non avranno la vita, ma l'ira di Dio incombe su di loro. Da che viene questo, se, essendo chiaro che non hanno peccati propri, essi non sono nemmeno implicati nella colpa del peccato originale? 21.29 - L'arcana giustificazione di Dio nella distribuzione della grazia Fa bene a non dire: L'ira di Dio "verrà sopra di lui", ma a dire: Incombe su di lui. Da questa ira, per la quale tutti sono sotto il dominio del peccato ( Rm 3,9; Rm 7,14; Gal 3,22 ) e della quale l'Apostolo scrive: Anche noi un tempo eravamo per natura figli d'ira, come gli altri, ( Ef 2,3 ) non libera nessun mezzo all'infuori della grazia di Dio per Gesù Cristo nostro Signore. ( Rm 7,25 ) Perché mai tale grazia arrivi a questo e non arrivi a quello può essere occulta la causa, non può essere ingiusta. Infatti c'è forse ingiustizia da parte di Dio? No certamente. ( Rm 9,14 ) Ma prima si deve piegare il collo alle testimonianze delle sante Scritture perché si arrivi poi a capire per mezzo della fede. Né infatti è detto senza ragione: Il tuo giudizio come il grande abisso. ( Sal 36,7 ) Quasi fosse spaventato dalla profondità di tanto abisso, l'Apostolo esclama: O profondità della ricchezza, della sapienza e della scienza di Dio! ( Rm 11,33 ) Aveva fatto precedere una sentenza di meravigliosa altezza dicendo: Dio ha rinchiuso tutti nella disobbedienza, per usare a tutti misericordia. ( Rm 11,32 ) E come preso dalla vertigine di quell'altezza, esclama: O profondità della ricchezza, della sapienza e della scienza di Dio! Quanto sono imperscrutabili i suoi giudizi e inaccessibili le sue vie. Chi mai infatti ha potuto conoscere il pensiero del Signore? O chi mai è stato suo consigliere? O chi gli ha dato qualcosa per primo sì che abbia a ricevere il contraccambio? Poiché da lui, grazie a lui e per lui sono tutte le cose. A lui la gloria nei secoli. Amen. ( Rm 11,33-36 ) Noi dunque abbiamo una capacità di pensiero molto piccola per discutere della giustizia dei giudizi di Dio, per discutere della gratuità della grazia, non ingiusta per mancanza di meriti precedenti e sorprendente non tanto perché data ad indegni, quanto perché negata ad altri ugualmente indegni. 21.30 - È avvolto dal mistero della giustizia di Dio la diversa sorte dei bambini Ad alcuni sembra ingiusto che i bambini che escono dal corpo senza la grazia del Cristo vengano privati non solo del regno di Dio, dove anche a loro parere possono entrare solo i rinati per mezzo del battesimo, ma altresi della vita eterna e della salvezza. E domandano come sia giusto che uno venga sciolto e un altro non venga sciolto dall'empietà originale, benché siano nella medesima condizione. Che rispondano essi stessi, nei confronti di ciò che affermano, come sia altrettanto giusto che a questo bambino venga dato il battesimo per entrare nel regno di Dio e a quello non venga dato, sebbene sia pari la causa dell'uno e dell'altro. Se li turba il fatto che di due originalmente e parimente peccatori sia sciolto da questo vincolo uno a cui si concede il battesimo e non sia sciolto un altro a cui non si concede la grazia del battesimo, perché non li turba alla pari il fatto che di due originalmente innocenti l'uno riceva il battesimo per poter entrare nel regno di Dio, l'altro non lo riceva e non possa cosi accedere al regno di Dio? Evidentemente nella causa dell'uno e dell'altro si ritorna alla famosa esclamazione: O profondità della ricchezza! ( Rm 11,33 ) Mi si dica inoltre: come mai tra gli stessi bambini battezzati l'uno viene rapito, perché la malizia non ne muti i sentimenti, ( Sap 4,11 ) e l'altro continua a vivere con l'esito d'essere in avvenire un peccatore? Non è forse vero che se fossero rapiti ambedue, entrerebbero ambedue nel regno dei cieli? E tuttavia non c'è ingiustizia da parte di Dio. Chi non sconcerta, chi non costringe a gridare quest'altro fatto: alcuni bambini sono vessati dallo spirito immondo, ( Mt 12,43; Mc 1,26; Mc 2,30; Mc 5,8; Lc 9,42 ) altri ne sono completamente liberi, altri sono consacrati come Geremia nel grembo materno, ( Ger 1,5 ) mentre tutti, se esiste il peccato originale, sono ugualmente rei e, se non esiste, sono ugualmente innocenti? Come si spiega tanta diversità, se non perché sono imperscrutabili i giudizi di Dio e inaccessibili le sue vie? ( Rm 11,33 ) 22.31 - Insostenibile e inutile è l'opinione che Dio regoli la sorte delle anime sui meriti di una loro precedente vita Dobbiamo forse ritornare all'errore già vinto e ripudiato: le anime, dopo aver peccato nella loro dimora celeste, scendono gradatamente e lentamente nei corpi da esse meritati e sono afflitte più o meno da malanni corporali secondo la vita condotta anteriormente? La santa Scrittura si oppone apertissimamente a questa teoria là dove per esaltare la grazia ricorda: Quando essi ancora non erano venuti alla luce e nulla avevano fatto di bene o di male, perché rimanesse fermo il disegno divino fondato sull'elezione, non in base alle opere, ma alla volontà di colui che chiama, le fu dichiarato: - Il maggiore sarà sottomesso al minore ( Rm 9,10-12 ) -. Tuttavia neppure i sostenitori di tale opinione evitano le angustie di questo problema, ma, ugualmente coartati e intricati in esse, sono costretti ad esclamare: O profondità! Come avviene infatti che un uomo, fin dalla prima puerizia al di sopra della media per modestia, ingegno, temperanza, vittorioso di gran parte delle passioni, nemico dell'avarizia, detestatore della lussuria, provetto e pronto più degli altri in tutte le altre virtù, si trova tuttavia a vivere là dove non gli può essere predicata la grazia cristiana? Infatti è scritto: Come potranno invocarlo senza aver prima creduto in lui? E come potranno credere senza averne sentito parlare? E come potranno sentirne parlare senza uno che lo annunzi? ( Rm 10,14 ) Perché invece avviene che un altro, tardo d'ingegno, dedito alle passioni, ricoperto di turpitudini e scelleratezze, sia provveduto cosi da sentir parlare della fede, da credere, da essere battezzato, da essere rapito o, se trattenuto sulla terra, da viverci lodevolmente? Dove mai questi due hanno guadagnato meriti tanto diversi, non dico da credere e non credere, perché dipende dalla propria volontà, ma da sentir parlare della fede e non sentirne parlare, perché questo non è in potere dell'uomo? Dove, ripeto, hanno guadagnato meriti tanto diversi? Se per la loro condotta nella vita vissuta in cielo hanno meritato di esserne cacciati e di cadere sulla terra e sono diventati prigionieri di corpi corrispondenti alla vita da loro vissuta, è da credere che sia vissuto meglio prima di questo corpo mortale colui che meritò di non esserne gravato molto, cosi da avere una buona indole, da essere assalito da passioni più leggere e più facilmente superabili. Costui tuttavia non meritò che gli fosse predicata quella grazia che sola può liberare dalla rovina della morte seconda. Viceversa all'altro, imprigionato per i suoi maggiori demeriti, come pensano, in un corpo più pesante e quindi ottuso di cuore, e che per di più si lasci vincere dagli allettamenti della carne che l'assalgono con ardentissime brame, cosi che ai peccati precedenti di una vita viziosissima che gli hanno fatto meritare di trovarsi in tale condizione aggiunga colpe terrene ancora peggiori, tuttavia è toccata la fortuna o di udire sulla croce: Oggi sarai con me nel paradiso ( Lc 23,43 ) o di aderire a qualche Apostolo, dalla cui predicazione è stato convertito, e mediante il lavacro della rigenerazione è stato salvato, perché dove abbondò il peccato sovrabbondasse la grazia. ( Rm 5,20 ) Non vedo proprio come possano rispondere a questa difficoltà coloro che, volendo difendere la giustizia di Dio con congetture umane e ignorando la profondità della grazia, vanno tessendo favole inaccettabili. 22.32 - Un episodio contro la precedente opinione Si potrebbe dire a lungo di meravigliose vocazioni umane di cui abbiamo letto o avuto esperienza, per sfatare l'opinione di coloro che attribuiscono alle anime degli uomini di aver vissuto, prima di prendere i loro corpi, certe loro vite, in dipendenza delle quali si sarebbero unite a corpi diversi, buoni o cattivi, secondo la diversità dei loro meriti. Ma la premura di terminare quest'opera non consente di fermarci oltre su questo punto. Non tacerò tuttavia una vocazione straordinaria che ho conosciuto tra tante. Tra quelli che stimano che le anime siano gravate più o meno dai corpi terreni secondo i meriti della loro vita vissuta anteriormente in cielo fuori da questi corpi, chi non affermerebbe che prima di questa vita abbiano peccato più scelleratamente e spaventosamente quanti hanno meritato di perdere talmente il lume dell'intelletto da nascere con senso vicino a quello degli animali? Non dico d'estrema tardità d'ingegno, perché essa suole attribuirsi ad altre persone, ma di tanta stupidità che costoro, coperti anche di parrucche ricciute, per provocare le risate delle persone assennate, esibiscono le delizie della comicità più frivola. Con un nome derivato dal greco il popolo li chiama morioni. Tuttavia uno di essi era cosi cristiano che, mentre con strana fatuità si mostrava pazientissimo nelle ingiurie rivolte alla sua persona, tanto poco poteva sopportare l'offesa del nome del Cristo o le ingiurie rivolte a lui stesso contro la religione di cui era tutto compreso, che contro coloro che bestemmiavano, cioè contro le persone assennate dalle quali udiva le bestemmie che lo provocavano, non finiva di lanciare pietre, e in questo non risparmiava nemmeno i suoi padroni. Penso che siffatte creature sono predestinate e create perché coloro che possono capiscano questa verità: la grazia di Dio e lo Spirito che soffia dove vuole ( Gv 3,8 ) non trascura nel numero dei figli della misericordia nessuna categoria d'intelligenze e ugualmente trascura ogni categoria d'intelligenze nel numero dei figli della geenna, proprio perché chi si vanta, si vanti nel Signore. ( 1 Cor 1,31 ) Quanti invece affermano che le singole anime ricevono corpi terreni diversi, più o meno pesanti, secondo i meriti della loro vita anteriore; quanti affermano che le intelligenze variano secondo gli stessi meriti, cosicché alcuni sono più acuti e altri più ottusi; quanti affermano che anche la grazia divina viene dispensata agli uomini da liberare in proporzione ai meriti della stessa vita anteriore, costoro che cosa potranno rispondere riguardo a costui? Su che base gli potranno attribuire per un verso una preesistenza tenebrosissima che l'abbia fatto degno di nascere fatuo e insieme per l'altro verso una preesistenza tanto meritevole per cui viene preferito nella grazia del Cristo a tante persone acutissime? 22.33 - Senza il battesimo non c'è scampo per i bambini Cediamo dunque e assentiamo all'autorità della santa Scrittura che non sa ingannarsi né ingannare. E come non crediamo che quanti non sono ancora nati abbiano già fatto del bene o del male per giudicare dei loro meriti, cosi cerchiamo di non dubitare minimamente che noi siamo tutti sotto il peccato che è entrato nel mondo a causa di un solo uomo ed ha raggiunto tutti gli uomini, ( Rm 5,12 ) e da esso non libera se non la grazia di Dio per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo. 23 - Della venuta di questo Medico non hanno bisogno i sani, ma i malati, perché non è venuto a chiamare i giusti, bensì i peccatori. ( Mt 9,12-13 ) Nel suo regno non entrerà se non chi sarà rinato dall'acqua e dallo Spirito. E nessuno possiederà la salvezza e la vita eterna fuori del suo regno. Poiché chi non avrà mangiato la sua carne ( Gv 6,54 ) e chi è incredulo al Figlio, non avrà la vita, ma l'ira di Dio incombe su di lui. ( Gv 3,36 ) Da questo peccato, da questo morbo, da quest'ira di Dio, della quale sono figli per natura anche quelli che, sebbene per la loro età non abbiano alcun peccato proprio, hanno però quello originale, libera solo l'Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo, ( Gv 1,29 ) solo il Medico che non è venuto per i sani, ma per i malati, solo il Salvatore di cui è stato detto al genere umano: Oggi vi è nato il Salvatore, ( Lc 2,11 ) solo il Redentore, il cui sangue cancella il nostro debito. Chi infatti oserebbe dire che il Cristo non è il Salvatore né il Redentore dei bambini? Ma da che cosa li salva, se non esiste in loro nessuna traccia della malattia del peccato originale? Da che cosa li redime, se non sono stati venduti come schiavi del peccato del primo uomo a causa dell'origine? ( Rm 7,14 ) Di nostro arbitrio dunque senza il battesimo del Cristo non si prometta ai bambini nessuna salvezza eterna che non promette la divina Scrittura, da preferirsi a tutti gli ingegni umani. 24.34 - Il battesimo è la salvezza, l'eucaristia è la vita anche per i bambini Fanno ottimamente i nostri cristiani punici a chiamare il battesimo salvezza, e il sacramento del corpo del Cristo vita. Da quale fonte se non dalla tradizione antica e apostolica, come io ritengo, dalla quale le Chiese del Cristo hanno l'intima coscienza che senza il battesimo e la partecipazione della mensa del Signore nessuno può giungere non solo al regno di Dio, ma nemmeno alla salvezza e alla vita eterna? L'attesta infatti anche la Scrittura, secondo quanto abbiamo detto più sopra. Chiamando il battesimo con il nome di salvezza che altro ritengono se non ciò che ha scritto Paolo: Ci ha salvati mediante un lavacro di rigenerazione, ( Tt 3,5 ) e ciò che dice Pietro: In maniera somigliante ora salva voi il battesimo? ( 1 Pt 3,21 ) Chiamando vita il sacramento della mensa del Signore che altro dicono se non ciò che ha dichiarato il Signore stesso: Io sono il pane vivo, disceso dal cielo, e poi: Il pane che io darò è la mia carne per la vita del secolo, e ancora: Se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita? ( Gv 6,51-52.54 ) Se dunque, come conclamano testimonianze divine tanto numerose e tanto grandi, né la salvezza né la vita eterna si possono sperare per nessuno senza il battesimo e senza il corpo e il sangue del Signore, vanamente senza di essi si promette ai bambini la salvezza e la vita eterna. Ora, se ad escludere gli uomini dalla salvezza e dalla vita eterna sono soltanto i peccati, per mezzo di questi sacramenti non si scioglie nei bambini se non il reato di un peccato. E di questo reato è scritto che nessuno è mondo, nemmeno se fosse di un sol giorno la sua vita. ( Gb 14,4 ) Per questo anche nei Salmi si legge: Nella colpa sono stato generato, nel peccato mi ha concepito mia madre. ( Sal 51,7 ) O ciò infatti si dice in persona dell'uomo in genere, o, se Davide lo dice personalmente di se stesso, è certo che egli non nacque dalla fornicazione, ma da matrimonio legittimo. Non dubitiamo dunque che anche per i bambini da battezzare è stato versato il sangue, che prima d'essere versato fu dato e comandato nel sacramento con queste parole: Questo è il mio sangue che sarà versato per molti in remissione dei peccati. ( Mt 26,28 ) Coloro infatti che non vogliono riconoscere la soggezione dei bambini al peccato, negano la loro liberazione. Da che cosa infatti vengono liberati, se non sono sotto la schiavitù di nessun peccato? 24.35 - Senza il battesimo i bambini rimangono nelle tenebre del peccato Dice il Signore: Io come luce sono venuto nel mondo, perché chiunque crede in me non rimanga nelle tenebre. ( Gv 12,46 ) Che cosa fa capire con questa dichiarazione se non che è nelle tenebre chiunque non crede in lui e che la fede è per l'uomo il mezzo per uscire dalle tenebre? Per tali tenebre che cosa intendiamo se non i peccati? Ma, qualunque altra cosa intendessimo per queste tenebre, il fatto è che rimane in esse chi non crede nel Cristo, e sono certamente tenebre di pena, non come le tenebre della notte che sono necessarie al riposo dei viventi. 25 - Perciò i bambini, se non passano nel numero dei credenti mediante il sacramento che è stato divinamente istituito a tal fine, certo rimarranno in queste tenebre. 25.36 - Non c'è per nessuno una illuminazione estrabattesimale Taluni però credono che i bambini vengano subito illuminati dopo la nascita, interpretando in questo senso le parole di Giovanni: Era la luce vera che illumina ogni uomo che viene in questo mondo. ( Gv 1,9 ) Se è cosi, c'è molto da meravigliarsi come mai, illuminati dall'unico Figlio, che in principio era il Verbo e Dio presso Dio, non vengano ammessi al regno di Dio, non siano eredi di Dio e coeredi del Cristo. Che ciò infatti non sia concesso a loro se non per il battesimo lo confessano anche i sostenitori di tale opinione. Inoltre, qualora fossero già stati illuminati, anche se non sono finora idonei a conseguire il regno di Dio, dovrebbero ricevere almeno lietamente lo stesso battesimo che li fa idonei. Vediamo invece che vi si oppongono con grandi pianti, e noi non ci curiamo della loro ignoranza a quell'età e compiamo in essi, nonostante la loro resistenza, i sacramenti che conosciamo utili per loro. Perché mai anche l'Apostolo direbbe: Non comportatevi da bambini nei giudizi, ( 1 Cor 14,20 ) se le menti dei bambini fossero già state illuminate da quella luce che è il Verbo di Dio? 25.37 - Dio solo è la luce Pertanto le parole evangeliche: Era la luce vera che illumina ogni uomo che viene in questo mondo ( Gv 1,9 ) vogliono proprio ricordare che tutti sono illuminati da quella luce di verità che è Dio, perché nessuno pensi d'essere illuminato da chi lo istruisce, anche se ha per maestro, non dico un grande uomo, ma addirittura un angelo. Si porge, si, la parola della verità esternamente con il sussidio della voce materiale, tuttavia né chi pianta, né chi irriga è qualcosa, ma Dio che fa crescere. ( 1 Cor 3,7 ) L'uomo appunto si mette ad ascoltare un uomo o un angelo che gli parla, ma perché senta e conosca la verità di ciò che viene detto, la sua mente è pervasa nell'intimo da quella luce che dura eterna e splende anche nelle tenebre. Purtroppo, come questo sole non viene accolto dai ciechi, benché in certo qual modo li investa dei suoi raggi, cosi quella luce divina non è accolta dalle tenebre della stoltezza. ( Gv 1,5 ) 25.38 - L'uomo interiore rimane nelle tenebre senza l'illuminazione della fede Perché mai dopo aver detto che illumina ogni uomo, aggiunge: Che viene in questo mondo? Da questo testo è nata l'opinione che nella nascita corporale ancora freschissima dal grembo materno il Verbo illumini le menti dei neonati, sebbene nel testo greco il participio sia posto in tal modo da potersi riferire anche alla luce stessa che viene in questo mondo. Se tuttavia fosse necessario intenderlo dell'uomo che viene in questo mondo, o penso che sia stato detto semplicemente senza una precisa intenzione, come capita di trovare molte espressioni nelle Scritture che anche a toglierle non fanno perdere nulla al senso, oppure se si deve credere che quel participio è stato aggiunto per una qualche precisazione, forse esso serve a distinguere l'illuminazione spirituale dall'illuminazione materiale, che illumina gli occhi del corpo sia per mezzo degli astri del cielo, sia con qualsiasi fuoco. Direbbe allora che a venire in questo mondo è l'uomo interiore, perché l'uomo esteriore è materiale come questo mondo. Quasi dicesse: "La luce vera illumina ogni uomo che viene nel corpo", in conformità a ciò che è scritto: Mi è toccata in sorte un'anima buona e sono entrato in un corpo senza macchia. ( Sap 8,19-20 ) In conclusione una delle due. O la frase: Illumina ogni uomo che viene in questo mondo è stata detta per fare una precisazione e allora significa: "Illumina ogni uomo interiore", perché quando diventa veramente sapiente non è illuminato se non da colui che è la vera luce. Oppure ha voluto chiamare illuminazione, come creazione d'un occhio interiore, la ragione stessa per cui l'anima umana si dice ragionevole e che nei bambini, pur rimanendo ancora quiescente e quasi sopita, tuttavia si cela come innata e in certo qual modo come seminata. Comunque non ci si deve rifiutare dal riconoscere che tale illuminazione avviene nel momento stesso della creazione dell'anima, e non è illogico intenderlo come il momento in cui l'uomo viene nel mondo. Ma tuttavia anche questo stesso occhio interiore, dopo esser stato creato, rimarrà necessariamente nelle tenebre, se non crederà in colui che ha detto: Io come luce sono venuto nel mondo, perché chiunque crede in me non rimanga nelle tenebre. ( Gv 12,46 ) E che la fede sbocci nei bambini con il sacramento del battesimo non ne dubita la madre Chiesa, la quale presta ad essi il suo cuore materno e la sua bocca materna, perché i misteri sacri li compenetrino, atteso che essi non possono ancora con il proprio cuore avere la fede per essere giustificati né con la propria bocca professare la fede per essere salvi. ( Rm 10,10 ) Né tuttavia c'è uno solo tra i fedeli che esiti per questo a chiamarli credenti. È un appellativo che viene evidentemente da credere, quantunque i bambini non abbiano risposto di credere da sé, ma altri per loro durante la celebrazione dei sacramenti. 26.39 - La coscienza della Chiesa universale include anche i bambini nello schema della redenzione Diventerebbe troppo lungo se dedicassimo altrettanto tempo e spazio a discutere le singole testimonianze. Perciò credo che sia più pratico ammucchiare insieme i molti testi che possano offrirsi o che sembrino sufficienti a dimostrare che il Signore Gesù Cristo non per altro fine è venuto nella carne e, presa la natura di servo, si è fatto obbediente fino alla morte di croce ( Fil 2,7-8 ) se non per vivificare, salvare, liberare, redimere, illuminare con questa somministrazione di grazia misericordiosissima tutti coloro dei quali, ammessi a vivere come membra nel suo corpo, egli è Capo per la conquista del regno dei cieli. Costoro prima vivevano nella morte, nella malattia, nella schiavitù, nella prigionia, nelle tenebre dei peccati, sotto il dominio del diavolo principe dei peccatori. Per loro Cristo diventò il Mediatore tra Dio e gli uomini, e per opera sua, distrutta l'inimicizia della nostra empietà dalla pace di quella grazia, ( Ef 2,16 ) siamo stati riconciliati con Dio per la vita eterna e strappati alla morte eterna che sovrastava ai peccatori. Quando poi ciò apparirà da testi ancora più abbondanti, la conseguenza sarà che non possono appartenere a questa somministrazione di grazia, fatta dal Cristo per mezzo della sua umiltà, coloro che non hanno bisogno di vita, di salvezza, di liberazione, di redenzione, d'illuminazione. E poiché alla somministrazione di questa grazia appartiene il battesimo, per mezzo del quale vengono sepolte insieme con il Cristo ( Rm 6,4 ) per formare con lui un unico corpo le sue membra, cioè i suoi fedeli, logicamente nemmeno il battesimo è necessario a coloro che non hanno bisogno di quel beneficio di remissione e di riconciliazione, elargito per mezzo del Mediatore. Ora costoro ammettono la necessità di battezzare i bambini, perché non possono andar contro l'autorità della Chiesa universale, trasmessa senza dubbio attraverso il Signore e gli Apostoli. Ma è necessario che ammettano anche che i bambini hanno bisogno di quei benefici del Mediatore, perché, lavati per mezzo del sacramento e della carità dei fedeli e incorporati cosi nel corpo del Cristo che è la Chiesa, siano riconciliati con Dio e diventino in lui vivi e salvati e liberati e redenti e illuminati: in rapporto a che cosa se non alla morte, ai vizi, al reato, alla schiavitù, alle tenebre dei peccati? E di peccati, poiché non ne hanno commesso nessuno per colpa della loro propria vita a quell'età, non resta che il peccato originale. 27.40 - Altre testimonianze evangeliche per dimostrare che i bambini non possono salvarsi senza il battesimo Questo ragionamento sarà più forte, quando avrò radunato insieme le molte testimonianze che ho promesse. Abbiamo già riferito sopra le parole: Io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori. ( Lc 5,32 ) Ugualmente, dopo essere entrato da Zaccheo, disse: Oggi la salvezza è entrata in questa casa, perché anch'egli è figlio di Abramo; il Figlio dell'uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto. ( Lc 19,9-10 ) Lo stesso anche nella parabola della pecora smarrita, ricercata e ritrovata, dopo aver messo da parte le altre novantanove; lo stesso nella parabola della decima dramma smarrita. ( Lc 15,4-10 ) Per questo bisognava, come ha dichiarato, che nel suo nome si predicassero a tutte le genti la conversione e il perdono dei peccati cominciando da Gerusalemme. ( Lc 24,47 ) Anche Marco alla fine del suo Vangelo attesta che il Signore disse: Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato. ( Mc 16,15-16 ) Ebbene, chi non sa che per i bambini credere vuol dire venir battezzati e invece non credere vuol dire non venir battezzati? Dal Vangelo di Giovanni, sebbene abbiamo già citato alcune testimonianze, nota anche le seguenti. Giovanni Battista dice di Gesù: Ecco l'Agnello di Dio, ecco colui che toglie i peccati del mondo. ( Gv 1,29 ) E Gesù dice di se stesso: Le mie pecore ascoltano la mia voce, io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno mai perdute. ( Gv 10,27-28 ) Poiché dunque i bambini non cominciano ad essere tra le pecore di Gesù se non mediante il battesimo, certamente, se non lo ricevono, andranno perduti, perché non avranno la vita eterna che egli darà alle sue pecore. Similmente in un altro passo dice: Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. ( Gv 14,6 ) 27.41 - Testimonianze dalla prima lettera di S. Pietro Quanto agli Apostoli, osserva come hanno ricevuto questa dottrina e con quanta unanimità l'insegnano. Pietro nella sua Prima Lettera dice: Sia benedetto Dio e Padre del Signore nostro Gesù Cristo; nella sua grande misericordia egli ci ha rigenerato mediante la risurrezione di Gesù Cristo dai morti, per la speranza della vita eterna, per una eredità immortale, incontaminata, fiorente, conservata nei cieli per voi, che dalla potenza di Dio siete custoditi mediante la fede, per la vostra salvezza, prossima a rivelarsi negli ultimi tempi. ( 1 Pt 1,3-5 ) E poco dopo dice: Fatevi trovare degni della lode e dell'onore di Gesù Cristo che ignoravate. Adesso voi credete in lui senza vederlo. Poi al vederlo esulterete di gioia ineffabile e gloriosa, nel ricevere la meta della fede, cioè la salvezza delle vostre anime. ( 1 Pt 1,7-9 ) In un altro passo scrive: Voi siete la stirpe eletta, il regale sacerdozio, la nazione santa, il popolo di adozione, perché proclamiate le opere meravigliose di lui che vi ha chiamato dalle tenebre alla sua ammirabile luce. ( 1 Pt 2,9 ) E ancora: Il Cristo è morto per i nostri peccati, giusto per gli ingiusti, per ricondurci a Dio. ( 1 Pt 3,18 ) Ugualmente, dopo aver ricordato che nell'arca di Noè furono salvate otto persone, dice: Cosi in maniera simile ora salva voi il battesimo. ( 1 Pt 3,21 ) Da questa salvezza e luce sono dunque esclusi i bambini ed essi rimarranno nella perdizione e nelle tenebre, se mediante l'adozione non sono associati al popolo di Dio e non dànno la mano al Cristo, che giusto è morto per gli ingiusti al fine di ricondurli a Dio. ( 1 Pt 3,18 ) 27.42 - Testimonianze dalla prima lettera di S. Giovanni Anche dalla Lettera di Giovanni mi sono venuti in mente questi passi che sembrano attinenti al nostro tema. Scrive: Se camminiamo nella luce, come anche Dio è nella luce, siamo in comunione gli uni con gli altri e il sangue di Gesù Cristo, suo Figlio, ci purifica da ogni peccato. ( 1 Gv 1,7 ) Altrove: Se accettiamo la testimonianza degli uomini, la testimonianza di Dio è maggiore, e la testimonianza di Dio più grande della testimonianza degli uomini è quella che ha data al suo Figlio. Chi crede nel Figlio di Dio, ha questa testimonianza in sé. Chi non crede a Dio, fa di lui un bugiardo, perché non crede alla testimonianza che Dio ha reso a suo Figlio. E la testimonianza è questa: Dio ci ha dato la vita eterna e questa vita è nel suo Figlio. Chi ha il Figlio, ha la vita; chi non ha il Figlio, non ha la vita. ( 1 Gv 5,9-12 ) Non soltanto dunque il regno dei cieli, ma nemmeno la vita avranno i bambini, se non avranno il Figlio, e non lo possono avere se non per mezzo del suo battesimo. Ancora in un altro testo: Il Figlio di Dio è apparso per distruggere le opere del diavolo. ( 1 Gv 3,8 ) I bambini perciò non parteciperanno alla grazia dell'apparizione del Figlio di Dio, se egli non distruggerà in loro le opere del diavolo. 27.43 - Testimonianze di S. Paolo dalla lettera ai Romani Ed ecco ora già il momento di portare l'attenzione alle testimonianze su questo tema dell'apostolo Paolo. Evidentemente sono più numerose perché più numerose sono le Lettere che scrisse e perché più diligentemente si preoccupò di esaltare la grazia di Dio contro quelli che si vantavano delle opere e ignorando la giustizia di Dio e cercando di stabilire la propria non si erano sottomessi alla giustizia di Dio. ( Rm 10,3 ) Nella Lettera ai Romani scrive: La giustizia di Dio è a disposizione di tutti coloro che credono, perché non c'è distinzione: tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio, ma sono giustificati gratuitamente per la sua grazia in virtù della redenzione realizzata dal Cristo Gesù. Dio lo ha prestabilito a servire come strumento di espiazione per mezzo della fede, nel suo sangue, al fine di manifestare la sua giustizia, dopo la tolleranza usata verso i peccati passati, nel tempo della divina pazienza. Egli manifesta la sua giustizia nel tempo presente, per essere giusto e giustificare chi ha fede in Gesù. ( Rm 3,22-26 ) Ancora: A chi lavora il salario non viene calcolato come un dono, ma come debito; a chi invece non lavora, ma crede in colui che giustifica l'empio, la sua fede gli viene accreditata come giustizia. Cosi, anche Davide proclama beato l'uomo a cui Dio accredita la giustizia indipendentemente dalle opere: - Beati quelli le cui iniquità sono state perdonate e i peccati sono stati ricoperti; beato l'uomo al quale il Signore non mette in conto il peccato -! E poco dopo: E non soltanto per lui è stato scritto che gli fu accreditato come giustizia, ma anche per noi, ai quali sarà ugualmente accreditato: a noi che crediamo in colui che ha risuscitato dai morti Gesù Cristo nostro Signore, il quale è stato messo a morte per i nostri peccati ed è stato risuscitato per la nostra giustificazione. ( Rm 4,4-8; Sal 31,1-2; Rm 4,23-25 ) Ancora poco dopo: Mentre noi eravamo ancora peccatori, il Cristo mori per gli empi nel tempo stabilito. ( Rm 5,6 ) Altrove: Sappiamo che la legge è spirituale, mentre io sono di carne, venduto come schiavo del peccato. Io non riesco a capire neppure quello che faccio: infatti non quello che voglio io faccio, ma quello che detesto. Ora, se faccio quello che non voglio, io conosco che la legge è buona; quindi non sono più io a farlo, ma il peccato che abita in me. Io so infatti che in me, cioè nella mia carne, non abita il bene; c'è in me il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo; infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio. Ora, se faccio quello che non voglio, non sono più io a farlo, ma il peccato che abita in me. Io trovo dunque in me questa legge: quando voglio fare il bene, il male è accanto a me. Infatti acconsento nel mio intimo alla legge di Dio, ma nelle mie membra vedo un'altra legge, che muove guerra alla legge della mia mente e mi rende schiavo della legge del peccato che è nelle mie membra. Sono uno sventurato! Chi mi libererà dal corpo di questa morte? La grazia di Dio per Gesù Cristo nostro Signore. ( Rm 7,14-25 ) Quelli che se la sentono dicano che gli uomini non nascono se non nel corpo di questa morte e che nondimeno non hanno bisogno della grazia di Dio per Gesù Cristo per esser liberati dal corpo di questa morte. Poco dopo scrive: Infatti ciò che era impossibile alla legge, perché la carne la rendeva impotente, Dio lo ha reso possibile: mandando il proprio Figlio in una carne simile a quella del peccato e in vista del peccato, egli ha condannato il peccato nella carne. ( Rm 8,3 ) Coloro che ne hanno il coraggio dicano che il Cristo sarebbe dovuto nascere in una carne simile a quella del peccato, se noi non fossimo nati nella carne del peccato. 