Padri/Agostino/ContrGiul/ControGilu.txt Contro Giuliano Lettera 207 Scritta verso il 421/422. Ag. al vescovo Claudio, cui invia i libri composti contro Giuliano d'Eclano. Agostino saluta nel Signore il beatissimo fratello Claudio, collega nell'episcopato. Poiché tu, spinto dall'amore fraterno, mi hai inviato, prima che io te li chiedessi, i quattro libri di Giuliano, da lui scritti per confutare un solo mio libro, ho pensato che non avrei potuto far di meglio che far leggere in primo luogo da te la mia risposta e giudicare se l'ho azzeccata e centrata. Da non so chi erano stati inviati appunto all'illustre e pio conte Valerio alcuni estratti di quei quattro libri di Giuliano scritti contro il detto mio libro ch'egli sapeva aver io scritto per il conte. Grazie alle premure dello stesso eccellentissimo conte quegli estratti sono venuti nelle mie mani e perciò mi sono affrettato ad aggiungere al mio primo libro un altro, nel quale ho confutato quegli errori come ho meglio potuto. Adesso però, esaminando più attentamente quei medesimi libri, mi sono reso conto che quel tale, che ne fece degli estratti, non ha riprodotto tutte le cose che si leggono nei libri di Giuliano. In tal modo potrà sembrare, a Giuliano o a qualcuno dei suoi seguaci, che sia stato piuttosto io a mentire, poiché quegli estratti inviati al conte non hanno potuto essere divulgati come i medesimi libri di Giuliano dai quali sono stati presi. Chi dunque leggerà il mio secondo libro indirizzato ugualmente al conte Valerio come il primo, sappia bene che in alcuni punti non rispondo a Giuliano ma piuttosto all'autore di quegli estratti, il quale, invece di riferire il testo esatto di Giuliano, ha creduto suo dovere apportarvi dei lievi mutamenti, forse per appropriarsi, in certo qual modo, delle idee che risultavano appartenere ad un altro. Adesso però, credendo più fedele la copia dei libri di Giuliano inviatami dalla Santità tua, vedo che è mio dovere rispondere all'autore stesso, il quale si vanta di aver confutato con quattro suoi libri l'unico mio libro e non cessa di spargere ovunque il veleno dei suoi errori. Ho pertanto intrapreso quest'opera con l'aiuto del Salvatore dei piccoli e dei grandi ( Ap 19,18 ) e so che hai pregato per me, affinché lo portassi a termine, e per coloro ai quali crediamo e desideriamo che tali nostre fatiche siano di giovamento. Esamina dunque attentamente la mia risposta a Giuliano, il cui inizio farà seguito a questa lettera. Sta' bene nel Signore e ricordati di me, mio beatissimo fratello. Libro I 1.1 - Sentimenti di Agostino alle offese di Giuliano Se dicessi, o Giuliano, che disprezzo le offese e le imprecazioni delle quali, acceso d'ira, hai riempito i tuoi quattro libri, mentirei. Come infatti potrei disprezzarle, pensando alla testimonianza della mia coscienza, secondo la quale sento di dovermi o rallegrare per me o addolorare per te e per quanti sono ingannati da te? Chi mai disprezza l'oggetto della propria gioia o del proprio dolore? Per nessun motivo noi disprezziamo quello che per un verso ci rallegra e per un verso ci rattrista. Causa della mia gioia è la promessa del Signore che dice: [ Beati siete quando vi oltraggeranno e vi perseguiteranno ] e diranno, mentendo, ogni male contro di voi per causa mia, gioite ed esultate, perché la vostra ricompensa è grande nei cieli. ( Mt 5,11-12 ) Causa della mia tristezza invece è il sentimento dell'Apostolo che afferma: Chi è debole, e debole non lo sia anch'io con lui? Chi soffre scandalo senza che io mi senta bruciare? ( 2 Cor 11,29 ) Ma queste parole le puoi dire anche tu per la tua tesi, che ritieni sia la vera. Lasciamo dunque da parte, se vuoi, queste cose comuni che possono essere dette da entrambi, quantunque non possano essere dette da entrambi con identica verità. 1.2 - Quattro libri di Giuliano contro uno solo di Agostino Innanzitutto, chiedo, perché ti vai gloriando di avere risposto almeno apparentemente al mio libro, dal momento che, nei tuoi quattro, non hai toccato neppure la quarta parte del mio per confutarla, e, per scansare le mie argomentazioni, hai fatto salti tanto vistosi da escludere quasi la possibilità che ci possano essere lettori dell'una o dell'altra opera, della mia cioè e della tua, in grado di rendersene conto. Pressoché superfluo, poi, è il dimostrare come le poche argomentazioni che, come dicevo, a mala pena rappresentano la quarta parte del mio libro e che tu, quasi con l'impeto di una quadriga, hai cercato di abbattere e di schiacciare col frastuono dei tuoi quattro voluminosi libri, ritenendole più vulnerabili, restano anch'esse ben salde, non fosse altro che in considerazione delle rimanenti argomentazioni, di numero di gran lunga superiore, che tu hai avuto timore di toccare. È opportuno tuttavia esortare tutti coloro che vorranno rendersene conto a non farsi rincrescere di leggerli entrambi, quello che ho scritto io e quello che hai scritto tu. La cosa apparirà talmente chiara ed evidente che sarebbero veramente ottusi quelli che mi chiedessero di dimostrarlo. 1.3 - Divisione dell'opera Or dunque, poiché vedo che tu, abbandonato dalla verità, sei passato agli insulti, tratterò l'argomento nel modo seguente. Per prima cosa dimostrerò a quali e quanti Dottori della Chiesa Cattolica tu non esiti ad arrecare intollerabile offesa, con l'accusa di manicheismo, e come, nell'intento di colpire me, scagli contro di essi i tuoi dardi sacrileghi. Ti mostrerò poi come tu stesso sei di tanto aiuto al dannoso ed empio errore dei manichei al punto che essi non riescono a trovare un pari difensore neppure tra i propri amici. In terzo luogo confuterò nel modo più breve possibile le tue vane sottigliezze e i tuoi elaborati argomenti con affermazioni non mie, ma di coloro che sono vissuti prima di noi ed hanno difeso la Chiesa Cattolica contro gli empi. Per ultimo, dal momento che, se non cambierai idea, sarai costretto a combattere anche quei Dottori della Chiesa Cattolica e sostenere che, in questa questione, neppure essi si sono trovati in possesso della verità cattolica, con l'aiuto di Dio difenderò la mia e la loro fede. Apparirà chiaro allora quanto aiuto arrecheranno ai manichei non solo le tue parole, come ho promesso di dimostrare nel secondo punto, ma gli stessi dommi pelagiani, comuni a tutti voi. 2.4 - I temi della controversia Poni attenzione pertanto al modo col quale svolgerò la prima parte della mia trattazione. Tra di noi, almeno per quanto attiene l'intento dei mio libro, al quale ti vanti di aver risposto con i tuoi quattro, è in discussione la mia seguente affermazione: il matrimonio deve essere lodato in maniera tale che in nessun modo gli si possa imputare a colpa o a disprezzo il fatto che tutti gli uomini nascono soggetti al peccato dei primi uomini. Negare questo significa minare i fondamenti stessi della fede cristiana. Ho scritto un libro Sul matrimonio e la concupiscenza proprio per distinguere il bene del matrimonio dal male, da cui si contrae il peccato originale. Al contrario, tu affermi che il matrimonio deve essere senz'altro condannato a meno che chi nasce da esso non sia immune da ogni obbligazione di peccato. Per questo ti glori di avere confutato il mio libro con i tuoi quattro. Volendo distogliere gli uomini dalla saldissima fede cattolica per portarli al vostro nuovo errore, attraverso i tuoi libri cerchi di infondere nella sensibilità dei lettori l'orrore della peste manichea. Vorresti fare intendere che sono assertori del "male naturale" al pari dei manichei coloro che affermano che i bambini, nati da Adamo secondo la carne, contraggono con la prima nascita il contagio della morte antica ed hanno bisogno, di conseguenza, di una seconda nascita affinché, purgati dapprima con la remissione del peccato originale per mezzo del lavacro di rigenerazione e diventati figli di Dio adottivi, siano trasferiti nel regno del suo Unigenito. Questa accusa di manicheismo la faceva pure Gioviniano quando negava che la verginità di Maria santa nella concezione fosse rimasta integra anche durante il parto, come se l'affermare che Cristo è nato dalla verginità incorrotta della madre significasse pensare insieme ai manichei Cristo come un fantasma. Con l'aiuto dello stesso Salvatore, però, i cattolici disprezzarono quello che sembrava un argomento acutissimo sciorinato da Gioviniano, si rifiutarono di credere che Maria santa si fosse corrotta nel parto e che il Signore fosse stato un fantasma, e riaffermarono che Maria rimase vergine nel parto e diede alla luce Cristo con un corpo reale. Alla stessa maniera essi disprezzeranno le vostre calunniose e vuote chiacchiere e non inventeranno alla maniera dei manichei un principio naturale del male, ma, secondo l'antica e vera fede cattolica, non avranno alcun dubbio che Cristo, svuotando il chirografo del debito paterno, è il liberatore dei bambini. 3.5 - Le testimonianze patristiche sul peccato originale: Ireneo di Lione Tu però, che tanto frequentemente ci accusi di manicheismo, se sei sveglio, considera un po' quali e quanti uomini, quali e quanti difensori della fede cattolica colpisci con tale esecranda incriminazione. Non prometto di raccogliere su questo argomento le affermazioni di tutti, né tutte le affermazioni di quelli che citerò. Sarebbe troppo lungo e non è affatto necessario. Ne riporterò soltanto poche e di pochi autori; ma sufficienti a fare arrossire e cedere i nostri avversari, purché in essi il timor di Dio o il pudore umano riescano a superare la loro grande ostinazione. Ireneo, vescovo di Lione, che visse non molto tempo dopo gli Apostoli, scrive: "Gli uomini non si possono salvare dall'antica piaga del serpente, se non attraverso la fede in colui il quale, nella somiglianza della carne di peccato, innalzato da terra sul legno del martirio, attirò ogni cosa a sé e diede la vita ai morti". Lo stesso Ireneo ancora: "Come per mezzo di una vergine il genere umano fu assoggettato alla morte, così, con identica predisposizione, fu sciolto dalla morte per mezzo di una vergine: la disubbidienza di una vergine fu compensata dall'obbedienza di una vergine. Poiché il peccato della prima creatura fu purificato dal sacrificio del Primogenito e l'astuzia del serpente fu sconfitta dalla semplicità della colomba, noi siamo stati sciolti da quei legami che ci tenevano soggetti alla morte". Vedi dunque cosa l'antico uomo di Dio pensava dell'antica piaga del serpente? Cosa pensava della somiglianza della carne del peccato in virtù della quale viene sanata la piaga del serpente nella carne del peccato? Vedi cosa pensava del peccato della prima creatura per cui eravamo legati? 3.6 - Cipriano di Cartagine Una testimonianza ancor più limpida della stessa fede ce la dà il santo vescovo e martire Cipriano: "Se qualcosa può impedire agli uomini il conseguimento della grazia, a maggior ragione peccati più gravi lo possono impedire agli adulti, a quelli avanzati in età ed ai vecchi. Se però i più grandi peccatori e coloro che hanno peccato molto contro Dio ottengono la remissione dei peccati quando arrivano alla fede e nessuno viene escluso dal battesimo e dalla grazia, a maggior ragione non debbono esserne esclusi i bambini, che, nati da poco, non hanno alcun peccato all'infuori di quello che essi, nati da Adamo secondo la carne, hanno contratto dalla prima nascita. Costoro, anzi, pervengono più facilmente alla remissione dei peccati proprio per il fatto che ad essi vengono rimessi non i peccati propri, ma quelli di altri". 3.7 - Reticio di Autun Le cronache ecclesiastiche riferiscono che Reticio, vescovo di Autun, durante il suo episcopato, ebbe grande autorità nella Chiesa quando a Roma, ove presiedeva la Sede Apostolica il vescovo Melchiade, intervenne come giudice insieme ad altri vescovi e condannò Donato, primo responsabile dello scisma donatista, ed assolse Ceciliano, vescovo di Cartagine. Parlando del battesimo, egli affermò: "A nessuno sfugge che questa è la fondamentale indulgenza nella Chiesa, in seno alla quale noi deponiamo tutto il peso dell'antico delitto, distruggiamo i primi misfatti della nostra ignoranza e spogliamo il vecchio uomo con i suoi innati delitti". Comprendi le espressioni "il peso dell'antico delitto", "i primi misfatti" e "il vecchio uomo con i suoi innati delitti"? Ed osi ancora costruire una rovinosa novità contro tutto questo? 3.8 - Olimpio, vescovo della Spagna Il vescovo spagnolo Olimpio, uomo di grande gloria nella Chiesa ed in Cristo, affermò in un suo discorso ecclesiastico: "Se la fede fosse rimasta sempre incorrotta sulla terra ed avesse continuato a seguire le orme fissate, che pur indicate lasciò, non avrebbe mai sparso con la mortifera trasgressione della prima creatura il vizio nel seme, cosicché il peccato nascesse con l'uomo". Puoi tu dire qualcosa contro di me senza che debba essere costretto a dirlo contro costui, o, meglio, contro tutti costoro? Una sola, infatti, è la fede cattolica di tutti, che concordemente credono ed all'unisono professano: Per opera di un solo uomo il peccato entrò nel mondo … perché tutti peccarono, ( Rm 5,12 ) e, con la cattolica antichità, distruggono le vostre innovatrici presunzioni. 3.9 - Ilario di Poitiers Ascolta ancora qualcosa che possa commuoverti maggiormente, che possa turbarti e, volesse il cielo cambiarti in meglio. Chi non conosce Ilario, il venerando vescovo dei Galli, strenuo difensore della Chiesa Cattolica contro gli eretici? Rifletti su quello che egli dice parlando della carne di Cristo: "Essendo stato inviato in una carne simile a quella del peccato, ( Rm 8,3 ) non ebbe il peccato alla stessa maniera che ebbe la carne. Ma poiché ogni carne viene dal peccato, ossia deriva dal peccato di Adamo progenitore, egli è stato inviato in una carne simile a quella del peccato, poiché in lui sussiste non il peccato, ma l'immagine della carne del peccato". Commentando il salmo centodiciotto nel versetto dove si legge: Vivrà l'anima mia e ti loderà ( Sal 119,175 ) egli afferma: "Il salmista ritiene di non avere la vita in questa vita, poiché aveva detto: Ecco, sono stato concepito nell'iniquità e mia madre mi ha partorito nella colpa. ( Sal 51,7 ) Sa di essere nato da una origine di peccato e sotto la legge del peccato". Comprendi quello che ascolti? Stai cercando di rispondere qualcosa? Se hai il coraggio, osa pure incriminare sul peccato originale un uomo così ricco di ammirazione tra i vescovi cattolici e così famoso per dottrina e per fama. 3.10 - Ambrogio di Milano Ma ecco un altro eccellente dispensatore di Dio che io venero come padre: mi ha generato in Cristo Gesù con il Vangelo, ( 1 Cor 4,15 ) e come ministro di Cristo mi ha lavato con il lavacro di rigenerazione. Parlo di Sant'Ambrogio, del quale io stesso ho sperimentato la grazia, la costanza, le fatiche, i pericoli per la fede cattolica nelle opere e nei discorsi, e del quale insieme a me tutto il mondo romano non esita a celebrare le lodi. Nell'Esposizione del Vangelo secondo Luca egli afferma: "L'espressione: Il Giordano si volse all'indietro, ( Sal 114,3 ) significava i futuri misteri del lavacro di salvezza, per il quale i bambini battezzati all'inizio della loro vita sono risanati dalla malizia". Nella stessa opera più innanzi continua: "Non il coito virile aprì la vulva verginale, ma lo Spirito Santo infuse il seme immacolato nell'utero inviolabile. Solo Gesù Signore, tra tutti i nati di donna, in virtù della novità del parto immacolato, non subì il contagio della terrena corruzione, che egli allontanò da sé con la celeste maestà". Più innanzi ancora scrisse: "Tutti moriamo in Adamo perché … per opera di un solo uomo il peccato entrò nel mondo e attraverso il peccato la morte; così la morte passò su tutti gli uomini, perché tutti peccarono … . ( Rm 5,12 ) La sua colpa, dunque, è la morte per tutti". "Fa' in modo di non essere spogliato - scrive in un altro passo della esposizione allo stesso Vangelo - come fu spogliato Adamo, che, privato della protezione del comandamento celeste e della veste della fede, ricevette una ferita mortale per la quale sarebbe morto tutto il genere umano se quel Samaritano, accorrendo, non avesse curato le sue gravi ferite". "Adamo fu - afferma in un altro passo della stessa opera - e tutti fummo in lui; Adamo morì, e tutti morirono in lui". Nell'Apologia del profeta Davide Sant'Ambrogio afferma: "Prima ancora di nascere siamo macchiati dal contagio e, prima di venire alla luce, riceviamo l'offesa della stessa origine, e siamo concepiti nella iniquità. Il salmista non ha detto chiaramente se in quella dei genitori o nella nostra iniquità. Tutte le madri generano i loro figli nei delitti. Neanche qui viene detto se la madre partorisce nei suoi delitti o se vi siano già delitti di colui che nasce. Fa' bene attenzione, però, che non si debbano intendere gli uni e gli altri. Colui che è concepito non è immune da iniquità perché neppure i genitori mancano di colpa. Se neppure un fanciullo di un solo giorno è immune da peccato, ( Gb 14,4 sec. LXX ) molto a maggior ragione non sono senza peccato i giorni del concepimento materno. Noi dunque siamo concepiti nel peccato dei genitori e nasciamo nella loro colpa. ( Sal 51,7 ) Anche il parto però ha i suoi contagi e la natura non ha un contagio solo". Nella Esposizione del libro di Tobia, inoltre, egli scrive: "Chi è questo usuraio del peccato se non il diavolo, dal quale Eva prese a prestito il peccato e rovinò tutto il genere umano con l'usura dell'eredità assoggettata?". Nella stessa opera aggiunge: "Il diavolo ha ingannato Eva per prendere in trappola l'uomo ed ipotecarne l'eredità". Nell'Esposizione del Salmo quarantotto, infine, dichiara: "Una cosa è la nostra iniquità ed una cosa è quella del nostro calcagno, nel quale Adamo fu ferito dal dente del serpente e lasciò l'eredità dell'umana successione indebolita per la sua ferita, sicché a causa di quella ferita tutti zoppichiamo". 4.11 - Le accuse fatte ad Agostino sono rivolte anche a Ambrogio Vieni ora, e obiettami il peccato originale. Trascura tutti costoro e fingi di ignorare quello che dicono. Insultami pure con sicumera, facendo impeto contro di me come se non vedessi tali e tanti Dottori della Chiesa santa, i quali dopo una vita ottimamente vissuta e dopo avere sconfitto gli errori del proprio tempo, hanno lasciato gloriosamente questo mondo prima che voi nasceste. Insultami pure facendo finta di ignorare che sotto il mio nome sono essi ad essere dilacerati. Sarei disposto a credere, lo confesso, che tu non ti renda conto del male che fai e non attribuirei alla tua impudenza ma alla tua imprudenza l'audacia nell'insultare ostilmente tanti luminari della Chiesa che, al contrario, avresti dovuto fedelmente seguire. Sarei disposto a credere, ripeto, che tu abbia commesso un sì grave errore per ignoranza, se nel libro al quale credi, o meglio, desideri che si creda che tu abbia risposto, io non avessi riportato una chiarissima testimonianza sul pensiero di sant'Ambrogio. O forse non hai letto il punto dove il suddetto vescovo, introducendo la natività di Cristo da una Vergine, afferma: "… Come uomo fu tentato in ogni cosa e come uomo tutto sopportò, ma come nato dallo Spirito si astenne dal peccato. Ogni uomo, infatti, è menzognero ( Sal 116,2 ): solo Dio è senza peccato. Resta dunque valida la regola per cui nessuno che sia nato dall'uomo e dalla donna, vale a dire per mezzo dell'unione dei loro corpi, è privo di peccato. Colui che non conosce il peccato non conosce neppure questo tipo di concepimento". Se non hai letto queste parole del venerabile Ambrogio, come hai cominciato a controbattere il libro nel quale esse sono state scritte? Se poi le hai lette, perché diventi furioso contro di me ed in me denigri lui per primo? Perché ti sforzi di lacerare il mio nome ed evitando di nominarlo fai di Ambrogio un manicheo? 4.12 - Paterna ammonizione di Giuliano Lo vedi con quali compagni io sopporto le tue maldicenze? Vedi con quali compagni io faccio causa comune, compagni che tu, senza alcuna assennata riflessione, cerchi di abbattere e di distruggere con le calunnie? Comprendi quanto è rovinoso per te rinfacciare un tale orribile crimine a così grandi uomini e quanto sia glorioso per me sentirmi addossare qualsivoglia crimine in compagnia di essi? Se lo comprendi, rientra in te e taci. Con tante lingue cattoliche fa' tacere la lingua dei pelagiani ed assoggetta queste bocche funeste a tante bocche venerande. Se tu, venendo da un banchetto mattutino, come Polemone, fossi entrato ubriaco nella scuola di Senocrate, non avresti dovuto arrossire tanto per la vergogna, quanto di fronte ad un simile raggruppamento di santi. Tanto più grande deve essere qui il rispetto quanto più veracemente vi si impara la sapienza. L'aspetto di un sì gran numero di memorabili vescovi è tanto più degno di venerazione di quello del solo Senocrate, quanto Cristo, maestro di costoro, è superiore a Platone, maestro di Senocrate. Non ho dimenticato certo tuo padre Memore, di felice memoria, il quale nello scambio delle lettere aveva contratto con me una non piccola amicizia e ti aveva reso molto affezionato a me. Per questo, quando nei tuoi libri ti ho visto non ubriaco per la partecipazione ai banchetti mattutini ma turbolento di folli offese, per calmarti e sanarti ti ho voluto introdurre non nell'aula di qualche filosofo, bensì in una pacifica ed onorata assemblea di santi Padri. Ci sia una ricompensa al mio lavoro! Guarda, ti prego, questi Padri come dolcemente e con mansuetudine ti osservano e ti dicono: "Caro Giuliano, siamo forse manichei?". Cosa risponderai? Con quali occhi li guarderai? Quali argomenti ti potranno venire in aiuto? Quali categorie di Aristotele, con le quali vuoi apparire dotto, vorresti saper abilmente maneggiare per scagliarti contro di noi come sottile disputatore? Quali tuoi argomenti oserai sfoderare contro di essi, come punte di diamante o spade pesanti? Quali armi non fuggiranno da te e non ti lasceranno spoglio? O forse stai per dire che non hai mai rivolto a nessuno di essi una tale accusa? Cosa farai quando ti diranno: "Noi tolleriamo più facilmente che tu arrechi infamia col tuo dente maligno ai nostri nomi, anziché alla nostra fede, per la quale i nostri nomi sono scritti nel cielo"? Risponderai forse: "Io non ho violato minimamente neppure la vostra fede"? Ma con quale sfacciataggine oserai dire questo tu che reputi manicheismo l'affermare che i nati contraggono da Adamo il peccato originale? Tutti questi santi Padri hanno affermato e professato questa verità da loro appresa nella Chiesa di Cristo all'inizio della loro formazione e, in virtù dello Spirito Santo, essi hanno rimesso tanti peccati a tutti coloro che sono stati battezzati da adulti ed il solo peccato originale a tanti bambini. Ti esorto e ti prego con insistenza: guarda tanti e tali Dottori della Chiesa Cattolica e cerca di capire la grave e nefanda ingiuria che rechi ad essi. 4.13 - La testimonianza del Papa Innocenzo Ritieni forse che essi debbono essere disprezzati perché appartengono tutti alla Chiesa Occidentale e tra loro non è menzionato nessun vescovo della Chiesa Orientale? Che faremo dunque se quelli sono greci e noi latini? Credo che a te dovrebbe bastare quella parte del mondo nella quale il Signore ha voluto coronare il primo dei suoi Apostoli con un gloriosissimo martirio. Se tu avessi ascoltato il capo di questa Chiesa, il papa Innocenzo, già da allora avresti cercato di sciogliere la tua gioventù dai lacci dei pelagiani. Che altro infatti poté rispondere quel santo uomo ai Concilii Africani se non quello che la Chiesa Romana dall'antichità professa con costanza insieme con tutte le altre Chiese? Tuttavia tu accusi il suo successore [ Zosimo ] del crimine di prevaricazione perché egli non ha voluto opporsi alla dottrina apostolica ed alla decisione del suo predecessore. In questo momento però non voglio parlare di questo papa perché, lodando chi ti ha condannato, non inasprisca il tuo animo che desidero sanare. Tu intanto vedi un po' cosa rispondere al papa Innocenzo, che su questo argomento non ha pensato nulla di diverso da coloro nella cui assemblea ho voluto introdurti, seppur serve a qualcosa. Egli sta seduto insieme ad essi, in un posto più alto, quantunque sia vissuto in un tempo posteriore. Insieme ad essi egli professa la cristiana verità della necessità di liberare per mezzo della grazia di Cristo i poveri bambini dal peccato originale, che trae origine da Adamo. Egli afferma che Cristo ha purificato con il lavacro del battesimo tutta la colpa passata, quella cioè del primo uomo, che dal libero arbitrio fu sprofondato nel baratro. Sostiene infine che i bambini in nessun modo potrebbero avere la vita se non mangiassero la carne del Figlio dell'uomo. ( Gv 6,54 ) Rispondi a lui, o meglio ancora, rispondi allo stesso nostro Signore della cui testimonianza il santo pontefice si è servito e, se ritieni che i nati non contraggono il peccato originale, spiegami: come può un'immagine di Dio essere punita con un supplizio tanto terribile, l'essere cioè, privata della vita? Ma cosa dirai o cosa risponderai tu che, seppure avrai l'ardire di farlo col beato Innocenzo, non oserai accusare di manicheismo lo stesso Cristo? 4.14 - Una sola fede della Chiesa Occidentale e Orientale Non c'è motivo pertanto che tu ti appelli ai vescovi dell'Oriente. Anch'essi sono cristiani e una sola è la fede delle due parti della terra: la fede cristiana. La terra occidentale ti ha generato e la Chiesa Occidentale ti ha rigenerato. Cosa vorresti introdurvi che non vi hai trovato quando sei entrato a far parte delle sue membra? Piuttosto perché vorresti portarle via ciò che in essa tu stesso hai ricevuto? Il peccato originale che tu neghi a danno degli altri bambini, in qualunque età tu sia stato battezzato, ti è stato perdonato da solo o insieme ad altri peccati. Se è vero, come ho sentito, che sei stato battezzato da piccolo, benché privo di peccati personali, anche tu hai contratto dalla nascita il contagio della morte antica, appunto perché sei nato da Adamo secondo la carne. Anche tu sei stato concepito nel peccato, sei stato esorcizzato e si è alitato su di te affinché, liberato dal potere delle tenebre, fossi trasferito nel regno di Cristo. ( Col 1,13 ) Ma adesso, figlio mio, nato cattivo da Adamo e rinato buono in Cristo, tu stai cercando di togliere a tua Madre i Sacramenti con cui ti ha generato. Credi forse che essa sia stata manichea quando ti ha generato nella maniera con la quale non vuoi che generi gli altri? Perché offendi in essa questa nascita in modo da chiudere le viscere di misericordia dalle quali tu stesso sei nato? In questa maniera tu dividi il nome stesso dello Sposo affermando che è "Cristo" quando rigenera solo i bambini mentre è "Cristo Gesù" quando rigenera gli adulti, appunto perché Gesù significa Salvatore e tu sostieni che egli non è tale per i bambini che, secondo il vostro insegnamento, non hanno nulla da cui essere salvati. 5.15 - Le testimonianze dei Padri orientali: Gregorio di Nazianzo Anche dall'Oriente, però, non ti mancherà un illustre vescovo di gran nome e di fama celeberrima, i cui discorsi, per il grande valore, sono stati tradotti in latino e sono diventati famosi in ogni dove. Insieme ai nostri Padri, dunque, segga anche S. Gregorio ed insieme ad essi soffra il veleno della vostra insensata accusa, mentre anche egli espone le sue medicinali argomentazioni contro la vostra peste innovatrice. Ascolta pertanto cosa dice: "L'immagine di Dio purifichi la macchia della mescolanza col corpo ed innalzi con le ali della parola di Dio la carne a sé congiunta. Senza dubbio, sarebbe stato meglio non avere avuto bisogno di questa purificazione ed essere rimasti nella originaria dignità verso la quale ci affrettiamo dopo l'attuale risanamento; sarebbe stato meglio non staccarsi dall'albero della vita per il gusto amarissimo del peccato. Nella condizione diversa in cui ci troviamo, però, è meglio essere risanati e corretti dopo la caduta anziché restare nella colpa". S. Gregorio aggiunge: "Come tutti siamo morti in Adamo, così tutti riavremo la vita in Cristo. Con Cristo, dunque, nasciamo, con Cristo siamo crocifissi e con Cristo sepolti nella morte affinché insieme con Cristo risorgiamo alla vita. È necessario infatti che noi sopportiamo questa vicissitudine utile e necessaria: come dalla bontà siamo stati sviati verso la cattiveria, così dalla cattiveria dobbiamo tornare verso ciò che è meglio. Dove abbondò il peccato, sovrabbondò la grazia, affinché quelli che sono stati condannati per avere gustato l'albero proibito, possano trovare giustificazione con grazia più grande nella croce di Cristo". Scrive inoltre: "Sappi venerare la rinascita in virtù della quale sei stato liberato dai lacci della nascita terrena. Sappi onorare la piccola ed infima Betlemme in virtù della quale ti è stato riaperto il paradiso". Parlando del battesimo, in un altro passo afferma: "Ti persuada su questo punto la parola di Cristo: … nessuno può entrare nel regno di Dio se non nasce da acqua e Spirito. ( Gv 3,5 ) Per sua opera sono purificate le macchie della prima nascita, a causa delle quali noi siamo stati concepiti nella iniquità e nelle colpe ci hanno generato le nostre mamme". Dirai forse che anche Gregorio è indicato di manicheismo e va seminando veleno? Vedi bene come tutti con un sol cuore, una sola voce, una sola fede proclamano la stessa cosa: questa è la fede cattolica precisa senza alcuna discordante contestazione. 5.16 - Una citazione attribuita a Basilio di Cesarea da Giuliano Ti sembra forse poca l'autorità dei vescovi orientali presentata nel solo Gregorio? Egli è una personalità tanto grande che non avrebbe parlato in questo modo se non per una fede cristiana notissima a tutti, né gli altri l'avrebbero stimato tanto illustre e venerando se non avessero riconosciuto nelle sue parole una norma di verità conosciutissima. Se vuoi, però, aggiungiamo San Basilio. Anzi, che tu voglia o no, l'aggiungo senz'altro, soprattutto perché nel quarto libro della tua opera hai creduto di dover fare delle osservazioni sul libro che egli ha scritto contro i manichei, anche se il brano non riguarda affatto la questione del peccato originale entrato nel mondo per opera di uno solo e pervenuto poi a tutti. Vi afferma, infatti, che il male non è una sostanza avente una sua materia, come pretendono i manichei. Scrive infatti: "Il male non è una sostanza, ma un comportamento che dipende dalla volontà", non in quelli che hanno contratto il contagio dell'antica morte con la prima nascita, ma "in quelli che per propria volontà si sono contaminati con la malattia", negli adulti cioè, già padroni della propria ragione e della propria libertà. "Questo comportamento, che deriva da una causa accidentale, può essere facilmente separato dalla volontà del malato, se cioè, quantunque sopraggiunto accidentalmente, fosse sopraggiunto in modo tale da non poter più essere separato dalla volontà, avremmo potuto dire giustamente non che avremmo un male sostanziale, ma che quella sostanza non potrebbe sussistere senza il male sopraggiunto. Se poi esso è sopraggiunto, derivando non dalla sostanza ma dalla volontà, il male può essere facilmente separato dalla sostanza, cosicché questa, soggetta alla volontà, possa essere perfettamente pura tanto che non vi resti neppure l'ombra di qualche male". S. Basilio dice così bene queste cose che esse possono essere molto bene applicate al male che è entrato nel mondo attraverso Adamo ed è pervenuto a tutti gli uomini: esso, infatti, è sopraggiunto accidentalmente alla natura umana, che non era stata creata così. Il male era derivato non dalla sostanza ma dalla volontà, sia quella della donna sedotta dal serpente, sia quella dell'uomo che acconsentì al peccato della moglie sedotta. Con le parole: "Il male può essere facilmente separato dalla volontà o dalla sostanza", Basilio intende dire che è facile non per la volontà umana ma per la misericordia di Dio. E questo può bastare certamente per confutare i manichei, che ritengono impossibile mutare in bene la natura del male. Proprio per questo San Basilio non ha detto che la volontà stessa dell'uomo, la sostanza o la natura, può facilmente separare il male da sé, ma che "da essa può essere facilmente separato". Calibrando le sue parole il Santo respingeva i manichei contro cui combatteva e non consentiva all'orgoglio umano di innalzarsi contro la grazia divina. Dio onnipotente a cui, come afferma il Vangelo, è facile ciò che agli uomini è impossibile, ( Mt 19,26 ) con la potenza della sua grazia distrugge il male che ci viene dal primo uomo e dalla nostra volontà e lo distrugge a tal punto che la "sostanza soggetta alla volontà - tu stesso hai citato queste parole di S. Basilio - possa essere perfettamente pura tanto che non ci resti neppure l'ombra di qualche male". Così sarà: questa è l'indubbia speranza dei fedeli. Quando si compirà, appartiene alla fede cattolica. In quel giorno si dirà all'ultimo nemico, alla morte: Dov'è o morte la tua vittoria, dov'è o morte, il tuo pungiglione? ( 1 Cor 15,55 ) 5.17 - Una seconda citazione dalla stessa opera Hai ricordato inoltre che San Basilio ha detto: "Se la castità fosse una virtù, ed il corpo un male sostanziale, sarebbe impossibile trovare un corpo casto, perché un corpo impuro non potrebbe diventare un corpo di virtù. Quando è santificato esso diventa un corpo di virtù. Si ha cioè una comunicazione della virtù al corpo e del corpo alla virtù e il corpo diventa tempio di Dio. Se invece tutti i corpi fossero corpi di fornicazione, sarebbe impossibile trovare la castità nei corpi cosicché avremmo potuto attribuire alla loro natura il carattere di male sostanziale. Se però i meriti del corpo sono andati tanto avanti, se esso si è abbellito di tanto onore e si si è rivestito di una veste tanto candida da meritare di diventare casa del suo Creatore e talamo del Figlio di Dio, sicché il Padre ed il Figlio, entrando in esso, si siano degnati di farne la propria abitazione, come può risultare non esecrabile e ridicolo il linguaggio dei manichei?". Che poteva dire di più vero e di più conforme alla fede cattolica? Tutto questo l'ha detto contro i manichei, i quali ritengono e affermano che i corpi hanno origine da un principio delle tenebre, da una natura cattiva coeterna a Dio sommo Bene e che anch'essi sono mali immutabili e non contro quelli che, sinceramente fedeli alla vera fede cristiana, affermano che in questa terra il corpo è corruttibile ed è un peso per l'anima. ( Sap 9,15 ) All'inizio certamente non era stato creato tale e posto nel Paradiso e non sempre resterà tale; il corpo è destinato ad essere mutato dalla incorruzione e dalla immortalità e già fin d'ora esso comincia ad essere tempio di Dio ed è abbellito dalla purezza coniugale, vedovile o anche verginale. Anche se … la carne ha voglie contro lo spirito, ( Gal 5,17 ) lo spirito ha contro la carne desideri tali da non offrire al peccato le sue membra quale strumento d'iniquità. ( Rm 6,13 ) 5.18 - Un testo autentico di Basilio a favore dei peccato originale Ascolta con attenzione, in merito al problema che al presente ci riguarda, quanto S. Basilio afferma senza ambiguità circa il peccato del primo uomo che tocca anche noi. Quantunque l'abbia trovato già tradotto, per aderire maggiormente all'originale, ho preferito tradurlo dal greco parola per parola. In un discorso Sul digiuno dichiara: "Nel Paradiso il digiuno fu stabilito per legge. Il primo ordine che ricevette Adamo fu: Non mangerete dall'albero della scienza del bene e del male. ( Gen 2,17 ) Non mangerete è il digiuno: l'inizio costitutivo della legge. Se Eva avesse digiunato dall'albero, noi non avremmo bisogno di questo digiuno. Non sono i sani che hanno bisogno del medico ma gli ammalati. ( Mt 9,12 ) Ci siamo ammalati per il peccato e saremo guariti dalla penitenza. La penitenza senza il digiuno è vuota. La terra maledetta produrrà spine e triboli. ( Gen 3,17-18 ) Ti è stato comandato di rattristarti, o forse di rallegrarti?". Un po' più avanti, nello stesso discorso, afferma: "Siamo caduti dal Paradiso perché non abbiamo digiunato. Digiuniamo, dunque, e vi ritorneremo". Se avessi letto queste ed altre parole di S. Basilio, o, nel caso le abbia lette, le avessi seriamente meditate, non ti saresti mai permesso, per offuscare la vista agli ignoranti, di citare dai suoi scritti, non so con quale intento, parole che non hanno a che fare con la nostra controversia. Senti che non avremmo bisogno di questo digiuno, se l'uomo non avesse trasgredito la legge del digiuno nella felicità del Paradiso, e continui a negare che si nasce soggetti al peccato dei primi uomini? Senti le parole successive: "Non sono i sani che hanno bisogno del medico" ed osi negare che per la colpa di quei primi uomini abbiamo perduto la salute nella quale eravamo stati creati? Senti che la condanna proferita contro il primo uomo: La terra produrrà per te spine e triboli, tocca anche a noi ed osi negare che sono soggetti al peccato quelli che pur credi soggetti alla condanna? Senti che noi dobbiamo tornare al Paradiso da dove siamo caduti ed osi negare che tocca anche a noi il peccato di quelli che nel Paradiso erano allora i soli uomini, ma nei quali eravamo presenti anche noi? 5.19 - La fede dei vescovi orientali, intervenuti al sinodo di Diospoli Che dire di più? Vedi un po' tu stesso se dall'Oriente ti sono sufficienti questi due uomini tanto famosi, dotati di tanta chiara santità e, come si tramanda, anche fratelli di sangue. Dì pure che non bastano. Abbiamo altri quattordici vescovi orientali: Eulogio, Giovanni, Ammoniano, Porfirio, Eutonio, Porfirio, Fido, Zonino, Zoboenno, Ninfidio, Cromazio, Giovino, Eleuterio, Clemazio. Tutti della stessa regione li possiamo introdurre insieme nel nostro consesso. Sono gli stessi che sedettero quali giudici dinanzi a Pelagio, e che, come uomini, ritenendolo cattolico per il fatto che dalla parte opposta non c'era nessun avversario che l'accusasse, lo dichiararono cattolico. Pelagio sarebbe stato sicuramente condannato se, dinanzi ad essi, non avesse condannato coloro che dicevano: "Il peccato di Adamo ha leso soltanto lui e non tutto il genere umano, e i bambini appena nati si trovano nello stato di Adamo prima del peccato ed avranno la vita eterna anche senza avere ricevuto il battesimo". Che ti giova raccogliere occasioni, appigli, artifizi affinché le cose semplici non appaiono chiare e le cose chiare risplendenti? Chi non vede come quei giudici hanno inteso questa verità secondo la Chiesa Cattolica, che ovunque esorcizzando e alitando, libera i bambini dal potere delle tenebre, e non come lo intendete voi, o meglio, lo predicate voi? Nonostante tutto avete avuto il coraggio di dire che "il peccato di Adamo ha leso il genere umano per imitazione e non per propagazione e che i bambini appena nati non si trovano nello stato di Adamo prima del peccato solo perché Adamo era capace di ricevere un comando mentre i bambini non lo sono ancora". Con questi nebulosi discorsi Pelagio crede di aver eluso quel tribunale, e voi, per parte vostra, aderite appieno a tale nefandezza e ridete che tanti vescovi siano stati da lui ingannati. Potete forse con qualche astuzia travisare il senso delle parole: "I bambini avranno la vita eterna anche senza aver ricevuto il battesimo", o potete coprirle con qualche foglia di fico? Dinanzi a quei giudici cattolici Pelagio non poté far altro che condannare quelli che affermano tali cose. Temendo di essere condannato dagli uomini, dinanzi ad essi condannò il proprio pensiero. Se non sentite di far questo vuol dire che siete d'accordo con noi. Siccome però di fatto voi non siete d'accordo con noi, è evidente che lo siete con lui. Per questo vi condanneranno quei vescovi orientali dinnanzi ai quali Pelagio, temendo di essere condannato, condannò quelli che la pensavano così, mentre avrebbe dovuto essere condannato insieme con essi, che egli stesso aveva condannato, dal momento che conservava nel cuore ciò che condannava con la bocca. Nei suoi scritti, infatti, si trova ciò che aveva condannato con la bocca. In questo momento, però, non parlo con lui. Sto discutendo con te, cosa rispondi? Ci sono tanti giudici orientali: leggiamo il resoconto dei fatti avvenuti dinanzi ad essi. Leggiamo che Pelagio fu obiettato di aver detto che "i bambini avranno la vita eterna anche senza aver ricevuto il battesimo", e che egli condannò quelli che facevano una tale affermazione perché, in caso contrario, non avrebbe potuto sfuggire alla condanna di quei vescovi. Che dici ora? Avranno o non avranno la vita eterna i bambini che escono da questa vita senza aver ricevuto il battesimo? Se rispondi: "l'avranno", ti condanneranno le parole stesse del tuo Pelagio e di tutti quelli da cui Pelagio temette di essere condannato. Se poi rispondi: "non l'avranno", ti domando per quale motivo una innocente immagine di Dio è punita con la privazione della vita eterna, se nessun peccato si contrae con l'umana propagazione? Se poi si contrae qualche colpa, per quale motivo chiamate manichei quelli che la pensano così, quelli cioè dai quali Pelagio sarebbe stato condannato se non avesse finto di pensarla alla stessa maniera? 5.20 - Unica fede dei vescovi occidentali e orientali Bene, ora hai di fronte i vescovi dell'Occidente e quelli dell'Oriente. Questi ultimi sembravano mancare ed invece ne abbiamo trovati in numero maggiore. Tutti credono una identica verità: Per opera di un solo uomo il peccato entrò nel mondo e attraverso il peccato la morte; così la morte passò su tutti gli uomini, perché tutti peccarono. ( Rm 5,12 ) Questo è il motivo per cui si crede che tutti nascono soggetti al peccato di quel primo uomo. Quando tu chiami manichei coloro che credono questa verità, guarda questi Padri, arrossisci di fronte ad essi, sii indulgente con essi, o piuttosto, sii indulgente con te stesso, affinché non succeda che colui che abita in essi e li regge finisca per non avere indulgenza con te. Se poi ritieni che essi non siano manichei, non hai ragione per affermare che lo sia io. Mi dichiari tale, infatti, solo perché, riguardo al peccato del primo uomo, a cui ci ha obbligato la nascita carnale e da cui non ci libera se non la rinascita spirituale, io credo quello che essi credono, ritengo quello che essi ritengono, insegno quello che essi insegnano, predico quello che essi predicano. Arrenditi ad essi e non colpire me. Accetta ciò che dicono e ti lascerò in pace. Da ultimo, se non vuoi diventare mio amico per loro merito, ti prego almeno di non diventare loro nemico per causa mia. Ma come puoi non diventarlo se rimani in questo errore? Quanto faresti meglio a staccartene per avvicinarti ad essi! È possibile che Pelagio e Celestio abbiano su di te tanta influenza da farti non solo abbandonare, ma addirittura chiamare manichei tanti luminari della fede cattolica dell'Oriente e dell'Occidente, antichi o vicini alla nostra età, che sono morti o tuttora viventi? Stupisco che talvolta dalla tua bocca possa uscire quello che la bruttezza del tuo errore ti spinge a gridare. Ma è davvero sorprendente che nella faccia dell'uomo, pur essendoci tanto spazio fra la fronte e la lingua, in questa faccenda la fronte non schiacci la lingua. 6.21 - La testimonianza di Giovanni Crisostomo, su cui si appoggiano i pelagiani Conosco già ciò che vai borbottando. Parla pure, parla, ti ascoltiamo. Verso la fine della tua opera della quale stiamo trattando, nell'ultima parte, cioè, del quarto libro, scrivi: "San Giovanni di Costantinopoli nega che nei bambini ci sia il peccato originale. Nell'omelia, infatti, che tenne ai battezzati, dichiara: "Benedetto Iddio che da solo ha fatto cose mirabili, che ha fatto ogni cosa ed ha cambiato ogni cosa. Quelli che poco prima erano prigionieri ora godono della serenità della libertà; quelli che poco prima erano erranti ora sono cittadini della Chiesa; quelli che poco prima si trovavano nella confusione del peccato, ora si trovano nella fortezza della giustizia. Essi non solo sono liberi, ma anche santi; non solo santi ma anche giusti; non solo giusti ma anche figli; non solo figli ma anche eredi; non solo eredi ma anche fratelli di Cristo; non solo fratelli di Cristo ma anche coeredi; non solo coeredi ma anche membra; non solo membra ma anche tempio; non solo tempio ma anche strumento dello Spirito". Vedi quanti sono i benefici del battesimo? E qualcuno crede che la grazia celeste consista solo nella remissione dei peccati! Ho enumerato dieci benefizi! Per questo battezziamo anche i bambini, pur non essendo macchiati dal peccato, affinché ricevano la santità, la giustizia, l'adozione, l'eredità, la fratellanza di Cristo e diventino sue membra". 6.22 - Corretta interpretazione del testo E così tu hai il coraggio di pensare che queste parole del santo vescovo Giovanni siano contrarie alle tesi di tali e tanti santi e che egli debba essere separato dalla loro concordissima compagnia e ritenuto un avversario? No, ben lontano sia credere o dire che Giovanni di Costantinopoli riguardo alla questione del battesimo dei bambini e della loro liberazione dal chirografo paterno per opera di Cristo, si opponga a tanti colleghi nell'episcopato e soprattutto ad Innocenzo di Roma, a Cipriano di Cartagine, a Basilio di Cappadocia, a Gregorio di Nazianzo, ad Ilario dei Galli, ad Ambrogio di Milano. È fuori dubbio che ci sono delle questioni, sulle quali, salva restando l'unità della fede, non concordano perfettamente anche ottimi e dottissimi difensori della stessa fede cattolica, e sulle quali dicono cose migliori e più vere di altri. Ma la questione di cui ora trattiamo riguarda le fondamenta stesse della fede. Tentare di far vacillare nella fede cristiana il senso delle parole: … La morte venne per opera di un uomo, anche la risurrezione dai morti viene per opera di un uomo. Come infatti tutti muoiono in Adamo, così pure tutti in Cristo saranno richiamati in vita, ( 1 Cor 15,21-22 ) significa distruggere tutto quanto crediamo in Cristo. Senza dubbio Cristo è il Salvatore anche dei bambini. Se non sono redenti da Lui, certamente periranno perché senza la sua carne e il suo sangue non possono avere la vita. Questo ha pensato, questo ha creduto, questo ha imparato ed insegnato anche Giovanni. Sei tu che volgi il senso delle sue parole nella tua direzione. Egli ha detto, è vero, che i bambini non hanno peccati, ma quelli personali. E giustamente proprio per questo li chiamiamo innocenti secondo il detto dell'Apostolo: Quando non erano ancora nati non avevano compiuto alcunché di bene o di male, ( Rm 9,11 ) ma non secondo l'altro detto: Per la disubbidienza di un solo uomo gli altri furono costituiti peccatori. ( Rm 5,19 ) Il nostro Cipriano poteva dire dei bambini la stessa cosa di Giovanni allorquando affermava che "i bambini non hanno peccato in nulla e che ad essi sono rimessi non i peccati personali, ma quelli di altri". Paragonandoli dunque agli adulti, i cui peccati personali sono rimessi nel battesimo, Giovanni ha detto che "i bambini non hanno peccati", ma non nel senso che tu riporti le sue parole: "non sono macchiati dal peccato", volendo far intendere che non sono macchiati dal peccato del primo uomo. Questo errore, per la verità, non lo attribuirei a te, ma al traduttore, anche se in alcuni codici che riportano la stessa traduzione, si legge non "dal peccato", bensì "dai peccati". Per la qual cosa non mi meraviglierei che qualcuno di voi non abbia preferito scrivere il singolare perché si intendesse un solo peccato secondo le parole dell'Apostolo: Poiché il giudizio che tenne dietro a quell'unico si conchiuse con una condanna; ma l'opera di grazia che venne dopo le tante colpe si conchiuse con la giustificazione. ( Rm 5,16 ) Quell'"unico" null'altro vuol significare se non peccato. Ora, affinché non si intendesse che i bambini sono macchiati da esso, voi avete preferito scrivere non "essi non hanno peccati", come diceva Giovanni, espressione che fa pensare ai peccati personali, e neppure "non sono macchiati dai peccati", come la traduzione stessa riporta in alcuni codici, ma "non sono macchiati da peccato", affinché venisse in mente solo il peccato del primo uomo. Evitiamo i pregiudizi. Si può trattare di errore di trascrizione o di diversa traduzione. Riporterò quindi le stesse parole greche usate da Giovanni: " ??? t??t? ?a? t? pa?d?a ßapt???µe? ?a? t?? ?µa?t?µata ??? ????ta ", che in latino traduciamo: "perciò battezziamo anche i bambini quantunque non abbiano peccati". Vedi bene che egli non ha detto: "i bambini non sono macchiati da peccato" o "da peccati", ma semplicemente: "non hanno peccati"; aggiungi "personali" e cesserà ogni contrasto. Mi dirai: perché non ha aggiunto egli stesso "personali"? Probabilmente perché, parlando nella Chiesa Cattolica, riteneva che nessuno avrebbe inteso diversamente e, siccome nessuno sollevava tali problemi, egli poteva parlare con maggiore tranquillità, non essendoci ancora voi a litigare. 6.23 - Apostrofe di S. Giovanni Crisostomo Vuoi sentire che altro egli ha detto con molta chiarezza su questo argomento? Ebbene, unisco anche lui a quell'assemblea di santi. Tra i miei testimoni o, meglio, tra i nostri giudici metto anche colui che hai creduto far tuo patrono. Dovrai chiamare manicheo anche lui. Vieni avanti, Giovanni, entra pure e siedi accanto ai tuoi fratelli, dai quali nessuna ragione e nessuna tentazione ti ha separato. È necessario, sommamente necessario il tuo pensiero, perché questo giovane crede di aver trovato nei tuoi scritti del materiale col quale distruggere e svuotare il pensiero di tanti tuoi colleghi nell'episcopato. Se veramente egli avesse trovato nei tuoi scritti qualcosa di simile, e fosse chiaro che tu la pensavi come la pensa lui ora, è evidente, con tua buona pace, che noi non avremmo mai potuto preferire te solo a tali e tanti nomi in una questione su cui la fede cristiana e la Chiesa Cattolica non hanno mai mutato parere. No, non può essere che tu, pur pensando in una maniera diversa, abbia occupato nella Chiesa un posto così eminente. Di qualcosa dunque che possa confondere ed intimidire questo giovane, che accusa me e che, perdonami, accuserà anche te quando gli avrò chiarito il tuo pensiero su questo argomento. Chiama infatti manicheismo il sostenere che i bambini hanno bisogno dell'aiuto di Cristo liberatore, per essere liberati dalla condanna alla quale sono legati a causa del peccato del primo uomo. Quando avrà capito che anche tu pensi questo, o si correggerà dall'errore di Pelagio o dovrà accusare anche te di manicheismo. Per portargli un beneficio vero, dunque, non facciamo caso al suo falso insulto. 