27.44 - Testimonianze di S. Paolo dalla lettera ai Corinti Ai Corinzi scrive: Vi ho trasmesso dunque anzitutto quello che anch'io ho ricevuto: che cioè il Cristo mori per i nostri peccati secondo le Scritture. ( 1 Cor 15,3 ) Nella seconda Lettera scrive agli stessi: L'amore del Cristo ci spinge, al pensiero che uno è morto per tutti e quindi tutti sono morti. Ed egli è morto per tutti, perché quelli che vivono non vivano più per se stessi, ma per colui che è morto e risorto per loro. Cosicché ormai noi non conosciamo più nessuno secondo la carne; e anche se abbiamo conosciuto il Cristo secondo la carne, ora non lo conosciamo più cosi. Quindi se uno è nel Cristo, è una creatura nuova; le cose vecchie sono passate, ecco ne sono nate di nuove. Tutto questo però viene da Dio, che ci ha riconciliato con sé mediante il Cristo e ha affidato a noi il ministero della riconciliazione. In che modo? È stato Dio a riconciliare con sé il mondo nel Cristo, non imputando agli uomini le loro colpe e affidando a noi la parola della riconciliazione. Noi fungiamo quindi da ambasciatori per il Cristo, come se Dio esortasse per mezzo nostro. Vi supplichiamo in nome del Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio. Colui che non aveva conosciuto peccato Dio lo trattò da peccato in nostro favore, perché noi potessimo diventare per mezzo di lui giustizia di Dio. E poiché siamo suoi collaboratori, vi esortiamo a non accogliere invano la grazia di Dio. Egli dice infatti: - Al momento favorevole ti ho esaudito e nel giorno della salvezza ti ho soccorso -. Ecco ora il momento favorevole, ecco ora il giorno della salvezza. ( 2 Cor 5, 14-6,2; Is 49,8 ) Se ai bambini non appartengono questa riconciliazione e salvezza, chi li cerca per il battesimo del Cristo? Ma se appartengono ad essi, vuol dire che sono tra gli uomini morti per i quali è morto il Cristo, né possono essere riconciliati e salvati da lui, se egli non rimette i loro peccati e non li imputa più. 27.45 - Testimonianze di S. Paolo dalla lettera ai Galati Ai Galati scrive ugualmente: Grazia a voi e pace da parte di Dio Padre e dal Signore Gesù Cristo, che ha dato se stesso per i nostri peccati, per strapparci da questo secolo perverso. ( Gal 1,3-4 ) E in un altro passo dice: La legge fu aggiunta per le trasgressioni, fino alla venuta della discendenza per la quale era stata fatta la promessa e fu promulgata per mezzo di angeli attraverso un mediatore. Ora, non si dà mediatore per una sola persona, e Dio è uno solo. La legge è dunque contro le promesse di Dio? Impossibile! Se infatti fosse stata data una legge capace di conferire la vita, la giustificazione scaturirebbe davvero dalla legge; la Scrittura invece ha rinchiuso ogni cosa sotto il peccato, perché ai credenti la promessa venisse data in virtù della fede in Gesù Cristo. ( Gal 3, 19.22 ) 27.46 - Testimonianze di S. Paolo dalla lettera agli Efesini Altresi agli Efesini scrive: Anche voi eravate morti per le vostre colpe e i vostri peccati, nei quali un tempo viveste alla maniera di questo mondo, seguendo il principe delle potenze dell'aria, quello spirito che ora opera negli uomini ribelli. Nel numero di quei ribelli siamo vissuti anche tutti noi, un tempo, con i desideri della nostra carne, seguendo le voglie della carne e i desideri cattivi; ed eravamo per natura meritevoli d'ira come gli altri. Ma Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amato, da morti che eravamo per i peccati, ci ha fatto rivivere con il Cristo, per la grazia del quale siamo stati salvati. ( Ef 2,1-6 ) Poco dopo: Per grazia siete salvi mediante la fede, e ciò non viene da voi, ma è dono di Dio; né viene dalle opere, perché nessuno possa vantarsene. Siamo infatti opera sua, creati nel Cristo Gesù per le opere buone, che Dio ha predisposte perché noi le praticassimo. ( Ef 2,8-10 ) Ancora poco dopo: In quel tempo eravate senza il Cristo, esclusi dalla cittadinanza d'Israele, estranei ai patti della promessa, senza speranza e senza Dio in questo mondo. Ora invece nel Cristo Gesù, voi che un tempo eravate i lontani, siete diventati i vicini grazie al sangue del Cristo. Egli infatti è la nostra pace, colui che ha fatto dei due un popolo solo, abbattendo il muro di separazione che era framezzo, cioè l'inimicizia, annullando per mezzo della sua carne la legge fatta di prescrizioni e di decreti, per creare in se stesso dei due un solo uomo nuovo facendo la pace e per trasformarli ambedue a onore di Dio in un solo corpo, distruggendo in se stesso l'inimicizia per mezzo della croce. Egli è venuto perciò ad annunziare pace a voi che eravate lontani e pace a coloro che erano vicini. Per mezzo di lui possiamo presentarci gli uni e gli altri al Padre in un solo Spirito. ( Ef 2,12-18 ) Lo stesso altrove: Secondo la verità che è in Gesù, dovete deporre l'uomo vecchio con la condotta di prima, l'uomo che si corrompe dietro le passioni ingannatrici e dovete rinnovarvi nello spirito della vostra mente e rivestire l'uomo nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e nella santità vera. ( Ef 4,21-24 ) Altrove: E non vogliate rattristare il Santo Spirito di Dio, con il quale foste segnati per il giorno della redenzione. ( Ef 4,30 ) 27.47 - Testimonianze di S. Paolo dalla lettera ai Colossesi Anche ai Colossesi parla cosi: Ringraziamo con gioia il Padre che ci ha messo in grado di partecipare alla sorte dei santi nella luce, che ci ha liberato dal potere delle tenebre e ci ha trasferito nel regno del suo Figlio diletto, per opera del quale abbiamo la redenzione, la remissione dei peccati. ( Col 1,12-14 ) E in un altro luogo: Voi partecipate alla pienezza del Cristo, che è il capo di ogni principato e di ogni potestà. In lui voi siete stati anche circoncisi, di una circoncisione però non fatta da mano di uomo, mediante la spogliazione del nostro corpo di carne, ma della vera circoncisione del Cristo. Con lui infatti siete stati sepolti insieme nel battesimo, in lui anche siete stati insieme risuscitati per la fede nella potenza di Dio che lo ha risuscitato dai morti. Con lui Dio ha dato vita anche a voi che eravate morti per i vostri peccati e per l'incirconcisione della vostra carne, perdonandoci tutti i peccati, annullando il documento scritto del nostro debito, le cui condizioni ci erano sfavorevoli. Egli lo ha tolto di mezzo inchiodandolo alla croce; avendo privato della loro forza i principati e le potestà, ne ha fatto pubblico spettacolo dietro al corteo trionfale del Cristo. ( Col 2,9-15 ) 27.48 - Testimonianze di S. Paolo dalla lettera a Timoteo E a Timoteo scrive: Questa parola è sicura e degna di essere da tutti accolta: il Cristo Gesù è venuto in questo mondo per salvare i peccatori, di questi il primo sono io. Ma appunto per questo ho ottenuto misericordia, perché Gesù Cristo ha voluto dimostrare in me per primo tutta la sua magnanimità ad esempio di quanti avrebbero creduto in lui per avere la vita eterna. ( 1 Tm 1,15-16 ) Ugualmente dice: Uno solo infatti è Dio e uno solo il Mediatore tra Dio e gli uomini, l'uomo Cristo Gesù, che ha dato se stesso in riscatto per tutti. ( 1 Tm 2,5-6 ) Anche nella seconda Lettera dice al medesimo: Non vergognarti della testimonianza da rendere al Signore nostro né di me che sono in carcere per lui, ma soffri anche tu insieme con me per il vangelo, aiutato dalla forza di Dio, che ci salva e ci chiama con la sua santa vocazione, non già in base alle nostre opere, ma secondo il suo proposito e la sua grazia. Essa ci è stata data nel Cristo Gesù fino dalla eternità, ma è stata rivelata solo ora con l'apparizione del Signore nostro Gesù Cristo, il quale ha vinto la morte e ha fatto risplendere la vita e l'immortalità per mezzo del Vangelo. ( 2 Tm 1,8-10 ) 27.49 - Testimonianze di S. Paolo dalla lettera a Tito Pure a Tito scrive: Attendiamo la beata speranza e la manifestazione della gloria del grande Dio e Salvatore nostro Gesù Cristo, il quale ha dato se stesso per noi, per riscattarci da ogni iniquità e formare di noi per sé un popolo puro e generoso, zelante nelle opere buone. ( Tt 2,13-14 ) In un altro passo: Quando però si manifestarono la bontà del nostro Dio salvatore e il suo amore per gli uomini, egli ci ha salvato non in virtù di opere di giustizia da noi compiute, ma per sua misericordia mediante un lavacro di rigenerazione e di rinnovamento nello Spirito Santo, effuso da lui su di noi abbondantemente per mezzo di Gesù Cristo salvatore nostro, perché, giustificati dalla sua grazia, diventassimo eredi, secondo la speranza della vita eterna. ( Tt 3,4 ) 27.50 - Testimonianze di S. Paolo dalla lettera agli Ebrei C'è anche da notare quanto grandi testimonianze a nostro favore contenga la Lettera agli Ebrei, sebbene per certuni sia dubbia. Le riferisco, perché ho letto che alcuni, favorevoli ad altra sentenza contraria a questa nostra sentenza sul battesimo dei bambini, hanno voluto adoperare questa Lettera come teste a difesa di certe loro opinioni. Su di me tuttavia ha maggior peso l'autorità delle Chiese orientali, le quali hanno anche questa Lettera tra i libri canonici. Proprio nell'esordio si legge: Dio, che aveva già parlato nei tempi antichi molte volte e in modi diversi ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato per mezzo del Figlio, che ha costituito erede di tutte le cose e per mezzo del quale ha fatto anche il mondo. Questo Figlio, che è irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza e sostiene tutto con la potenza della sua parola, dopo aver compiuto la purificazione dei peccati si è assiso alla destra della Maestà nell'alto dei cieli. ( Eb 1,1-3 ) Poco dopo si legge: Se infatti la parola trasmessa per mezzo degli angeli si è dimostrata salda, e ogni trasgressione e disobbedienza hanno ricevuto giusta punizione, come potremo scampare noi se trascuriamo una salvezza cosi grande? ( Eb 2,1-3 ) In un altro passo: Poiché dunque i figli hanno in comune il sangue e la carne, anche Gesù ne è divenuto partecipe per ridurre all'impotenza mediante la morte colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo, e liberare cosi quelli che per timore della morte erano soggetti a schiavitù per tutta la vita. Poco dopo dice: Perciò doveva rendersi in tutto simile ai fratelli, per diventare un sommo sacerdote misericordioso e fedele nelle cose che riguardano Dio, allo scopo di espiare i peccati del popolo. ( Eb 2,14-17 ) Altrove: Manteniamo ferma la professione della nostra fede. Infatti non abbiamo un sacerdote che non sappia compatire le nostre infermità, essendo stato lui stesso provato in ogni cosa a somiglianza di noi, escluso il peccato. ( Eb 4,15 ) n un altro testo scrive: Egli possiede un sacerdozio che non tramonta. Perciò può salvare perfettamente quelli che per mezzo di lui si accostano a Dio, essendo egli sempre vivo per intercedere a loro favore. Tale era infatti il sommo sacerdote che ci occorreva: santo, innocente, senza macchia, separato dai peccatori ed elevato sopra i cieli; egli non ha bisogno ogni giorno come gli altri sommi sacerdoti di offrire sacrifici prima per i propri peccati e poi per quelli del popolo, poiché egli ha fatto questo una volta per tutte, offrendo se stesso. ( Eb 7,24-27 ) In un altro passo ancora: Il Cristo infatti non è entrato in un santuario fatto da mani d'uomo, figura di quello vero, ma nel cielo stesso, per comparire ora al cospetto di Dio in nostro favore, e non per offrire se stesso più volte, come il sommo sacerdote che entra nel santuario con sangue altrui. In questo caso infatti avrebbe dovuto soffrire più volte dalla fondazione del mondo. Ora invece una volta sola, alla pienezza dei tempi, è apparso per annullare il peccato mediante il sacrificio di se stesso. E come è stabilito per gli uomini che muoiano una sola volta, dopo di che viene il giudizio, cosi il Cristo, dopo essersi offerto una volta per tutte allo scopo di togliere i peccati di molti, apparirà una seconda volta, senza alcuna relazione con il peccato, a coloro che lo aspettano per la loro salvezza. ( Eb 9,24-28 ) 27.51 - Testimonianza dall'Apocalisse Anche l'Apocalisse di Giovanni attesta che si tributano al Cristo con un canto nuovo queste lodi: Tu sei degno di prendere il libro e di aprirne i sigilli, perché sei stato immolato e con il tuo sangue ci hai ricomprato a Dio, da ogni tribù e lingua e popolo e nazione. ( Ap 5,9 ) 27.52 - Testimonianza dal libro degli Atti degli Apostoli Cosi negli Atti degli Apostoli l'apostolo Pietro dice che il Signore Gesù è l'autore della vita e con le seguenti parole rimprovera ai Giudei di averlo ucciso: Voi invece avete oppresso e rinnegato il Santo e il Giusto, avete chiesto che vi fosse graziato un assassino e avete ucciso l'autore della vita. ( At 3,14-15 ) In un altro luogo: Questo Gesù è la pietra che, scartata da voi costruttori, è diventata testata d'angolo. Non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati. ( At 4,11-12 ) Altrove: Il Dio dei nostri padri ha risuscitato Gesù, che voi avete ucciso appendendolo alla croce. Dio lo ha innalzato con la sua destra facendolo capo e salvatore, per dare in lui a Israele la grazia della conversione e il perdono dei peccati. ( At 5,30-31 ) Ugualmente in un altro passo: Tutti i profeti gli rendono questa testimonianza: chiunque crede in lui ottiene la remissione dei peccati per mano sua. ( At 10,43 ) Nello stesso libro dice l'apostolo Paolo: Vi sia dunque noto, fratelli, che per opera di lui vi viene annunziata la remissione dei peccati e che per lui chiunque crede riceve giustificazione da tutto ciò da cui non vi fu possibile essere giustificati mediante la legge di Mosè. ( At 13,38-39 ) 27.53 - Testimonianze implicite dell'Antico Testamento Da questo cumulo cosi grande di testimonianze quale orgoglio che si gonfi contro la verità di Dio non potrà essere ripreso? E se ne potrebbero trovare molte di più, ma non dobbiamo trascurare la premura di porre termine a quest'opera. Ho reputato superfluo riferire per questa dottrina molte attestazioni di detti divini anche dai libri del Vecchio Testamento, atteso che le medesime verità che in essi stanno come occultate sotto il velo di promesse terrene, appaiono svelate nella predicazione del Nuovo Testamento. Il Signore stesso indicò e precisò brevemente l'utilità degli antichi Libri, dicendo necessario che si avverassero le cose scritte su di lui nella Legge, nei Profeti e nei Salmi, ed erano proprio queste: il Cristo doveva patire, risorgere dai morti il terzo giorno, si doveva predicare nel suo nome la conversione e la remissione dei peccati a tutte le genti cominciando da Gerusalemme. ( Lc 24,44-47 ) E Pietro dice, come ho ricordato poco più sopra, che tutti i profeti testimoniano riguardo a Gesù che chiunque crede in lui riceve per mano sua la remissione dei peccati. ( At 10,43 ) 27.54 - Alcune testimonianze esplicite dell'Antico Testamento Ma tuttavia è più pratico che si citino anche dallo stesso Vecchio Testamento pochi testi che dovranno valere o da rincalzo o meglio da completamento. Il Signore stesso parlando per bocca del profeta in un salmo dice: Sui santi che sono sulla sua terra egli profuse tutte le sue beneficenze. ( Sal 16,3 ) Non i loro meriti, ma le sue beneficenze. A loro che cosa appartiene all'infuori di quello che segue? Si moltiplicarono le loro infermità, oltre ad essere già infermi. La legge sopraggiunse appunto perché sovrabbondasse il peccato. ( Rm 5,20 ) Ma che cosa soggiunge? Dopo si affrettarono: moltiplicate le infermità, cioè abbondando il peccato, cercarono con maggiore desiderio il Medico, perché dove abbondò il peccato sovrabbondasse la grazia. Poi dice: Non riunirò più le loro assemblee piene di spargimenti di sangue, perché il molto sangue dei sacrifici, quando prima si radunavano attorno al tabernacolo o nel tempio, non li mondava, ma piuttosto li denunziava come peccatori. Dunque, dice, non riunirò più le loro assemblee piene di spargimenti di sangue. Un solo sangue infatti è stato dato per molti, perché da esso fossero veramente purificati. Poi seguita: E non ricorderò con le mie labbra i loro nomi, perché ormai sono purificati, rinnovati. Prima infatti i loro nomi erano: figli della carne, figli del secolo, figli dell'ira, figli del diavolo, immondi, peccatori, empi. Dopo sono invece figli di Dio: un nome nuovo per l'uomo nuovo che canta un canto nuovo in virtù del Testamento Nuovo. Non siano ingrati alla grazia di Dio gli uomini, i piccoli insieme ai grandi, ( Ap 19,5 ) dai minori ai maggiori. ( Gn 3,5 ) È voce di tutta la Chiesa: Come pecora smarrita vado errando. ( Sal 119,176 ) È voce di tutte le membra del Cristo: Noi tutti eravamo sperduti come un gregge ( Is 53,6 ) ed egli è stato trafitto per i nostri delitti. ( Is 53,5 ) Questo passo profetico si trova per intero in Isaia. Per esso il famoso eunuco della regina Candace credette nel Cristo, dopo che gli fu spiegato da Filippo. ( At 8,27-39 ) Osserva quante volte insiste su questa medesima verità e come torna ad inculcarla a non so quale gente superba o litigiosa. Dice: Un uomo nel dolore, un uomo che sa sopportare il male; cerca di nascondere la sua faccia disprezzata e non tenuta in alcun conto. Questi porta le nostre infermità e per noi si trova in mezzo ai dolori; noi reputavamo che fosse stato invece afflitto, percosso, umiliato, mentre egli era trafitto per i nostri peccati, maltrattato per le nostre colpe. Su di lui gravava il prezzo della nostra pace e per le sue piaghe noi siamo stati risanati. Noi tutti errammo come pecore sbandate e il Signore lo ha consegnato a causa dei nostri peccati. Trattato cosi male, non emise un sospiro; come una pecora fu condotto alla morte e non apri la sua bocca, come un agnello che sta senza voce dinanzi a chi lo tosa. Nell'umiliazione fu pronunziata la condanna che lo tolse di mezzo. Chi potrà narrare la sua generazione, dato che la sua vita fu recisa dalla terra e fu condotto alla morte per le iniquità del mio popolo? Io darò gli empi per la sua sepoltura e i ricchi per la sua morte, perché egli non aveva commesso iniquità né frode con la sua bocca. Il Signore volle purificarlo nei patimenti. Se voi darete in sacrificio per i vostri peccati la vostra anima, vedrete una enorme discendenza. E vuole il Signore togliere dai dolori la sua anima, mostrargli la luce, rivelarlo, giustificarlo come un giusto che è utile a molti. E costui porta il peso dei loro peccati. Per questo avrà molti in eredità e dividerà il bottino dei forti, perché la sua anima fu consegnata alla morte e fu annoverato tra i malfattori, mentre portava i peccati di molti e fu consegnato per le loro iniquità. ( Is 53,3-13 ) Nota altresi quel testo del medesimo profeta che Gesù stesso, facendo pure l'ufficio di lettore in una sinagoga, recitò come avveratosi in lui: Lo Spirito del Signore è sopra di me, perché il Signore mi ha consacrato per mandarmi ad evangelizzare gli umili, a confortare chi soffre nel suo cuore, a predicare la libertà ai prigionieri e la vista ai ciechi. ( Is 61,1; Lc 4,16-21 ) Senza eccezione tutti quanti vogliamo appartenere al corpo di Gesù, entrare attraverso di lui nel suo ovile, giungere alla vita e salvezza eterna che ha promesso ai suoi, tutti, dicevo, bisogna che riconosciamo colui che non ha commesso peccato e che ha portato i nostri peccati nel suo corpo sopra la croce, perché, lontani dai peccati, viviamo con giustizia; colui che con le sue piaghe ci ha guarito, poiché eravamo infermi come pecore sbandate. ( 1 Pt 2,24-25 ) Nessun cristiano senza la grazia della remissione dei peccati. Nessuno si salva fuori dal regno di Gesù Cristo. Nessun eletto risorgerà se non per il Cristo. 28.55 - Tutti hanno il peccato originale Poiché le cose stanno cosi, la fede sana e la dottrina sana non hanno mai considerato nessuno dispensato dalla grazia della remissione dei peccati tra quanti si sono accostati al Cristo con il battesimo e non hanno mai ammesso per nessuno la possibilità della salvezza eterna al di fuori del regno del Cristo. La salvezza infatti è prossima a rivelarsi negli ultimi tempi, ( 1 Pt 1,5 ) cioè nella risurrezione dei morti, non dei morti destinati alla morte eterna, che si chiama morte seconda; ma dei morti destinati alla vita eterna, che il Dio non mendace promise ai suoi santi e fedeli. E quanti saranno partecipi della vita eterna, non riceveranno la vita se non nel Cristo, allo stesso modo che tutti muoiono in Adamo. ( 1 Cor 15,22 ) Come infatti senza eccezione tutti coloro che appartengono alla generazione della volontà della carne ( Gv 1,13 ) muoiono in Adamo in cui tutti hanno peccato, cosi in mezzo a costoro senza eccezione tutti quelli che appartengono alla rigenerazione della volontà dello Spirito ricevono la vita nel Cristo in cui tutti sono giustificati. Perché, come per la colpa di uno solo si è riversata su tutti gli uomini la condanna, cosi anche per l'opera di giustizia di uno solo si riversa su tutti gli uomini la giustificazione. ( Rm 5,18 ) E non c'è per nessuno una via di mezzo, cosicché non può essere se non con il diavolo chi non è con il Cristo. Perciò anche il Signore stesso, volendo togliere dal cuore di quanti hanno una fede sbagliata questo non so quale stato intermedio che certuni cercano di assegnare ai bambini non battezzati, perché essi quasi per merito d'innocenza siano nella vita eterna, ma per mancanza di battesimo non siano con il Cristo nel suo regno, ha proferito una sentenza perentoria che chiude la bocca a costoro: Chi non è con me è contro di me. ( Mt 12,30 ) Supponi un qualsiasi fanciullo: se fosse già con il Cristo, perché battezzarlo? Se invece, com'è vero, proprio per questo si battezza perché sia con il Cristo, certamente senza essere battezzato non è con il Cristo e, poiché non è con il Cristo, è contro il Cristo. Non dobbiamo infatti né possiamo infirmare o mutare una sua dichiarazione cosi esplicita. Per cosa dunque contro il Cristo se non per il peccato? Non certo per il corpo e per l'anima che sono ambedue creature di Dio. Ma se per il peccato, per quale in cotesta età se non per quello originale e antico? Una sola è appunto la carne del peccato nella quale nascono tutti per la condanna e una sola è la carne somigliante alla carne del peccato mediante la quale tutti sono liberati dalla condanna. Quest'ultimo tutti non significa che tanti quanti nascono nella carne del peccato sono mondati mediante la carne che è simile alla carne del peccato: Non di tutti è infatti la fede. ( 2 Ts 3,2 ) Il senso buono è questo: tutti coloro che appartengono alla generazione del connubio carnale nascono nella carne del peccato e tutti coloro che appartengono alla generazione del connubio spirituale sono mondati mediante la carne somigliante a quella del peccato: cioè i primi appartengono per Adamo alla condanna, i secondi appartengono per il Cristo alla giustificazione. Come se dicessimo per esempio: "In questa città c'è una sola levatrice che raccoglie tutti e c'è un solo maestro di lettere che insegna a tutti"; tutti non si possono intendere nel primo caso se non quelli che nascono e nel secondo se non quelli che studiano, senza però che studino le lettere tutti quelli che nascono. Per chiunque è chiaro che è detto bene nel caso della levatrice: "Raccoglie tutti, in quanto nessuno nasce fuori dalle sue mani", ed è detto bene nel caso del maestro: "Insegna a tutti, in quanto nessuno impara senza il suo insegnamento". 28.56 - Il risultato di tante testimonianze Considerate tutte le testimonianze divine che ho citato, sia discutendole una per una, sia raggruppandone parecchie in massa, e considerate altre testimonianze simili che non ho citato, non si riscontra se non ciò che ritiene la Chiesa universale, la quale deve vigilare contro tutte le novità profane. ( 1 Tm 6,20 ) Pertanto ogni uomo è separato da Dio fino a quando per la mediazione del Cristo non è riconciliato con Dio; e nessuno può essere separato da Dio se non a causa di peccati che lo tengano lontano da Dio, e può essere riconciliato solo con la remissione dei peccati, in virtù dell'unica grazia del misericordiosissimo Salvatore, in virtù dell'unica vittima offerta dal verissimo Sacerdote. Insomma tutti i figli della donna che credette al serpente e per questo fu corrotta dalla libidine ( Gen 3,1-6 ) non sono liberati dal corpo di questa morte se non per opera del Figlio della Vergine che credette all'angelo e per questo fu fecondata senza libidine. ( Lc 1,26-38 ) 29.57 - Descrizione del peccato originale sullo sfondo della concupiscenza carnale Il bene dunque del matrimonio non è il fervore della concupiscenza, ma un certo modo lecito e onesto di fare uso di quel fervore, ordinato a propagare la prole, non ad appagare la libidine. Propria delle nozze è quella volontà e non questa voluttà. Il male dunque del peccato con il quale nasce ogni uomo è precisamente il fatto che il fervore della concupiscenza si muove disobbedientemente nelle membra del corpo di questa morte e tenta di trascinare tutto l'animo dopo d'averlo a sé assoggettato, e non insorge quando la ragione vuole né si calma quando la ragione vuole. Quando però si contiene l'ardore della concupiscenza perché non ceda ad illecite depravazioni ma si avvii a propagare ordinatamente le sole supplenze del genere umano allora si ha il bene del matrimonio, in virtù del quale l'uomo nasce nell'ordine della società. Ma nessuno rinasce nel corpo del Cristo, se prima non nasce nel corpo del peccato. Come poi è male usare male di un bene, cosi è bene usare bene di un male. Queste due cose dunque, il bene e il male, più le altre due, il loro uso buono o cattivo, se si sommano insieme, fanno quattro cose differenti. Usa bene del bene chi consacra la continenza a Dio, usa male del bene chi consacra la continenza a un idolo, usa male del male chi lascia andare la concupiscenza all'adulterio, usa bene di un male chi restringe la concupiscenza al matrimonio. Come dunque usare bene del bene è meglio che usare bene del male, pur essendo buona l'una e l'altra cosa, cosi colui che dà in sposa la propria figlia fa bene e chi non la dà in sposa fa meglio. ( 1 Cor 7,38 ) Di tale questione ho trattato molto più abbondantemente e molto più esaurientemente in due libri, Dignità del Matrimonio e La Santa Verginità, secondo l'esiguità delle mie forze e l'aiuto del Signore. Per il bene dunque delle nozze non difendano il male della concupiscenza coloro che esaltano la carne e il sangue del prevaricatore contro la carne e il sangue del Redentore, e la superbia dell'errore non involi con sé i bambini sulla cui piccola età il Signore ha proposto a noi un esempio d'umiltà. Il solo a nascere senza peccato è stato colui che la Vergine concepi senza l'amplesso maritale: non per concupiscenza della carne, ma per obbedienza della mente. La sola che poté partorire la Medicina per la nostra ferita è stata colei che diede alla luce il Capo di una discendenza santa senza l'intervento della ferita del peccato. 30.58 - L'interpretazione pelagiana di Gv 3,5 Esaminiamo adesso con più diligenza, secondo l'aiuto del Signore, anche lo stesso capitolo del Vangelo dove egli dichiara: Se uno non rinascerà dall'acqua e dallo Spirito, non entrerà nel regno di Dio. ( Gv 3,5 ) Se non ci fosse questa dichiarazione a distogliere costoro, essi penserebbero senz'altro che i bambini non sono nemmeno da battezzare. Dicono: "Ma poiché non affermò: Se uno non rinascerà dall'acqua e dallo Spirito, non avrà la salvezza e la vita eterna, e invece affermò soltanto: Non entrerà nel regno di Dio, per questo i bambini devono essere battezzati perché siano con il Cristo anche nel regno di Dio, dove non saranno se non sono stati battezzati. Però, anche se muoiono senza battesimo, avranno la salvezza e la vita eterna, non essendo implicati in nessun vincolo di peccato". Nel dire questo prima di tutto costoro non spiegano mai per quale giustizia l'immagine di Dio che non ha nessun peccato venga esclusa dal regno di Dio. Vediamo poi se il Signore Gesù, il solo ed unico Maestro buono, ( Mc 10,17-18 ) in questa stessa lettura evangelica non abbia inteso e mostrato che solo la remissione dei peccati consente ai battezzati di giungere al regno di Dio; per quanto dovrebbero bastare a buoni intenditori queste parole: Se uno non sarà nato di nuovo, non può vedere il regno di Dio, e le altre: Se uno non rinascerà dall'acqua e dallo Spirito, non può entrare nel regno di Dio. Per quale ragione infatti deve nascere di nuovo se non per essere rinnovato? Da che cosa dev'essere rinnovato se non dal vecchiume? Da quale vecchiume se non da quello del nostro uomo vecchio che è stato crocifisso con il Cristo, perché fosse distrutto il corpo del peccato? ( Rm 6,6 ) O per quale altra ragione l'immagine di Dio non entra nel regno di Dio se non perché le sbarra l'ingresso la barriera del peccato? Ma, come ci siamo proposti, vediamo attentamente e diligentemente, per quanto ci è possibile, tutto il contesto stesso della lettura evangelica che interessa all'attuale argomento. 30.59 - Il dialogo tra Gesù e Nicodemo Dice l'Evangelista: C'era tra i farisei un uomo chiamato Nicodemo, un capo dei Giudei. Egli andò da Gesù di notte e gli disse: - Rabbi, sappiamo che tu sei un maestro venuto da Dio; nessuno infatti può fare i segni che tu fai, se Dio non è con lui -. Gli rispose Gesù: - In verità, in verità ti dico, se uno non nascerà di nuovo, non può vedere il regno di Dio -. Nicodemo gli dice: - Come può un uomo nascere quando è vecchio? Può forse entrare una seconda volta nel grembo di sua madre e nascere? -. Gli rispose Gesù: - In verità in verità ti dico, se uno non rinascerà da acqua e da Spirito, non può entrare nel regno di Dio. Quello che è nato dalla carne è carne e quello che è nato dallo Spirito è Spirito. Non ti meravigliare, se t'ho detto: Dovete nascere di nuovo. Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai di dove viene e dove va: cosi è di chiunque è nato dallo Spirito -. Replicò Nicodemo: - Come può accadere questo? -. Gli rispose Gesù: - Tu sei maestro in Israele e non sai queste cose? In verità, in verità ti dico, noi parliamo di quello che sappiamo e testimoniamo quello che vediamo, ma voi non accogliete la nostra testimonianza. Se vi ho parlato di cose della terra e non credete, come crederete se vi parlerò di cose del cielo? Eppure nessuno è mai salito al cielo, fuorché il Figlio dell'uomo che è disceso dal cielo e che è in cielo. E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, cosi bisogna che sia innalzato il Figlio dell'uomo, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna. Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna. Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato, ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell'unigenito Figlio di Dio. E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce, perché le loro opere erano malvage. Chiunque infatti fa il male, odia la luce e non viene alla luce, perché non siano svelate le sue opere. Ma chi opera la verità viene alla luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio ( Gv 3,1-21 ) -. Fin qui è attinente al problema di cui trattiamo tutto quel colloquio per disteso; dopo, il narratore passa ad altro argomento. 