6.24 - Testi di S. Giovanni Crisostomo a favore del peccato originale Ascolta pertanto, o Giuliano, quello che Giovanni dice insieme con gli altri Dottori cattolici. Scrivendo ad Olimpia dichiara: "Quando Adamo commise quel grave peccato e condannò insieme tutti gli uomini, espiava nel dolore la sua colpa". Parlando della risurrezione di Lazzaro, aggiunge: "Cristo pianse perché la mortalità è precipitata a tal punto che, scacciata dalla eternità, amò gl'inferi. Cristo pianse perché quelli che avrebbero potuto essere immortali furono resi mortali dal diavolo". Cosa si poteva dire di più esplicito? Cosa rispondi a tutto questo? Se Adamo col suo grande peccato condannò insieme tutti gli uomini, può forse il bambino nascere senza condanna? E chi può liberarlo da questa condanna se non Cristo? Se anche in Lazzaro la mortalità, scacciata dall'eternità, amò gl'inferi, quale dei mortali può dirsi escluso da questa colpa e da questa caduta, causa al primo uomo della perdita dell'immortalità, che avrebbe ricevuto se non avesse peccato? Se il diavolo fece diventare mortali quelli che avrebbero potuto essere immortali, per quale motivo i bambini muoiono se non sono soggetti al peccato di quel primo uomo? Che forse i bambini non sono sottratti al regno della morte solo per opera di Colui nel quale tutti trovano la vita? 6.25 - Dall'omelia 9 Sulla Genesi In un altro suo discorso lo stesso Giovanni affronta la questione del perché le bestie feriscano o uccidano gli uomini, nonostante l'evidente comando con cui Dio le aveva assoggettate all'uomo, affinché avesse potere su di loro. ( Gen 1,28 ) Il Santo risolve la questione affermando che prima del peccato tutte le belve erano di fatto sottomesse all'uomo e che, se ora gli nuocciono, è conseguenza del primo peccato. La trattazione è troppo lunga per essere inserita in quest'opera, ma è opportuno che ne annoti almeno qualche cosa: "Noi temiamo le bestie, egli scrive, e ne abbiamo paura, non dico di no. Abbiamo perduto il dominio su di esse. Questo però non significa che la legge di Dio sia falsa. All'inizio le cose non stavano così: le bestie avevano timore e tremore ed erano sottomesse al padrone. Perduta la fiducia, abbiamo perduto anche il privilegio. Come lo sappiamo? Dio portò le bestie ad Adamo perché trovasse loro un nome e Adamo non si tirò indietro come se avesse paura". Poco più innanzi aggiunge: "È un segno che all'inizio le bestie non erano di spavento all'uomo. C'è un secondo fatto più convincente ancora del primo: il discorso che il serpente fece alla donna. Se le bestie fossero state di spavento agli uomini, la donna non sarebbe rimasta di fronte al serpente, non ne avrebbe ricevuto il consiglio, non avrebbe parlato con lui con tanta familiarità, ma si sarebbe spaventata e sarebbe scappata via dal suo cospetto. Essa invece parlò e non ebbe paura. Non c'era ancora questa paura. La venuta del peccato ha sottratto i privilegi". Un po' più avanti aggiunge: "Fino a quando l'uomo aveva fiducia in Dio, egli era terribile per le bestie. Dopo averlo offeso cominciò a temere anche i più piccoli degli esseri che gli erano soggetti. Se per te non è così, dimostrami che prima del peccato le bestie erano terribili per gli uomini. Non ti sarà possibile. Se dopo tanti eventi è subentrata la paura, anche questo è avvenuto per la provvidenza del Signore. Qualora, infatti, dopo che il comando dato da Dio fu rimosso ed infranto, se il privilegio che gli era stato dato fosse rimasto intatto l'uomo non si sarebbe facilmente risollevato". Appare chiaro pertanto come in questa disputa San Giovanni ha dimostrato che il peccato, entrato nel mondo per mezzo di un solo uomo, è diventato un peccato comune a tutti, così come è una paura comune a tutti quella per le bestie. Queste non risparmiano neppure i bambini, mentre essi, secondo questo trattato di Giovanni, non dovrebbero essere né lesi né spaventati se non fossero legati al laccio di quell'antico peccato. 6.26 - Dall'omelia ai Neofiti Suvvia, Giuliano, suvvia, dichiara che anche costui è manicheo! Perché hai timore di farlo? Anche egli ha fatto tanta ingiuria alla natura, della quale difendete l'innocenza, ed ha sostenuto la propagazione della condanna. Frena te stesso, piuttosto, e, se c'è qualcosa di sanabile nella tua mente, correggilo. Cerca di comprendere una buona volta in qual senso Giovanni ha detto che i bambini non hanno peccati. Non voleva intendere che i bambini non sono legati dal peccato originale, ma che non hanno commesso alcun peccato personale. Se l'avessi letta per intero, avresti trovato tutto questo nella stessa omelia. Se poi dici di averla letta, non riesco proprio a capire come ti sia potuto sfuggire, e se non ti è sfuggito, mi meraviglio che non ti abbia fatto ravvedere, ammesso che per te valga qualcosa l'autorità di Giovanni. Se poi, dopo aver letto quella omelia, e soprattutto dopo avere esaminato attentamente e meditato il passo che ti ho ricordato, hai creduto di dover restare nella tua opinione, perché hai inserito alcune sue parole nel tuo scritto? Forse per invitarci a leggerla tutta e scoprire dove cogliere e confutare le tue insidie? Quale espressione più chiara di questa: "Cristo è venuto una volta sola e ci ha trovati obbligati alle cauzioni paterne sottoscritte da Adamo. Egli ci ha fatto vedere l'inizio del debito ed ha accresciuto l'interesse per i nostri peccati". Non senti che quest'uomo, esperto nella fede cattolica e maestro per gli altri, distingue bene il chirografo paterno, giunto a noi per eredità, da quei debiti il cui interesse si è accresciuto per i nostri peccati. Non comprendi cosa viene perdonato nel battesimo dei bambini, che non hanno contratto debiti personali, ma non sono stati immuni dal chirografo paterno? Le sue parole non tradotte suonano così in greco: ???eta? ?pa? ? ???st??, e??e? ?µ?? ?e?????af??, ? t? ???afe? ? ?daµ. ??e???? t?? ????? e?s??a?e? t?? ??e????, ?µe?? t?? da?e?sµ?? ????saµe? ta?? µeta?e?est??a?? ?µa?t?a??. Tradotte alla lettera queste parole significano: "Cristo è venuto una volta sola, ha trovato il nostro chirogralo paterno che aveva firmato Adamo. Quello diede inizio al debito, noi abbiamo accresciuto l'interesse con i peccati posteriori". Che forse si è contentato di dire "chirografo paterno", senza aggiungere "nostro"? Ha voluto con questo sottolineare che, prima ancora di aumentare l'interesse con i nostri peccati posteriori, il debito di quel chirografo paterno già ci apparteneva. 6.27 - Dall'omelia 10 sulla Lettera ai Romani Leggi pure l'esposizione che lo stesso santo fa del passo dell'Apostolo dove è scritto: Per opera di un solo uomo il peccato entrò nel mondo. ( Rm 5,12 ) Vedrai illuminarsi ancor più chiaramente la verità di questa fede cattolica. Mi limiterò a citare pochi passi perché sarebbe troppo lungo inserire in questa mia opera tutta l'omelia. "È chiaro, egli scrive, che a contaminare ogni cosa non è stato il peccato derivante dalla trasgressione della legge, ma quello derivante dalla disobbedienza di Adamo". "La morte - aggiunge poco dopo - dominò da Adamo fino a Mosè, anche su quelli che non avevano peccato. ( Rm 5,14 ) In che modo dominò? In modo simile alla trasgressione di Adamo, che è figura del futuro. ( Rm 5,14 ) Per questo Adamo è anche figura di Cristo. In quel modo è figura? si domanderà. Come Adamo è divenuto causa della morte, introdotta dal cibo, per i suoi discendenti, che non avevano mangiato dall'albero, così Cristo a quelli che sono nati da lui, pur senza aver fatto nulla di meritorio, ha procurato la giustizia che ha donato a tutti noi per mezzo della croce". In un altro passo della stessa omelia aggiunge: "Quando un giudeo ti domanderà come è possibile che il mondo sia stato salvato in virtù del solo Cristo, gli potrai rispondere: alla stessa maniera che tutto il mondo fu condannato per la disobbedienza del solo Adamo, anche se non c'è parità tra la grazia e il peccato, la morte e la vita, Dio e il diavolo". Più avanti ancora scrive: "Ma il fallo non è pari al dono. Se per il fallo di uno solo gli altri morirono, con quanta più abbondanza si riversò su tutti gli altri la grazia di Dio ed il dono conferito per merito di un solo uomo Gesù Cristo. ( Rm 5,15 ) Queste parole vorrebbero dire che: se il peccato, ed il peccato di un solo uomo, ha avuto tanta potenza, come è possibile che la grazia, la grazia di Dio, non solo del Padre ma anche del Figlio, non possa valere molto di più? Questo è molto più ragionevole. L'essere infatti condannati gli uni per gli altri non sembra molto ragionevole, ma l'essere salvati gli uni per gli altri è senz'altro molto più decente e più ragionevole. Se è avvenuto quello, a maggior ragione questo". Nei brani successivi aggiunge: "Il giudizio che tenne dietro a quel solo peccato si conchiuse con una condanna; ma l'opera di grazia che venne dopo le tante colpe si conchiuse con la giustificazione. ( Rm 5,16 ) Questo significa esattamente che, come il peccato poté introdurre la morte e la condanna, così la grazia non solo distrusse quel peccato, ma anche tutti gli altri che sarebbero venuti dopo". Un po' più avanti scrive sullo stesso argomento: "Siccome sono pervenute molte cose buone l'Apostolo, per dimostrare che non fu distrutto solo quel peccato, ma anche tutti gli altri, dice: L'opera di grazia che venne dopo le tante colpe si conchiuse con la giustificazione". E subito dopo aggiunge: "Dapprima aveva detto: se il peccato di uno solo diede la morte a tutti, a maggior ragione la grazia di uno solo poteva salvare tutti; e subito dopo: la grazia non ha distrutto solo quel peccato, ma anche tutti gli altri. Anzi, non solo ha distrutto tutti i peccati, ma ha donato anche la giustificazione. Cristo non ha portato un beneficio solo uguale al danno arrecato da Adamo, bensì uno molto più ampio e più largo". Nella stessa opera, più avanti, trattando del battesimo, Giovanni cita le parole dell'Apostolo: "Non sapete forse che tutti noi che fummo battezzati in Cristo Gesù, fummo battezzati nella sua morte? Fummo, col battesimo, sepolti con lui nella morte. ( Rm 6,3-4 ) Che significa fummo battezzati nella sua morte? Significa che dobbiamo morire anche noi come lui. La croce è il battesimo. Quello che la croce e la sepoltura sono stati per Cristo, il battesimo lo è diventato per noi. Non alla stessa maniera, però. Egli infatti morì e fu sepolto nella carne, noi invece lo siamo nel peccato. Per questo l'Apostolo non ha detto: Siamo diventati un essere solo con lui nella morte, bensì nella somiglianza della morte. ( Rm 6,5 ) L'una e l'altra sono morte, ma non subordinate allo stesso soggetto. La prima appartiene alla carne di Cristo, la nostra al peccato. Come la prima è vera, così anche la nostra". 6.28 - S. Giovanni Crisostomo perfettamente cattolico Puoi forse ancora dubitare che San Giovanni è tanto lontano dal vostro sentire quanto è vicino al sentire cattolico? Che forse nella esposizione del passo dell'Apostolo: Per opera di un solo uomo il peccato entrò nel mondo, ( Rm 5,12 ) passo assolutamente necessario alla questione che si agita tra noi, e di tutti gli altri passi ad esso connessi, c'è in qualche angolo sentore di quello che voi sostenete, che cioè il peccato si deve intendere trasmesso per imitazione e non per nascita? Non dice forse che ogni cosa è stata contaminata da quel solo peccato, distinguendolo così dagli altri commessi ed introdotti successivamente, che voi attribuite all'imitazione e non alla discendenza, sicché si dica che non solo quello, ma questi e quello sono stati distrutti dalla grazia di Cristo? Che forse non spiega le parole dell'Apostolo sul battesimo: Tutti noi che fummo battezzati in Cristo, fummo battezzati nella sua morte, ( Rm 6,3 ) in modo da far capire che chi è battezzato in Cristo, muore al peccato come è morto Cristo nella carne, dal momento che essere battezzati in Cristo altro non è che morire al peccato? A quale peccato muore il bambino se non ha contratto quello originale? O forse i bambini non sono battezzati nella morte di Cristo? L'Apostolo però non ha detto: "alcuni", ma tutti noi che fummo battezzati in Cristo, fummo battezzati nella sua morte. Ai battezzati nel battesimo cristiano direte forse che non sono battezzati in Cristo, per evitare di essere soffocati dalla definizione di Giovanni il quale sostiene che, per i battezzati in Cristo, il battesimo è esattamente quello che la croce e la sepoltura sono stati per Cristo, come egli, cioè, è morto alla carne, così essi sono morti al peccato? A questo uomo, a questo grande difensore della fede cristiana e di questo dogma cattolico, avete preteso attribuire il vostro insegnamento, come se avesse detto che "i bambini non sono macchiati del peccato del primo uomo", mentre di fatto ha detto che "essi non hanno peccati", volendo intendere i peccati personali, come tante e tanto lucide testimonianze dimostrano. 7.29 - Inganno o imperizia di Giuliano A che ti è servito, dunque, l'aver addotto la testimonianza di Giovanni di Costantinopoli, quasi che tornasse a tuo vantaggio? Ad afferrare forse con fine intuito una parola da lui sorvolata per scuotere da te la montagna di parole dalle quali saresti stato seppellito? Sei stato tanto sprovveduto ed incauto da non avvertire che san Giovanni di Costantinopoli nella stessa omelia, in cui a mala pena hai trovato una testimonianza che, interpretata male, ti ha portato ad ingannare gli altri, sostiene con molta evidenza che tutti gli uomini, oltre che dei peccati personali, sono debitori del chirografo paterno. Ciò nonostante, dopo aver citato le sue parole con cui hai creduto poter aiutare la tua tesi, continui a dire: "Essendo dunque chiarissimo che questa è la sana e vera dottrina, fondata sulla ragione, rafforzata dall'autorità della Scrittura e suffragata sempre dalla erudizione dei Santi, i quali tuttavia non hanno dato forza alla verità con il proprio consenso ma dall'incontro con essa hanno ricevuto testimonianza e gloria, nessun assennato sia turbato dalla cospirazione di uomini perduti". A che giovano queste parole se non a dimostrare che hai trascurato di conoscere il pensiero e le parole dei maestri cattolici su questo argomento, oppure, nel caso abbia tentato di conoscerli, hai raggirato con l'inganno quelli che non li conoscevano? Tacendo per il momento la ragione e l'autorità della Sacra Scrittura, che forse l'insegnamento dei Santi ha sempre difeso la tesi per cui negate che i bambini sono soggetti al peccato del primo uomo? Non si evince affatto questo dalle testimonianze citate da tali e tanti uomini santi e dottissimi. Anzi, al contrario, credo che tu debba aver capito quanto tale opinione ti ha ingannato, a meno che tu non agisca per inganno, avendolo già compreso. Voglio pensar bene di te. Se è vero che per la prima volta apprendi queste cose, se per la prima volta ti rendi conto che tanti Santi hanno imparato ed insegnato ciò che noi impariamo ed insegniamo, che cioè i bambini dalla nascita secondo la carne sono legati dal peccato del primo uomo e che da esso non ne sono sciolti se non in virtù della rigenerazione spirituale, muta il tuo pensiero, deponi il tuo errore, o, meglio ancora il furore con cui hai scagliato l'insulto del nome manicheo contro tali e tanti Padri della Chiesa. Se l'hai fatto senza saperlo, perché non respingi la tua miserabile ignoranza? Se poi l'hai fatto coscientemente, perché non deponi la tua sacrilega audacia? 7.30 - Agostino in compagnia di tanti e santi Dottori Sei confutato da ogni parte: la testimonianza di tanti Santi è più luminosa della luce. Osserva bene in quale assemblea ti ho introdotto. C'è Ambrogio di Milano che il tuo maestro Pelagio ha lodato con tanto entusiasmo da affermare che "nei libri risplende sommamente la fede di Roma e che egli eccelse come un fiore bellissimo tra gli scrittori latini, tanto che neppure un nemico avrebbe osato criticare la sua fede e la sua purissima interpretazione della Scrittura". C'è Giovanni di Costantinopoli che tu stesso, nell'opera alla quale sto rispondendo, hai collocato in un posto preminente nel numero degli eruditi e dei Santi. C'è S. Basilio di cui alcune parole, non pertinenti al problema ora trattato, hai creduto potessero favorirti. Ci sono tutti gli altri, la cui concorde testimonianza ti dovrebbe convincere. Questa non è, come hai scritto con penna maligna, una cospirazione di uomini perduti. Essi hanno brillato nella Chiesa Cattolica con lo studio della sana dottrina; rivestiti e muniti di armi spirituali hanno combattuto valorose battaglie contro gli eretici e, dopo aver svolto fedelmente il proprio lavoro, si sono addormentati serenamente in grembo alla pace. Ciò nonostante, indicandomi, esclami: "È venuto fuori uno che si vanta di aver riposte in lui le sorti della battaglia". No, non sono io solo. Tanti Santi ed eruditi Dottori ti rispondono per me ed insieme a me, per la salvezza di tutti noi ed anche, se vuoi esser sensato, per la tua salvezza. 7.31 - Ai pelagiani non si oppone soltanto la voce popolare Non è vero, come ci calunni, che "ti opponiamo solo il mormorio del popolo", anche se il popolo, proprio per questo, mormora contro di voi perché non si tratta di un problema che possa sfuggire la comprensione popolare. Ricchi e poveri, grandi e piccoli, dotti e ignoranti, uomini e donne sanno bene che cosa in ogni età viene perdonato nel battesimo. Per questo ogni giorno in tutto il mondo le madri corrono non solo a Cristo, cioè all'Unto, ma a Gesù Cristo, cioè all'Unto Salvatore. L'assemblea dei Santi, però, nella quale ti ho introdotto, non è una massa di popolo: essi sono figli, sì, ma anche Padri della Chiesa. Essi fanno parte del numero di coloro di cui è stato detto: Al posto dei tuoi genitori ci saranno i tuoi figli; li costituirai principi su tutta la terra. ( Sal 45,17 ) Da essa sono stati generati come figli per imparare queste verità e ne sono diventati padri per insegnarle. 7.32 - Raccolta delle affermazioni patristiche Perché vantarsi di gioire che questa verità che tu credi errore, o meglio, che vorresti far credere tale, "non può trovare un assertore tra tanta moltitudine"? Ritieni forse insignificante il suo consenso per il fatto che, in questo antichissimo e fermissimo fondamento di fede, la stessa moltitudine sparsa per tutta la terra non si è trovata in disaccordo? Se poi esigi degli assertori, illustri per dottrina e che hanno lasciato scritto qualche cosa, eccone un memorabile e venerabile consesso e consenso. Sant'Ireneo dice che l'antica piaga del serpente è sanata dalla fede e dalla croce di Cristo e che dal peccato della prima creatura noi siamo stati legati come da catene. San Cipriano dice che perisce il bambino non battezzato, anche se a lui nel battesimo vengono rimessi non i peccati personali, ma quelli di altri. San Reticio dichiara che i peccati del vecchio uomo, di cui ci spogliamo con il lavacro di rigenerazione, non solo sono antichi, ma addirittura ingeniti. Sant'Olimpio dice che il vizio della prima creatura è stato sparso nel seme cosicché il peccato nasce insieme all'uomo. Sant'Ilario afferma che ogni carne viene dal peccato, eccetto quella di Colui che è venuto nella somiglianza della carne di peccato ma senza peccato. Lo stesso Sant'Ilario continua affermando che è nato con vera origine peccaminosa e sotto la legge del peccato colui che grida: Sono stato concepito nell'iniquità! ( Sal 51,7 ) Sant'Ambrogio scrive che i bambini battezzati nei primordi della loro vita, risanati dal male, sono restituiti alla integrità della primitiva natura e che, tra i nati di donna, solo il Signore Gesù, in virtù della novità del parto immacolato, non ha subito alcun contagio della terra corrotta. Tutti moriamo in Adamo, continua Ambrogio, perché per opera di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e la sua colpa significa la morte per tutti. A cagione di quella ferita, è sempre Ambrogio che parla, tutto il genere umano sarebbe perito se il buon Samaritano non fosse accorso per curare le sue piaghe aperte. Adamo ebbe la vita e tutti vissero in lui; Adamo è perito e tutti perirono in lui. Noi siamo macchiati dal contagio prima ancora di nascere e l'umano concepimento non è immune da iniquità, perché siamo concepiti nel peccato dai genitori e nasciamo nei loro delitti. Anche il parto ha il suo contagio e la stessa natura non ha solo un contagio. Il diavolo è stato un usuraio, continua Ambrogio, ed Eva, macchiata da lui, ha rovinato tutto il genere umano con l'usura di un debito ereditario. Eva è stata ingannata dal diavolo per abbattere il marito ed incatenarne la discendenza. Adamo è stato morso dal serpente e tutti ne siamo diventati zoppi. Nessuno di quelli che nascono dall'unione dell'uomo e della donna è immune dalla colpa. L'unico che ne è stato immune, Cristo Signore, non ha avuto neppure un concepimento di tal genere. Sant'Innocenzo ti dice che con il lavacro di rigenerazione viene purificata tutta la colpa passata che ci venne a causa di colui che, cadendo per il libero arbitrio, era stato sprofondato nell'abisso. E i bambini, aggiunge, non potranno avere la vita se non mangeranno la carne del Signore e non berranno il suo sangue. Sarebbe stato molto meglio, afferma San Gregorio, non staccarsi dall'albero della vita per il gusto amarissimo del peccato: dopo la colpa, tuttavia, è necessario emendarsi. Passati dal bene al male, aggiunge, dobbiamo tornare dal male al bene, cosicché come ci ha condannato il gusto dell'albero proibito, così con grazia ancor maggiore ci giustificherà la croce di Cristo. Dobbiamo venerare la nascita, dice ancora, in virtù della quale siamo liberati dai vincoli della nascita terrena. Con la rigenerazione dall'acqua e dallo Spirito Santo sono purificate le macchie della prima nascita, a causa delle quali siamo concepiti nelle iniquità. Abbiamo contratto la malattia del peccato, dice S. Basilio, perché Eva non ha voluto astenersi dal gustare il frutto proibito. Siamo caduti dal Paradiso, aggiunge infine, perché non abbiamo digiunato; se vogliamo farvi ritorno, dobbiamo digiunare. Eulogio, Giovanni, Ammoniano, Porfirio, Eutonio, Porfirio, Clemazio, tutti vescovi e santi, ad una sola voce ti ripetono: Abbiamo assolto Pelagio solo perché aveva condannato quelli che sostenevano che i bambini hanno la vita eterna anche se non sono battezzati. Rispondi ora: può Dio giusto privare della vita eterna una sua immagine che non è soggetta ad alcuna colpa? 7.33 - Raccolta dei testi del Crisostomo Il santo vescovo Giovanni, infine, che tu stesso hai ricordato con onore, hai lodato come santo e dotto e del quale hai detto che ha ricevuto testimonianza e gloria per la sua adesione alla verità, dice che Adamo ha commesso un peccato così grave da condannare insieme tutto il genere umano. Nella morte di Lazzaro, aggiunge, Cristo ha pianto perché la mortalità, scacciata dall'eternità, ha amato gli inferi e perché il diavolo ha reso mortali quelli che potevano essere immortali. Prima del peccato le bestie erano soggette all'uomo in tutto; dopo che il peccato è entrato nel mondo, invece, abbiamo cominciato ad averne paura: fino a tal punto, ci ha voluto far capire Giovanni, il peccato del primo uomo appartiene a tutti gli uomini. Chi non vede, di conseguenza, come nessuna bestia farebbe male ai bambini, se la nascita carnale non legasse anch'essi col vincolo di quel peccato? Nello stesso discorso con cui hai voluto ingannare gli incauti, Giovanni dice che Cristo ci ha trovati obbligati al nostro paterno chirografo sottoscritto da Adamo ed alle nostre successive colpe personali. Passa poi a spiegare il passo dell'Apostolo, essenziale per la nostra questione: Per opera di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo, ( Rm 5,12 ) e tutti gli altri passi che hanno attinenza ad esso. Nella sua lunga esposizione Giovanni non dice affatto quello che dite voi, che cioè il peccato si è trasmesso nel mondo per imitazione e non per propagazione, ma, al contrario, con piena adesione alle tesi dei suoi fratelli nell'episcopato, dimostra quanto egli sia lontano dal vostro modo di pensare. Afferma che tutto è stato contaminato dal peccato del primo uomo e, affinché non si intendesse che ciò sia avvenuto per imitazione morale e non per generazione, aggiunge che Adamo è stato detto figura di Colui che doveva venire, perché come egli divenne per i suoi discendenti, che non avevano mangiato dall'albero, causa della morte introdotta dal cibo, così Cristo procurò a quelli che sono da lui, anche se nulla avevano fatto di meritorio, la giustificazione donata a tutti per mezzo della Croce. Esprime poi la sua convinzione che con il peccato del primo uomo, per la cui sola disobbedienza tutto il mondo è stato condannato, è confutato il giudeo che nega al mondo la possibilità di essere salvato per virtù del solo Cristo; potrebbe sembrare non molto ragionevole che, aggiunge ancora, si venga condannati gli uni per gli altri, cosa che è avvenuta per opera di Adamo, mentre è molto più persuasivo credere, cosa del resto più conveniente e ragionevole, che si possa essere salvati gli uni per gli altri, come è avvenuto in Cristo. Se, al contrario, il peccato del primo uomo si è trasmesso a tutti per imitazione e non per propagazione, chi non comprende come nessuno viene condannato per l'altro, ma ciascuno lo è per il proprio peccato, che non un altro gli ha trasmesso per generazione, ma che egli ha volontariamente commesso per imitazione? Non solo quel peccato commesso dal primo uomo, dice inoltre, viene distrutto dalla grazia, ma tutti gli altri commessi dopo di esso. Si può notare molto chiaramente la distinzione tra i peccati posteriori commessi, lo si può ben dire, per imitazione, da quel solo peccato trasmesso per propagazione. La grazia, fa notare a questo punto, li ha distrutti tutti, cosicché appaia, secondo la mente dell'Apostolo, che ha portato molto più giovamento la rigenerazione anziché danno la generazione. In questo senso, infatti, commenta le parole dell'Apostolo: Il fallo non è pari al dono; poiché il giudizio che tenne dietro a quel solo peccato si conchiuse con una condanna; ma l'opera di grazia che venne dopo le tante colpe si conchiuse con la giustificazione. ( Rm 5,16 ) Con questa verità scritta da Paolo e commentata da Giovanni, viene polverizzata la vostra teoria dell'imitazione, ultima macchinazione dell'errore di Pelagio. Noi tutti, che siamo battezzati in Cristo, lo siamo nella sua morte. ( Rm 6,3 ) Commentando queste parole dell'Apostolo sul battesimo, Giovanni afferma che essere battezzati nella morte di Cristo null'altro significa che morire al peccato come Cristo è morto nella carne. È necessario di conseguenza che i bambini o non siano battezzati in Cristo o, se sono stati battezzati, lo siano nella sua morte ed anche essi in tal modo muoiano al peccato e, poiché non hanno peccati propri, siano purificati dalla contaminazione del peccato altrui, di quello originale cioè, che è diventato comune a tutti. 7.34 - La testimonianza favorevole di Girolamo Circondato da sì gran numero di uomini santi e dotti, sei ancora convinto che "la nostra causa non è stata in grado di trovare neppure un assertore tra tanta moltitudine"? Chiamerei ancora "cospirazione di uomini perduti" un così importante consesso di sacerdoti cattolici? Non vorrai, credo, disprezzare San Girolamo che fu solo prete. Erudito nella lingua greca, latina ed ebraica, egli passò dalla Chiesa Occidentale a quella Orientale e visse fino a tardissima età nei luoghi santi studiando le Sacre Scritture. Dopo aver letto tutto o quasi tutto quello che, nell'una o nell'altra parte del mondo, era stato scritto sulla dottrina della Chiesa, in merito al nostro problema non ebbe né manifestò alcun parere diverso. Commentando il profeta Giona, dice molto chiaramente che "anche i bambini erano soggetti al peccato commesso da Adamo". E tu amerai tanto l'errore nel quale sei caduto per giovanile baldanza e più incautamente per umana debolezza da osare non solo di dissentire da questi sacerdoti dell'unità e della verità cattolica, che, pur provenendo dalle parti più diverse del mondo, hanno assoluta identità di fede in un problema così importante ed essenziale della religione cristiana, ma addirittura di chiamarli manichei? Se non osi farlo con loro, non lo puoi fare neppure con me che, in questo problema, come ben vedi nei miei scritti, per i quali t'irriti terribilmente contro di me, seguo le loro orme. Se poi rivolgi solo a me un simile insulto per il semplice motivo che, riguardo al peccato originale, io penso come pensano essi, ritengo quello che essi ritengono e predico quello che essi predicano, chi non si accorge come tu pronunci la tua condanna apertamente contro di me, ma mediti segretamente un giudizio identico nei loro riguardi? Pur tuttavia, se, tralasciando il resto, ti fermerai a considerare le parole del vescovo Giovanni riguardo al nostro paterno chirografo sottoscritto da Adamo che, credo, hai trovato nell'omelia da cui hai citato quello che ti è piaciuto, o le altre parole del vescovo Ambrogio, secondo le quali, dall'unione dell'uomo e della donna, nessuno può nascere esente da peccato - queste parole le hai lette nel mio libro, ma tu hai avuto timore di accennarle nei tuoi -, anche se dinanzi agli uomini farai il duro, la tua coscienza dovrà arrossire dinanzi a Dio. 7.35 - Giuliano esortato a correggersi L'amore che mi lega a te, figlio Giuliano, e che, con l'aiuto di Dio, tu non potrai estirpare dall'intimo del mio cuore con nessuna offesa, mi spinge a desiderare che tu vinca te stesso con una gioventù migliore e più forte e che, con una più ardente pietà, vinca l'animosità - umana animosità, che altro potrebbe essere? - con cui brami far prevalere la tua tesi, qualunque essa sia, solo perché è tua. Il tuo comportamento sia come quello di Polemone, che, deponendo gradualmente dalla testa la corona della lussuria e disprezzandola, pose le mani sotto il mantello, accomodò il viso e l'aspetto a modestia e, da ultimo, si abbandonò come discepolo nelle mani di colui che era venuto a deridere. Allo stesso modo, mentre ti parlano tanti uomini venerabili e soprattutto il vescovo Ambrogio, lodato per la sua integrità di fede anche dalla bocca del tuo cattivo maestro ed ingannatore, ed i vescovi Basilio e Giovanni, che tu stesso, con vera testimonianza, hai collocato tra i santi ed eruditi, vorrei che tu disprezzassi, come le corone degli ubriachi, le lodi dei pelagiani dai quali sei acclamato come il più grande loro difensore. Più che nascondere col manto del pudore la tua penna sprezzante - per usare un termine più pacato -, vorrei che la spezzassi con mano decisa a correggersi. Vorrei che aprissi il tuo cuore per farlo riempire di verità non al platonico Senocrate, ma a questi sacerdoti di Cristo o, meglio ancora, per mezzo di essi allo stesso Cristo Signore, non come chi viene a lui per la prima volta, ma come uno che ritorna dopo essersene allontanato. Se il mio consiglio ti dispiace, fa' come vuoi. Se ti correggerai, come è mio grandissimo desiderio, godrò di abbondante gioia. Se poi resterai in questa cattiveria, cosa che detesto, dalle tue offese deriverà un frutto: un aumento di grazia celeste per me e una spina di dolore misericordioso per te. 8.36 - I pelagiani offrono appigli ai manichei Dopo averti dimostrato quali e quanti dottori e difensori della fede cattolica a torto chiami manichei, ascolta un po' quanto giovamento offri con la tua rozza temerarietà ai veri manichei. Questo, infatti, ho promesso di dimostrarti nella seconda parte della mia risposta. I manichei, che dici di conoscere abbastanza bene, con la vanità sacrilega del loro nefando errore fanno derivare le due nature, l'una del bene e l'altra del male, da due principi coeterni, diversi tra loro ed opposti. Contro di essi la fede cattolica predica l'unica ed eterna natura di Dio, sommo ed immutabile Bene, la natura cioè dell'ineffabile Trinità. Da questo sommo ed immutabile Bene ogni creatura è stata creata: tutte sono nature buone anche se non uguali al Creatore, appunto perché create dal nulla e per questo mutevoli. Non esiste pertanto natura che non sia Lui o che non sia stata creata da Lui. Ogni natura, di qualunque genere o grandezza, in quanto natura è sempre buona. 8.37 - L'origine del male I manichei ci chiedono donde ha origine il male. Noi rispondiamo: dal bene, ma non dal sommo e immutabile Bene. Il male è derivato dai beni inferiori e mutevoli. Sebbene affermiamo che questi mali non sono nature, ma difetti della natura, nello stesso tempo, tuttavia, diciamo che essi non possono derivare se non da una natura e non possono sussistere se non in una natura perché il male altro non è che defezione dal bene. Ma defezione di chi, se non di una natura? La stessa volontà cattiva, infatti, non è se non la volontà di una natura. L'angelo e l'uomo sono nature. Se c'è una volontà, non può essere la volontà di nessuno. Le volontà valgono tanto che costituiscono le qualità delle nature cui appartengono. Se si chiede chi sia l'angelo o l'uomo di cattiva volontà, si risponderà giustamente: quello cattivo, preferendo, cioè, prendere il nome della qualità dalla volontà cattiva anziché dalla natura buona. La natura è la stessa sostanza capace di bontà o di malizia. È capace di bontà per la partecipazione al Bene da cui è stata fatta; è capace invece di malizia non per la partecipazione al male, ma per la privazione di un bene. In altre parole, la natura acquisisce un male non in quanto si mescola ad una natura che è un male - nessuna natura infatti in quanto tale è male -, bensì in quanto ha una defezione dalla natura che è Sommo ed Immutabile Bene, e questo perché non da essa è stata tratta, ma dal nulla. Se non fosse mutevole, d'altronde, la natura non potrebbe neppure avere la cattiva volontà. La natura, in verità, non avrebbe potuto essere mutevole se fosse derivata direttamente da Dio e non fosse stata tratta dal nulla. Per questo, Dio Creatore delle nature è Creatore di cose buone; la loro spontanea defezione dal bene indica non da chi sono state create, ma da che cosa sono state tratte. E questo non è un qualche cosa perché è assolutamente nulla. Ciò che è nulla non può avere un creatore. 8.38 - I mali vengono dalle creature buone I manichei si oppongono alla fede cattolica, alla fede cioè della verità e della vera pietà, allorquando affermano che il bene ed il male sono talmente contrari tra di loro che non è la natura che diventa cattiva separandosi dal bene - ed il male, di conseguenza, sarebbe solo una defezione - ma il male stesso è chiamato natura e, cosa ancor più insana, natura eterna e senza principio. La chiamano altresì corpo e spirito, corpo che operi per lo spirito e spirito che operi per mezzo del corpo. Non è facile dire quanto giovamento arrechi a questi nemici della fede chi nega che dal bene possa derivare il male ed interpreta in questo senso le parole del Signore: Non può un albero buono fare frutti cattivi. ( Mt 7,18 ) Il Maestro e Signore in realtà non ha inteso dire che l'albero è una natura da cui ha origine il frutto di cui parla, ma semplicemente che si tratta di una volontà buona o cattiva, i cui frutti, le opere cioè, non possono essere buoni se essa è cattiva, né possono essere cattivi se essa è buona. Questo è il senso delle parole: Non può l'albero buono fare frutti cattivi, né un albero guasto fare frutti buoni. ( Mt 7,18 ) Sarebbe insomma lo stesso che dire: la volontà cattiva non porta frutti buoni e la volontà buona non porta frutti cattivi. Quando poi si vuol ricercare l'origine degli alberi, vale a dire delle volontà, a cos'altro si può ricorrere se non alle nature, create da Dio tutte quante buone? Per questo diciamo che dalle cose buone sono derivate quelle cattive: non le opere cattive dalle buone volontà, ma le cattive volontà dalle nature buone. Cosa potrebbero desiderare di meglio i manichei se non che dalle nature buone non possano derivare le cose cattive? Dal momento che nessuno può negarne l'esistenza, non potendo derivare da una natura buona, il male non potrebbe che derivare da una cattiva. Esso di conseguenza avrebbe origine da una natura cattiva, eterna e senza inizio, sicché vi sarebbero due nature, l'una del bene e l'altra del male. Necessariamente quindi: o il male non esiste o deve derivare da una natura buona o da una cattiva. Se diciamo che il male non esiste, inutilmente diremmo a Dio: Liberaci dal male. ( Mt 6,13 ) Se diciamo che il male non può che venire dal male, avremmo il trionfo del manicheismo che devasterebbe ogni cosa e violerebbe la natura stessa di Dio, mescolandola ad una natura cattiva e ponendola alla pari di una natura mutevole. Resta quindi una sola possibilità: il male deriva dal bene. Se lo neghiamo, dovremmo necessariamente dire che deriva dal male ed in tal caso suffragheremmo la dottrina manichea. 8.39 - Se il male non viene dal bene, necessariamente viene dal male "Se, stando alle parole del Vangelo, l'albero si deve riconoscere dai suoi frutti, come può costui essere ascoltato mentre dichiara il matrimonio un bene e nello stesso tempo dice che da esso null'altro può derivare se non un male?". Con queste parole vorresti che il matrimonio sia riconosciuto come albero buono, ma non vorresti che da esso nasca, quale frutto cattivo, un uomo macchiato dal contagio del peccato originale. Non ti accorgi però che, se il matrimonio è un albero buono, ne segue necessariamente che l'adulterio dev'essere un albero cattivo. Poniamo ora che chi nasce dal matrimonio è frutto del matrimonio e deve essere considerato senza difetto, dal momento che da un albero buono non può nascere un frutto cattivo, ne segue che chi nasce dall'adulterio non deve nascere senza difetto, affinché da un albero cattivo non nasca un frutto buono, avendo il Signore, con la sua divina autorità, stabilito che un albero buono non può produrre frutti cattivi, né un albero cattivo produrre frutti buoni. Dal momento, però, che tu affermi che neppure dall'adulterio può nascere un uomo viziato, per uscire da questo vicolo dovrai negare che l'adulterio è un albero cattivo, onde evitare che chi nasce da esso senza difetto possa sembrare un frutto buono nato da un albero cattivo, cosa che sarebbe contraria alle parole del Signore. Nega pure, quindi, che anche il matrimonio è un albero buono e confessa di avere errato ritenendolo tale. Sarai pronto però a dire che chi è generato da un accoppiamento adulterino non nasce dall'adulterio. Donde nasce allora? "Dalla natura umana, risponderai, che anche negli adulteri è opera di Dio e non opera loro". Perché allora non intendere alla stessa maniera che l'uomo generato dall'accoppiamento coniugale, cioè, non nasce dal matrimonio ma dalla natura umana, che anche nei coniugi è opera di Dio e non opera loro? In tal modo non sarà attribuito alla bontà del matrimonio il fatto che i figli traggano un male da un difetto di natura, così come non è attribuito alla cattiveria degli adulteri il fatto che i figli traggano un bene da una istituzione di natura. Tu intendi l'albero buono non come l'ha inteso Cristo, vale a dire la buona volontà dell'uomo, ma l'opera stessa di Dio: il matrimonio o la natura. Siccome queste opere di Dio sono buone, tu dici che da esse non può derivare un male perché l'albero buono non può fare frutti cattivi. E così i manichei volgono a favore del proprio domma il loro ragionamento contro di te, e tu, con le tue parole, li aiuti al punto che essi non desiderano sentire di meglio che dal bene non può derivare il male. Ricevuta questa testimonianza, concludono e ti dicono: se il male non può derivare dal bene, donde potrà derivare se non dal male? Non ha potuto certamente prodursi all'improvviso senza alcun creatore! Per non andare contro le parole del Vangelo: L'albero buono non può portare frutti cattivi, tu torni a ribadire che il male non può derivare dal bene. In questo caso, però, rimane un'unica conclusione: ci deve essere una natura eterna del male che produce gli altri mali appunto perché, secondo te, non possono derivare dal bene. 8.40 - Un testo di Giuliano favorevole ai manichei Vuoi deciderti una buona volta a mutare l'opinione tirata fuori per aiutare il pestilenziale errore dei manichei, non già per favorirli, ma solo ignorando ciò che dicevi? Come avrebbe potuto dire Cristo: O voi ammettete che l'albero è buono e il frutto sarà buono, o voi ammettete che l'albero è guasto e guasto sarà il suo frutto ( Mt 12,33 ) - e questo lo diceva agli uomini che egli stesso aveva creati -, se dalla sua opera buona, dall'uomo cioè, come tu pensi, non poteva derivare il male, essendo l'albero buono, vale a dire il matrimonio o la natura, un'opera buona di Dio? Affermando inoltre che il peccato non può derivare da essi, perché se dicessimo che il peccato deriva dal bene, ci opporremmo, come sei ben convinto, a Colui che ha detto: Un albero buono non fa frutti cattivi, ( Mt 7,18 ) non pensi che dalle nature buone dell'angelo e dell'uomo, nate non da genitori cattivi, ma create da Dio stesso sommamente buono da nessun genitore, hanno avuto origine non i frutti cattivi, ma addirittura gli alberi cattivi da cui sarebbero nati frutti cattivi? Cristo Signore, però, sconfigge i manichei perché un uomo solo, vale a dire una sola natura può produrre l'uno e l'altro albero; e sconfigge anche te perché da una natura buona può derivare un albero cattivo. Si dimostra falso, di conseguenza, cioè che dici a favore dei manichei, che dal bene, cioè, non può derivare il male, cosicché il male non potrebbe derivare da nessun'altra parte se non dalla natura del male, inventata dal loro nefasto errore. 8.41 - Altre affermazioni simili Non solo in questo passo, nel quale hai citato la parabola evangelica dell'albero buono, ma anche in altri passi della tua disquisizione hai favorito i manichei con la tua perversità. Ad un certo punto, per esempio, tu affermi che "il peccato non può essere contratto attraverso la natura, perché all'opera del diavolo non è permesso di passare attraverso l'opera di Dio". Ti rispondo subito. Come mai all'opera del diavolo è permesso rimanere nell'opera di Dio, se non le è permesso il passaggio attraverso di essa? Non è forse peggior cosa il rimanere in essa anziché il passarvi soltanto? Ti domanderai probabilmente in qual modo l'opera del diavolo rimanga nell'opera di Dio. Non cercare lontano. Pensa al diavolo stesso. È un'opera di Dio, una creatura angelica, eppure l'invidia, opera del diavolo, si sviluppa da lui e rimane in lui. È stupido pertanto affermare che "l'opera del diavolo non può passare attraverso l'opera di Dio", quando tu stesso puoi costatare che rimane in essa. Non comprendi ancora quanto i manichei ti sono grati? Non ti sei ancora svegliato? I manichei infatti si affannano a dimostrare che il male non può derivare da un'opera buona di Dio, affinché, come essi vogliono, ci si convinca che il male non può che derivare dal male. Per essi, quindi, sei di mirabile aiuto. "Attraverso l'opera di Dio non può passare il male", dici, infatti, ed i manichei con tutta facilità concludono che è molto meno possibile che il male possa nascere laddove non gli è neppure permesso passare. 9.42 - La radice del male nel dono di Dio C'è ancora un punto, più grave probabilmente, in cui parimenti favorisci i manichei. Scrivi: "Il peccato originale è sfumato perché la radice del male non può essere collocata in quello che tu chiami dono di Dio". Osserva come ti confuto con chiara verità. I sensi dell'uomo non sono forse un dono di Dio? Eppure il seminatore nemico vi ha posto la radice del male, quando, con l'inganno del serpente, ( Gen 3,1-6 ) ha persuaso l'uomo al peccato. Se i sensi dell'uomo, infatti, non avessero ricevuto la radice del male, mai egli avrebbe acconsentito al cattivo consigliere. Che dire poi dell'avarizia, radice di tutti i mali? E dove si trova se non nell'anima dell'uomo? E l'anima dell'uomo cos'altro è se non un dono di Dio? E come puoi tu dire, se non sragionando, "che la radice del male non può essere collocata nel dono di Dio"? Ma poni attenzione a quanto ti dicono i manichei, che si sentono oltremodo avvantaggiati dalle tue sconsiderate affermazioni: se l'essere una creatura ragionevole è un dono di Dio, e tu dici che la radice del male non può essere collocata nel dono di Dio, con quanta maggior verità si deve dire che la radice del male non può nascere dal dono di Dio? E così, con la tua compiacenza, i manichei ti portano ad affermare che la radice del male deriva da una natura che essi ritengono non creata da Dio, ma coeterna a lui. Qualora, infatti, dicessi che la radice del male deriva dal libero arbitrio della natura buona creata da Dio - questa è la verità cattolica -, essi ti potrebbero molto facilmente sconfessare con le tue stesse parole: "la radice del male non può essere collocata nel dono di Dio", giacché indubbiamente anche il libero arbitrio è un dono di Dio. Affermando quindi che "la radice del male non può essere collocata nel dono di Dio", tu stesso hai offerto ai manichei gli argomenti contro di te. È ovvio infatti che se il male non può essere collocato nel bene, come tu dici, molto a maggior ragione non può nascere dal bene, come dicono essi. Pacificamente quindi concludono che il male non può derivare se non dal male. E così si sentono vincitori, e lo sarebbero certamente se non ci opponessimo ad essi e a te. In queste vostre parole la verità della fede cattolica sconfigge i manichei proprio perché sconfigge anche te. Se essa, infatti, non sconfiggesse te che affermi: "la radice del male non può essere collocata nel dono di Dio", molto meno potrebbe sconfiggere i manichei i quali dicono che la radice del male non può nascere dal dono di Dio. La fede cattolica, però, per vincere entrambi sostiene che da nessun'altra parte può nascere e che in nessun'altra parte può essere collocata la radice del male se non dalla natura e nella natura razionale. L'essere natura razionale altro non è se non un dono di Dio. Siccome però da Dio stesso, sommo ed immutabile Bene, essa è stata tratta dal nulla per essere un bene sia pure mutevole, può venir meno dal Bene da cui è stata creata e, di conseguenza, da questa defezione o in questa defezione sta la radice del male, perché esso altro non è se non la privazione del bene. 9.43 - Solo la dottrina cattolica distrugge il veleno manicheo "Il retto ordine delle cose, dici ancora, non permette che il male possa derivare dal bene o l'ingiusto dal giusto". Sono parole decisamente manichee. Questo infatti sostengono: il male non può derivare che dal male. Tutta la loro nefanda dottrina sta precisamente nel principio che il male non può derivare dal bene. Se, al pari di te, gli concedessimo questo, non ci rimarrebbe null'altro per combattere le loro nefaste tesi. Dire l'ingiusto dal giusto è praticamente la stessa cosa che dire il male dal bene. Per resistere a te e a loro, la fede cattolica sostiene che il male è derivato dal bene e l'ingiusto dal giusto. L'angelo e l'uomo, infatti, da cui sono derivati, inizialmente erano buoni e giusti. Non possiamo sconfiggere i manichei se non otteniamo anche da te l'ammissione che i mali sono derivati dai beni e che essi non sono sostanze, ma difetti delle sostanze create, che, possono venir meno dal bene perché, create dal nulla, sono mutevoli. Questa è la sana dottrina cattolica con cui viene espulso il veleno della pestilenza manichea. 9.44 - Testimonianza di S. Ambrogio contro i manichei Proprio per questo motivo il mio maestro Ambrogio, lodato anche dalla bocca del tuo cattivo maestro, nel libro Isacco e l'Anima scrive: "Cos'è dunque la malizia se non la privazione del bene?", ed aggiunge: "Il male è nato dal bene. Il male non esiste se non nella privazione del bene. Esso tuttavia rende più eminente il bene. La radice del male, quindi, sta proprio nella privazione del bene". Vedi come il beato Ambrogio confuta i manichei con la vera ragione della fede cattolica? Vedi come, pur senza nominarli, nella sua opera li confuta con la verità e la stringatezza di queste affermazioni? Contro quest'uomo di Dio, spinto da malefico furore, scagli l'offesa di manicheismo, a motivo del peccato originale che, da buon cattolico, egli ha difeso secondo la dottrina cattolica, e che, contrariamente a te che deponi a favore dei manichei, offre ai cattolici il suo formidabile aiuto per sconfiggerli. Contro i manichei egli esclama: "Il male è derivato dal bene". Contro di lui invece e a favore dei manichei tu rispondi: "È necessario che ci sia un male dal quale ed attraverso il quale è venuto il frutto cattivo. Attraverso l'opera di Dio non può passare l'opera del diavolo. La radice del male non può essere collocata nel dono di Dio. Il retto ordine delle cose non permette che dal bene possa derivare il male o dal giusto l'ingiusto". Vai gridando queste parole a favore dei manichei contro la voce della verità cattolica predicata dal sacerdote di Dio. Se ascoltassimo te, vincerebbero i manichei che, tralasciando il resto, affermano: "Se il retto ordine delle cose non permette che dal bene derivi qualcosa di male, significa che il male non deriva dal bene, come dice Ambrogio, ma deriva dalla natura del male come diciamo noi". Ecco in quale abisso sei caduto per avere compreso male le parole del Signore: L'albero buono non fa frutti cattivi. ( Mt 7,18 ) Il Signore non riferiva queste parole alla natura o al matrimonio, istituito da Dio stesso, ma alla volontà buona dell'uomo, che non compie le opere cattive. 9.45 - La radice del male altro non è che la mancanza del bene Non vorrei però che tu o qualsivoglia altro abbiate a dire: come mai dall'albero prodotto dall'uomo, dalla buona volontà cioè, non nascono frutti cattivi, mentre dalla natura prodotta da Dio nasce l'albero cattivo, quello cioè che produce frutti cattivi? Può forse l'uomo far qualcosa di meglio di ciò che fa Dio, se fosse vero che da un'opera dell'uomo non possono nascere frutti cattivi, mentre da un'opera di Dio può nascere un albero cattivo? Per non cadere in un simile sproposito, si ascolti diligentemente Ambrogio: "Che cosa è la malizia se non la privazione del bene? Il male non esiste se non come privazione di bene, perché la radice del male sta proprio nella privazione del bene". Da qui si capisce che vi è l'albero cattivo, vale a dire la volontà cattiva, proprio perché vi è una defezione dal sommo Bene, in quanto il bene creato è privato del Bene Creante, di modo che in esso la radice del male null'altro è se non la privazione del bene. L'albero buono, invece, è la volontà buona perché per mezzo di essa l'uomo si converte al sommo ed immutabile Bene e si riempie di bene perché possa produrre frutti buoni. Dio è creatore di tutti i beni, della natura buona, cioè, e della volontà buona che l'uomo non potrebbe avere se Dio non operasse in lui, giacché la volontà è preparata da Dio. ( Pr 8 sec. LXX ) 9.46 - Conclusione del libro Il retto svolgimento della mia risposta richiede che, con l'aiuto di Dio, mi accinga a fare quanto ho promesso di fare al terzo punto: schiacciare le tue esili arguzie e le tue fragili argomentazioni, che pur ti sembrano acute e nitide, con gli argomenti dei vescovi cattolici che ci hanno preceduto, raccogliendo tutto quanto può essere attinente al nostro argomento. Per ricominciare dal nuovo esordio pongo fine alla lunghezza di questo libro. Libro II 1.1 - Le affermazioni patristiche contro gli argomenti dei pelagiani Ed ora, o Giuliano, bisogna che affronti quello che avevo deciso di fare nella terza parte della mia trattazione: demolire, con l'aiuto di Dio, le tue macchinazioni mediante le parole dei vescovi che con grande gloria hanno illustrato la Sacra Scrittura. Non intendo dimostrare che sul peccato originale essi hanno pensato secondo la fede cattolica. L'ho già fatto nella prima parte di quest'opera nel mostrarti contro quali e quanti uomini, santi ed illustri Dottori della Chiesa, tu scagli l'accusa di manicheismo, e nel farti notare come per sminuire la mia stima di fronte al giudizio di uomini inesperti, tu accusi di nefasta eresia i difensori della Chiesa contro gli eretici. Ora è necessario che con le parole dei Santi controbatta le vostre argomentazioni con cui pretendete dimostrare che la prima nascita degli uomini non è soggiogata al peccato originale. Bisogna che il popolo cristiano anteponga costoro alle vostre profane innovazioni e scelga di aderire ad essi anziché a voi. 1.2 - I cinque argomenti pelagiani contro il peccato originale Questi sono i vostri argomenti capitali, apparentemente terribili, con i quali spaventare i deboli e quelli meno esperti nelle Sacre Scritture, di quanto sarebbe necessario contro di voi. Ci accusate che "sostenendo il peccato originale, noi dichiariamo il diavolo creatore dell'uomo che nasce, condanniamo il matrimonio, neghiamo che nel battesimo siano rimessi tutti i peccati, accusiamo Dio del crimine di iniquità, ingeneriamo la disperazione della perfezione". Tutto questo perché, voi dite, noi siamo convinti che i bambini nascono soggetti al peccato del primo uomo e che per questo si trovano sotto il potere del diavolo fino a quando non rinascono in Cristo. "Il diavolo, dite infatti, è creatore se i bambini traggono la loro origine dalla ferita da lui inferta alla natura umana primigenia; il matrimonio è condannato se si ritiene che abbia qualcosa donde nascono persone condannabili; nel battesimo non sono rimessi tutti i peccati se nei coniugi battezzati resta qualcosa di male donde nascono i figli cattivi. Come può non essere iniquo Dio, che, mentre rimette ai battezzati i peccati personali, condanna i bambini, che, pur creati da lui, senza volerlo e senza saperlo hanno contratto peccati altrui anche da quei genitori a cui erano stati rimessi? Neppure la virtù, a cui, come tutti sanno, si oppone il vizio, può essere ritenuta perfettibile, dal momento che non è possibile eliminare vizi congeniti che neppure potrebbero essere chiamati tali. Non pecca infatti chi non può essere diverso da come è stato creato". 1.3 - Sintetica risposta dei cattolici Se vi fermaste ad esaminare con attenta diligenza questi punti invece di opporvi con incredibile audacia a tutto ciò che è fondato sulla verità ed antichità della fede cattolica, arrivereste certamente, con l'aiuto della grazia di Cristo, alla conoscenza di quelle verità che sono nascoste ai sapienti ed agli intelligenti e sono rivelate ai semplici. ( Mt 11,25 ) Grande è infatti la bontà del Signore che egli non rifiuta e tuttavia la riserva per quelli che lo temono, e la perfeziona per quelli che confidano non in se stessi ma in lui. ( Sal 31,20 ) Noi professiamo solo ciò che contiene quella fede di cui è scritto: Se non avrete creduto non capirete. ( Is 7,9 sec. LXX ) Non il diavolo, ma Dio vivo e vero, che produce ineffabilmente cose monde dalle immonde, è il creatore degli uomini anche se nessun uomo nasce puro e tutti sono costretti a restare in potere dello spirito immondo fino a quando non sono purificati dallo Spirito Santo. Non vi è alcun crimine nel matrimonio qualunque sia la contaminazione delle nature: il bene proprio del matrimonio si distingue da qualsiasi vizio delle nature. Non resta neppure il reato di alcun peccato che non sia sciolto dalla rigenerazione in Cristo, anche se rimane l'infermità, contro cui il rigenerato, che la porta radicata dentro di sé, deve combattere se vuole progredire. Non è affatto iniquo Dio quando retribuisce secondo giustizia i peccati originali e quelli personali. Apparirebbe maggiormente iniquo o debole qualora imponesse, come sta scritto: Un giogo pesante sui figli di Adamo dal giorno in cui sono usciti dal seno della madre fino al giorno del ritorno nel grembo della madre di tutti, ( Sir 40,1 ) giogo sotto il quale la sua immagine è schiacciata, senza che ci sia stato in precedenza alcun peccato originale o personale, oppure permettesse che qualche altro glielo imponesse contro il suo volere. Non bisogna, infine, disperare della perfezione della virtù perché la grazia di Dio può mutare e sanare la natura viziata dall'origine. 2.4 - L'autorità di Ambrogio contro i primi tre argomenti pelagiani Eccomi dunque ad adempiere il mio impegno. Ma non comincerò a confutare con la testimonianza dei Santi una ad una le vostre cinque argomentazioni in cui riassumete tutto quanto andate disputando in lungo e in largo contro la fede cattolica. Anche quando ricorderò singolarmente le vostre argomentazioni, a seconda degli scritti dei vescovi cattolici colpirò ed abbatterò il maggior numero possibile di esse, una, due, o più secondo la possibilità della testimonianza addotta. Questo succede per esempio citando il libro del beato Ambrogio Sull'Arca di Noè: "Si predica che ai popoli verrà la salvezza, vi si legge, solo attraverso Cristo Gesù, che, essendo corrotta ogni umana generazione nell'errore, non avrebbe potuto essere il solo giusto se non per il fatto che, nato da una Vergine, per privilegio non era tenuto alla legge di una generazione soggiogata. Ecco, nel delitto io fui procreato e nel peccato mi concepì mia madre, ( Sal 51,7 ) afferma colui che era ritenuto giusto più di ogni altro. Chi dunque potrei dichiarare giusto se non l'uomo libero da questi vincoli, l'uomo cioè non legato dai vincoli della comune natura? Tutti sono sotto il peccato. Dopo Adamo in tutti regnò la morte. Venga avanti il solo giusto al cospetto di Dio del quale senza eccezioni non solo si dica: non peccò con le sue labbra, ( Gb 1,22 ) ma anche: non fece peccato". ( 1 Pt 2,22 ) Dì pure a lui, se hai coraggio, che ha fatto del diavolo il creatore degli uomini che nascono dall'unione dei due sessi, dal momento che, a differenza di tutti gli altri che nascono da Adamo soggetti al peccato seminato dal diavolo, ha ritenuto libero dai vincoli di una generazione macchiata il solo Cristo perché nato da una Vergine. Rimprovera come condannatore del matrimonio, chi dice esser senza peccato solo il figlio di una Vergine. Incriminalo pure perché nega la possibilità di perfezionamento alla virtù ed afferma che il vizio si inserisce nel genere umano nello stesso istante della concezione. Dì pure a lui ciò che, nel tuo primo volume, credi di aver detto molto a proposito e con molto acume contro di me: "Non peccano affatto quelli che diciamo che peccano, dal momento che essi, da chiunque siano stati creati, si trovano nella necessità di vivere secondo la condizione in cui sono stati creati senza poter andare contro la propria natura". Dì pure di Ambrogio o ad Ambrogio tutte quelle cose che con tanto orgoglio, con tanto disprezzo, con tanta insolenza e petulanza hai detto a me. - Quando scriveva quelle parole probabilmente egli non parlava dei discendenti dei battezzati e, di conseguenza, non si può dire che deformi il sacramento del battesimo, nel senso che in esso non si abbia la piena remissione dei peccati, e non si può dire neppure che dichiari Dio iniquo quando nei figli condanna i peccati altrui già perdonati nei genitori. - Sant'Ambrogio non è uno di quelli che fanno del diavolo il creatore degli uomini, che condannano il matrimonio e che ritengono la natura umana incapace di virtù. Appartiene piuttosto alla schiera di coloro che ritengono e professano Dio sommo e sommamente buono, unico Creatore di tutto l'uomo, di tutta l'anima cioè e di tutto il corpo, che onorano il matrimonio nella bontà del suo grado e non disperano che l'uomo possa essere perfettamente giustificato. Come vedete, tre delle vostre argomentazioni sono annientate dall'autorità di tanto uomo e non possono essere ulteriormente usate contro di noi che sul peccato originale diciamo le stesse cose dette da lui: non ha attribuito al diavolo la creazione dell'uomo, non ha condannato il matrimonio, né ha ritenuto impossibile per la natura dell'uomo raggiungere la perfezione della giustizia. 3.5 - Altra testimonianza di Ambrogio contro tutti gli argomenti dei pelagiani Vediamo ora cosa pensava quell'uomo delle rimanenti due vostre argomentazioni riferentesi al battesimo e come vi stritola con la sua immensa autorità. Nel libro Contro i Novaziani scrive: "Tutti gli uomini nascono sotto il peccato e la stessa nostra origine è nella colpa, come si può leggere negli scritti di Davide: Ecco, nel delitto io fui procreato e nel peccato mi concepì mia madre. ( Sal 51,7 ) Per questo la carne di Paolo era corpo di morte come egli stesso affermava: Chi mi libererà da questo corpo di morte? ( Rm 7,24 ) La carne di Cristo invece condannò il peccato, che non sentì nascendo, e che crocifisse morendo, affinché nella nostra carne vi fosse la giustificazione per mezzo della grazia, laddove prima c'era la confusione della colpa". Per la verità qui vengono demolite insieme tutte le vostre argomentazioni. Se tutti noi uomini nasciamo sotto il peccato e la nostra stessa origine è nella colpa, come puoi obiettarmi che faccio del diavolo il creatore degli uomini, dal momento che affermo le stesse cose di Ambrogio, che mai ha dichiarato il diavolo creatore degli uomini? Se Davide, proprio perché la nostra stessa origine è nella colpa, esclama: Ecco, nel delitto io fui procreato e nel peccato mi concepì mia madre, ( Sal 51,7 ) e queste parole non incolpano l'unione matrimoniale ma il peccato originale, per qual motivo affermi che io condanno il matrimonio, mentre non oseresti mai dirlo di Ambrogio? La carne di Paolo, proprio perché tutti noi uomini nasciamo sotto il peccato e la nostra stessa origine è nella colpa, era un corpo di morte, secondo le sue parole: chi mi libererà da questo corpo di morte? ( Rm 7,24 ) Ti rendi conto che in queste parole l'Apostolo ha voluto includere anche se stesso? Mentre il suo uomo interiore si dilettava della legge di Dio, avvertiva nelle sue membra un'altra legge che contrastava la legge delle sua mente, e per questo diceva che la sua carne era un corpo di morte. Nella sua carne non abitava il bene e, di conseguenza, non compiva il bene che voleva, ma il male che odiava. ( Rm 7,15-24 ) Tutta la vostra causa è respinta, demolita, stritolata e, come pula che il vento sospinge dalla superficie della terra, ( Sal 1,4 ) così la vostra causa sarebbe spazzata via dal cuore di coloro che avevate cominciato ad ingannare se, mettendo da parte la polemica, riflettessero su queste cose. Che forse l'apostolo Paolo non era battezzato? O non gli era stato rimesso qualche peccato originale o personale, commesso per ignoranza o con avvertenza? Perché diceva queste cose se non perché ciò che scrivo nel mio libro, a cui ti vanti di avere risposto, è assolutamente vero? Questa legge del peccato che si trova nelle membra di questo corpo di morte è stata rimessa nella rigenerazione spirituale ma rimane nella carne mortale. È stata rimessa poiché il reato è stato sciolto dal sacramento in virtù del quale rinascono i fedeli, ma rimane poiché genera i desideri contro cui lottano anche i fedeli. Tutto questo sconvolge dalle fondamenta la vostra eresia. Fino a tal punto voi lo comprendete e temete che, per venir fuori da queste parole dell'Apostolo, non trovate altra via che asserire, con tutta l'energia possibile, che non vi si deve vedere la persona dell'Apostolo, bensì quella di un qualunque giudeo posto ancora sotto la legge e non sotto la grazia, contro di cui combatte l'abitudine della sua cattiva tendenza. Quasi che nel battesimo si perda la forza della tendenza e i battezzati non abbiano a combattere contro di essa e con tanta maggiore forza ed energia quanto maggiormente vogliono piacere a Colui, dalla cui grazia sono aiutati perché non siano sconfitti in questa lotta. Se volessi riflettere con più attenzione e senza testardaggine, nella stessa forza della tendenza scopriresti che la concupiscenza è stata rimessa nel reato, ma rimane nell'atto. Non si può dire infatti che non accada nulla nell'uomo quando è agitato dagli stimoli della concupiscenza, anche se non acconsente. Pur tuttavia l'Apostolo chiamava la sua carne corpo di morte non per la forza della tendenza, ma per il fatto - Ambrogio l'ha capito molto bene - che tutti nasciamo sotto il peccato e la nostra stessa origine è nella colpa. Non poteva dubitare che il reato di questa colpa fosse stato rimesso nel battesimo. Combattendo però contro la sua irrequietezza, in un primo tempo temeva di essere da essa vinto e soggiogato. Più tardi, quantunque non sconfitto, preferiva non il combattere più a lungo, bensì non avere il nemico, allorquando esclamava: Me infelice! Chi mi libererà da questo corpo di morte? La grazia di Dio per mezzo di Gesù Cristo, nostro Signore. ( Rm 7,24-25 ) Ben sapeva che la grazia di Cristo che ci aveva liberati dal reato originale con la spirituale rigenerazione, poteva liberarci da questa spinta della concupiscenza. Questa guerra che in noi stessi abbiamo cominciato a combattere contro di noi, la sperimentano in se stessi e non la possono negare i forti vincitori della libidine e non i suoi impudentissimi adulatori. 3.6 - Una testimonianza di Cipriano dalla lettera Sull'orazione del Signore Il vittorioso Cipriano nella sua lettera Sulla Preghiera del Signore dice: "Noi chiediamo che si faccia la volontà di Dio in cielo ed in terra: entrambe le petizioni si riferiscono al raggiungimento della nostra incolumità e salvezza. Possedendo un corpo che viene dalla terra ed uno spirito che viene dal cielo, siamo noi stessi terra e cielo e, di conseguenza, preghiamo che la volontà di Dio si faccia nell'una parte e nell'altra, nel corpo cioè e nello spirito. Tra il corpo e lo spirito c'è una lotta. Essendoci discordanza tra di loro, c'è una lotta quotidiana reciproca e così finiamo per non fare quello che vogliamo. Lo spirito cerca le cose celesti e divine, mentre la carne aspira alle cose terrene e secolari. Per questo chiediamo che con l'aiuto e l'opera di Dio tra i due si faccia pace, affinché, mentre nel corpo e nell'anima si fa la volontà di Dio, l'anima che per lui è rinata si salvi. L'apostolo Paolo lo dichiara apertamente e manifestamente: La carne, infatti, ha voglie opposte allo spirito e lo spirito desideri opposti alla carne: essi stanno in lotta tra loro, così che voi non fate ciò che vorreste ( Gal 5,17 )" . Osserva in che modo l'illustre Dottore istruisce il suo popolo battezzato - chi non sa che la Preghiera del Signore si riferisce ai battezzati? - per capire che l'incolumità umana e la salvezza della natura stanno non nel fatto che la carne e lo spirito, quali nemici naturali, si separino, secondo la pretesa dell'insipienza manichea, ma piuttosto nel fatto che, sanati, ritrovino la concordia dopo il vizio della discordia. Questo significa essere liberati dal corpo di questa morte. Quello che era un corpo di morte diventi un corpo di vita dopo che è morta in esso la morte per la fine della discordia, non della natura. Per quale altro motivo si direbbe: Dov'è, o morte, la tua vittoria? ( 1 Cor 15,55 ) Che questo non abbia il suo compimento in questa vita ce lo attesta ancora il Martire nella sua lettera Sulla mortalità dove dice che l'apostolo Paolo desidera dissolversi ed essere con Cristo ( Fil 1,23 ) per non essere più a lungo soggetto ai peccati e ai difetti della carne. Con quanta precisione nella lettera sul Padre Nostro parla contro il vostro dogma, secondo il quale riponete troppa fiducia nella vostra forza! Così, infatti, egli insegna: "È necessario chiedere a Dio più che presumere delle proprie forze, affinché la grazia divina più che la virtù umana ottenga la concordia tra la carne e lo spirito". Perfetta, così, è l'armonia con l'Apostolo che dice: Chi mi libererà da questo corpo di morte? La grazia di Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore. ( Rm 7,24-25 ) 3.7 - Testi di Gregorio di Nazianzo sulla lotta interiore nei battezzati Anche san Gregorio lo attesta dicendo: "Quando l'anima si trova nelle fatiche e nelle angustie, quando è ostilmente oppressa dalla carne, ricorre a Dio e sa dove chiedere aiuto". E perché nessuno pensi che le parole del vescovo Gregorio: "la carne che ostilmente opprime" significhino la natura avversa del male secondo la insana mente dei manichei, nota come è perfettamente in armonia con i suoi colleghi e fratelli dottori insegnando che non per altri motivi lo spirito ha desideri contro la carne se non perché entrambi tornino al proprio Creatore, dopo l'aspro combattimento di questa vita, nel quale si cimentano tutti i Santi. Nel suo Apologetico, infatti, scrive: "Non ancora faccio menzione dei combattimenti con cui siamo contrastati internamente dai nostri vizi edalle nostre passioni, mentre, giorno e notte siamo tormentati dai brucianti stimoli di questo corpo di bassezza e di morte, che, ora occultamente ora apertamente, ci provocano e ci irritano con la seduzione delle cose visibili e con il fango di questa feccia a cui siamo attaccati e che esala dalle sue larghe vene il fetore della sua sozzura. Siamo tormentati anche dalla legge del peccato che è nelle nostre membra, e che ripugna alla legge dello spirito, mentre cerca di fare prigioniera l'immagine regale che è dentro di noi per mettere tra le sue spoglie tutto quanto ci era derivato dal beneficio della nostra primitiva divina condizione. Proprio per questo, col sostegno di una lunga ed acuta ricerca filosofica e ricordando a poco a poco la nobiltà della sua anima, a stento qualcuno riesce a richiamare ed a rivolgere a Dio la natura di luce che nel proprio interno è legata a questo basso e tenebroso fango. Operando con l'aiuto di Dio li porterà entrambi alla concordia purché con lunga ed assidua meditazione l'uomo si abitui a guardare sempre in alto e, legandola a sé con freni più saldi, si abitui a sollevare in alto la materia che lo appesantisce e lo trascina verso il male". Sappi riconoscere, Giuliano, figlio mio, le concordi voci cattoliche e smettila di dissentire da esse. Quando il beato Gregorio dice: "… siamo contrastati dai nostri vizi e dalle nostre passioni e notte e giorno siamo tormentati da brucianti stimoli …", egli parla quale battezzato e parla a persone battezzate. Quando parla della "legge del peccato che è nelle nostre membra, e che ripugna alla legge dello spirito", egli parla quale battezzato e parla a gente battezzata. Questa lotta riguarda i cristiani fedeli, non i giudei infedeli. Se non combatti, abbi la forza di credere; se combatti, riconoscilo e con questa lotta sconfiggi la ribelle presunzione dell'errore pelagiano. Non comprendi ormai, non distingui e non riconosci che nel battesimo sono rimessi tutti i peccati e tuttavia nei battezzati permane quasi una guerra civile tra le interne tendenze? Queste tendenze, naturalmente, non possono ancora essere dette peccato fino a quando la concupiscenza non conduce lo spirito ad opere illecite e di conseguenza concepisce e partorisce il peccato. Esse, però, non sono fuori di noi e per vincerle è necessario impegnarsi cimentandoci positivamente in questo conflitto. Esse ci appartengono. Sono le passioni, sono i vizi che dobbiamo frenare, arrestare, sanare. Sono molto moleste mentre le curiamo. Pur se perdono virulenza man mano che avanziamo verso il meglio non cessano di esistere finché viviamo quaggiù. Finiranno solo quando l'anima pia lascerà questo corpo e certamente non rivivranno nel corpo risorto. 4.8 - Il pensiero dei Padri sulla carne del peccato Torniamo al beato Ambrogio che dice: "Anche il corpo di Paolo era un corpo di morte, come egli stesso dichiara: Chi mi libererà da questo corpo fonte di morte?". Questo ha inteso Ambrogio, questo Cipriano, questo Gregorio per non dire degli altri maestri dotati di altrettanta autorità. A questa morte alla fine si dirà: Dov'è o morte la tua vittoria? ( 1 Cor 15,55 ) Questa è la grazia dei rigenerati, non dei generati. "La carne di Cristo, infatti, aggiunge Ambrogio, condannò il peccato che non sentì quando nacque e che crocifisse morendo". Quando nacque non lo senti in sé, quando morì lo crocifisse in noi. La legge del peccato dunque che ripugna alla legge della mente e che si trovava pure nelle membra di un così grande Apostolo, è rimessa nel battesimo, ma non scompare. Di questa legge della carne che ripugna alla legge della mente, nulla prese il corpo di Cristo, perché la Vergine non lo concepì da essa. Da questa legge della carne, però, che ripugna alla legge dello spirito, tutti gli uomini, nella prima nascita, hanno ricevuto la medesima legge perché tutte le donne hanno concepito da essa. Proprio per questo il venerando Ilario non ebbe timore di affermare: "Ogni carne viene dal peccato". Dicendo questo ha forse negato che viene da Dio? Quando diciamo che la carne viene dalla carne e che la carne viene dall'uomo, neghiamo forse che viene da Dio? Viene da Dio perché Dio la crea, viene dall'uomo perché l'uomo la genera, viene dal peccato perché il peccato porta il vizio. Dio però che ha generato il Figlio coeterno a sé, che in principio era il Verbo per mezzo del quale ha creato tutto ciò che non era, e l'ha creato uomo senza difetto, facendolo nascere per mezzo di una Vergine, ma non dal seme di un uomo. In lui egli rigenera l'uomo generato e sana il viziato, subito dal reato e a poco a poco anche dalla infermità. Il rigenerato, se possiede già l'uso di ragione, deve combattere contro la debolezza, sotto lo sguardo e l'aiuto di Dio, come in una gara: La virtù si perfeziona nella debolezza, ( 2 Cor 12,9 ) nel mentre che la parte di noi orientata alla giustizia si scontra con l'altra parte di noi che tende a staccarsi dalla giustizia. Se vince quella orientata alla giustizia, tutto s'innalza verso il meglio; se vince quella che si stacca dalla giustizia, tutto precipita verso il peggio. Il bambino invece, in cui non c'è l'uso della ragione, di propria volontà non sta né nel bene né nel male. I suoi pensieri non pendono né in un senso né nell'altro. Entrambi sono sopiti in lui, sia il bene naturale della ragione, sia il male originale del peccato. Con l'avanzare degli anni, si sveglia la ragione, giunge il comando e rivive il peccato. Iniziando il combattimento contro di esso, apparirà ciò che era nascosto ed allora, qualora vincesse il peccato, egli sarebbe condannato; se invece lo sconfiggesse, sarebbe salvo. Questo non significa tuttavia che il fanciullo non ne avrebbe alcun danno nel caso morisse prima che esso si manifesti poiché il reato di quel male, - non quello per cui il cattivo è reo, ma quello per cui rende reo colui nel quale si trova - viene contratto con la generazione ed è tolto soltanto con la rigenerazione. Proprio per questo i bambini vengono battezzati affinché non solo godano il bene del regno di Cristo, ma siano altresì sottratti al male del regno della morte. Tutto questo non può avvenire se non per opera di Colui che "condannò con la sua carne il peccato che non sentì quando nacque e che crocifisse quando morì affinché nella nostra carne ci fosse la giustizia per la grazia, laddove c'era stata la caduta per la colpa". 4.9 - La legge del peccato, un vizio della sostanza, che occorre frenare e risanare Queste parole di Ambrogio, quindi, dimostrano che il diavolo non ha creato l'uomo con la bontà, ma lo ha viziato con la malizia; che il male della concupiscenza non ha tolto la bontà al matrimonio; che nel sacramento del battesimo è sciolto il reato di tutti i peccati; che Dio non è ingiusto se, per la legge della giustizia, condanna chi è diventato colpevole per la legge del peccato, anche se è nato sotto quella legge che non può più rendere colpevole il suo genitore appunto perché egli è rinato. Se questo è vero, perché disperare della virtù che si perfeziona nella debolezza, dal momento che proprio per merito della carne di Cristo, che condanna il peccato, non sentito nella nascita e crocifisso nella morte, avviene la giustificazione nella nostra carne per mezzo della grazia, laddove c'era stata la caduta per la colpa? Le vostre cinque argomentazioni con cui vorreste spaventare gli uomini, non turberanno né gli altri né voi, se ascolterete Ambrogio, Cipriano, Gregorio e gli altri santi cattolici ed illustri maestri, ed anche voi stessi. Essi vi dicono che la legge del peccato, insita nelle membra dell'uomo e ripugnante alla legge della mente, ( Rm 7,23 ) proprio per la voglia che ha contro lo spirito, ( Gal 5,17 ) ingenera nei santi battezzati la necessità di combattere. Ma contro che cosa combattere se non contro il male, che non è sostanza, ma solo difetto della sostanza, che non dovrà essere imputato per la grazia di Dio che ci rigenera, che dovrà essere frenato con la grazia di Dio che ci aiuta e che dovrà essere sanato dalla grazia di Dio che ci premia? 5.10 - Ambrogio attesta che la lotta interiore deriva dal peccato di Adamo Non vorrei che tu abbia a dire che i battezzati combattono contro le cattive abitudini contratte nella vita precedente anziché contro il male con cui sono nati. Se affermi questo, senza dubbio vedi ed ammetti che nell'uomo c'è qualcosa di male, non in se stesso, ma nel reato che da esso è stato contratto e viene tolto nel battesimo. Tuttavia, poiché questo sarebbe troppo poco per la soluzione della questione se non si dimostrasse che esso è stato ingenerato in noi dal peccato del primo uomo, ascolta bene ciò che ancora più espressamente Sant'Ambrogio dichiara nell'Esposizione del Vangelo secondo Luca. Spiegando in diverse maniere, ma tutte conformi all'unica regola della fede, il passo nel quale il Signore afferma esservi in una casa persone divise tra di loro, tre contro due,e due contro tre, ( Lc 12,52 ) scrive: "Possiamo vedervi rappresentati anche il corpo e l'anima che vivono in una stessa casa, separati dal fetore, dal contatto e dal gusto della lussuria, dividendosi contro gli assalti dei vizi, quando si sottomettono alla legge di Dio e si allontanano dalla legge del peccato. Benché il loro dissidio per la prevaricazione del primo uomo sia divenuto una seconda natura, tanto che non si accordano più nelle inclinazioni alla virtù, diventati assolutamente impari, tuttavia, quando sia l'avversione sia la legge dei comandamenti sono stati annullati dalla Croce del Signore che ci ha salvati, si riuniscono nell'armonia del rapporto, dopo che Cristo, nostra pace, scendendo dal cielo, fece di entrambi una cosa sola ( Ef 2,14 )". Nella stessa opera, parlando del cibo spirituale ed incorruttibile, scrive: "La ragione è il cibo della mente, nobile e dolce alimento, che non appesantisce le membra e le rivolge non alle vergogne, ma agli ornamenti della natura, allorquando il pantano dei piaceri è trasformato in tempio di Dio ed il ritrovo dei vizi in sacrario di virtù. Tutto questo avviene quando la carne, tornando alla sua natura, riconosce la nutrice della sua forza e, dopo aver deposto la sfida temeraria dell'arroganza, si sottopone alla volontà dell'anima moderatrice. Tale essa fu quando ricevette come abitazione i luoghi appartati del Paradiso prima che, infetta dal veleno del serpente pestilenziale, conoscesse una fame sacrilega e, con avida voracità, cancellasse l'impronta dei divini comandi, impressa nell'anima sensitiva. Da qui, si dice, ha tratto origine il peccato, e l'anima e il corpo ne sono stati i genitori; mentre la natura del corpo viene tentata, l'anima malferma subisce la stessa passione. Se l'anima avesse frenato la cupidigia del corpo, l'origine del peccato sarebbe stata uccisa al suo sorgere. L'anima, invece, corrotta nel suo vigore, appesantita da oneri altrui, generò il peccato come in una funesta gravidanza dietro l'impulso del corpo virile". 5.11 - Lo stesso dottore considera ormai naturale la discordia dell'anima e della carne In questo passo il santo dottore Ambrogio, tanto eccellentemente lodato dalla bocca del tuo maestro, ha chiarito molto apertamente cosa sia e donde venga il peccato originale. Ha chiarito molto bene donde è venuta quella prima confusione, la disobbedienza cioè della carne che dissente dall'anima, e come tale dissidio fu sanato dalla grazia di Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore. Ecco perché la carne ha voglie contro lo spirito ed ecco perché nelle membra c'è una legge che ripugna alla legge della mente. Il dissidio dell'anima e della carne è diventato una natura, e per questi dissidi in noi abbondano le miserie che non potranno cessare se non in virtù della misericordia di Dio. Non metterti più contro di me. Se lo fai ancora devi renderti conto contro quali e quante persone ti metti. Tu mi accusi che faccio di tutto per non essere capito. In alcuni passi hai interpretato il mio pensiero a tuo piacimento, abusando della mente più lenta degli uomini che non si rendono conto che tu hai voluto non tacere piuttosto che abbia potuto rispondere con i tuoi quattro libri al mio volume. Ecco che Ambrogio fa scorrere un chiaro e profondo fiume di eloquenza: non c'è posto dove il lettore possa esitare, o dove chi ascolta possa fraintendere. Molto chiaramente egli dice che l'Apostolo in tanto ha esclamato: Chi mi libererà da questo corpo di morte? ( Rm 7,24 ) in quanto tutti nasciamo sotto il peccato e la stessa nostra origine è nella colpa. Molto chiaramente dice che Cristo Signore fu senza peccato perché, nato da una Vergine, non era tenuto legato dai vincoli della schiavitù, comune alla natura umana, e appunto per questo poté condannare il peccato che non sentì quando nacque. Molto chiaramente dichiara che il dissidio tra il corpo e l'anima è diventato una seconda natura per la prevaricazione del primo uomo. Molto chiaramente sostiene che la carne, pantano di vizi e ritrovo di piaceri, si trasformerà in tempio di Dio e in sacrario di virtù, solo quando, tornata alla sua natura, riconoscerà la nutrice della sua forza e, deposta la sfida temeraria dell'arroganza si sottoporrà alla volontà dell'anima moderatrice, quale essa fu quando ricevette come abitazione i luoghi apportati del Paradiso prima che fosse infettata dal veleno pestifero del serpente. Perché vai ancora cercando quali libri scrivere contro di me? Guarda lui, osa pure qualcosa contro di lui che scoprì il veleno della vostra eresia prima ancora che essa nascesse, e preparò questi antidoti perché lo si potesse espellere. Se tutto questo non è sufficiente, ascolta ancora. 5.12 - L'immagine ambrosiana dei cavalli buoni e cattivi Nel libro Su Isacco e l'Anima egli scrive: "Il buon cavaliere frena e richiama i cavalli selvaggi ed incita i buoni. I cavalli buoni sono quattro: prudenza, temperanza, fortezza, giustizia; i cavalli selvaggi sono: ira, concupiscenza, timore, iniquità" 40. Ha detto forse che il buon cavaliere possiede i cavalli buoni e non quelli selvaggi? No, ma "i buoni li incita e i selvaggi li frena e richiama". Donde vengono questi cavalli? Se li diciamo o li crediamo sostanze, noi favoriamo o aderiamo all'insipienza dei manichei. Lungi da noi! Secondo la visione cattolica noi siamo convinti che i cavalli sono i nostri vizi, che per la legge del peccato resistono alla legge della mente. Questi vizi, separati da noi, non continueranno ad esistere da qualche parte, ma, sanati in noi, non esisteranno più. Perché mai dunque non sono scomparsi nel battesimo? Non vuoi ancora ammettere che il loro reato non esiste più - non il reato per il quale essi erano rei, ma il reato per il quale ci hanno fatti rei nelle cattive azioni a cui ci avevano indotti -, mentre la loro infermità è rimasta? La loro infermità è rimasta, ma non come fossero animali che si ammalano, bensì nel senso che essi stessi sono la nostra infermità. Neppure si deve credere che in quei cavalli selvaggi ha chiamato iniquità quella che è distrutta nel battesimo. Quella infatti era l'iniquità dei peccati commessi, che sono stati rimessi tutti e che ora non esistono più, ed il cui reato era presente soltanto mentre venivano commessi e passavano via. Questa legge del peccato che rimane, mentre il suo reato è stato rimesso nel sacro fonte, l'ha chiamato iniquità perché è iniquo che la carne abbia voglie contro lo spirito, anche se nel nostro rinnovamento c'è la giustizia, perché è giusto che lo spirito abbia desideri contro la carne ed è giusto che camminiamo secondo lo spirito e non poniamo in atto le voglie della carne. Questa nostra giustizia la troviamo nominata tra i cavalli buoni. 5.13 - Altro testo ambrosiano sulla legge del peccato Ascolta ancora quanto scrive nel libro Sul Paradiso: "Probabilmente l'apostolo Paolo ha detto: Ciò che non è permesso a uomo ripetere, ( 2 Cor 12,4 ) perché si trovava ancora nel suo corpo, vedeva cioè le sue passioni e la legge della sua carne che ripugnava alla legge della sua mente". Un po' più avanti continua: "Quando egli parla del serpente come più sapiente, ( Gen 3,1 ) tu capisci che vuol parlare del nostro avversario che tuttavia possiede la sapienza di questo mondo. Anche la voluttà ed il piacere sono giustamente detti sapienti, perché anche quella della carne è detta sapienza, secondo quanto è scritto: La sapienza della carne è nemica di Dio. ( Rm 8,7 ) Quelli che ricercano i piaceri sono molto astuti nello scovare ogni genere di diletto. Se la s'intende come ricerca del piacere, certamente è contraria al comando divino ed è nemica ai nostri sensi. Per questo S. Paolo dice: Sento nella mia carne un'altra legge in conflitto con la legge della mia ragione, che mi tiene prigioniero della legge del peccato esistente nelle mie membra ( Rm 7,23 )". È facile capire di quale piacere il nostro maestro intenda parlare in questo passo, dal momento che si serve della testimonianza dell'Apostolo: Sento nelle mie membra un'altra legge in conflitto con la legge della mia ragione, che mi tiene prigioniero della legge del peccato esistente nelle mie membra. Questa legge è il piacere di cui hai preso la difesa, quantunque ne condanni gli eccessi. Quale essa sia tu lo confessi apertamente, ma con tante belle parole la difendi e la lodi quando è moderata, quasi che essa stessa ne avesse fissato la misura e non lo spirito che ha desideri contro il suo impeto. Contro di essa invece resisteva tenacemente colui che esclamava: Sento nelle mie membra un'altra legge in conflitto con la legge della mia ragione. Se si lasciasse libero verso quali nefandezze non farebbe scivolare? In quali abissi non trascinerebbe e non farebbe precipitare? Bisogna convincersi - ed è la cosa che maggiormente c'interessa ora - che l'apostolo Paolo non intendeva parlare di un giudeo qualsiasi, secondo la vostra interpretazione, ma di se stesso, secondo l'interpretazione di Ambrogio, quando dice: Sento nelle mie membra un'altra legge in conflitto con la legge della mia ragione, che mi tiene prigioniero della legge del peccato esistente nelle mie membra. Nella stessa opera, in un altro passo, Ambrogio continua: "S. Paolo viene attaccato e vede la legge della sua carne in conflitto con la legge della sua ragione, che lo tiene prigioniero della legge del peccato. Egli non presume della sua coscienza, ma confida nella grazia di Cristo per essere liberato da questo corpo di morte. Come puoi pensare che un saggio non può peccare? Paolo afferma: Non faccio il bene che voglio, ma commetto il male che non voglio, ( Rm 7,19 ) e tu continui a credere che all'uomo possa giovare la scienza per accrescere l'odio al peccato?". Nella stessa opera, il santo vescovo, rivolgendo il discorso a tutti noi, tratta con cura la causa comune dicendo: "La legge della carne è in conflitto con la legge della mente e noi dobbiamo lavorare e sudare per castigare il nostro corpo, per ridurlo alla servitù e per seminare le cose dello spirito". 5.14 - Esortazione di Ambrogio al combattimento spirituale In un altro libro Sul Sacramento della rigenerazione o Sulla Filosofia, scrive: "Beata pertanto la morte che ci sottrae al peccato per trasformarci in Dio. Chi è morto è liberato dal peccato. ( Rm 6,7 ) Che forse qualcuno è liberato dal peccato solo quando muore? No davvero, poiché chi muore peccatore, rimane nel peccato. È liberato dal peccato solo colui al quale per mezzo del battesimo vengono rimessi tutti i peccati". Hai qualcosa da dire al riguardo? Vedi come il venerando uomo spiega che nel battesimo la morte dell'uomo diventa beata, perché in esso sono rimessi tutti i peccati? Ma fa' attenzione, ti prego, fa' attenzione a quello che non vuoi capire. "Abbiamo compreso, è sempre Ambrogio che scrive, come si muore misticamente. Consideriamo ora come deve essere la sepoltura. Non è sufficiente che muoiano i vizi, se non marcisce la lussuria del corpo, se non si sciolgono tutti i legami della carne e se non si allentano tutti i nodi delle abitudini corporali. Nessuno si illuda di aver perso un altro aspetto, di aver ricevuto mistici precetti e di aver impegnato il suo animo nella disciplina della continenza. Noi non facciamo quello che vogliamo, ma quello che abbiamo in odio. Molte cose opera in noi il peccato. Nonostante i nostri sforzi contrari, i piaceri risorgono e tornano a vivere in noi. Dobbiamo lottare contro la carne. Contro di essa dovette lottare Paolo, che alla fine esclama: Sento nelle mie membra un'altra legge in conflitto con la legge della mia ragione, che mi tiene prigioniero della legge del peccato esistente nelle mie membra. ( Rm 7,23 ) Sei forse più forte di Paolo? Non credo che vorrai confidare nella premurosa carne ed affidarti a lei, quando Paolo andava ripetendo: So bene infatti che il bene non dimora in me, vale a dire nella mia carne, perché volere il bene è alla mia portata, ma praticarlo no; non faccio il bene che voglio, ma commetto appunto il male che non voglio. E se io faccio ciò che non voglio, non sono più io che lo compio, bensì il peccato che abita in me". ( Rm 7,18-20 ) Per quanto grande sia, o Giuliano, l'ostinazione dell'animo cui ti lasci guidare, per quanto grande sia la caparbietà con cui ti opponi a noi nella difesa dell'errore pelagiano, altrettanto grande è l'evidenza dei fatti con i quali il beato Ambrogio ti assedia e la chiarezza degli argomenti con i quali ti bersaglia. Se nessuna ragione, nessun pensiero, nessuna considerazione di religione, di pietà, di umanità, di verità da scoprire in te stesso, ti revoca dalla cocciuta ostinazione, possa mostrare qual grande male è l'essere giunti in un punto nel quale non è più lecito restare e dal quale ci si vergogna di tornare indietro. Sarà questa la condizione in cui ti troverai quando avrai letto le mie parole. Ma, volesse il cielo che nel tuo cuore vinca la pace di Cristo e una penitenza salutare abbia il sopravvento su una cattiva vergogna! 6.15 - Il pensiero di Ambrogio sul piacere della concupiscenza Ora rifletti un po' su questa legge del peccato, le cui sollecitazioni l'uomo mortale casto deve sopportare ed a cui la castità dei coniugati si affatica ad imporre una misura quando la concupiscenza della carne ed il piacere che tu esalti sono eccitati ed esercitano il loro impeto contro il proposito della volontà, anche se, quando sono frenati, non si compie azione alcuna. Osserva dunque un tantino come da questa legge del peccato è generato ogni uomo, che, di conseguenza, contrae il peccato originale. Lo afferma Sant'Ambrogio nello stesso libro Sul Sacramento della rigenerazione o Sulla Filosofia. "C'è una casa, egli scrive, edificata dalla sapienza ( Pr 9,1 ), ed una mensa ricolma di celesti sacramenti nella quale il giusto mangia il cibo del piacere divino, gustando la soave bevanda della grazia, se si rallegra nell'abbondanza dei suoi eterni meriti. Volendo generare questi figli, Davide aveva in orrore quei frutti dell'unione carnale e desiderava essere purificato al sacro fonte perché la grazia spirituale lavasse la macchia carnale e terrena. Ecco nel delitto io fui procreato e nel peccato mi concepì mia madre. ( Sal 51,7 ) Eva ha partorito male per lasciare quel parto in eredità alle donne, cosicché tutti, tuffati nelle viscere genitali, formati nel piacere della concupiscenza, coagulati nel sangue e avvolti in panni, prima ancora di bere il dono dello spirito vitale, subiscono il contagio della colpa". Se un po' di sensibilità umana non ti ha abbandonato ancora del tutto, cerca di capire cosa ha detto del piacere, al quale tu offri uno sfacciato patrocinio, il venerato dottore Ambrogio, esaltato - bisogna dirlo spesso - dalla testimonianza del tuo stesso maestro. Tutti sono stati formati in essa, tutti sono stati concepiti con essa nelle viscere genitali e con essa sono stati coagulati nel sangue ed avvolti nei panni, non in quelli di lana o di lino o di altro materiale simile, con i quali sono avvolti i bambini appena nati, ma in quelli di una origine viziata, tramandati come per eredità. Sicché tutti subiscono il contagio delle colpe, prima ancora di respirare il soffio di quest'aria vitale, nella quale chi nasce è immerso come in una immensa fonte di comune ed inesauribile alimento dopo l'oscuro respiro delle viscere materne, e per piangere nella nascita il reato contratto prima ancora di nascere. Non dovevano forse arrossire quei primi uomini per l'impeto di questa concupiscenza, al quale anch'essi apparivano soggetti, mentre i loro figli erano destinati ad essere ugualmente soggetti al peccato dei genitori? Volesse il cielo che come essi arrossirono perché avevano nude quelle parti del corpo, in cui avvertivano la disobbedienza della libidine, così tu, obbedendo alla fede cattolica, arrossissi per avere lodato quelle cose di cui bisognava arrossire! 6.16 - Cosa scrisse sulla vergogna dei primi uomini Esamina inoltre quanto lo stesso dottore ha scritto nel libro Sul Paradiso in merito al coprirsi con le foglie di fico: "La cosa più importante è che Adamo, secondo questa interpretazione, si cinse nel punto dove avrebbe dovuto cingersi maggiormente a causa del frutto della castità. Si dice che nei lombi che noi cingiamo ci siano alcuni semi di generazione, e per questo a torto si cinse Adamo con inutili foglie di fico laddove voleva indicare non il frutto futuro della futura generazione, ma soltanto certi peccati". In questo punto il nostro Santo ha reso vana la tua tanto elaborata dissertazione forse troppo affrettata, perché non si credesse che Adamo ed Eva, dopo il peccato, abbiano cinto i loro lombi ad occhi aperti. ( Gen 3,7 ) Affaticandoti con la tua eccessiva loquacità andavi contro il senso comune di tutti e desideravi intrappolare tutti con lo strepito delle tue chiacchiere. Che c'è di più semplice per coprire o cingere i lombi degli uomini che le mutandine o la cintura, chiamate in greco perizomata o muniturae presso il popolino? L'uomo di Dio, con le cui parole ti sto confutando, non l'ha esposto come se si trattasse di qualcosa di misterioso. Con semplicità ha illustrato il significato di una cosa che tutti conoscevano: "Nei lombi che ci cingiamo si dice che ci siano alcuni semi di generazione e perciò a torto si cinse Adamo con foglie inutili". Perché a torto? Continua spiegando: "nel punto dove voleva indicare non il frutto futuro della futura generazione, ma alcuni peccati". Puoi rispondere qualcosa? Ecco donde è derivata quella confusione, la necessità di cingersi di foglie, ed il peccato originale per i posteri. 6.17 - Il pensiero del Crisostomo sullo stesso argomento San Giovanni, vescovo di Costantinopoli, per quanto gliel'ha potuto permettere il pudore, ha espresso con due parole chiare ciò che fece arrossire quei primi uomini: "Erano ricoperti con foglie di fico per coprire una specie di peccato". Chi non comprende quale tipo di peccato dovevano coprire nella regione lombare coloro che prima del peccato non arrossivano affatto della nudità? Cercate di capire, vi prego. E cercate di far capire gli uomini che seguono il vostro pensiero e non vogliate costringerci a parlare più a lungo, quasi impudentemente, di cose di cui dobbiamo vergognarci. 6.18 - La circoncisione come segno del battesimo Giustamente anche il beato Giovanni, come pure il martire Cipriano, ci ricordano che la circoncisione della carne è stata imposta come simbolo del battesimo. "Vedi, egli scrive, come i giudei non differivano la circoncisione a cagione della minaccia che chiunque non fosse stato circonciso entro l'ottavo giorno sarebbe stato escluso dal loro popolo. Tu invece vuoi differire una circoncisione fatta non da mano di uomo, che si ottiene nel corpo con la spoliazione della carne, proprio mentre ascolti la parola stessa del Signore che dice: In verità, in verità vi dico: nessuno, se non nasce da acqua e Spirito, può entrare nel regno di Dio? ( Gv 3,5 )". Capisci come quest'uomo, conoscitore della dottrina della Chiesa, paragona una circoncisione ad una circoncisione ed una minaccia ad una minaccia? Quello che significava non essere circoncisi entro l'ottavo giorno, significa non essere battezzati in Cristo; quello che significava essere escluso dal suo popolo, significa non entrare nel regno di Dio. Ciò nonostante voi pretendete che nel battesimo dei bambini si celebri la spoliazione della carne, la circoncisione cioè fatta non da mano di uomo, perché, a vostro dire, essi non hanno nulla di che essere spogliati. Non li credete, infatti, morti nel prepuzio della propria carne, con cui è significato il peccato, soprattutto quello che si contrae con la nascita. Ma proprio per questo il nostro corpo è un corpo di peccato, che, secondo l'Apostolo, viene svuotato dalla Croce di Cristo. ( Rm 6,6 ) 7.19 - Contro i platonici Ambrogio insegna che l'anima e il corpo sono opere di Dio A questo punto ho deciso di controbatterti con le tesi dei vescovi che ci hanno preceduto e che hanno esaminato le parole divine con fedeltà ed in maniera mirabile. Torniamo quindi al vescovo Ambrogio. Egli non dubita affatto che tutto l'uomo, anima e corpo, è opera di Dio; onora il matrimonio; insegna che nel battesimo di Cristo sono rimessi tutti i peccati; riconosce che Dio è giusto e non nega che la natura umana con l'aiuto della grazia di Dio è capace di virtù e di perfezione. Le cinque argomentazioni consistono nel sostenere che nessuna di esse può essere vera, a meno che non sia falso che quelli che nascono contraggono il peccato originale. Ambrogio, nei suoi discorsi, tuttavia, al momento più opportuno pone proprio questo peccato, che voi mediante le vostre cinque argomentazioni cercate di sradicare, cosicché sia chiaro a tutti quello che la verità cattolica e quello che predica la profana innovazione cerca di distruggere. O forse dubitate che Ambrogio ha creduto ed insegnato che Dio è il creatore di tutto l'uomo, dell'anima cioè e del corpo? Ebbene, ascolta ciò che, nel libro Sulla Filosofia, contro il filosofo Platone, il quale asseriva che le anime degli uomini si mutavano in bestie e riteneva Dio creatore soltanto delle anime, mentre i corpi li riteneva creati da dèi minori, scrive Ambrogio: "Mi meraviglio che un così grande filosofo ponga l'anima, a cui attribuiva il potere di portare l'immortalità, nelle civette o nelle rane e ne rivesta anche le bestie feroci. Nel Timeo infatti, dopo aver detto che essa è opera di Dio, fatta da Dio tra le cose immortali, dichiara che il corpo non è opera del sommo Dio, poiché la natura della carne umana non differisce minimamente da quella del corpo delle bestie. Ma se una cosa è degna di essere ritenuta opera di Dio, perché mai dovrebbe essere ritenuta indegna di essere rivestita di un'opera di Dio?". Come vedi, Ambrogio sostiene non solo che l'anima è opera di Dio, come pure i platonici dicevano, ma altresì contro i platonici che è sua opera anche il corpo, cosa che essi negavano. 7.20 - Lo stesso dottore insegnò la bontà del matrimonio O forse dirai che condanna il matrimonio perché insegna che il bambino che nasce da esso, concepito nel piacere della concupiscenza, subisce il contagio del peccato? Ascolta dunque il pensiero di Ambrogio sul matrimonio espresso nell'Apologia del santo Davide: "Il matrimonio è buono e l'unione è santa. Coloro che hanno la moglie si comportino come se non l'avessero. Lo stesso letto nuziale è incontaminato e nessuno deve privarne l'altro se non per un certo tempo per dedicarsi alla preghiera. ( 1 Cor 7,29-35 ) Secondo l'Apostolo non ci si può dedicare alla preghiera durante il tempo in cui si fa uso di quell'incontro corporeo". Un altro pensiero è esposto nel libro Sulla Filosofia: "E cosa buona la continenza; essa è quasi il sostegno della pietà. Essa infatti insegna la strada fissandone il cammino a coloro che cadono nel precipizio di questa vita ed è assidua vigilatrice affinché non s'insinui alcunché di illecito. L'incontinenza invece è la madre di tutti i vizi e trasforma in vizio anche le cose lecite. Per questo l'Apostolo non solo ci proibisce la fornicazione, ma ci insegna altresì ad avere una certa moderazione nell'uso del matrimonio e prescrive un tempo per la preghiera. Un intemperante nel matrimonio, infatti, che cosa è se non un adultero della moglie?". Vedi come egli vuole che i rapporti coniugali siano veramente onesti tra di loro? Non ti accorgi come afferma che l'incontinenza può trasformare in vizio anche le cose lecite? Questo non dimostra che l'unione è lecita e che l'incontinenza può sporcarvi ciò che è lecito? Comprendi come devi intendere con noi in quale malattia del desiderio l'Apostolo non ha voluto che ciascuno di noi possedesse il suo vaso come i pagani che ignorano Dio? ( 1 Ts 4,4-5 ) A te invece la libidine appare colpevole solo al di fuori del matrimonio. Cosa penserai dunque di Ambrogio che dichiara l'intemperante nel matrimonio in un certo senso adultero della moglie? Credi forse di onorare di più il matrimonio, dando un larghissimo spazio alla libidine, affinché questa, forse offesa, non si provveda di un altro difensore? Tu non hai voluto accennare neppure con una parola alla questione da me menzionata, che l'Apostolo cioè lo permette a modo di concessione - senza dubbio infatti, anche se perdonata, la colpa è stimmatizzata -. Non hai voluto neppure replicare al fatto che egli esorta i coniugi ad astenersi dall'uso del matrimonio per dedicarsi alla preghiera, ( 1 Cor 7,5-6 ) mentre io l'ho ricordato per intero. Probabilmente l'hai fatto perché temevi che la tua difesa potesse apparire falsa, qualora fossi stato costretto ad ammettere che la preghiera dei coniugi è impedita dalla libidine che tu non hai vergogna a patrocinare. Desiderando rispondermi, pertanto, ma non osando opporti all'Apostolo e non potendo, secondo il vostro solito modo di fare, sviare in un'altra direzione il senso delle sue parole, hai preferito tacere. E tu credi di onorare il matrimonio, del quale svaluti la dignità ponendolo nel pantano, quasi fosse irreprensibile, della concupiscenza carnale, più di Ambrogio che, pur dichiarandolo non solo lecito, ma addirittura santo, e pur dichiarando santa l'unione, richiama alla mente il tempo prescritto dall'Apostolo per la preghiera, quando cessa il piacere della libidine? Credi di onorare il matrimonio più di Ambrogio, che non vuole che i coniugi siano dediti a quella malattia donde ha origine il peccato originale, cosicché quelli che hanno moglie si comportino, a dire dell'Apostolo, come se non l'avessero? Egli non esita neppure un istante a dichiarare adultero della moglie un marito intemperante, poiché ritiene che tutto il bene del matrimonio sta non nella cupidigia della carne ma nella fedeltà della castità, non nella malattia della passione ma nel patto dell'unione, non nel piacere della libidine ma nella volontà della procreazione. Egli insegna che la moglie è stata data all'uomo solo per la generazione, cosa che hai creduto dover discutere a lungo, quasi che qualcuno di noi l'avesse negata. Ecco sull'argomento le parole stesse di Ambrogio tratte dal libro Sul Paradiso: "Se la moglie è causa di colpa per il marito, come si può dire che gli sia stata data per il suo bene? Se però consideri che Dio ha cura dell'universo, scoprirai che al Signore doveva piacere maggiormente ciò in cui c'era un motivo d'universalità anziché dover condannare quello in cui c'era una causa del peccato. Siccome la propagazione del genere umano non poteva aversi soltanto con l'uomo, Dio affermò che non stava bene solo. ( Gen 2,18 ) Dio ha preferito che fossero molti ad avere bisogno di salvezza, ed ai quali avrebbe dovuto essere perdonato il peccato, piuttosto che vi fosse solo Adamo immune da ogni colpa. Poiché, inoltre, egli è l'autore dell'una e dell'altra opera, è venuto in questo mondo per salvare i peccatori. Non ha permesso infine che neppure Caino, reo di fratricidio, fosse ucciso prima che avesse generato dei figli. È stato necessario, quindi, dare una moglie all'uomo per la propagazione del genere umano". 7.21 - Ma anche la remissione del peccato originale nel battesimo Come vedi, Ambrogio, mio maestro, tanto mirabilmente lodato dal tuo, non solo professa ma addirittura difende che tutto l'uomo, anche la sua carne, è opera di Dio e che il matrimonio in quanto tale è un bene. Che, poi, nulla tolga al battesimo a causa del peccato originale, te l'ho dimostrato prima citando le sue parole: "È liberato dal peccato colui al quale nel battesimo sono rimessi tutti i peccati". In qual punto dei suoi libri insegna che Dio non è giusto? Quale cristiano cattolico può dubitare di una verità che addirittura gli empi professano? 