31.60 - Commento a Gv 3: come si compie la rigenerazione spirituale dell'uomo Poiché dunque Nicodemo non capiva le cose che udiva, chiese al Signore come fossero possibili. Vediamo che cosa risponde il Signore. Se infatti si degnerà di rispondere alla domanda: "Come può accadere questo?", dirà in che modo possono diventare rigenerazione spirituale gli uomini che vengono dalla generazione carnale. Pertanto, dopo aver per un poco bersagliato l'ignoranza di lui che si preferiva agli altri per la sua condizione di maestro e dopo aver ripreso la incredulità di tutti i suoi colleghi, in quanto non accettavano la testimonianza della Verità, aggiunge pure d'aver parlato di cose terrene con essi senza che gli avessero creduto e si domandava o meravigliava come avrebbero creduto alle cose celesti. Tuttavia continua e alla domanda come fossero possibili tali cose risponde con un'affermazione che sarà creduta da altri, se essi non ci credono: Nessuno è mai salito al cielo, fuorché il Figlio dell'uomo che è disceso dal cielo e che è in cielo. "La generazione spirituale", dice, "avverrà in tal modo che gli uomini saranno cambiati da terreni in celesti, e non potranno conseguire ciò se non diventando mie membra, affinché ascenda lo stesso che discende, perché nessun altro ascende all'infuori di colui che discende". Cristo non fa differenza tra il suo corpo, cioè la sua Chiesa, e se stesso, perché riguardo a Cristo e alla sua Chiesa si dice con più verità: E i due saranno una sola carne, ( Gen 2,24 ) che Gesù stesso ripete: Non sono più due, ma una sola carne. ( Mc 10,8 ) Se dunque non convergono nell'unità del Cristo tutti coloro che vogliono essere cambiati ed elevati, cosicché il Cristo che ascende sia lo stesso che discende, non potranno ascendere in nessun modo, perché nessuno è mai salito al cielo, fuorché il Figlio dell'uomo che è disceso dal cielo e che è in cielo. Per quanto si sia fatto in terra Figlio dell'uomo, tuttavia non ritenne disdicevole dare il nome di Figlio dell'uomo alla sua divinità, con la quale, pur rimanendo in cielo, discese sulla terra, come onorò la propria carne con il nome di Figlio di Dio, affinché non si prendessero quasi per due Cristi la divinità e la carne, uno Dio e l'altro uomo, ma un solo e medesimo Dio e uomo: Dio, perché in principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio; uomo, perché il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi. ( Gv 1, 1.14 ) Per la distanza tra la divinità e la debilità umana il Figlio di Dio rimaneva in cielo e il Figlio dell'uomo camminava sulla terra, ma per l'unità di persona per cui l'una e l'altra sostanza sono un solo Cristo è vero sia che il Figlio di Dio camminava sulla terra, sia che il Figlio dell'uomo rimaneva anche lui in cielo. Dalla fede dunque che si ha in verità più incredibili si arriva ad avere fede in verità più credibili. Crediamo infatti che la natura divina, tanto più distante e incomparabilmente più sublime nella sua diversità, poté prendere per noi in tal modo la natura umana da farne una sola persona, e cosi il Figlio dell'uomo che era in terra per la debilità della carne, era lui stesso in cielo per l'unione della divinità con la carne. Quanto non è più credibile allora il fatto che altri uomini, santi e fedeli al Cristo, fanno con l'uomo Cristo un solo Cristo, e cosi, ascendendo tutti in forza di questa grazia e della comunione con lui, ascende in cielo lo stesso unico Cristo che discende dal cielo? In questo senso anche l'Apostolo dice: Come in un medesimo corpo abbiamo molte membra e tutte le membra del corpo, benché molte, sono un solo corpo, cosi anche il Cristo. ( 1 Cor 12,12 ) Non ha detto: "Cosi anche del Cristo", cioè il corpo o le membra del Cristo, ma ha detto: Cosi anche il Cristo chiamando il capo e il corpo un unico Cristo. 32.61 - Commento a Gv 3: tutti gli uomini, compresi i bambini, sono stati avvelenati dal morso del serpente Grande e meravigliosa questa degnazione! E poiché essa non si può avere senza la remissione dei peccati, continua e dice: Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, cosi bisogna che sia innalzato il Figlio dell'uomo, perché chiunque crede in lui, non muoia, ma abbia la vita eterna. Sappiamo ciò che avvenne in quel tempo nel deserto. Molti morivano dai morsi dei serpenti. Allora il popolo, riconoscendo i suoi peccati, pregò il Signore per mezzo di Mosè che allontanasse da loro quei serpenti velenosi. Per comando del Signore Mosè innalzò nel deserto un serpente di bronzo e avvisò il popolo che chiunque fosse morso da un serpente guardasse al serpente innalzato. Coloro che facevano cosi guarivano sull'istante. ( Nm 21,6-9 ) Che significa il serpente innalzato se non la morte del Cristo, secondo quel modo d'esprimersi figurato che indica l'effetto mediante la causa? La morte è venuta appunto dal serpente che convinse l'uomo al peccato e per esso gli fece meritare di morire. Il Signore però non trasferì nella propria carne il peccato, che è come il veleno del serpente, ma vi trasferì invece la morte, perché nella carne somigliante a quella del peccato ci fosse la pena senza la colpa e cosi fosse distrutta nella carne del peccato sia la colpa, sia la pena. Come dunque allora chi guardava al serpente innalzato, e guariva dal veleno e si liberava dalla morte, cosi adesso chi si unisce al Cristo con una morte simile alla sua ( Rm 6,5 ) per mezzo della sua fede e del suo battesimo, si libera e dal peccato con la giustificazione e dalla morte con la risurrezione. Questo è infatti il senso delle parole: Perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna. Che bisogno ha dunque il bambino di conformarsi con il battesimo alla morte del Cristo, se non è stato minimamente avvelenato dal morso del serpente? 33.62 - Commento a Gv 3: trascurare volontariamente il battesimo dei bambini vuol dire sottrarli alla grazia dell'incarnazione Poi in modo conseguenziale dice: Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna. Il bambino era dunque destinato a morire e a non avere la vita eterna, se con il sacramento del battesimo non credeva nell'unigenito Figlio di Dio, mentre per ora egli non è venuto per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui. Tanto più che seguitando dice: Chi crede in lui non è condannato, ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell'unigenito Figlio di Dio. Dove mettiamo dunque i bambini battezzati se non tra i fedeli, come reclama dappertutto l'autorità della Chiesa universale? Dunque tra coloro che hanno creduto. È un diritto che essi acquisiscono per la virtù del sacramento e per le risposte dei loro padrini. E conseguentemente quelli che non sono stati battezzati tra coloro che non hanno creduto. Ora, se i battezzati non sono condannati, i non battezzati sono condannati. Aggiunge poi: Il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce. Di che dice: La luce è venuta nel mondo se non della sua propria venuta? E senza il sacramento della sua venuta in che modo si può dire che i bambini sono nella luce? Non preferiscono forse le tenebre coloro che, come non credono essi stessi, cosi non pensano di dover battezzare i loro bambini, quando per essi temono la morte corporale? Afferma poi che sono compiute in Dio le opere di chi viene alla luce, perché questi capisce che la sua giustificazione non dipende dai suoi meriti, ma dalla grazia di Dio. È Dio infatti, dice l'Apostolo, che suscita in noi il volere e l'operare secondo i suoi benevoli disegni. ( Fil 2,13 ) In questo modo dunque si compie la rigenerazione spirituale di quanti dalla generazione carnale vengono al Cristo. Egli stesso l'ha spiegato, egli stesso l'ha indicato quando gli fu chiesto come potessero avverarsi tali cose. A nessuno ha lasciato in questa causa la libertà dell'argomentazione umana. I bambini non siano espropriati della grazia della remissione dei peccati. Non c'è nessun altro modo di passare al Cristo. Non c'è per nessuno un modo diverso di potersi riconciliare con Dio e venire a Dio all'infuori del Cristo. 34.63 - Anche dal rito del battesimo emerge che in essi si compie una remissione di peccati Che cosa dirò dello stesso rito del sacramento? Vorrei che uno di costoro che la pensano diversamente mi portasse a battezzare un bambino. Che fa in lui il mio esorcismo, se non è compreso nella famiglia del diavolo? Certamente sarebbe pronto a rispondermi lui stesso per il bambino da lui portato, non potendo questo rispondere per sé. In che modo dunque sarebbe pronto a dire che il bambino rinunzia al diavolo, se in lui non c'è nulla del diavolo? Come sarebbe pronto a dire che si converte a Dio, se non si è mai allontanato da Dio? Come sarebbe pronto a dire, tra le altre cose, che crede nella remissione dei peccati, se essa non riguarda affatto il bambino? Quanto a me, è certo che se lo ritenessi contrario a queste verità non gli permetterei nemmeno d'entrare con il bambino per i sacramenti; quanto poi a lui, non so con quale faccia si comporterebbe in tutto questo davanti agli uomini e con quale coscienza davanti a Dio, né voglio dire qualcosa di più grave. Alcuni quindi di costoro hanno visto che non è possibile dire e sentire nulla di più esecrabile e detestabile di questo: che per i bambini si usa una forma di battesimo falsa o ingannatrice, nella quale la remissione dei peccati risuona verbalmente e sembra operarsi e tuttavia non avviene in nessun modo. Perciò, per quanto concerne il battesimo dei bambini, perché sia necessario a loro, essi ammettono che anche i bambini hanno bisogno di redenzione, come è contenuto in un brevissimo opuscolo di uno di costoro, il quale tuttavia non ha voluto esprimere più apertamente in esso la remissione di un qualche peccato. Ma, come tu stesso mi hai informato per lettera, ormai confessano, lo dici tu, che anche nei fanciulli si fa con il battesimo remissione di peccati. Né c'è da meravigliarsi, perché la redenzione non si potrebbe intendere in altro modo. "Tuttavia" dicono costoro "i bambini non hanno cominciato ad avere il peccato originalmente, bensì durante la propria vita dopo essere già nati". 34.64 - Se i due gruppi di pelagiani si mettessero d'accordo tra loro, si troverebbero d'accordo con i cattolici Ti rendi conto ormai delle differenti opinioni sorte in mezzo a quelli contro i quali in quest'opera ho già discusso a lungo e con molti argomenti e di uno dei quali ho letto anche un libro che contiene gli errori da me confutati, come ho potuto. Ti avvedi dunque, come avevo cominciato a dire, quanto ci corra tra l'affermazione degli uni che i fanciulli sono assolutamente puri e liberi da qualsiasi peccato, sia originale sia proprio, e l'affermazione degli altri convinti che i bambini appena già nati hanno contratto peccati propri, dai quali li credono bisognosi d'esser purificati mediante il battesimo. Perciò questi ultimi, guardando alle Scritture e all'autorità di tutta la Chiesa e al rito dello stesso sacramento, hanno ben visto che per mezzo del battesimo si fa nei fanciulli remissione di peccati, ma che sia il peccato originale quel qualsiasi peccato che è presente nei bambini non lo vogliono dire o non lo possono vedere. I primi viceversa nella stessa natura umana che si offre a farsi esaminare da tutti hanno ben visto, ed era facile, che quell'età nel suo breve tratto di vita propria non ha potuto contrarre alcunché di peccato, ma, per non ammettere il peccato originale, dicono che nei fanciulli non esiste assolutamente nessun peccato. Prima dunque trovino l'accordo tra loro stessi nelle verità che dicono separatamente e conseguentemente avverrà che non si troveranno in disaccordo con noi per nessuna parte. Se infatti gli uni concedono agli altri che i bambini nel battesimo ricevono la remissione dei peccati e reciprocamente gli altri concedono agli oppositori che i piccoli, come la stessa natura grida nei taciti infanti, non hanno ancora contratto nessun peccato imputabile alla loro propria vita, gli uni e gli altri concederanno a noi che non resta nessun peccato da cancellare nei bambini per mezzo del battesimo all'infuori del peccato originale. 35.65 - Non c'è bisogno di dimostrare che i bambini non possono avere dei peccati propri Ma è mai possibile che ci sia questione anche su questo e che dobbiamo essere disposti a discutere e a perdere del tempo anche per provare ed insegnare come di volontà propria, senza la quale non può esistere nessun peccato di vita propria, non abbiano commesso nulla di male i bambini che per questo tutti chiamano innocenti? Tanta debilità d'anima e di corpo, tanta ignoranza di tutto, impossibilità assoluta a sottostare a regole, incapacità a capire e ad attuare la legge, naturale o scritta, mancanza d'uso di ragione per una o un'altra direzione, tutto questo non lo proclama, non lo indica con un silenzio molto più autorevole del nostro parlare? Valga qualcosa la stessa evidenza a convincere se stessa. In nessun caso infatti sono cosi impacciato a trovar parole da dire come quando la verità di cui si tratta è più manifesta di tutto ciò che si dice. 35.66 - Irreperibile qualsiasi traccia di peccato nei bambini nel corso dei primi anni Vorrei tuttavia che chiunque crede alla presenza nei bambini di qualche peccato proprio dicesse quale peccato vede o suppone in un bambino che è nato da poco e per la redenzione del quale confessa già necessario il battesimo: che cosa di male abbia commesso nella sua propria vita con il suo animo o con il suo corpo. Forse il fatto che piange e tedia i grandi? Mi sorprenderebbe se questo fosse da ascriversi a iniquità piuttosto che a infelicità. Forse il fatto che dallo stesso pianto non lo trattiene nessuna ragione sua e nessuna proibizione di chicchessia? Ma questo dipende dall'ignoranza, nel cui fondo più basso egli giace e per cui dopo un brevissimo spazio di tempo appena ne acquista la forza percuote con ira anche la madre e spesso le stesse sue mammelle che brama per fame. Questi comportamenti, oltre a tollerarsi, si amano perfino nel bambini: e per quale inclinazione avviene ciò se non per una inclinazione carnale, per cui piacciono anche il loro riso e il loro gioco, a cui partecipano con quasi uguale illogicità anche uomini perspicaci che, se la pensassero come parlano, moverebbero al riso non come uomini faceti, ma come uomini fatui? Vediamo che gli stessi fatui che volgarmente sono detti "morioni" vengono adoperati per divertire gli altri uomini normali e costano nel mercato degli schiavi più cari degli schiavi savi. Tanta forza esercita l'inclinazione carnale anche in persone che non sono affatto fatue nel far trovare dilettevole il male degli altri. Infatti, mentre ad uno riesce gioconda la fatuità altrui, egli tuttavia per conto proprio non avrebbe voluto essere fatuo. Se un padre del suo garrulo bambino in piccola età, dal quale aspetta e provoca lietamente quegli atti, presapesse che rimarrà tale nel crescere, non dubiterebbe in nessun modo che sarebbe da compiangere con più amarezza che morto. Ma finché c'è la speranza che i bambini imparino e finché si crede che con il progresso dell'età ci sarà il progresso della luce dell'intelligenza, è normale che le offese dei bambini anche contro i genitori non solo non riescano sgradite, bensì perfino gradite e piacevoli. Certamente nessuna persona assennata dovrà approvare che i bambini, invece d'essere distolti da siffatte parole ed azioni, quando è ormai arrivato il tempo di poterli distogliere, siano per giunta provocati a tali comportamenti dai grandi per gusto di riso o di vanità. Infatti il più delle volte quell'età, riconoscendo già il padre e la madre, non osa dire parolacce né all'uno né all'altra, se da uno dei due o da ambedue non ne ha il permesso o il comando. Questi atteggiamenti però sono propri dei bambini che si buttano già a pronunziare le prime parole e già possono approntare ad esse, quali che siano, i sentimenti del loro animo. Vediamo piuttosto la profondissima ignoranza nella quale si trovano i neonati e dalla quale gli altri bambini con i loro progressi, quasi protesi verso la tappa del conoscere e del parlare, sono arrivati a cotesta fatuità balbuziente che non è destinata a durare. 36.67 - Lo stato d'ignoranza in cui nasciamo non è il nostro stato naturale Consideriamo, voglio dire, quelle tenebre della loro mente, senza dubbio razionale, per le quali ignorano assolutamente anche Dio e si oppongono ai suoi sacramenti, anche nell'atto d'essere battezzati. Chiedo perché e quando siano stati sommersi in queste tenebre. Ma sarà proprio vero che le hanno contratte qui e che in questa vita, da quando è diventata la loro propria vita, si sono dimenticati di Dio per enorme negligenza e invece sono vissuti sapienti e religiosi prima, perfino nel grembo materno? Dicano queste sciocchezze coloro che osano, osino dirle coloro che vogliono, le credano coloro che possono. Da parte mia penso che non possano condividere questo modo di sentire coloro che non hanno la mente oscurata dal proposito pervicace di difendere la propria sentenza. O forse è vero che non esiste peccato d'ignoranza e quindi non c'è da eliminarlo? E allora che ci sta a fare quella voce: Non ricordare i peccati della mia giovinezza e della mia ignoranza? ( Sal 25,7 ) Per quanto infatti siano più riprovevoli i peccati che si commettono consapevolmente, tuttavia, se non esistessero i peccati d'ignoranza, non leggeremmo le parole che ho citato: Non ricordare i peccati della mia giovinezza e della mia ignoranza. Dunque in quelle densissime tenebre d'ignoranza, dove l'anima del neonato, senza dubbio anima d'uomo, senza dubbio anima ragionevole, si trova a giacere non solo non istruita, ma nemmeno istruibile, perché o quando o donde è stata sbattuta? Se la natura dell'uomo è di cominciare cosi e non è già viziosa una natura cosiffatta, perché Adamo non fu creato in tale condizione? Perché quello là fu creato capace di precetto e competente a dar nome alla propria moglie e a tutti i viventi? Infatti di Eva disse: La si chiamerà donna, e quanto agli altri esseri, in qualunque modo Adamo avesse chiamato ognuno degli esseri viventi, quello doveva essere il suo nome. ( Gen 2,23 ) E invece questo qui non sa dove sia, cosa sia, da chi sia stato creato, da quali persone sia stato generato, già reo di peccato prima ancora d'esser capace di precetto. Avvolto e schiacciato da una caligine d'ignoranza tanto fitta da cui non può essere svegliato come da un sonno, non gli si può far conoscere la realtà almeno per indicazione, ma si deve aspettare, non per una notte soltanto come avviene ordinariamente per le sbornie più solenni, ma per mesi ed anni, che lentamente smaltisca questa sua non so quale ubriacatura. E nell'attesa che ciò avvenga, sono cosi numerose da non potersi proprio contare le azioni che noi tolleriamo nei piccoli, mentre le puniamo nei grandi. Se questo male talmente enorme d'ignoranza e di debolezza i bambini l'hanno contratto in questa vita dopo essere già nati, domando: dove, quando, come, per quale mostruosa empietà da loro commessa sono stati avvolti repentinamente da tenebre cosi dense? Perché noi nasciamo così? Perché anche Gesù nacque bambino? 37.68 - Perché Adamo non fu creato così? Chiederà qualcuno: "Se questa natura [ dei bambini ] non è pura, ma si hanno in essa le prime manifestazioni di una natura viziosa, perché Adamo non fu creato in tali condizioni e qual è la ragione per cui il Cristo, di gran lunga molto più degno e nato certamente senza alcun peccato dalla Vergine apparve tuttavia procreato in tale debilità ed età?". Al quesito cosi proposto rispondiamo: Quanto ad Adamo, la ragione per cui non fu creato nelle condizioni attuali è che, non essendo stato preceduto dal peccato di nessun ascendente, non fu creato nella carne del peccato. Quanto a noi, siamo nelle condizioni attuali, perché, essendo stati preceduti dal peccato di Adamo, siamo nati nella carne del peccato. Quanto al Cristo, egli è nelle nostre condizioni, perché è nato in una carne somigliante a quella del peccato e in vista del peccato per condannare il peccato. ( Rm 8,3 ) Infatti qui non si tratta di Adamo quanto alla quantità del suo corpo, perché non fu fatto piccolo, bensì con le membra perfettamente formate: si può dire per rincalzo che anche gli animali furono creati con membra perfette, né tuttavia fu un loro peccato a far nascere piccoli poi da loro i figli, né ora cerchiamo quale sia la causa di questo fatto; ma si tratta qui di una certa vigoria della mente di Adamo e dell'uso della sua ragione, per cui poteva accettare docilmente l'autorità di Dio e la prescrizione del suo comando e la poteva osservare facilmente se voleva. Adesso invece l'uomo nasce cosi da non essere assolutamente capace di ciò a causa di un'orrenda ignoranza e debolezza, non della carne, ma della mente, sebbene siamo tutti concordi nel riconoscere che nel bambino vive un'anima non di un'altra sostanza, ma della medesima sostanza che aveva nel primo uomo, cioè un'anima ragionevole. Per quanto, anche la stessa debolezza cosi massiccia della carne sta a indicare a mio avviso un non so che di penale. Ci incuriosisce per esempio di sapere se i primi uomini, qualora non avessero peccato, avrebbero generato figli in tali condizioni da non avere l'uso né della lingua né delle mani né dei piedi. A causa della capienza dell'utero sarebbe stato forse inevitabile che nascessero piccoli. Però, pur essendo piccola parte del corpo una costola, non per questo tuttavia Dio fece ad Adamo una sposa piccola plasmando la donna con la costola. ( Gen 2,22 ) Perciò l'onnipotenza del Creatore poteva far diventare subito grandi anche i figli della donna appena dati alla luce. 38.69 - I neonati dell'uomo sono meno provvisti dei neonati degli animali Ma, tralasciando questo, poteva Dio dare certamente all'uomo quello che ha dato anche a molti animali. I loro figli, per quanto siano piccoli e non progrediscano nella conoscenza di pari passo con lo sviluppo successivo del corpo, non avendo un'anima razionale, tuttavia, anche quando sono minuscoli, corrono, riconoscono la propria madre e non hanno bisogno d'essere accostati dalla premura di altri a succhiare le mammelle, ma con meravigliosa facilità le trovano da sé, benché collocate in parti riposte del corpo materno. Al contrario, i bambini al momento in cui nascono non hanno né piedi idonei a camminare, né mani abili nemmeno a grattare e, se la nutrice non avvicina alle loro immote labbra e non vi introduce i capezzoli del petto, non sentono da sé dove siano e potrebbero più facilmente piangere per fame che succhiare le mammelle pendule accanto a loro. Corrisponde quindi in modo assoluto alla debilità della mente questa debilità del corpo. E la carne del Cristo non sarebbe stata somigliante alla carne del peccato, se non esistesse questa carne del peccato che aggrava talmente con il suo peso l'anima razionale, tanto se l'anima è stata creata anch'essa dai genitori, quanto se è stata creata nei genitori o se è stata ispirata dall'alto: una questione di cui per ora rimando la discussione. 39.70 - La concupiscenza dopo il battesimo Certamente nei bambini con la grazia di Dio per mezzo del battesimo di colui che è venuto nella somiglianza della carne del peccato si ottiene l'effetto di annullare la carne del peccato. Si annulla però non nel senso che si spenga repentinamente e non esista più nella stessa carne vivente la concupiscenza che vi è esplosa ed innata, ma si annulla cosi che la concupiscenza innata nell'uomo fin dalla nascita non gli nuoccia dopo la morte. Ecco: se dopo il battesimo la persona continua a vivere e potrà arrivare all'età capace di precetto, essa ha nella concupiscenza una nemica da combattere con l'aiuto di Dio, se non ha accolto invano la sua grazia ( 2 Cor 6,1 ) e non vorrà essere riprovata. ( 1 Cor 9,27 ) Infatti neanche ai grandi, a meno di un eventuale e straordinario miracolo dell'onnipotentissimo Creatore, si concede nel battesimo questo dono: che la legge del peccato, la quale abita nelle nostre membra e muove guerra alla legge della mente, ( Rm 7,22-23 ) si estingua completamente senza più esistere. Invece si concede che qualunque male fatto, detto, pensato dall'uomo per cedimento della sua mente alla stessa concupiscenza venga tutto abolito e non conti più nulla, come se non fosse mai stato compiuto. Al contrario la concupiscenza stessa, sciolto il vincolo del suo reato, in forza del quale mediante la concupiscenza il diavolo deteneva l'anima, e abbattuta cosi la barriera del peccato con il quale il diavolo separava l'uomo dal suo Creatore, la concupiscenza, dicevo, rimane nella lotta con la quale trattiamo duramente il nostro corpo e lo asserviamo ( 1 Cor 9,27 ) o per essere lasciata libera a compiti leciti e necessari o per essere ristretta dalla continenza. Lo Spirito di Dio, che molto meglio di noi conosce tutto e il passato e il presente e il futuro dell'umanità, ha preveduto e predetto un tal modo di vivere da parte del genere umano che nessun vivente è giusto davanti a Dio. ( Sal 143,2 ) In questa lotta può avvenire che noi, non impegnando per ignoranza o per debolezza contro la concupiscenza tutte le forze della volontà, cediamo ad essa anche in alcune azioni illecite, tanto più gravemente e più frequentemente quanto più siamo cattivi e tanto meno gravemente e meno frequentemente quanto più siamo buoni. Terminiamo questo libro e trattiamo in un secondo libro, in modo più specifico, del problema concernente la ricerca se in questa vita possa esistere, esista, sia esistito mai, esisterà mai un uomo senza peccato, eccettuato colui che disse: Ecco, viene il principe del mondo e in me non troverà nulla. ( Gv 14, 30 ) Libro II 1.1 - L'argomento di questo secondo libro Carissimo Marcellino, nel precedente libro abbiamo discusso a sufficienza, come penso, sul battesimo dei bambini che viene dato loro non solo per il regno di Dio, ma anche perché ottengano la salvezza e la vita eterna, che nessuno può avere senza il regno di Dio e senza essere unito al Cristo Salvatore con quel tipo di società in vista della quale egli ci ha redento con il suo sangue. ( Ap 5,9 ) In questo libro mi sono invece accollato di esaminare e sciogliere, con quanta diligenza o capacità mi dona il Signore, i nodi seguenti: se c'è qualcuno che in questo secolo viva o sia vissuto o sia per vivere senza assolutamente nessun peccato, con l'unica eccezione del Mediatore tra Dio e gli uomini, l'uomo Cristo Gesù, che ha dato se stesso in riscatto per tutti. ( 1 Tm 2, 5-6 ) Se in questo studio per qualche necessità od opportunità si inserirà di nuovo la questione del battesimo o del peccato dei bambini, non ti meravigliare se non sfuggiremo di rispondere in quei momenti, come possiamo, a tutti i problemi che reclamano una nostra risposta. 2.2 - La libertà umana ha bisogno della grazia divina La soluzione poi del problema di una vita umana senza alcun peccato che ci rubi di soppiatto il consenso e lo prevenga è necessarissima anche per le nostre quotidiane preghiere. Ci sono infatti alcuni che presumono tanto del libero arbitrio della volontà umana da credere che noi per non peccare non abbiamo nemmeno bisogno d'essere aiutati da Dio, una volta concesso alla nostra stessa natura l'arbitrio della libera volontà. Ne consegue che non dobbiamo neppure pregare di non entrare in tentazione, ( Mt 26, 41s ) cioè di non essere vinti dalla tentazione, né da quella che inganna e sorprende la nostra ignoranza, né da quella che aggredisce e incalza la nostra debolezza. Ma quanto sia dannoso, quanto sia pericoloso per la nostra salvezza che è nel Cristo, quanto sia ad essa contrario, quanto fortemente sia opposto al senso religioso che ci anima e alla pietà che dedichiamo a Dio non pregare il Signore per ricevere tale beneficio e ritenere vana la petizione contenuta nella stessa orazione domenicale: Non ci portare in tentazione ( Mt 6,13 ) non riusciamo a spiegarlo a parole. 3.3 - Alle nostre debolezze morali possiamo rimediare con l'esercizio della misericordia Sembra a costoro di mostrare acume d'intelligenza nel dire, quasi lo ignorasse qualcuno dei nostri, che "se non vogliamo, non pecchiamo, e Dio non comanderebbe mai all'uomo ciò che fosse impossibile alla sua volontà". Ma non vedono che per superare o certi cattivi desideri o certe cattive paure a volte sono necessarie grandi forze, anzi tutte le forze della volontà. Che noi non le avremmo perfettamente impegnate in ogni circostanza l'ha previsto colui che volle dichiarato con verità dal profeta: Nessun vivente davanti a te è giusto. ( Sal 143,2 ) Tali dunque prevedendo che saremmo stati, il Signore si degnò di concedere e di far valere contro il reato e i vincoli dei peccati anche dopo il battesimo alcuni rimedi salutari, cioè le opere di misericordia, dicendo: Perdonate e vi sarà perdonato, date e vi sarà dato. ( Lc 6,37-38 ) Chi infatti emigrerebbe da questa vita con qualche speranza di ricevere la salvezza eterna, stante quella sentenza: Chiunque osservi tutta la legge, ma la trasgredisca anche in un solo punto diventa colpevole di tutto, ( Gc 2,10 ) se poco dopo non ci fossero le altre parole: Parlate e agite come persone che devono essere giudicate secondo una legge di libertà, perché il giudizio sarà senza misericordia contro chi non avrà usato misericordia, la misericordia invece ha sempre la meglio nel giudizio? ( Gc 2,12-13 ) 4.4 - Il male della concupiscenza nei bambini e nei grandi La concupiscenza dunque, che risiede nelle membra del corpo di questa morte come legge del peccato, ( Rm 7,23-24 ) è in tutti i bambini fin dalla nascita. Nei bambini battezzati perde il reato e rimane per essere combattuta in avvenire; se essi muoiono prima dell'età del combattimento, non comporta per loro nessuna condanna. Nei bambini non battezzati la concupiscenza continua ad essere reato e li conduce alla condanna come figli d'ira, ( Ef 2,3 ) anche se muoiono da piccoli. Nei grandi poi che sono stati battezzati, poiché hanno l'uso di ragione, ogni consenso della mente alla concupiscenza nel peccare dipende dalla loro volontà. Distrutti tutti i peccati, sciolto anche il reato della concupiscenza che fin dall'origine li deteneva come vinti, la concupiscenza stessa rimane durante questa vita per essere combattuta, senza che possa nuocere minimamente a coloro che non le prestano ascolto in azioni illecite, fino a quando la morte non sia ingoiata per la vittoria ( 1 Cor 15,54 ) e con il sorgere della pace perfetta non esista più nulla da vincere. Quanto invece ai grandi che prestano ascolto alla concupiscenza in azioni illecite, essa costituisce in loro un reato e, se dal Sacerdote celeste che interpella per noi ( Rm 8,34; Eb 7,25 ) non vengono risanati con la medicina della penitenza e con le opere di misericordia, li conduce alla morte seconda e alla dannazione. ( Ap 2,11 ) Per questo anche il Signore insegnandoci a pregare ci esortò a dire tra l'altro: Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori e non ci portare in tentazione, ma liberaci dal male. ( Mt 6,12-13 ) Rimane infatti il male nella nostra carne, non per la natura in cui l'uomo è stato creato dalla divinità, ma per il peccato dov'è stato buttato dalla sua volontà e dove non può essere guarito dalla volontà con la stessa facilità con la quale è stato ferito, avendo perduto le sue forze. Di questo male dice l'Apostolo: So che nella mia carne non abita il bene. ( Rm 7,18 ) E comandò di non obbedire a questo male, dicendo: Non regni più dunque il peccato nel vostro corpo mortale si da sottomettervi ai suoi desideri. ( Rm 6,12 ) Perciò, se a questi desideri della concupiscenza carnale abbiamo acconsentito per illecita inclinazione della volontà, per guarire dal male che abbiamo fatto noi diciamo: Rimetti a noi i nostri debiti, ( Mt 6,12 ) usando come rimedio l'esercizio della misericordia secondo le parole che seguono: Come noi li rimettiamo ai nostri debitori. ( Mt 6,13 ) Invece per non consentire alla concupiscenza noi imploriamo l'aiuto dicendo: E non ci portare in tentazione, o come hanno alcuni codici: Non c'indurre in tentazione. Non che Dio stesso tenti qualcuno con questa tentazione della concupiscenza: Dio infatti non può essere tentato dal male e non tenta nessuno al male, ( Gc 1,13 ) ma perché, se eventualmente avessimo cominciato ad essere tentati dalla nostra concupiscenza, non siamo abbandonati dall'aiuto divino e con esso possiamo vincere, senza essere indotti e sedotti. ( Gc 1,14 ) Poi aggiungiamo quello che si compirà alla fine di tutto, quando ciò che è mortale sarà assorbito dalla vita: ( 2 Cor 5,4 ) Ma liberaci dal male. ( Mt 6,13 ) Allora infatti non esisterà più concupiscenza tale che sia da combattere e rintuzzare. Cosi dunque tutto ciò, contenuto in tre benefici, si può chiedere brevemente in questo modo: "Perdonaci le colpe alle quali siamo stati indotti dalla concupiscenza, aiutaci perché non siamo indotti dalla concupiscenza, togli da noi la concupiscenza". 