8.22 - Secondo Ambrogio la natura umana è capace della giustificazione Riguardo alla quinta argomentazione, resta da vedere se Ambrogio ritiene la natura umana capace di giustizia e di perfezione. Non si può certo dire che si allontani da questa tesi per il fatto che ripete spesso ed in molti modi che l'uomo nasce sotto il peccato e che la sua stessa origine è nella colpa. Per la verità anche questo l'ho già dimostrato sopra ricordando che ha detto: "la carne di Cristo ha condannato il peccato che egli non sentì quando nacque e che crocifisse quando morì, affinché nella nostra carne ci fosse la giustificazione per la grazia laddove c'era stata la confusione a causa della colpa". Con queste parole egli dimostra che la natura umana, anche quella che nasce sotto il peccato e la cui origine stessa è nella colpa, è capace di giustificazione, ma solo per mezzo della grazia, la qual cosa dispiace moltissimo a voi, che della stessa grazia siete crudelissimi avversari. Se questo è poco, fa' attenzione a quanto egli dice nel Commento al profeta Isaia: "Vediamo un po' se, dopo il pellegrinaggio di questa vita, c'è la rigenerazione della quale è stato scritto: Nella rigenerazione, quando il Figlio dell'uomo siederà sul suo trono glorioso. ( Mt 19,28 ) Come si chiama rigenerazione quella del lavacro per il quale, detersa la massa dei peccati, noi siamo rinnovati, così sembra debba essere chiamata rigenerazione quella per cui, purificati da ogni macchia di materialità e resi di animo limpido, siamo rigenerati alla vita eterna". Il santo e verace uomo ha giustamente distinto la giustificazione che si ha in questa vita per mezzo del lavacro di rigenerazione, da quella perfetta dell'altra vita, quando i nostri corpi saranno rinnovati dalla immortalità. Ambrogio quindi, anche ammettendo la colpa di origine in chi nasce, non ritiene impossibile la perfetta giustificazione. La natura umana, come ha potuto essere plasmata da Dio Creatore, può essere sanata da Dio redentore. 8.23 - Ambrogio ammonisce sulle difficoltà di sfuggire al male nella vita terrena Ma voi avete fretta e con la fretta fate precipitare la vostra presunzione. Voi vorreste che l'uomo diventi perfetto quaggiù, ma volesse il cielo che lo fosse per dono di Dio e non per il libero arbitrio, o, piuttosto, per schiavo l'arbitrio della propria volontà! Da questa perfezione vi sentite lontani. C'è inganno però nella vostra bocca, sia che vi dichiarate peccatori e volete essere creduti giusti, sia che professate la perfezione della giustizia, che sentite di non avere in voi. Per tre vie in questa vita ci viene conferita la giustificazione: col lavacro di rigenerazione in virtù del quale sono rimessi tutti i peccati; combattendo i vizi del cui reato siamo stati assolti e con l'esaudimento della preghiera in cui diciamo: Rimetti a noi i nostri debiti. ( Mt 6,12 ) Pur combattendo contro i vizi con tutta la forza possibile, restiamo sempre uomini. Mentre combattiamo in questo corpo corruttibile, la grazia di Dio ci aiuta in modo che non ci manchi il motivo per cui egli ci possa esaudire quando chiediamo perdono. Voi non ritenete necessaria questa misericordia di Dio su di noi, perché appartenete al numero di quelli di cui il salmista dice: Che confidano nella loro virtù. ( Sal 49,7 ) Quanto è meglio ascoltare Ambrogio: "Spesso noi parliamo della fuga da questo mondo, scrive nel libro La fuga dal mondo, ma volesse il cielo che l'anima sia tanto attenta e sollecita quanto è facile il parlare. Quel che è peggio, però, è che molto spesso si insinua l'attrattiva delle passioni terrene e l'accecamento delle vanità ottenebra la mente sicché finisci per pensare proprio a quelle cose che cerchi di evitare e le rimugini nel tuo animo. Guardarsene per l'uomo è difficile, spogliarsene del tutto è impossibile. Che di fatto esso stia più nel desiderio che nella realtà lo testimonia il Profeta quando dice: Rivolgi il mio cuore ai tuoi insegnamenti e non all'avarizia. ( Sal 119,36 ) Il nostro cuore infatti non è in nostro potere e i nostri pensieri con il loro improvviso offuscarsi confondono la nostra mente ed il nostro animo e ci portano fuori da quello che ti eri proposto. Richiamano ai desideri secolari, insinuano preoccupazioni mondane, suscitano sentimenti voluttuosi, intessono fantasie seducenti e, proprio mentre ci prepariamo ad innalzare la nostra mente, per l'intromissione di vani pensieri, siamo respinti verso le cose terrene". Se dite di non soffrire tutto questo, perdonateci, ma non vi crediamo. In queste parole di sant'Ambrogio, anche se facciamo qualche progresso, vediamo uno specchio dell'infermità comune a tutti gli uomini. Nell'ipotesi che vi credessimo e vi dicessimo: pregate per noi affinché non patiamo tali cose, vi troveremmo talmente gonfi e saccenti che ci rispondereste non solo che voi non soffrite queste cose, ma che è in potere degli uomini il non soffrirle e che non c'è alcun motivo per chiederne aiuto a Dio. 8.24 - La fiducia dell'uomo nella grazia di Dio Quanto è meglio dunque ascoltare Ambrogio che professa la grazia di Dio e non si fida della sua forza! "Chi è tanto beato, scrive dopo quanto detto sopra, che nel suo cuore è in costante ascesa? Ma chi può farlo senza l'aiuto di Dio? Nessuno, nella maniera più assoluta. La Scrittura di lui dice: Beato l'uomo che ha l'aiuto da te, o Signore, e la spinta in alto nel suo cuore". ( Sal 84,6 ) Lo stesso Ambrogio nel libro Sul Sacramento della rigenerazione scrive: "Chi, se non l'anima, si serve della carne per agire? L'anima per sua natura è capo e padrona della carne, che deve domare e reggere. Sostenuta dall'aiuto dello Spirito Santo, essa esclama nel Salmo: Non temerò quello che mi farà la carne ( Sal 56,5 ) ed aggiunge in san Paolo: Castigo il mio corpo e lo riduco in schiavitù. ( 1 Cor 9,27 ) Paolo castiga ciò che è suo, non ciò che egli è. Altro è ciò che è suo, altro ciò che egli è. Castiga ciò che è suo, perché, essendo giusto, uccide in sé la sensualità del corpo". Quando Ambrogio scriveva queste cose non era forse in lotta con i vizi? Non li vinceva forse? Non debellava forse dentro di sé l'esercito delle più svariate passioni come un glorioso soldato di Cristo? Non castigava forse il suo corpo? E, dopo avere superato e sconfitto le opere del diavolo, non ricercava forse la pace della giustizia tra le due opere di Dio, tra l'anima cioè ed il corpo, cosicché, non riponendo la fiducia nelle sue forze, potesse ripetere: "… sostenuta dall'aiuto dello Spirito Santo, essa esclama: Non temerò ciò che mi farà la carne"? ( Sal 56,5 ) Ecco come la natura umana è dimostrata capace di giustificazione, ed ecco come la virtù si perfeziona nella debolezza. ( 2 Cor 12,9 ) 8.25 - Cipriano insegna che nessuno può vivere senza peccato Su questo argomento è bene ascoltare anche il parere del vittorioso martire Cipriano. Nella lettera Sulla Mortalità così egli si esprime: "Noi dobbiamo scontrarci con l'avarizia, con l'impudicizia, con l'ira, con l'ambizione e dobbiamo perseverare in una assidua e fastidiosa lotta con i vizi della carne e le seduzioni del mondo. La mente dell'uomo e assediata e da ogni parte è circondata dagli assalti del diavolo, a mala pena riesce a combatterli singolarmente ed a mala pena resiste. Se riesce a prostrare l'avarizia, si solleva la libidine; se sconfigge la libidine, viene l'ambizione; se l'ambizione è spezzata, l'ira s'accende, la superbia gonfia, l'ebrezza ti tenta; l'invidia distrugge la concordia, la gelosia spezza l'amicizia. Sei costretto a maledire, cosa che la legge divina proibisce e sei spinto a giurare, cosa che non è lecito. L'animo soffre ogni giorno tante persecuzioni, il cuore è oppresso da tanti pericoli e tuttavia c'è gusto a restare a lungo quaggiù tra le spade del diavolo, mentre bisognerebbe aspirare e desiderare con ardore di andare più rapidamente nella morte, incontro a Cristo che viene". Lontano da noi però pensare che Cipriano sia stato avaro perché ha lottato con l'avarizia o impudico, irascibile, ambizioso, carnale, amante di questo mondo, libidinoso, superbo, ubriaco o invidioso perché ha combattuto contro l'impudicizia, l'ira, l'ambizione, i vizi carnali, le attrattive del mondo, la libidine, la superbia, il vino, l'invidia. A maggior ragione anzi non ha avuto alcuno di questi vizi appunto perché resisteva tenacemente a queste cattive inclinazioni, provenienti in parte dalla nascita ed in parte dalla vita, non consentendo di diventare ciò che volevano farlo diventare. Ciò nonostante, in una lotta tanto pericolosa e faticosa, non ha potuto evitare di essere ferito da qualche dardo nemico, come egli stesso confessa nella sua lettera Sulle Elemosine: "Nessuno si illuda della sua purezza immacolata, tanto da ritenersi immune dalla necessità di medicare le sue ferite fidando totalmente nella sua innocenza. È stato scritto infatti: Chi potrà gloriarsi di avere il cuore puro o di essere immune da peccati?, ( Pr 20,9 ) e così San Giovanni nella sua lettera ha scritto: Se diciamo di non avere peccati, noi inganniamo noi stessi e la verità non è in noi. ( 1 Gv 1,9 ) Se nessuno può essere senza peccato, chi si vanta di essere senza colpa o è superbo o è stolto. Quanto è necessaria, quanto è benigna la divina clemenza, la quale, sapendo che ai risanati non sarebbero mancate ferite postume, ha donato rimedi salutari per sanare di nuovo le ferite". O maestro famosissimo, o testimone gloriosissimo, così ci hai insegnato, così ci hai esortato, così ti sei offerto a noi per essere ascoltato ed imitato. Dopo aver terminato gli altri combattimenti contro tutte le passioni e dopo aver sanato tutte le ferite, per la verità di Cristo hai combattuto contro il più grande dei desideri, quello della vita, e, per la larghezza della grazia di Dio, meritatamente hai vinto. La tua corona è sicura e vittoriosa è la tua dottrina con cui sconfiggi anche costoro che confidano nelle proprie forze. Essi gridano: la perfezione della virtù dipende da noi. Tu rispondi: "Nessuno è forte per le sue forze, ma lo è per la magnanimità e la misericordia di Dio". 8.26 - S. Ilario pone la perfezione dell'uomo nella risurrezione finale Ascolta anche il beatissimo Ilario e vedi dove ripone la speranza della perfezione. Parlando della pace evangelica con riferimento alle parole del Signore: Vi do la mia pace, ( Gv 14,27 ) scrive: "Poiché la legge è l'ombra dei beni futuri, per mezzo di questa prefigurazione significativa ci ha insegnato che, in questo corpo terreno e destinato alla morte, non ci è possibile essere immacolati finché non otteniamo la purificazione con il lavacro della misericordia divina, quando, dopo la trasformazione del nostro corpo terreno per la risurrezione, la nostra natura sarà diventata più gloriosa". Nello stesso discorso, scrive più avanti: "Pur rinnovati e santificati dalla parola della fede, gli stessi Apostoli non erano esenti da malizia, data la comunanza di origine con noi, come ci viene dimostrato dalle parole di Cristo: Voi, pur essendo cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli". Vedi bene che neppure questo venerabile polemista cattolico nega la nostra purificazione in questa vita, anche se egli spera in una natura più perfetta, più ampiamente purificata, cioè, che si avrà nell'ultima risurrezione. 8.27 - Dio si serve del diavolo per la purificazione dell'uomo In una omelia sul libro del santo Giobbe - fa' bene attenzione -, egli afferma che il diavolo ci scatena contro una lotta senza fine, eccitando contro di noi quei mali che dimorano in noi. Ci vuole insegnare che tutto torna a nostro vantaggio, poiché la misericordia di Dio trasforma la malizia del diavolo nella nostra purificazione: "È tanto grande e tanto mirabile, egli scrive, la bontà della misericordia di Dio verso di noi che, mediante lo stesso mezzo per cui, nell'offesa di Adamo avevamo perduto la ricchezza della prima e beata creazione, meritiamo di ottenere di nuovo quanto abbiamo perduto. Per invidia allora il diavolo ci ha portato il male, ora invece, mentre cerca di farci del male, viene sconfitto. Attraverso la debolezza della nostra carne egli ci scaglia addosso tutti i dardi del suo potere, quando ci accende alla lussuria, ci invita all'ubriachezza, ci eccita all'odio o ci spinge all'avidità, ci dispone all'omicidio, o ci stimola alla maledizione. Quando però, con la forza di volontà, reprimiamo queste tentazioni di ogni genere, veniamo purificati dal peccato per la gloria di questa vittoria. Sta scritto infatti: Come si purificherà il nato di donna? ( Gb 25,4 ) Se manca il nemico non c'è combattimento, e se non c'è combattimento non ci sarà neppure vittoria. Non ci sarà purificazione dai vizi, senza una vittoria sui vizi che si scontrano con noi. Dopo avere sconfitto in mezzo a queste insidie il pirata del nostro corpo, invece siamo liberati dalla contesa delle passioni che lottano contro di noi. Memori pertanto e consapevoli che il nostro stesso corpo è materia per tutti i nostri vizi, e che, per colpa sua macchiati e sporchi, non troviamo in noi nulla di puro, nulla di innocente, rallegriamoci di avere un nemico nella cui lotta combattiamo la guerra della nostra lotta interiore". 8.28 - Un testo di Ilario sui vizi della natura Nel Commento al primo Salmo, lo stesso dottore non esita ad affermare che la nostra natura, proprio questa natura che trae infermità da infermità, è portata a peccare, e che, per non peccare, dobbiamo in certo qual modo combattere contro di essa con l'arma della fede. Egli scrive: "Ci sono molti che, pur lontani dall'empietà in virtù della fede, non per questo sono liberi dal peccato, se non osservano la legge della Chiesa. Tali sono gli avari, gli ubriaconi, i tumultuosi, gl'insolenti, i superbi, i simulatori, i falsi, i rapaci. A questi vizi ci spinge l'istinto stesso della nostra natura. È utile però per noi allontanarci dalla strada verso cui siamo inclinati, e non fermarci lì, cedendo ad un moroso tentennamento. Beato è l'uomo infatti che non si ferma sulla via del peccato. ( Sal 1,1 ) Se la natura ci spinge verso questa via, l'adesione alla fede ci ritrae da essa". Possiamo ritenerlo, forse, costui accusatore della natura, creata da Dio? No davvero. Da buon cattolico, non dubitava affatto che la natura umana è opera di Dio, ma non esitava a condannare i vizi con i quali noi nasciamo, tenendo presente le parole dell'Apostolo: Per natura siamo stati figli dell'ira, come tutti gli altri. ( Ef 2,3 ) Se queste parole citate da Sant'Ilario le avessi scritte io, quante me ne avresti dette! Con quanto fracasso mi avresti sventolato il nome ed il crimine dei manichei! Ora, affinché il sacco del tuo stomaco non si rompa per una eccessiva indigestione di maledizioni, vomita contro costui, se hai coraggio, le tue calunniose e pazze falsità. "A questi vizi, egli diceva, ci spinge l'istinto stesso della natura". Qual è questa natura? Forse la stirpe delle tenebre, come crede la favola dei manichei? No di certo. È un cattolico che parla, è un insigne Dottore della Chiesa, è Ilario che parla. La nostra natura è stata viziata dalla caduta del primo uomo. Non ha bisogno di essere separata da alcun'altra natura, ma soltanto di essere sanata. È la natura che, secondo la tua calunnia, noi faremmo derivare dal diavolo, ed alla quale, invece, tu ti ostini a rifiutare Cristo quale Salvatore, e che credi capace di vivere perfettamente quaggiù, così da essere senza alcun peccato. 8.29 - La speranza dell'uomo è la misericordia di Dio Su questo punto ascolta ancora l'ammonimento del beato Ilario nel suo commento al Salmo cinquantuno: "La speranza è nella misericordia di Dio per i secoli dei secoli. ( Sal 52,10 ) Le nostre opere di giustificazione non sono sufficienti a meritare la perfetta beatitudine, a meno che la misericordia di Dio, pur in questa volontà di giustizia, non imputi le colpe della mutevolezza e delle passioni dell'uomo. Da qui il detto del Profeta: La tua misericordia è più buona della vita". Ti accorgi che quest'uomo di Dio è del numero di quei beati di cui è stato detto: Felice l'uomo cui non imputa il Signore il peccato: né c'è frode nel suo spirito? ( Sal 32,2 ) Riconosce infatti anche i peccati dei giusti, asserendo che la loro fiducia è riposta più nella misericordia di Dio, che nella propria giustizia. Non c'è frode perciò nella sua bocca e nella bocca di tutti coloro dei quali riporta questa testimonianza di sincera umiltà e di umile verità. La frode invece abbonda nella vostra bocca, dove non c'è virtù, ma tanta superbia, e tanta ipocrisia. Dove c'è ipocrisia, senz'altro c'è frode. Voi confidate nella vostra forza che è nulla, nella stessa misura con cui i Santi confidavano nella misericordia di Dio che è immensa. La forza che essi impiegano per combattere con l'aiuto della grazia di Dio i vizi congeniti, voi la impiegate per combattere la grazia stessa di Dio. Ma, volesse il cielo che come essa vince voi nei suoi Santi, così, facendovi suoi, vinca voi stessi in voi. 8.30 - La perfezione degli Apostoli Avreste pure il coraggio di dire in cuor vostro che, ascoltando voi, gli uomini s'infiammano per la virtù, mentre ascoltando tali e tanti uomini, quali Cipriano, Ilario, Gregorio, Ambrogio e tutti gli altri sacerdoti di Dio, si distruggono per la disperazione e rinunciano ad ogni impegno per la perfezione. Questi mostruosi pensieri passano per la vostra mente e non vi vergognate? Lodando la natura, voi credete di onorare i Santi di Dio, i Patriarchi, i profeti, gli Apostoli, mentre questi luminari della Chiesa, disprezzando la natura, li disonorano, solo perché hanno dichiarato che, per mantenere il bene della castità in questo corpo di morte, hanno combattuto contro il congenito male della concupiscenza, che prima dev'esser vinta nella lotta con l'aiuto della grazia di Dio, e poi sanata dall'ultima rigenerazione? Tu pensi che sia un giudeo a pronunciare le parole: Non faccio il bene che voglio, ( Rm 7,19 ) e lo pensi col chiaro proposito di "non riversare il sudiciume della condotta in odio alla natura, di consolarti con le brutture, ingiuriando gli Apostoli e i Santi". Secondo te questi mali che tu non fai li faceva Ambrogio con tutti quelli che come lui ritenevano che l'Apostolo diceva di se stesso: Non faccio il bene che voglio, ma il male che non voglio, oppure: Vedo un'altra legge nelle mie membra che ripugna alla legge della mia mente ( Rm 7,19-23 ) ecc. Questi santi, dunque, secondo voi, affermando tali cose "minavano il muro del pudore", mentre voi siete odiati perché predicate la perfezione? Ma tu ti consoli perché ritieni una specie di gloria l'aver arrecato dispiacere ad uno che non ha risparmiato neppure gli Apostoli. Se io, però, dicendo tali cose, non ho risparmiato gli Apostoli, non li ha risparmiati neppure Ambrogio e tutti gli altri che la pensavano come lui. Se poi quelli appresero queste cose dagli Apostoli e secondo gli Apostoli le insegnarono, perché allora ti opponi solo a me? Guarda costoro e, deponendo un tantino l'alterigia, guardali più e più volte. E così, sfacciatissimo giovane, dovrai consolarti per avere recato loro dispiacere, o non piuttosto piangere? 9.31 - Riassunto degli argomenti trattati nel libro Vediamo ora di riassumere per quanto possibile sinteticamente tutto quello che abbiamo trattato in questo libro. Con la vasta mole dell'autorità dei santi che sono stati vescovi prima di noi ed hanno difeso strenuamente, mentre erano in vita, la fede cattolica non solo con le parole ma anche con gli scritti lasciati ai posteri, ci siamo proposti di infrangere le vostre seguenti proposizioni: "Se l'uomo è una creatura di Dio, non può nascere con un difetto; se il matrimonio è un bene, da esso non può nascere alcunché di male; se nel battesimo sono rimessi tutti i peccati, i nati da genitori battezzati non possono contrarre il peccato originale; se Dio è giusto, non può condannare nei figli la colpa dei genitori, dal momento che ad essi perdona anche i peccati personali; se la natura umana è capace di perfetta giustificazione, non può avere difetti naturali". Contro queste proposizioni diciamo: Dio è creatore di tutto l'uomo, dell'anima cioè e del corpo; il matrimonio è un bene; per mezzo del battesimo di Cristo sono rimessi tutti i peccati; Dio è giusto; la natura umana è capace di perfetta giustizia. Pur essendo vere tutte queste cose, affermiamo nel contempo che gli uomini nascono soggetti ad un'origine viziata, derivante dal primo uomo. Per questo motivo vanno verso la condanna se non rinascono in Cristo. Questo lo abbiamo dimostrato con l'autorità dei santi cattolici, che riguardo al peccato originale, sostengono le medesime cose che sosteniamo noi e ritengono vere tutte e cinque le nostre tesi. Non è affatto logico che quello sia falso perché queste sono vere. Sono tali e tanti gli uomini che, secondo la dottrina cattolica diffusa nell'antichità per tutta la terra, confermano la verità dell'uno e delle altre che la vostra fragile e, direi, quasi faceta novità, viene schiacciata solo dalla loro autorità. In aggiunta a ciò che essi dicono, la verità stessa attesta di parlare per mezzo di loro. Voi stessi non siete convinti che tali uomini abbiano potuto errare nella fede cattolica al punto da affermare qualcosa da cui derivasse come conseguenza che: Dio non è il creatore dell'uomo; il matrimonio è da condannarsi; nel battesimo non si ha la remissione totale dei peccati; Dio è ingiusto, a noi non rimane alcuna speranza di perfezionare la virtù, cose che in tutto o in parte è nefando pensare. È necessario pertanto, a questo punto, reprimere con la loro autorità la vostra ostinazione, affinché, quasi rimbalzati dalla forza della presunzione ed in certo modo quasi respinti, possiate frenare i vostri precipitosi ardimenti e, come riavendovi da una pazzia, possiate cominciare a ricordare, a riconsiderare, a rifare vostra quella verità nella quale siete stati nutriti. 9.32 - Raccolta dei testi di S. Ambrogio Il beato Ambrogio afferma che un solo uomo, il Mediatore tra Dio e gli uomini, è stato sciolto dai vincoli di una generazione macchiata perché, nato da una Vergine, nella nascita non ha sentito il peccato. Tutti gli altri uomini nascono nel peccato e la loro stessa origine è nella colpa, poiché, formati nel piacere della concupiscienza, prima ancora di respirare lo spirito vitale di quest'aria, hanno subìto il contagio della colpa. In questo corpo di morte, la legge stessa della concupiscenza, come una legge di peccato, ripugna alla legge della mente a tal punto che contro di essa hanno dovuto combattere non solo i buoni fedeli, ma gli stessi Apostoli con la loro grande virtù, al fine di sottomettere, con l'aiuto della grazia di Cristo, la carne all'anima ed in tal modo richiamarla alla concordia. Tra di esse, infatti, create senza peccati, proprio per la trasgressione del primo uomo, è nata la discordia. Chi lo dice? Un uomo di Dio, un cattolico, un acerrimo difensore della verità cattolica contro gli eretici pronto a versare il proprio sangue, esaltato tanto dal tuo maestro che di lui arriva a dire: "Neppure un nemico avrebbe osato riprendere la sua fede e la sua purissima interpretazione della Scrittura". Contro l'errore dei filosofi platonici ha affermato che Dio è creatore non solo delle anime, ma anche dei corpi. Ha insegnato che il matrimonio è un bene istituito da Dio per la propagazione del genere umano e che la castità coniugale santifica l'unione. Ha detto che nessuno è giustificato dal peccato se prima, nel battesimo, non gli sono stati rimessi tutti i peccati. Da uomo giusto ha adorato sempre Dio giusto, ed è stato sempre ben lontano dal credere che l'uomo non potesse progredire nella perfezione della virtù e della giustizia. Egli tuttavia ritiene che la perfezione, cui nulla più debba essere aggiunto, la si troverà solo nell'altra vita e sarà piena solo nella risurrezione dei morti. In questa vita la giustizia umana sta nel lottare non solo contro le avverse potestà spirituali, ma anche contro le nostre stesse passioni attraverso cui i nemici esterni cercano di penetrare in noi e di abbatterci. In questa lotta abbiamo come terribile avversaria la nostra stessa carne, la cui natura, quale era stata creata al principio, sarebbe andata molto d'accordo con noi, se non fosse stata viziata dalla caduta del primo uomo, e quindi contagiata dallo stesso male. Quel santo uomo, in questa lotta, ci ammonisce di fuggire il mondo e ci dimostra quanto grande, nella fuga, sia la difficoltà o addirittura l'impossibilità, se non viene in aiuto la grazia di Dio. Nel battesimo, con la remissione di tutti i peccati, i vizi muoiono, ma in certo qual modo dobbiamo curarne la sepoltura. Anche se sono morti noi abbiamo con essi un conflitto così aspro che finiamo per non fare quello che vogliamo, ma quello che abbiamo in odio. Il peccato ci costringe a fare molte cose contro la nostra volontà e spesso risorgono vive le passioni. Dobbiamo lottare contro la carne, contro cui ha lottato Paolo quando diceva: Vedo un'altra legge nelle mie membra, in conflitto con la legge della mia ragione. ( Rm 7,23 ) Ci comanda di non confidare nella carne e di non crederle perché l'Apostolo esclamava: So infatti che il bene non dimora in me, vale a dire nella mia carne, perché volere il bene è alla mia portata, ma praticarlo no. ( Rm 7,18 ) Ecco quale grande battaglia ci esorta a combattere contro i peccati morti, quel valoroso soldato di Cristo fedele dottore della Chiesa. Come è possibile che il peccato sia morto, se ci costringe a fare molte cose contro la nostra volontà? E cosa sono queste cose se non i desideri stolti e nocivi che immergono nella morte e nella perdizione quelli che vi consentono? ( 1 Tm 6,9 ) Sopportarli senza consentirvi è la lotta, il conflitto, la guerra. Che guerra se non tra bene e male, non tra natura e natura, ma tra natura e vizio, già morto ma non ancora sepolto, vale a dire non ancora sanato perfettamente? Come è possibile, insieme a quest'uomo, ritenere morto nel battesimo questo peccato ed affermare che abita in noi e che suscita molti desideri contro la nostra volontà, ai quali, com'egli confessa, resistiamo non acconsentendo, se non per il fatto che è morto nel reato con cui ci teneva legati e che si ribella anche da morto, fin quando non sia completamente sanata dalla perfezione della sepoltura? Esso tuttavia non è detto peccato nel senso che rende colpevole l'uomo, ma nel senso che, essendo frutto del peccato del primo uomo, ribellandosi, cerca di spingerci al peccato se non ci viene in aiuto la grazia di Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore, cosicché, pur morto, non abbia più a ribellarsi e, con la vittoria, non torni a rivivere e regnare. 10.33 - Il pensiero degli esegeti cattolici sul peccato originale Mentre ci affanniamo in questa guerra per tutto il tempo che la vita umana costituisce una tentazione sulla terra, ( Gb 7,1 ) non siamo immuni da peccato, perché ciò che in quel modo chiamiamo peccato agisce dentro di noi in contrasto con la legge della mente anche se non ci trova consenzienti alle cose illecite. Per quanto ci riguarda, noi potremmo essere sempre senza peccato fino alla totale guarigione da questo male, se riuscissimo a non acconsentire mai ad esso. Purtroppo, però, nelle cose in cui siamo sconfitti dallo spirito ribelle, sia pure venialmente e non mortalmente, in esse traiamo donde ogni giorno dover dire: Rimetti a noi i nostri debiti. ( Mt 6,12 ) Così per esempio peccano i coniugi quando, per sola voluttà, oltrepassano la misura necessaria alla generazione; così i non sposati quando si fermano in tali pensieri con qualche diletto, non al punto da volere l'azione cattiva, ma non allontanando, come è necessario, la mente dal fissarsi nel cattivo pensiero, oppure non ritraendola prontamente quando vi si era fissata. Di questa legge del peccato, che può essere chiamata peccato, che ripugna alla legge della mente e di cui il beato Ambrogio ha detto molte cose, fanno fede altri Santi quali Cipriano, Ilario, Gregorio e moltissimi altri. Chi è generato in Adamo, dunque, deve essere rigenerato in Cristo; chi è morto in Adamo, deve essere vivificato in Cristo. Egli è legato al peccato di origine perché nasce dal male per cui la carne ha voglie contro lo spirito, e non dal bene per cui lo spirito ha desideri contro la carne. ( Gal 5,17 ) Qual meraviglia dunque se ha necessità di rinascere l'uomo nato dal male contro il quale il battezzato deve combattere ed a causa del quale egli stesso sarebbe colpevole se non ne fosse liberato dalla nuova nascita? Questo male non è una materia che viene da Dio creatore, bensì una ferita del diavolo che l'ha viziata. Non è il male del matrimonio, ma solo il peccato dei primi uomini trasmesso per generazione. Il reato di questo male è rimesso nella santificazione del battesimo. Dio sarebbe molto più ingiusto se, lui giusto, infliggesse ai fanciulli, pur non avendo contratto essi alcun peccato, tutti quei mali che non si riescono a contare. Non è però negata all'uomo la capacità di perfetta giustizia, perché, con l'aiuto del Medico onnipotente, neppure la perfetta guarigione di tutti i vizi è detta impossibile. Tanti sacerdoti santi ed illustri nell'esposizione delle divine Scritture, quali Ireneo, Cipriano, Reticio, Olimpio, Ilario, Ambrogio, Gregorio, Innocenzo, Giovanni, Basilio, ai quali, tu voglia o no, aggiungo il prete Girolamo, per omettere gli altri che sono ancora vivi, hanno difeso contro di voi la verità cattolica, che tutti gli uomini sono soggetti al peccato originale. Nessuno è escluso, all'infuori di colui che la Vergine ha concepito immune dalla legge del peccato che ripugna alla legge della mente. 10.34 - I giudici della controversia Perché tanta esultanza e perché, con l'aria del vincitore, m'insulti "come se io non sapessi più cosa fare, dove rifugiarmi, qualora dovessi comparire dinanzi a dei giudici, e dovessi sedere insieme a te in un'assise di eruditi, mentre tu" gran trombettiere, "suoni la tromba della vera ragione tra gli applausi degli ascoltatori che risuonano" per approvarti? Raffiguri così ai tuoi occhi la nostra disputa ed immagini, secondo il tuo gusto, che io non sappia rispondere ai tuoi ragionamenti! La tua fervida fantasia ti crea uno scenario vano e, direi, pazzo: insieme a te mi trovo davanti a dei giudici pelagiani e, mentre essi applaudono, tu puoi alzare come una tromba la tua voce e proclamare contro la fede cattolica, contro la grazia di Cristo, in virtù della quale, piccoli e grandi sono liberati dal peccato, l'errore di questa nuova empietà comune a te e a loro. Ma neppure il vostro maestro Pelagio, pur senza aver alcun avversario di fronte, ha potuto trovare giudici del genere nella Chiesa di Dio. Al cospetto degli uomini egli è uscito assolto da quel tribunale, dopo aver condannato apertamente la vostra tesi. Dovunque tu sia o possa leggere queste pagine, ti porrò dinanzi a questi giudici nell'intimo del tuo cuore. In questa nostra disputa non li ho scelti perché amici miei e nemici tuoi, oppure perché propensi a me in virtù di qualche merito ed avversi a te per qualche offesa. Non ho inventato con fervida fantasia persone che non sono mai esistite o non esistono, oppure che hanno idee incerte sul problema che si agita tra noi. Ho indicato singolarmente e apertamente, come si conveniva, santi ed illustri vescovi della Chiesa di Dio, greci e latini, eruditi tanto nel sapere platonico, aristotelico, zenonico o di altri del genere - alcuni di essi in verità anche in questo erano dottissimi - quanto nelle Sacre Scritture. Ho esposto le loro tesi, per quanto mi è sembrato sufficiente, senza alcuna ambiguità, perché tu avessi a temere non essi, ma Colui che di essi ha fatto dei vasi utili e con essi ha costruito dei santi templi. Essi hanno dato il loro giudizio su questa causa in un momento in cui nessuno avrebbe potuto accusarli di favorire l'uno o avversare l'altro. Non esistevate ancora voi, contro cui entrate in conflitto su questo argomento; non c'eravate ancora per affermare quello che esponi nei tuoi libri: "che su di voi abbiamo mentito alla moltitudine, o che col nome dei celestiani e dei pelagiani abbiamo spaventato gli uomini, o con il terrore abbiamo estorto loro il consenso". Certo tu stesso hai affermato che "i giudici debbono essere liberi da odio, amicizia, inimicizia, ira". Ebbene, anche se di questo genere se ne possono trovare pochi, Ambrogio e tutti gli altri, che ho ricordato insieme a lui, sono da ritenersi tali. Può anche darsi che non sempre sono stati ritenuti tali nelle cause portate davanti ad essi mentre erano in vita e che essi, con il loro giudizio, hanno chiuso. Certamente però erano tali quando hanno dato il loro giudizio sulla nostra causa. Essi non cercavano né la nostra né la vostra amicizia; non avevano inimicizie; non erano adirati né con noi né con voi, e non avevano compassione né di noi né di voi. Hanno conservato ciò che hanno trovato nella Chiesa; hanno insegnato ciò che hanno imparato, ed hanno trasmesso ai figli ciò che hanno appreso dai padri. La nostra causa è stata trattata presso di loro prima ancora che noi la trattassimo con voi dinanzi ad essi. Né voi né noi eravamo a loro noti, eppure nei loro scritti leggiamo la sentenza emessa contro di voi a nostro favore. Non ancora combattevamo contro di voi e ci ritroviamo vincito in virtù della loro sentenza. 10.35 - Giuliano esortato a valutare le testimonianze patristiche Tu dici che "qualora dovessi comparire dinanzi a dei giudici - scelti naturalmente da te -, non saprei cosa fare, dove rifugiarmi e non potrei trovare nulla per oppormi alle tue argomentazioni". Ti sbagli. Saprei molto bene cosa fare e saprei molto bene dove rifugiarmi. Passerei dalle oscurità pelagiane a questi luminosissimi fari cattolici. Cosa che faccio subito. Rispondimi piuttosto: cosa faresti tu e dove ti rifugeresti? Io passerei dai pelagiani a costoro, e tu da costoro a chi ricorreresti? Siccome pensi che "non è il numero delle sentenze che conta, ma il loro peso", e che - su questo anch'io sono d'accordo! - "a nulla giova una moltitudine di ciechi per trovare qualche cosa", oserai forse dire che costoro sono ciechi? Il lungo giorno ha forse mescolato talmente la sommità con il fondo, e fino a tal punto la luce è confusa con le tenebre e le tenebre con la luce che Pelagio, Celestio, Giuliano ci vedono, mentre Ilario, Gregorio, Ambrogio sono ciechi? Chiunque tu sia però, se sei veramente uomo, mi sembra di vedere la tua vergogna - purché in te non sia morta ogni speranza di salvezza! - ed in certo senso di ascoltare la tua voce. "Lungi da me, rispondi, dire o solo pensare che costoro sono ciechi". Pondera dunque le loro sentenze. Non voglio che siano molte perché non ti sia di fastidio il contarle. Non sono però di poco conto sicché tu debba disdegnare di soppesarle. Sono anzi tanto pesanti che ti vedo già affaticato sotto il loro peso. O forse anche di questi dirai che "io, imbelle, ti sto opponendo l'opinione di un mio pari, e che in preda al terrore vado nominando i complici"? 10.36 - La fede della moltitudine cristiana Tu scrivi: "In un tribunale, dopo avere allontanato lo strepito della folla, non basta scegliere i nomi da qualsiasi genere di uomini, siano essi sacerdoti o amministratori o prefetti per discutere tali cose, ma è necessario scegliere la prudenza e rispettare il piccolo numero, che la ragione, l'erudizione, la libertà elevano". Questo è vero. Io però non vengo a turbarti con la moltitudine, anche se, con l'aiuto di Dio, su questa fede che voi contrastate, anche la moltitudine cattolica pensa rettamente, ed anche se, in ogni dove molti, per quanto è possibile e come meglio è possibile, secondo l'aiuto di Dio, confutano anch'essi le vostre vane argomentazioni. Lontana da me, quindi, la presunzione che mi rinfacci: "che io, cioè, ho promesso di trattare da solo, a nome di tutti, questa causa contro di voi". Sei tu piuttosto che ti comporti così tra i pelagiani e non arrossisci di scrivere e di dire che "c'è maggior gloria per te di fronte a Dio nel difendere una verità abbandonata". Certamente sono diventati molto abietti ed abbandonati e dipendono molto da te se non ritengono che sia intollerabile presunzione quella con cui ti anteponi anche agli stessi Pelagio e Celestio, maestri di tutti voi, quasi che essi abbiano cessato di combattere e sia rimasto tu solo a difendere la verità che ritenete abbandonata. Dal momento che a te piace non contare la moltitudine, ma tener conto della qualità del piccolo numero, eccettuando i giudici della Palestina, che, nell'assoluzione di Pelagio, costretto dal timore a rinnegare gli stessi dommi pelagiani, hanno condannato la vostra eresia, ti ho contrapposto quali giudici in questa causa dieci vescovi già morti ed un prete, che trattarono della questione quand'erano in vita. Se si considera la vostra scarsità essi sono molti; se si considera invece la moltitudine dei vescovi cattolici, sono pochissimi. Probabilmente cercherai di sottrarre dal loro numero papa Innocenzo ed il prete Girolamo, il primo perché condannò Pelagio e Celestio ed il secondo perché con retta intenzione ha difeso in Oriente la fede cattolica contro Pelagio. Cerca, però, di leggere quello che Pelagio dice in lode del beatissimo papa Innocenzo e dimmi se ti riesce facile trovare simili giudici. Riguardo poi a quel santo sacerdote che, a misura della grazia che gli è stata data, ha lavorato tanto nella Chiesa ed ha aiutato tanto l'erudizione cattolica nella cultura latina con molte e necessarie opere, Pelagio era solito blaterare non altro "che l'aveva invidiato come rivale". Ma non è questa una ragione per cui egli debba essere ritirato dal numero di questi giudici. Non ho citato infatti la tesi che, al tempo della controversia, egli tenne e difese contro il vostro errore. Ho citato soltanto ciò che, libero da ogni preoccupazione di parte, ha scritto nei suoi libri, prima che si diffondessero i vostri dannabili dogmi. 10.37 - La richiesta pelagiana di un concilio episcopale Sugli altri non hai assolutamente niente da dire. Che forse Ireneo, Cipriano, Reticio, Olimpio, Ilario, Gregorio, Basilio, Ambrogio, Giovanni "sono stati suscitati contro di voi dalla feccia plebea dei seggiolari", come tu scherzi con linguaggio tulliano? Che forse erano "soldati, scolari, marinai, bottegai, pescatori, cuochi, macellai"? Erano forse "giovani dissoluti, scacciati dai monaci"? o appartenevano alla "massa indistinta dei chierici" che tu, con raffinata mordacità, o, più ancora, con la tua vanità disprezzi come esagitati, "perché non riescono a giudicare i dommi secondo le categorie di Aristotele"? Quasi che tu, che tanto ti lamenti perché "vi è negato un esame ed un giudizio dei vescovi", possa trovare un concilio di peripatetici, dove si possa pronunciare una sentenza contro il peccato originale, partendo dal soggetto e da ciò che sta nel soggetto. Questi sono vescovi, seri, dotti, santi, solidi difensori della verità contro garrule vanità, nei quali non potrai trovare nulla da disprezzare quanto a ragione, erudizione e libertà, le tre qualità che hai attribuito ai giudici. Se si potesse riunire un sinodo episcopale da tutto il mondo, sarebbe meraviglioso se potessero sedere facilmente tutti insieme. Essi però non sono vissuti neppure nella stessa epoca. Dio infatti dispensa in tempi diversi ed in luoghi distanti, come a lui piace, i suoi pochi fedeli amministratori che si innalzano al di sopra di molti. Provenienti pertanto da tempi e regioni diverse, dall'Oriente e dall'Occidente, tu li vedi adunati non in un luogo verso cui gli uomini sono costretti a navigare, bensì in un libro che possa navigare verso gli uomini. Quanto più essi sarebbero per te giudici desiderabili se avessi la fede cattolica, tanto essi sono per te terribili perché ti opponi alla fede cattolica, che essi hanno succhiato con il latte, e preso con il cibo, ed il cui latte ed il cui cibo a loro volta essi hanno somministrato a grandi e piccoli, mentre la difendevano apertamente e con forza contro nemici che allora non erano ancora nati e che ora si sono manifestati in voi. Per opera di questi piantatori, innaffiatori, edificatori, pastori, nutritori, la S. Chiesa è cresciuta dopo gli Apostoli. Per questo essa ha temuto le insane voci della vostra innovazione. Attenta e sobria, secondo l'esortazione dell'Apostolo, affinché non accadesse che al pari di Eva sedotta dall'astuzia del serpente la sua mente si staccasse dalla castità di Cristo, ( 2 Cor 11,3 ) è inorridita nel vedere le insidie del vostro domma infiltrarsi nella verginità della fede cattolica e le ha calpestate, le ha schiacciate e le ha scagliate lontano, come era avvenuto per la testa del serpente. Dinanzi a tante parole ed a così grande autorità dei Santi, o dovrai essere sanato con l'aiuto della misericordia di Dio - egli sa quanto io lo desidero - oppure, cosa che detesto, qualora resterai fermo in ciò che ti pare sapienza, ma che è invece grande stoltezza, non potrai andare a cercare i giudici per purgare la tua causa dinanzi ad essi, ma solo per accusare tanti maestri della Chiesa Cattolica, illustri e memorabili: Ireneo, Cipriano, Reticio, Olimpio, Ilario, Gregorio, Basilio, Ambrogio, Giovanni, Innocenzo, Girolamo e tutti gli altri compagni e colleghi, nonché la Chiesa tutta in Cristo, che, somministrando fedelmente alla divina famiglia il cibo del Signore, hanno acquistato grande stima e gloria davanti a Dio. Contro la tua miserabile pazzia - che Dio voglia allontanare da te! - mi rendo conto che ai tuoi libri debbo rispondere in modo da difendere la loro fede contro di te, così come il Vangelo è difeso contro gli empi e i nemici manifesti di Cristo. Libro III 1.1 - La confutazione dei libri e degli argomenti di Giuliano Amatissimo figlio Giuliano, dal momento che, se non vorrai cedere dinanzi all'autorità di tali e tanti santi, eruditi nelle Sacre Scritture e ricchi di immensa fama e di gloria nel governo della Chiesa, né vorrai fermarti - trattandoli o con grandissimo disprezzo, come hai trattato me, oppure con un tantino di pudore e di riverenza in considerazione della loro persona - finirai per affermare che anch'essi hanno sbagliato, è necessario che, con l'aiuto di Dio, ti risponda e confuti i tuoi libri e le tue argomentazioni in maniera che tu possa comprendere nel limite del possibile che ti sei fatto una convinzione distorta di quelle cose su cui cerchi di convincere gli altri. In tal modo potrai pentirti salutarmente della tua incauta, temeraria e giovanile audacia e dell'errore. Il tuo ravvedimento porterà giovamento non solo a te ma a molti altri, se tu e il tuo partito riconoscerete e professerete che non invano, ma con molta aderenza alla verità, tali e tanti reggitori e maestri del popolo cristiano hanno imparato ed insegnato nella Chiesa quello che voi, ingannati da una novità che rassomigliava alla verità, avete cercato di scardinare. Il Signore non voglia permettere che tu abbia il cuore tanto ottenebrato da non poter intendere queste cose, che tu sia del numero di coloro che la Verità, nei Salmi, condanna con le parole: Non volle capire per fare il bene, ( Sal 36,4 ) oppure di quelli dei quali è scritto: Il servo duro non si correggerà con le parole; anche se avrà compreso, non ascolterà. ( Pr 29,19 ) Pure in questo caso, però, non sarà inutile il mio lavoro né quello degli altri, che per grazia di Dio difendono la fede cattolica contro questo errore. Se non mancano quelli che sono stati ingannati o sconvolti da un improvviso ed insolito errore, è molto più grande il numero di quelli che sono stati istruiti o corretti dalla difesa dell'antica verità. Per evitare di andare eccessivamente per le lunghe, non riporterò tutte le tue parole, ma, se il Signore me lo concede, non lascerò senza risposta e senza confutazione nessuna delle tue … acute argomentazioni. 1.2 - I giudici competenti della controversia Per quanto riguarda i giudici "presso i quali, a vostro dire, non avete potuto discutere la vostra causa, per il fatto che nessuno può giudicare bene se non è totalmente libero da odio, ira o amicizia, quali non sarebbero stati quelli che l'hanno giudicato, perché hanno cominciato ad odiarla prima ancora di conoscerla", ho già risposto nel precedente libro. Se aveste cercato con sincerità i giudici quali li ha definiti Sallustio nel passo da te citato, vi sareste certamente arresi ad Ambrogio e agli altri colleghi nell'episcopato, che quando hanno scritto le loro vere e pacifiche opinioni erano del tutto liberi da odio, da amicizia, da ira e - tu non l'hai detto, ma Sallustio sì - pure da compassione per voi o contro di voi. Per voi invece ora è poca cosa non volerli come giudici, se addirittura non osate stimarli colpevoli. Ma come è possibile, di grazia, che quelli che hanno condannato la vostra causa l'abbiano cominciata ad odiare prima ancora di conoscerla? La conoscevano molto bene e perciò la odiavano. Sapevamo molto bene che voi dite che i bambini nella nascita non hanno alcunché di male da cui essere purificati con la rinascita. Conoscevano bene la vostra affermazione che la grazia viene data secondo i nostri meriti, cosicché essa non sarebbe più tale ( Rm 11,6 ) se non viene donata gratuitamente ma solo concessa secondo i meriti. Conoscevano bene la vostra convinzione che per l'uomo in questa vita è possibile non avere alcun peccato, sicché non è necessario per lui dire ciò che l'intera Chiesa dice nell'Orazione del Signore: Rimetti a noi i nostri debiti. ( Mt 6,12 ) Essi conoscevano bene tutte queste cose e perciò giustamente le odiavano. Che vi sappiano emendati per loro merito e vi ameranno! "Non è, infatti, chiamato pelagiano o celestiano, come tu dici, chi afferma che nell'uomo c'è il libero arbitrio o che Dio è il creatore di quelli che nascono", ma chi non attribuisce alla grazia di Dio la libertà a cui siamo stati chiamati, chi nega che Cristo è il liberatore dei fanciulli e chi afferma che al giusto non è necessario chiedere per se stesso quello che viene chiesto nell'Orazione del Signore. Costui prende il nome di pelagiano perché con l'errore ha partecipato al crimine. 1.3 - Diverse interpretazioni del Rescritto dell'Imperatore Non è qui il caso di ripetere quali luminari cattolici tu, non sapendo o fingendo di non sapere, osi infamare con l'accusa di manicheismo. Se, come dici, "c'è un rescritto dell'imperatore a vostro favore", perché non vi fate avanti e portate questo documento dinanzi ai pubblici poteri dimostrando che siete voi quelli la cui fede è stata approvata dal principe cristiano? Se poi interpretate la legge di Dio a vostro piacimento e non come essa è, qual meraviglia se fate lo stesso con la legge dell'imperatore? Prometti di presentare questi atti con più cura in un altro momento. Se lo farai, la tua azione sarà rimproverata in quanto insidiosa o sarà disprezzata in quanto frivola. 1.4 - L'eresia pelagiana condannata da tutta la Chiesa Sembra molto raffinato e spiritoso il tuo compiacimento quando affermi: "È venuto fuori uno bramoso di far capire che l'esito della battaglia è riposto in lui", quasi che agli occhi dei pelagiani io sia Golia e tu Davide. Se veramente hai fatto questo patto e sei d'accordo con i pelagiani, nel caso tu sia sconfitto, fa' in modo che essi non ardiscano null'altro in avvenire. Ben lungi da me sia la pretesa di provocarvi a singolar tenzone. So bene infatti che dovunque mettiate piede, l'esercito cristiano, presente dappertutto, vi sconfiggerà. Ha già sconfitto Celestio dapprima a Cartagine, quando io ancora non c'ero, e poi a Costantinopoli, terra tanto lontana dall'Africa, e ha sconfitto in Palestina Pelagio, che, per timore di essere condannato, non aveva esitato a rinnegare la vostra causa. In quella terra la vostra eresia è stata completamente distrutta. Poiché l'esercito cristiano, di cui Davide era il simbolo, è solito combattere contro i suoi avversari in ciascuno dei suoi soldati ha voluto troncare il vostro errore con la lingua stessa di Pelagio, prostrato e steso a terra, come colpito da una spada. Pelagio, o meglio, il Signore per bocca di Pelagio ha amputato quello che tu ci rinfacci con sdegno che cioè "siete chiamati nuovi eretici perché sostenete che il male, che viene definito peccato, è situato non nella natura, ma nella volontà soltanto". Temendo, infatti, d'esser condannato, ha condannato coloro che ritengono che i bambini avranno la vita eterna pur senza essere battezzati. Voi negate che nei bambini c'è un male destinato ad essere lavato nel battesimo. Ebbene, dite un po': per qual motivo il bambino non battezzato è condannato alla morte eterna? Cos'altro potete dire se non maledire Pelagio? E se, mentre lo maledite, vi chiedesse: che avreste voluto che facessi? Contro le chiare parole di Cristo: Se non mangerete la mia carne e non berrete il mio sangue, non avrete la vita in voi, ( Gv 6,54 ) avrei forse dovuto dire che il bambino morto senza questo sacramento avrà la vita eterna? Ho l'impressione che dovreste pentirvi di averlo maledetto. Pentitevi voi piuttosto di tutto questo errore. 1.5 - La controversia pelagiana già legittimamente definita Vi pregherei di non servirvi dello stupido argomento di cui si servono tutti gli eretici, che le leggi degli imperatori cattolici cercano di frenare nella loro pericolosa licenza. Tutti infatti ripetono qualcosa di simile alla tua affermazione: "Difetta di ragione la parte che sostituisce il terrore alla discussione, che non chiede nulla ai saggi ed estorce cieco assenso ai paurosi". Per la verità i nuovi eretici siete voi, e questa vecchia scusa di quasi tutti gli eretici l'avete riconosciuta insieme agli altri e l'avete conservata per voi. Non vogliate ingannare voi e gli altri, pretendendo di avere contro di noi il diritto che abbiamo avuto noi contro i donatisti, che, per mezzo di una disposizione imperiale, sono stati costretti ad un incontro con noi. La loro violenza si era estesa a tutta l'Africa: spaventando tutto e tutti con violente aggressioni, con latrocini, assalti ai viaggiatori, rapine, incendi, devastazioni di ogni genere e stragi, essi impedivano ai cattolici di predicare la verità contro il loro errore. Con essi non potevamo trattare assolutamente nulla dinanzi ai vescovi che non avevamo in comune. Quel poco che i nostri antenati erano riusciti a trattare con essi quasi cento anni prima, era stato ormai dimenticato da tutti. Questa necessità quindi ci ha spinti a tentare di svergognare la loro sfacciataggine e a reprimere la loro audacia almeno con gli accordi ratificati nel nostro incontro. La vostra causa invece si è appena chiusa presso una competente assemblea di vescovi comuni ad entrambi. Non rimane altro da fare, per quanto attiene al diritto di un nuovo esame, se non che seguiate con buona pace la sentenza emanata al riguardo. Se rifiuterete vi sarà impedito di fare turbolente e insidiose agitazioni. Voi piuttosto rassomigliate ai massimianisti, che, essendo stato loro permesso di incontrarsi con noi, volevano consolarsi della loro esiguità almeno col nome di una conferenza, ed apparire in tal modo di essere qualcosa di più agli occhi di quelli per i quali erano semplicemente disprezzabili, e così, quando ci hanno convocati, ci hanno mostrato il libello ed hanno iniziato a provarci, li abbiamo disprezzati. Essi, infatti, avevano più piacere di sentirsi chiamare nella conferenza che timore di uscirne sconfitti. Non aspiravano alla gloria di una vittoria, ma, non avendo il prestigio del numero, ricercavano con avidità la fama di una conferenza. Se ritenete di essere vincitori per il fatto che non vi è stata concessa la prova desiderata, sappiate che in questo i massimianisti vi hanno preceduto, anche se a voi la Chiesa vi ha concesso un tribunale come si conveniva, nel quale la causa è stata chiusa, mentre a quelli non l'aveva concesso perché non si erano separati da noi, ma dai donatisti. Se poi ritenete che non era logico per i massimianisti presumere di stare dalla parte della verità per il fatto di non essere stati ascoltati in giudizio, non vogliate più a lungo proferire tali parole vuote. Sia sufficiente per voi che la Chiesa Cattolica vi abbia sostenuto con materna tenerezza e vi abbia condannato con giudiziaria severità o, meglio, con medicinale necessità. 1.6 - Giuliano si abbandona agli insulti personali Per non perderci in cose superflue, tralascio la miriade di maledizioni e di maldicenze, ammassate all'inizio dell'opera o sparse un po' ovunque nei tuoi libri. Non vorrei che agli occhi degli uomini seri apparissimo come volgari litiganti piuttosto che come pensosi disputanti. Vediamo piuttosto quali sono le tue affermazioni ed in qual modo puoi dimostrare, secondo la tua promessa, che io attribuisco al diavolo la creazione degli uomini e l'istituzione del matrimonio. 2.7 - Risposta al primo argomento di Giuliano Citi alcune mie parole con l'evidente intenzione di confutarle. Come risposta, dopo averle citate, cerchi di far credere che "mi sono contraddetto, in quanto per mia difesa avrei in un primo tempo affermato che erano i nuovi eretici a chiamarci condannatori del matrimonio e dell'opera di Dio, mentre, in un secondo tempo, lasciando da parte questa affermazione, avrei asserito che l'uomo nella nascita è posseduto per metà da Dio e per metà dal diavolo, o piuttosto, tutto dal diavolo, con l'esclusione quasi totale dalla sua proprietà, che è l'uomo". Dov'è il tuo acume con cui credi di avere posto in atto tutte le categorie di Aristotele e tutte le altre astuzie dell'arte dialettica? Non ti rendi conto che quanto mi hai obiettato riguardo ai bambini, può essere obiettato da un nemico della verità ad entrambi in riferimento a qualsiasi peccatore maggiorenne? Ti domando: cosa pensi di un uomo di pessima condotta non ancora rigenerato? Dovrai ammettere, suppongo, che almeno costui si trova sotto il potere del diavolo se non rinasce in Cristo: o neghi anche questo? Se lo neghi, chi sono quelli che Dio ha sottratto dal potere delle tenebre e ha trasferito nel regno del Figlio del suo amore? ( Col 1,13 ) Se rispondi positivamente, ti chiedo: ha Dio qualche potere su un uomo posto sotto il potere delle tenebre? Se dici che Dio non ha alcun potere, ti rispondo: Dio dunque, per opera del diavolo è stato scacciato dalla sua proprietà. Se, invece, ammetti che Dio conserva un potere, ti rispondo: l'uomo dunque è posseduto a metà da Dio e dal diavolo. E così gl'inesperti rivolgeranno contro di te, che pretendi essere ritenuto saggio, tutto l'odio che hai rivolto contro di me a proposito dei bambini appena nati. Ecco con quanta facilità è stato distrutto il tuo primo argomento, mentre non vuoi capire che gli uomini, prima di essere redenti in Cristo, si trovano sotto il potere del diavolo, ma in modo tale che non solo essi ma neppure il diavolo sono sottratti al potere di Dio. 3.8 - La grazia battesimale secondo i pelagiani Il problema del battesimo, in merito al quale tu ci accusi che noi con le nostre menzogne avremmo suscitato l'odio degli ignoranti contro di voi, non è facile dire con quanta eleganza tu l'abbia evitato, allontanando da voi questa odiosità ammettendo che i bambini debbano essere battezzati, allorquando dichiari che "la grazia del battesimo non dev'essere rifiutata per nessun motivo, dal momento che Dio dispensa i suoi stessi doni secondo la capacità dei riceventi. Per questo Cristo, redentore della sua opera, accresce con continua generosità nella sua immagine i suoi benefici e, rinnovandoli ed adottandoli, rende migliori quelli che aveva creati buoni". Per questo motivo, secondo voi, in merito al battesimo dei bambini, non ci deve essere odiosità contro di voi? Che forse qualcuno di noi ha detto che avete negato la necessità di battezzare i bambini? Voi, è vero, non dite che i bambini non debbono essere battezzati, no, ma, a misura della vostra grande sapienza, dite cose strabilianti: sono battezzati nel sacramento del Salvatore ma non salvati; sono redenti, ma non liberati; sono lavati ma non purificati, sono esorcizzati e si alita su di loro ma non sono strappati dal potere del diavolo. Queste sono le vostre portentose tesi; questi gli impensabili misteri dei nuovi dommi; questi i paradossi degli eretici pelagiani, più mirabili di quelli dei filosofi stoici! Dicendo queste cose voi temete che vi obietti: Se sono salvati, che cosa c'era di malato in loro? Se sono liberati, cosa li teneva legati in schiavitù? Se sono purificati, quale cosa immonda si celava in essi? Se sono strappati dalle mani del diavolo, per qual motivo essi, che non erano colpevoli per propria malizia, si trovavano sotto il suo potere se non perché avevano contratto il peccato originale che voi negate? Voi lo negate non per affermare che essi sono salvi, liberi, puri, non soggetti al nemico - le vostre testimonianze false non possono arrecare alcun aiuto dinanzi al vero giudice! -, ma solo perché possiate seguire una nuova vanità, mentre essi restano nel vecchio peccato. La verità non appartiene a voi, bensì a colui che ha detto: Nessuno, se non nasce da acqua e Spirito, può entrare nel regno di Dio. ( Gv 3,5 ) 3.9 - La natura umana ha bisogno di Cristo Salvatore Eccellentissimi amanti della vita che sarà vissuta eternamente insieme a Cristo, voi pensate che per l'immagine di Dio non costituisca pena alcuna l'essere eternamente esclusi dal suo regno. Eppure il solo affermare che si tratta di una piccola pena sarebbe la voce non di un felice amante di quel regno, ma quella di un suo miserabile denigratore. Ammesso che riconosciate che il non poter entrare nel regno di Dio costituisca per voi una piccola pena mentre in realtà è grande - basta per la nostra causa! -, vi supplico di aprire i vostri occhi e di dirmi se è giustizia infliggere tale pena ad un bambino che voi, ad occhi chiusi, dichiarate non soggetto al peccato originale. Non voglio ricordare quanti altri mali debbono soffrire in questa vita transitoria quasi tutti i bambini, ed in che modo si debba spiegare il detto: Un gravame ha assegnato Dio ed un giogo pesante è sui figli dell'uomo dal giorno nel quale sono usciti dal seno della madre fino al giorno nel quale ritorneranno alla madre di tutti. ( Sir 40,1 ) Essendo Dio giusto ed onnipotente, questi mali, con i quali non si può certo dire che l'età infantile si eserciti nella virtù, non sarebbero stati sicuramente inflitti all'immagine di Dio se essa non avesse contratto alcun demerito dai genitori. Eppure, questi mali, non quelli che voi escludete ma quelli che tutti vediamo soffrire dai bambini, tu li sorvoli e non li guardi affatto, mentre da uomo eloquentissimo te ne vai a spasso ed eserciti il tuo ingegno e la tua lingua nella lode della natura. Ebbene, questa natura, caduta in tali e così evidenti miserie, ha bisogno di Cristo salvatore, liberatore, purificatore, redentore, e non sa che farsene delle lodi di Giuliano, di Celestio o di Pelagio. Non avresti di certo ammesso che essa viene redenta nei bambini, se, nella convenzione di Cartagine, Celestio, che non riusciva a sostenere lo sguardo dei Cristiani, non l'avesse a sua volta ammesso. Del resto come si potrebbe intendere altrimenti questa redenzione se non dal male da cui ci redime colui che redimerà Israele da tutte le sue colpe? ( Sal 130,8 ) Quando si parla di redenzione si parla di prezzo. Qual è questo prezzo se non il sangue prezioso dell'Agnello illibato e immacolato, Gesù Cristo? ( 1 Pt 1,18-19 ) A quale scopo è stato pagato questo prezzo? Perché interrogare altri? Ci risponda lo stesso Redentore; parli colui che ha pagato: Questo è il mio sangue, che è sparso per una moltitudine in remissione dei peccati. ( Mt 26,28 ) Avanti dunque, e continuate a dire: sono battezzati nel sacramento del Salvatore, ma non salvati; sono redenti, ma non liberati; sono lavati, ma non purificati; sono esorcizzati e viene alitato su di loro ma non sono sottratti al potere del diavolo. Aggiungete pure: per essi viene sparso il sangue in remissione dei peccati, ma non ottengono la remissione di alcun peccato. Sono straordinarie le cose che dite, sono nuove, sono false. Noi ci stupiamo delle straordinarie, ci guardiamo dalle nuove e confutiamo le false. 4.10 - Il genere umano contrae la colpa della condanna originale "Il governo del corpo è affidato all'anima in maniera tale che il frutto dell'azione diventa comune ad entrambi. Sia che sentano il godimento derivante dalla pratica della virtù, sia che sentano la pena della sua insolenza insieme all'afflizione della carne mal governata in questa vita". Non sono tue queste parole? Rispondi, dunque. Perché in questa vita l'anima del fanciullo, al quale non si può ancora imputare il demerito di avere mal governato la carne, viene tormentata con l'afflizione della carne? Tu scrivi: "All'inizio della vita, la natura umana è arricchita del dono dell'innocenza". D'accordo per quanto riguarda i peccati personali. Negando, però, che sono soggetti al peccato originale, perché tanti innocenti talvolta nascono ciechi e talvolta sordi? Rispondete. Questo ultimo difetto può addirittura impedire la fede, come ci attesta l'Apostolo che scrive: La fede dal sentire. ( Rm 10,17 ) Come si può accettare l'idea che proprio l'anima, un'immagine di Dio, arricchita del dono dell'innocenza, come tu dici, può nascere stolta, se nessun demerito dei genitori si trasmette ai figli? La Scrittura dice: Il lutto per il morto è di sette giorni, ma per lo stolto e l'empio tutti i giorni della vita, ( Sir 22,13 ) e voi siete talmente stolti da non reputare un male la stoltezza? Chi non sa che coloro che il popolo chiama scimuniti sono per natura così stupidi che a taluni di essi a mala pena si attribuisce la capacità sensitiva degli animali? E voi insistete a non voler riconoscere che il genere umano, da quando si è allontanato da Dio, contrae la colpa di un'origine viziata, meritevole di tutte queste pene, a meno che non ci perdoni la divina Sapienza del Creatore, in virtù di un suo imperscutabile disegno? E Dio non ritira il bene dell'opera sua da questa massa di perdizione. Dal male dei vizi, anzi, sia pur con altri mali, crea una natura umana razionale e mortale, buona in se stessa e di cui nessuno al di fuori di Lui può essere il creatore. In questa generazione condannata egli offre ai vasi di misericordia l'aiuto della rigenerazione. 5.11 - La volontarietà del peccato in Adamo A torto pensi che nei bambini "non c'è colpa perché, senza la volontà, che in essi non è presente, non può sussistere colpa alcuna". Questo vale per i peccati personali, non per il contagio originale del primo peccato. Se non esistesse, i bambini non potrebbero, sotto il potere di Dio giusto, soffrire mali di sorta né nel corpo né nello spirito. Questo peccato purtroppo ha trovato la sua origine nella cattiva volontà dei primi uomini. Se non ci fosse stata la cattiva volontà, non sarebbe sorto neppure il peccato. Se comprendessi queste cose, riconosceresti con semplicità e sincerità la grazia di Cristo per i bambini, e non saresti costretto a dire tante empietà ed assurdità: che i bambini non debbono essere battezzati - in seguito probabilmente direte pure questo! - o che questo grande sacramento diventa per essi uno scherno al punto tale che sono battezzati nel Salvatore ma non salvati; sono redenti dal Liberatore ma non liberati; sono lavati col lavacro di rigenerazione ma non purificati; sono esorcizzati e viene alitato su di essi ma non sono strappati al potere delle tenebre; il sangue sparso in remissione dei peccati è il prezzo pagato anche per loro, ma, di fatto, non ottengono la remissione di alcun peccato. Tutto questo perché avete paura di dire: non siano battezzati! Avete paura, infatti, che gli uomini vi sputino in faccia e che le donne vi ammorbidiscano la testa con i loro sandali. 5.12 - Il contagio dei peccati passa dai genitori ai figli Siamo convinti che il motivo per cui chi nasce è soggetto al diavolo fin quando non rinasce in Cristo, sta nel contagio del peccato di origine. Voi invece, che lo negate, cercate almeno di riflettere sui fatti più manifesti, e spiegatemi perché taluni bambini sono anche oppressi dal diavolo, a meno che non neghiate che esistano o che siano realmente oppressi dal diavolo e che non vi smuova neppure l'autorità del Vangelo. In esso, infatti, troviamo che il Signore, forse proprio a cagion vostra, domandò una cosa a lui già nota, affinché il padre del bambino dichiarasse apertamente che suo figlio fin dall'infanzia era talmente vessato dal potere del demonio, che i discepoli di Cristo non riuscirono a scacciarlo. ( Mc 9,16-26 ) Come vedi, non dico affatto, come tu mi calunni, che la causa per cui i bambini sono soggetti al demonio è il matrimonio. Il matrimonio ha il suo fine, la sua benedizione, il suo bene e non li ha perduti per il sopraggiungere del peccato. Rispondi tu, piuttosto, se ti è possibile, perché è soggetto al diavolo un bambino chiarissimamente vessato da lui talvolta fino a morirne? Tu infatti non accetti che qualcuno possa subire una pena a causa di peccati altrui, affinché per questo non diventi credibile che un contagio di peccato possa passare dai genitori ai figli. 6.13 - I mali dei bambini prova del peccato originale Da buon dialettico, naturalmente, "non permetterai che io ti sfugga, ma subito e serratamente mi chiederai se nei bambini io giudichi cattiva l'azione o la natura". Qualunque sia la mia risposta mi dirai: "Se è cattiva l'azione, dimostrami cosa hanno fatto; se è cattiva la natura, dimmi chi l'ha fatta". Come se un'azione cattiva non rendesse colpevole la natura. Responsabile dell'azione dell'uomo è l'uomo stesso e l'uomo è una natura. Come i maggiorenni sono colpevoli per l'azione peccaminosa, così i minorenni lo sono per il contagio dei primi. Quelli sono rei per l'azione che compiono; questi lo sono per il peccato di quelli da cui traggono origine. Nei bambini è un bene l'essere uomini e non lo sarebbero se il sommo Bene non li avesse creati. Non avrebbero alcun difetto, neppure corporale, se non avessero contratto male alcuno dall'origine. Dio infatti, creatore dell'anima e del corpo, nell'atto di creare, non infligge alla natura umana difetti immeritati. A proposito di tanti bambini che nascono con sì grande varietà di difetti di anima e di corpo, non ci si può neppure appellare a quanto il Signore ha detto del cieco nato: Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma fu perché siano manifestate in lui le opere di Dio. ( Gv 9,3 ) Molti infatti non guariscono affatto e muoiono con gli stessi difetti in età più o meno avanzata o nella stessa infanzia. Non pochi bambini battezzati rimangono con i difetti con cui sono nati o ne vedono sopraggiungere altri simili, e non si dica immeritatamente. Da questo piuttosto cerchiamo di capire che l'essere rinati giova soprattutto per la vita eterna. In questa vita invece, a causa della superbia, che li allontana da Dio, ( Sir 10,14-15 ) gli uomini sono soggetti a mali di ogni genere ed hanno un giogo pesante che è sui figli dell'uomo, dal giorno nel quale sono usciti dal seno della madre fino al giorno nel quale ritorneranno alla madre di tutti. ( Sir 40,1 ) 7.14 - Lezione di Giuliano sui sillogismi In questa tua opera pretendi d'insegnarci come i dialettici costruiscono i loro sillogismi, una questione su cui nessuno ti ha mai fatto obiezioni. Quanto più te ne compiaci, tanto più la cosa dispiace a chi ha senno. Quel che è peggio, poi, mi fai dire cose che non dico, mi fai concludere come non concludo, mi fai concedere cose che non concedo, e, per tuo conto, tiri conclusioni che io rigetto. Quando mai ho negato che "la natura umana in quanto tale è da lodarsi"? Quando mai ho detto che "sono colpevoli per il fatto stesso che esistono", dal momento che se nessuno avesse peccato, esisterebbero ugualmente e non sarebbero colpevoli? Quando mai ho detto che "la fecondità è da riprovarsi", se essa è una benedizione nel matrimonio? Come avrei potuto pretendere che tu mi concedessi cose che non ho mai dette? 7.15 - Non ogni unione corporale è cattiva In merito a ciò che mi fai dire: "ogni unione corporea è cattiva", poco manca che tu dica che io chiamo colpa l'unire l'acqua al vino quando si vuole diluire un po' la bevanda, dal momento che anche qui indubbiamente c'è l'unione di due corpi e, di conseguenza, se ho detto che sono cattive tutte le unioni dei corpi, non potevo escludere questa. Io, però, non ho dichiarato cattiva neppure l'unione dei due sessi se avviene legittimamente nel matrimonio. Senza di essa non ci sarebbe generazione anche se in precedenza non vi fosse stato alcun peccato. In merito all'altra mia affermazione: "I figli nascono dall'unione dei corpi", ti dico che è mia, ma non è mia la conclusione che hai voluto trarne e attribuirla a me. Non dico infatti: "sono cattivi i figli che nascono da un'azione cattiva". Al contrario ho sempre affermato che l'azione dei coniugi, compiuta in vista della generazione, non solo non è cattiva, ma addirittura buona. Si fa cioè buon uso del male della libidine, per mezzo del quale sono generati gli uomini, creature buone di Dio, ma non immuni dal male e per il quale hanno bisogno di essere rigenerati per poterne essere liberati. 7.16 - La sessualità non è affatto disonorevole Intessi poi un altro tuo sillogismo, come il precedente che è tuo, non mio. Tu dici: "La causa dell'esistenza dei sessi è l'unione dei corpi", e pretendi che io ti conceda questo. Ebbene, te lo concedo. Tu continui ed aggiungi: "Se l'unione dei corpi è sempre cattiva, è parimenti una stortura la condizione dei corpi posti nella diversità dei sessi". Anche se questa conclusione fosse logica, non dovrebbe toccarmi affatto perché io ritengo che l'unione nuziale, quella cioè che avviene per la procreazione della prole, non solo non è cattiva, ma addirittura buona. Bisogna aggiungere, però, che non è affatto logico che la condizione dei corpi posti nella diversità dei sessi sarebbe una stortura anche se l'unione dei due sessi fosse sempre cattiva. Qualora gli uomini fossero soggiogati dal male della libidine al punto che, respinta l'onestà del matrimonio, tutti si accoppiassero liberamente ed a piacimento come i cani, la condizione dei corpi, creati da Dio, non sarebbe una stortura per il fatto che tutte le unioni sessuali sono cattive, così come diciamo che il male sta nell'unione adulterina e non nella condizione dei corpi che sono un bene creato da Dio. Ti rendi conto che dialetticamente non hai detto niente, e non per colpa della dialettica, ma solo perché ti sei molto allontanato dal suo ambito? Ti servi delle parole dell'arte dialettica per gonfiare te stesso e per lasciare attoniti gli inesperti, volendo apparire quello che in realtà non sei. Anche se lo fossi però, per il modo in cui è orientata questa discussione, non saresti nulla. Ora sei inetto ed inesperto, nel secondo caso saresti un artista inetto. Pur tuttavia, armato di frecce dialettiche, ti lanci nella lotta e agiti i tuoi pugnali di piombo gridando: "Se l'unione è sempre cattiva, la condizione dei corpi posti nella diversità dei sessi è una stortura". E poiché non capisci quanto sia poco logico quello che hai posto come argomento necessario, aggiungi: "tu non lo puoi negare"! Cosa non posso negare, uomo sconsiderato? Cosa non posso negare? Soltanto quello che anche tu, se ragionassi seriamente, non potresti fare a meno di negare: anche se l'unione adulterina è cattiva, non per questo la condizione di coloro che nascono da essa è una stortura. Quella è opera degli uomini che fanno cattivo uso delle membra buone; questa è opera di Dio che trae il bene dagli uomini cattivi. Se poi dici che nell'adulterio l'unione è di per sé buona, appunto perché è un fatto naturale, ma che di essa fanno cattivo uso gli adulteri, perché mai non devi convenire che, alla stessa maniera, può essere un male la libidine, della quale fanno buon uso gli sposati quando hanno per fine procreazione dei figli? O secondo te, ci può essere un uso cattivo delle cose buone e non un uso buono delle cose cattive? Eppure troviamo scritto che l'Apostolo fece buon uso dello stesso diavolo, consegnandogli un uomo affinché la sua carne andasse in rovina, ma la sua anima fosse salva nel giorno del Signore, ( 1 Cor 5,5 ) e gli altri imparassero a non bestemmiare. ( 1 Tm 1,20 ) 8.17 - I corpi non sono opera di un cattivo creatore Come intendi le parole che aggiungi: "Dio non può essere il creatore di una cosa cattiva"? Sa parlare molto meglio di te colui che per bocca del Profeta ha detto di aver creato il male. ( Is 45,7 ) E poi, qualunque sia il senso delle tue parole, a me cosa importa, dal momento che ho respinto l'argomento a cui essa si connette? Ho dimostrato infatti che non è logica l'affermazione secondo la quale la condizione dei corpi è una stortura, anche nell'ipotesi che tutte le unioni sessuali siano cattive. Per dire che Dio non può essere il creatore di alcun male, dobbiamo forse pensare che egli non è il creatore della condizione dei corpi che non ho mai ritenuto cattiva, dal momento che nessuna delle concessioni fatte da me in precedenza mi costringono a tale affermazione? Vana e ridicola pertanto resta la tua conclusione: "tutti i corpi debbono essere attribuiti ad un cattivo creatore". Molto meglio concludere: Se neppure la colpevole unione adulterina rende cattiva la condizione dei corpi; se l'unione dei sessi di per sé è una cosa buona anche negli adulteri che ne fanno cattivo uso, e appunto per questo, con molta maggiore ragione si può dire che la condizione del corpo non può essere ritenuta cattiva, giustamente i corpi sono attribuiti a Dio creatore. Non c'è alcuna fossa, per timore della quale io debba tornare sulla via su cui sembra tu voglia richiamarmi. Dimmi tuttavia quale sarebbe quella via e spiega il tuo ragionamento. 9.18 - Il male, con cui nasce l'uomo, è il frutto della prima prevaricazione "Dio buono, scrivi ancora, per mezzo del quale sono state create tutte le cose, ha plasmato le membra del nostro corpo". Verissimo. Lo ammetto. Tu continui: "Colui che aveva plasmato i corpi, ha distinto anche il sesso e lo ha distinto in maniera da poterlo ricongiungere nell'azione; la differenza delle membra è divenuta causa dell'unione". Giusto anche questo. Tu aggiungi ancora: "L'unione dei corpi dunque proviene da Colui dal quale deriva l'origine dei corpi". Chi l'ha mai negato? "Ammettendo questo con gl'ingrati, scrivi a questo punto, ne segue che da tante cose buone: corpo, sesso, unione, non possono derivare frutti cattivi". Anche questo è vero. Il frutto buono di questi beni, infatti, è l'uomo, che in quanto tale è una cosa buona. Il male che c'è in lui e che ha bisogno di essere sanato dal Salvatore, liberato dal Redentore, purificato dal lavacro, scacciato dall'esorcismo, assolto dal sangue sparso per la remissione dei peccati, non è frutto del corpo, del sesso, dell'unione, bensì dell'originale e antico peccato. Così, per esempio, se, in merito alla prole degli adulteri, io dicessi che essa non può essere stato il frutto buono derivato da tanti mali, quali la lascivia, la turpitudine, il crimine, giustamente risponderesti: Colui che nasce dall'adulterio non è frutto della lascivia, della turpitudine, del crimine, che sono opere cattive del diavolo, bensì è frutto del corpo, del sesso, dell'unione che sono opere buone di Dio. Ebbene, alla stessa maniera, molto rettamente io posso affermare che il male con cui nasce l'uomo non è frutto del corpo, del sesso, dell'unione che sono opere buone di Dio, ma è frutto della prima caduta che è opera del diavolo. 9.19 - Gli uomini non sono creati per essere prigionieri del diavolo Ben lontano da noi l'affermare, come ci calunniate, che "gli uomini sono creati da Dio affinché a buon diritto siano posseduti dal diavolo". Quantunque sia maggiormente in potere di Dio che del diavolo il fatto che una generazione macchiata sia soggetta al principe immondo, fin quando non sarà purificata nella rigenerazione, tuttavia Dio non ha creato gli uomini per dare una famiglia al diavolo. L'ha fatto solo in vista di quel bene, per mezzo del quale egli fa sussistere le nature, compresa quella del diavolo. Se togliesse loro questo bene, esse cesserebbero immediatamente di esistere. Così come, negli armenti e nelle greggi degli empi, Dio non crea le bestie perché siano immolate al diavolo, anche se egli sa che lo saranno, alla stessa maniera, secondo il bellissimo ordine dei secoli che egli ha disposto, non tiene lontana la sua bontà dalla condizione della generazione che pur vede soggetta al peccato. 10.20 - I figli sono opera di Dio Dopo questa argomentazione con cui credi di avere concluso qualcosa, mentre t'illudi soltanto, inserisci la solita offesa ed aggiungi che io sono del parere che si debba provare con la Sacra Scrittura e non con i sillogismi il fatto che i figli nati dall'unione dei corpi debbano attribuirsi all'opera divina, quasi che chi lo nega possa dirsi cristiano. Poi, come se ci fosse divergenza tra di noi, ti sforzi di dimostrare con la testimonianza della Sacra Scrittura una verità che siamo sempre pronti a professare e che predichiamo con grande piacere. Vanamente ti affanni non per rispondere a noi, ma per riempire i libri. In verità, le tue parole: "Per esprimere la fede nelle opere il Profeta ha rasentato il pericolo del pudore dicendo: Saranno due in una carne sola", ( Gen 2,24 ) debbono averti abbastanza ammonito che non ci sarebbe stato nulla di che vergognarsi nelle opere di Dio se, in precedenza, non fosse intervenuto il motivo per cui la natura umana avrebbe dovuto confondersi per la deformità della sua colpa. 11.21 - L'episodio di Abramo e Sara A lode della concupiscenza aggiungi: "come dono di Dio essa è stata restituita ad Abramo e Sara vecchi, quando i loro corpi erano ormai sfiniti e quasi morti" ( Rm 4,19 ) e, con tono malizioso, esclami che "io affermi, se è possibile, che appartiene all'opera del diavolo quello che Dio talvolta dà in dono". Sarebbe lo stesso che considerare un dono la restituzione della claudicazione ad uno zoppo che da morto non zoppicava più, nel caso Dio lo risuscitasse e lo restituisse alla vita! Se il vigore del corpo presente nell'età giovanile è stato restituito, certamente lo è stato in maniera da conservare la condizione di questo corpo di morte. Per poter generare i figli, non era affatto necessario che Dio li riportasse allo stato di Adamo prima del peccato, quando nelle membra non c'era la legge che ripugna alla legge della mente. ( Rm 7,23 ) 11.22 - Dio diede ai suoi servi la fecondità È necessario tener presente altresì che il corpo di Abramo era quasi morto, al punto da non avere la capacità di generare figli da una donna qualsiasi sia pure ancora in grado di partorire. Si dice infatti che l'età avanzata faccia sì che un vecchio abbia la possibilità di generare da una giovinetta e non da una persona anziana, mentre quest'ultima a sua volta ha la possibilità di generare da un giovane. A quei tempi gli uomini vivevano tanto a lungo che, indubbiamente, solo molto tardi diventavano talmente decrepiti da non essere mossi per nulla al coito, ammesso che questo possa accadere ad un uomo sano solo a motivo dell'età. Proprio mentre avevo per le mani quest'opera mi è stato riferito che un vecchio di ottantaquattro anni, per venticinque anni vissuto religiosamente accanto ad una moglie religiosa in assoluta continenza, ha comprato una Liristria per libidine. Tenendo presente la media attuale della vita umana, i suoi ottantaquattro anni lo facevano molto più vecchio di Abramo a cento anni, che ne avrebbe vissuti ancora settanta. È quindi, più sensato credere che Dio ha ridato ai suoi servi la fecondità che mancava. Sono due le ragioni per cui Sara non poteva partorire e la sua vulva era morta: la sterilità che aveva dalla gioventù e l'età, non perché avesse novant'anni, ma perché a lei erano cessate le mestruazioni. È noto infatti che quando le mestruazioni cessano per l'età, le donne non possono più concepire, quantunque in precedenza siano state feconde. La Scrittura pertanto non ha voluto tacere questo particolare al fine di accrescere la grandezza del miracolo che Dio stava per operare nella loro prole. Quando infatti ella aveva offerto a suo marito la schiava da cui potesse avere il figlio, che lei non poteva generare, l'aveva fatto mossa dalla sterilità e non dall'età. Leggiamo, infatti, nella Scrittura: Sara, moglie di Abramo, non partoriva, ( Gen 16,1 ) mentre le parole rivolte da lei al marito sono: Dio mi ha reso sterile perché non partorisca. ( Gen 16,2 ) Se essi fossero vissuti ai nostri giorni, con l'età che avevano, sarebbero stati decrepiti. Abramo aveva infatti ottantacinque anni, Sara settantacinque. È scritto infatti: Abramo aveva ottantasei anni quando Agar gli partorì Ismaele. ( Gen 16,16 ) Il che vuol dire che si era unito ad Agar circa un anno prima, quando fu concepito Ismaele. Quali coniugi, al giorno d'oggi, potrebbero partorire a quella età senza un miracolo divino? Essi invece avrebbero potuto generare se Sara non fosse stata sterile. Abramo infatti poté generare da Agar e Sara non era così vecchia che le erano cessate le mestruazioni. Il corpo di Abramo pertanto era morto solo perché non avrebbe potuto generare da Sara, e costei si trovava ancora nel periodo della fecondità anche se alle soglie dell'età in cui il flusso mestruale comincia a venir meno. Dai medici infatti è stato accertato che le donne, alle quali sono cessate del tutto le mestruazioni, non possono più concepire. Se la cosa fosse falsa, la Scrittura non si sarebbe mai preoccupata di dire: A Sara era cessato di avvenire ciò che avviene regolarmente alle donne, avendo già detto in precedenza: Abramo e Sara erano vecchi, avanzati negli anni. ( Gen 18,11 ) Considerando la media della vita, molto più lunga allora, non avrebbero potuto generare a quella età, poiché Abramo aveva cento anni e Sara novanta, anche nel caso che questa non fosse stata sterile e si fossero uniti un anno prima, quando probabilmente aveva ancora il flusso mestruale ed avrebbe potuto ancora concepire qualora il marito fosse stato giovane. Nella situazione reale, però, non le sarebbe stato assolutamente possibile, poiché il corpo di Abramo era talmente inaridito per la vecchiaia, che non aveva alcuna possibilità di generare da una donna di quella età, mentre gli sarebbe stato possibile da una giovanetta, come di fatto lo poté più tardi da Cetura, ( Gen 25,1-2 ) quantunque in questo caso possa dirsi che perdurava il dono della fecondità ricevuta per la nascita di Isacco. Considerando la media attuale della vita, molto più breve ora, la generazione è possibile se la somma dell'età dei coniugi non supera i cento anni. Nel caso invece che la somma supera i cento anni, si è sicuri della impossibilità della procreazione, anche se la donna è feconda e ci sono ancora le mestruazioni che renderebbero possibile la generazione da un giovane. Si è tanto sicuri di questo fatto che una norma di diritto stabilisce che nessuno possa avere lo ius liberorum se la somma degli anni dei coniugi supera i cento anni. 11.23 - La nascita di Isacco fu miracolosa, ma avvenne con la concupiscenza Nel concepimento di Isacco dunque c'è stato un miracolo di Dio, non però nella restituzione della libidine ai genitori, bensì nel dono della fecondità. Quella infatti poteva esserci anche a quella età, mentre questa no, essendoci tante cause ad impedirla. Anche se la libidine, come ho notato sopra, si ravvivasse nelle membra senili morte ed in certo senso vivificate dal dono di Dio, essa seguirebbe la condizione della carne corruttibile in modo da essere in questo corpo di morte quello che non avrebbe potuto essere nel paradiso prima del peccato in quel corpo di vita. Secondo la condizione di questo corpo soggetto alla pena, Dio concede a ciascuno il dono della fecondità, ma non proporzionatamente alla felicità esistente quando nella carne non c'era nulla che avesse voglie contro lo spirito, o che dovesse essere frenato dallo spirito in lotta contro di essa. Prima del peccato bisognava che la natura dell'uomo fosse in pace e non in guerra. Nella parte che segue del tuo ragionamento ti sei affaticato invano, quasi che noi avessimo potuto dire: "Isacco è stato generato senza la concupiscenza della carne o senza il seme dell'uomo". Non l'abbiamo mai detto. Passando oltre, di conseguenza disprezziamo tutto quanto hai argomentato al riguardo. 12.24 - La natura umana, creata buona da Dio, fu corrotta dal peccato Col tuo profondo acume credi di avere fatto una grande scoperta quando dici: "Gli uomini, anche se fossero stati creati dal diavolo, sarebbero cattivi senza colpa propria e, di conseguenza, non sarebbero cattivi, perché nessuno può essere diverso da quello che è per nascita e non è giusto esigere da lui in misura superiore alle sue possibilità". Anche noi siamo soliti dire questo contro i manichei, i quali, però, non dicono che la natura buona è stata viziata, ma che la natura, da essi ritenuta cattiva secondo le loro favole, è eterna ed immutabilmente cattiva. Secondo la dottrina cattolica, al contrario, la natura, creata buona, è stata viziata dal peccato e, di conseguenza, giustamente condannata. Non è né strano né ingiusto pertanto che una radice condannata produca dei condannati, a meno che non intervenga la misericordia liberatrice di Colui del quale non è mancata la mano creatrice. Questa misericordia liberatrice voi la negate ai miseri, quando asserite che i bambini non hanno un male da cui essere liberati. 12.25 - La propagazione della morte anche nei bambini è punita giustamente Voi, che con falsa difesa opprimete la povera infanzia e la combattete con perniciosa lode, per qual motivo escludete dal regno di Dio tante sue immagini, i bambini, che nulla di male hanno meritato, ma semplicemente non sono stati battezzati? Non facendo quello che non potevano assolutamente fare, hanno forse trascurato il loro dovere così da essere privati del regno e da essere puniti con un esilio tanto luttuoso? Dove metterai quelli che non avranno la vita perché non hanno mangiato la carne né bevuto il sangue del Figlio dell'uomo? ( Gv 6,54 ) Per questo, come sopra ho ricordato, Pelagio sarebbe uscito condannato dal tribunale ecclesiastico se, a sua volta, non avesse condannato quelli che dicevano: "I bambini, anche senza battesimo, hanno la vita eterna". Per quale giustizia, di grazia, può essere allontanata dal regno di Dio e dalla vita di Dio una sua immagine che in nulla ne ha trasgredito la legge? Non vedi il disprezzo che l'Apostolo riserva a taluni che egli dichiara esclusi dalla vita di Dio, per l'ignoranza che c'è in loro a causa dell'indurimento del loro cuore? ( Ef 4,18 ) Il bambino non battezzato è soggetto o no a questa sentenza? Se direte che non è soggetto, sarete sconfessati e puniti dall'evidenza della verità evangelica e dalla stessa lingua di Pelagio. Dov'è infatti la vita di Dio se non nel regno di Dio, nel quale possono entrare solo coloro che sono rinati da acqua e Spirito Santo? ( Gv 3,5 ) Se, al contrario, direte che è soggetto, ammettete la pena: riconoscetene la colpa; ammettete il supplizio: riconoscetene il merito. Nel vostro domma non troverete nulla da poter sostenere. Se in voi c'è ancora un po' di sensibilità cristiana, sappiate riconoscere una buona volta nei bambini la propaggine della morte e della condanna, che dev'essere debitamente punita dalla giustizia o gratuitamente liberata dalla grazia di Dio. Nella loro redenzione è possibile lodare la misericordia di Dio, mentre nella loro perdizione non è possibile accusare la verità di Dio, perché tutti i sentieri di Dio sono misericordia e verità. ( Sal 25,10 ) 13.26 - La concupiscenza secondo Giuliano Quasi al pari di un medico, tu dividi, definisci, discorri sul genere, sulla specie, sulla misura e sull'eccesso della concupiscenza, asserendo che "Il genere sta nel fuoco vitale; la specie nel movimento dei genitali; la misura nell'azione coniugale e l'eccesso nella intemperanza della fornicazione". Se dopo questa tua sottile e prolissa disquisizione, brevemente ed apertamente ti chiedessi come mai questo fuoco vitale ha radicato una guerra nell'uomo, cosicché la carne ha voglie contro lo spirito e lo spirito necessariamente deve avere desideri contro la carne, ( Gal 5,17 ) oppure come mai chi consente a questo fuoco viene ferito da una ferita mortale, lo stesso inchiostro del tuo libro, ne sono sicuro, rosso per la vergogna si trasformerebbe in minio. Questo è il fuoco vitale, che non solo si rifiuta di seguire il volere della nostra anima, che è la vera vita della carne, ma spesso, contro la sua volontà si eccita con disordinati e turpi movimenti e, qualora lo spirito non avesse desideri contro di essa, ucciderebbe la nostra vita buona. 13.27 - Solo gli eccessi della concupiscenza sono cattivi Dopo una lunga disquisizione arrivi a questa conclusione: "Giustamente, dunque, l'origine della concupiscenza viene situata nel fuoco vitale, perché la concupiscenza della carne deve essere attribuita a colui per cui si regge la vita carnale". Fai questa affermazione come se tu possa provare o, per quanta sfontatezza tu abbia, possa avere l'audacia di sospettare che nella prima costituzione dell'uomo, prima che la condanna seguisse la colpa, la concupiscenza carnale esistesse già nel paradiso o che provocasse sporche battaglie contro lo spirito con i disordinati movimenti che vediamo ora. Subito dopo aggiungi: "La colpa di questo appetito non sta nel genere, nella specie o nella misura, ma solo nell'eccesso; il genere e la specie sono opera del Creatore: la misura appartiene ad una decisione onesta, mentre l'eccesso deriva dal vizio della volontà". Parole prive di senso suonano eleganti a te esattamente come ad uno che non pensa quello che dice. Se la misura di questo appetito appartiene ad una decisione onesta, quale onesto coniugato vorrebbe essere mosso da questo appetito, se non quando è necessario? Eppure quello che vorrebbe non gli è possibile. Quale onesto casto vorrebbe essere talvolta mosso da questo appetito? Eppure, quello che vorrebbe non gli è possibile. Per questo motivo l'uomo esclama: … Volere il bene è alla mia portata, ma praticarlo no. ( Rm 7,18 ) Dal momento, quindi, che la concupiscenza, nel suo movimento, non trova alcuna misura nella decisione della volontà, ed in se stessa non ha alcuna moderazione al di fuori di quella che le viene imposta dalla vigile lotta dello spirito onesto, perché lodare, o uomini perversi, e non gridare a Dio: Liberaci dal male? ( Mt 6,13 ) 14.28 - La concupiscenza dev'essere frenata anche dai coniugi Che ti giova l'affermare che "la libidine viene arrestata dalla debolezza", quasi che essa non venga estinta del tutto con la morte, quando l'uomo, che da essa era stato superato e soggiogato, non può più combattere, ma solo ricevere da vinto il castigo meritato? Questa è la cosa più amara, qui è dove tu non comprendi la propaggine della morte di un combattente per cui questo movimento è tanto più malsano quanto più noi siamo sani. Tu scrivi: "Nei coniugi la concupiscenza è usata con onestà, nei casti è frenata con la virtù". È vero questo? Lo sai per esperienza? I coniugi non debbono frenare questo male o questo tuo bene? A piacimento dunque, i coniugi, tutte le volte che si sentiranno solleticati, si stenderanno e si abbracceranno senza differire neppure di un'ora questa smania di giacere e l'unione dei corpi apparirà loro pienamente legittima ogni qualvolta questo tuo bene si sarà spontaneamente eccitato. Se hai vissuto una vita coniugale di questo genere, smetti di addurre le tue esperienze nella disputa e domanda piuttosto agli altri in qual modo essa debba essere vissuta ed insegnata. Mi meraviglierei tuttavia se non hai almeno frenato i desideri adulterini o, addirittura, se non hai neppure avvertito la necessità di farlo. Se poi neanche la pudicizia coniugale, sia per la sfrenata sconcezza della libidine nella stessa unione, sia per la deprecabile concupiscenza, frena questa peste per non far compiere qualcosa che vada al di là del naturale uso del matrimonio, cosa significa la tua espressione: "nei coniugi è usata con onestà"? Forse che questo appetito è sempre onesto nei coniugi e non c'è nulla che ad essi si permette solo a modo di concessione, come dice l'Apostolo? ( 1 Cor 7,6 ) Quanto meglio avresti detto: è usata con onestà dalla moderazione dei coniugi? O hai avuto paura che si vedesse un male anche là ove i coniugi impongono con cura il freno della moderazione? Almeno ora che vivi nella continenza, cerca di riconoscere nella quadriga di Ambrogio il cavallo cattivo e non volere più lodare col cuore o con la bocca quello che sei costretto a frenare con la virtù. "Il quarto, l'eccesso del piacere, tu scrivi, è praticato dai dissoluti, e, poiché deriva dalla insolenza e non dalla natura, viene giustamente condannato". Da quale insolenza deriva? Dalla dissolutezza o dalla concupiscenza? Naturalmente, per non contraddire la tua tesi iniziale, risponderai che deriva dalla dissolutezza. Ma tutti gli uomini ritengono che la dissolutezza è peccato solo in quanto per suo mezzo si acconsente alla concupiscenza. E per te non è cattiva la cosa, consentendo alla quale si commette peccato? Questo male è insito nella nostra carne, che ha voglie contro lo spirito, pur se non esiste nello spirito che non vi consente e che al contrario gli si oppone. Grida dunque: Liberaci dal male ( Mt 6,13 ) e a questo male non aggiungere il male di una falsa lode. 15.29 - Giuliano riconosce la necessità di un rimedio alla concupiscenza Tra i dissoluti e i continenti con molta chiarezza poni la pudicizia coniugale e dici: "Essa rimprovera i primi perché hanno commesso cose illecite, e ammira i secondi che hanno disprezzato anche le lecite. Scelto il giusto traguardo, dopo aver maledetto la barbarie di chi cade in basso e venerato il fulgore di chi risplende al di sopra di sé, placa con caste mani i focosi e loda coloro che non hanno bisogno di tale rimedio". Mi rallegro molto della tua eloquentissima verità. Ma rifletti, ti prego, su quello che dici. Con molta chiarezza e verità infatti dici che la castità coniugale loda la continenza in quanto non ha bisogno di tale rimedio, di cui essa stessa sente di avere avuto necessità, secondo il detto dell'Apostolo: Chi non riesce ad essere casto, si sposi. ( 1 Cor 7,9 ) Perché allora, quando affermo che la concupiscenza è una malattia, tu lo neghi pur ammettendo che ad essa è necessario un rimedio? Se ammetti il rimedio, riconosci pure la malattia; se poi insisti a negare la malattia, nega pure il rimedio. Arrenditi, ti prego, alla verità che talvolta parla per mezzo della tua stessa bocca: Non si offre il rimedio a chi è sano. 16.30 - I tre beni del matrimonio Giusta altresì è la tua osservazione: "Ad un attento esame, il matrimonio non può piacere se viene lodato in paragone con il male". Questo è vero. Nel suo genere il matrimonio è senz'altro un bene, e lo è perché conserva la fedeltà al talamo; perché gli sposi si uniscono per la procreazione della prole e perché ha in orrore l'empietà della separazione. Questi sono i beni nuziali in virtù dei quali il matrimonio è un bene, che sarebbe ugualmente esistito, come abbiamo detto e ripetuto, anche se nessuno avesse peccato. Dopo il peccato, alle nozze si è aggiunta una lotta derivante non dalla felicità, ma dalla necessità, al fine di combattere per il proprio bene contro il male della concupiscenza, non permettendole di giungere a qualcosa di illecito, pur se, con movimenti ora lenti ora concitati, essa non cessi di istigare in tale direzione, anche quando i coniugi ne fanno buon uso per la procreazione della prole. Chi può negare quel male se non chi rifiuta di ascoltare l'Apostolo che ammonisce: Dico questo a modo di concessione, non a modo di comando? ( 1 Cor 7,6 ) Qualora i coniugi si uniscono spinti dal piacere carnale e non dal desiderio della prole la cosa non può essere lodata, ma, intervenendo ed intercedendo il matrimonio, può essere solo tollerato a confronto con mali maggiori. 17.31 - Invettive di Giuliano contro i manichei africani Dopo di questo, non so perché ritorni sull'esempio di Abramo e Sara a cui credo di avere risposto più che a sufficienza. Non so cosa ti era sfuggito che hai voluto poi aggiungere quando ti è venuto in mente. È umano e suole accadere. Vediamo di che si tratta. "È stato un evento profetico, tu scrivi, quello che di recente si è manifestato in Africa. Il marito e l'onore di una santa e bella donna, che era figura della Chiesa, non erano al sicuro. Con l'aiuto di Dio, essa è stata conservata intatta". Per evitare di fermarmi inutilmente su tutte le tue parole, vengo subito a colui al quale scrivi e rivolgi queste parole: "Caro fratello Turbanzio, unito a me nel sacerdozio, bisogna ora pregare Dio perché, anche in questo tempo, con uguali forze non indugi a sottrarre la Chiesa cattolica, sposa del suo Figlio, matura, feconda, casta e bella, dallo stupro dei manichei pirati in Africa e fuori dell'Africa". Questa però è la nostra preghiera contro i manichei, i donatisti, gli altri eretici e quanti in Africa sono nemici del nome cristiano e cattolico. Contro di voi invece, che per noi siete una pestilenza d'oltremare che Cristo salvatore dovrà sconfiggere, saremmo pirati usciti dall'Africa, perché da qui vi opponiamo solo il martire Cipriano, col quale potervi dimostrare che noi difendiamo l'antica fede cattolica contro la vana e profana innovazione del vostro errore? Orrendo! Che forse nella Chiesa di Dio che è in Africa mancavano le tue preghiere quando Cipriano predicava quello che tu combatti? Egli diceva: "Non si deve assolutamente negare il battesimo al bambino, che, nato da poco non ha alcun peccato all'infuori di quello contratto prima della nascita, quando è stato generato secondo la carne di Adamo. A lui deve essere rimesso non un peccato personale, ma quello di un altro". Quando Cipriano imparava ed insegnava queste cose, mancava forse l'aiuto della tua preghiera, in virtù della quale Sara sarebbe rimasta intatta in Africa e la sua bellezza sarebbe stata salvata dallo stupro dei manichei, che, secondo te, avevano ingannato lo stesso Cipriano prima che il nome dei manichei risuonasse all'orecchio dei romani? Cerca di capire quante mostruosità ed insanie dici contro l'antichissima fede cattolica, non avendo altro da dire. 17.32 - Agostino insultato Puoi destreggiarti come e quanto vuoi, o eresia pelagiana, che costruisci nuove macchinazioni e prepari nuove insidie contro le mura dell'antichissima verità! "Il disputatore punico", come con spregio mi chiama il tuo difensore, il punico disputatore, non io, ma il punico Cipriano, ti immola con questa ferita e ti castiga per il domma inquinato. Cosa avresti detto se avessi nominato tanti vescovi dall'Africa quanti ne ho nominati dalle altre parti del mondo? Cosa avresti detto se molti tra di essi fossero stati africani? Uno è di qui, gli altri sono di altre terre: dal loro consenso, dall'Oriente e dall'Occidente, sei seppellito. Nonostante ciò, sei talmente accecato dalla tua ostinazione da non renderti conto che sei tu piuttosto a voler imbrattare l'antico splendore della Chiesa, l'antica fede cioè, come la castità della bellissima nonnina Sara. Se i manichei hanno disonorato la Chiesa di Dio per mezzo dei santi vescovi e memorabili dottori, Ireneo, Cipriano, Reticio, Olimpio, Ilario, Ambrogio, Gregorio, Basilio, Giovanni, Innocenzo, Girolamo, dimmi, Giuliano: quale Chiesa ti ha generato? Chi ti ha partorito, attraverso l'utero della grazia spirituale, alla luce che hai abbandonato: una madre casta o una meretrice? O forse tu, con istinto nefando, derivante non da errore, ma da furore, osi disonorare il seno della sposa di Cristo e madre tua, per difendere i dommi pelagiani? Oppure la novella deviazione, non riuscendo a trovare altre menzogne contro la vetusta bellezza di Sara, ti ha condotto ad incriminare col blasfemo nome di manicheo l'unanime consenso di tanti gloriosi vescovi cattolici, tra cui c'è chi non ha mai sentito neppure il nome dei manichei? 17.33 - La natura corrotta dalla volontà del primo trasgressore Dopo questa digressione, alla quale ti ha portato non "l'impeto del dolore", come tu dici, ma del perduto pudore, torni ai deliri che erano nel tuo programma. Con la testimonianza dell'Apostolo ( Rm 4,19 ) cerchi di comprovare quanto avevi detto sulle membra morte di Abramo e di Sara. Basti quanto detto sopra nella maniera, a mio avviso, migliore possibile. Quale cristiano ignora che "chi ha fatto il primo uomo dalla polvere, fa tutti gli altri dal seme"? Da un seme, però, già viziato e condannato, che in parte resterà, secondo la verità, nel supplizio, ed in parte, in virtù della misericordia, verrà liberato dal male. Non è dunque vero come tu credi e concludi che "l'affermazione del peccato naturale rimane soffocata nelle maglie dei tuoi lacci". La natura, corrotta dalla volontà del primo trasgressore, non la purificano le tue parole vane per mezzo del vostro novello domma, ma la grazia di Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore. 18.34 - Giuliano chiama Agostino "sacerdote del diavolo" Per questo non credo affatto, come vai calunniando, che "i coniugi possano generare senza il calore del corpo" e neppure che "Dio non ha creato l'uomo o l'ha creato per il diavolo o l'ha creato il diavolo". Neppure gli stessi genitori possono creare l'uomo, ma Dio per mezzo dei genitori. Se il diavolo non può sottrarre al potere divino neppure se stesso, quanto meno può sottrarre la natura umana, assoggettata a sé a causa della colpa dopo la condanna divina? Stando così le cose, se non proprio devoto del diavolo, cosa di cui tu accusi me, certamente ti dimostri suo collaboratore, quantunque voglia dare l'impressione di accusarlo. Sostieni infatti che i bambini non debbono essere sanati per mezzo di Cristo da quel male che li tiene soggetti al diavolo e, con insana dottrina, difendi la loro sanità. Secondo la vera fede, invece, io sostengo che "Isacco è nato dallo stesso piacere della concupiscenza", da cui sono nati tutti gli altri uomini, eccetto Colui in virtù del quale siamo liberati dal male. Non nego neppure che "la mano della divina Provvidenza è presente nei genitali dei peccatori". Eccola prodursi con forza da una estremità all'altra, e curare opportunamente ogni cosa; ( Sap 8,1 ) e niente di lurido la raggiunge. ( Sap 7,25 ) Per questo la Provvidenza può ottenere tutto quello che vuole anche dalle cose immonde e sporche, e rimane sempre assolutamente pura e incontaminata. Non è necessario che ti affatichi, inoltrandoti in lunghe circonlocuzioni, per dimostrarmi cose che già ammetto. Rispondi piuttosto, se ti è possibile, al mio quesito: Perché mai Isacco sarebbe stato eliminato dal suo popolo se entro l'ottavo giorno non fosse stato circonciso col segno del battesimo di Cristo? ( Gen 17,14 ) Spiegaci un po', se ti è possibile, come si poteva essere colpiti da una pena così grave qualora non si fosse stati liberati da quel sacramento. Non si può negare che, per fare nascere un figlio alla loro età, Dio ha vivificato la vulva di Sara morta all'emissione del seme ed il corpo di Abramo morto alla capacità di generare come i giovani. Ma per quale motivo Isacco, innocente quanto a peccati personali, pur se fosse nato da genitori adulteri, avrebbe potuto meritare di essere eliminato dal suo popolo se non fosse stato circonciso? Non divagare in cose oscure, ambigue e superflue, ma rispondi al mio interrogativo chiaro, semplice, necessario. 18.35 - Dio non può condannare nessuno immune da colpa Adduci la testimonianza dell'Apostolo non secondo la sua prospettiva, ma secondo la tua. Quantunque ora non trattiamo di questo argomento e sarebbe troppo lungo e superfluo il disputarne, tuttavia poni la citazione dell'Apostolo: Come potrebbe Dio essere il giudice del mondo? Se infatti, per la mia menzogna, la veracità di Dio risulta più insigne, a sua gloria, come avviene che sono ancora giudicato come peccatore? ( Rm 3,6-7 ) E poi aggiungi: "Con queste parole l'Apostolo dimostra che Dio, se non ha conservato la propria maniera di comandare, ha perduto il potere di giudicare". A questo punto concludi: "L'Apostolo ha detto questo per frenare coloro che asserivano che i peccati degli uomini tornavano a lode di Dio, che avrebbe comandato cose impossibili per prepararsi una materia per la misericordia. E in tal modo, a tuo giudizio, attraverso le parole dell'Apostolo si dimostra che gli uomini sono giudicati con giustizia quando hanno trasgredito comandi possibili, mentre lo sono ingiustamente quando hanno trasgredito comandi impossibili". Se tiri queste conclusioni, cosa pensi di Isacco, che sarebbe stato senz'altro punito con la pena della perdizione dell'anima sua se non fosse stato circonciso entro l'ottavo giorno, anche se nulla gli era stato comandato né di possibile né di impossibile? Non comprendi, alfine, che quel primo precetto dato nel paradiso fu possibile e facile, e, dopo che esso è stato disprezzato e violato da un solo uomo tutti abbiamo contratto quel peccato comune come in una massa di origine? Non comprendi che solo in seguito ad esso un pesante giogo è stato imposto sui figli di Adamo dal giorno nel quale sono usciti dal seno della madre loro fino al giorno nel quale ritorneranno alla madre di tutti? ( Sir 40,1 ) Poiché da questa generazione, condannata in Adamo, nessuno può essere liberato senza la rigenerazione in Cristo, Isacco sarebbe stato eliminato se non avesse ricevuto il segno di quella rigenerazione. E non sarebbe stato eliminato ingiustamente perché egli sarebbe uscito, senza il segno di rigenerazione da questa vita, nella quale, nato da una generazione condannata, era entrato condannato. Se non è questo il motivo, dimmene un altro. Dio è buono ed è giusto. Egli può liberare taluni senza meriti buoni perché è buono, ma non può condannare nessuno senza demeriti perché è giusto. Un bambino di otto giorni non aveva nessun demerito derivante da peccati personali: per qual motivo, dunque, senza la circoncisione sarebbe stato condannato, se non avesse contratto un peccato dalla nascita? 