5.5 - Per obbedire ai comandamenti di Dio abbiamo bisogno dell'aiuto di Dio. Egli ci dona quello che ci comanda A peccare infatti non veniamo aiutati da Dio, ma senza essere aiutati da Dio non possiamo fare quello che è giusto o adempiere in pieno la legge della giustizia. Come infatti l'occhio corporale non è aiutato dalla luce perché chiudendosi si distolga e si allontani da lei, ma per vedere viene aiutato dalla luce e non può vedere se la luce non l'aiuta, cosi Dio, che è la luce dell'uomo interiore, aiuta l'intuito della nostra mente perché operiamo alcunché di buono, non secondo la nostra giustizia, ma secondo la sua. Viceversa allontanarci da Dio dipende da noi: allora seguiamo i desideri della carne, allora acconsentiamo alla concupiscenza della carne per atti illeciti. ( Rm 8,5 ) Dio dunque ci aiuta, se convertiti a lui; ci abbandona, se convertiti ad altro. Ma ci aiuta pure perché ci convertiamo a lui: un aiuto che certamente questa luce terrena non presta agli occhi del corpo. Quando dunque ci comanda: Convertitevi a me e io mi convertirò a voi, ( Zc 1,3; Ml 3,5 ) e noi gli diciamo: Convertici, o Dio, nostro Salvatore, ( Sal 85,5 ) convertici Dio degli eserciti, ( Sal 80,8 ) che altro diciamo se non: "Dona quello che comandi"? Quando comanda: Cercate di capire, o insensati del popolo, ( Sal 94,8 ) e noi gli diciamo: Dammi l'intelligenza perché io capisca la tua legge, ( Sal 119,73 ) che altro gli diciamo se non: "Dona quello che comandi"? Quando comanda: Non andare dietro alle tue concupiscenze, ( Sir 18,30 ) e noi gli diciamo: Sappiamo che nessuno può essere continente se Dio non glielo concede, ( Sap 8,21 ) che altro diciamo se non: "Dona quello che comandi"? Quando comanda: Praticate la giustizia, ( Is 56,1 ) e noi diciamo: Ammaestrami nella tua giustizia, ( Sal 119,12 ) che altro diciamo se non: "Dona quello che comandi"? Ugualmente quando dice: Beati coloro che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati, ( Mt 5,6 ) a chi dobbiamo chiedere di sfamarci e dissetarci di giustizia se non a colui che promette la sazietà agli affamati e agli assetati di essa? 5.6 - La libertà non basta senza la preghiera. La preghiera non dispensa dall'esercizio del potere della nostra libertà Allontaniamo dunque dai nostri orecchi e dalle nostre menti quanti dicono che noi, una volta ricevuto l'arbitrio della volontà, non dobbiamo affatto pregare che Dio ci aiuti a non peccare. Da tali tenebre non era accecato neppure quel fariseo della parabola, il quale, sebbene errasse nel credere di non aver più nulla da aggiungere alla sua giustizia e nel pensare di possederne la pienezza, tuttavia rendeva grazie a Dio di non essere come tutti gli altri uomini ingiusti, ladri, adulteri; di non essere come quel pubblicano, di digiunare due volte alla settimana, di dare le decime di quanto possedeva. Niente più ormai chiedeva che si aggiungesse alla sua giustizia; tuttavia, ringraziando Dio delle virtù che aveva, riconosceva d'averle ricevute tutte da Dio. Ciò non ostante, fu rimproverato sia perché non domandava di ricevere più nulla del cibo della giustizia, come se ne fosse già sazio, sia perché si andava gongolando quasi in modo offensivo d'essere superiore al pubblicano che ne aveva fame e sete. ( Lc 18,10-14 ) Che avverrà dunque a coloro che, sebbene confessino di non aver la giustizia o di non averla piena, tuttavia presumono di doverla avere da se stessi e non di doverla impetrare dal loro Creatore, nel quale se ne trova la pienezza e la sorgente? Non dobbiamo però affrontare tale necessità soltanto con le preghiere ma impegnamoci anche a viver bene con l'efficacia della nostra volontà. Si dice infatti che Dio è nostro aiuto, ( Sal 62,9 ) e non può essere aiutato se non chi si prova a fare qualcosa anche da sé. Dio infatti non opera in noi la nostra salvezza come se fossimo delle pietre insensibili o dei viventi alla cui natura egli non abbia dato la ragione e la volontà. Quanto poi al perché Dio aiuti questo e non aiuti quello, aiuti tanto uno e non cosi tanto un altro, aiuti chi in un modo e chi in modo diverso, dipende sia dalla natura della sua giustizia tanto arcana, sia dall'eccellenza del suo potere. 6.7 - L'uomo, aiutato da Dio, può vivere questa vita terrena senza peccato In verità a quanti dicono che in questa vita l'uomo può essere senza peccato non bisogna opporsi subito con incauta ostinatezza. A negare infatti tale possibilità si deroga e al libero arbitrio dell'uomo che con la sua volontà aspira a tale risultato e alla potente misericordia di Dio che lo aiuta a realizzarlo. Ma la prima questione è se quest'uomo possa esistere, la seconda se esista, la terza per quale ragione non esista, se non esiste, mentre potrebbe esistere; la quarta se qualcuno che non abbia mai avuto nessun peccato non solo esista, ma anche possa essere esistito in passato o possa esistere in futuro. Riguardo la prima delle quattro questioni, cioè sulla possibilità che l'uomo in questa vita sia senza peccato, confesserò che può esserlo con la grazia di Dio e con il suo libero arbitrio. Non esiterò ad affermare che anche il libero arbitrio appartiene alla grazia di Dio, cioè ai doni di Dio, e non solo perché sia, ma pure perché sia buono, cioè si converta ad osservare i comandamenti del Signore, e in tal modo la grazia di Dio non solo indichi cosa si deve fare, ma aiuti altresì a poter fare quanto ha indicato. Che cosa possediamo infatti senza averlo ricevuto? Tanto che anche Geremia dice: Lo so, Signore, che l'uomo non è padrone della sua via e che non è in potere di chi cammina il dirigere i suoi passi. ( Ger 10,23 ) Perciò il salmista, dopo aver notato rivolgendosi a Dio: Tu hai dato i tuoi precetti, perché siano osservati fedelmente, ( Sal 119,4 ) non presume di sé, ma si augura di poterli osservare con l'aiuto della preghiera: Siano diritte le mie vie nel custodire i tuoi decreti. Allora non dovrò arrossire, se avrò obbedito ai tuoi comandi. ( Sal 119,5-6 ) Ma chi attende da altri ciò che è talmente in suo potere da non aver bisogno di nessun aiuto per farlo? Da chi poi il salmista lo attenda, perché non l'attende dalla fortuna o dal fato o da chiunque altro all'infuori di Dio, lo spiega sufficientemente nei versetti seguenti: Rendi saldi i miei passi secondo la tua parola e su di me non prevalga il male. ( Sal 119,133 ) Dalla schiavitù di questa esecranda dominazione del male sono liberati coloro ai quali il Signore Gesù, perché l'hanno accolto, ha dato il potere di diventare figli di Dio. ( Gv 1,12 ) Da quest'orrenda dominazione avrebbero dovuto essere liberati coloro a cui Gesù diceva: Se il Figlio vi farà liberi, allora sarete liberi davvero. ( Gv 8,36 ) Per queste e altre simili testimonianze senza numero non posso aver dubbi: né Dio ha comandato all'uomo alcunché d'impossibile, né qualche impossibilità impedisce a Dio di soccorrere e aiutare l'uomo perché avvenga quello che comanda. L'uomo dunque, se vuole, può con l'aiuto di Dio essere senza peccato. 7.8 - La sacra Scrittura attesta che di fatto nessuno vive questa vita terrena senza alcun peccato Quanto invece alla seconda questione se esista un uomo senza peccato, io credo che non esista. Credo infatti piuttosto alla Scrittura che dice: Non chiamare in giudizio il tuo servo: nessun vivente davanti a te è giusto. ( Sal 143,2 ) Perciò c'è bisogno della misericordia di Dio che ha la meglio nel giudizio, ed essa non ci sarà per chi non fa misericordia. ( Gc 2,13 ) E dichiarando il Profeta: Ho detto: Confesserò contro di me le mie colpe al Signore e tu hai rimesso la malizia del mio cuore; ( Sal 32,5 ) soggiunge subito: Per questo ti prega ogni santo nel tempo dell'angoscia. ( Sal 32,6 ) Non dunque ogni peccatore, ma ogni santo. È infatti voce di santi questa: Se diciamo che siamo senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi. ( 1 Gv 1,8 ) Nell'Apocalisse del medesimo Apostolo quei centoquarantaquattromila santi, che non si sono contaminati con donne, sono infatti vergini, e non fu trovata menzogna sulla loro bocca, giacché sono irreprensibili, ( Ap 14,4-5 ) in tanto sono irreprensibili in quanto hanno ripreso sinceramente se stessi, e in tanto sulla loro bocca non fu trovata menzogna in quanto, se dicessero di essere senza peccato, ingannerebbero se stessi e non ci sarebbe in essi la verità, e conseguentemente ci sarebbe la menzogna dove non fosse la verità, perché certo non mentisce il giusto quando incominciando a parlare accusa se stesso. ( Pr 18,17 ) 7.9 - La perfezione umana non si acquisisce in un istante, ma gradualmente Riguardo a quello che è scritto: Chiunque è nato da Dio non commette peccato e non può commetterlo, perché un germe divino dimora in lui, ( 1 Gv 3,9 ) e riguardo ad altre espressioni del medesimo tenore, costoro s'ingannano molto, considerando le Scritture con poca attenzione. Non avvertono infatti che tutti diventano figli di Dio da quando cominciano a vivere nella novità dello spirito e a trasformarsi nel loro intimo secondo l'immagine del loro Creatore. ( Rm 7,6; 2 Cor 4,16; Col 3,10 ) Il battesimo infatti non segna nell'uomo il crollo immediato di ogni sua antecedente debilità, ma il rinnovamento comincia con la remissione dei peccati e con quella misura di sapienza spirituale che possiede ciascuno che ha già l'uso di ragione. Tutte le altre mete si raggiungono per ora nella speranza in attesa che si raggiungano pure nella realtà, fino al rinnovamento dello stesso corpo nello stato migliore dell'immortalità e incorruttibilità, di cui ci rivestiremo nella risurrezione dei morti. Il Signore infatti chiama rigenerazione anche la risurrezione, una rigenerazione che, distinta dalla rigenerazione del battesimo, sarà tale da portare a termine pure nel corpo quanto si inizia adesso nello spirito, dicendo: Nella rigenerazione, quando il Figlio dell'uomo sarà seduto sul trono della sua gloria, siederete anche voi su dodici troni a giudicare le dodici tribù d'Israele. ( Mt 19,28 ) Infatti nel battesimo, oltre alla totale e piena remissione dei peccati, non avviene immediatamente anche il passaggio totale e pieno dell'uomo alla novità eterna. E ciò è vero non solo per il corpo che evidentemente continua a tendere ancora all'antica corruzione e alla morte e che dovrà essere rinnovato poi alla fine quando ci sarà veramente la novità totale, ma anche per la stessa anima che è l'uomo interiore. Se si verificasse con il battesimo la novità perfetta, l'Apostolo non affermerebbe: Se anche il nostro uomo esteriore si va disfacendo quello interiore si rinnova di giorno in giorno. ( 2 Cor 4,16 ) Certamente chi continua a rinnovarsi di giorno in giorno, non si è ancora rinnovato tutto e nella misura in cui non si è ancora rinnovato continua a rimanere nel vecchio stato di prima. Quindi per la parte per cui sono ancora nel vecchio stato di prima, per essa, benché già battezzati, gli uomini continuano a rimanere anche figli del secolo. Sono invece figli di Dio per la parte per cui sono nel nuovo stato, ossia per la remissione piena e perfetta dei peccati, per la loro sapienza spirituale, pur piccola che sia, e per la loro condotta coerente con essa. ( Lc 20,34 ) Interiormente infatti ci siamo spogliati dell'uomo vecchio e rivestiti del nuovo, perché interiormente abbiamo deposto la menzogna e diciamo la verità, con tutte le altre cose descritte dall'Apostolo per spiegare che cos'è spogliarsi dell'uomo vecchio e rivestirsi dell'uomo nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e nella santità vera. ( Ef 4,24 ) E a fare questo esorta persone già battezzate e credenti, che non avrebbero avuto bisogno d'esservi esortate, se fossero state rese perfette nel battesimo: e nondimeno nel battesimo abbiamo ottenuto d'essere salvati. Infatti, ci ha salvato mediante un lavacro di rigenerazione. ( Tt 3,5 ) Ma altrove dice in che modo è stata fatta la nostra salvezza: Non soltanto il creato, ma anche noi che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo, interiormente aspettando l'adozione a figli, la redenzione del nostro corpo. Poiché nella speranza noi siamo stati salvati. Ora, ciò che si spera, se visto, non è più speranza; infatti ciò che uno già vede, come potrebbe ancora sperarlo? Ma se speriamo quello che non vediamo, lo attendiamo con perseveranza. ( Rm 8,23-25 ) 8.10 - Siamo santi e peccatori contemporaneamente qui sulla terra, in attesa che si realizzi totalmente la nostra redenzione L'adozione a figli diventerà piena con la redenzione anche del nostro corpo. Per adesso abbiamo le primizie dello Spirito e sotto quest'aspetto siamo già stati fatti figli di Dio nella realtà, ma tutti gli altri beni li abbiamo nella speranza: cosi salvi, cosi rinnovati, cosi pure figli di Dio; nella realtà invece, poiché non ancora salvi, per questo non ancora pienamente rinnovati, per questo non ancora nemmeno pienamente figli di Dio, ma anche figli del secolo. In virtù dunque di quello che ci rende figli di Dio, e sotto questo aspetto non possiamo assolutamente peccare, noi progrediamo nel rinnovamento e nella giustizia della vita, in attesa che si trasformi nella nostra realtà di figli di Dio anche tutto ciò che ci fa essere ancora figli del secolo: sotto questo aspetto infatti noi possiamo peccare ancora. ( Rm 9,8; Lc 20,34 ) Cosi è vero che non pecca chi è nato da Dio, ma è anche vero che inganneremmo noi stessi e la verità non sarebbe in noi se ci dicessimo senza peccato. ( 1 Gv 1,8; 1 Gv 3,9 ) Andrà dunque scomparendo ciò che ci fa figli della carne e figli del secolo e diventerà perfetto ciò che ci ha fatto figli di Dio e ci ha rinnovato nello spirito. ( Gv 3,5 ) In tal senso scrive il medesimo Giovanni: Carissimi, noi fin d'ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. ( 1 Gv 3,2 ) Che significano questi siamo e saremo se non ciò che siamo nella speranza e saremo nella realtà? Seguita infatti e dice: Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo cosi come egli è. Adesso dunque per un verso abbiamo già cominciato ad essere simili a lui possedendo le primizie dello Spirito e per un altro verso siamo ancora dissimili da lui a causa degli strascichi del vecchio stato di prima. Perciò in quanto simili in tanto figli di Dio per lo Spirito che rigenera, in quanto invece dissimili in tanto figli della carne e figli del secolo. Sotto il primo aspetto non possiamo peccare, sotto il secondo inganneremmo noi stessi a dire che siamo senza peccato, ( 1 Gv 1,8 ) in attesa che tutto passi nello stato di adozione e non esista più il peccatore: Cerchi il suo posto e non lo trovi più. ( Sal 37,10 ) 9.11 - Un giusto non genera un giusto, perché la giustizia è un fatto dello spirito, la generazione è un fatto della carne Vana perciò è anche l'argomentazione di taluni che dicono: Se un peccatore genera un peccatore, cosicché al suo bambino debba poi cancellarsi il reato del peccato originale nella reazione del battesimo, anche un giusto deve generare un giusto. Come se chi genera generi carnalmente per quello che lo rende giusto e non piuttosto per quello che nelle sue membra circola concupiscenzialmente: e cosi la legge del peccato viene volta dalla legge della mente al fine della propagazione. ( Rm 7,23 ) Genera invece per quanto ancora di vecchio egli eredita tra i figli del secolo e non per quanto lo promuove alla novità tra i figli di Dio. Infatti i figli di questo secolo generano e sono generati. ( Lc 20,34 ) Anche chi nasce cosi è figlio del secolo, perché quello che nasce dalla carne è carne. ( Gv 3,6 ) Giusti invece non sono se non i figli di Dio. Ma non è che generano carnalmente in quanto figli di Dio, perché essi stessi sono nati dallo Spirito e non dalla carne. In tanto poi generano carnalmente quelli di essi che generano in quanto non hanno ancora trasformato nella novità perfetta tutti gli strascichi del vecchio stato di prima. Conseguentemente ogni figlio che nasce da questa parte vecchia e inferma è per forza esso stesso vecchio e infermo e quindi bisognoso che anch'egli per mezzo della remissione del peccato sia rinnovato spiritualmente ad altra generazione. Se ciò non avviene in lui, non gli gioverà per nulla un padre giusto, perché il padre è giusto nello spirito con il quale non l'ha generato. Se viceversa avviene, non gli nuocerà per nulla nemmeno un padre ingiusto, perché il figlio con la grazia spirituale ha fatto il passaggio alla speranza della novità eterna, mentre il padre con la mente carnale è rimasto totalmente nel vecchio stato di prima. 10.12 - Hanno peccato anche i santi più elogiati dalla sacra Scrittura: Noè Perciò il testo: Chiunque è nato da Dio non commette peccato ( 1 Gv 3,9 ) non si trova in contraddizione con l'altro in cui quanti sono già nati da Dio vengono avvertiti: Se diciamo che siamo senza peccato inganniamo noi stessi e la verità non è in noi. ( 1 Gv 1,8 ) Infatti fin quando l'uomo, benché già tutto rinnovato secondo la speranza e già parzialmente rinnovato secondo la realtà per la rigenerazione spirituale, continua tuttavia a portare ancora un corpo che si corrompe e appesantisce l'anima, ( Sap 9,15 ) dobbiamo puntualizzare nello stesso individuo ciò per cui è senza peccato e ciò per cui si dice che è peccatore. In proposito credo che la Scrittura di Dio non renda a nessun altro una testimonianza di giustizia tanto grande come ai tre servi di Dio Noè, Daniele e Giobbe, che il profeta Ezechiele commemora come gli unici meritevoli di scampare di mezzo ad un eventuale castigo di Dio. ( Ez 14,14 ) Raffigura in quei tre personaggi tre categorie di persone che si salveranno: in Noè penso i giusti che sono capi del popolo di Dio, atteso il governo che egli ebbe dell'arca, simbolo della Chiesa; in Daniele, i giusti continenti; in Giobbe, i giusti coniugati. Potrebbe essere diversa l'interpretazione e non è necessario discuterne in questo momento. Comunque, quanta sia stata la loro preminenza nella giustizia appare sufficientemente da questa testimonianza del profeta e da altre testimonianze divine. ( Gen 6,9; Sir 44,17; 2 Pt 2,5; Dn 6,22; Gb 1,8 ) Ma nessuna persona sobria venga per questo a dire che non è peccato ubriacarsi. Eppure capitò ad un uomo cosi grande: Noè infatti, come leggiamo, una volta si ubriacò, sebbene fosse ben lontano dall'essere un ubriacone. ( Gen 9,21 ) 10.13 - Daniele Quanto a Daniele, dopo una supplica rivolta a Dio, dice di se stesso: Mentre pregavo e confessavo al Signore Dio i peccati miei e i peccati del mio popolo. ( Dn 9,20 ) Per questo, se non sbaglio, il già ricordato Ezechiele dice ad un uomo molto superbo: Sei forse più sapiente di Daniele? ( Ez 28,3 ) E qui non è possibile ripetere l'argomentazione che fanno contro l'orazione domenicale taluni di costoro: Gli Apostoli, sebbene la usassero, tuttavia, essendo già santi e perfetti e non avendo assolutamente nessun peccato, non dicevano: "Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori" ( Mt 6,12 ) per se stessi, ma per i cristiani ancora imperfetti e ancora peccatori. Dicendo "nostri" intendevano significare che coesistevano in un solo corpo sia gli altri che avevano ancora dei peccati, sia essi stessi che ne erano già puri sotto ogni aspetto. Di Daniele certo non si può dire questo. Egli prevedendo, come credo, nella sua qualità di profeta che ci sarebbe stata in seguito una simile presunzione, dopo aver detto più volte nell'orazione: Abbiamo peccato, non spiega queste sue parole riferendole al popolo: Mentre pregavo e confessavo al Signore mio Dio i peccati del mio popolo. ( Dn 9,20 ) E nemmeno dice senza ben distinguere e lasciando incerto se parlasse in riferimento ad un unico corpo sociale: "Mentre confessavo al Signore mio Dio i nostri peccati". Ma con tutta la distinzione, quasi preoccupato proprio di essa; e sottolineandola al massimo, dice: I peccati miei e i peccati del mio popolo. Chi si oppone a questa evidenza all'infuori di chi ha più piacere nel difendere la sentenza che sostiene che nel cercare di trovare la sentenza che deve sostenere? 10.14 - Giobbe Ma vediamo che cosa Giobbe dice di sé, dopo tanta testimonianza di giustizia che Dio gli ha reso. Dice: Lo so in verità che è cosi. Ma quando mai l'uomo sarà trovato giusto dinanzi al Signore? Se l'uomo volesse discutere con lui, non potrebbe obbedirgli. ( Gb 9,2-3 ) E poco dopo: Chi mai potrà opporsi al suo giudizio? Anche se avessi ragione, la mia bocca stessa parlerebbe male. ( Gb 9,19 ) Ancora più sotto: So che non mi riterrà innocente. Se dunque sono empio, perché non sono morto? Quand'anche mi lavassi con la neve e le mie mani luccicassero di candore, tu mi tufferesti a forza nel fango. ( Gb 9, 20.28-31 ) Ugualmente in un altro suo discorso: Tu hai dato di me giudizi amari, mi hai addossato i peccati della mia giovinezza, metti i miei piedi nei ceppi, spii tutte le mie azioni e segui i movimenti dei miei piedi, mentre vado invecchiando come un otre e un abito roso dalle tignole. L'uomo nato da donna ha vita breve e piena d'ira. Come fiore sboccia e si reclina, come ombra passa e non rimane. E un tale essere farai comparire al tuo giudizio? Chi sarà puro da immondezze? Nessuno, nemmeno se di un solo giorno fosse la sua vita. ( Gb 13, 26-14,5 ) E poco dopo dice: Tu hai contato tutte le mie necessità e nulla ti è rimasto nascosto dei miei peccati. Hai sigillato in un sacco le mie colpe e hai notato se qualcosa ho commesso a malincuore. ( Gb 14,16-17 ) Ecco, anche Giobbe confessa i suoi peccati e dice di sapere in verità che nessuno è giusto davanti al Signore. Giobbe dice di saperlo in verità, per cui se noi dicessimo d'essere senza peccato, la verità stessa non sarebbe in noi. ( 1 Gv 1,8 ) Secondo dunque il modulo della condotta umana Dio gli rende tanta testimonianza di giustizia, ma egli misurandosi su quella regola di giustizia che vede, come può, presso Dio, sa in verità che è cosi come ha detto. E aggiunge: Ma quando mai l'uomo sarà trovato giusto dinanzi al Signore? Se l'uomo volesse discutere con lui, non potrebbe obbedirgli; ( Gb 9,2-3 ) cioè: "se in giudizio volesse dimostrare che non si può trovare in lui nulla da condannare, non potrebbe obbedirgli", in quanto perderebbe anche quella obbedienza che consiste nell'obbedire a chi comanda di riconoscere i propri peccati. Perciò il Signore rimprovera certuni dicendo: Perché volete discutere con me? ( Ger 2,29 ) E il salmista prevenendo tale rimprovero dice: Non chiamare in giudizio il tuo servo: nessun vivente davanti a te è giusto. ( Sal 143,2 ) E lo stesso Giobbe dice: Chi mai potrà opporsi al suo giudizio? Anche se avessi ragione, la mia bocca parlerebbe male. ( Gb 9,19-20 ) Cioè: "Se mi dicessi giusto contro il suo giudizio, dove quella perfetta regola di giustizia mi convince d'ingiustizia, certo parlerebbe male la mia bocca, perché parlerebbe contro la verità di Dio". 10.15 - Anche Giobbe si sentiva come uomo " figlio dell'ira " Per mostrare anche la stessa fragilità umana o meglio la condanna della generazione carnale derivata dalla trasgressione del peccato originale, parlando dei propri peccati, quasi ne volesse indicare la causa, dice che l'uomo nato da donna ha vita breve e piena d'ira. ( Gb 14,1 ) Di quale ira se non di quella di cui tutti gli uomini, come si esprime l'Apostolo, sono figli per natura, ( Ef 2,3 ) ossia originalmente, essendo figli della concupiscenza della carne e figli del secolo? A tale ira fa appartenere logicamente anche la morte dell'uomo. Dopo aver detto infatti: Ha vita breve e piena d'ira, aggiunge pure: Come fiore sboccia e si reclina, come ombra passa e non rimane. Quello che poi aggiunge: E un tale essere farai comparire al tuo giudizio? Chi sarà puro da immondezze? Nessuno, nemmeno se di un solo giorno fosse la sua vita ( Gb 14,1-5 ) significa: "Un uomo di breve durata hai fatto comparire al tuo giudizio. Infatti, per quanto fuggevole sia stata la sua esistenza, fosse anche di un giorno soltanto, non potrebbe essere puro da immondezze e perciò giustamente comparirà al tuo giudizio". Inoltre le parole: Tu hai contato tutte le mie necessità e nulla ti è rimasto nascosto dei miei peccati. Hai sigillato in un sacco le mie colpe e hai notato se qualcosa ho commesso a malincuore, ( Gb 14,16-17 ) non bastano a dimostrare che vengono giustamente imputati anche quei peccati che si commettono, non per allettamento di un piacere, ma per allontanamento di una molestia o di un dolore o della morte? Anche di questi si dice infatti che si commettono per una certa necessità, mentre tutte le necessità dovrebbero superarsi per amore e piacere di giustizia. Quello pure che dice: Hai notato se qualcosa ho commesso a malincuore ( Gb 14,17 ) può sembrare corrispondente alla dichiarazione di Paolo: Non quello che voglio io faccio, ma quello che detesto. ( Rm 7,15 ) 10.16 - Rispetto alla giustizia di Gesù Cristo, Giobbe accusava se stesso C'è di più. Perché mai lo stesso Signore che gli aveva reso testimonianza, dicendo anche la Scrittura, cioè lo Spirito di Dio: In tutte le disgrazie che gli accaddero, Giobbe non peccò con le sue labbra dinanzi al Signore, ( Gb 1,22 ) dopo tuttavia gli parla in tono di rimprovero, come afferma lo stesso Giobbe nel seguente passo: Perché continuo ad essere sottoposto a giudizio, ammonito e rimproverato dal Signore? ( Gb 39,34 ) Ora, nessuno viene giustamente rimproverato, se non c'è in lui qualcosa che sia degno di rimprovero. 11 - E qual è il tenore del rimprovero che si spiega per riferimento alla persona del Cristo Signore? Gli conta le opere della sua potenza, rimproverandolo in un modo che sembra mettergli in bocca questa sentenza: Puoi tu forse queste grandi opere che posso io? A quale scopo? Lo scopo è semplicemente che Giobbe comprenda. A lui fu fatta conoscere per ispirazione divina anche la futura passione del Cristo. Comprenda perciò con quanta pazienza deve sopportare le sue disgrazie, se pure il Cristo, che si è fatto uomo ( Gv 8, 46ss ) per noi e che fu assolutamente senza peccato e come Dio ha tanta potenza, non ricusò tuttavia l'obbedienza della passione. Ciò intendendo Giobbe con una più chiara intuizione del cuore, aggiunge alla sua risposta: Prima sapevo di te per sentito dire, ma ora i miei occhi ti vedono. Perciò mi accuso, mi condanno, mi stimo terra e cenere. ( Gb 42,5-6 ) Per quale motivo in tanta intuizione Giobbe dispiaceva cosi tanto a se stesso? Non gli poteva giustamente dispiacere l'opera di Dio per cui era uomo, se a Dio stesso si dice: Non disprezzare le opere delle tue mani. ( Sal 138,8 ) Ma certamente, in riferimento a quella giustizia per cui aveva coscienza d'essere giusto, si accusò, si condannò, si stimò cenere e terra, perché con la mente contemplò la giustizia del Cristo nel quale non poté trovarsi alcun peccato, non solo quanto alla sua divinità, ma nemmeno quanto alla sua anima e al suo corpo. Secondo questa medesima giustizia che viene da Dio anche l'apostolo Paolo stimò non solo danno, ma perfino sterco, quanto in lui era ineccepibile secondo la giustizia che viene dalla legge. ( Fil 3,6-8 ) 12.17 - Comparativamente agli altri uomini Giobbe era perfetto, ma non lo era in senso assoluto La bella testimonianza di Dio a lode di Giobbe non è contraria al testo che dice: Nessun vivente davanti a te è giusto. ( Sal 143,2 ) Non prova l'assenza in lui di qualsiasi colpa, che egli stesso dovesse riprendere umilmente o il Signore Dio giustamente, sebbene senza falsità venisse già dichiarato giusto, sincero adoratore di Dio e alieno da ogni cattiva azione. Ecco infatti quali parole Dio dice di lui: Hai posto attenzione al mio servo Giobbe? Nessuno è come lui sulla terra: irreprensibile, giusto, ben timorato di Dio, alieno da ogni opera malvagia. ( Gb 1,8 ) Con le prime parole viene lodato in raffronto agli uomini della terra. Eccelleva dunque su tutti i giusti che potevano vivere allora in terra. Non era dunque immune da ogni peccato per il fatto di superare tutti gli altri nel progresso della giustizia. Poi vengono le altre parole: irreprensibile, perché nessuno si sarebbe lamentato giustamente della sua vita; giusto, perché aveva progredito tanto nell'integrità morale che nessuno gli stava alla pari; ben timorato di Dio, perché anche sincero e umile accusatore dei propri peccati; alieno da ogni opera malvagia: cosa meravigliosa, se perfino da ogni parola e da ogni pensiero riprovevole. Quanto fosse grande Giobbe non lo sappiamo, ma lo sappiamo giusto, lo sappiamo anche fortissimo nel sopportare le orrende prove delle sue tribolazioni, sappiamo che ebbe a soffrire tutto non per i suoi peccati, ma perché si mostrasse la sua giustizia. In ogni modo le parole con le quali fu lodato da Dio andrebbero bene anche per chi secondo l'uomo interiore acconsente con piacere alla legge di Dio, ( Rm 7,22-23 ) ma sente nelle sue membra un'altra legge in contrasto con la legge della sua mente, specialmente quando dichiara: Io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio. Ora, se faccio il male che non voglio, non sono più io a farlo, ma il peccato che abita in me. ( Rm 7,19-20 ) Ecco, anche questi secondo l'uomo interiore è alieno da ogni opera malvagia, perché a compierla non è lui, ma il male che abita nella sua carne. Tuttavia, poiché la stessa compiacenza che prova per la legge di Dio non l'ha se non dalla grazia di Dio, sentendosi ancora bisognoso di liberazione esclama: Io sono uno sventurato! Chi mi libererà dal corpo di questa morte? La grazia di Dio per Gesù Cristo nostro Signore. ( Rm 7,24-25 ) 13.18 - La perfezione umana è per adesso sempre imperfetta Esistono dunque sulla terra uomini giusti, grandi, forti, prudenti, continenti, pazienti, pii, misericordiosi, capaci di sopportare con calma per la giustizia tutti i mali temporali. Ma se è vero, anzi perché è vero, che, se diciamo che siamo senza peccato, inganniamo noi stessi, ( 1 Gv 1,8 ) e che nessun vivente davanti a te è giusto, ( Sal 143,2 ) costoro non sono senza peccato e nessuno di essi vaneggiò tanto per superbia da credere di non aver bisogno dell'orazione domenicale per i suoi peccati, quali che siano. 