19.36 - L'ignoranza del bambino e la sua innocenza Va' avanti e continua ad intrecciare vanità a vanità. Non mi riferisco alle parole della Scrittura citate da te, ma alle conclusioni che cerchi di trarne. Affermi, per esempio, che "la perfetta ignoranza deve essere chiamata giustizia; lo si deduce dalle parole rivolte da Dio ad Abimelec, che, non sapendo si trattasse della moglie di un altro, stava per unirsi a Sara: Anche io so che con la semplicità del tuo cuore hai fatto ciò. ( Gen 20,6 ) Per lo stesso motivo lo stato dei neonati non è leso dalla volontà dei genitori, perché, anche nel caso che essa fosse cattiva, non potrebbe in nessun modo giungere alla loro coscienza". Perché, allora, non li chiami giusti, se la perfetta ignoranza dev'essere chiamata giustizia? Nulla è più perfetto della ignoranza dei bambini: nulla, di conseguenza, può essere detto più giusto. "I bambini non nascono giusti né ingiusti, ma lo diventano con le proprie azioni; l'infanzia è solo arricchita della dote dell'innocenza". Che significano queste tue parole? Non sono anche tue queste altre: "L'uomo dunque nasce pieno di innocenza, ma capace di virtù; meriterà la lode o la riprensione a seconda della volontà che viene dopo"? O forse credi che la giustizia non è una virtù? Come puoi affermare dunque che il bambino non è ancora pieno di virtù, ma solo capace, mentre nello stesso tempo lo ritieni pieno di ignoranza, che, a tuo dire, deve esser chiamata giustizia? Non finiresti per negare che la giustizia è una virtù? Questa assurdità non riuscirà ancora a svegliarti e a farti pentire di averla detta? Le parole del Signore vegliano, ma tu dormi. Non ha detto al re: so che hai il cuore giusto, oppure: hai il cuore puro, poiché sta scritto: Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio. ( Mt 5,8 ) Tu invece proponi Abimelec come esempio di peccatore. Dio gli aveva detto: So che con la semplicità del tuo cuore hai fatto ciò. Non si riferiva a tutto o a qualsiasi altra cosa, ma solo al fatto che non aveva la coscienza di commettere adulterio. 19.37 - Il contagio del peccato passa dai genitori ai figli Sono sorpreso tuttavia perché dall'esempio ricordato ti sforzi di dedurre una cosa impossibile e ti rifiuti di vederci quello che non vuoi ascoltare. Fai di tutto perché si creda che per la preghiera di Abramo è stata restituita la libidine alle donne perché sta scritto: Infatti Dio aveva reso sterile ogni matrice della casa di Abimelec, per il fatto di Sara moglie di Abramo. ( Gen 20,18 ) Da questa conclusione vuoi dedurre che, per l'ira di Dio, era stata sottratta la libidine a quelle donne, mentre, molto più semplicemente, quelle parole significano che, chiusa la vulva per una qualche infermità, la donna non poteva concepire o non poteva partorire dopo avere concepito. Tu che non ammetti che qualcuno possa essere colpito dalla giustizia divina per peccati non personali, ma di altri, non pensi che Abimelec ha potuto peccare, quantunque non l'abbia fatto con cuore di adultero, e che Dio ha punito quel peccato, piccolo quanto si voglia, nelle donne che gli appartenevano? Vedi quindi che il contagio del peccato è passato dall'uomo alle donne con le quali si univa, o che erano soggette a lui. Eppure ti ostini a non volere ammettere che il peccato possa passare dai genitori ai figli, che provengono dal loro seme. Pensa, piuttosto, quanto insondabile è l'abisso della sapienza e della scienza di Dio, ( Rm 11,33 ) e finiscila di chiacchierare contro i misteri del peccato originale. 20.38 - I movimenti della concupiscenza sono turpi Dopodiché cominci a discutere sull'eccesso della concupiscenza che dichiari riprovevole, quasi che nel moderarla quando i coniugi ne fanno buon uso, dovrebbe essere lodato il cavallo cattivo e non l'auriga che lo guida. Quale giovamento ti portano le testimonianze della Scrittura con le quali si dimostra che Dio proibisce e condanna l'eccesso della libidine? Quantunque possiamo avere in orrore le brutture di taluni atti disonesti, che si possono commettere con i genitali, fa' bene attenzione a ciò che la concupiscenza della carne, non frenata, può fare con le sue sollecitazioni, fino far lamentare i suoi effetti anche nel corpo dei casti durante il sonno. 20.39 - La concupiscenza si vince combattendola "Come poteva Dio cercare i giusti a Sodoma, ( Gen 18,26 ) se la natura stessa li faceva tali?". Poni questo interrogativo come se dicessimo che la natura più eccellente della mente non sia in grado di frenare la concupiscenza della carne. Al contrario noi sosteniamo che la concupiscenza è un male al punto che deve essere vinta nello scontro, fino a che, al pari di una ferita nel corpo, non venga perfettamente sanata dalla cura. 20.40 - Il naturale uso della donna Se credi che "l'Apostolo, dicendo che alcuni abbandonarono i rapporti naturali con la donna e si accesero di brame gli uni verso gli altri" ( Rm 1,27 ) ha lodato la libidine perché dichiarava naturale il rapporto con la donna, dovrai lodare ogni rapporto con le donne; dovrai lodare perfino lo stupro che si commette con la donna, perché anche lì il rapporto è naturale, anche se riprovevole per la sua illegittimità. I figli nati da esso, infatti, non legittimi, sono detti naturali. Con quelle parole l'Apostolo non ha lodato la concupiscenza della carne: ha solo dichiarato naturale l'azione per cui la natura umana viene all'esistenza con la nascita. 20.41 - La cattiva concupiscenza non è una sostanza "I sodomiti hanno peccato anche nella creatura del pane e del vino". Con queste parole vorresti dimostrare che la libidine è buona, ma sono colpevoli gli uomini che ne fanno cattivo uso, così come è buona la creatura del pane e del vino, anche se si fa peccato facendone cattivo uso. Non capisci quello che dici, al punto da non vedere che il pane e il vino non hanno voglie contro lo spirito, ma sono essi piuttosto ad essere desiderati smoderatamente da chi ne fa cattivo uso, e che inoltre entrano nel nostro corpo dall'esterno. Di essi bisogna far uso più parco e moderato, affinché la concupiscenza, male nostro interno, non abbia a combattere con maggiore veemenza e vigore, mentre la mente è aggravata di più da un corpo corruttibile appesantito dalla materia più abbondante. Di questo male, della cui malizia fa fede chi combatte contro di esso e chi da esso è soggiogato, fanno buon uso il genitore che pudicamente genera il figlio e Dio che, secondo la sua Provvidenza, crea l'uomo. 21.42 - Giuliano parla di lotte contro la concupiscenza Or dunque ti prego di riflettere. Messa da parte ogni bramosia di vittoria, perché la verità possa vincerti salutarmente ti prego di riflettere attentamente se devi dare l'assenso alla tua o alla nostra tesi. Molto a proposito, tu dici, "hai fatto una breve osservazione perché al lettore restassero impresse nell'animo le cose che hai trattato in tutto il libro". Subito dopo spieghi di che osservazione si tratta scrivendo: "Chi conserva la moderazione della concupiscenza naturale, fa buon uso di un bene; chi invece non la conserva fa cattivo uso di un bene; chi poi per amore della santa verginità, disprezza anche la moderazione, fa meglio a non servirsi di un bene, perché la fiducia nella sua salvezza e nella sua forza gli ha fatto disprezzare il rimedio, onde poter affrontare gloriose lotte". A queste tue affermazioni, rispondo in questi termini: chi conserva la moderazione della concupiscenza carnale, fa buon uso di un male; chi invece non la conserva fa cattivo uso di un male; chi per amore della santa verginità disprezza anche la moderazione fa una cosa migliore non facendo alcun uso di un male, perché la fiducia nell'aiuto e nel dono di Dio gli ha fatto disprezzare i deboli rimedi onde poter esercitare lotte ancor più gloriose. Tutto il nocciolo della nostra controversia sta qui: far buon uso di un bene o di un male? In questa controversia vorrei che tu non ripudiassi gli illustrissimi giudici, di cui ti ho parlato nei miei precedenti libri, facendoti vedere come essi, eruditi nella sana dottrina, hanno espresso il loro pensiero sull'argomento senza alcuna prevenzione di parte. Dal momento che, se non ti correggi, anche per loro prepari un'accusa, o, per dirla in modo più mite, un richiamo, mi servirò di te stesso come giudice, per difendere la mia tesi contro la tua, riferendomi espressamente alle tue parole, scritte non in qualche parte altrove, ma nello stesso libro e nello stesso passo. Hai scritto: "… La santa verginità, confidando nella sua salvezza e nella sua forza, ha disprezzato il rimedio per poter affrontare gloriose lotte". Ti domando: quale rimedio ha disprezzato? Risponderai: il matrimonio. Ti domando ancora: contro quale malattia è necessario questo rimedio? Rimedio infatti deriva da medère, vale a dire da "medicare". Entrambi, quindi, siamo concordi nel vedere nel matrimonio un rimedio: perché mai allora tu lodi la malattia della libidine, a causa della quale si va incontro alla morte, se ad essa non si oppone il freno della continenza o il rimedio del matrimonio? In precedenza ho già avuto modo di trattare la cosa con te laddove con chiarezza, tra i dissoluti ed i casti, hai posto la pudicizia coniugale, che "placa con caste mani i focosi e loda coloro che non hanno bisogno di tale rimedio". Ti ripeto con brevità e chiarezza quello che dicevo sopra: "Quando affermo che la concupiscenza è una malattia, perché lo neghi pur ammettendo che ad essa è necessario un rimedio? Se ammetti il rimedio, riconosci pure la malattia; se poi insisti a negare la malattia, nega pure il rimedio. Arrenditi, ti prego, alla verità che talvolta parla per mezzo della tua stessa bocca. Non si offre il rimedio a chi è sano". 21.43 - Anche i coniugi casti devono combattere la libidine Quali sono "le gloriose lotte" delle sante vergini, come le chiami, se non quelle in cui non sono vinte dal male, ma vincono col bene il male? Io non le ho chiamate soltanto "gloriose", ma "più gloriose". Quanto alla sottomissione di questo male infatti, anche la pudicizia coniugale possiede una palma, sia pure più piccola. Anche essa combatte contro la concupiscenza della carne per evitare di andare oltre i limiti del letto nuziale e per non infrangere il tempo fissato per la preghiera dal consenso dei coniugi. Se la pudicizia coniugale ha tanta forza e tanto grande è il dono di Dio che possa osservare le prescrizioni del codice matrimoniale, essa ancor più energicamente combatte nel letto nuziale per non toccare il corpo del coniuge più di quanto è necessario alla generazione dei figli. Questa pudicizia non permette il rapporto con la donna in mestruazione, in gravidanza, o in età tale che non abbia più possibilità di concepimento. Essa non è vinta dal piacere di giacere insieme, ma si abbandona solo quando spera di conseguire l'effetto della generazione. Secondo l'Apostolo, si commette peccato veniale se, nei rapporti con il coniuge, sempre che non si vada contro natura, si compiono azioni che oltrepassano i limiti del codice matrimoniale, ( 1 Cor 7,6 ) appunto perché non si va in nessun modo oltre il limite della carne del coniuge. Ma proprio perché non si vada oltre questo limite è necessario combattere contro il male della concupiscenza. A tal punto essa è male che le si deve resistere con la pudicizia, perché non abbia a recare danno. 21.44 - Giuliano loda la concupiscenza contro cui combatte Se non sbaglio, anche tu ti trovi in questa lotta. E poiché pensi di lottare fedelmente, temi di essere sconfitto. Da cosa temi di essere sconfitto? Da un bene o da un male? O forse a tal punto temi di essere sconfitto da me da continuare a negare un male ed a lodare come bene quello da cui temi di essere sconfitto? Braccato da due avversari, ti trovi bloccato su una via senza uscite e vuoi vincere me con l'eloquenza e la libidine con la continenza. Combattendo contro di essa, però, riconosci che è male; continuandola a lodare, invece, abbandoni il bene della verità. Ebbene, io vinco te, vincitore e apologista del male, ponendoti dinanzi come giudice non altri, ma te solo. Vorresti vincere la concupiscenza sconfiggendola e vincere me lodandola. Ebbene, ti rispondo, chi combatte giudichi se chi loda può essere dichiarato vincitore. Se è male perché lodare? Se è bene, perché lottare? Se poi non è né bene né male, perché lodare? perché lottare? Fin quando sarai vincitore della libidine, sarai giudice contro di te a mio favore. O forse smetterai di combattere contro la libidine per non essere sconfitto da me in questa controversia, mentre una voce ti sussurra: è meglio non combattere che dimostrare con la lotta che è male quello che si loda? Non farlo, ti prego. Chi sono io che ci tieni tanto a vincermi? Ti vinca piuttosto la verità perché tu possa continuare a vincere la libidine. Qualora smettessi di combattere contro di essa, sarai vinto, legato e precipitato tra lordure di ogni genere. Trattandosi di un male orrendo non ti gioverà neppure a conseguire quello che vuoi; sarai ugualmente sconfitto da me, o, meglio, dalla verità che proclamo. Lodando la concupiscenza e sconfiggendola, sei vinto anche dal tuo stesso giudizio. Lodi, infatti, quello stesso male, della cui sconfitta ti vai gloriando. Se poi smetti di combattere perché la lingua di chi loda non abbia ad esser sconfitta da chi combatte, sarò vittorioso su uno schiavo della concupiscenza e su un disertore della continenza, non già per il tuo giudizio, ma per quello della sapienza. 21.45 - La concupiscenza non viene dal Padre La questione pertanto è chiusa. Per quanto possa lodare la concupiscienza, finché combatti contro di essa, sperimenta con quanta verità l'apostolo Giovanni ha detto di essa e di essa soltanto che non è dal Padre. ( 1 Gv 2,16 ) Se, come tu dici, "chi non conserva la moderazione, fa cattivo uso di un bene", essa rimane un bene anche in chi ne fa un cattivo uso. Qual è dunque quella che non è dal Padre? O ti proponi di lodare anch'essa comunque voglia intenderla? Se è male, dove lo sarà? quando lo sarà? Quando essa è considerata un bene, anche se usato male, non essa sarà cattiva, ma solo chi ne avrà fatto cattivo uso. Invano quindi Giovanni ha detto che la concupiscenza della carne non è dal Padre, dal momento che per te essa è un bene e, di conseguenza, dev'essere dal Padre, anche se qualcuno ne fa cattivo uso, perché in ogni caso fa cattivo uso di un bene. Non puoi neppure dire che quando essa è usata moderatamente è dal Padre, mentre non lo è quando è usata immoderatamente, perché anche in questo caso è un bene di cui si fa cattivo uso. Solo se crederai alla tua lotta e non alla tua lingua potrai uscire da questo vicolo cieco. La continenza, al contrario, è dal Padre perché se non fosse dal Padre non sarebbe possibile con essa sconfiggere la concupiscenza. Questa invece, contro cui, se vivi castamente, devi combattere acremente, non è dal Padre. Non avresti bisogno di combattere contro di essa, se essa non ti contrastasse, se veramente fosse dal Padre, non ti contrasterebbe mentre operi ciò che è donato ed amato dal Padre. 21.46 - Ciò che viene combattuto dev'essere considerato male Da essa e con essa nasce l'uomo, una creatura di Dio, buona ma non immune dal male, contratto con la generazione e risanato con la grazia della rigenerazione. Per questo motivo ho detto giustamente: "Non può essere imputato alla bontà del matrimonio il male originale che da esso si contrae, così come la malizia dell'adulterio o della fornicazione non può essere significata dal bene naturale che nasce da essi". Ho chiamato "bene naturale" quello che lodi insieme a me; ho chiamato "male originale" quello alle cui sollecitazioni resisti insieme a me e per le cui lodi combatti contro di me. Non è male che sei nato, ma ciò con cui sei nato e contro cui combatti spiritualmente perché sei rinato. La tua nascita appartiene all'opera creatrice di Dio ed alla fecondità dei genitori. Quello contro cui combatti perché sei rinato, appartiene alla prevaricazione seminata dall'astuzia del diavolo e da cui ti ha liberato la grazia di Cristo. Prima ne hai fatto buon uso nel matrimonio ed ora lo contrasti dentro di te. Non sei più reo di esso come nella nascita, ma da esso non sarai sciolto se non in virtù della rinascita perché, redento, possa regnare con Cristo. Volesse il cielo che questa eresia non ti faccia perire con il diavolo, ma, come grandemente desideriamo, dopo aver riconosciuto il male contro cui combatti, possa godere della pace eterna non dopo essere stato separato da esso quasi si trattasse di un'altra natura, ma dopo esserne stato del tutto sanato dentro di te. 21.47 - Il matrimonio è buono, la concupiscenza un male accidentale Non sono "simile allo speziale - come tu dici - che prometteva una bestia che divorasse se stessa". Fa' bene attenzione, però, che questo moto bestiale, contro cui ti accorgi di scontrarti nella tua carne, non abbia a consumarti quando sarai rilassato, così come ti ha pervertito quando lo lodavi. Non ho mai detto, come calunniosamente sostieni, che "il matrimonio è un grande bene ed un grande male" come se in quel modo questa espressione divorasse se stessa. Ho detto semplicemente che nello stesso uomo c'è una natura buona e un vizio cattivo, come tu stesso hai riconosciuto apertamente negli adulteri, non condannando la natura a causa del vizio né approvando il vizio in virtù della natura. Ho detto che il matrimonio, da cui sei nato, è un bene e che il male, contro cui tu, rinato, combatti è derivato non dal matrimonio ma dall'origine viziata. 21.48 - Agostino chiamato epicureo da Giuliano È ridicola l'affermazione che io "percorrendo le vie di Epicuro ho tagliato tutte le briglie con cui si frenano le passioni". Cosa succederebbe se lodassi il piacere del corpo? In verità sei tu che con molta eloquenza fai quello che Epicuro faceva senza erudizione ed eleganza, quasi da essere suo avversario solo perché egli non sapeva dire con eloquenza quello che dici tu. Mi accorgo che dovrai di nuovo affannarti per dimostrare di essere ammiratore del piacere e di non essere epicureo. Non affaticarti. Ti libererò io stesso da questa preoccupazione. Non sei epicureo perché questi riponeva tutto il bene dell'uomo nel piacere del corpo mentre tu cerchi di riporre gran parte del bene nella virtù, pur ignorando quella vera, quella cioè della sincera pietà. Dio infatti ha detto all'uomo: La pietà è sapienza. ( Gb 28,28 ) Donde verrebbe questa sapienza se Dio non concedesse il dono di cui è scritto: Dio rende sapienti i ciechi, ( Sal 145,8 ) e di cui parimenti si legge: Se qualcuno di voi manca di sapienza, la chieda a Dio? ( Gc 1,5 ) Se non sei epicureo tu, che hai preso da lui qualcosa in lode del piacere, molto meno lo sono io che, riguardo al piacere della carne, penso ciò che pensava Ambrogio, che cioè è nemico della giustizia, poiché l'uomo, concepito dal piacere della concupiscenza, prima ancora di nascere è costretto a subire il contagio della colpa1. Quanto poi alle mie abitudini ed al modo come vivo, le conoscono bene quelli che mi stanno accanto. Qui si tratta del domma e della fede cattolica: non ci sia in te la perfidia dell'apostata. Non mi spaventa la tua lingua come quella di censore. Riconosco di insegnare agli uomini quello che ho appreso dalla Sacra Scrittura: Se diciamo di non aver peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi. ( 1 Gv 1,8 ) Confesso di battermi il petto in mezzo al popolo e con il popolo di Dio e di dire con sincerità: Rimetti a noi i nostri debiti. ( Mt 6,12 ) Non insultateci per questo: siete eretici proprio perché queste cose non vi piacciono. Noi confidiamo nella vera misericordia di Dio, voi nella vostra falsa virtù. Voi asserite che la grazia di Dio viene data secondo i nostri meriti, ma non vi rendete conto che se Pelagio non avesse condannato questa affermazione, sarebbe stato condannato dai vescovi cattolici. Al contrario noi siamo convinti che essa viene elargita gratuitamente e che proprio per questo è chiamata grazia. Siamo convinti inoltre che da essa vengono tutti i meriti dei santi, secondo l'affermazione dell'Apostolo: Per grazia di Dio sono quello che sono. ( 1 Cor 15,10 ) Voi ci irridete per questo e sfrontatamente ci disprezzate al vostro confronto. Ma: Siamo diventati il sarcasmo dei soddisfatti, lo schermo dei superbi, ( Sal 123,4 ) e: Volete confondere le speranze del misero perché ha posto nel Signore il suo rifugio. ( Sal 14,6 ) 21.49 - Non ciò che è buono, ma ciò che è male dev'essere frenato Riguardo all'argomento che trattiamo, non vedo perché tu debba dire che "ho tagliato tutte le briglie con cui si frenano le passioni", dal momento che sono convinto che le passioni debbono essere frenate con ogni sforzo, secondo la grazia di Dio che è data agli uomini. Ti domando: queste passioni che predichi siano frenate e che, secondo te, io rilasserei, sono buone o cattive? Esse, infatti, non sono di cavalli o di altri animali estranei a noi, ma sono nostre. Dentro di noi ci sono le cattive passioni che freniamo vivendo bene. Tu mi accusi di tagliare le briglie con cui si frenano non le buone ma le cattive passioni. Una di esse è la concupiscenza della carne dalla quale e con la quale nascono i bambini e per la quale sono nella necessità di essere rigenerati. Di quel male, io affermo, fanno buon uso i coniugi casti e cattivo uso gli adulteri. Di quel bene, al contrario, sostieni, fanno cattivo uso gli adulteri e buon uso i casti. Entrambi poi diciamo che la continenza, fa molto meglio a non far uso di quel bene come dici tu, di quel male come dico io. Per questo motivo, quantunque la nostra coscienza sia nota solo a Dio ed il nostro agire anche agli uomini tra i quali viviamo, entrambi tuttavia facciamo professione di continenza. Se poniamo in atto quello che professiamo, certamente entrambi freniamo la concupiscenza, combattiamo contro le sue sollecitazioni che ci contrastano ed entrambi la sconfiggiamo se facciamo progresso. È interessante però notare che io freno un male, tu un bene; io sono contrastato da un male, tu da un bene; io faccio guerra ad un male, tu ad un bene; io voglio sconfiggere un male, tu un bene. Più probabile, quindi, che tu ti adoperi di accendere maggiormente la concupiscenza lodandola, anziché di frenarla con la continenza. 21.50 - Non si può lodare la concupiscenza e combatterla come nemica Ammetti di combattere con la continenza gloriose battaglie: contro che cosa, di grazia? Che altro dirai se non contro la concupiscenza della carne? Ma amica o nemica? Potrai non dichiararla nemica? La carne infatti ha voglie opposte allo spirito e lo spirito ha desideri opposti alla carne. ( Gal 5,17 ) Queste forze si contrastano reciprocamente come ci attesta l'Apostolo. Forse quindi fingi di lodarla se non fingi di combatterla. Non vedo come possa compiere fedelmente l'una e l'altra cosa insieme, lodarla cioè come amica e combatterla come nemica. Noi crediamo solo una delle due: scegli quale dobbiamo credere. Se combatti con sincerità, non puoi lodare con sincerità. Se poi con sincerità ne fai l'apologia, nella lotta scherzi. Siccome non ti sono nemico come ti è nemico il male che risiede nella tua carne, desidero ardentemente che disprezzi questo male con la rettitudine della dottrina e lo sconfigga con la santità della vita. Però tra le due possibilità, che tu faccia sinceramente l'una e solo nella finzione l'altra, preferirei senz'altro che lodassi falsamente la concupiscenza anziché la combattessi falsamente. È più tollerabile la finzione nella lingua, anziché nella vita, così come è più tollerabile la simulazione nella propria tesi anziché nella continenza. È finta invero la lode, con cui sei avverso alla mia tesi, se non è finta la castità con cui sei avverso alla tua concupiscenza. Accadrà così che se condurrai con sincerità la tua lotta contro la libidine, non oserai più a lungo proferire false parole contro di me. Sia che tu simuli una cosa o l'altra o entrambe, - cosa che non saprei proprio come possa fare con sincerità, senza alcuna finzione cioè, e possa combattere quello che lodi e lodare quello che combatti -, ritenendo di te ciò che è più tranquillo, voglio avere a che fare con uno che ha sconfitto la libidine. Non reputo cattivo il matrimonio, ma dico semplicemente che esso fa buon uso di un male, mentre tu dici che fa buon uso di un bene, dichiarando buona la concupiscenza della carne che, di fatto, combattendola in te dimostri che è cattiva. In qual modo poi i coniugi, anche quelli che ne fanno buon uso, combattano contro di essa, l'ho già esposto sopra. 22.51 - Da dove il male nei bambini Il matrimonio in quanto matrimonio è cosa buona e l'uomo, sia che nasca da un matrimonio sia che nasca da un adulterio, è cosa buona in quanto uomo perché come tale è creatura di Dio. Siccome però nasce da quel male e con quel male di cui fa buon uso la pudicizia coniugale, ha necessità di essere sciolto dal suo laccio con la rigenerazione. Stando così le cose, perché mi chiedi "dove si trova il male originale", dal momento che la libidine, contro cui combatti, parla a te con maggior sincerità di te stesso quando la lodi? Perché mi domandi "come sia possibile che l'uomo, creatura di Dio, sia sottoposto al diavolo"? Come può trovarsi nella morte che Dio non ha fatto? "Che cosa vi può il diavolo, tu dici, riconoscere come suo se non ha creato né quello che è stato fatto né donde è stato fatto?". Quello che è stato fatto è l'uomo, donde è stato fatto è il seme dell'uomo. Entrambi sono un bene. Il diavolo non ha creato né l'uno né l'altro ma ha solo seminato il difetto del seme. Egli non vi riconosce il suo bene perché non è suo ciò che entrambi lodiamo, ma riconosce il suo male contro cui entrambi combattiamo. A torto, di conseguenza, uno di noi loda ciò che entrambi combattiamo. Vedi invero come mi chiedi "donde venga il male nei bambini fra tanti beni" ma trascuri ciò che ho scritto nel libro che tu critichi, e fra l'altro le parole dell'Apostolo: Per opera di un solo uomo il peccato entrò nel mondo e attraverso il peccato la morte; così la morte passò su tutti gli uomini, perché in lui tutti peccarono. ( Rm 5,12 ) Tu non vuoi che gli uomini ascoltino o leggano queste parole in questo punto dove sono sommamente necessarie, perché non riconoscano la propria fede e disprezzino la tua argomentazione. 23.52 - La sostanza della natura non affatto è un male Tu dici che io ho dichiarato che "l'uomo non è reo se nasce dalla fornicazione e non è innocente se nasce dal matrimonio". È una esagerazione ed un'aperta calunnia! Ho sempre sostenuto, secondo la fede cattolica, difesa contro di voi con estrema chiarezza dai Padri, prima che voi nasceste, che l'uomo, da qualunque parte nasca, è innocente perché non ha alcun peccato personale, ed è colpevole perché ha il peccato originale. La sostanza della natura, invece, essendo creatura di Dio, è una cosa buona perfino nei peccatori adulti, i quali sono cattivi anche a causa dei peccati personali aggiunti a quello con cui sono nati. Perché dovrei temere che mi si obietti "di aver imputato i peccati di tutti i genitori a tutti i figli", dal momento che, anche nel caso che questo sia vero - non intendo naturalmente riferirmi a chi ha l'uso della volontà, ma solo ai neonati - la sostanza della natura creata da Dio non sarebbe affatto un male, ma sarebbero un male solo i vizi insiti in essa e contro cui anche tu, per usare le tue parole, "eserciti gloriose lotte"? 23.53 - La concupiscenza non ha reso cattivo il matrimonio Così come tu scrivi: "Quando gli adulteri generano, l'uomo nasce dalla potenza del seme e non dalla bruttura dell'atto disonesto", alla stessa maniera quando i coniugi generano, l'uomo nasce dalla potenza del seme, non dall'onestà del matrimonio. Se in questo caso da entrambi anche in quel caso da entrambi. Per quanto riguarda il matrimonio in se stesso, il frutto del matrimonio non è la generazione degli uomini che possono nascere anche dagli adulteri, ma l'ordinata ricezione dei figli. Perché dunque "sarebbe falsissima la parte della mia tesi in cui ho affermato che al bene del matrimonio non può essere imputato il male originale che da esso si contrae", dal momento che, se non fossi stato rigenerato, saresti ancora ritenuto colpevole per quel male da te contratto, contro cui combatti e di cui hanno fatto buon uso i tuoi genitori perché tu potessi nascere? I genitori, quindi, che fanno buon uso di un male, non debbono essere accusati e i figli debbono essere rigenerati perché siano liberati dal male. Qualora, infatti, il bene del matrimonio non fosse che il buon uso di un bene, sarebbe strano come da esso si possa contrarre un male. Se, al contrario, il bene del matrimonio sta nel buon uso di un male, che c'è di strano se dallo stesso male, di cui fa buon uso la bontà del matrimonio, si contrae il male del peccato originale? È mirabile piuttosto che, pur essendo gli Apostoli il buon odore di Cristo, si traeva da essi sia il bene che il male. Per gli uni infatti erano un profumo che conduce di vita in vita, per altri, invece, un profumo che mena di morte in morte, ( 2 Cor 2,15-16 ) essendo appunto quell'odore l'uso non di un male ma di un bene. Essi erano il buon odore di Cristo proprio perché facevano buon uso della grazia di Cristo. È falsa pertanto l'affermazione che fai: "Se da esso si contrae il male, può essere incriminato, non scusato", perché se da esso si contrae il peccato originale, si trae pure un bene, vale a dire l'ordinata propagazione dei figli. Il male non si contrae da esso, dal matrimonio, perché è una cosa buona, ma proprio perché nell'uso di quel bene c'è anche un uso del male. L'unione matrimoniale non è stata istituita, come credi, per il male della concupiscenza, bensì per il bene che da questo male deriva. Se nessuno avesse peccato, lo stesso bene si sarebbe avuto senza questo male. Ora però non ci può essere senza questo male, ma non per questo è male. Così pure, viceversa, nessun male ci può essere senza un bene, ma non per questo è un bene. L'opera buona di Dio sta nella natura, ma senza di essa non ci può essere la volontà cattiva. Di conseguenza, come l'adulterio non diventa buono per il fatto che non ci può essere senza il bene della natura, così l'unione matrimoniale non diventa cattiva per il fatto che non ci può essere senza il male della concupiscenza. Per questo motivo, anche se ti si concede che "non esiste il bene in ciò che è causa di un male", non ci sarebbe alcun riferimento al matrimonio che non è causa di male. Il matrimonio infatti non ha creato il male della concupiscenza, ma lo ha trovato e ne ha fatto buon uso. 24.54 - Il matrimonio non è cattivo a causa del peccato originale "Non può sfuggire al supplizio, tu dici, una cosa dalla cui partecipazione anche altri contraggono il reato". Non è assurdo se lo riferisci alla concupiscenza della carne. Di questo male, infatti, fanno buon uso i fedeli coniugi ma da esso contraggono il reato i figli, che, di conseguenza, hanno bisogno di essere rigenerati. Questo male non sfugge al supplizio: il suo, e questo supplizio, infatti, sta nell'essere punito con i generati qualora non siano rigenerati. Nei rigenerati, invece, essendo stati risanati in ogni parte, il supplizio si esaurisce. "Se dal matrimonio, tu scrivi, si contrae il peccato originale, l'unione matrimoniale è causa di male". Che diresti se qualcuno affermasse: se dalla natura si contrae la volontà cattiva, la creazione della natura è causa di male? Non sarebbe del tutto falso? Così lo è ciò che hai detto, anche il male originale non si contrae dal matrimonio, ma dalla concupiscenza della carne, contro cui anche tu combatti. Di questo male fanno buon uso gli sposati, quando essi si uniscono solo in vista della procreazione. Qualora non ci fosse stato il peccato che sarebbe passato a tutti gli uomini e non ci fosse stato di conseguenza un male da usare bene, i coniugi si sarebbero uniti ugualmente per procreare i figli. 24.55 - La causa della trasmissione del peccato Credo di avere già dimostrato abbastanza nel primo libro di quest'opera quanto hai errato nell'interpretazione dell'albero buono e di quello cattivo. Tornando tu a rifare gli stessi nodi già sciolti, non è il caso di fermarsi sulle cose superflue. Mi chiedi "per quale motivo nei bambini si trova il peccato" ed enumeri una quantità di beni tacendo il male contro cui combatti, ma mentre lo taci, esclami: "I genitori che con la loro unione sono stati causa di peccato sono giustamente condannabili: per opera loro il diavolo è giunto ad esercitare il suo potere sugli uomini!". Potresti dire lo stesso anche a Dio, non perché crea gli uomini che contraggono il peccato originale, cosa che tu neghi, ma perché nutre e veste innumerevoli empi, anche quelli che sa che resteranno nella loro empietà. Se non lo facesse, il diavolo non avrebbe uomini asserviti. Potrai dire che Dio nel nutrirli bada solo al bene di cui egli è il creatore, in quanto cioè sono uomini. Lo stesso i genitori, nel generare i figli, badano solo al loro bene, in quanto cioè sono uomini, non sapendo oltretutto quello che essi diventeranno. Non ci sarebbe stato alcun peccato, infatti, come tu stesso ammetti, se non ci fosse stata in precedenza una cattiva volontà. Il peccato originale, che noi affermiamo e voi negate, non ci sarebbe stato se la natura non fosse stata viziata dalla cattiva volontà del primo uomo. Non ci sarebbe stata neppure una cattiva volontà se non ci fosse stata in precedenza una natura angelica o umana. Per questo forse si dirà che Dio è causa dei peccati, perché la sua volontà è causa delle nature mutevoli? Come a Dio creatore non viene attribuito il fatto che le creature ragionevoli defezionano dal bene, ma solo il fatto che in se stesse sono buone, così ai genitori, che generano e fanno buon uso del male della concupiscenza, non si deve attribuire il fatto che i figli nascono con quel male, ma solo il fatto che essi sono una cosa buona. Non si può dire, quindi, come tu pensi, che "deriva dal diavolo l'origine dei neonati in quanto uomini, perché dal diavolo deriva solo l'origine del peccato, senza il quale non nasce nessun uomo". Non perché la morte trae origine dal diavolo, da lui debbono aver origine anche i mortali. 24.56 - Il male può sorgere solo in una natura buona Stai cercando "la fessura attraverso la quale è entrato il peccato in una munitissima fortezza di innocenza" e non ti accorgi che l'apostolo Paolo ti fa vedere non una fessura ma una larghissima porta con le parole: Per opera di un solo uomo il peccato entrò nel mondo e attraverso il peccato la morte; così la morte passò su tutti gli uomini. ( Rm 5,12 ) Saltando queste parole, aggiungi le tue: "l'opera del diavolo non può passare attraverso l'opera di Dio". Eppure gli uomini sono opera di Dio, il peccato è opera del diavolo e l'Apostolo afferma che esso è passato a tutti gli uomini. "Se la natura viene da Dio - esclami - da essa non può derivare il peccato originale", quasi che un altro non possa gridare con maggiore religiosità: se la natura viene da Dio, da essa non può nascere alcun male e in essa non ci può essere alcun male. Tuttavia è falso, perché il male non può derivare che dalla natura né può stare se non nella natura. Dichiaro pertanto che il neonato è opera di Dio anche se contrae il peccato originale, perché ciò che in lui è opera di Dio è un bene. L'opera di Dio rimane sempre buona, sia pure insieme al male, non solo nei bambini, ma anche in ogni altra età. Questo significa che la sostanza, la forma, la vita, il senso, la ragione e tutti gli altri beni rimangono beni anche in qualsiasi uomo cattivo. Del resto, chi fa vivere l'uomo se non colui nel quale viviamo, ci muoviamo e siamo? ( At 17,28 ) Ma questo avviene per l'opera nascosta della sua beneficenza, eccetto gli alimenti visibili con cui ci nutriamo dall'esterno. Colui pertanto che fa vivere l'uomo anche se tiene un comportamento vizioso, fa nascere l'uomo anche con un'origine viziata. 25.57 - Il matrimonio prima del peccato era immune dalla concupiscenza Dopo aver proposto altre parole del mio libro, per quale motivo mi fai dire che "l'istituzione del matrimonio era diversa prima del peccato di Adamo; avrebbe potuto essere, cioè, senza la concupiscenza, senza i movimenti del corpo e senza la necessità del sesso"? Togli al matrimonio la concupiscenza, per la quale la carne ha desideri contrari allo spirito, togli il male contro cui, in virtù della continenza, eserciti gloriose lotte e non hai bisogno di togliere null'altro, se cerchi come avrebbe potuto essere il matrimonio prima del peccato dei primi uomini. Chi mai ha immaginato un matrimonio senza i movimenti del corpo e senza la necessità del sesso? Noi diciamo solo che nel paradiso, prima del peccato, non avrebbe potuto esserci la guerra che i casti sentono in sé, siano essi sposati o non sposati. Il matrimonio è identico, con l'unica differenza che, nel generare i figli, ora deve fare buon uso del male della concupiscenza, mentre allora non avrebbe dovuto fare buon uso di alcun male. A cagione di questo male, tuttavia, esso non ha perduto i suoi beni consistenti nella fedeltà della castità, nel patto dell'unione e nel germe della propagazione. Anche allora il marito per procreare si sarebbe unito alla propria moglie, senza aver tuttavia nel proprio corpo il movimento della torbida libidine, ma semplicemente la tranquilla volontà con cui comandiamo le altre membra. 25.58 - I bambini non sono opera diabolica Mi rimproveri perché dichiaro "opera del diavolo, nati dalla malattia, e rei dall'origine, i bambini che hanno riempito il mondo e per i quali Cristo è morto". Nella loro sostanza i bambini non sono opera del diavolo, ma per opera del diavolo sono rei dall'origine. Per questo motivo, come del resto professi anche tu, Cristo è morto pure per i bambini perché anche ad essi appartiene il sangue sparso in remissione dei peccati. ( Mt 26,28 ) Negando che i bambini contraggono il peccato originale, di fatto voi li rendete estranei a quel sangue. Non adirarti se ho scritto che la concupiscenza è una malattia, alla quale tu stesso riconosci che è stato apportato un rimedio. Il principio dei bambini, dal quale essi sarebbero nati, si trovava in Adamo, ma poiché esso è stato viziato e condannato dal peccato, Cristo ne ha istituito un altro dal quale essi sarebbero rinati. 26.59 - La procreazione dei figli prima del peccato senza la concupiscenza "Qualora, tu dici, prima del peccato Dio avesse creato quello da cui gli uomini sarebbero nati ed il diavolo quello da cui i genitori sarebbero stati eccitati, senza dubbio ai neonati si dovrebbe attribuire la santità ed ai genitori la colpa". Che significa " … i genitori sarebbero stati eccitati …"? Se intendi il sentimento della volontà, per cui ognuno aspira ad avere figli, anch'esso è stato istituito da Dio; se invece intendi il turbamento della libidine, al cui eccitamento o al cui allontanamento non è sufficiente l'arbitrio della volontà, in questo caso è la ferita della natura inflitta dalla prevaricazione persuasa dal diavolo. Giustamente quindi ho scritto: "Nel corpo di quella vita il concepimento dei figli sarebbe avvenuto senza questo male, senza di cui non può avvenire nel corpo di questa morte". 26.60 - Tutta la natura mutata in peggio da quel grande peccato Segue la tua argomentazione che "i bambini appartengono al bene della fecondità, istituita con la benedizione di Dio prima della malattia della libidine e non alla malattia della libidine, sopraggiunta successivamente col peccato, e, di conseguenza, ai neonati si deve attribuire la santità ed ai genitori la colpa". Non ti rendi conto, però, che a causa di quel grande peccato è stata mutata in peggio tutta la natura, da cui doveva derivare l'umana progenie. In tal modo avresti potuto dire che solo Eva e non le altre donne avrebbe dovuto sentire il dolore del parto, perché la benedizione di Dio, espressa nelle parole: Crescete e moltiplicatevi, ( Gen 1,28 ) in virtù della quale sarebbero nati gli uomini, è stata impartita prima che il sesso della donna fosse punito con la maledizione. Se dicessimo questo, però, ci verrebbe risposto che come da quel peccato, così dalla maledizione è stata mutata in peggio tutta la natura da cui si contrae il peccato originale e da cui è imposto un grave giogo sui figli di Adamo. 26.61 - Esegesi di Rm 7,14ss Non è affatto vero, come tu pensi, che "l'Apostolo descriveva un giudeo posto ancora sotto la legge quando affermava: So infatti che il bene non dimora in me, vale a dire nella mia carne; e: Non sono io che compio il male, bensì il peccato che abita in me; e: Solo il male è alla mia portata; e: Sento nelle mie membra un'altra legge in conflitto con la legge della mia mente". ( Rm 7,18-20 ) Egli descriveva la natura umana in questa carne corruttibile, dapprima creata da Dio senza difetto e successivamente ferita dal vizio derivante dalla scelta della volontà dei primi uomini. Di chi è la voce: Ah me infelice! chi mi libererà da questo corpo fonte di morte? La grazia di Dio per mezzo di Gesù Cristo, nostro Signore! ( Rm 7,23-25 ) È forse la voce di un giudeo? No, senza dubbio è quella di un cristiano. Sua dunque è anche la voce precedente di cui questa è la conseguenza. È la stessa persona che esclama: La grazia di Dio mi libererà da questo corpo fonte di morte, per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore, e che grida: Sento nelle mie membra un'altra legge in conflitto con la legge della mia mente. ( Rm 7,23-25 ) 26.62 - S. Paolo parla del conflitto interiore dei cristiani Potresti credere però che si tratti della voce di un catecumeno, ancora in attesa del lavacro di rigenerazione, che, in seguito ad esso, spera di non avere più nelle sue membra alcuna legge di peccato in conflitto con la legge della mente. Perché non abbia a credere questo, ( tenendo presente che tu pure, se ti dobbiamo credere, con il bene della continenza eserciti gloriose battaglie contro il male della concupiscenza dopo il lavacro della rigenerazione ), ricorda le parole che l'Apostolo scriveva ai Galati, uomini certamente battezzati: Vi dico dunque: camminate secondo lo spirito per non appagare le voglie della carne. ( Gal 5,16 ) Non disse: Per non sentire, perché non avrebbero potuto farne a meno, bensì: Per non appagare, vale a dire: per non perfezionare col consenso della volontà le loro opere. La carne infatti, ha voglie opposte allo spirito, e spirito desideri opposti alla carne. Essi stanno in lotta tra loro, così che voi non fate ciò che vorreste. ( Gal 5,17 ) Vedi se non dice lo stesso nella lettera ai Romani: Non faccio il bene che voglio, ma commetto appunto il male che non voglio. Nella lettera ai Galati aggiunge: Ma se vi lasciate guidare dallo spirito, non siete più sotto la legge. ( Gal 5,18 ) Vedi se non dice lo stesso in quella ai Romani: Non sono più io che lo compio; e: Io mi diletto, seguendo l'uomo interiore, della legge di Dio; e: Il peccato, dunque, non regni più nel vostro corpo mortale sì da piegarvi alle sue voglie. ( Rm 7, 15. 20.22; Rm 6,12 ) Se, infatti, non si obbedisce alla concupiscenza, che necessariamente è presente nella carne di peccato ed in questo corpo fonte di morte, non si appaga quello che l'Apostolo vieta con le parole: Non appagherete la concupiscenza della carne. ( Gal 5,16 ) Sono esse le opere su cui insiste dicendo mirabilmente: È ben noto ciò che produce la carne, cioè fornicazione, impurità, dissolutezza, idolatria, ( Gal 5,19-20 ) ecc. Se non si acconsente alle voglie della carne, dunque, non si compiranno le opere della carne; quantunque ne permangono le sollecitazioni. Quando la carne ha voglie contro lo spirito e lo spirito contro la carne cosicché non facciamo quello che vogliamo, non sono portate a compimento le opere della carne, anche se sono fatte, né sono portate a compimento le nostre opere buone, anche se sono fatte. Come la concupiscenza della carne è portata a compimento solo quando lo spirito consente alle sue opere cattive, non solo non opponendosi ad esse, ma collaborando, alla stessa maniera le nostre opere buone saranno portate a compimento solo quando la carne avrà aderito talmente allo spirito da non avere più voglie contro di esso. Questo intendiamo quando aspiriamo alla perfezione della giustizia e questo dobbiamo volere senza interruzione. Siccome però in questa carne corruttibile non possiamo arrivare a tale perfezione, l'Apostolo ha scritto ai Romani: Volere il bene è alla mia portata, il portarlo a compimento non riesco a trovarlo, ( Rm 7,18 ) o, secondo il testo greco: Il bene è alla mia portata, il praticarlo no, vale a dire: non è alla mia portata portare a compimento il bene. Non ha detto "fare", ma portare a compimento il bene. Fare il bene significa non seguire le proprie brame, ( Sir 18,30 ) portarlo a compimento, invece, significa non avere brame. Quello che ai Galati è: Non appagate le brame della carne, ( Gal 5,16 ) lo stesso è all'opposto ai Romani: Non trovo il portare a compimento il bene. ( Rm 7,18 ) Le brame non vengono appagate nel male quando ad esse non si dà l'assenso totale della volontà, e la nostra volontà non porta a compimento il bene finché rimane in noi il movimento delle passioni pur se ad esse non acconsentiamo. Questo è un conflitto in cui, come in una gara, si misurano anche i battezzati, quando la carne ha voglie contro lo spirito e lo spirito contro la carne. In esso lo spirito, non consentendo alla concupiscenza, fa l'opera buona, ma non la porta a compimento perché non riesce a togliere i cattivi desideri; la carne ha il cattivo desiderio, ma non lo porta a compimento perché non trova lo spirito consenziente e, di conseguenza, non arriva neppure all'opera riprovevole. Che questo conflitto non appartenga ai giudei o ad altri, ma ai fedeli cristiani, che faticano in questa lotta vivendo bene, lo dimostra Paolo con le parole ai Romani: Io stesso, dunque, con la mente servo la legge di Dio e con la carne la legge del peccato. ( Rm 7,25 ) 26.63 - La ferita inflitta al genere umano Se tale è la condizione di questo corpo di morte, ( certamente non era tale nel paradiso in quel corpo di vita ), appare molto chiaro, senza dubbio, donde i bambini nella nascita secondo la carne traggono la soggezione al peccato, da cui sono liberati solo quando rinascono spiritualmente. Non lo contraggono dall'opera da cui Dio ha creato l'umana natura, bensì dalla ferita ad essa inferta dal nemico. Non un nemico derivante, come pensavano i manichei, da una natura del male, non creata da Dio, ma un angelo buono creato da Dio, e successivamente diventato cattivo per colpa sua. Questi ha rovinato dapprima se stesso ferendosi, cosicché scacciato ha fatto scacciare gli altri e, mediante la persuasione della prevaricazione, ha inferto la ferita per la quale il genere umano cammina zoppicando anche in quelli che camminano nella via di Dio. 26.64 - Ingiurie di Giuliano Pur tuttavia ti adiri con me perché ho detto: "Questa è la vergognosa concupiscenza, lodata spudoratamente dagli spudorati". E ancor più spudoratamente, adirato dici molte cose, esaltandovi come coloro che "aderendo alla santa Scrittura e ad una ragione certissima, difendete l'assenza del male nella natura col proposito di incitare gli uomini all'esercizio della virtù; insegnate non esserci vetta alcuna tanto alta per la virtù che uno spirito fedele non possa pervenirvi con l'aiuto di Dio; e per questo, dite, non esserci nella carne necessità alcuna del male, perché tutti, creati con onore, arrossiscano di vivere nella deformità, sicché il pudore si scontri con la turpe indolenza, nel ricordo dell'ingenita nobiltà", e tante altre cose del genere che con molta eloquenza hai riversato nella vostra predicazione. Nel contempo screditandoci dici che "l'eversione della santità, la contaminazione della pudicizia, la rovina dei costumi convengono senza dubbio, o, meglio, sono insiti nei nostri dommi; che io non posso negare di riversare le colpe di una vita cattiva sulla debolezza della natura per sottrarre il timore ai peccatori e che mi consolo delle loro brutture ingiuriando gli Apostoli e tutti i Santi citando frequentemente le parole del Vaso d'oro, quale fu l'apostolo Paolo: Non faccio il bene che voglio, ma il male che non voglio". ( Rm 7,15 ) Ed altre cose del genere. 26.65 - Altre calunnie di Giuliano Per la verità, pur lodando voi e rimproverando noi, combatti contro il male della concupiscenza e, combattendo, confessi con i fatti quello che neghi a parole. Vuoi far vedere in tal modo di essere giunto al culmine della virtù, e che, sulla stessa vetta dove credi di essere pervenuto, combatti come in una fortezza contro la concupiscenza che ti perseguita e, quantunque da un posto molto più alto, non smetti di combattere contro un nemico interno. E non ti vergogni di lodare la concupiscenza, che ti rovinerebbe molto di più qualora fosse vincitrice, ponendoti contro chi, anche quando vince, verrà a cercare te perduto. ( E non ti vergogni ) soprattutto perché verso la fine del tuo libro scrivi che "nel mio sentire non c'è altra intenzione se non quella di giurare sui sacramenti dei vizi per portar guerra alle virtù e per sgretolare con ogni astuzia e furore la città di Dio; di spaventare coloro ai quali ripugnano le brutture con l'impossibilità di poter conseguire la castità e di falsificare, esagerandole, le forze della libidine oscena, al punto che la ragione non possa controllarle e frenarle, perché ad essa non ha resistito neppure la schiera degli Apostoli". Menti del tutto, attribuendomi queste cose. Non faccio guerra alla virtù, infatti, ma, per quanto mi è dato, faccio guerra e proclamo che è assolutamente necessario far guerra ai vizi. Se anche tu fai questa guerra, perché lodare quello contro cui combatti? Come posso credere che tu, con la virtù, sconfigga i nemici che non osi lacerare con la parola? Se entrambi debelliamo la concupiscenza, perché non la vituperiamo entrambi? Perché non vuoi condannare con la voce la concupiscenza che ti vanti di sconfiggere con la continenza? Tu affermi che falsifico le tante forze della libidine al punto che la ragione non possa governarle e frenarle. Non dico affatto, però, che le forze della libidine sono tanto grandi che la ragione umana, illuminata ed aiutata da Dio, non possa governarle e frenarle. Ma tu perché insisti a negare che è male ciò che, non frenato, porta alla morte? Ecco allora che, con tutta la voce che mi è data, grido quello che tu mi fai negare: che, cioè, la schiera degli Apostoli ha contrastato la libidine, che veramente li contrastava. Tu che mi accusi di avere ingiuriato gli Apostoli, e che per questo ti indigni, perché ricolmi di lodi la loro e la tua nemica? Chi, se non un nemico degli Apostoli, può difendere la nemica che ha contrastato la schiera degli Apostoli? 26.66 - Contraddizioni di Giuliano sul conto della concupiscenza È possibile mai che la libidine possa con te meritare l'amicizia e la guerra per essere sconfitta da te dentro di te ed essere difesa contro di me? La vostra guerra però è nascosta, l'amicizia è palese: per questa che appare diventa sospetta quella che è nascosta. Come puoi pretendere che crediamo alla guerra che conducete di nascosto se vediamo l'amicizia allo scoperto? Come puoi pretendere che pensiamo tu combatta contro il pungiglione della libidine, mentre ne riempi i libri di lode? Ebbene, voglio vincere il mio sospetto: credo che tu sconfigga quello che lodi, ma sono addolorato perché lodi quello che sconfiggi. Da questo male e con questo male che viene sconfitto anche da te, è generato l'uomo al quale neghi la necessità della rigenerazione. Di esso gli sposati fanno buon uso, ma meglio fanno i continenti a non farne uso. Se inoltre questo è il male per il quale la carne ha voglie contro lo spirito ( Gal 5,17 ) ed al quale, come tu stesso confessi, si è opposta la schiera degli Apostoli, certamente gli sposati, facendone uso, non fanno buon uso di un bene ma di un male. Generati pertanto da questo male e con questo male, i figli debbono essere rigenerati, per essere liberati dal male. Anche i loro genitori sono nati rei di questo male originale, benché con la rinascita siano stati liberati da questo reato. Cosa dunque noi vorremmo che essi generassero, non donde sono rinati ma donde sono nati, se non quello che essi stessi sono nati? Rei, cioè, perché essi stessi sono nati rei e, generando donde essi sono nati, non hanno potuto generare altro se non quello che essi stessi sono nati. Donde sono rinati poi, indi sono stati liberati dal reato con cui erano nati. Per questo quelli che essi, ormai liberati, hanno generato rei, con la stessa rigenerazione debbono essere liberati. Sono nati, infatti, rei di questo male di cui fanno buon uso quelli che sono rinati, perché nascano i figli che dovranno essere rigenerati. Se non combatti contro questo male, credi a chi combatte. Se combatti, riconosci l'avversario. Lodando il male, non voler ritenere amico colui che, combattendo, sperimenti come nemico. Libro IV 1.1 - Riassunto del terzo libro Passo ora ad esaminare le altre questioni, partendo dall'inizio del secondo dei tuoi libri, con cui hai cercato di confutare il mio. Come stabilito ometterò tutto ciò che non ha nulla a che fare con la questione che ci preme risolvere e non mi fermerò su cose superflue per non distogliere il lettore dall'attenta riflessione con la prolissità dell'opera. Nel precedente libro ho parlato abbastanza perché a chi pensa rettamente fosse chiaro che Dio, buono e vero, è il Creatore degli uomini; che il matrimonio è un bene, e che è stato istituito da Dio con la creazione e l'unione dei due sessi ed è stato benedetto col dono della fecondità; che la concupiscenza tuttavia, per la quale la carne ha voglie contro lo spirito, ( Gal 5,17 ) è un male di cui fa buon uso la pudicizia coniugale, e di cui la continenza ancor più santa fa meglio a non farne uso affatto; che il male non è stato mescolato a noi, come sostengono i manichei, da una sostanza non creata da Dio, ma è nato ed è stato tramandato per la disobbedienza di un solo uomo e dev'essere espiato e sanato dall'obbedienza di un altro; che, per il legame con esso, una pena dovuta colpisce chi nasce ed una grazia non dovuta scioglie chi rinasce. Lodando questo male contro di me, ti riveli come mio avversario, combattendolo in te, sei mio testimone; non combattendolo, invece, sei nemico a te stesso. Pertanto, anche se credo di aver risposto abbastanza al tuo primo libro, e benché la questione possa dirsi finita, tuttavia, per non dare l'impressione che non sappia rispondere agli altri tre, esamino quante sciocchezze hai detto anche in essi. 1.2 - La pudicizia coniugale è un dono di Dio Dopo avere citato alcune parole dal mio libro, esulti perché, "sulla testimonianza dell'Apostolo, ho detto: la pudicizia coniugale è un dono di Dio" ( 1 Cor 7,7 ) quasi che per questo egli abbia lodato il male lodato da te, per il quale la carne ha voglie opposte allo spirito ( Gal 5,17 ) e del quale fa buon uso la pudicizia coniugale, come ti ho dimostrato nel mio precedente libro. Non è infatti un piccolo dono di Dio riuscirlo a frenare in maniera da non farlo abbandonare ad alcunché di illecito, e da servirsene solo per generare dei figli destinati alla rigenerazione. Il suo impeto non si frena automaticamente e qualora le membra acconsentissero alle sue brame non si asterrebbe da nessun illecito. Per questo motivo non è degno di lode il movimento in sé, che è sempre inquieto, ma colui che lo frena e ne fa buon uso. 1.3 - L'intenzione dei coniugi pii I fedeli sposati, pertanto, che per dono del Salvatore sono stati sciolti dal reato di questo male, quando ne fanno buon uso, non preparano come tu obietti, per il regno del diavolo coloro che, per dono dello stesso Salvatore, nascono da essi, ma li generano perché siano sottratti e trasferiti nel regno del Figlio Unigenito. Questa è e dev'essere l'intenzione dei buoni coniugi: che la generazione sia una preparazione alla rigenerazione. Se questo male che i genitori sentono in sé ed a cui, per usare le tue parole, "si è opposta la schiera degli Apostoli", non riguardasse anche i figli, senza dubbio ne sarebbero immuni. Dal momento però che essi ne nascono soggetti perché ti meravigli che i bambini rinascono per essere sciolti dall'obbligazione e per essere premiati alla fine quali vincitori, sia nel caso che siano sottratti a questa vita subito dopo essere stati liberati e sia nel caso che, dopo essere stati liberati, debbono combattere contro di esso in questa vita? 1.4 - L'unione dei corpi è necessaria nel matrimonio Chi di noi ha mai lontanamente pensato che "l'uso del matrimonio è stato scoperto dal diavolo"? Chi di noi ha mai creduto che "l'unione dei corpi c'è stata per colpa della prevaricazione", dal momento che non può esserci matrimonio senza unione? Non ci sarebbe stato alcun male da usare bene però, se nessuno avesse peccato. Obiettami pure quello che ho detto perché possa spiegarmi: se tu mi obietti quello che non ho detto, quando finiamo? 1.5 - Il male contratto con la generazione dev'essere sanato con la rigenerazione Ritieni logico che "se un uomo nasce con un male, vuol dire che il dono di Dio è nocivo: nessuno infatti nasce se non per dono di Dio". Ascolta e comprendi. Il dono di Dio per cui ciascuno esiste e vive non è nocivo a nessuno. Il male della concupiscenza, però, non può sussistere se non in chi esiste e vive. Per questo ci può essere un male in un dono di Dio, che sarà sanato da un altro dono di Dio. Nell'uomo, quindi, che per dono di Dio esiste e vive, ci può essere un male contratto con la generazione, che sarà sanato con la rigenerazione. Nessun bambino, infatti, nascerebbe soggetto al diavolo se non nascesse, ma non per questo la causa di questo male sta nell'essere nato. Il bambino nasce per dono di Dio, ma soggetto al demonio, secondo un giudizio di Dio, certamente occulto, ma forse ingiusto? 2.6 - Il bene dei matrimonio oggetto di preghiera "Anche il bene coniugale si deve chiedere al Signore se non lo si ha". ( Chi altri dovrebbe chiederlo se non colui al quale è necessario? ). Con queste parole ti è sembrato che io abbia detto: "Si deve pregare per avere la forza di compiere l'unione coniugale". Io però ho detto che bisogna pregare per la castità coniugale, nella quale non c'è libero uso nel rapporto, ma lecita misura. Se un uomo non può praticare l'unione coniugale, non cerchi neppure la moglie. Secondo le parole dell'Apostolo, infatti: Se non sanno serbarsi continenti, si sposino, ( 1 Cor 7,9 ) il matrimonio, come tu stesso ammetti, è un rimedio al male della concupiscenza, che ti ostini a negare pur ammettendo il rimedio. Questo rimedio esiste non perché ci sia la concupiscenza qualora non ci fosse, ma per impedire che essa, essendo la sua spinta senza freni, trascini all'illecito. Appartiene a questo genere di richieste quella che facciamo nella preghiera del Signore: Non c'indurre in tentazione, ( Mt 6,13 ) poiché ciascuno è tentato dalla propria concupiscenza ( Gc 1,14 ) come afferma l'apostolo Giacomo. Ad essa si riferisce anche l'altra preghiera: Liberaci dal male. ( Mt 6,13 ) Lo stesso chiedono i coniugi affinché, con la mente libera dal male, possano fare buon uso del male che hanno nella carne ( sanno bene infatti che nella loro carne non dimora il bene ( Rm 7,18 ) ), poi, sanata tutta la corruttibilità, in essi non rimanga alcun male di cui debbano fare buon uso. Perché ti vai gloriando come se avessi sconfitto un nemico? Vinci piuttosto il nemico interno che tu lodi. Finché quel male combatte dentro di te, la mia vittoria su di te è sicura. Non oserai infatti dire che chi dice il vero sarà vinto da chi dice il falso. Ora io dico che la concupiscenza contro cui combatti è un male, tu invece che è un bene: la guerra che combatti però dimostra che è un male quello che la lingua falsamente dichiara un bene. Accrescendo per di più la tua menzogna con un'altra affermando che io l'ho dichiarata buona. Non ho detto affatto che la concupiscenza di cui l'apostolo Giovanni dice che non è dal Padre, ( 1 Gv 2,16 ) è un bene. Ho detto soltanto che è un bene la pudicizia coniugale, che resiste al male della concupiscenza perché, quando questa si eccita, non trascini all'illecito. 2.7 - Il pensiero dei due avversari sulla concupiscenza Riconoscendo quanto hai ragionato a vuoto, tocchi, tu dici, l'altro aspetto della mia definizione ed aggiungi: "Se il calore genitale, servitore dell'onestà coniugale, è trattenuto dagli smodati impulsi sia dall'impegno dei fedeli, sia dalla virtù del dono, ma non è estinto dalla grazia, ma solo frenato, è accettabile nel suo genere e nella sua moderazione, ed è condannato solo nei suoi eccessi". Scrivendo queste parole non ti rendi conto che l'unione dei coniugi in vista della generazione è un bene lodevole in quanto con essa è posto un limite lecito al male della concupiscenza. Ma perché non dev'essere chiamato male quello che riconosci dev'essere frenato? Perché poi deve essere frenato, se non per evitare che rechi danno e che si abbandoni alle brutture che brama? Finché non si giunge ad esserne privi del tutto, il desiderio del male è già male anche se non vi si consente. Non si deve quindi pensare al bene che può derivare dalla concupiscenza, ma piuttosto al male che produce. La castità coniugale trattiene la concupiscenza, bramosa di ricavare piacere sia dal lecito che dall'illecito, dal fare cose illecite e la guida verso cose lecite, verso un bene cioè non suo ma di chi ne fa buon uso. L'azione della concupiscenza in se stessa, l'infiammare cioè indifferentemente verso il lecito o verso l'illecito, è indubbiamente un male. Di esso la castità coniugale fa buon uso, ma la continenza verginale fa molto meglio a non farne uso affatto. 2.8 - La generazione non può avvenire senza la concupiscenza "Se il calore genitale, tu scrivi, poteva essere naturalmente cattivo, doveva essere estirpato più che regolato". Vedi come non hai voluto dire "frenato", come dicevi sopra, ma hai preferito "regolato". Ti sei accorto che non lo può frenare chi non lo ha in contrasto. Cambiando la parola, spinto da quel sentore, hai finito per ammettere che è male ciò che contrasta il bene. Preferisci poi chiamare "calore genitale" perché ti rincresce di chiamare "libidine" o concupiscenza della carne, termine usato abitualmente dal linguaggio divino. Parla dunque così, dì pure: "Se la concupiscenza della carne poteva essere naturalmente cattiva, doveva essere estirpata più che regolata". In tal modo i lettori più lenti, se sanno di latino, possono capire quello che dici. Lo dici però come se tutti quelli che si sposano perché non sopportano la fatica della continenza con cui si resiste alla concupiscenza, e che di conseguenza scelgono di farne buon uso anziché far meglio a non farne uso affatto, non preferirebbero estirparla nel proprio corpo se fosse loro possibile. Se in questo corpo di morte questo male è necessario agli sposati, per ché senza di esso non si può avere il bene della generazione, i continenti estirpino la concupiscenza della carne. Tu però, proprio tu che parli e non badi a quello che dici, estirpa la libidine dalle tue membra. A te non è necessaria e non sono buone per te le sue voglie, che ti procureranno la morte, se ad esse acconsenti o ti arrendi. 2.9 - I coniugi fanno un buon uso del male della concupiscenza Se in te c'è un male che ti contrasta, che tu combatti e sconfiggi quando sei vittorioso, fai molto meglio a non fare uso di questo male di cui fanno buon uso quelli nei quali pretendi che esso sia un bene. Su questo punto o menti o ti sbagli. Non dirai, spero, che la libidine è un bene negli sposati ed è un male invece nei santi, nelle vergini e nei continenti. Abbiamo già la tua tesi dove hai scritto: "Chi conserva la moderazione nella concupiscenza naturale, fa buon uso di un bene; chi invece non la conserva, fa cattivo uso di un bene; chi poi per amore della santa verginità, disprezza anche la moderazione, fa meglio a non far uso di un bene, perché la fiducia nella sua salvezza e nella sua forza gli ha fatto disprezzare il rimedio, onde poter affrontare gloriose lotte". Con queste tue parole, senza ambiguità, dichiari che la concupiscenza della carne esiste negli uni e negli altri, negli sposati cioè e nei continenti. Ora quello di cui gli sposati fanno buon uso ed i continenti fanno meglio a non farne uso, io lo dichiaro un male e tu un bene. Nelle vergini sante, però, e nei continenti appare con evidenza che la concupiscenza è un male contro cui, come ammetti tu pure, essi esercitano gloriose lotte. Senza dubbio quindi non di un bene ma di un male fanno meglio a non far uso. Ed anche i coniugi facendo uso di esso fanno buon uso di un male e non di un bene. Tutta la controversia che è rimasta ( seppure è rimasto qualcosa! ) è questa: in chi ha consacrato a Dio la propria continenza, la concupiscenza di cui parliamo è un bene o un male? Quella delle due cose che si scoprirà in essi, apparirà con evidenza anche negli sposati poiché questi fanno buon uso della stessa cosa di cui quelli fanno meglio a non far uso. Raccogli pertanto tutta l'energia del tuo acuto ingegno e, a mente serena, rispondi pure, se hai coraggio, "che è un bene quello a cui ha resistito tutta la schiera degli Apostoli", come tu stesso hai ammesso nel precedente libro quando mi rimproveravi perché avevo detto che "le forze della libidine erano tante che ad essa non ha resistito neppure la schiera degli Apostoli". Tutto questo torna piuttosto a vantaggio della mia tesi perché a questo male che tu dichiari un bene, si è opposta non una schiera qualunque di santi, ma proprio quella degli Apostoli. Chi può mai credere che un male abbia tanta forza da poter trovare ammiratori anche tra coloro che lo sconfiggono? Ben lontano in verità sia il credere che qualcuno degli antichi, degli Apostoli, di tutti gli altri santi o, strano a dirsi, anche qualcuno dei nuovi eretici possa professarsi ad un tempo, in maniera incomprensibile naturalmente, vincitore e difensore della libidine, e che, restando nell'eresia pelagiana, si sforzi di dimostrare che egli loda dal profondo dell'anima qualcosa che ucciderebbe l'animo stesso se non fosse sconfitta e che, nello stesso tempo, sconfigge dal profondo dell'anima qualcosa che, se non fosse lodata ne renderebbe vano il domma. 2.10 - L'oggetto della concupiscenza è cattivo Se in voi c'è ancora un po' di buon senso, vi domando: è possibile che il peccato sia un male e sia un bene il desiderarlo? Cosa infatti la concupiscenza suscita nella carne dei santi continenti se non il desiderio di peccare a cui non acconsentono "esercitando, come tu stesso ammetti, gloriose lotte"? In quella professione di continenza non può non essere male neppure il semplice desiderio dell'unione coniugale. Cosa dunque essa suscita laddove è male qualunque cosa fa, come se vi acconsentisse e lo portasse a compimento? Cosa suscita la concupiscenza laddove nulla di buono viene desiderato da essa? Che cosa può fare la libidine laddove nulla di buono potrà sorgere da essa? Non si dica neppure che essa è presente non importunamente nei coniugati: se essi infatti raggiungono il culmine della castità coniugale faranno qualcosa di buono per mezzo di essa, ma non faranno nulla di buono a causa di essa. Nei santi vergini e continenti che cosa fa, ti scongiuro, che cosa fa questa tua alleata se vaneggi o nemica se rinsavisci? Che cosa fa laddove niente di buono essa può fare e niente di buono si può trarre da essa? Che cosa fa in quelli nei quali è male qualunque desiderio sia concorde con essa? Che cosa essa fa in chi costringe a vigilare e a combattere contro di sé? E se talvolta riesce a rubare loro un consenso almeno nel sonno, cosa fa in costoro che, al risveglio, si lamentano e gemono: Come è possibile che l'anima mia sia ripiena di illusioni? ( Sal 38,8 ) Quando il sonno inganna i sensi assopiti, non so proprio come le anime caste possano cadere in cattivi consensi, che se l'Altissimo li dovesse imputare, chi potrebbe esser casto? 2.11 - La infirmitas, causa della lotta Spero che non vorrai chiamare bene questo male, a meno che non sia diventato sordo ad ogni richiamo della verità, al punto da gridare che è un bene desiderare il male, cosa che non oseresti gridare neppure ai sordi. Questo male, dunque, perché non è estirpato dalla carne dei casti? Perché non è estirpato totalmente ad opera della mente? Tu dici che "questo sarebbe dovuto avvenire se fosse stato un male". E siccome questo non avviene negli sposati, nei quali la moderazione è necessaria, ritieni che sia un bene. Fa' bene attenzione però che non avviene neppure in coloro nei quali nessuna moderazione è necessaria. Per essi anzi la sua stessa presenza è dannosa, non al punto da portare alla perdizione, se non gli si dà il consenso, ma in quanto sottrae alla mente dei santi il diletto spirituale di cui l'Apostolo scrive: Io mi diletto, secondo l'uomo interiore, della legge di Dio. ( Rm 7,22 ) Questo diletto certamente diminuisce quando l'animo di chi combatte è impegnato non ad appagare ma a contrastare la concupiscenza del piacere carnale. In tal modo egli esercita gloriose lotte ma col risultato di essere allontanato per le stesse lotte dal gusto della bellezza intellettuale. Ma poiché in questa umana miseria il nemico peggiore è sempre la superbia, da cui ci si deve guardare, nella carne dei santi continenti questa concupiscenza non si estingue del tutto, cosicché, mentre combatte contro di essa, l'anima, ammonita da pericoli costanti, non si gonfi fin quando la fragilità umana non arriverà al culmine della perfezione, dove non ci sarà più putredine di dissolutezza o timore di superbia. La virtù si perfeziona nella debolezza ( 2 Cor 12,9 ) perché anche il combattere appartiene alla debolezza. Quanto più facilmente si vince, infatti, tanto meno si combatte. Chi combatterebbe contro se stesso se dentro non ci fosse nulla che lo contrastasse? E cosa ci contrasta dentro di noi, se non ciò che deve essere ancora curato per essere sanato? In noi, dunque, la debolezza è la sola causa del combattimento e la stessa debolezza è ammonimento a non insuperbirsi. La virtù dunque, per cui l'uomo non si insuperbisce quaggiù mentre lo potrebbe, si perfeziona nella debolezza. 2.12 - La concupiscenza è in se stessa un disordine Per questo i coniugi fanno buon uso di ciò di cui i continenti fanno meglio a non far uso affatto. Il male di cui i coniugi fanno buon uso è insito in essi perché ne facciano buon uso e, affinché non s'insuperbiscano, è insito anche nei continenti che fanno molto meglio a non farne uso. Dei soli eccessi della libidine quindi è incolpato solo chi non le pone un freno, mentre giustissimamente è accusata di per se stessa, a causa dei suoi stessi movimenti, a cui si fa resistenza perché non abbia il sopravvento. È falsa pertanto la tua affermazione: "La moderazione di una cosa che fa male a causa del suo stesso genere, non porta affatto all'innocenza". Non acconsentire ad un male, però, porta all'innocenza, ma non per questo finisce di essere male ciò a cui non si acconsente, anzi proprio per questo indubbiamente è un male appunto perché è bene non acconsentirvi. Che male farebbe chi acconsente ad un buon desiderio, dal momento che non fa nulla di male neppure chi nell'atto matrimoniale, pur con il male della concupiscenza, pone il seme dell'uomo, creatura buona di Dio? Non dirai neppure che "la libidine produce il seme". È creatore del seme dell'uomo, infatti, Colui che crea l'uomo dal seme. Ora a noi interessa donde lo crea. Poiché il contagio di questo male è occulto e funesto, Dio non crea né il seme né l'uomo da uomini che non hanno tale male, anche se taluni sono stati sciolti dal danno di quel male per la rigenerazione, come del resto per essa saranno sciolti anche coloro che nasceranno. 2.13 - La concupiscenza si oppone alla volontà buona Riguardo alla castità coniugale ho scritto veramente, e non me ne pento, le parole da te citate: "… poiché quando queste cose ci vengono presentate come dono di Dio, si sa a chi dobbiamo chiederle se non le abbiamo e chi dobbiamo ringraziare se le abbiamo". Si ringrazia non per "l'origine della concupiscenza", come tu dici, la cui origine è il primo male dell'uomo, ma "per il dominio di essa", cosa che dici rettamente. Delle due cose, infatti, tu parli "dell'origine e del dominio". Si ringrazia per il dominio sulla concupiscenza perché la si vince nel contrasto. Chi può negare poi che quello che si oppone alla buona volontà non è un bene ma un male, se non chi non ha il bene della volontà per riconoscere come male ciò che lo contrasta? 3.14 - Veramente casto è il coniuge che serba fedeltà per amore di Dio Dal mio libro tu citi altre parole con cui, dopo avere ricordato, sulla testimonianza dell'Apostolo, che la castità coniugale è un dono di Dio, non ho voluto passare sotto silenzio la questione che ne derivava, quella cioè riguardante il matrimonio di taluni infedeli che vivono castamente con le loro mogli. Per negare che le virtù con le quali si vive rettamente sono un dono di Dio e per attribuirle non alla grazia, ma alla natura umana, siete soliti ricorrere all'argomento che taluni infedeli le posseggono. Cercate in tal modo di svuotare la nostra convinzione che nessuno può vivere rettamente se non trae forza dalla fede per mezzo di Gesù Cristo Signore nostro, unico Mediatore tra Dio e gli uomini, dimostrandovi, di conseguenza, suoi manifesti avversari. Ma non andiamo lontano. Se per caso sbaglio, rispondimi. Io ho detto: "Non può essere chiamato veramente casto chi conserva la fedeltà alla moglie ma non per il Dio vero". Per dimostrartelo mi sono servito di quello che mi è sembrato un ottimo argomento. Scrivevo così: "Se la castità è una virtù cui si oppone il vizio della impudicizia e, se tutte le virtù, anche quelle che vengono praticate attraverso il corpo, dimorano nell'animo, come si può dire veramente casto il corpo, quando l'anima si prostituisce lontano dal vero Dio?". Perché nessuno di voi negasse che l'anima degli infedeli si prostituisce lontano da Dio, mi sono servito di una testimonianza della Sacra Scrittura: Quelli che si allontanano da te periranno; hai mandato in rovina chiunque si prostituisce lontano da te. ( Sal 73,27 ) Ma tu, che "persegui, come dici, le mie argomentazioni che a me sembrano molto acute", hai saltato del tutto questa, come se a me fosse sembrata stupida. Vedi un po' quale di queste cose si deve negare. Certamente confesserai subito che la castità coniugale è una virtù e non negherai che tutte le virtù, anche quelle che vengono praticate attraverso il corpo, dimorano nell'animo. Che l'animo dell'infedele si prostituisca lontano da Dio, lo può negare solo chi apertamente si professa nemico della Sacra Scrittura. Da tutto questo, in sintesi, si deduce che ci può essere vera pudicizia nell'anima che si prostituisce, cosa di cui tu stesso vedi l'assurdità, oppure che nell'anima dell'infedele non ci può essere vera castità. Quando dico questo, però, tu fai il sordo. Non è vero, dunque, come mi vai calunniando, che io "lodo i doni per disprezzare la sostanza". Se la sostanza umana, di cui i vizi stessi offrono una testimonianza della sua bontà naturale, non fosse buona, non sarebbe capace dei doni divini. Cos'altro infatti giustamente dispiace nel vizio, se non il fatto che sottrae o sminuisce quello che nella natura piace? 3.15 - La grazia non è mai dovuta Quando l'uomo dunque viene aiutato da Dio, "non viene aiutato soltanto per conseguire la perfezione", come hai scritto, presupponendo naturalmente che egli inizi senza la grazia il cammino che la grazia perfeziona, ma viene aiutato piuttosto secondo quanto afferma l'Apostolo: Chi in voi ha iniziato l'opera buona, la perfezionerà fino al compimento. ( Fil 1,6 ) Tu vuoi che l'uomo si glori del libero arbitrio e non di Dio quando, come tu dici, "è spinto dagli stimoli del suo cuore generoso a fare qualcosa di lodevole". Ma così, se egli deve dare prima per ricevere dopo, la grazia non è più grazia, poiché non è gratuita. Tu dici che "la natura degli uomini, che merita l'aiuto di tale grazia, è buona". Ti sarei grato se ti sentissi dire che questo avviene perché la natura è ragionevole: la grazia di Dio, infatti, per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore non è concessa alle pietre, al legno ed agli animali. L'uomo merita la grazia perché è immagine di Dio, ma non nel senso che la buona volontà possa andare avanti senza la grazia, o che possa dar prima per ricevere poi, sicché la grazia non sarebbe più grazia ( Rm 11,6.35 ) appunto perché non donata gratuitamente ma restituita dovutamente. Che significa poi che, alla vostra maniera, avete creduto che "ho chiamato dono celeste l'effetto della volontà umana", come se la volontà umana si potesse muovere verso il bene senza la grazia di Dio, sicché gli venisse retribuito da Dio l'effetto dovuto? A tal punto avete dimenticato che con la Sacra Scrittura noi diciamo contro di voi: La volontà viene preparata da Dio ( Pr 8, 5 ) e: È Dio, infatti, che suscita in noi anche il volere? O ingrati alla grazia di Dio! O nemici della grazia di Cristo e cristiani solo di nome! Non prega forse la Chiesa per i suoi nemici? E cosa chiede? Se ad essi deve essere retribuito secondo il valore della loro volontà, cos'altro può chiedere per essi se non un grande castigo? Ma questo è andare contro di essi, non a loro favore. La Chiesa invece prega per essi, non perché abbiano già la volontà buona, ma perché la loro cattiva volontà si muti in buona. La volontà infatti viene preparata da Dio, ed è Lui, come scrive l'Apostolo, che suscita in voi anche il volere. ( Fil 2,13 ) 3.16 - Le virtù dei pagani o non sono vere o sono dono di Dio Acerrimi nemici qual siete di questa grazia, ci obiettate l'esempio degli empi che, voi dite, "benché estranei alla fede, abbondano di virtù; in essi non c'è l'aiuto di Dio, ma solo il bene di natura, pur se talvolta inficiato da superstizioni, eppure con le sole forze della libertà ingenita spesso sono misericordiosi, modesti, casti, sobri". Così dicendo hai sottratto alla grazia di Dio anche quello che prima le attribuivi, vale a dire l'effetto della volontà. Non hai detto infatti che essi vorrebbero essere misericordiosi, modesti, casti, sobri e non lo sono proprio perché non hanno ancora avuto dalla grazia l'effetto della buona volontà, ma affermi semplicemente che se vogliono esserlo lo sono senz'altro. In essi evidentemente troviamo la volontà e l'effetto della volontà. Cosa rimane alla grazia di Dio in tante evidenti virtù che, a tuo avviso, abbondano in essi? Quanto sarebbe stato meglio, se ti piace lodare gli empi senza ascoltare le parole della Scrittura: Chi dice al colpevole: "Sei innocente" sarà maledetto dai popoli, sarà esecrato dalle nazioni, ( Pr 24,24 ) e predicare che essi abbondano di vere virtù? Quanto sarebbe stato meglio riconoscere che anche queste virtù sono un dono di Dio, al cui decreto occulto ma non ingiusto si deve attribuire se taluni nascono stolti o lentissimi d'ingegno e addirittura ottusi nel capire, se altri nascono smemorati, altri forniti di intelligenza o di memoria o di entrambi i doni, tali da poter acutamente comprendere le cose e quindi conservarle nello scrigno di una tenacissima memoria? A Dio si deve altresì se taluni sono remissivi di natura, mentre altri sono molto irascibili anche per futili motivi, e se altri, fra questi estremi, pongono un giusto limite alla bramosia della vendetta; se taluni sono impotenti, o talmente freddi al coito da non essere quasi eccitati, mentre altri sono tanto focosi da non potersi frenare ed altri, fra entrambi gli eccessi, sono capaci di eccitarsi e di frenarsi; se taluni sono molto timidi, altri coraggiosissimi ed altri né l'una né l'altra cosa; così pure se alcuni sono ilari, altri tristi ed altri non inclini né all'una né all'altra cosa. Tutto questo non è attribuito a decisioni o propositi, ma alla natura, tanto che i medici osano attribuirlo alla costituzione fisica. Anche se si potesse provare che non esiste questione o è già chiusa, si può forse dire che ciascuno ha creato il proprio corpo e può attribuirsi alla volontà di ciascuno il fatto di soffrire in misura maggiore o minore di questi mali naturali? Certamente, infatti, nessuno, mentre vive quaggiù, in nessuna maniera e per nessun motivo può non patirli. Pur tuttavia, sia se si è gravati da grandi o da piccoli mali, non è lecito dire a colui che si è fatto da sé, anche se onnipotente, giusto e buono: Perché mi hai fatto così? ( Is 45,9; Rm 9,20 ) Nessuno, se non il secondo Adamo, può liberare dal giogo che grava sui figli del primo Adamo. ( Sir 40,1 ) Quanto sarebbe più accettabile attribuire quelle, che negli infedeli chiami virtù, al dono di Dio più che alla loro volontà soltanto. Essi però lo ignoreranno fino a quando, se sono del numero dei predestinati, riceveranno da Dio lo spirito per capire i doni ricevuti da Dio. ( 1 Cor 2,12 ) 3.17 - Se la giustizia viene dalla volontà e dalla natura, Cristo è morto invano Non può esserci vera virtù senza vera giustizia, né può esserci vera giustizia se non si vive di fede. È scritto infatti: Il giusto vive di fede. ( Rm 1,17 ) Chi mai tra coloro che vogliono essere ritenuti cristiani, eccetto i soli pelagiani, o eccetto tu solo forse tra i pelagiani, potrà dichiarare giusto un infedele, giusto un empio, giusto uno che appartiene al diavolo? E questo sia che si tratti di Fabrizio, di Fabio, di Scipione o di Regolo, col nome dei quali hai creduto di spaventarmi come se ci trovassimo in una antica curia romana. Su questo argomento puoi anche appellarti alla scuola di Pitagora o di Platone, nella quale uomini eccezionalmente eruditi in una filosofia molto più nobile delle altre sostenevano che non esistono vere virtù, se non quelle impresse in certo modo nella mente dalla forma di quella eterna ed immutabile sostanza che è Dio. Ebbene, con tutta la forza che mi è data, anche nell'interno di questa scuola continuerò a gridare con la libertà della pietà che neppure in quei filosofi c'è vera giustizia. Il giusto vive di fede. La fede nasce dalla predicazione e la predicazione ha luogo per mezzo della parola di Cristo. Il termine della legge è Cristo, affinché chiunque creda consegua la giustificazione. ( Rm 10,4.17 ) Come possono essere veramente giusti coloro per i quali è viltà l'umiltà del vero Giusto? La superbia li ha allontanati dal punto dove li aveva avvicinati l'intelligenza, poiché pur avendo conosciuto Dio, né gli diedero gloria, come a Dio, né gli resero grazie, ma vaneggiarono nei loro ragionamenti ed il loro cuore insensato si offuscò. Essi che pretendevano di essere sapienti, diventarono stolti. ( Rm 1,21-22 ) Come può esserci vera giustizia se in essi non c'è vera sapienza? Se noi l'attribuissimo a loro, non ci sarebbe motivo per dire che non arrivano al regno del quale è scritto: Il desiderio della sapienza porta al regno. ( Sap 6,21 ) Cristo sarebbe morto invano se gli uomini, pur senza la fede in Cristo, potessero giungere per qualunque altra ragione o qualunque altra via alla vera fede, alla vera virtù, alla vera giustizia, alla vera sapienza. E quindi, come l'Apostolo con assoluta verità afferma riguardo alla legge: Se la giustizia si ottiene mediante la legge, Cristo allora è morto inutilmente, ( Gal 2,21 ) alla stessa maniera, con identica verità, si potrebbe dire: se la giustizia si ottiene per mezzo della natura e della volontà, Cristo è morto inutilmente. Se una giustizia qualsiasi si ottiene per mezzo della dottrina degli uomini, Cristo è morto inutilmente. Il mezzo che porta alla vera giustizia è lo stesso che porta al regno di Dio. Dio stesso, infatti - sia ben lontano il pensarlo! -, si dimostrerebbe ingiusto se non ammettesse nel suo regno un vero giusto, dal momento che il suo regno è essenzialmente giustizia, come è scritto: Il regno di Dio non è né cibo né bevanda, ma giustizia, pace e gioia. ( Rm 14,17 ) Di conseguenza se gli empi non hanno vera giustizia, le altre virtù, compagne e colleghe di essa, anche quando sono presenti, non sono vere virtù. ( Quando i doni di Dio non sono riferiti al loro Creatore, per questo stesso fatto i cattivi che se ne servono diventano ingiusti ). Per tutte queste ragioni la continenza e la castità non possono essere vere virtù negli empi. 3.18 - Quando le virtù sono " vere " Tu intendi molto male le parole dell'Apostolo: Quelli che partecipano alla gara s'impongono ogni sorta di privazioni. ( 1 Cor 9,25 ) Arrivi infatti ad affermare che la continenza, una virtù tanto grande della quale è scritto che nessuno può essere continente se non gli è dato da Dio, ( Sap 8,21 ) la possono possedere anche i flautisti o altri simili individui turpi e infami. Gli atleti, quando partecipano alla gara, si astengono da ogni cosa per conseguire una corona corruttibile; non si astengono tuttavia dalla cupidigia di questa vanità. Questa cupidigia vana e perciò cattiva domina o frena in essi le altre cattive cupidigie, per cui sono detti continenti. Per fare una gravissima offesa agli Scipioni, hai attribuito la continenza tanto lodata in essi, anche agli istrioni, ignorando del tutto che l'Apostolo, nell'esortare gli uomini all'amore della sapienza, ha preso esempi dalle viziose passioni degli uomini, allo stesso modo come, in un altro passo, la Scrittura, per esortare gli uomini all'amore della sapienza, ha detto che bisogna cercarla come il danaro. ( Pr 2,4 ) Si dirà forse per questo che la Sacra Scrittura ha esaltato l'avarizia? Sono note le fatiche e i dolori a cui si assoggettano con pazienza quelli che cercano avidamente il denaro, ed è noto altresì come essi si astengono dai piaceri sia per l'avidità di accrescere il guadagno, sia per il timore di diminuirlo; si sa con quanta sagacia perseguono il guadagno evitando con accortezza i danni e che per lo più hanno paura di toccare i beni degli altri e talvolta disprezzano i beni ad essi sottratti perché non succeda che, nella pretesa di riaverli o nella lite, finiscano per perderne di più. Dalla considerazione di tutte queste cose, giustamente siamo esortati ad amare la sapienza così da desiderare avidamente di farne tesoro e da accrescerla sempre più in noi, evitando che abbia a diminuire in qualche parte; così da sopportare le molestie, frenare le passioni, guardare al futuro e conservare l'innocenza e la disposizione a fare il bene. Quando facciamo tutto questo, abbiamo le vere virtù, perché è vero quello per cui lo facciamo; tutto questo, cioè, è conforme alla nostra natura umana per la salvezza e la vera felicità. 3.19 - Le azioni valgono secondo le intenzioni Non è una definizione assurda quella di chi ha detto che "la virtù è un abito dell'anima conforme all'ordine della natura ". Ha detto il vero ma ignorava quello che era conforme alla natura dei mortali per liberarla e renderla felice. Tutti noi non potremmo desiderare per naturale istinto di essere immortali e felici se questo non fosse possibile. Questo bene sommo però non può pervenire agli uomini se non per mezzo di Cristo e Cristo crocifisso, dalla cui morte è vinta la morte e per le cui ferite la nostra natura è sanata. Per questo il giusto vive della fede ( Rm 1,17 ) in Cristo. Per questa fede infatti egli vive con prudenza, fortezza, temperanza e giustizia e proprio perché vive con fede egli vive rettamente e sapientemente con tutte queste vere virtù. Se le virtù pertanto non giovano all'uomo per il conseguimento della vera beatitudine che la vera fede in Cristo ci ha promesso immortale, non giovano a nulla e in nessun modo possono essere vere virtù. Vuoi forse chiamare vere virtù quelle degli avari quando escogitano con sagacità le vie del guadagno, quando sopportano molte sofferenze e disagi per accumulare denaro e castigano le varie cupidigie della vita lussuriosa, vivendo con temperanza e sobrietà, o quando, astenendosi dal toccare la roba altrui, disprezzano quello che hanno perduto, cosa che sembrerebbe appartenere alla giustizia, onde evitare il pericolo di perdere di più tra contese e tribunali? Quando si fa qualcosa con prudenza, fortezza, temperanza e giustizia si agirebbe con tutte e quattro le virtù che, secondo il tuo parlare, sono vere virtù, e per conoscere la loro veridicità fosse sufficiente guardare solo quello che si fa e non per qual motivo lo si fa. Affinché quindi non abbia a sembrare un calunniatore, citerò le tue stesse parole: "tutte le virtù hanno la loro origine nell'anima razionale; tutte le affezioni per cui siamo buoni fruttuosamente o sterilmente si trovano nel soggetto della nostra mente: la prudenza, la giustizia, la temperanza e la fortezza. Quantunque la forza di queste affezioni è presente in tutti secondo natura, essa non porta tutti al medesimo fine. A seconda del giudizio della volontà, al cui volere ubbidiscono, esse portano ai beni temporali o a quelli eterni. Quando ciò avviene, variano non in ciò che sono o in ciò che fanno, ma soltanto in ciò che meritano. Esse pertanto non possono perdere il proprio nome o il proprio genere, ma saranno arricchite dall'ampiezza o deluse dalla pochezza del premio che hanno desiderato". Dove abbia appreso tutto questo, lo ignoro. Da esso però appare, mi sembra, che ritieni vere virtù: la prudenza degli avari con cui essi escogitano ogni sorta di guadagno; la giustizia degli avari con cui, per il timore di perdite maggiori, essi sono portati talvolta a disprezzare più facilmente le loro perdite anziché usurpare qualcosa agli altri; la temperanza degli avari con cui essi frenano l'appetito della lussuria, che porterebbe ad un eccessivo dispendio, e si contentano solo del cibo e delle vesti necessarie; la fortezza degli avari, per la quale, come dice Orazio, fuggono la povertà per mare, per terra e per fuoco e per la quale, durante l'invasione barbarica, nessun tormento dei nemici riuscì a costringere alcuni di essi a consegnare i beni che avevano. Queste virtù dunque, turpi e deformi a causa di questo fine, che proprio per questo, in nessun modo sono vere e genuine virtù, a te appaiono talmente vere e belle che "non possono perdere né il nome né il genere, ma possono solo essere deluse dalla pochezza del premio che hanno desiderato", del frutto cioè delle comodità terrene, non dei premi celesti. Sarebbe dunque vera giustizia per Catilina attirare molti con l'amicizia, il mantenerli con l'ossequio ed il dividere con tutti i propri averi; sarebbe per lui vera fortezza il sopportare il freddo, la fame e la sete e vera pazienza il sopportare il digiuno, il freddo e la veglia più di quanto si possa immaginare. Chi, se non un insipiente, può avere convinzioni del genere? 3.20 - I vizi non sempre sono opposti alle virtù Quantunque sia un uomo erudito, tu sei stato ingannato dall'apparenza di verità che hanno quei vizi. Essi sembrano confinanti e vicinissimi alle virtù, mentre in realtà sono tanto lontani da esse, quanto i vizi dalle virtù. La costanza, per esempio, è una virtù a cui si oppone l'incostanza: è un vizio tuttavia la quasi confinante ostinazione che rassomiglia alla costanza. Voglia il cielo che tu non abbia questo vizio, quando avrai riconosciuto che sono vere le cose che dico, perché non abbia a credere di dover restare con ostinazione nel vizio, credendo di amare la costanza. I vizi non soltanto sono manifestamente contrari a tutte le virtù, per una evidentissima differenza, come la temerarietà alla prudenza, ma in certo modo anche vicini e simili, non nella realtà, ma per qualche aspetto ingannevole. Alla prudenza è simile non la temerarietà o l'imprudenza, ma l'astuzia, che è tuttavia un vizio, anche se nella Sacra Scrittura se ne ha una accezione in senso buono nelle parole: Prudenti come i serpenti, ( Mt 10,16 ) e una in senso cattivo quando si dice che nel Paradiso il serpente era la più astuta di tutte le bestie selvatiche. ( Gen 3,1 ) Per questi vizi, che abbiamo dichiarati quasi confinanti con le virtù, non si possono trovare facilmente neppure i nomi, ma, anche se non si sa come chiamarli, debbono essere ugualmente fuggiti. 3.21 - La vera virtù obbedisce a Dio, non ai piaceri carnali Sappi pertanto che le virtù debbono essere distinte dai vizi non per i loro compiti, ma per il fine. Il compito è quello che si deve fare, il fine è quello per cui lo si deve fare. Se un uomo fa qualcosa che apparentemente non sembra peccato, si dovrà convincere che è peccato se non lo fa per il fine per il quale lo si deve fare. Non ponendo attenzione a tutto questo, hai separato il fine dai compiti ed hai finito per chiamare vere virtù i compiti senza il fine. Ne segue tanta assurdità che sei costretto a chiamare giustizia anche quella che scopri dominata dall'avarizia. Nell'astenersi dal prendere la roba altrui, se si considera il compito, si ha l'impressione che si tratta di giustizia; se invece si va a cercare il motivo per cui lo si fa e la risposta è che non si perda di più nelle contese, come può essere vera giustizia, quando serve apertamente l'avarizia? Simili virtù le introdusse Epicuro quali schiave del piacere perché servissero a fare tutto quanto si faceva, unicamente per conseguirlo o per conservarlo. Ben lontano sia il pensare che le virtù vere possano essere al servizio di altri all'infuori di colui e per colui a cui diciamo: Dio delle virtù, convertici. ( Sal 80,8 ) Le virtù che favoriscono pertanto i diletti della carne o qualsivoglia altra comodità o profitto temporale, non possono decisamente essere vere. E neppure sono vere virtù quelle che non vogliono essere al servizio di nessuna cosa. Le vere virtù sono al servizio di Dio negli uomini e da lui sono donate agli uomini; sono al servizio di Dio negli Angeli e da lui sono donate anche agli Angeli. Tutto quanto di bene viene fatto dagli uomini, anche se dal punto di vista del compito sembra buono, se non lo si fa per il fine indicato dalla vera sapienza, è peccato per la stessa mancanza di rettitudine nel fine. 3.22 - È assurdo parlare di bontà sterile È possibile dunque che siano fatte delle opere buone, senza che agisca bene chi le fa. È un bene, per esempio, cercare di aiutare un uomo in pericolo, specie se innocente. Chi lo aiuta però, se lo fa amando di più la gloria degli uomini che quella di Dio, non compie bene l'opera buona, perché non compie bene quello che non compie con una volontà buona. Lungi sia chiamare volontà buona quella che cerca la gloria in altri o in se stessa e non in Dio. Non si può definire buono neppure il suo frutto. Un albero cattivo, infatti, non può fare frutti buoni. L'opera buona piuttosto deve essere attribuita a colui che opera bene anche per mezzo dei cattivi. Per la qual cosa non puoi neppure immaginare quanto t'inganni l'opinione secondo cui "tutte le virtù sono affezioni, grazie alle quali siamo buoni fruttuosamente o sterilmente". Non possiamo infatti essere buoni sterilmente perché non siamo buoni quando siamo sterili. Un albero buono produce frutti buoni. ( Mt 7,17-18 ) Lungi sia che Dio buono, che ha preparato la scure per gli alberi che non portano frutti buoni, tagli e getti nel fuoco gli alberi buoni. ( Mt 3,10 ) Gli uomini buoni, per nessuna ragione possono essere sterili. Quelli invece che non sono buoni, possono essere più o meno cattivi. 3.23 - Perché la Chiesa combatte i pelagiani Anche quelli che hai voluto ricordare, di cui l'Apostolo ha detto: I pagani pur privi di legge sono legge a se stessi. Essi mostrano scritta nei loro cuori la realtà della legge, ( Rm 2,14-15 ) non vedo come possano esserti di aiuto. Hai cercato di dimostrare per mezzo di essi che anche gli estranei alla fede di Cristo possono avere una vera giustizia, per il fatto che, sulla testimonianza dell'Apostolo, essi compiono secondo natura ciò che la legge prescrive. ( Rm 2,14 ) Con maggior evidenza hai espresso qui il vostro domma, per il quale siete nemici della grazia di Dio, che ci viene da Gesù Cristo Signore nostro, che porta via i peccati del mondo: ( Gv 1,17.29 ) hai introdotto cioè un genere di uomini in grado di piacere a Dio per la legge della natura, senza la fede in Cristo. Questo è il motivo principale per cui la Chiesa cristiana vi detesta. Ma cosa vuoi che essi siano? Hanno essi vere virtù ma sono sterili poiché non agiscono per Dio, oppure piacciono a Dio anche per queste azioni e da lui sono premiati con la vita eterna? Se li dichiari sterili, a che giova loro il fatto che, secondo l'Apostolo, li difenderanno i loro pensieri … nel giorno in cui Dio giudicherà le azioni occulte degli uomini? ( Rm 2,16 ) Se poi quelli che sono difesi dai loro pensieri non sono sterili per il fatto che hanno compiuto secondo natura le opere della legge e perciò trovano l'eterna ricompensa presso Dio, senza dubbio alcuno per questo sono giusti poiché vivono della fede. ( Rm 1,17; Eb 10,38; Gal 3,11 ) 3.24 - Senza la fede non si può piacere a Dio Hai inteso a tuo piacimento, e l'hai esposto non secondo il suo significato ma secondo quello che gli hai dato, la testimonianza dell'Apostolo da me citata: Tutto ciò che non deriva dalla fede è peccato. ( Rm 14,23 ) L'Apostolo infatti parlava di cibi. Dopo aver detto: Se colui che è nel dubbio mangia, è condannato, non avendo agito secondo la fede, ( Rm 14,23 ) ha inteso dimostrare questa specie particolare di peccato con un argomento di ordine generale aggiungendo: Tutto ciò che non deriva dalla fede è peccato. Ti posso concedere qui che si deve intendere soltanto dei cibi. Cosa invece dirai dell'altra testimonianza che parimenti ti ho citata ed a cui nulla hai obiettato, non avendo trovato una via per girarla a tuo favore, quella cioè scritta agli Ebrei: senza la fede è impossibile piacere? ( Eb 11,6 ) Per fare tale affermazione egli intendeva tutta la vita dell'uomo, nella quale il giusto vive di fede. Tuttavia, pur essendo impossibile piacere a Dio senza la fede, ti piacciono tanto le virtù senza la fede che vai predicando che sono vere virtù, e che per mezzo di esse gli uomini sono buoni. Poi, quasi spinto dal pentimento di averle lodate, non esiti a dichiararle sterili. 3.25 - Gli uomini senza fede peccano, perché non agiscono con un retto fine Questi dunque, che sono giusti secondo la legge naturale, se piacciono a Dio gli piacciono per la fede, perché è impossibile piacergli senza la fede. E per quale fede essi piacciono, se non per quella di Cristo? Così infatti si legge negli Atti degli Apostoli: In Lui Dio ha accreditato la fede dinanzi a tutti col risuscitarlo dai morti. ( At 17,31 ) Per questo è stato detto che, pur essendo senza la legge, hanno compiuto le opere della legge secondo natura, perché sono giunti al Vangelo dal paganesimo e non dalla circoncisione a cui era stata affidata la legge. È stato detto "secondo natura" poiché la natura stessa è stata in essi corretta dalla grazia di Dio affinché potessero credere. Per mezzo di questi, però, non ti è possibile dimostrare quello che vorresti, che cioè gl'infedeli hanno vere virtù: anch'essi, infatti, sono fedeli. Se non avessero la fede di Cristo, non potrebbero essere giusti né piacere a Dio, al quale è impossibile piacere senza la fede. Nel giorno del giudizio i loro pensieri li difenderanno solo per essere puniti in maniera più blanda, per il fatto che hanno comunque compiuto secondo natura le opere della legge, portando scritta nel proprio cuore l'opera della legge al punto da non fare agli altri quello che essi non avrebbero voluto soffrire. Hanno mancato solo nel fatto che, non avendo fede, non hanno indirizzato queste opere al fine al quale avrebbero dovuto indirizzarle. Fabrizio sarà punito meno di Catilina, non perché egli era buono, ma soltanto perché questi era più cattivo. Fabrizio era meno empio di Catilina non perché possedeva vere virtù, ma solo perché ha deviato di meno dalle vere virtù. 3.26 - Non si dà un luogo intermedio tra l'inferno e il cielo A tutti costoro che hanno dimostrato alla patria terrena un amore profano ed hanno servito con virtù civile, non vera, ma simile alla vera, i demoni o la gloria umana, a tutti costoro, voglio dire, ai vari Fabrizio, Regolo, Fabio, Scipione, Camillo ed a tutti gli altri, al pari dei fanciulli morti senza battesimo, preparerete forse un luogo intermedio tra la perdizione ed il regno dei cieli, dove non siano nel tormento ma in una gioia eterna, essi che non sono piaciuti a Dio, al quale è impossibile piacere senza la fede, che non hanno avuto mai né nelle opere né nel cuore? Non riesco a credere che la vostra spregiudicatezza possa estendersi fino a simili impudenze. "Andranno dunque, tu ci chiedi, alla perdizione eterna quelli in cui c'era la vera giustizia?". O voce avventata per impudenza ancora maggiore! In loro non c'era la vera giustizia, lo ripeto, perché le azioni si giudicano dal fine e non semplicemente dagli atti. 3.27 - La castità di un animo peccatore non è autentica virtù Da uomo elegantissimo e garbatissimo, con tono faceto e spiritoso dichiari: "Se si afferma che la castità degli infedeli non è castità, per la stessa ragione si deve dire che il corpo dei pagani non è corpo; che gli occhi dei pagani non hanno la capacità di vedere; che il grano che cresce nel campo dei pagani non è grano e tante altre cose di tale assurdità da muovere al riso gli uomini intelligenti". Il vostro riso per la verità muove gli intelligenti al pianto e non al riso, come il riso dei pazzi muove al pianto il cuore degli amici sani. In contrasto con la Sacra Scrittura pertanto osi negare che l'animo dell'infedele è idolatra, oppure affermare che nel suo animo idolatra c'è vera castità, e ridi e sei sano di mente? Da che parte, in che modo, per quale motivo può avvenire questo? Ebbene, la loro non è vera castità e la vostra non è vera sanità. Nell'animo dell'idolatra non c'è vera castità, e c'è veramente pazzia nell'uomo che fa tale vergognosa affermazione e ci ride su. Lungi da noi dire che il corpo dei pagani non è corpo o altro del genere. E per giunta non è neppure conseguente che se non è vera la virtù di cui l'empio possa gloriarsi, non è vero neppure il suo corpo che è creato da Dio. Tranquillamente, invece, possiamo affermare che la fronte degli eretici non è fronte, se col nome di fronte intendiamo non la parte del corpo creata da Dio, ma il pudore. Cosa avresti detto se, nello stesso mio libro al quale ti vanti di aver risposto, non avessi preammonito che nella tesi secondo cui affermiamo che tutto ciò che non deriva dalla fede è peccato, ( Rm 14,23 ) non siano incluse quelle cose che negli infedeli sono dono di Dio sia nei beni dell'anima che in quelli del corpo? Ivi sono inclusi singolarmente anche questi che vai garrendo a vuoto: il corpo, gli occhi e tutte le altre membra. A quel genere appartiene anche il grano che cresce nel campo dei pagani, del quale non essi, ma Dio è il creatore. Non hai forse citato fra le altre anche queste mie parole: "L'anima, il corpo, ogni altro bene insito naturalmente nell'anima o nel corpo sono doni di Dio anche nei peccatori, perché non essi ma Dio li ha fatti, mentre delle opere che essi compiono è detto: Tutto ciò che non viene dalla fede è peccato"? Se avessi tenuto a mente questo mio breve ma preciso pensiero, non saresti stato tanto impudente da affermare che noi avremmo potuto ritenere che "il corpo dei pagani non sia corpo, che i loro occhi non abbiano la possibilità di vedere o che il grano del campo dei pagani non è grano". Come svegliato dal sonno, ti ripeto le mie parole che probabilmente sono sfuggite alla tua memoria se hai fatto simili affermazioni: "Sono doni di Dio anche nei peccatori, perché non essi ma Dio li ha creati; mentre delle opere che essi compiono è detto: Tutto ciò che non deriva dalla fede è peccato". Quando dici cose insensate e ridi, sei simile ad un pazzo; quando poi non fai attenzione o dimentichi le cose vere dette da me e ricordate da te poco fa, e inserite nella stessa opera con cui ti vanti di rispondere alla mia, non rassomigli a chi è pazzo ma a chi è in letargo. 