13.19 - Nemmeno il sacerdote Zaccaria aveva la santità sacerdotale di Gesù Cristo Per esempio, di Zaccaria ed Elisabetta, che ci vengono spesso obiettati nelle discussioni riguardanti la presente questione, che cosa potremo dire se non quello che attesta con evidenza la Scrittura: Zaccaria era di un'eminente giustizia tra i sommi sacerdoti incaricati di offrire i sacrifici del Vecchio Testamento? Ora, leggiamo nella lettera che ha per titolo Agli Ebrei un testo da me già riportato nel libro precedente, cioè che soltanto il Cristo, a differenza di quelli che si chiamavano principi dei sacerdoti, è un principe dei sacerdoti ( Eb 6,20 ) che non ha bisogno d'offrire quotidianamente il sacrificio per i propri peccati prima d'offrire sacrifici per gli altri. Dice quella lettera: Tale era infatti il sommo sacerdote che ci occorreva: santo, innocente, senza macchia, separato dai peccatori ed elevato sopra i cieli; egli non ha bisogno ogni giorno come gli altri sommi sacerdoti di offrire sacrifici prima per i propri peccati. ( Eb 7,26-27 ) Nel numero di questi sacerdoti c'erano Zaccaria e Finees e lo stesso Aronne, dal quale l'ordine sacerdotale ebbe origine, e quanti altri vissero lodevolmente e santamente in quel sacerdozio. Tutti costoro però si sono trovati nella necessità d'offrire prima il sacrificio per i propri peccati, perché solo il Cristo, del cui futuro avvento erano immagini, fu l'unico sacerdote incontaminabile a non avere tale necessità. ( Eb 5,1-3 ) 13.20 - Zaccaria ed Elisabetta non erano più perfetti di S. Paolo che confessa l'imperfezione della propria perfezione Ma poi di Zaccaria e di Elisabetta quali lodi si fanno che non siano comprese in quello che l'Apostolo dichiarava di sé, quando non credeva ancora nel Cristo? Dice infatti d'essere stato irreprensibile quanto alla giustizia che deriva dall'osservanza della legge. ( Fil 3,6 ) La stessa cosa, si legge di Zaccaria e di Elisabetta: Ambedue erano giusti davanti a Dio, osservavano irreprensibili tutte le leggi e le prescrizioni del Signore. ( Lc 1,6 ) Poiché dunque tutto ciò che di giusto c'era in loro non era una simulazione davanti agli uomini, intenzionalmente si dice: Davanti a Dio. Ciò che poi viene detto di Zaccaria e della sua moglie con le parole: Tutte le leggi e le prescrizioni del Signore, Paolo lo dice brevemente con l'espressione: Osservanza della legge. Non vigeva infatti una legge per lui e un'altra per loro prima del Vangelo, ma una sola e medesima legge che fu data ai loro padri per mezzo di Mosè, secondo la quale era sacerdote anche Zaccaria e offriva i sacrifici quando gli toccava il turno. Tuttavia l'Apostolo, che, era in possesso allora di una simile giustizia, continua dicendo: Quello che poteva essere per me un guadagno, l'ho considerato una perdita a motivo del Cristo. Anzi tutto ormai io reputo una perdita di fronte alla sublimità della conoscenza del Signore nostro Gesù Cristo, per il quale tutto ho reputato non solo danno, ma sterco al fine di guadagnare il Cristo e di essere trovato in lui, non con una mia giustizia derivante dalla legge, ma con quella che deriva dalla fede nel Cristo, cioè con la giustizia che deriva da Dio, basata sulla fede. E questo perché io possa conoscere lui, la potenza della sua risurrezione, la partecipazione alle sue sofferenze, diventandogli conforme nella morte, con la speranza di giungere alla risurrezione dei morti. ( Fil 3, 7-11 ) Quelle parole dunque sono tanto lontane dal farci credere che Zaccaria ed Elisabetta avessero una giustizia perfetta senza nessun peccato, che dalla sommità della medesima regola non stimiamo perfetto nemmeno lo stesso Apostolo, non solo in quella giustizia della legge che aveva uguale alla loro e che a confronto dell'eminentissima giustizia derivante dalla fede nel Cristo reputava danno e sterco, ma anche nel Vangelo stesso, dove meritò pure il primato di tanto apostolato. Non oserei dirlo, se ritenessi sacrilego non credergli. Infatti nel medesimo passo soggiunge: Non però che io abbia già conquistato il premio o sia ormai arrivato alla perfezione; solo mi sforzo di correre per conquistarlo, perché anch'io sono stato conquistato da Gesù Cristo. Fratelli, io non ritengo ancora d'esservi giunto, questo soltanto so: dimentico del passato e proteso verso il futuro corro verso la meta per arrivare al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, nel Cristo Gesù. ( Fil 3,12-14 ) Egli stesso confessa di non aver ancora raggiunto il traguardo, di non essere ancora perfetto nella pienezza di giustizia che amava d'acquistare nel Cristo, ma di perseguirla con ardore e di tendere verso le cose future dimenticando quelle passate, perché sapessimo che riguardava anche lui ciò che ha scritto: Se anche il nostro uomo esteriore si va disfacendo, quello interiore si rinnova di giorno in giorno. ( 2 Cor 4,16 ) Sebbene fosse già un camminatore perfetto, non era però ancora perfetto della perfezione di chi è arrivato al termine dello stesso cammino. E inoltre vuol trascinare con sé come concorrenti nella stessa corsa quelli a cui soggiunge: Quanti dunque siamo perfetti dobbiamo avere questi sentimenti; se in qualche cosa pensate diversamente, Dio vi illuminerà anche su questo. Intanto, dal punto a cui siamo arrivati continuiamo ad avanzare sulla stessa linea. ( Fil 3,15-16 ) Questo cammino non si compie con i nostri piedi corporali, ma con gli affetti della nostra mente e con la condotta morale della vita, di modo che possono essere perfetti possessori della giustizia coloro che progredendo di giorno in giorno col rinnovamento di sé sul retto cammino della fede sono già diventati camminatori perfetti sulla via della medesima giustizia. ( 2 Cor 4,16 ) 14.21 - Nessuno è in questa terra senza un qualche peccato Cosi dunque sia tutti coloro che in questa vita sono stati elogiati dalle Scritture divine per buona volontà e opere di giustizia, sia tutti gli altri simili a loro, che sono vissuti dopo e non sono celebrati ed esaltati dalle medesime testimonianze, o vivono anche adesso o vivranno in futuro, tutti sono grandi, tutti giusti, tutti veramente lodevoli. Ma nessuno è senza un qualche peccato, perché in forza delle testimonianze delle Scritture ( Sal 143,2 ) per le quali crediamo ai loro elogi crediamo altresi che nessun vivente è giusto al cospetto di Dio, crediamo che Dio perciò viene supplicato perché non chiami in giudizio i suoi servi e crediamo che l'orazione del Signore da lui insegnata ai suoi discepoli è necessaria a tutti i fedeli, non solo collettivamente, ma anche singolarmente. 15.22 - La perfezione assoluta non va confusa con la perfezione relativa Ma infatti il Signore comanda: "Siate perfetti com'è perfetto il Padre vostro celeste", ( Mt 5,48 ) e non lo comanderebbe, dicono, se sapesse che è impossibile ciò che comanda. Adesso non si cerca se tale perfezione sia possibile, intendendola nel senso che si trascorra questa vita senza alcun peccato. Abbiamo già risposto sopra che è possibile. Ma la questione presente è di sapere se qualcuno realizzi tale perfezione. Ora, che nessuno esista che impegni la propria volontà nella perfezione tanto quanto essa esige fu già previsto da Dio antecedentemente, come dichiarano le testimonianze cosi importanti delle Scritture, da me riferite addietro. Tuttavia, quando si parla della perfezione di chicchessia, bisogna vedere sotto quale aspetto se ne parla. Ho citato per esempio poco fa un testo dell'Apostolo, dove egli riconosce di non essere ancora perfetto nell'acquisizione della giustizia da lui desiderata, e tuttavia dice subito di seguito: Quanti dunque siamo perfetti, dobbiamo avere questi sentimenti. ( Fil 3, 12.15 ) Non farebbe le due dichiarazioni insieme, se non fosse perfetto per un verso e imperfetto per l'altro. Ammettiamo che uno sia già uditore perfetto della sapienza. Non lo erano coloro al quali Paolo scriveva: Vi ho dato da bere latte, non un nutrimento solido, perché non ne eravate capaci. E neanche ora lo siete. ( 1 Cor 3,2 ) Ad essi dice appunto anche questo: Tra i perfetti parliamo, si, di sapienza, ( 1 Cor 2,6 ) volendo certamente intendere i perfetti uditori della sapienza. Uno dunque, dicevo, può essere uditore perfetto della sapienza e non ancora dottore perfetto, può essere conoscitore perfetto della giustizia e non ancora esecutore perfetto, può essere perfetto nell'amare i nemici e non ancora perfetto nel sopportare i nemici. E se uno è perfetto perché ama tutti gli uomini, essendo arrivato appunto all'amore anche dei nemici, ci si domanda se sia già perfetto proprio nell'amore, cioè se coloro che ama li ami tanto quanto prescrive di amarli l'immutabile regola della verità. Quando dunque si legge nelle Scritture della perfezione d'una persona, bisogna saper intuire senza negligenza sotto quale aspetto si parla di perfezione. Non s'intende dichiarare che uno è assolutamente senza peccato per il fatto che si dice perfetto in qualche dote. Si può inoltre parlare di perfezione in un dato settore, non nel senso che non si possa progredire ancora, ma nel senso che uno ha già progredito moltissimo. Cosi nella conoscenza della legge uno può dirsi perfetto anche se gli sfugge qualcosa ancora. In tal modo l'Apostolo chiamava perfetti quelli a cui scriveva: Se in qualcosa pensate diversamente, Dio vi illuminerà anche su questo. Intanto, dal punto a cui siamo arrivati continuiamo ad avanzare sulla stessa linea. ( Fil 3,15-16 ) 16.23 - Sebbene ognuno pecchi in qualche modo, resta valido il comandamento di Dio di non peccare in nessun modo Non si deve nemmeno negare che Dio ci comandi d'essere tanto perfetti nell'eseguire la giustizia da evitare assolutamente qualsiasi peccato. Non sarà infatti nemmeno peccato se si farà un'azione che Dio non proibisce di fare. Costoro obiettano: Perché dunque Dio comanda ciò che sa che nessuno farà? Allo stesso modo ci si può chiedere anche perché ai primi uomini che erano due soltanto abbia comandato ciò che sapeva che non avrebbero fatto. Non possiamo dire in questo caso che lo comandò perché lo facesse qualcuno di noi, se non lo facevano essi: il divieto di mangiare di quell'albero Dio lo diede tassativamente a loro soltanto ( Gen 2,17 ) perché, come sapeva quanto essi non avrebbero fatto di giusto, cosi pure sapeva quanto egli stesso avrebbe fatto di giusto nei loro riguardi. Sebbene dunque preveda che nessuno adempirà il suo comando, Dio ordina a tutti gli uomini di non fare alcun peccato, con il seguente criterio: rispetto a coloro che empiamente e riprovevolmente avranno disprezzato i suoi precetti egli farà nella loro condanna ciò che è giusto; rispetto poi a quelli che avranno progredito docilmente e piamente nei suoi precetti e, pur non avendoli adempiuti perfettamente, avranno rimesso agli altri i peccati come essi vogliono la remissione dei propri, egli farà nella loro purificazione ciò che è buono. In che modo infatti è rimesso dalla misericordia di Dio a chi lo rimette, se non è peccato in che modo non è vietato dalla giustizia di Dio, se è peccato? 16.24 - S. Paolo si sentiva già in possesso della giusta corona per la fermezza della speranza, non perché fosse già allora senza alcun peccato Obiettano costoro: Ma ecco, l'Apostolo dice: "Ho combattuto la buona battaglia, ho conservato la fede, ho terminato la mia corsa. Ora mi resta solo la corona di giustizia". ( 2 Tm 4,7-8 ) Non lo direbbe, se avesse qualche peccato. Ebbene, essi a loro volta rispondano come abbia potuto dirlo uno a cui restava ancora la prova cosi grave, il combattimento cosi doloroso e importante della stessa passione che aveva predetto sovrastargli. Gli mancava forse ancora poco per terminare la corsa, quando gli mancava l'assalto dove il nemico si sarebbe fatto più aspro e crudele? Paolo con quelle parole espresse gioiosamente la propria certezza e sicurezza, avendolo ormai reso certo e sicuro della vittoria nel futuro combattimento cosi importante, colui che gli aveva rivelato l'imminenza della medesima passione; non volle quindi indicare una realtà già piena, quanto invece la sua ferma speranza come se fosse già fatto quanto preconosceva come futuro. Se dunque alle sue parole avesse anche aggiunto la dichiarazione: "Non ho alcun peccato", interpreteremmo che avrebbe fatto anche tale dichiarazione non della perfezione della realtà già raggiunta, ma della perfezione della realtà da raggiungere. Tanto infatti rientrava nella conclusione della sua corsa l'assenza d'ogni peccato, che essi ritengono già completa in lui al momento in cui scriveva, quanto nella conclusione della sua corsa rientrava pure il superamento dell'avversario nella battaglia della passione: cosa che al momento in cui scriveva, essi stessi lo devono ammettere, doveva ancora compiersi. Noi dunque diciamo che doveva ancora compiersi perfettamente ciò che egli, in quel momento, fiduciosissimo ormai della promessa di Dio, presentava come se fosse stato compiuto. Alla conclusione della sua corsa apparteneva altresì che egli rimettesse i peccati ai suoi debitori e pregasse che ugualmente gli si rimettessero i propri. ( Mt 6,12 ) Per questa promessa del Signore egli era certissimo che nell'ora finale, ancora futura, ma da lui espressa fiduciosamente come già passata, non avrebbe avuto alcun peccato. Infatti, per omettere altre cose, mi meraviglierei se, quando scriveva quello che a costoro lo fa credere senza peccato, gli fosse già stato tolto lo stimolo della carne, per il cui allontanamento aveva pregato tre volte il Signore ricevendo la risposta: Ti basta la mia grazia; la mia potenza infatti si manifesta pienamente nella debolezza umana. ( 2 Cor 12,9 ) Alla perfetta costruzione di tanto personaggio fu necessario che non gli fosse tolto quell'angelo di satana, dal quale veniva schiaffeggiato, perché non s'insuperbisse per la grandezza delle rivelazioni. E si oserà credere o dire che qualcuno posto sotto il peso di questa vita sia pienamente mondo da ogni peccato? 16.25 - I più grandi santi hanno avuto ed hanno delle colpe da espiare Esistono senza dubbio uomini tanto eccellenti nella giustizia che Dio si metta a parlare con loro da una colonna di nubi, quali Mosè e Aronne tra i suoi sacerdoti e Samuele tra quanti invocano il suo nome. ( Sal 99,6-7 ) Di Samuele la Scrittura verace esalta con grandi lodi la pietà e l'innocenza fin dall'inizio della sua puerizia, da quando la madre per lo scioglimento d'un voto lo presentò al tempio di Dio e lo destinò al servizio del Signore. Tuttavia anche in riferimento a tali personaggi è scritto: Eri per loro un Dio paziente, pur castigando tutti i loro peccati. ( Sal 99,8 ) Precisamente sui figli della condanna si vendica adirato, sui figli della grazia viceversa si vendica paziente, perché corregge chi ama e sferza chiunque riconosce come figlio. ( Pr 3,12; Eb 12,6 ) Ora, nessuna vendetta, nessuna correzione, nessun flagello di Dio è dovuto se non al peccato, eccettuato colui che fu appositamente preparato ai flagelli ( Sal 38,18 ) cosi da sperimentarli tutti nella sua carne somigliante a quella del peccato, ma senza il peccato, allo scopo di essere il Sacerdote che, Santo dei santi, intercedesse anche per i santi, ciascuno dei quali senza mentire dice di sé: Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori. ( Mt 6,12 ) Poniamo che coloro che discutono contro queste verità, siano lodevoli per castità di vita e per condotta morale e non esitino a fare quello che al ricco desideroso di consiglio per il conseguimento della vita eterna, e che aveva dichiarato di aver già osservato tutti i precetti della legge, il Signore comandò di fare se voleva essere perfetto, cioè vendere quanto possedeva e darlo ai poveri trasferendo cosi il suo tesoro in cielo, tuttavia nessuno nemmeno di costoro osa dire d'essere senza peccato. ( Mt 19,20-21 ) E lo dicono, come crediamo, senza falsità d'animo. Se poi mentiscono, cominciano per questo stesso o ad avere un peccato di più o ad avere almeno un peccato. 17.26 - Dall'ignoranza, fragilità, incorrispondenza verso la grazia di Dio nascono le nostre colpe Vediamo ordunque la questione che ho messo al terzo posto. Poiché l'uomo, aiutandolo nella sua volontà la grazia divina, può vivere in questa vita senza peccato, al quesito come mai ciò non avvenga potrei con molta facilità e verità rispondere: perché gli uomini non vogliono. Ma se mi si chiede perché non vogliano, andiamo per le lunghe. Tuttavia dirò brevemente anche questo senza pregiudizio d'un esame più diligente. Gli uomini non vogliono fare ciò che è giusto per due ragioni: e perché rimane occulto se sia giusto e perché non è dilettevole. Infatti tanto più fortemente noi vogliamo qualcosa quanto meglio conosciamo la grandezza della sua bontà e quanto più ardentemente ci diletta. Ignoranza dunque e debolezza sono i vizi che impediscono alla volontà di determinarsi a fare un'opera buona o ad astenersi da un'opera cattiva. Ma che diventi noto quello che era nascosto e soave quello che non dilettava è dono della grazia di Dio, la quale aiuta le volontà degli uomini: e che queste non siano aiutate da essa dipende dagli uomini stessi e non da Dio, tanto se sono predestinati ad essere condannati per la malizia della loro superbia, quanto se sono predestinati ad essere giudicati e corretti della loro stessa superbia, come figli della misericordia. Perciò Geremia, dopo aver detto: Lo so, Signore, che l'uomo non è padrone della sua via e non è in potere di chi cammina dirigere i suoi passi, subito soggiunge: Correggimi, Signore, ma con giusta misura, non secondo la tua ira. ( Ger 10,23-24 ) Come se dicesse: "So che è un castigo il fatto di non essere aiutato da te a camminare perfettamente bene; anche questo tuttavia non lo fare nei miei riguardi con l'ira con la quale hai stabilito di condannare i malvagi, ma con la giusta misura con la quale insegni ai tuoi a non insuperbirsi". Tanto che altrove si legge: Mi aiutino i tuoi giudizi. ( Sal 119,175 ) Ma al fondo di ogni nostro peccato c'è la superbia. 17.27 - Al fondo di ogni nostra buona azione c'è l'amore verso Dio Perciò non accusare Dio per le colpe degli uomini. Di tutti i vizi umani ha colpa la superbia. A condannarla e toglierla è venuta dal cielo questa medicina: all'uomo che si era innalzato per superbia l'umile Dio è disceso per misericordia, mostrando chiara e manifesta la sua grazia nell'uomo stesso che con tanta carità assunse a preferenza dei suoi compagni. Infatti nemmeno questo stesso uomo cosi unito con il Verbo di Dio cosi da diventare il solo ed unico soggetto della consistenza, nello stesso tempo, del Figlio di Dio e del Figlio dell'uomo, ottenne ciò per meriti precedenti della sua volontà. Uno solo egli appunto doveva essere: ce ne sarebbero invece due, tre e ancora di più, se ciò fosse possibile non per un dono proprio di Dio, ma per il libero arbitrio dell'uomo. È questo dunque che viene soprattutto sottolineato, è questo che principalmente s'insegna e s'impara, per quanto oso giudicare, dai tesori di sapienza e di scienza nascosti nel Cristo. ( Eb 1,9; Col 2,3 ) Proprio per questa ragione ciascuno di noi ora sa e ora non sa iniziare, tirare avanti e finire una buona azione, ora ne sente diletto e ora non ne sente diletto: perché impari che non è in suo potere, ma è dono divino la sua scienza o il suo diletto, e cosi guarisca dalla vanità della superbia e conosca con quanta verità sia stato detto, non di questa terra, ma in senso spirituale: Il Signore donerà la soavità e la nostra terra produrrà il suo frutto. ( Sal 85,13 ) Tanto più dilettevole è una buona azione quanto più si ama Dio, somma e immutabile bontà e autore di tutti i beni di qualsiasi genere. Perché poi si ami Dio, l'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori, non per merito nostro, ma per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato. ( Rm 5,5 ) 18.28 - Non la grazia contro la libertà, ma la grazia e la libertà Ma ci sono taluni che si affannano a trovare nella nostra volontà quale bene sia nostro senza che ci venga da Dio, ed io ignoro come si possa trovare. Io accetto infatti la dichiarazione dell'Apostolo che parlando dei beni dell'uomo dice: Che cosa mai possiedi che tu non abbia ricevuto? E se l'hai ricevuto, perché te ne vanti come se non l'avessi ricevuto? ( 1 Cor 4,7 ) Perfino la stessa esplorazione che possiamo tentare noi, per quello che siamo, su questi problemi, butta violentemente nell'ansia ciascuno di noi che ne cerca la soluzione, per il timore che il tono della nostra difesa della grazia ci faccia apparire come negatori del libero arbitrio e viceversa il tono della nostra affermazione del libero arbitrio ci faccia giudicare ingrati alla grazia di Dio per superba empietà. 18.29 - La buona volontà dell'uomo viene da Dio, ma non soltanto indirettamente per creazione Alcuni però hanno voluto difendere la dichiarazione dell'Apostolo che ho ricordato in questo modo: In tanto tutto quello che l'uomo ha di buono perfino nella volontà è da attribuirsi a Dio in quanto anche questo non potrebbe esserci nell'uomo, se l'uomo stesso non esistesse. Ma, poiché l'esistenza d'ogni cosa e l'esistenza dell'uomo non dipende se non da Dio, perché mai non si dovrebbe attribuire a Dio come causa anche tutto quello che di buono c'è nella volontà dell'uomo e che non esisterebbe, se non esistesse l'uomo dove poter esistere? Ma in questo modo si può dire che anche la cattiva volontà deve attribuirsi a Dio come causa, perché nemmeno essa potrebbe esistere nell'uomo, se non esistesse l'uomo dove poter esistere. Ora, che l'uomo esista dipende da Dio, e cosi dipenderebbe da Dio anche la cattiva volontà dell'uomo, la quale non potrebbe esistere in nessun modo, se non avesse per soggetto l'uomo. E dir questo è un sacrilegio. 18.30 - La buona volontà dell'uomo viene necessariamente da Dio Perciò, se non mettiamo al sicuro che, non solo l'arbitrio della volontà, che si flette liberamente da una parte o dall'altra ed è tra quei beni naturali di cui un soggetto cattivo può usare anche malamente, ma altresì la volontà buona, che è già tra quei beni non usabili malamente, non la possiamo avere se non da Dio, non so in che modo riusciremo a difendere il testo: Che cosa mai possiedi che tu non abbia ricevuto? ( 1 Cor 4,7 ) Perché, se da Dio riceviamo la volontà libera, indecisa ancora tra l'essere buona o cattiva, e se invece la volontà buona viene da noi, quello che viene da noi è meglio di quello che viene da Dio. Poiché questa è un'affermazione assurdissima, costoro devono per forza riconoscere che riceviamo da Dio anche la volontà buona. A parte poi la stranezza che la volontà possa fermarsi cosi a mezza strada senza essere né buona né cattiva. Infatti, o amiamo la giustizia e la volontà è buona - più buona se l'amiamo di più, meno buona se l'amiamo di meno -, o non è buona se non l'amiamo affatto. Chi poi esita a dire non solo cattiva, ma anche pessima la volontà che non ama in nessun modo la giustizia? Se dunque la volontà o è buona o è cattiva, e se la volontà cattiva non la riceviamo da Dio, resta che da Dio riceviamo la volontà buona. Altrimenti non saprei di quale altro dono di Dio dovremmo godere, quando veniamo giustificati da lui. Per questo credo che sia stato scritto: Dal Signore viene preparata la volontà, ( Pr 8,35 ) e nei Salmi: Il Signore fa sicuri i passi e l'uomo e segue con amore il suo cammino, ( Sal 37,23 ) e quello che dice l'Apostolo: È Dio infatti che suscita in voi il volere e l'operare secondo i suoi benevoli disegni. ( Fil 2,13 ) 18.31 - La conversione dell'uomo a Dio dipende dalla misericordia di Dio. Che Dio non la doni è un atto della sua giustizia Poiché dunque dipende da noi convertirci ad altro contro Dio, e questa è volontà cattiva, e invece se Dio non ci previene e non ci aiuta, non possiamo convertirci a lui, e questa è volontà buona, che cosa possediamo che non abbiamo ricevuto? ( 1 Cor 4,7 ) Se poi l'abbiamo ricevuto, perché ce ne gloriamo come se non l'avessimo ricevuto? E quindi, perché chi si vanta si vanti nel Signore, ( 1 Cor 1,31; 2 Cor 10,17 ) per quelli a cui Dio ha voluto donare di convertirsi a lui ciò dipende dalla sua misericordia e non dai loro meriti, per quelli a cui viceversa non l'ha voluto donare ciò dipende dalla sua verità. Ai peccatori infatti è dovuta una giusta pena, perché misericordia e verità ama il Signore Dio, ( Sal 85,12 ) la misericordia e la verità s'incontrano, ( Sal 85,11 ) tutte le vie del Signore sono misericordia e verità. ( Sal 25,10 ) Chi potrebbe dire quanto spesso la divina Scrittura ricordi questi due attributi congiuntamente? Qualche volta anche mutando i vocaboli e ponendo il termine di grazia al posto di misericordia, come nel testo: Noi vedemmo la sua gloria, gloria come di Unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità, ( Gv 1,14 ) a volte ponendo il termine di giudizio al posto di verità, come nel testo: La tua misericordia e il tuo giudizio voglio cantare, Signore. ( Sal 101,1 ) 18.32 - Dio opera misteriosamente con la sua misericordia e con la sua giustizia Perché poi di alcuni voglia la conversione a lui e di altri la punizione per diversione da lui è in ogni modo una scelta che compete a lui di una giustizia troppo arcana per noi. Quantunque, nessuno lo potrebbe giustamente riprendere per la sua misericordia nell'elargizione di un beneficio e nessuno lo potrebbe giustamente riprendere per la sua giustizia nell'imposizione d'un castigo. Come nessuno può giustamente incolpare in quegli operai evangelici il padrone di pagare agli uni la mercede concordata ( Mt 20,9-10 ) e di regalare anche agli altri la mercede non concordata. Dio ci vuole soprattutto umili nella lotta vigile e nella preghiera ardente. 19 - Noi, per quanto c'è concesso, cerchiamo d'avere la sapienza e l'intelligenza di questa convinzione, se possiamo: il Signore, Dio buono, non dona nemmeno ai suoi santi o la scienza certa o la dilettazione vittrice di qualche giusta azione, perché sappiano che non da se stessi, ma da lui ricevono la luce che illumina le loro tenebre e la soavità che fa dare alla loro terra il suo frutto. ( Lc 1,79; Sal 85,13 ) 19.33 - Ora, quando imploriamo da Dio il suo aiuto per fare la giustizia e farla perfettamente, che altro imploriamo se non che apra per noi quanto era chiuso e renda soave quanto non era dilettevole? Perfino la necessità di chiedere quest'aiuto l'abbiamo imparata per sua grazia, mentre prima c'era nascosta, e per sua grazia siamo arrivati ad amare questa preghiera, mentre prima non ci dilettava, perché chi si vanta si vanti nel Signore ( 1 Cor 1,31 ) e non in sé. Questo levarsi in superbia dipende dalla propria volontà degli uomini, non da un intervento di Dio: non è Dio infatti che li spinge o li aiuta a ciò. Precede dunque nella volontà dell'uomo una certa brama della propria indipendenza che lo fa disobbedire per superbia. Ora, se non ci fosse questa brama, niente sarebbe molesto e l'uomo, come ha scelto di disobbedire, cosi avrebbe fatto senza difficoltà la scelta d'obbedire. Ma da debita e giusta pena è venuto che obbedire alla giustizia rechi ormai molestia. È un vizio questo che, se non viene superato dalla grazia adiuvante, non c'è per nessuno la conversione alla giustizia, e se non viene risanato dalla grazia operante, non c'è per nessuno la fruizione della pace della giustizia. Ma con quale grazia è superato e risanato se non con la grazia di colui al quale si dice: Rialzaci, Dio, nostra salvezza, e placa il tuo sdegno verso di noi? ( Sal 85,5 ) Se lo fa, è per sua misericordia che lo fa, cosi da dover noi dire: Non ci tratta secondo i nostri peccati, non ci ripaga secondo le nostre colpe. ( Sal 103,10 ) E a quelli che non lo fa è per un suo giusto giudizio che non lo fa. E chi potrà dire: "Che cosa hai fatto?", a colui del quale dai santi si canta devotamente la misericordia e il giudizio? ( Sal 101,1 ) La ragione per cui risana con ritardo anche i suoi santi e i suoi fedeli in alcuni vizi, dove provano che per liberarsene e compiere integralmente la giustizia non è sufficiente l'attrattiva del bene, sia quello nascosto, sia anche quello manifesto, è perché si possa dire che nessun vivente è giusto al suo cospetto, ( Sal 143,2 ) secondo l'integerrima regola della sua verità. Né in questa maniera egli vuole la nostra condanna, ma la nostra umiltà, raccomandandoci la stima della sua grazia, perché noi, raggiunta la facilità in tutte le situazioni, non riteniamo nostro quello che è suo dono: un errore questo che è molto contrario alla religione e alla pietà. Né ciò tuttavia c'induca a credere di dover rimanere nei medesimi vizi; ma principalmente contro la stessa superbia, a causa della quale siamo umiliati in essi, noi dobbiamo per un verso combattere vigilantemente e per l'altro pregare Dio ardentemente, consapevoli che tanto il nostro combattere quanto il nostro pregare sono suoi doni, perché in tutto, non abbassando gli occhi su di noi, ma elevando il cuore al cielo, rendiamo grazie al Signore nostro Dio e se ci vantiamo sia in lui il nostro vanto. ( 1 Cor 1,31 ) 20.34 - Il quarto problema: senza alcun peccato, compreso quello originale, non c'è nessuno all'infuori di Gesù Resta ormai la quarta questione: non solo se tra i figli degli uomini esista, ma anche se sia mai potuto esistere o possa esistere in avvenire qualcuno che non abbia avuto o che in futuro non avrà assolutamente nessun peccato. Con la soluzione di tale questione, come ci consentirà l'aiuto del Signore, avrà finalmente termine anche questo nostro discorrere tanto prefisso. È certissimo che all'infuori assolutamente dell'unico Mediatore tra Dio e gli uomini, l'uomo Cristo Gesù, ( 1 Tm 1,8 ) non esiste, non è esistito, non esisterà un tale uomo. A questo proposito abbiamo già detto molto parlando del battesimo dei bambini. Se essi non hanno nessun peccato, non solo esistono innumerevoli uomini senza peccato, ma sono anche esistiti ed esisteranno. Ma se rimane vero e fermo ciò di cui abbiamo trattato nel secondo punto, che nessuno è senza peccato, certamente nemmeno i bambini sono senza peccato. Da questo si trae che, pur ammessa la possibilità che qualcuno in questa vita abbia potuto perfezionarsi tanto nella virtù da raggiungere la pienezza della giustizia con l'esclusione di qualsiasi peccato, costui tuttavia sarebbe stato senza dubbio in peccato precedentemente e poi sarebbe stato convertito da quella sua condizione a questa novità di vita. Altro era infatti il quesito del secondo punto, altro è il quesito di questo quarto punto. Nel secondo si cercava se qualcuno in questa vita con la grazia di Dio e con la forza della volontà giunga ad una vita perfetta che sia assolutamente immune da ogni peccato. In questo quarto punto si cerca invece se esista tra gli uomini o abbia potuto o possa esistere in futuro, non qualcuno che dal peccato giunga alla più perfetta giustizia, ma qualcuno che non sia mai stato implicato per nessun verso in nessun peccato. Perciò, se è vero quello che con tanta profusione abbiamo detto dei bambini, nessuno c'è, né ci fu, né ci sarà tra i figli degli uomini in tale condizione, all'infuori dell'unico Mediatore, in cui è riposta per noi la propiziazione e la giustificazione, ( Rm 3,25 ) mediante la quale si pone fine alle inimicizie dei peccati e veniamo riconciliati con Dio. ( Rm 5,10 ) Non sarà fuori tema se, per quanto sembri bastare al presente argomento, partendo dalle origini stesse del genere umano ripeteremmo alcune verità che possano illuminare l'animo del lettore contro certe difficoltà che lo potrebbero impressionare. 21.35 - Il peccato di Adamo ed Eva: un peccato soprattutto di disobbedienza Dopo che i primi uomini, Adamo unico maschio ed Eva sua moglie derivata da lui, non vollero prestare obbedienza al precetto di Dio, furono colpiti da una giusta e debita pena. Il Signore infatti aveva minacciato che sarebbero stati certamente vittime della morte il giorno che avessero mangiato il cibo proibito. ( Gen 2,17 ) All'inizio dunque avevano ricevuto il permesso di prendere il cibo da ogni albero del paradiso dove Dio aveva piantato anche l'albero della vita. Poi erano stati esclusi unicamente dall'albero che Dio chiamò della scienza del bene e del male a indicare le conseguenze dell'esperienza che avrebbero fatta, sia in ciò che avrebbero provato di bene se avessero aspettato il divieto, sia in ciò che avrebbero provato di male se l'avessero trasgredito. È certamente esatto pensare che prima della maligna seduzione del diavolo si siano astenuti dal cibo vietato e ancor prima abbiano fatto uso dei cibi concessi, e cioè di tutti gli alberi e principalmente dell'albero della vita. ( Gen 2, 9.16-17 ) Sarebbe troppo assurdo pensare che si siano alimentati con gli altri alberi e non invece anche con l'albero della vita che era ugualmente permesso e che aveva il vantaggio preminente di non lasciar cambiare i loro corpi, benché animali, attraverso il succedersi delle età e di non lasciarli invecchiare per la morte. Era in grado l'albero della vita di assicurare questo beneficio al corpo umano con il suo frutto materiale, e con la sua significazione mistica indicava quali benefici fossero conferiti per mezzo della sapienza, di cui era simbolo, all'anima razionale, perché, resa vivace dal nutrimento della sapienza, non cadesse affatto nella malattia e nella morte del peccato. Giustamente della sapienza si dice: È un albero di vita per chi ad essa si attiene. ( Pr 3,18 ) Ciò che era l'albero della vita nel paradiso del corpo, lo era la sapienza nel paradiso dello spirito: quello dava vigoria vitale ai sensi dell'uomo esteriore, questa ai sensi dell'uomo interiore, senza alcun deterioramento per il volgere del tempo. Vivevano dunque sottomessi a Dio, essendo stata inculcata moltissimo a loro la pietà dell'obbedienza, che sola onora Dio. Quanto valga per se stessa e come basti da sola a custodire nella sottomissione al Creatore la creatura razionale Dio non lo poteva mettere meglio in evidenza che proibendo a loro un albero non cattivo. Era assolutamente impossibile che il Creatore del bene, il quale ha fatto tutte le cose ed erano molto buone, ( Gen 1,31 ) piantasse alcunché di cattivo nella fertilità di quel paradiso, considerato anche materialmente. Ma perché l'uomo, al quale era utilissimo servire sotto un tale Padrone, capisse quanto fosse grande la bontà della sola obbedienza, che era stata l'unica prestazione richiesta dal Padrone al servitore e che conveniva non al dominio del Padrone, ma piuttosto agli interessi del servitore, fu proibito ai primi uomini un albero che a farne uso senza la proibizione non avrebbe recato a loro assolutamente nessun male. Dal male che incorsero usando di esso dopo la proibizione si veniva a capire sufficientemente che quel male non fu causato a loro da un albero pernicioso con il suo frutto nocivo, ma solamente dalla violazione dell'obbedienza. 22.36 - Adamo ed Eva prima del peccato e dopo Prima dunque che la violassero piacevano a Dio e Dio piaceva a loro. Sebbene portassero un corpo animale, non avvertivano in esso nessun movimento di disobbedienza contro di loro. Era effetto dell'ordine della giustizia: avendo la loro anima ricevuto dal Signore il corpo in qualità di servitore, come l'anima stessa obbediva al suo Signore, cosi a lei doveva obbedire il suo corpo e prestare senza resistenza alcuna quel genere di servizio appropriato a lei. Per questo ed erano nudi e non ne provavano vergogna. ( Gen 2,25 ) Ciò appunto di cui l'anima razionale per pudore di natura si vergogna adesso è di non poter ottenere, non so per quale infermità, che nella carne, sul cui servizio ha ricevuto diritto potestativo, le membra non si muovano se essa non vuole che si muovano e si muovano se essa vuole che si muovano. Giustamente queste membra in ogni persona casta si chiamano pudende, proprio perché si eccitano a loro piacere contro il dominio della mente, quasi fossero autonome, e l'unico potere che esercitano su di esse i freni della virtù è di non lasciarle arrivare a perversioni immonde e illecite. Quindi tale disobbedienza della carne, che consiste nello stesso suo movimento istintivo, anche se non gli si permette d'avere effetto, non esisteva allora nei primi uomini, quando erano nudi e non se ne confondevano. Non si era ancora prodotta appunto la disobbedienza dell'anima razionale, signora della carne, contro il suo Signore, disobbedienza che per reciprocità di pena la portò a sperimentare la disobbedienza della carne, sua ancella, con un certo senso di vergogna e di molestia, che ovviamente l'anima stessa con la sua disobbedienza non inflisse a Dio. Non reca infatti a Dio né vergogna né molestia se noi disobbediamo a lui, perché non possiamo diminuire in nessun modo il suo supremo potere su di noi, ma a noi deve recare vergogna che la carne non stia sottomessa al nostro comando, perché ciò avviene per l'infermità meritata da noi peccando e che è chiamata peccato che abita nelle nostre membra. ( Rm 7, 17.23 ) Questo poi è un peccato cosi speciale da essere pena del peccato. Infine, dopo che fu commessa quella trasgressione e l'anima disobbedendo si rivoltò contro la legge del suo Signore, il servitore dell'anima, cioè il suo corpo, cominciò a sentire contro di essa la legge della disobbedienza e quegli uomini si vergognarono della loro nudità, avendo avvertito in sé un movimento che non avevano sentito prima, ed è questa avvertenza che è stata detta apertura degli occhi, ( Gen 3,7 ) perché certamente non vagavano ad occhi chiusi tra quegli alberi. Anche di Agar nello stesso senso è scritto: Dio le aprì gli occhi ed essa vide un pozzo d'acqua. ( Gen 21,19 ) Fu allora che quegli uomini si coprirono le parti pudende: essi coprirono di vergogna le parti che Dio aveva fatte membra per essi. Da Adamo si propagò e continua a propagarsi il peccato, la carne del peccato, la morte, la fatica, il dolore. 23.37 - Ci libera da tutti questi mali la grazia di Dio per Gesù Cristo Da questa legge del peccato nasce la carne del peccato, che dev'essere purificata mediante il sacramento di colui che è venuto nella somiglianza della carne del peccato ( Rm 8,3 ) per distruggere il corpo del peccato, chiamato anche corpo di questa morte. ( Rm 6,6 ) Da esso non libera questo povero uomo se non la grazia di Dio per Gesù Cristo nostro Signore. ( Rm 7,24-25 ) Cosi infatti dai primi uomini questa legge iniziatrice di morte passò nei posteri alla stessa maniera della fatica che tutti gli uomini soffrono in terra, alla stessa maniera delle doglie del parto che passarono nelle donne. ( Gen 3,16 ) Queste furono infatti le pene che i primi uomini meritarono per sentenza di Dio quando furono castigati per il peccato, e vediamo che esse hanno esecuzione non solo in loro, ma anche nei loro successori, più in alcuni e meno in altri, comunque in tutti. Dunque la prima giustizia di quei primi uomini fu di obbedire a Dio e di non avere nelle membra questa legge della concupiscenza contrastante con la legge della loro mente. ( Rm 7,23 ) Mentre adesso, poiché è nata da essi dopo il loro peccato la nostra carne di peccato, è già molto se quanti obbediscono a Dio riescono a non soddisfare i desideri della medesima concupiscenza ( Rm 6,12 ) e a crocifiggere in se stessi la carne con le sue passioni e brame, perché siano di Gesù Cristo, che ha rappresentato nella sua croce tale spiritualità, quelli a cui per sua grazia ha dato il potere di diventare figli di Dio. Non a tutti gli uomini infatti ha dato di rinascere a Dio mediante lo Spirito, ma a coloro che l'hanno accolto, nati al secolo mediante la carne. ( Gv 3,5 ) Cosi è stato detto di essi: A quanti però l'hanno accolto ha dato il potere di diventare figli di Dio, e questi non da carne, non da sangue, non da volere di uomo, non da volere di carne, ma da Dio sono stati generati. ( Gv 1,12-13 ) 24.38 - La carne del Figlio di Dio fatto uomo Soggiunge immediatamente: E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi, ( Gv 1,14 ) come se dicesse: Si è compiuto certamente un grande evento col nascere a Dio da Dio in coloro che prima erano nati dalla carne al secolo, benché creati dallo stesso Dio. Ma un evento ancora molto più meraviglioso sta in questo: mentre per costoro fu naturale nascere dalla carne e fu invece un dono nascere da Dio, per elargire questo dono colui che è nato da Dio per sua natura si è degnato per sua misericordia di nascere anche dalla carne. Questo valgono le parole: E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi. In tanto, dice l'evangelista, è avvenuto che noi, benché carne nata dalla carne, col nascere poi dallo Spirito fossimo spirito e abitassimo con Dio, in quanto anche Dio nato da Dio, col nascere poi dalla carne si fece carne e abitò tra noi. Il Verbo infatti che si fece carne, era in principio ed era Dio presso Dio. ( Gv 1,14 ) Nondimeno la sua stessa partecipazione alla nostra inferiorità, avvenuta per rendere possibile la nostra partecipazione alla sua superiorità, ha tenuto anche nella nascita della sua carne una certa linea mediana: noi siamo nati nella carne del peccato, ( Rm 8,3 ) egli è nato invece in una carne somigliante a quella del peccato; noi siamo nati non solo da carne e da sangue, ( Gv 1,13 ) ma anche da volere di uomo e da volere di carne, egli invece è nato da carne e da sangue soltanto, non da volere di uomo né da volere di carne, ma da Dio. Quindi noi siamo nati per morire a causa del peccato ed egli è nato senza peccato per morire per noi. Inoltre come la sua inferiorità con la quale discese fino a noi non era alla pari in tutto con la nostra inferiorità, nella quale ci ha trovati in terra, ( Rm 5, 6.9; 1 Cor 15,3; 2 Cor 5,15 ) cosi la nostra superiorità con la quale noi ascendiamo fino a lui non sarà pari alla sua superiorità nella quale lo troveremo in cielo. Noi infatti diventeremo figli di Dio per sua grazia, egli era Figlio di Dio da sempre per natura; noi, convertiti finalmente a Dio, aderiremo a Dio, ma non saremo pari a Dio; ( Mt 3,17; Lc 3,22 ) egli, mai convertito ad altro contro Dio, rimane uguale a Dio. ( Fil 2,6 ) Noi saremo partecipi della vita eterna, egli è la vita eterna. Egli è dunque il solo che, rimanendo Dio, anche dopo essersi fatto uomo, non ha mai avuto nessun peccato e non ha assunto la carne del peccato, benché abbia assunto carne dalla materna carne del peccato. Quanto di carne infatti prese dalla madre egli certamente o lo mondò prima per prenderlo o lo mondò nel prenderlo. Nei riguardi quindi della Vergine sua Madre, la quale non lo concepì per la legge della carne del peccato, cioè in forza dell'esercizio della concupiscenza carnale, ma meritò con la dedizione della sua fede che quel santo Germe sbocciasse in lei, egli fu il Creatore che la elesse, e la elesse per essere sua creatura. Se dunque la carne immune da peccato è stata battezzata per essere modello da imitare, quanto più si deve battezzare la carne del peccato per la condanna da evitare! 25.39 - L'obiezione dei pelagiani: è già battezzato il figlio di un battezzato La nostra precedente risposta contro quanti dicono: Se un peccatore genera un peccatore, anche un giusto deve generare un giusto vale pure per quanti dicono che un bambino nato da un battezzato deve ritenersi come già battezzato. Obiettano costoro: Perché infatti non ha potuto essere battezzato nei lombi di suo padre, se Levi, secondo la Lettera agli Ebrei, poté pagare le decime nei lombi di Abramo? ( Eb 7,9 ) Gli obiettanti avvertano che Levi non smise poi di pagare le decime perché le aveva già pagate nei lombi di Abramo, ma perché per l'onore del sacerdozio gli fu provveduto cosi da ricevere le decime invece di pagarle. Altrimenti non avrebbero dovuto pagarle nemmeno tutti gli altri suoi fratelli che le pagavano a lui, avendole anch'essi già pagate a Melchisedech nei lombi di Abramo. ( Eb 7,10 ) 25.40 - Chi nasce da un battezzato ha bisogno del battesimo, come chi nasceva da un circonciso aveva bisogno della circoncisione Ma essi replicano che i figli di Abramo in tanto hanno giustamente potuto continuare a pagare le decime, sebbene le avessero già pagate nei lombi del loro padre, in quanto il pagamento delle decime si doveva ripetere a più riprese da ciascuno. E portano l'esempio degli israeliti che tutti gli anni, anzi per tutti i prodotti, erano soliti pagare ai leviti frequentemente le decime durante tutta la loro vita. E concludono che il battesimo è un tal sacramento che si dà una volta sola e se uno l'ha già ricevuto quand'era nel padre, non si può fare a meno di considerarlo battezzato, essendo generato da un battezzato. Chi dice questo, per non discuterne a lungo, guardi alla circoncisione che si faceva una volta sola e che tuttavia si faceva ogni volta in ciascun individuo. Come dunque al tempo di quel sacramento della circoncisione chi nasceva da un circonciso doveva essere circonciso, cosi attualmente chi è nato da un battezzato dev'essere battezzato. 25.41 - S. Paolo afferma che i figli dei battezzati sono santi. Perché doverli battezzare? [ I nostri avversari continuano: ] Ma dice l'Apostolo: "I vostri figli sarebbero impuri, mentre invece sono santi" ( 1 Cor 7,14 ) e costoro ne concludono: Perciò i figli dei fedeli non avrebbero dovuto mai assolutamente esser battezzati. Mi meraviglio di questa citazione da parte di quelli che negano che si tragga originalmente il peccato da Adamo. Se infatti prendono questa sentenza dell'Apostolo cosi da credere che da genitori fedeli nascano figli santificati, perché a loro volta non mettono in dubbio la necessità di battezzarli? Perché infine non vogliono confessare che da un genitore in peccato si contrae originalmente un qualche peccato, se da un genitore santo si trae una qualche santità? E certamente, anche ammesso che genitori fedeli generino figli santi, non ci contraddiciamo nel dire che questi figli senza il battesimo vanno alla condanna. Anche i nostri obiettori negano a questi figli il regno dei cieli, benché li dicano esenti da qualsiasi peccato, sia proprio, sia originale. Oppure, se a loro sembra indegno che vengano condannati dei santi, come sarà degno che dei santi siano esclusi dal regno di Dio? Considerino piuttosto come si faccia a non trarre un qualche peccato da genitori peccatori, se si trae una qualche santità da genitori santi e una qualche impurità da genitori impuri. Entrambe le cose infatti ha detto colui che ha detto: I vostri figli sarebbero impuri, mentre invece sono santi. Spieghino anche come sia giusto che tanto ai figli santi nati da genitori fedeli, quanto ai figli impuri nati da genitori infedeli venga tuttavia ugualmente precluso l'ingresso nel regno di Dio, se non sono stati battezzati. Che giova dunque ai primi questa loro santità? Se sostenessero che si dannano i figli impuri nati da genitori infedeli e che invece i figli santi dei genitori fedeli non possono certamente entrare nel regno di Dio se non sono stati battezzati, ma tuttavia non si dannano perché sono santi, ci sarebbe una qualche distinzione. Ora al contrario, tanto dei santi nati da santi, quanto degli impuri nati da impuri ugualmente dicono che non si dannano perché non hanno nessun peccato, e rimangono esclusi dal regno di Dio perché non hanno il battesimo. Che quest'assurdità sfugga a tali ingegni chi lo potrebbe credere? 25.42 - La santificazione dei figli derivante dal battesimo dei loro genitori è ben diversa da quella derivante dal proprio battesimo e non la sostituisce Poni poi per un momento la tua attenzione a considerare come alla sentenza nostra, anzi dell'Apostolo che disse: Per uno solo si è riversata su tutti gli uomini la condanna, e: Per uno solo si riversa su tutti gli uomini la giustificazione che dà vita, ( Rm 5, 16.18 ) non sia contrario questo che ha detto parlando d'un altro argomento: Altrimenti i vostri figli sarebbero impuri, mentre invece sono santi. ( 1 Cor 7,14 ) 26 - La santificazione non è di una sola specie. Anche i catecumeni per esempio penso che vengano santificati in un loro modo particolare mediante il segno del Cristo e l'orazione dell'imposizione della mano, e quello che ricevono, sebbene non sia il corpo del Cristo, è tuttavia santo e più santo dei cibi con i quali ci alimentiamo, perché è un sacramento. Anzi quanto agli stessi cibi con i quali ci alimentiamo per il necessario sostentamento di questa vita, il medesimo Apostolo dice, ( 1 Tm 4,5 ) che vengono santificati dalla parola di Dio e dall'orazione che diciamo quando stiamo per ristorare i nostri poveri corpi. Come dunque questa santificazione dei cibi non impedisce che quanto entra nella bocca vada nel ventre e sia evacuato nel cesso per la corruzione ( Mt 15,17 ) che dissolve tutte le cose terrene, tanto che il Signore ci esorta ad un altro cibo, incorruttibile, ( Gv 6,27 ) cosi la santificazione del catecumeno non gli vale senza il battesimo per entrare nel regno dei cieli o per la remissione dei peccati. E perciò anche la santificazione, di qualunque genere sia, che l'Apostolo ammette nei figli dei fedeli, non ha nulla a che vedere con la presente questione sul battesimo e sull'origine del peccato o sulla sua remissione. Infatti dice pure nello stesso passo che i coniugi infedeli vengono santificati nei coniugi fedeli scrivendo: Il marito non credente viene reso santo dalla moglie [ credente ] e la moglie non credente viene resa santa dal marito [ credente ]; altrimenti i vostri figli sarebbero impuri, mentre invece sono santi. ( 1 Cor 7,14 ) Nessuno, credo, comunque intenda queste parole, le interpreta in una maniera tanto lontana dalla fede da ritenere che anche un marito non cristiano, appunto perché è cristiana la sua moglie, non debba più essere battezzato, abbia già raggiunto la remissione dei peccati e acquisito il diritto d'entrare nel regno dei cieli, perché S. Paolo lo dice santificato dalla moglie. 27.43 - I bambini dei battezzati hanno bisogno del battesimo, perché nessuno può rinascere nei suoi genitori prima di essere nato da loro Chi però rimane ancora sorpreso che vengano battezzati coloro che nascono da persone già battezzate, accolga questa breve spiegazione. Come la generazione della carne del peccato per causa del solo Adamo trae alla condanna tutti coloro che vengono generati in tal modo, cosi la generazione dello Spirito della grazia per causa del solo Gesù Cristo conduce alla giustificazione della vita eterna tutti i predestinati che sono rigenerati in tal modo. ( Rm 5,18 ) Il sacramento del battesimo è certamente il sacramento della rigenerazione. Perciò, come uno che non sia venuto alla vita non può morire e uno che non sia morto non può risorgere, ( Tt 3,5 ) cosi uno che non sia nato non può rinascere. Da questo consegue che nessuno prima di nascere ha potuto rinascere in un suo genitore. Ma dopo esser nato deve rinascere, perché se uno non nasce di nuovo non può vedere il regno di Dio. ( Gv 3,3 ) Occorre dunque che dal sacramento della rigenerazione, perché senza di esso non esca malamente da questa vita, sia consacrato anche il bambino, e ciò non avviene se non in remissione dei peccati. Questo indicò anche il Cristo nello stesso luogo, quando, interrogato come potessero compiersi simili cose, ricordò quello che aveva fatto Mosè innalzando il serpente. ( Gv 3,14 ) Poiché dunque mediante il sacramento del battesimo i bambini si conformano alla morte del Cristo, bisogna confessare che essi sono liberati dal morso del serpente, se non vogliamo deviare dalla regola della fede cristiana. Essi tuttavia non hanno ricevuto questo morso nella loro propria vita, ma in colui al quale quel morso fu inflitto originariamente. 27.44 - Al figlio che non rinasce nuocciono i peccati che egli ha contratti dal genitore Né tragga in inganno il fatto che dopo la conversione i peccati propri non nuocciono più nemmeno al genitore. Quanto meno dicono possono nuocere al suo figlio! Ma quelli che ragionano cosi non avvertono che, come i peccati propri non nuocciono al genitore perché è rinato spiritualmente, ( Gv 3,5 ) cosi al suo figlio noceranno i peccati che ha contratto da lui se non rinascerà alla stessa maniera. Perché, da una parte i genitori dopo esser stati rinnovati non generano carnalmente in virtù delle primizie dello stato nuovo, ma in forza dei resti dello stato vecchio; dall'altra parte i figli, immersi totalmente nello stato vecchio a causa dei suoi resti nei genitori e generati nella carne del peccato, evadono dalla condanna dovuta all'uomo dello stato vecchio mediante il sacramento della rigenerazione e della rinnovazione spirituale. ( Tt 3,5 ) Questo infatti, per le questioni che sono state mosse o che possono esser mosse ancora sul presente argomento, è ciò che dobbiamo notare e ricordare soprattutto: nel battesimo avviene soltanto la piena e perfetta remissione di tutti i peccati; ( Col 2,13 ) quanto invece alla qualità stessa dell'uomo, essa non si cambia tutta e subito all'istante, ma le primizie dello Spirito in coloro che ben progrediscono, con il crescere ogni giorno più dello stato nuovo, trasformano in se stesse ciò che appartiene carnalmente allo stato vecchio, finché tutto sia cosi rinnovato ( 2 Cor 4,16 ) che anche la debilità del corpo animale giunga alla stabilità e incorruttibilità spirituale. 28.45 - I genitori cristiani generano i loro figli carnalmente e quindi trasmettono ad essi il peccato Questa legge poi del peccato, legge che l'Apostolo chiama anche peccato quando scrive: Non regni più dunque il peccato nel vostro corpo mortale si da sottomettervi ai suoi desideri, ( Rm 6,12 ) non rimane nelle membra di coloro che sono rinati dall'acqua e dallo Spirito ( Rm 7,23; Gv 3,5 ) come se non fosse stata fatta la sua remissione nel sacramento dove la remissione dei peccati si fa assolutamente piena e perfetta, uccise tutte le inimicizie ( Ef 2,16 ) che ci separavano da Dio, ( Is 59,2 ) ma rimane nello stato vecchio della carne come peccato vinto e morto, se per illeciti consensi non risorge in qualche modo e non è ristabilito nel proprio regno e dominio. Da questo vecchio stato della carne, nel quale risiede la legge del peccato o risiede il peccato già rimesso, tanto si distingue la vita dello Spirito, nel cui nuovo stato i battezzati rinascono mediante la grazia di Dio, che all'Apostolo sembrò poco dire ( Rm 7,6 ) che i battezzati non sono nel peccato senza dire pure che essi, già prima di migrare da questa vita, non sono più nemmeno nella carne. Scrive: Quelli che sono nella carne, non possono piacere a Dio. Voi però non siete nella carne, ma nello Spirito, dal momento che lo Spirito di Dio abita in voi. ( Rm 8,8-9 ) Ora, come della carne, per quanto corruttibile, usano bene coloro che volgono le membra della carne ad opere buone, e costoro non sono nella carne perché non sentono e non vivono secondo la carne, come inoltre anche della morte che è pena del primo peccato usano bene coloro che l'affrontano con fortezza e pazienza per i fratelli, per la fede, per qualunque causa di vera e santa giustizia, cosi anche della legge del peccato, il quale, benché rimesso, rimane nel vecchio stato della carne, usano bene gli sposi cristiani. Essi in quanto sono nel nuovo stato del Cristo non soffrono per nulla il dominio della libidine, ma in quanto continuano a trarre il vecchio stato da Adamo, con quella propaggine del peccato generano nella mortalità i loro figli, che dovranno essere rigenerati per l'immortalità. Da questa propaggine coloro che sono rinati non vengono tenuti più sotto reato e da essa coloro che nascono si liberano rinascendo. ( Rm 7,23 ) Finché dunque rimane nelle membra la legge della concupiscenza, rimanendo la legge, ne viene però sciolto il reato, ma solo in chi ha ricevuto il sacramento della rigenerazione e ha cominciato già a rinnovarsi. Chi poi nasce dal residuo vecchio stato della concupiscenza ha bisogno di rinascere per guarire. Ma poiché i genitori cristiani, e nati carnalmente e rinati spiritualmente, hanno generato i loro figli carnalmente, in che modo i loro figli sono potuti rinascere prima di nascere? 28.46 - Il battesimo estingue per sempre nell'uomo il reato della concupiscenza, ma non la sua presenza Non ti meravigliare se ho detto che, rimanendo sotto forma di concupiscenza la legge del peccato, viene sciolto il suo reato mediante la grazia del sacramento. Come i fatti, i detti e i pensieri cattivi sono già passati e non sono più per quanto si riferisce alle attività stesse dell'animo e del corpo e tuttavia, pur essendo passati e non esistendo più presentemente, rimane il loro reato se non viene sciolto con la remissione dei peccati, cosi a sua volta in questa legge della concupiscenza, non già passata ma ancora in atto, il suo reato viene sciolto e non sarà più perché si ottiene nel battesimo la piena remissione dei peccati. Se poi seguisse immediatamente l'emigrazione da questa vita, dopo che sono stati sciolti tutti i reati che lo tenevano legato, non ci sarà più nulla che tenga l'uomo in colpa. Come dunque non ci reca meraviglia che prima della remissione dei peccati rimanga il reato di detti, di fatti e di pensieri che sono passati, cosi non ci deve meravigliare che a sua volta dopo la remissione dei peccati cessi il reato della concupiscenza ed essa rimanga ancora. 29.47 - Dio ha sempre salvato e salverà i predestinati con una medesima fede oggettiva, ma con sacramenti diversi nelle diverse epoche Cosi stanno le cose, da quando a causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e con il peccato la morte e così ha raggiunto tutti gli uomini ( Rm 5,12 ) fino alla fine di questa generazione carnale e di questo secolo corruttibile i cui figli generano e sono generati. ( Lc 20,34 ) E non esiste nessuno che in questa vita possa dirsi veramente esente da ogni peccato, salva l'unica eccezione del Mediatore, ( 1 Tm 2,5; Rm 5,10 ) il quale ci riconcilia con il nostro Creatore mediante la remissione dei peccati. Lo stesso nostro Signore in nessuna epoca del genere umano prima dell'ultimo giudizio ancora futuro non ha mai negato la sua medicina a coloro che mediante la sua prescienza certissima e la sua beneficenza giustissima ha predestinato alla vita eterna perché regnassero con lui. Infatti coloro che vissero prima della sua nascita carnale, prima della debilità della sua passione, prima della potenza della sua risurrezione, con la fede in quegli avvenimenti allora futuri erano preparati da Cristo per l'eredità della salvezza eterna. Con la fede negli stessi avvenimenti allora presenti animò coloro che vivevano mentre essi si compivano e che vedevano avverarsi in essi le profezie. Con la fede nei medesimi avvenimenti ormai passati non cessa di animare sia coloro che vissero dopo, sia noi stessi, sia quanti vivranno in avvenire. Unica dunque è la fede che salva ( Lc 8, 48 ) tutti coloro che dopo la nascita carnale si salvano rinascendo nella spirituale, ( Gv 3,5 ) fede che ha il suo termine di compimento in colui che, giudice dei vivi e dei morti, è venuto ad essere giudicato e ucciso per noi. Ma i sacramenti di quest'unica fede variarono secondo l'opportunità della loro significazione con il variare dei tempi. 29.48 - Gesù è l'unico Salvatore di tutti, grandi e bambini Uno solo e medesimo è dunque il Salvatore dei piccoli e dei grandi. Di lui dissero gli angeli: Oggi vi è nato un salvatore. ( Lc 2,11 ) Di lui fu detto alla vergine Maria: Lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati. ( Mt 1,21 ) Qui si mostra apertamente che fu chiamato Gesù per la salvezza che ha procurato a noi: Gesù infatti corrisponde in latino a "Salvatore". Chi dunque oserà dire che il Cristo Signore è Gesù per i grandi soltanto e non anche per i bambini? Egli è venuto nella somiglianza della carne del peccato ( Rm 8,3 ) per distruggere il corpo del peccato. ( Rm 6,6 ) In questo corpo debolissimo nelle membra infantili, non appropriate o idonee a nessun uso, l'anima razionale si trova oppressa da miserevole ignoranza. Non credo affatto che questa ignoranza esistesse in quel bambino in cui il Verbo si fece carne per abitare tra noi. ( Gv 1,14 ) Né sospetto che nel Cristo bambino esistesse la stessa debilità dell'anima che vediamo nei bambini. A causa anche di essa, quando li prende qualche turbamento istintivo e irrazionale, non si possono calmare con nessuna ragione, con nessuna ingiunzione, ma qualche volta può darsi con il dolore o con la paura del dolore. Ti accorgi che sono figli di quella disobbedienza che si muove nelle membra in contrasto con la legge della mente ( Rm 7,23 ) e non si arrende al comando della ragione. Anch'essa però spesso o si frena con il dolore fisico, per esempio con le bastonate, o si reprime incutendo spavento o sentimenti simili, ma non con il comando della volontà. Tuttavia Gesù, poiché in lui c'era la somiglianza della carne del peccato, volle soffrire le mutazioni delle età cominciando dalla stessa infanzia e sembra che avrebbe potuto quella sua carne raggiungere anche la morte per vecchiaia, se non fosse stato ucciso da giovane. Ecco però la differenza: nella carne del peccato la morte è pagata per debito di disobbedienza, invece nella carne somigliante a quella del peccato la morte è stata accolta per volontà d'obbedienza. Tanto che sul punto di andarle incontro e di soffrirla Gesù disse: Ecco, viene il principe di questo mondo e in me non troverà nulla; ma perché tutti sappiano che io faccio la volontà del Padre mio, alzatevi e andiamo via di qui. ( Gv 14,30-31 ) Detto questo, andò verso la morte indebita, facendosi obbediente fino alla morte. ( Fil 2,8 ) 30.49 - La redenzione di Gesù ha giovato a noi più di quanto ci abbia nociuto il peccato di Adamo Perciò coloro che obiettano: Se il peccato del primo uomo è stato per noi causa di morte, la venuta del Cristo sarebbe per noi causa di abolizione della morte, se crediamo in lui e ne aggiungono quasi la ragione dicendo: Infatti la trasgressione del prevaricatore non ha nociuto a noi più di quanto abbia giovato a noi l'incarnazione o la redenzione del Salvatore, perché invece non osservano, perché non ascoltano, perché non credono senza alcuna incertezza quello che ha detto l'Apostolo inequivocabilmente: A causa di un uomo venne la morte, a causa di un uomo verrà anche la risurrezione dei morti, e come tutti muoiono in Adamo, cosi tutti riceveranno la vita nel Cristo? ( 1 Cor 15,21-22 ) Non parlava se non della risurrezione del corpo. Ha detto dunque che la morte corporale di tutti è stata causata da un solo uomo e ha promesso che per opera del solo Cristo ci sarà la risurrezione corporale di tutti alla vita eterna. Perché dunque Adamo peccando avrebbe nociuto a noi più di quanto abbia giovato a noi il Cristo redimendoci, se per il peccato del primo moriamo temporalmente e invece per la redenzione del secondo non risorgiamo alla vita temporale, ma a quella eterna? Il nostro corpo è morto dunque per il peccato, solo il corpo del Cristo è morto senza il peccato allo scopo che nel sangue da lui versato senza colpa fossero distrutti gli addebiti registrati di tutte le colpe, ( Col 2,14 ) a causa dei quali i debitori che credono in lui erano prima detenuti dal diavolo. Perciò dice: Questo è il mio sangue che sarà versato per molti in remissione dei peccati. ( Mt 26,28 ) 31.50 - Perché il battesimo non ci rende subito immortali? Ma avrebbe potuto donare ai credenti anche questo: di non provare nemmeno la morte di questo corpo. Però se l'avesse fatto, la carne riceverebbe un certo aumento di felicità, ma la fede subirebbe un abbassamento di fortezza. Gli uomini infatti temono tanto questa morte che riporrebbero tutta la felicità dei cristiani solo nella loro assoluta impossibilità di morire. E cosi nessuno si affretterebbe, attraverso anche la virtù del disprezzo di questa morte, alla grazia del Cristo per ottenere quella vita che sarà beata dopo questa morte, ma si crederebbe con fede troppo molle nel Cristo per allontanare l'orrore della morte. Ha dunque concesso più grazia, ha senza dubbio donato qualcosa di più ai suoi fedeli. Che ci sarebbe stato infatti di grande per un cristiano a credersi non morituro, vedendo che i credenti non morivano? Quanto è più grande, quanto più forte, quanto più lodevole per un cristiano morituro credere cosi da sperare di vivere senza fine! Ad alcuni inoltre alla fine dei tempi sarà concesso di non sentire questa morte, per una trasformazione repentina, ma di essere rapiti insieme ai risorti tra le nuvole per andare incontro al Cristo nell'aria e di vivere sempre cosi con il Signore. ( 1 Ts 4,16 ) E giustamente sarà concesso ad essi, perché allora non ci saranno più posteri da indurre a credere in forza di questo motivo: non la speranza di ciò che non vedono, ma l'amore di ciò che vedono. E una fede siffatta sarebbe fiacca e debole, nemmeno degna d'esser chiamata fede, dal momento che la fede è stata definita cosi: La fede è il fondamento di coloro che sperano, è la prova delle realtà che non si vedono. ( Eb 11,1 ) Tanto che la stessa Lettera agli Ebrei, dove ciò sta scritto, dice, dopo aver enumerato alcuni che piacquero a Dio per la loro fede: Nella fede morirono tutti costoro, pur non avendo conseguito i beni promessi, ma avendoli solo veduti e salutati da lontano, dichiarando d'essere stranieri e pellegrini sopra la terra. ( Eb 11,13 ) E poco dopo conclude lo stesso elogio della fede cosi: Eppure tutti costoro, pur avendo ricevuto per la loro fede una buona testimonianza, non conseguirono la promessa di Dio. Dio aveva in vista qualcosa di meglio per noi, perché essi non ottenessero la perfezione senza di noi. ( Eb 11,39-40 ) Questo elogio della fede non ci sarebbe né ci sarebbe la fede stessa, come ho già detto, se gli uomini nel credere tenessero dietro a premi visibili, cioè se ai credenti fosse pagata per ricompensa l'immortalità in questo secolo. 31.51 - Anche la morte è un esercizio di fede Perciò il Signore stesso volle morire, com'è scritto, per ridurre all'impotenza mediante la morte colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo, e liberare cosi quelli che per timore della morte erano soggetti a schiavitù per tutta la vita. ( Eb 2,14-15 ) Questo testo insegna bene che l'attuale morte corporale è cominciata per iniziativa e istigazione del diavolo, cioè per il peccato a cui egli persuase Adamo: non per altro potrebbe dirsi con tutta verità che abbia il potere della morte. Perciò colui che moriva senza alcun peccato, né originale né proprio, disse, come ho ricordato poco sopra: Ecco, viene il principe di questo mondo, ossia il diavolo che aveva il potere della morte, e in me non trova nulla, ( Gv 14,30-31 ) ossia nulla del peccato per il quale ha fatto morire gli uomini. E quasi gli si chiedesse: "Perché dunque tu muori?", risponde: Perché tutti sappiano che io faccio la volontà del Padre mio, alzatevi e andiamo via di qui, cioè "perché io muoia non a causa del peccato sotto l'istigatore del peccato, ma a causa dell'obbedienza e della giustizia, essendomi fatto obbediente fino alla morte". ( Fil 2,8 ) E questo dunque insegna tale testimonianza: anche la vittoria dei credenti sulla paura della morte fa parte dello stesso combattimento della fede, il quale sarebbe certo mancato se ai credenti fosse stata concessa immediatamente l'immortalità. 32.52 - Rientra nel regime della fede l'invisibilità del Cristo risorto Sebbene dunque il Signore abbia fatto molti miracoli visibili, perché da essi la fede stessa sbocciasse come da teneri germogli e poi da quella tenerezza si consolidasse in tutta la sua robustezza - tanto più forte è infatti quanto più evita ormai d'andare in cerca di miracoli -, tuttavia ha voluto che noi aspettassimo senza vederlo ciò che speriamo come promesso, perché il giusto vivesse in virtù della sua fede. ( Rm 1,17 ) Questo è tanto vero che egli stesso, risorgendo il terzo giorno, non volle rimanere tra gli uomini. Dopo aver mostrato nella sua carne il modello della risurrezione a coloro che si degnò di costituire testimoni di questo fatto, ( Mc 16,7; Lc 24,48 ) ascese al cielo, sottraendosi anche ai loro, occhi. E non concesse alla carne di nessuno di essi nulla di simile a quello che aveva mostrato nella propria carne, perché anch'essi vivessero in virtù della fede e il premio che poi sarà visibile di quella giustizia nella quale si vive in virtù della fede lo aspettassero frattanto con pazienza senza vederlo. A questo senso credo si debba riportare anche quanto dice dello Spirito Santo: Egli non può venire, se io non me ne vado. ( Gv 16,7 ) Era come dire: "Non potete vivere da giusti in virtù della fede, come avrete dal mio Dono, cioè dallo Spirito Santo, se non toglierò dai vostri occhi quello che vedete, perché il vostro cuore progredisca spiritualmente credendo a realtà invisibili". Questa giustizia che proviene dalla fede la esalta ugualmente cosi, parlando dello Spirito Santo: Egli convincerà il mondo quanto al peccato, alla giustizia e al giudizio. Quanto al peccato, perché non credono in me; quanto alla giustizia, perché vado al Padre e non mi vedrete più. ( Gv 16,8-10 ) Che giustizia è questa per cui non lo vedrebbero più se non quella per cui il giusto vivesse in virtù della fede ( Rm 1,17; Gal 3,11 ) e noi, non guardando a realtà che si vedono, ma a realtà che non si vedono, aspettassimo la speranza della giustizia con spirito animato dalla fede? 33.53 - La remissione dei peccati non comporta immediatamente l'estinzione delle pene del peccato Coloro poi che obiettano: Se questa morte temporale fosse accaduta per il peccato, certamente non moriremmo dopo la remissione dei peccati che il Redentore ci ha regalato, non capiscono come Dio, pur togliendone il reato perché non ci danneggi dopo questa vita, lasci tuttavia sussistere queste nostre condizioni per la lotta della fede, perché per mezzo di esse si esercitino e si avvantaggino coloro che progrediscono nel combattimento della giustizia. Potrebbe infatti anche qualche altro, fraintendendo alla stessa maniera, dire: Se fu per il peccato che Dio disse all'uomo: Con il sudore del tuo volto mangerai il pane, spine e cardi produrrà per te la terra, ( Gen 3,18-19 ) perché mai anche dopo la remissione dei peccati rimane questa fatica e perfino la terra dei fedeli produce i medesimi prodotti, duri e aspri? Similmente, se per il peccato fu detto alla donna: Con dolore partorirai figli, ( Gen 3,16 ) perché anche dopo la remissione dei peccati le donne cristiane soffrono nel parto i medesimi dolori? E tuttavia risulta che quei primi uomini udirono e meritarono da Dio queste punizioni per il peccato che avevano commesso. Né si oppone a queste parole del Libro divino che ho riferito sul lavoro dell'uomo e sul parto della donna se non chi, totalmente alieno dalla fede cattolica, avversa le medesime Lettere. 34.54 - Con la redenzione le condizioni dell'umanità sono rimaste quelle provocate dal peccato, ma hanno assunto uno scopo diverso Ma poiché non mancano nemmeno costoro, rispondiamo loro che quei mali prima della remissione dei peccati sono castighi dei peccatori e dopo la remissione sono invece prove ed esercitazioni dei giusti. Cosi anche a quelli che ugualmente si risentono della morte corporale dobbiamo rispondere confessando che essa è stata causata dal peccato e non disdegnando che, dopo la remissione dei peccati, ci sia stata lasciata come prova, perché quanti progrediscono superino la grande paura della morte. Se infatti vincere lo spauracchio della morte fosse una piccola impresa per la fede che opera mediante la carità, ( Gal 5,6 ) non sarebbe cosi grande la gloria dei martiri, né il Signore direbbe: Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici. ( Gv 15,13 ) Giovanni lo dice nella sua lettera scrivendo: Com'egli ha dato la sua vita per noi, cosi anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli. ( 1 Gv 3,16 ) La pazienza straordinaria nell'affrontare o nel disprezzare la morte per la giustizia non verrebbe dunque lodata, se la tristezza della morte non fosse grave e molto dura. Chi ne vince il timore con la fede, si guadagna una grande gloria e una giusta mercede da parte della stessa fede. Non c'è dunque da meravigliarsi né che la morte corporale non sarebbe esistita per l'uomo se non ci fosse stato precedentemente il peccato, del quale doveva essere una conseguenza anche tale pena, né che dopo la remissione dei peccati la morte resti per i cristiani perché nel vincere la sua paura si eserciti la fortezza della giustizia. 34.55 - Lo stesso Adamo fu trattato come siamo trattati noi attualmente Non era carne del peccato la carne che fu fatta all'inizio e nella quale l'uomo in mezzo alle delizie del paradiso non volle osservare la giustizia. Perciò Dio stabilì che la carne del peccato, propagatasi dopo il peccato dell'uomo, dovesse lottare in mezzo a fatiche e molestie per ricuperare la giustizia. Anche per questo Adamo, dimesso dal paradiso, fissò la sua dimora di fronte all'Eden, ( Gen 3,23 ) cioè di fronte alla patria delle delizie, a significare che nelle fatiche, l'opposto delle delizie, doveva rieducarsi la carne del peccato, la quale nelle delizie, prima d'essere carne del peccato, non osservò l'obbedienza. Come dunque quei primi uomini vivendo poi nella giustizia, per la quale meritamente si credono liberati mediante il sangue del Signore dall'estremo castigo, non meritarono tuttavia d'essere richiamati durante la loro vita nel paradiso, cosi anche la carne del peccato, per quanto dopo la remissione dei peccati una persona sia vissuta in essa con giustizia, non merita immediatamente di non soffrire quella morte che ha tratto dalla propaggine del peccato. 34.56 - Anche a Davide fu fatto un trattamento simile Qualcosa di simile c'insinua il Libro dei Re a proposito di Davide. Essendo stato mandato a lui il profeta e minacciandogli per il peccato da lui commesso mali futuri in nome dell'indignazione di Dio, egli con la confessione del suo peccato meritò il perdono e il profeta gli rispose ( 2 Sam 12,13 ) che il suo vergognoso delitto gli era stato rimesso. Tuttavia seguirono i castighi che Dio aveva minacciato, perché fosse cosi umiliato nel figlio. Come mai non si dice anche qui: "Se Dio aveva minacciato il castigo per quel peccato, per quale ragione esegui il castigo minacciato dopo aver rimesso il peccato?". Se si dicesse questo, si risponderebbe ottimamente che la remissione del peccato fu fatta perché Davide non fosse escluso dalla vita eterna e le minacce di Dio furono eseguite perché la pietà di Davide si esercitasse e si provasse in quella umiliazione. Cosi anche quanto alla morte temporale è vero e che Dio l'ha inflitta all'uomo per il peccato e che dopo la remissione dei peccati non l'ha soppressa per far esercitare all'uomo la giustizia. 35.57 - " Non pieghiamo né a destra né a sinistra " Riteniamo dunque l'indiscutibile professione di fede. C'è uno solo che è nato senza peccato nella somiglianza della carne del peccato, che è vissuto senza peccato in mezzo ai peccati altrui, che è morto senza peccato per i peccati nostri. Non deviamo né a destra, né a sinistra. ( Pr 4,27 ) Deviare a destra è ingannare se stesso dicendosi senza peccato, deviare a sinistra è abbandonarsi ai peccati senza alcun timore per non so quale perversa e riprovevole sicurezza. Infatti il Signore conosce le vie di destra, ( Pr 4,27 ) egli che è il solo senza peccato e il solo che può distruggere i nostri peccati; ma le vie di sinistra sono contorte, ( Pr 4,27 ) e sono le amicizie con i peccati. Ci hanno trasmesso un'immagine del popolo nuovo anche quei giovani ventenni che entrarono nella terra promessa ( Nm 14, 29ss ) e dei quali si dice che non si volsero né a destra, né a sinistra. ( Gs 23,6 ) L'età di venti anni non è certo da equiparare all'innocenza dei bambini, ma, se non sbaglio, questo numero adombra e indica qualcosa di mistico. Il Vecchio Testamento eccelle per i cinque libri di Mosè, mentre il Nuovo Testamento rifulge per l'autorità dei quattro Vangeli. Questi numeri moltiplicati tra loro dànno venti: quattro per cinque o cinque per quattro fanno venti. Ecco indicato il popolo che istruito nel regno dei cieli per mezzo dei due Testamenti, Vecchio e Nuovo, senza volgersi né a destra per superba presunzione di giustizia, né a sinistra per tranquillo amore di peccato, entrerà nella terra di quella promessa, dove quanto ai peccati non avremo più ormai né da pregare che ci vengano rimessi, né da temere che ne veniamo puniti poiché ne siamo stati liberati da quel Redentore che, non venduto come schiavo del peccato, ha redento Israele da tutte le sue colpe, sia da quelle commesse da ciascuno nella sua propria vita, sia da quelle contratte originalmente. 36.58 - Una timida concessione dei pelagiani: anche i bambini abbisognano della redenzione Non hanno certamente ceduto poco all'autorità e alla verità delle Scritture divine coloro che, senza voler dire apertamente nei loro scritti che è necessaria ai bambini la remissione dei peccati, hanno tuttavia confessato che essi sono bisognosi di redenzione. Con parola diversa, ma presa anch'essa dalla cultura cristiana, non hanno detto proprio niente di diverso [ dalle Scritture ]. Né per coloro che leggono gli Scritti divini con fede, li ascoltano con fede, li applicano con fede dev'esserci alcun dubbio che da quella prima carne, diventata carne di peccato per volontà di peccato, poi attraverso la successione sia passata in tutti la proscrizione del peccato e si sia propagata la carne del peccato, con l'unica eccezione per la carne somigliante alla carne del peccato, la quale tuttavia non esisterebbe, se non esistesse la carne del peccato. 36.59 - Problemi difficili che riguardano l'anima. Ma forse la loro soluzione non è necessaria alla salvezza Riguardo poi all'anima e alla sua colpevolezza vasta è la ricerca. Non possiamo dire infatti che soltanto la carne del bambino e non anche la sua anima, abbia bisogno dell'aiuto del Salvatore e Redentore, e che l'anima sia estranea al rendimento di grazie che si legge nei Salmi: Benedici il Signore, anima mia, non dimenticare tanti suoi benefici. Egli perdona tutte le tue colpe, e guarisce tutte le tue malattie, salva dalla fossa la tua vita. ( Sal 103,2-4 ) Nell'ipotesi che l'anima si propaghi alla stessa maniera del corpo ci domandiamo se sia stata direttamente coinvolta nel reato che le dev'essere rimesso, oppure se anche senza essere stata propagata, abbia bisogno della remissione dello stesso peccato e della sua redenzione già per il solo fatto che viene unita alla carne del peccato, dalla quale è necessariamente gravata. In questo caso giudica Dio con la sua somma prescienza quali fanciulli non meritino di essere assolti da questo peccato, compresi quelli che, non essendo ancora nati, ( Rm 9, 11 ) nulla in nessun luogo hanno fatto di bene o di male con la propria vita. Infine in che modo Dio, anche ammesso che non crei le anime per trasmissione, non sia comunque colpevole del medesimo reato che rende necessaria la redenzione del sacramento anche all'anima di un bambino. Sono tutte domande che reclamano un'altra discussione, temperata però a mio avviso con tale moderazione da far meritare lode ad una cauta ricerca piuttosto che biasimo ad un giudizio precipitoso. Quando infatti si discute di vertenze oscurissime senza l'aiuto di testi chiari e sicuri da parte delle autorità divine, la presunzione umana deve frenarsi senza declinare verso un giudizio affrettato. Infatti, anche se ignoro come una qualsiasi di tali questioni si può spiegare e risolvere, credo tuttavia che, se l'uomo non potesse ignorarne la soluzione senza mettere in pericolo la salvezza promessa, anche per questa sola ragione la testimonianza della parola di Dio sarebbe chiarissima. Ecco, secondo le mie forze, il frutto delle mie fatiche. Vorrei che fosse tanto utile quanto è lungo. Ne difenderei forse la lunghezza, se per difenderlo non temessi di renderlo ancora più lungo. Libro III Al carissimo figlio Marcellino il Vescovo Agostino, servo del Cristo e servo dei servi del Cristo, salute nel Signore. 1.1 - L'argomento di questo terzo libro Avevo già risposto con due lunghi libri alle questioni che mi sottoponesti e sulle quali mi chiedevi di scriverti qualcosa. Anzitutto contro quanti dicono che Adamo sarebbe morto anche se non avesse peccato e che nel suo peccato non è passato nulla per propagazione nei suoi discendenti; in modo particolare poi in riferimento al battesimo dei bambini, che tutta la Chiesa universale celebra costantemente con prassi piissima e materna; e infine sulla questione se in questa vita esistano, siano esistiti ed esisteranno uomini senza nessun peccato. Con questi libri non mi sembra certamente d'esser venuto incontro su questo terreno a tutte le attese di tutti - ciò non so se a me o a chiunque altro sia possibile, anzi non dubito che sia impossibile -; ma tuttavia mi sembra d'aver fatto qualcosa per cui i difensori della fede, trasmessa su questi temi dai nostri predecessori, non si trovino completamente disarmati di fronte alle novità di quanti dissentono. Ma dopo pochissimi giorni ho letto alcuni scritti di Pelagio, uomo santo, mi si dice, e cristiano di non poca perfezione. Essi contengono brevissime spiegazioni delle Lettere dell'apostolo Paolo. Al passo dove l'Apostolo dice che a causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e con il peccato la morte e cosi ha raggiunto tutti gli uomini, ( Rm 5,12 ) ho trovato una particolare argomentazione di coloro che negano che i bambini portino in sé il peccato originale. Confesso che in quei miei volumi, pur tanto lunghi, non ho confutato tale argomentazione, perché non mi è venuto in mente che qualcuno potesse pensare o fare affermazioni simili. Perciò, non avendo io voluto aggiungere nulla a quell'opera a cui avevo già posto definitivamente termine, ho creduto di dover inserire in questa lettera sia la sopraddetta argomentazione con le stesse parole in cui l'ho letta, sia l'argomentazione contraria che mi sembra di doverle opporre. 2.2 - I bambini nel battesimo diventano credenti e come tali partecipano alla redenzione Quella argomentazione è formulata cosi: Coloro che sono contro la trasmissione del peccato cercano di confutarla nella seguente maniera: Se il peccato di Adamo, dicono, nuoce pure a coloro che non peccano, logicamente anche la giustizia del Cristo giova ugualmente a coloro che non credono, perché l'Apostolo dice che per mezzo di un solo uomo gli uomini si salvano, come e anzi più di come sono periti a causa di un solo uomo. Come ho detto, in quei miei libri che ti ho scritto non ho risposto a questa argomentazione e non mi sono sognato affatto di confutarla. Il primo punto che devi osservare è come essi giudichino assurdissimo e falsissimo che la giustizia del Cristo giovi anche ai non credenti, quando dicono: Se il peccato di Adamo nuoce pure a coloro che non peccano, anche la giustizia del Cristo giova ugualmente a coloro che non credono. Da ciò pensano logico concludere che nemmeno il peccato del primo uomo ha potuto nuocere ai bambini non peccanti, come anche la giustizia del Cristo non può giovare alle persone non credenti. Dicano allora cosa giovi la giustizia del Cristo ai bambini battezzati, dicano assolutamente quello che vogliono. Certamente se si ricordano d'esser cristiani, non esitano ad ammettere un qualche giovamento. Perciò in qualunque modo giovi il battesimo, esso non può giovare a persone non credenti, come asseriscono essi stessi. Sono costretti quindi a computare i bambini battezzati nel numero dei credenti e a concordare con l'autorità della santa Chiesa d'ogni luogo, la quale non li stima indegni del nome di fedeli, non potendo la giustizia del Cristo, anche secondo costoro, giovare ai bambini se non in quanto credenti. Come dunque lo spirito di giustizia di coloro per mezzo dei quali i bambini rinascono trasferisce in questi, mediante la loro risposta, quella fede che non hanno potuto avere ancora per volontà propria, cosi la carne del peccato di coloro per mezzo dei quali nascono trasferisce in essi quella colpa che non hanno ancora contratto con la propria vita. E come lo Spirito della vita li rigenera fedeli nel Cristo, cosi il corpo della morte li aveva generati peccatori in Adamo. La prima generazione infatti è generazione carnale, l'altra spirituale, la prima ci fa figli della carne, la seconda figli dello Spirito, la prima figli della morte, la seconda figli della risurrezione, la prima figli del secolo, la seconda figli di Dio, la prima figli dell'ira, la seconda figli della misericordia, e perciò la prima ci vincola al peccato originale, la seconda ci svincola da ogni peccato. 2.3 - La condanna dei bambini non battezzati, ammessa anche dai pelagiani, sarebbe ingiusta senza la presenza in loro del peccato originale Dobbiamo infine sentirci obbligati ad accettare per autorità divina ciò che non riusciamo a comprendere con la più perspicace intelligenza. Fanno bene costoro a ricordare che la giustizia del Cristo non può giovare se non a persone credenti e a riconoscere che giova in qualche modo ai bambini. Allora, come abbiamo detto, dal battesimo in poi devono computarli senza alcuna esitazione nel numero dei credenti. Logicamente dunque se non vengono battezzati, saranno tra coloro che non credono: quindi non avranno la vita, ma l'ira di Dio rimane su di loro, perché chi non crede nel Figlio non avrà la vita, ma l'ira di Dio incombe su di lui; ( Gv 3,36 ) quindi sono stati giudicati, perché chi non crede è già stato giudicato; ( Gv 3,18 ) quindi saranno condannati perché chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato. ( Mc 16,16 ) Ora, vedano costoro con quale giustizia tentino o si affannino di asserire che non sono destinati alla vita eterna, ma all'ira di Dio perché giudichi lui e condanni gli uomini che sono senza peccato; se, come non hanno peccato proprio, cosi non c'è in essi nessun peccato originale. 2.4 - I problemi discussi non sono facili: occorre pregare A tutte le altre argomentazioni che Pelagio mette in bocca a coloro che discutono contro il peccato originale ho già risposto, penso sufficientemente e chiaramente, in quei due libri del mio lungo lavoro. Se tale mia opera ad alcuni sembrerà piccola o oscura, mi perdonino e si mettano d'accordo con quelli che forse la disapprovano non perché piccola, ma perché eccessiva; e coloro poi che non arrivano ancora all'intelligenza delle affermazioni che io stimo d'aver fatto in modo lucido, per quanto lo comportava la natura delle questioni, non mi accusino di negligenza o d'insufficiente capacità, ma piuttosto preghino Dio di ricevere da lui il dono dell'intelligenza. 3.5 - Le tesi degli eretici esposte da Pelagio nel suo Commento alle Lettere di S. Paolo Dobbiamo tuttavia notare senza negligenza che quest'uomo buono e lodevole, come ne parlano quanti lo conoscono, non ha messo fuori tale argomentazione contro la propaggine del peccato originale in nome proprio, ma ha fatto conoscere ciò che dicono quelli che non l'approvano, e non solo ha fatto conoscere questo che ho esposto adesso e a cui ho risposto, ma anche tutti gli altri ragionamenti ai quali ho ricordato d'aver già risposto in quei libri. Infatti dopo aver detto: Se il peccato di Adamo nuoce pure a coloro che non peccano, logicamente anche la giustizia del Cristo giova ugualmente a coloro che non credono - e nella mia risposta vedi come questo non contrasta con quanto diciamo, ma anzi ci suggerisce che cosa dobbiamo dire -, seguitando aggiunge: Dicono inoltre: Se il battesimo monda quell'antica colpa, coloro che sono nati da due persone battezzate devono essere esenti da tale peccato, perché i genitori non potevano trasmettere ai posteri il peccato che essi stessi non avevano più. C'è pure da aggiungere che se a venire per trasmissione non è l'anima, ma la carne soltanto, unicamente la carne riceve il peccato per trasmissione e unicamente la carne ne merita la pena. Dicono ingiusto che l'anima nata oggi e non dalla massa di Adamo porti un peccato altrui tanto antico. Dicono ancora privo di qualsiasi ragione che Dio, mentre rimette i peccati propri, imputi i peccati altrui. 3.6 - Qual era la convinzione personale di Pelagio? Ti prego, non vedi come Pelagio abbia messo tutto questo nei suoi scritti non in nome proprio, ma in nome di altri, tanto era convinto trattarsi di non so quale novità che ha cominciato ora a rumoreggiare contro l'antica, radicale fede della Chiesa da vergognarsi o da temere di abbracciarla per proprio conto? E forse egli personalmente non ritiene che nasca senza peccato l'uomo al quale riconosce necessario il battesimo in cui si fa la remissione dei peccati. Forse egli personalmente non ritiene che senza peccato si danni l'uomo, il quale se non è battezzato si deve necessariamente computare tra i non credenti, non potendo sbagliare la Scrittura evangelica nel dire apertissimamente: Chi non crederà sarà condannato. ( Mc 16,16 ) Forse infine egli personalmente non ritiene che senza peccato l'immagine di Dio venga esclusa dal regno di Dio, com'è scritto: Se uno non rinasce dall'acqua e dallo Spirito, non può entrare nel regno di Dio, ( Gv 3,5 ) cosicché senza peccato o venga precipitata nella morte eterna o ancora più assurdamente abbia la vita eterna fuori dal regno di Dio, quando il Signore predicendo che cosa alla fine dire ai suoi: Venite, benedetti del Padre mio, ricevete il regno preparato per voi fino dalla fondazione del mondo, ( Mt 25,34 ) ha pure manifestato che cosa fosse il regno di cui parlava, concludendo: Cosi se ne andranno quelli nella combustione eterna e i giusti alla vita eterna. ( Mt 25,46 ) Credo dunque che questi ed altri corollari che derivano da tale errore, troppo perversi e troppo contrastanti con la verità cristiana, non li condivida affatto quest'uomo che è cristiano in maniera tanto egregia. Ma può darsi anche che Pelagio subisca talmente le argomentazioni di quanti respingono la trasmissione del peccato da aspettare d'udire o di conoscere che cosa venga contrapposto a costoro. Perciò quanto dicono quelli che respingono la trasmissione del peccato da una parte non l'ha voluto tacere per insinuare che è questione da discutere, dall'altra parte l'ha rimosso dalla propria persona, perché non fosse giudicato consenziente anche lui personalmente. 4.7 - Dobbiamo tenere per guida le indicazioni evidenti della Scrittura Anche se non riuscissi a confutare gli argomenti di costoro, io vedo tuttavia che bisogna rimanere attaccati alle verità che nelle Scritture sono evidentissime, perché partendo da queste si svelino le verità oscure. Oppure, se la mente non è ancora capace o di comprenderle come già dimostrate o d'investigarle come tuttora astruse, si credano per fede senza alcuna esitazione. Ebbene, che cosa di più manifesto di tante e cosi grandi testimonianze della parola di Dio, dalle quali appare limpidissimamente che nessuno può giungere alla vita e salvezza eterna al di fuori della società del Cristo e che nessuno può essere dal giudizio divino condannato ingiustamente, cioè escluso da quella vita e salvezza? Ne viene la conseguenza che, non facendo altro il battesimo se non incorporare i bambini nella Chiesa, ossia associarli al corpo e alle membra del Cristo, ( Ef 1,23 ) essi sono evidentemente destinati alla dannazione, se ad essi non viene conferito il battesimo. Ma non potrebbero essere condannati, se veramente non avessero un peccato. E poiché quell'età non ha potuto fare nessun peccato nella propria vita, non resta che avere l'intelligenza o, se questa non ci è ancora possibile, avere almeno la fede che i bambini contraggono il peccato originale. 4.8 - Testi evidenti della Scrittura che illuminano un testo di S. Paolo incerto per alcuni Perciò se hanno qualcosa d'ambiguo le parole apostoliche: A causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mando e con il peccato la morte e cosi ha raggiunto tutti gli uomini, ( Rm 5,12 ) e ammesso che possano a volte essere tirate ad altro senso, è forse ambigua anche la dichiarazione: Se uno non rinasce dall'acqua e dallo Spirito, non può entrare nel regno di Dio? ( Gv 3,5 ) Sono forse ambigue anche le altre parole: Lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati? ( Mt 1,21 ) Sono forse ambigue anche le altre: Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati? ( Mt 9,12 ) Cioè Gesù non è necessario a coloro che non hanno il peccato, ma a coloro che devono essere salvati dal peccato. È forse ambigua anche l'affermazione di Gesù che, se gli uomini non mangeranno la sua carne, ( Gv 6,54 ) se cioè non saranno partecipi, del suo corpo, non avranno la vita? Con queste ed altre simili testimonianze che ora tralascio, splendenti di luce divina, certissime di autorità divina, la Verità non proclama forse senza nessuna ambiguità che i bambini non battezzati non solo non possono entrare nel regno di Dio, ma non possono nemmeno avere la vita eterna fuori dal corpo del Cristo, al quale s'incorporano ricevendo il sacramento del battesimo? La Verità non attesta forse senza dubbio di sorta che dalle pie mani di coloro che li portano non per altro i bambini vengono portati a Gesù, cioè al Cristo, salvatore e medico, se non per essere guariti dalla peste del peccato mediante la medicina dei suoi sacramenti? Perché dunque riguardo alle parole dell'Apostolo, se di esse eventualmente dubitavamo, esitiamo ad intenderle anch'esse in modo che si accordino con queste testimonianze delle quali non possiamo dubitare? 4.9 - Quello di S. Paolo non è un testo troppo incerto Quantunque, in tutto quel passo dove l'Apostolo dichiara che per il peccato di uno solo è venuta la condanna di molti e per la giustizia di uno solo è venuta la giustificazione di molti, ( Rm 5,18 ) niente mi sembra incerto all'infuori delle parole: Adamo, forma del futuro. ( Rm 5,14 ) Questo concetto infatti non si adatta realmente solo alla sentenza che i discendenti di Adamo sarebbero stati generati nella sua medesima forma, cioè con il suo peccato, ma le parole di Paolo possono essere tirate a tanti e tanti diversi significati. Anche noi per esempio ne abbiamo fatto talvolta e ne faremo forse applicazione diverse senza contraddire tuttavia il senso primo, e lo stesso Pelagio non si è attenuto ad una sola esposizione. Le altre asserzioni poi che vengono fatte nel medesimo testo, considerate e trattate diligentemente, come in qualche modo mi sono sforzato di fare nel primo di quei libri, sebbene per difficoltà di argomento portino ad un discorso un po' oscuro, non potranno però avere altro senso all'infuori di quello che ha tenuto la Chiesa fino dall'antichità e cioè che i bambini fedeli hanno sempre ricevuto per mezzo del battesimo del Cristo la remissione del peccato originale. 5.10 - La dottrina di S. Cipriano sul peccato originale nei bambini Perciò non senza ragione il beato Cipriano dimostra come la Chiesa osservi ciò che è stato creduto e inteso fino dagli inizi. Poiché era stato consultato se il battesimo fosse da darsi prima dell'ottavo giorno, egli asserisce che anche i bambini appena nati sono già idonei a ricevere il battesimo del Cristo. Si sforza di dimostrare con tutte le sue possibilità che i neonati erano già perfettamente idonei al battesimo, perché nessuno, quasi per rispetto al numero dei giorni, in quanto anticamente i bambini erano circoncisi nell'ottavo giorno, credesse di dover attendere ancora che diventassero idonei. Ma, per quanto svolga un grande patrocinio in loro difesa, confessa tuttavia che essi non sono immuni dal peccato originale, perché, negando questo, toglierebbe lo stesso motivo del battesimo, in vista della cui recezione li difendeva. Puoi leggere, se vuoi, la stessa lettera del suddetto martire Sul battesimo dei bambini: a Cartagine non può mancare. Ma anche qui ho creduto di doverne riferire quanto può bastare alla presente questione. Considera attentamente quello che scrive: Dice: Riguardo al bambini, che tu dici non essere opportuno battezzare nel secondo o terzo giorno dalla nascita e doversi tener conto della legge dell'antica circoncisione, cosi da credere che un neonato non si debba battezzare e santificare prima dell'ottavo giorno, ben altro è sembrato opportuno a noi nel nostro Concilio. In esso infatti nessuno approvò quello che tu credi doversi fare, ma tutti invece giudicammo che a nessun neonato si debba negare la misericordia e la grazia di Dio. Dicendo il Signore nel suo Vangelo: "Il Figlio dell'uomo non è venuto a perdere, ma a salvare le anime degli uomini", ( Lc 9,56 ) per quanto dipende da noi, se è possibile, nessun'anima deve perdersi. Non senti come dice, non senti come ritiene non solo per la carne, ma anche per l'anima del bambino esiziale e mortifero uscire da questa vita senza quel salutare sacramento? Perciò anche se non dicesse nient'altro, sarebbe compito nostro capire che un'anima non può perire senza peccato. Ma osserva che cosa poco dopo confessa apertamente dei bambini, pur difendendo la loro innocenza. Dice: Del resto, se qualcosa potesse impedire agli uomini di conseguire la grazia, più di tutto lo potrebbero impedire agli adulti e ai grandi i peccati gravi. Ora, se anche ai più grossi delinquenti e a coloro che hanno peccato molto contro Dio si concede la remissione dei peccati quando sono giunti a credere e se nessuno viene escluso dal battesimo e dalla grazia, quanto meno ne dev'essere escluso un bambino, che, essendo nato da poco, non ha commesso nessun peccato, ma ha solamente contratto il contagio dell'antica morte, nascendo carnalmente secondo Adamo con la prima nascita! Costui anzi ha il diritto d'essere ammesso con più facilità alla remissione dei peccati per il fatto stesso che a lui non si rimettono peccati propri, ma peccati altrui. 5.11 - S. Cipriano si collega all'antica tradizione della Chiesa Vedi con quanta sicurezza fa queste affermazioni un uomo cosi grande, partendo dall'antica e indubitabile regola della fede? Egli porta questi documenti certissimi, proprio perché servano a dimostrare ciò che era incerto. Su tale questione l'aveva consultato colui a cui risponde, ed era stato emanato un decreto del Concilio che gli ricorda: se un bambino fosse portato anche prima dell'ottavo giorno, nessuno esitasse a battezzarlo. Che i bambini fossero implicati nel peccato originale non veniva allora definito o confermato dal Concilio quasi come una verità nuova o come una verità contraddetta allora da qualcuno. L'interrogazione verteva su di un altro argomento. A causa della legge della circoncisione si discuteva se fosse opportuno battezzare i bambini anche prima dell'ottavo giorno. Perciò nessuno fu d'accordo con chi lo negava perché non era già una questione da esaminare o da discutere, ma si riteneva come punto fermo e certo che un'anima sarebbe mancata alla salvezza eterna, se avesse finito questa vita senza la reazione di quel sacramento, sebbene i bambini recentissimi dalla nascita fossero implicati nel solo reato del peccato originale. Perciò anche ad essi era necessaria la remissione dei peccati, benché molto più facile per loro, trattandosi di peccati altrui. Per mezzo di queste verità certe fu risolta la questione incerta dell'ottavo giorno e nel Concilio fu deciso che era lecito venire in aiuto del neonato in qualsiasi giorno perché non perisse in eterno. Si spiegava anche come la stessa circoncisione carnale fosse ombra dell'avvenire. Non nel senso che anche il battesimo si dovesse dare nell'ottavo giorno dalla nascita, ma nel senso che noi veniamo circoncisi spiritualmente nella risurrezione del Cristo, il quale risorse, si, dai morti nel terzo giorno dopo la sua crocifissione, tuttavia in relazione ai giorni che si succedono nella settimana risorse nel giorno ottavo, cioè nel primo giorno dopo il sabato. 6.12 - La testimonianza di S. Girolamo e la testimonianza unanime degli scrittori cristiani sulla presenza del peccato originale nei bambini Adesso, con l'audacia di non so quale nuovo metodo di discussione, taluni tentano di far passare come incerto per noi ciò che i nostri antenati adducevano come certissimo per risolvere quelle che ad altri sembravano incertezze. Non so quando si sia cominciato per la prima volta a discutere su questo punto. Ma so che anche quella santa persona di Girolamo, il quale ancora ai nostri giorni è tanto rinomato per fama e fatica nelle lettere ecclesiastiche, per risolvere certe questioni ricorre nei suoi libri senza alcuna discussione anche a questo insegnamento certissimo. Scrivendo infatti sul profeta Giona, arrivato al passo dove si ricorda che perfino i bambini furono obbligati al digiuno, dice: Si parte dall'età più grande e si giunge alla più piccola. Nessuno è senza peccato, nemmeno se di un solo giorno fosse stata la sua vita e facili a contarsi i suoi anni. Se gli astri non sono puri agli occhi di Dio, quanto meno il verme e la putredine e coloro che sono implicati nel peccato dell'offesa di Adamo! Se ci fosse facile interrogare quest'uomo dottissimo, quanti commentatori delle divine Scritture di ambedue le lingue, quanti scrittori di questioni cristiane egli ci potrebbe ricordare, che da quando è stata costituita la Chiesa non altro ritennero, non altro ricevettero dai predecessori, non altro tramandarono ai posteri! Per conto mio, benché siano molti di meno gli scrittori che ho letto, non ricordo d'aver trovato un insegnamento diverso presso i cristiani che accettano l'uno e l'altro Testamento, non solo presso quelli che vivono nella Chiesa cattolica, ma nemmeno presso quelli che vivono in qualsiasi eresia o scisma. Non ricordo d'aver letto diversamente in coloro di cui ho potuto leggere gli scritti su questi argomenti e che seguissero le Scritture canoniche o credessero di seguirle o volessero che lo si credesse. Non so da dove ci sia scoppiata fuori repentinamente questa laboriosa seccatura. Poco tempo fa trovandomi a Cartagine le mie orecchie furono colpite di sfuggita da queste parole di certe persone che conversavano occasionalmente: I bambini si battezzano non perché ricevano la remissione dei peccati, ma perché vengano santificati nel Cristo. Fui turbato da questa novità, ma sia perché non era opportuno che dicessi qualcosa in contrario, sia perché l'autorità di quelle persone non era tale da preoccuparmi, con facilità misi l'accaduto tra le cose passate e dimenticate. Ed ecco ormai che quell'errore si difende con passione di fiamma [ contro la Chiesa ], ecco che anche con gli scritti si affida alla storia, ecco che la faccenda giunge a tal punto di crisi che veniamo pure consultati dai nostri fratelli, ecco che siamo costretti a discutere e a controbattere con altri scritti. 7.13 - Un'altra testimonianza di S. Girolamo sul peccato originale Pochi anni or sono ci fu a Roma un certo Gioviniano, che si dice persuadesse alle nozze le donne consacrate a Dio, anche d'età alquanto avanzata, non adescando qualcuno a volerle sposare, ma sostenendo nelle sue discussioni che le vergini consacrate non hanno presso Dio nessun merito in più dei fedeli coniugati. Non gli venne tuttavia mai in mente questo espediente: asserire che i bambini nascono senza peccato originale. Se l'avesse potuto inventare, le donne sarebbero state molto più proclivi a sposare, sapendo di mettere alla luce dei figli mondissimi. Nei suoi scritti - ebbe infatti anche l'ardire di scrivere -, che dei fratelli mandarono a Girolamo perché li ribattesse, questi non solo non trovò nulla di simile, ma anzi per la confutazione di alcuni vani argomenti di Gioviniano porta fuori tra molte altre sue prove anche la verità del peccato originale dell'uomo come certissima e come verità di cui era certo che nemmeno Gioviniano dubitava. Queste sono le parole [ di Girolamo ]: "Scrive Giovanni: Chi dice di dimorare nel Cristo, deve comportarsi come lui si è comportato. ( 1 Gv 2,6 ) Scelga [ Gioviniano ] delle due cose quella che vuole, gli consentiamo l'opzione. Dimora egli nel Cristo o non dimora? Se ci dimora, si comporti dunque come il Cristo. Se poi è follia ripromettersi la parità di virtù con il Signore, egli non dimora nel Cristo, perché non si comporta come il Cristo. Egli non commise peccato e non fu trovata falsità nella sua bocca. Se lo maledicevano, non contraccambiava con maledizioni e come agnello sotto chi lo tosa non apri la sua bocca. ( Is 53,7-9; 1 Pt 2,22-23 ) Venne a lui il principe di questo mondo e non ci trovò nulla. ( Gv 14,30 ) Colui che non aveva conosciuto peccato Dio lo trattò da peccato in nostro favore. ( 2 Cor 5,21 ) Noi invece, secondo la Lettera di Giacomo, "manchiamo tutti in molte cose", ( Gc 3,2 ) e "nessuno è mondo da peccati, nemmeno se di un solo giorno è la sua vita". ( Gb 14,4-5 ) Chi infatti può vantarsi d'avere il cuore puro o chi può confidare d'essere immune da peccati? ( Pr 20,9 ) Siamo ritenuti colpevoli a somiglianza di Adamo che prevaricò. ( Rm 5,14 ) Perciò anche Davide dice: "Nell'iniquità fui concepito, nel peccato mi concepì mia madre". ( Sal 51,7 ) 7.14 - L'esistenza del peccato originale nei bambini è la dottrina tradizionale della Chiesa. Si spiega per il fatto che Adamo era tutta l'umanità Non ho ricordato tutto questo perché ci vogliamo appoggiare alle sentenze di autori occasionali quasi abbiano autorità canonica, ma perché appaia che dai primi tempi fino ai nostri giorni, quando è nata questa novità, l'insegnamento del peccato originale è stato custodito nella fede della Chiesa con tanta costanza che esso dai commentatori della parola del Signore veniva addotto come argomento certissimo per confutare altri errori, invece d'esserci qualcuno che lo confutasse come falso. Del resto, nei santi Libri canonici s'impone con forza l'autorità chiarissima e pienissima di questa sentenza, con la quale l'Apostolo grida: A causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e con il peccato la morte e cosi ha raggiunto tutti gli uomini, che tutti hanno peccato in lui. ( Rm 5,12 ) Perciò non si può dire senza fare riserve nemmeno questo: il peccato di Adamo ha nociuto anche ai non peccanti, perché la Scrittura dichiara: Tutti hanno peccato in lui. E questi peccati originali non si dicono peccati altrui nel senso che non appartengano affatto ai bambini, dal momento che in Adamo hanno peccato tutti allorché nella sua natura, per quella forza innata per cui li poteva generare, erano ancora tutti lui solo; ma si dicono peccati altrui, perché gli altri uomini non vivevano ancora la propria vita e la vita di quell'unico uomo conteneva da sola tutto quello che sarebbe stato nella sua discendenza futura. Dio non rimette i peccati senza la rigenerazione battesimale. 8.15 - Dio non imputa propriamente i peccati altrui Dicono: È privo di qualsiasi ragione che Dio, mentre rimette i peccati propri, imputi i peccati altrui. Rimette i peccati, ma ai rigenerati dallo Spirito, non ai generati dalla carne; li imputa, ma non già come altrui, bensì come propri. Ecco, erano peccati altrui quando non esistevano ancora gli uomini che per propagazione li ricevessero e li portassero, adesso invece per la generazione carnale sono già peccati propri di coloro ai quali non sono stati ancora rimessi dalla rigenerazione spirituale. 8.16 - Ancora il problema perché i figli dei battezzati contraggano il peccato originale Dicono: Ma se il battesimo monda da quell'antica colpa, coloro che sono nati da due persone battezzate devono essere esenti da tale peccato, perché i genitori non potevano trasmettere ai posteri il peccato che essi stessi non avevano più. Ecco da dove nella maggioranza dei casi prende forza l'errore: dal fatto che gli uomini su questi problemi hanno prontezza ad interrogare, ma non hanno prontezza ad intendere. A quale uditore infatti o con quali parole potrei io spiegare come la corrotta origine mortale non nuoccia a coloro che sono stati iniziati ad un'altra origine immortale e nuoccia invece a coloro che in forza della medesima origine corrotta nascono da coloro ai quali essa non può nuocere più? Come lo potrà capire un uomo la cui mente un po' tarda è impedita sia dal pregiudizio della propria opinione, sia dall'ostacolo gravissimo della ostinazione? Tuttavia, se io mi fossi assunto questa causa contro gente che proibisse assolutamente di battezzare i bambini o sostenesse l'inutilità di battezzarli, dicendo che i figli dei cristiani acquistano necessariamente il merito dei genitori, avrei allora forse da fare più fatica e da usare maggiore attenzione per convincerla di questa dottrina. Allora, se dinanzi a persone ottuse e litigiose io trovassi a resistermi, per la naturale oscurità dell'oggetto, la difficoltà di respingere il falso e di convincere del vero, forse ricorrerei ad esempi che sono alla mano e rivolterei la domanda: chiederei cioè, a coloro che si sorprendono come il peccato tolto dal battesimo rimanga nei figli dei genitori battezzati, di spiegarmi in che modo il prepuzio tolto dalla circoncisione rimanga nei figli dei genitori circoncisi e in che modo anche la pula separata dal grano con tanta diligenza di lavoro umano ritorni nelle spighe che nascono dal frumento spulato. 9.17 - Non si nasce cristiani né puri da ogni peccato, ma per esserlo bisogna rinascere Con questi e simili esempi a coloro, che credessero superflua l'amministrazione dei sacramenti della purificazione per i figli di genitori già purificati, cercherei forse di far capire in qualche modo quanto invece sia saggio e retto battezzare i figli dei battezzati. Dimostrerei come sia possibile che ad un uomo in possesso di ambedue i germi, e di quello della morte nella carne e di quello dell'immortalità nello spirito, non rechi danno in quanto rigenerato mediante lo Spirito il germe che reca danno al suo figlio in quanto generato mediante la carne; e come sia possibile che nel genitore sia stato mondato dalla remissione ciò che dev'essere mondato anche nel figlio con uguale remissione, come si verifica nella circoncisione o nella trebbiatura e ventilazione. Siccome però adesso stiamo trattando con coloro che ammettono la necessità di battezzare i figli dei battezzati, quanto meglio facciamo a dire a costoro: "Voi che asserite che da persone mondate dalla macchia del peccato dovrebbero nascere figli senza peccato, perché non fate attenzione che ugualmente si potrebbe dire a voi che da genitori cristiani dovrebbero nascere figli cristiani? Perché dunque credete che i figli abbiano bisogno di diventare cristiani? Forse non era cristiano il corpo nei loro genitori, ai quali fu detto: Non sapete che i vostri corpi sono membra del Cristo? ( 1 Cor 6,15 ) O forse, si, il corpo è nato cristiano da genitori cristiani, ma non ha ricevuto un'anima cristiana? Questo sarebbe ancora più strano. Infatti, non credendo voi certamente, d'accordo con l'Apostolo, che l'anima abbia fatto del bene o del male prima di nascere, ( Rm 9,11 ) qualunque delle due sia la vostra opinione su di essa, l'anima o è stata tratta da trasmissione e allora, come il corpo nasce cristiano da persone cristiane cosi pure l'anima dovette esser tratta cristiana; oppure l'anima è stata creata dal Cristo o in un corpo cristiano o per un corpo cristiano e allora dovette o esser creata cristiana o esser mandata cristiana. A meno che non diciate che le persone cristiane possono generare un corpo cristiano e il Cristo da parte sua invece non ha potuto creare un'anima cristiana. Cedete dunque alla verità e rendetevi conto che, se è possibile per vostra stessa confessione che da persone cristiane nasca un figlio non cristiano, che da membra del Cristo nasca chi non è membro del Cristo e - per andare incontro anche a tutti quelli che sono legati ad una religione, sebbene falsa - che da persone iniziate nasca un figlio non iniziato, cosi è anche possibile che da persone mondate nasca un figlio non mondato. Quale risposta darete a chi domanda perché da persone cristiane l'uomo non nasce cristiano se non questa: non è la generazione che fa cristiani, ma la rigenerazione? Allo stesso modo dunque rendetevi conto che ugualmente nessuno è mondato dai peccati nascendo, ma tutti sono mondati rinascendo. E quindi chi nasce da persone mondate, perché rinate, rinasca perché sia mondato anche lui. Ai loro figli i genitori hanno potuto trasmettere quello che essi stessi non avevano più. Non solo per esempio i chicchi di frumento la pula e un uomo circonciso il prepuzio, ma anche, e voi pure lo dite, i fedeli che non hanno più l'infedeltà la trasmettono tuttavia ai figli: e ciò non è proprio dei genitori in quanto rigenerati ormai per mezzo dello Spirito, ma dipende dal vizio del seme mortale per il quale i figli sono stati generati nella carne. Certo infatti i bambini che mediante il sacramento dei fedeli pensate di dover far diventare fedeli non negate che siano nati infedeli da genitori fedeli". 10.18 - L'oscura questione dell'origine dell'anima in ordine al peccato originale Ecco ciò che pensano: Se a venire per trasmissione non è l'anima, ma soltanto la carne, unicamente la carne riceve il peccato per trasmissione ed unicamente la carne ne merita la pena perché dicono sarebbe ingiusto che l'anima nata oggi e non dalla massa di Adamo porti un peccato altrui tanto antico. Sta' attento, ti prego, come Pelagio da uomo circospetto - sono di un suo libro le parole che ho trascritte qui sopra - avverta in quanto difficile questione si trovi nei riguardi dell'anima. Non dice infatti che l'anima non viene per trasmissione, ma se a venire per trasmissione non è l'anima, facendo benissimo a parlare sospensivamente e non risolutamente di un problema tanto oscuro, di cui non possiamo trovare, o con molta difficoltà, delle testimonianze certe e chiare nelle Scritture sante. Anch'io perciò con asserzione non precipitosa replico cosi a questa proposizione: "Se a venire per trasmissione non è l'anima, quale giustizia sarebbe che essa, creata in questo istante e immune da ogni peccato, pienamente esente da ogni contagio di peccato, debba soffrire nei bambini le malattie della carne, i diversi dolori e, cosa ancora più brutta, perfino gli assalti dei demoni? Nulla infatti di tutto questo soffre la carne senza che in essa espii di più l'anima che vive e sente. Se questo appare giusto, allora può ugualmente apparire come sia giusto anche che l'anima vada incontro nella carne, che è pure carne del peccato, al peccato originale, da mondare con il sacramento del battesimo e con l'amore misericordioso della grazia. Se invece non può apparire la giustizia del primo fatto, nemmeno credo la giustizia del secondo. O sopportiamo dunque l'oscurità di ambedue e ci ricordiamo che siamo uomini, o tentiamo altrimenti nei riguardi dell'anima, se ci sembrerà necessario, un altro lavoro, discutendone con sobria cautela". 11.19 - Fuori della Chiesa non c'è salvezza. Ma nessuno fa Chiesa in Gesù e con Gesù senza ricevere i suoi sacramenti Per ora tuttavia le parole dell'Apostolo: A causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e con il peccato la morte e cosi ha raggiunto tutti gli uomini, che tutti hanno peccato in lui ( Rm 5,12 ) intendiamole cosi da non essere giudicati in contrasto insipiente ed infelice con tante e tanto grandi testimonianze delle divine Scritture, le quali c'insegnano che nessuno può ottenere la vita e la salvezza eterna al di fuori della società del Cristo che si fa in lui e con lui quando riceviamo i suoi sacramenti e veniamo incorporati alle sue membra. Non in altro senso fu detto ai Romani: A causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e con il peccato la morte e cosi ha raggiunto tutti gli uomini, ( Rm 5,12 ) se non nel senso in cui è stato detto ai Corinzi: A causa di un uomo venne la morte, a causa di un uomo verrà anche la risurrezione dei morti, e come tutti muoiono in Adamo, cosi tutti riceveranno la vita nel Cristo. ( 1 Cor 15,21-22 ) Nessuno dubita che questo sia stato detto della morte del corpo, perché la questione a cui l'Apostolo si dedicava allora con grande impegno riguardava la risurrezione del corpo. Sembra perciò che qui abbia taciuto del peccato, perché non si trattava della giustizia. Nella Lettera ai Romani invece mette ambedue le cose e le sottolinea ambedue molto a lungo: il peccato in Adamo, la giustizia nel Cristo, la morte in Adamo, la vita nel Cristo. Tutte le parole di questo ragionamento dell'Apostolo, per quanto ho potuto e mi è sembrato sufficiente, le ho esaminate e spiegate, come ho già detto, nel primo dei due libri. 11.20 - La morte corporale è stata causata dal peccato Tuttavia anche nella Lettera ai Corinzi conclude il lungo tratto sulla risurrezione in modo da non lasciarci nessun dubbio che pure la morte del corpo è avvenuta per causa del peccato. Dopo aver detto: È necessario che questo corpo corruttibile si vesta di incorruttibilità e questo corpo mortale si vesta di immortalità. Quando poi questo corpo corruttibile si sarà vestito d'incorruttibibilità e questo corpo mortale d'immortalità, si compirà la parola della Scrittura: La morte è stata ingoiata per la vittoria. Dov'è, o morte, la tua vittoria? Dov'è, o morte, il tuo pungiglione?, aggiunge: Il pungiglione della morte è il peccato e la forza del peccato è la legge. ( 1 Cor 15,53-56 ) Poiché dunque, come lo dichiarano le esplicitissime parole dell'Apostolo, la morte in tanto sarà assorbita per la vittoria in quanto questo corpo corruttibile e mortale si rivestirà d'incorruttibilità e d'immortalità ( Rm 8,11 ), ossia in quanto Dio risusciterà anche i nostri corpi mortali per la presenza in noi del suo Spirito, è manifesto che anche di questa morte corporale, contraria alla risurrezione corporale, l'ago avvelenato fu il peccato: l'ago che inoculò la morte, non l'ago fatto dalla morte: moriamo per il peccato, non pecchiamo per la morte. Si dice dunque pungiglione della morte nello stesso senso in cui si dice albero della vita: ( Gen 2,9 ) non un albero che era stato fatto dalla vita dell'uomo, ma un albero da cui era fatta la vita dell'uomo; cosi pure albero della scienza quello da cui dipendeva la scienza dell'uomo, non un albero che dipendesse dalla scienza dell'uomo. Cosi dunque anche l'ago della morte: l'ago che causò la morte, non l'ago che è stato causato dalla morte. Diciamo ugualmente pozione di morte quella per cui un uomo è morto o può morire, non quella preparata da un moribondo o da un morto. L'ago pertanto della morte è il peccato: per la puntura del peccato è stato condannato a morte il genere umano. Perché cerchiamo ancora di quale morte si tratti, se dell'anima o del corpo, se della prima per cui moriamo tutti o della seconda per cui moriranno allora gli empi? ( Ap 2,11ss ) Non c'è motivo di agitare tale questione, non c'è posto per il dubbio: le parole con le quali l'Apostolo ha trattato l'argomento ci rispondono, se le interroghiamo. Dice: Quando questo corpo mortale si sarà vestito d'immortalità, si compirà la parola della Scrittura: La morte è stata ingoiata per la vittoria. Dov'è, o morte, la tua vittoria? Dov'è, o morte, il tuo pungiglione? Il pungiglione della morte è il peccato e la forza del peccato è la legge. ( 1 Cor 15,54-56 ) Parlava della risurrezione del corpo, per cui la morte sarà assorbita per la vittoria, quando questo corpo mortale si sarà vestito d'immortalità. Allora s'insulterà la morte stessa che sarà ingoiata nella vittoria dalla risurrezione corporale. Allora le si dirà: O morte, dov'è la tua vittoria? O morte, dov'è il tuo pungiglione? Ciò dunque si dirà alla morte del corpo. Questa infatti sarà ingoiata dall'immortalità vittoriosa, quando questo corpo mortale sarà vestito d'immortalità. Alla morte, s'intende del corpo, sarà detto: O morte, dov'è la tua vittoria, quella riportata qui da te su tutti, tanto che anche il Figlio di Dio dovette combattere con te e superarti non evitandoti, ma accettandoti? Hai vinto nei morenti, sei stata vinta nei risorgenti. La tua vittoria con la quale avevi ingoiato i corpi dei morenti è stata temporanea, la nostra vittoria con la quale sei stata ingoiata tu nei corpi dei risorgenti durerà eterna. Dov'è il tuo pungiglione? Cioè dov'è il peccato da cui siamo stati punti e avvelenati, il peccato che ti ha inoculata anche nei nostri corpi e te li ha dati in potere per cosi lungo tempo? Il pungiglione della morte è il peccato e la forza del peccato è la legge. ( 1 Cor 15,56 ) Peccammo tutti in uno solo e cosi morimmo tutti in uno solo. Ricevemmo la legge, non per finire di peccare con l'emendazione, ma per peccare di più con la trasgressione. Infatti la legge sopravvenne, perché abbondasse la colpa; la Scrittura ha rinchiuso ogni cosa sotto il peccato. Ma siano rese grazie a Dio che ci dà la vittoria per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo, ( 1 Cor 15,57 ) affinché dove abbondò il peccato, sovrabbondasse la grazia, ( Rm 5,20 ) e ai credenti la promessa venisse data in virtù della fede in Gesù Cristo ( Gal 3,22 ) e vincessimo la morte con la risurrezione immortale e l'ago della morte, il peccato, con la giustificazione gratuita. 12.21 - Varie ipotesi sulla santificazione derivante secondo S. Paolo dall'ambiente familiare Nessuno dunque su questo terreno inganni se stesso e inganni gli altri. Il senso manifesto della santa Scrittura toglie di mezzo tutte le tergiversazioni. Come dall'origine si trae la morte nel corpo di questa morte, cosi dall'origine si è tratto il peccato in questa carne di peccato. ( Rm 7,24 ) Per guarirci dal peccato, sia da quello contratto per propaggine, sia da quello fatto per volontà, e per risuscitare la stessa carne è venuto nella somiglianza della carne del peccato il Medico, che non è necessario ai sani, ma ai malati, né è venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori. ( Mc 2,17 ) Vediamo dunque il senso di quello che dice l'Apostolo quando ammonisce i cristiani a non separarsi dai loro coniugi non cristiani: Il marito non credente viene reso santo dalla moglie [ credente ] e la moglie non credente viene resa santa dal marito [ credente ]: altrimenti i vostri figli sarebbero impuri, mentre invece sono santi. ( 1 Cor 7,14 ) Queste parole si debbono intendere nel senso in cui le abbiamo intese noi altrove e Pelagio nel suo Commento alla medesima Lettera ai Corinzi, cioè nel senso che si erano già avuti degli esempi sia di mariti che avevano guadagnato al Cristo le loro mogli, sia di donne i mariti, sia di bambini che erano resi cristiani per la volontà cristiana anche di uno solo dei genitori. Oppure, come sembra più probabile e in qualche modo necessario nelle parole dell'Apostolo, vi dobbiamo intendere una certa santificazione che dal coniuge cristiano raggiungeva il marito o la moglie infedele, oppure dai genitori cristiani i loro figli. E un esempio di tale santificazione poteva consistere nel fatto che durante la mestruazione si asteneva dall'unione l'uomo o la donna che aveva imparato ciò dalla Legge, poiché è questo uno dei precetti da non prendersi in senso figurato secondo Ezechiele. ( Ez 18,6 ) Potrebbe essere ancora qualsiasi riflesso di santità, che ivi non è espressamente descritto, e che sorga dagli stretti rapporti dei coniugi e dei figli. Tuttavia questo è da ritenersi senza alcun dubbio: quella santificazione, qualunque sia, non vale a fare cristiani gli interessati e a rimettere a loro i peccati, se non diventano fedeli con i sacramenti secondo il rito dell'iniziazione cristiana ed ecclesiastica. Infatti, se non sono stati battezzati nel Cristo, né i coniugi non cristiani, per quanto uniti a coniugi santi e giusti, vengono mondati dal peccato che, escludendoli dal regno di Dio, li manda per forza alla condanna, né i bambini, per quanto generati da genitori santi e giusti, vengono assolti dal reato del peccato originale. A favore dei bambini dobbiamo tanto più pressantemente parlare, quanto meno lo possono fare da sé. 13.22 - Dobbiamo avere carità verso i bambini Quello che vuole l'errore, contro la cui novità dobbiamo resistere con l'antica verità, è proprio questo: che si consideri completamente superfluo il battesimo dei bambini. Ma non lo si dice apertamente, per evitare che la consuetudine della Chiesa, tanto consolidatasi salutarmente, non possa sopportare i suoi violatori. Però, se ci viene comandato di soccorrere gli orfani, quanto più dobbiamo darci da fare per i bambini, i quali anche in mano dei loro genitori rimarranno più abbandonati e più disgraziati degli orfani, se a loro si negherà la grazia del Cristo che essi non possono chiedere da sé! 13.23 - La perfezione è frutto della preghiera Quanto poi a quello che costoro dicono: "Alcuni uomini, già con l'uso ragionevole della propria volontà, sono vissuti o vivono in questo mondo senza alcun peccato" è da desiderare che avvenga, da tentare che avvenga, da implorare che avvenga, non è tuttavia da riconoscere come un fatto avvenuto. Se infatti lo desideriamo e lo tentiamo e lo imploriamo con degna supplicazione, ogni residuo di peccati che sia rimasto in noi ci viene quotidianamente condonato per il fatto stesso che diciamo sinceramente nell'orazione: Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori. ( Mt 6,12 ) Chiunque dice che questa orazione non è stata necessaria nella vita attuale ad ogni persona santa che conoscesse e facesse la volontà di Dio, eccettuato unicamente il Santo dei santi, sbaglia molto e non può piacere in nessun modo alla persona che loda. Se poi stima tale se stesso, s'inganna da sé e la verità non è in lui, non per altro se non perché ritiene il falso. ( 1 Gv 1,8 ) Quel Medico dunque che non è necessario ai sani, ma ai malati, ( Mt 9,12 ) sa in che modo curarci per renderci perfettamente adatti alla salvezza eterna. Egli, sebbene la morte stessa sia stata inflitta per merito del peccato, non la toglie in questo secolo a coloro ai quali rimette i peccati, perché anche col superare la sua paura affrontino il combattimento per la vera fede. E in certi casi, anche a quelli che tra i suoi sono giusti, poiché possono ancora insuperbirsi, non dà l'aiuto a raggiungere la perfezione della giustizia. Lo scopo è che, non essendo giusto davanti a lui nessun vivente, ( Sal 143,2 ) sentiamo di dover rendere sempre grazie alla sua indulgenza e cosi veniamo guariti con la santa umiltà dalla prima causa di tutti i peccati, cioè dal tumore della superbia. Mentre la mia intenzione era di scrivere una breve lettera, è nato invece un libro prolisso. Speriamo che sia tanto ben rifinito, com'è finalmente finito!