3.28 - La lotta tra la carne e lo spirito dura tutta la vita Con ironia, dichiari "di meravigliarti che un ingegno tanto grande, il mio cioè, non ha capito quanto vi ho anche aiutato con l'affermazione: "alcuni peccati sono vinti da altri". Subito dopo aggiungi e concludi: "l'uomo può essere privo di peccati molto facilmente con l'amore della santità, che Dio aiuta. Se infatti, i peccati sono vinti dai peccati, quanto più facilmente i peccati possono essere vinti dalle virtù?". Come se noi negassimo che l'aiuto di Dio abbia tanta forza da privarci oggi stesso, se lo volesse, da tutte le cattive cupidigie, contro cui combattiamo vittoriosamente. Tutto questo però non avviene e neppure tu lo neghi. Perché poi non avvenga, chi può conoscere la mente di Dio? ( Rm 11,34 ) Non credo di sapere poco tuttavia, quando so che, qualunque ne sia il motivo, in Dio giusto non c'è iniquità, né debolezza nella sua onnipotenza. C'è dunque qualcosa nel suo sublime e nascosto disegno per cui durante tutto il tempo nel quale viviamo in questa carne mortale ci deve essere in noi un male contro cui deve combattere il nostro spirito e per cui dobbiamo dire: Rimetti a noi i nostri debiti. ( Mt 6, 12 ) Ma per parlarti da uomo a uomo, da uomo a cui la dimora terrena opprime l'animo teso verso l'alto, ( Sap 9,15 ) per quanto attiene ai meriti delle nature volute da Dio, non c'è nulla nelle creature di più eminente della mente razionale. Logico quindi che una mente buona piaccia maggiormente a se stessa e si diletti maggiormente di se stessa più di qualsiasi altra creatura. Sarebbe troppo lungo voler dimostrare disputando quanto sia pericoloso, anzi dannoso per la ragione un simile compiacimento, mentre si gonfia per questo tifo e si innalza per la malattia dell'orgoglio per tutto il tempo che non vede, come lo vedrà alla fine, quel Sommo ed Immutabile Bene, al cui paragone disprezzerà se stessa e, per amor Suo, diventerà ai suoi occhi tanto vile e si riempirà talmente dello spirito di Dio da porselo innanzi non solo con la ragione, ma anche con un amore eterno. Lo comprende bene colui che, stanco per la fame, rientra in se stesso e dice: Mi leverò e ritornerò da mio padre. ( Lc 15,18 ) Questo male della superbia allora soltanto finirà di tentare ed allora soltanto cesserà di essere nostro avversario di lotta, quando l'anima sarà saziata di tale meravigliosa visione e sarà infiammata da tanto amore per il Bene superiore, che non le sarà più possibile staccarsi dall'amore suo per compiacersi di se stessa. Non potrebbe essere questo il motivo per cui in questo luogo di debolezza dobbiamo vivere giorno per giorno, sotto il peso della remissione dei peccati per evitare di vivere con superbia? Proprio a causa di questo male della superbia, l'apostolo Paolo non poté fare affidamento sul suo arbitrio. Poiché non era ancora giunto alla partecipazione di un bene così grande, allorquando non sarebbe stato più possibile insuperbirsi, gli fu posto accanto un angelo di satana che lo schiaffeggiasse quaggiù dove è possibile insuperbirsi. ( 2 Cor 12,7 ) 3.29 - La presunzione dei pelagiani Sia questo il motivo o ce ne sia un altro molto più nascosto, non si può tuttavia dubitare del fatto che fin quando cammineremo sotto il peso di questo corpo corruttibile, se diciamo di non aver peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi. ( 1 Gv 1,8 ) Per questo la S. Chiesa, anche in quelle membra in cui non c'è macchia di crimine o ruga di falsità, ( Ef 5,27 ) nonostante l'opposizione della vostra superbia, non cessa di ripetere a Dio: Rimetti a noi i nostri debiti. ( Mt 6, 12 ) Chi non conosce i vostri dommi non può capire con quanta arroganza e con quale presunzione della vostra virtù tu abbia detto: "Con l'amore della santità e l'aiuto di Dio, l'uomo può essere privo di peccati molto facilmente". Voi, infatti, volete che nella volontà dell'uomo ci sia preventivamente, senza l'aiuto di Dio, l'amore della santità, che poi Dio deve aiutare secondo il merito, non gratuitamente. Siete così convinti che in questa vita piena di travagli l'uomo possa essere privo di peccati tanto da non avere motivo di dire: Rimetti a noi i nostri debiti. Talvolta però dai l'impressione di aver fatto l'affermazione con una certa timidezza, per il fatto che non hai detto: "può essere privo di tutti i peccati". In verità non hai voluto dire nemmeno "alcuni", ma, come arrossendo dinanzi a te stesso per l'eccessiva vostra presunzione, hai moderato il pensiero così che potesse essere difeso da noi e da voi. Qualora si discutesse tra i pelagiani si dovrebbe asserire che non è stato detto "alcuni" perché tu hai affermato che l'uomo può essere privo di tutti i peccati. Qualora poi si discutesse tra noi, si dovrebbe rispondere che non è stato detto "tutti", perché hai voluto intendere che qualsiasi uomo si trova nella necessità di chiedere perdono per alcuni peccati. Noi però che conosciamo il vostro pensiero, non possiamo ignorare con quale significato l'avete detto. 3.30 - I pagani compiono le opere di misericordia con un fine cattivo Tu dirai: "Se un pagano veste una persona nuda, la sua azione è forse peccato perché non viene dalla fede?". Certamente, in quanto non proviene dalla fede è peccato, ma non perché è peccato l'azione in se stessa, l'atto cioè di vestire l'ignudo: solo l'empio però nega che è peccato il gloriarsi di tale opera al di fuori del Signore. Anche se si è discusso già abbastanza, siccome è un argomento tanto importante, ti prego di ascoltarmi ancora un tantino affinché lo comprenda. Citando le tue stesse parole: "Se un pagano, ( che non vive della fede ), veste un ignudo, libera qualcuno dal pericolo, cura le ferite di un malato, spende le ricchezze per oneste amicizie e non può essere spinto alla falsa testimonianza neppure con i tormenti", ti domando se queste opere buone le fa bene o male. Se le fa male, quantunque esse siano buone, non puoi negare che commette peccato appunto perché compie male qualcosa. Ma poiché non vuoi ammettere che, facendo tali azioni, egli fa peccato, senza dubbio dirai che egli compie buone azioni e le compie bene. Un albero cattivo dunque produce frutti buoni, cosa che la Verità nega possa avvenire. Non precipitare. Esamina piuttosto con attenzione cosa ti convenga rispondere. Puoi forse affermare che l'infedele è un albero buono? Piace dunque a Dio: al Buono non può non piacere ciò che è buono. E dove vanno a finire le parole: senza la fede è impossibile piacere a Dio? ( Eb 11,6 ) O forse risponderai che è un albero buono non in quanto è infedele, ma in quanto è un uomo? Di chi allora il Signore ha detto: Non può un albero cattivo produrre frutti buoni, ( Mt 7,18 ) dal momento che chiunque esso sia, può essere solo un uomo o un angelo? Ma se un uomo in quanto uomo è un albero buono, anche un angelo in quanto angelo è un albero buono. Entrambi sono opera di Dio, Creatore delle nature buone. Ma così non esisterà un albero cattivo, di cui è stato detto che non può produrre frutti buoni. Quale infedele pensa così infedelmente? Non in quanto uomo, pertanto, perché è opera di Dio, ma in quanto uomo di cattiva volontà, uno è albero cattivo e non può portare frutti buoni. Vedi dunque se puoi osare chiamare buona una volontà infedele. 3.31 - La misericordia è buona se nasce dalla fede Forse dirai: la volontà misericordiosa è buona. Sarebbe esatta questa affermazione se la misericordia fosse sempre buona come è sempre buona la fede di Cristo, la fede cioè operante per mezzo della carità. ( Gal 5,6 ) Ma se si trova una misericordia cattiva come quella per cui in giudizio viene esaltata la persona di un povero, ( Es 23,3 ) o quella per cui il re Saul ha meritato dal Signore una condanna e con misericordia per giunta poiché, mosso da affetto umano, contro il suo comando, aveva perdonato il re prigioniero, ( 1 Sam 15 ) rifletti seriamente se per caso la misericordia buona non sia se non quella di questa fede buona. Affinché possa vedere questo senza ombra di dubbio, dimmi se ritieni buona una misericordia senza fede. Se, infatti, è vizio aver misericordia in modo cattivo, senza dubbio è vizio aver misericordia senza fede. Se poi anch'essa di per se stessa per naturale compassione, è un'opera buona, di questa fa cattivo uso chi ne fa uso senza fede. Chi compie quest'opera buona senza fede, la compie male ed indubbiamente pecca chi compie male qualcosa. 3.32 - La cattiva intenzione dei pagani nel fare il bene Da questo si deduce che le stesse opere buone che compiono gl'infedeli non sono di loro, ma di Colui che fa buon uso dei cattivi. Sono di loro invece i peccati per i quali fanno male anche le cose buone, perché le fanno non con volontà fedele, ma infedele, vale a dire, le fanno con volontà stolta e nociva. Questa volontà - nessun cristiano ne dubita - è l'albero cattivo, che non può produrre se non frutti cattivi, cioè i peccati. Tutto ciò che non deriva dalla fede, infatti, che tu lo voglia o no, è peccato. ( Rm 14,23 ) Per questo Dio non può amare tali alberi e deciderà di tagliarli, se tali rimarranno, poiché senza la fede è impossibile piacere a Dio. ( Eb 11,6 ) Mi sto fermando su questo punto però come se tu non li avessi già dichiarati sterili. Come è possibile che tu non stia giocando in queste dispute o non stia delirando, se insisti a lodare i frutti di alberi sterili? Questi frutti o non esistono o, se sono cattivi, non debbono essere lodati. Se poi i frutti sono buoni, gli alberi non possono certo essere sterili, anzi debbono essere buoni, essendo buoni i loro frutti e debbono pure piacere a Dio, al quale i buoni alberi non possono non piacere. In tal caso però sarebbe falso quello che è scritto: Senza la fede è impossibile piacere. ( Eb 11,6 ) 3.33 - La mediazione di Cristo necessaria alla salvezza di tutti Cosa risponderai se non parole vuote? "lo ho dichiarato, tu dici, sterilmente buoni quegli uomini che non indirizzano a Dio le opere buone che compiono e che, di conseguenza, non ricevono da lui la vita eterna". Dio dunque, buono e giusto, condanna i buoni alla morte eterna? Mi rincresce finanche dire quante stupidaggini ti vengono dietro mentre pensi, dici, e scrivi tali cose e nel riprenderti in tali cose come censore, che anch'io non finisca di istupidirmi allo stesso modo. Brevemente, perché non succeda che, mentre in queste cose tu sbagli molto di più di quanto è ammissibile, io dia l'impressione di dibattere con te solo sulle parole. Cerca di comprendere le parole del Signore: Se il tuo occhio è malato, tutto intero il tuo corpo sarà tenebroso, se il tuo occhio è sano, tutto intero il tuo corpo sarà illuminato. ( Mt 6,22-23 ) Sappi vedere in quest'occhio l'intenzione con cui ognuno compie le sue opere e per questo riconosci che chi compie le opere buone senza l'intenzione della fede buona, di quella cioè che opera per amore, significa che quasi tutto il corpo, costituito da quelle opere come da membra, è tenebroso, pieno cioè dell'oscurità dei peccati. Come alternativa, in considerazione della tua ammissione che le opere degl'infedeli, che pur ti sembrano buone, non riescono a condurre gli uomini alla salvezza eterna ed al regno, sappi che noi siamo convinti che quel bene, quella buona volontà, quell'opera buona non possono essere concesse a nessuno senza la grazia di Dio per mezzo dell'Unico Mediatore tra Dio e gli uomini. Solo attraverso quel bene è possibile arrivare al dono eterno di Dio ed al suo regno. Tutte le altre opere che sembrano poter meritare apprezzamento tra gli uomini, siano pur viste da te come vere virtù, come opere buone e fatte senza peccato. Per quanto mi riguarda questo so, che non le fa una volontà buona: una volontà infedele ed empia infatti non può essere buona. Volontà del genere, però, anche se da te sono dette alberi buoni, è sufficiente che siano sterili presso Dio, perché non siano buone. Siano pure fruttuose fra gli uomini per i quali sono anche buone, magari per tuo interessamento, per la tua lode e, se vuoi, mentre ne sei tu il piantatore, tu lo voglia o no, io rimango convinto che l'amore del mondo, per cui ciascuno è amico di questo mondo, non viene da Dio; che l'amore di gioire di qualsiasi creatura, senza l'amore del Creatore, non viene da Dio; che l'amore di Dio, infine, con cui si arriva fino a Dio non può derivare che da Dio Padre per mezzo di Gesù Cristo con lo Spirito Santo. Per quest'amore del Creatore ciascuno fa buon uso anche delle creature. Senza quest'amore del Creatore invece, nessuno ne fa buon uso. Questo amore è necessario perché anche la castità coniugale sia bene beatifico, perché, quando si fa uso della carne del coniuge, l'intenzione sia rivolta non al piacere della libidine, ma alla volontà della procreazione, e perché qualora vinca il piacere e diriga l'azione a se stesso e non alla propagazione dei figli, si commetta un peccato veniale in virtù del matrimonio cristiano. 4.34 - Perché gli uomini nascano sotto il potere del diavolo Non ho mai detto quello che mi fai dire, dopo avere citate alcune altre parole del mio libro: che i figli, cioè, "sono soggetti al potere del diavolo per il fatto che nascono dall'unione dei corpi". Ben diverso infatti è dire "che nascono dall'unione dei corpi" e "per il fatto che nascono dall'unione dei corpi". La causa del male cioè non sta nel fatto che nascono dall'unione dei corpi. Anche nella ipotesi, infatti, che la natura umana non fosse stata viziata dal peccato dei primi uomini, i figli non avrebbero potuto nascere se non dall'unione dei corpi. Prima che rinascano nello spirito, coloro che nascono dall'unione dei corpi si trovano sotto il potere del diavolo, perché nascono per mezzo di quella concupiscenza, per cui lo spirito ha voglie contro la carne e che costringe lo spirito ad avere desideri contro di essa. ( Gal 5,17 ) Tra il bene ed il male non ci sarebbe questa lotta se nessuno avesse peccato. Come non c'era lotta alcuna prima della caduta, così non ce ne sarà alcuna quando scomparirà l'infermità. 5.35 - La libidine negli animali non è un vizio Proponi altre mie parole e ne fai un'abbondante disquisizione: "Poiché noi siamo composti di beni disuguali dei quali uno è comune agli dèi e l'altro alle bestie, l'anima deve avere il dominio sul corpo. La parte migliore, vale a dire l'anima, fornita di virtù, deve comandare bene alle membra del corpo ed alle passioni". Non pensi però che alle passioni non si comanda come alle membra. Le passioni sono cattive e noi le freniamo con la ragione e le combattiamo con la mente. Le membra, al contrario, sono buone e le muoviamo secondo l'arbitrio della volontà, eccezion fatta dei genitali, quantunque anch'essi siano buoni in quanto sono opera di Dio. Essi sono chiamati "parti vereconde" perché sono mossi più facilmente dalla libidine che dalla ragione. Ad essi riusciamo solo ad impedire di giungere fino alla soddisfazione della eccitazione, a differenza del facile dominio che abbiamo sulle altre membra. Quando si fa cattivo uso delle membra buone se non quando si permette loro di assentire ai cattivi desideri che sono in noi? Tra di essi il più turpe è la libidine, la quale, se non trova resistenza, commette cose terribilmente immonde. Di questo male fa buon uso solo la castità coniugale. Questa libidine non è un male nelle bestie poiché non è in contrasto con la ragione, che esse non hanno. Perché dunque non credere che gli uomini nel paradiso terrestre, prima del peccato, abbiano avuto da Dio la possibilità di procreare i figli con movimenti tranquilli e tranquilla unione o mescolanza delle membra senza alcuna libidine o con una tale, la cui sollecitazione non prevenisse né andasse oltre la volontà? O forse per voi la libidine è poca cosa perché piace, a meno che non piaccia proprio perché vi sollecita mentre non volete o la contrastate? Di essa i pelagiani anche nelle controversie si gloriano come di un bene, mentre i santi tra i gemiti supplicano di essere liberati dal male. 6.36 - Una calunnia di Giuliano "Calunniosamente mi addossi la ridicola contraddizione di aver dichiarato alcuni rei per opere di bene ed altri santi per opere cattive, per il fatto di avere detto che gli infedeli, facendo uso del bene del matrimonio senza la fede, lo trasformano in colpa ed in peccato, mentre, al contrario, il matrimonio dei fedeli pone il male della concupiscenza al servizio della giustizia". Io però non ho detto che alcuni diventano rei per opere di bene, ma per opere cattive, poiché fanno un cattivo uso di cose buone e neppure che altri diventano santi per opere cattive, ma per opere buone, poiché fanno buon uso di cose cattive. Se non vuoi capire o fingi di non capire, non molestare quelli che vogliono e possono capire. 7.37 - Dio non è l'autore del male "Pur se qualcuno potrebbe nascere cattivo, tu dici, non potrebbe mai essere trasformato in buono da un'abluzione". Alla stessa maniera dovresti dire: il corpo che è stato creato mortale, non può diventare immortale. Nell'un caso come nell'altro diresti una falsità. Dio infatti non l'ha creato cattivo quando ha creato l'uomo, ma il bene che egli ha creato ha contratto il male dal peccato, che Egli non ha creato. Risana invece questo male che non ha creato, nel bene che ha creato. 7.38 - Il potere del diavolo è soggetto a Dio Noi non diciamo che "il diavolo ha istituito il matrimonio", né che "ha inventato la mescolanza seminale dei due sessi", né che "è opera sua l'unione dei coniugi in vista della generazione". Sono tutte cose volute da Dio e tutte potrebbero benissimo esistere senza il male della concupiscenza, se il diavolo non avesse inferto la ferita della prevaricazione, dalla quale sarebbe derivata la discordia tra lo spirito e la carne. Non rifletti su te stesso e non arrossisci per la tua garrula loquacità con cui vai dicendo tante stupidaggini, quale per esempio quella che "il diavolo sorprenderebbe i coniugi nella loro unione e, come se li avesse sorpresi in un'azione di sua competenza, non permette che siano generati dei figli destinati ad essere liberi dalla rigenerazione"? Quasi che, se il diavolo potesse fare tutto quello che vuole, si asterrebbe dallo strangolare gli empi avanzati in età, posti sotto il suo potere, non appena egli scopra la loro disposizione a diventare cristiani. Non è affatto logico, come vai immaginando, che il diavolo si oppone con minacce e terrore ai genitori che si uniscono per procreare figli destinati alla rigenerazione. Attraverso la ferita inferta dal diavolo, per la quale zoppica tutto il genere umano, viene generato qualcosa, essendone Dio il Creatore, che da Adamo passa a Cristo. Tutta la schiera dei diavoli infatti non avrebbe potuto avere in suo potere neppure i porci se Cristo non lo avesse permesso ad essi che lo richiedevano. ( Mt 8,31-32 ) Occorre tenere presente altresì che il Signore sa suscitare la corona dei martiri dalle persecuzioni stesse del diavolo, che egli permette, facendo buon uso di qualsiasi genere di mali per l'utilità dei buoni. Anche nei coniugi che non pensano neppure alla rigenerazione dei figli o addirittura la detestano, è un'opéra buona del matrimonio la mescolanza dei sessi per la procreazione, ed il suo frutto è l'ordinata ricezione della prole. Essi tuttavia fanno cattivo uso di quel bene e peccano per il fatto che si gloriano di generare e di aver generato una prole empia. Gli uomini, infatti, macchiati quanto si voglia di peccati, per essere stati contagiati o per averli commessi, in quanto uomini sono sempre un bene, ed appunto perché sono un bene è bene che nascano. 7.39 - Il fine della procreazione non giustifica l'adulterio Ma perché "i figli siano generati, non è detto che si debbano commettere adulteri o stupri". Tu ritieni di poterci spingere a simili assurdità perché diciamo che il matrimonio produce il bene della prole dal male della libidine. Da questa nostra tesi vera e giusta in nessun modo può derivare la tua conclusione falsa e perversa. Per il fatto che Cristo ha detto: Procuratevi amici con la ricchezza iniqua, ( Lc 16,9 ) non per questo dobbiamo accrescere la nostra iniquità e commettere furti e rapine per nutrire con più larga generosità un numero maggiore di poveri. Allo stesso modo che con la ricchezza iniqua bisogna procurarsi gli amici che ci accolgano negli eterni padiglioni, così i coniugi dalla piaga del peccato originale debbono generare i figli destinati ad essere rigenerati per la vita eterna. Come non è permesso commettere furti, frodi, depredazioni per procurarsi, con l'aumento dei soldi attraverso i delitti, un maggior numero dei giusti amici poveri, così non bisogna aggiungere al male con cui siamo nati adulteri, stupri, fornicazioni perché nascano figli in maggior abbondanza. Altro è in verità fare buon uso di un male preesistente ed altro è commettere un male che non c'era. Nel primo caso si compie un bene volontario da un male contratto dai genitori; nel secondo caso si accresce il male contratto dai genitori con altre colpe personali e volontarie. Per la verità, è interessante notare che, mentre si dispensa lodevolmente ai bisognosi il denaro di iniquità, è molto più lodevole frenare la concupiscenza carnale con la virtù della continenza anziché farne uso per il frutto del matrimonio. È tanto grande, infatti, il suo male che non farne uso è meglio che farne buon uso. 8.40 - La grazia secondo la dottrina pelagiana Dopo aver citato altre mie parole, chiacchieri molto contro di esse senza dire niente, riportando sul tappeto questioni che sono state chiuse in precedenti discussioni. Se anch'io volessi ripeterle, quando finiremmo? Tra le altre, ripeti la vostra asserzione contro la grazia di Cristo, già tante volte ripetuta: che cioè "appellandoci alla grazia, facciamo diventare buoni gli uomini per fatale necessità", mentre vi chiudono la bocca e vi bloccano la lingua i bambini stessi che non sanno ancora parlare. Con molta loquacità vi affannate, con la speranza di convincere gli altri, a ricostruire qualcosa che Pelagio stesso ha condannato nel tribunale dei Vescovi palestinesi, "che la grazia di Dio, cioè, viene data secondo i meriti". Non riuscite però a trovare nei bambini alcun merito per il quale coloro che vengono adottati quali figli di Dio possano distinguersi da coloro che muoiono senza aver ricevuto questa grazia. 8.41 - La grazia proveniente È una calunnia attribuire a me l'affermazione che "non ci si deve aspettare alcun impegno dalla volontà umana, in contrasto con le parole del Signore: Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto, perché chiunque chiede riceve, chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto". ( Mt 7,7-8 ) Vedo già che voi cercate di riporre qui i meriti che precedono la grazia, il chiedere appunto, il cercare, il bussare. A tali meriti sarebbe dovuta la grazia che, di conseguenza, non potrebbe chiamarsi più grazia, come se prima non ci fosse stata alcuna grazia che avesse toccato il cuore per poter chiedere a Dio un bene beatifico, o per poter cercare Dio o poter bussare a lui. A vuoto quindi sarebbe stato scritto: la sua misericordia mi previene, ( Sal 59,11 ) ed a vuoto saremmo comandati di pregare per i nostri nemici ( Mt 5,44 ) se non fosse nelle sue possibilità convertire i cuori avversi e lontani. 8.42 - L'universale volontà salvifica di Dio Adducendo la testimonianza dell'Apostolo, affermi che: Dio apre a tutti quelli che bussano poiché egli vuole che tutti gli uomini si salvino ed arrivino alla conoscenza della verità. ( 1 Tm 2,4 ) Vorresti farci intendere, secondo il vostro insegnamento, che non tutti si salvano ed arrivano alla conoscenza della verità perché essi si rifiutano di chiedere mentre Dio vuole dare; si rifiutano di cercare mentre Dio vuol mostrare; si rifiutano di bussare mentre Dio vuole aprire. Questo vostro sentire lo confutano con il loro silenzio gli stessi bambini, che non chiedono, non cercano e non bussano, che anzi, mentre sono battezzati gridano, respingono, ricalcitrano, eppure ricevono, trovano, viene loro aperto ed entrano nel regno di Dio, dove per loro c'è la salvezza eterna e la conoscenza della verità. Sono molto più numerosi però i bambini che non ricevono l'adozione di questa grazia da Colui che vuole che tutti gli uomini si salvino ed arrivino alla conoscenza della verità. Ad essi il Signore non può dire: io volevo e tu non hai voluto. ( Mt 23,37 ) Se infatti avesse voluto veramente, quale dei bambini, che non possiedono ancora l'arbitrio della volontà, avrebbe potuto resistere alla sua onnipotentissima volontà? Perché non prendere allora secondo la medesima accezione le due seguenti espressioni dell'Apostolo: Dio vuole che tutti gli uomini si salvino e giungano alla conoscenza della verità, ( 1 Tm 2,4 ) e: Per l'opera di giustizia di uno solo perviene a tutti gli uomini la giustificazione che dà la vita? ( Rm 5,18 ) ( Dio infatti vuole che siano salvi ed arrivino alla conoscenza della verità tutti quelli ai quali, per l'opera di giustizia di uno solo, perviene la grazia che dà la giustificazione alla vita ). Non ci si venga a dire perciò: Anche se Dio vuole che tutti gli uomini si salvino ed arrivino alla conoscenza della verità, non giungono solo perché non vogliono. Perché mai tante migliaia di bambini, che muoiono senza aver ricevuto il battesimo, non arrivano al regno di Dio dove c'è la conoscenza della verità? Che forse non sono uomini o non sono compresi nelle parole tutti gli uomini? O forse si può dire che Dio vuole ed essi no, quando non sanno ancora volere e non volere e quando neppure quelli che, morti in tenera età dopo il battesimo, giungono per mezzo della grazia alla conoscenza della verità che è nel regno di Dio, hanno voluto essere rinnovati dal battesimo di Cristo? Dal momento quindi che né quelli che non vengono battezzati perché non vogliono, né questi vengono battezzati perché vogliono, per qual motivo Dio che vuole che tutti gli uomini si salvino ed arrivino alla conoscenza della verità, permette che tanti, pur non opponendo alcuna resistenza alla sua volontà, non giungano al regno, dove c'è la vera conoscenza della verità? 8.43 - Il caso dei bambini che muoiono senza battesimo Forse potrai dire che la ragione per cui i bambini non sono nel numero di quelli che Dio vuole tutti salvi, sta nel fatto che godono già della salvezza, di cui si parla, non avendo contratto alcun peccato. Ne seguirebbe un'assurdità ancor più intollerabile. In tal maniera, infatti, rendi Dio più benevolo verso uomini empi e scellerati al massimo grado, anziché verso uomini del tutto innocenti e puri da ogni macchia di colpa. Dal momento che Dio, siccome vuole che tutti gli uomini si salvino, vuole anche che quelli giungano nel suo regno: è la conseguenza logica per essi, qualora si salvino. Coloro invece che non vogliono sono essi stessi a non volerlo. Dio stesso però si rifiuta di ammettere nel suo regno un immenso numero di fanciulli che sono morti senza battesimo ma non sono impediti da alcun peccato, come voi sostenete, e che si trovano nella condizione, da nessuno posta in dubbio, di impossibilità a resistergli con una volontà contraria. In tal modo accade che Dio vuole che siano cristiani tutti, ma di essi molti non vogliono, e che d'altra parte non vuole che lo siano tutti, mentre di essi non c'è nessuno che non vuole. Questo è contrario alla verità. Il Signore conosce quelli che Sono Suoi ( 2 Tm 2,19 ) e la sua volontà è ben determinata sulla loro salvezza e sul loro ingresso nel suo regno. In tal senso si debbono intendere le parole: Vuole che tutti gli uomini si salvino ed arrivino alla conoscenza della verità, ( 1 Tm 2,4 ) così come, alla stessa maniera s'intendono le altre parole: Per l'opera di giustizia di uno solo perviene a tutti gli uomini la giustificazione che dà la vita. ( Rm 5,18 ) 8.44 - Tutti coloro che si salvano, si salvano perché Dio vuole e li aiuta Se poi credi che nella testimonianza dell'Apostolo "tutti" coloro che sono giustificati in Cristo debbano essere intesi per "molti" - molti altri infatti non sono vivificati in Cristo -, ti si può rispondere che, in tal modo, anche nell'altra espressione Vuole che tutti gli uomini si salvino e giungano alla conoscenza della verità, tutti coloro che egli vuole arrivino a detta grazia, debbano intendersi per "molti". Probabilmente però è molto più esatto interpretare che nessuno giunge se non colui che Dio vuole che giunga. Nessuno può venire a me, disse il Figlio, se il Padre che mi ha mandato, non lo abbia attratto. ( Gv 6,44 ) Ed ancora: Nessuno può venire a me, se non gli è dato dal Padre mio. ( Gv 6,66 ) Tutti quelli che si salvano, dunque, ed arrivano alla conoscenza della verità, per suo volere si salvano e per suo volere arrivano. Anche quelli che, come i bambini, non hanno l'uso della volontà, sono rigenerati per suo volere così come essi sono stati creati per opera sua. Quelli invece che hanno l'uso della volontà non possono volere la salvezza se non per volontà e con l'aiuto di Colui che prepara la volontà. ( Pr 8,35 ) 8.45 - In Dio non c'è ingiustizia Se mi domandi: perché dunque egli non trasforma la volontà di tutti coloro che non vogliono? Ti risponderò: perché non affilia a sé con il lavacro di rigenerazione i bambini che muoiono mentre non hanno ancora la volontà e tanto meno ne hanno una contraria? Se ti accorgi che questo per te è molto più profondo di quanto tu possa comprendere, ti debbo dire che altrettanto profondi per entrambi sono l'uno e l'altro caso, vale a dire: per quale motivo Dio, nei grandi e nei piccoli, ad alcuni vuol prestare il suo aiuto e ad altri no? Eppure siamo fermamente convinti che presso Dio non c'è iniquità ( Rm 9,14 ) per cui condanni alcuni senza demeriti, e che c'è la bontà, in virtù della quale egli libera molti senza meriti. In quelli che sono condannati, dimostra ciò che è dovuto a tutti; affinché quelli che sono salvati comprendano da quale pena dovuta sono stati prosciolti e quale perdono hanno ricevuto con una grazia non dovuta. 8.46 - Il destino e la grazia Voi non sapete pensare come si conviene a cuori cristiani, e preferite, secondo il vostro pensiero, sostenere che tutto ciò avviene per fatalità. È vostra, infatti, non nostra la sentenza che "deriva dalla fatalità tutto ciò che non deriva dai meriti". Affinché ora, in base a questa definizione non succeda che tutto quanto accade agli uomini derivi dalla fatalità se non deriva dai meriti, siete costretti ad affermare per quanto vi è possibile, meriti e demeriti, onde evitare che, togliendo i meriti, il fato diventi una conseguenza necessaria. Ma proprio per questo vi viene detto: se tutto ciò che l'uomo riceve senza meriti, deve avvenire necessariamente per fatalità, e se bisogna imbastire dei meriti, onde evitare che, tolti quelli, il fato diventi una conseguenza necessaria, bisogna dire che i bambini che non hanno meriti, sono battezzati per fatalità e per fatalità entrano nel regno di Dio, mentre, al contrario, i bambini che non hanno demeriti non sono battezzati per fatalità e per fatalità non entrano nel regno di Dio. Sono gli stessi bambini però, che non sanno ancora parlare, a dimostrarvi che siete piuttosto voi gl'inventori del fato. Noi, al contrario, affermando i demeriti dell'origine viziata, sosteniamo che un bambino entra nel regno di Dio in virtù della grazia perché Dio è buono, mentre un altro giustamente non vi entra perché Dio è giusto. In nessun caso esiste il fato: Dio fa quello che vuole. Quando sappiamo che Dio, a cui grazia e giudizio con voce fedele vogliamo cantare, ( Sal 101,1 ) condanna l'uno per giusta sentenza e assolve l'altro per gratuita misericordia, chi siamo noi per domandare a Dio: Per quale motivo condanni o assolvi l'uno piuttosto che l'altro? Un oggetto di creta dirà forse a chi l'ha modellato: Perché mi ha fatto così? Il vasaio non può disporre liberamente dell'argilla per origine viziata e condannata e formare dalla stessa massa qui un vaso di ornamento, secondo la misericordia, e là uno volgare, secondo la giustizia 95? ( Rm 9,20-21 ) Non li fa entrambi vasi di ornamento perché la natura, come se fosse senza colpa, non si reputi degna di averlo meritata; non li fa entrambi vasi "volgari", perché la misericordia trionfa del giudizio. ( Gc 2,13 ) In tal modo il condannato non si lamenta per la dovuta condanna ed il salvato non si gonfia superbamente del merito gratuito. Umilmente piuttosto rende grazie, quando in colui dal quale viene esigito il debito riconosce cosa gli viene condonato nella medesima circostanza. 8.47 - La grazia e il libero arbitrio Riferisci poi che in un altro libro ho scritto: "se si insiste nell'affermare la grazia si nega il libero arbitrio; se invece si insiste nell'affermare il libero arbitrio si nega la grazia". È una calunnia. Non l'ho mai detto, ma la stessa difficoltà della questione può aver indotto a pensare che io lo creda o l'abbia detto. Non credo superfluo riportare le mie parole precise affinché i lettori si rendano conto di come tu falsifichi i miei scritti e con quale coscienza abusi dei meno dotati e degli ignari, perché credano che stai rispondendo per il solo fatto che non vuoi stare zitto. Nell'ultima parte del mio primo libro al santo Piniano, intitolato La grazia contro Pelagio, scrivevo: "La questione sulla grazia ed il libero arbitrio è talmente difficile a comprendersi che quando si difende il libero arbitrio pare che si neghi la grazia, quando invece si asserisce la grazia si crede di togliere il libero arbitrio e via dicendo". Da uomo onesto e veritiero, hai cancellato le parole che io ho detto ed hai detto quelle che hai immaginato. Ho detto che la questione è difficile a comprendersi e non che è incomprensibile. Molto meno posso aver detto quello che calunniosamente mi hai fatto dire: "se si insiste nell'affermare la grazia, si nega il libero arbitrio; se invece si insiste nell'affermare il libero arbitrio, si nega la grazia". Riporta le mie parole e si svuoterà la tua calunnia. Rimetti al proprio posto le parole "pare" e "si crede" e saranno evidenti gli inganni a cui ricorri in un argomento di tanta importanza. Non ho detto "si nega la grazia", ma "pare che si neghi la grazia". Non ho detto "si nega il libero arbitrio o si toglie", ma "si crede di togliere". Prometti quindi che "quando i libri cominceranno ad essere esaminati, porrai a nudo e distruggerai l'empietà delle mie tesi". Chi non aspetta la saggezza di chi parla, quando ha conosciuto la credibilità del mentitore? 8.48 - La verginità fisica e spirituale Che vuoi dire con le parole: "Non è necessario lodare la grazia dicendo che essa elargisce ai suoi beneficati quello che i peccati elargiscono agli empi"? Probabilmente le riferisci alla castità coniugale che credi l'abbiano anche gli empi. O uomo litigioso, dalla grazia viene concessa la vera virtù, non quella che si chiama virtù, ma non lo è. Perché poi metti insieme castità e verginità, quasi fossero dello stesso genere? La castità riguarda l'anima, la verginità il corpo. Quella può restare integra nell'anima, mentre questa può essere violentemente tolta nel corpo. Al contrario questa può restare integra nel corpo, mentre quella viene corrotta nell'anima da una volontà dissoluta. Per questo non ho detto che vero matrimonio, vera vedovanza e vera verginità, ma che "vera castità sia essa coniugale, vedovile o verginale, dev'essere chiamata solo quella che è unita alla vera fede". Pertanto, si può essere sposati, vedovi, o vergini, ma non casti se ci si sporca con una volontà macchiata e se, con pensieri immondi, si pensa di perpetrare stupri. Tu insisti tuttavia nell'affermare che in essi c'è vera castità anche con la fornicazione nell'animo, della quale sono colpevoli tutti gli empi, come afferma la Sacra Scrittura. 8.49 - Accuse di Giuliano sulla libidine Chi di noi ha mai affermato che è peccato l'unione dei genitali, in cui il matrimonio fa buon uso del male della concupiscenza per procreare i figli? La concupiscenza non sarebbe un male se si eccitasse ad un lecita unione solo in vista della procreazione. Nella situazione attuale la castità coniugale, resistendole, diventa limite al male e perciò è buona. Non è vera pertanto la tua calunniosa asserzione che "il suo crimine rimane impunito per la religione" perché non c'è crimine quando per il bene della fede si fa buon uso del male della libidine. Né qui si può dire, come pensi: Facciamo il male perché ne derivi il bene, ( Rm 3,8 ) poiché il matrimonio in nessuna sua parte è cattivo. Non appartiene ad esso, infatti, il male che non ha fatto ma ha trovato negli uomini che i genitori generano. Nei progenitori, invece, che non sono nati da alcun genitore, l'inquieto male della concupiscenza carnale, di cui il matrimonio avrebbe dovuto far buon uso, si è aggiunto a causa del peccato e non del matrimonio, che ne sarebbe uscito giustamente condannato. Perché dunque mi chiedi "se, nei matrimoni cristiani, io chiami pudicizia o impudicizia il piacere dell'unione carnale"? Ti rispondo: Chiamo pudicizia non l'unione ma il buon uso di quel male. Questo buon uso fa sì che quel male non possa essere neppure chiamato impudicizia. L'impudicizia, infatti, è il cattivo uso di quello stesso male, così come è pudicizia verginale il non farne uso affatto. Salva, pertanto, la castità coniugale, con la nascita, da un male si contrae un male che sarà purificato con la rinascita. 8.50 - La verginità di chi non ha fede "Se a causa del male della libidine - tu dici - anche dagli sposi cristiani nasce una prole incriminata, ne segue che la castità verginale dev'essere apportatrice di felicità. Siccome, però, la si trova negli infedeli, questi, adornati della virtù della castità, sono superiori ai cristiani macchiati della peste della libidine". Non è così. T'inganni di molto. Non sono infatti macchiati dalla peste della libidine quelli che ne fanno buon uso, anche se generano figli macchiati dalla peste della libidine e destinati, di conseguenza, ad essere rigenerati, né si trova la castità verginale negli infedeli, anche se in essi si trova la verginità della carne. La vera castità non può dimorare in un'anima separata da Dio. Per questo motivo la verginità degli infedeli non è superiore al matrimonio dei fedeli: ma gli sposi che fanno buon uso del male sono superiori ai vergini che fanno cattivo uso di un bene. Quando i fedeli sposati, pertanto, fanno buon uso del male della libidine, "presso di loro" non si esercita, come calunniosamente affermi, "l'impunità del crimine in virtù della fede", ma, proprio in virtù della fede, in essi c'è non la falsa, bensì la vera virtù della castità. 8.51 - Confronto della dottrina agostiniana con quella manichea "Se qualcuno commette omicidio con la coscienza intimorita è reo perché ha avuto timore, mentre se commette qualche delitto con audace esultanza, quasi mosso dalla convinzione di farlo per la fede, sfugge alla colpa". Che importa a noi, se, a tuo dire, i manichei fanno quest'affermazione? Per la verità non ho mai sentito che i manichei dicano questo. Ma che importa a noi se lo dicono o se è solo una tua calunnia? A noi basta che non lo dica la fede cattolica che noi possediamo e col cui peso ti schiacciamo. Al di fuori della fede, infatti, noi riteniamo che non sono veramente buone quelle opere che sembrano tali, perché le opere veramente buone debbono piacere a Dio. ( Eb 11,6 ) Siccome non è possibile piacere a Dio senza la fede, ne segue che non può esserci un'opera veramente buona senza la fede. D'altro canto le opere apertissimamente cattive, non le fa la fede, la quale opera per mezzo della carità, ( Gal 5,6 ) perché la carità non fa male al prossimo. ( Rm 13,10 ) 8.52 - La concupiscenza naturale non è buona "Si deve dichiarare buona - tu dici - la concupiscenza naturale" ( vergognandoti però di dire carnale ), che, "mantenuta entro la sua misura, non è macchiata da colpa alcuna di peccato". Come può essere mantenuta nella sua misura, ti scongiuro, come può essere mantenuta se non quando le si resiste? E perché le si resiste se non perché non ci riempia di cattivi desideri? E come può essere buona? 9.53 - La vergogna provata dalla prima coppia dopo il peccato Arrivi anche alle parole del mio libro dove affermo: "Quei primi coniugi il cui matrimonio fu benedetto da Dio, con le parole: crescete e moltiplicatevi, ( Gen 1,28 ) non erano forse nudi e non arrossivano? ( Gen 2,25 ) Per quale motivo dunque, dopo il peccato, da quelle membra derivò un disordine, se non perché sopravvenne un movimento illecito, che certamente non ci sarebbe stato nel matrimonio se gli uomini non avessero peccato?" Avendo dapprima notato che secondo la S. Scrittura queste mie parole sono state poste in maniera tale che, chiunque abbia letto o leggerà quel passo del Genesi finirà per approvare quanto io ho scritto, hai sudato molto per contraddirmi con una lunghissima disputa, ma hai mancato di sincerità. Sei rimasto fermo sulla tua tesi distorta quantunque l'esperienza dimostri che tu non sei riuscito a scardinare la mia tesi giusta. Del tuo contraddittorio tralascio i gesti e i vanti, frutti di un individuo ansimante ed incapace di arrivare dove si propone, ma che tuttavia, entro la nebulosità in cui si nasconde, finge di esserci giunto. Con l'aiuto del Signore, però, esaminerò le frasi fondamentali del tuo discorso e le stritolerò, affinché chi leggerà le tue e le mie parole possa vederne a terra sconfitto tutto il corpo, soprattutto rendendosi conto che le cose ripetute da te in mille modi, sono state spesso distrutte da me. 9.54 - Il matrimonio prima del peccato Tra l'altro affermi che "io sono persuaso di poter dimostrare che Dio ha istituito un matrimonio spirituale per il fatto che dopo il peccato, i primi uomini, vergognandosi, coprirono le membra in cui risiede la libidine". Se il matrimonio senza la libidine è spirituale, ne segue, sulla tua autorità, che saranno spirituali anche i corpi quando non ci sarà la libidine. O per caso siete propensi ad amare questa libidine al punto da ritenerla presente nei corpi risuscitati, così come ritenete che sia stata presente nei corpi che erano nel paradiso prima del peccato? Non dico affatto, come mi fai dire, che "non è naturale quello senza di cui la natura non può sussistere". Dico soltanto che si chiama naturale quel vizio senza di cui, nelle condizioni attuali, la natura umana non nasce, quantunque all'inizio essa non sia stata creata tale. Per questo motivo quel male non ha avuto origine dalla creazione della natura, bensì dalla cattiva volontà del primo uomo e non rimarrà, ma sarà condannato o sanato. 9.55 - Il pudore Paragoni la mia tesi "ad una cimice che come dà fastidio da viva, così puzza quando viene schiacciata". Vorresti dire che quasi "ti vergogni di schiacciarmi con una vittoria", oppure che "hai in orrore l'inseguirmi ed il distruggermi come se io sconfitto mi nascondessi nel sudiciume". La ragione sta nel fatto che "il tuo pudore, quasi custode del tempio, ti toglie la libertà di parola nella parte del tuo discorso, in cui dovresti schiacciarmi o annientarmi, appunto perché sei costretto a trattare argomenti che generano rossore". Perché mai non riesci a parlare liberamente del bene che vai lodando? Perché mai non dovrebbe esservi libertà di parlare di un'opera di Dio, se la sua dignità è rimasta incontaminata e se il peccato non vi ha prodotto alcunché che ingenerasse pudore e togliesse la libertà di parola? 10.56 - La libidine è una malattia "Se non c'è matrimonio senza libidine, tu continui, e voi in linea generale condannate la libidine, automaticamente condannate anche il matrimonio". Di questo passo potresti dire: "se si condanna la morte bisognerà condannare tutti i mortali". Se la libidine derivasse dal matrimonio, non esisterebbe prima del matrimonio o al di fuori di esso. Tu dici: "Non può essere chiamata malattia qualcosa senza di cui non esiste matrimonio, poiché il matrimonio può esistere senza peccato, mentre la malattia è dichiarata peccato dall'Apostolo". Ti risponderò dicendo che non ogni malattia è detta peccato. Questa malattia invece è una pena del peccato, senza di cui non può esistere la natura umana non ancora sanata in ogni sua parte. Se poi la libidine non può essere un male perché senza di essa non può esserci il bene del matrimonio, da un altro punto di vista il corpo non può essere buono, perché senza di esso non si può commettere il male dell'adulterio. Questo è falso e così pure quello. Chi ignora d'altra parte il comando rivolto agli sposati dall'Apostolo: che ciascuno sappia possedere il proprio corpo ( vale a dire la propria moglie ) non seguendo la spinta della concupiscenza come i pagani che non conoscono Dio? ( 1 Ts 4,4-5 ) Chi legge l'Apostolo su questo argomento ti abbandonerà. Non ti vergogni inoltre di introdurre o di ritenere presente nei coniugi prima del peccato la libidine che tu stesso, benché con un po' di rossore, riconosci come male? Non sei forse tu che ti nascondi nel sudiciume quando t'incoroni con la libidine della carne e del sangue come di un roseo fiore di paradiso e, piacevolmente soffuso di tale colore, arrossisci e nello stesso tempo lodi? 11.57 - L'unione dei sessi nell'ipotesi che l'uomo non avesse peccato Come è possibile trovare tanto diletto nel chiacchierare per dimostrare con una lunga disquisizione cose che già professiamo ed insegniamo, come se le negassimo? Chi nega, infatti, che ci sarebbe stata ugualmente l'unione dei sessi se non ci fosse stato di mezzo il peccato? Al pari delle altre membra, anche i genitali sarebbero stati mossi dalla volontà e non eccitati dalla libidine, oppure, se vogliamo, sarebbero stati mossi dalla libidine ( non intendiamo rattristarvi troppo a suo riguardo ) ma non quale essa è, bensì da una libidine posta al servizio della volontà. Veramente voi, per difendere la vostra protetta, vi affannate con tanta fedeltà che patireste violenza se non la collocaste anche nel paradiso quale essa è in questo momento. Voi dite che ivi essa non è diventata tale per il peccato, ma che sarebbe rimasta tale anche se nessuno avesse peccato. In quella pace si sarebbe combattuto con essa, o per non combattere, sarebbe stata appagata ogni qualvolta si fosse eccitata. Oh sante delizie del paradiso! Oh pudore di tanti vescovi! Oh fedeltà di tanti casti! 12.58 - L'autorità dei filosofi nella questione sul pudore Con la pretesa di dimostrare che non tutto ciò che si copre, lo si copre per la vergogna derivante dal peccato, ti dilunghi nel ricordare le numerose parti del corpo che normalmente portiamo coperte. Quasi che quelle parti fossero state coperte solo dopo il peccato, come hanno fatto quei primi uomini, di cui stiamo discutendo, che dopo il peccato hanno ricoperto quelle parti vergognose, che, prima del peccato, non erano né vergognose né coperte. "Nel libro di Tullio, tu dici, Balbo ne ha parlato molto diligentemente con Cotta". Spinto da questo, continui e fai alcune osservazioni per accrescere la mia vergogna, poiché, pur con il magistero della Sacra Legge, non ho compreso cose alla cui conoscenza i gentili sono potuti arrivare col solo aiuto della ragione. E riporti le parole di Balbo dal libro di Cicerone per insegnarci cosa gli stoici abbiano pensato delle differenze fra maschi e femmine negli animali muti e cosa abbiamo pensato dei genitali e della mirabile attrazione dell'unione dei corpi. Tuttavia prima di citare le parole di Tullio o di qualsivoglia altro, con molta cautela hai voluto ammonire che "egli ha colto l'occasione di trattare della funzione dei sessi, parlando degli animali, poiché per pudore aveva tralasciato di trattarla nella descrizione dell'uomo". Che vuol dire "per pudore"? Che forse il pudore viene offuscato nel sesso dell'uomo, nel quale Dio opera in maniera più degna come si conviene in una natura più eccellente? Gli stoici ti hanno insegnato a parlare delle cose occulte, non ad arrossire di quelle vergognose. Successivamente aggiungi "in che modo egli descriva l'uomo nel suo parlare; in qual modo esponga che lo stomaco sta al di sopra dell'intestino e come esso sia il ricettacolo dei cibi e delle bevande; come i polmoni ed il cuore ricevano l'aria dall'esterno; come nell'intestino avvengano cose mirabili con l'aiuto dei nervi e come esso, molteplice e tortuoso, trattenga e contenga tutto quello che ha ricevuto, secco o umido che sia, e tante altre cose del genere fino alla descrizione del modo in cui vengono espulsi gli avanzi dei cibi con la contrazione o il rilassamento degli intestini". Avendo potuto descrivere questi processi nelle bestie, per quale motivo è passato a descriverli nell'uomo, se non perché essi non sono vergognosi, così come non era stato vergognoso descrivere nelle bestie i genitali e la funzione dei sessi, cosa che invece è vergognoso fare negli uomini? La ragione è la stessa per cui dopo il peccato i genitali sono stati ricoperti con foglie di fico. Nella descrizione del corpo umano, giunto al punto dove si tratta dell'espulsione degli avanzi dei cibi, scrive: "In verità non è difficile dire come avviene. È bene tuttavia non parlarne affinché il discorso non abbia qualcosa di sgradevole". Non ha detto: "affinché il discorso non abbia qualcosa che ingeneri confusione o vergogna", ma: "non abbia qualcosa di sgradevole". Altro è ciò che infonde terrore ai sensi per la propria deformità ed altro è ciò che infonde pudore alle menti, pur se è bello. Quello offende il gusto; questo invece muove la libidine o da essa è mosso. 12.59 - Il valore delle citazioni dei filosofi Qual giovamento dunque ti portano queste cose? "Lo stesso nostro Creatore - tu dici - non ha conosciuto alcun difetto nella sua arte per occultare con tanta diligenza i nostri organi vitali". Ben lontano sia in verità che tanto Creatore possa aver conosciuto qualche difetto nella sua arte. Il motivo per cui li ha nascosti l'hai dichiarato tu stesso poco sopra: "perché non si rovinassero o incutessero paura". Gli organi che i primi coniugi hanno ricoperto con foglie di fico ( Gen 3,7 ) non si rovinavano né incutevano paura allorquando erano nudi e non arrossivano. ( Gen 2,25 ) La riservatezza della pudicizia ora evita di guardare quelle membra affinché la vista di esse non alletti più che spaventi. Hai sperato invano, dunque, che la tua tesi potesse essere aiutata dalla testimonianza degli stoici, non essendo propriamente favorevole ad essi, che non hanno riposto alcuna particella di bene umano nel piacere del corpo. Essi hanno preferito del resto lodare la libidine nelle bestie più che negli uomini, al contrario di come hai fatto tu. Tullio invero, in armonia con la loro opinione, dice da qualche parte di non credere che "il bene di un montone sia identico a quello di Publio l'africano". Questa espressione avrebbe dovuto ammonirti meglio su cosa avresti dovuto pensare della libidine degli uomini. 12.60 - Cicerone riconosce la miseria della condizione umana, pur ignorandone la causa Se hai piacere che diciamo ancora qualcosa su tali scritti letterari, poiché anche in essi si trovano parecchie vestigia di verità, credo sia tuo dovere confessare apertamente che le parole citate da te non hanno valore alcuno contro di noi. Esamina piuttosto se quello che sto per dire non sconvolga la tua asserzione. Nel terzo libro Sulla Repubblica, lo stesso Tullio dice che "l'uomo è venuto alla luce da una natura non madre, ma matrigna, con un corpo nudo, fragile, debole e con l'anima ansiosa per le angustie, trepidante per i timori, fiacco per le fatiche, incline al piacere, ma che tuttavia, quasi sepolto in lui, c'è il fuoco divino dell'ingegno e della mente". Cosa rispondi? Lo scrittore non ha fatto derivare questi mali dalle cattive abitudini dei viventi, ma ha incolpato la natura. Ha visto la realtà, ne ha ignorata la causa. Gli era sconosciuto il motivo per cui era imposto un giogo pesante sui figli di Adamo dal giorno nel quale sono usciti dal seno della madre fino al giorno nel quale ritorneranno alla madre di tutti. ( Sir 40,1 ) Non conoscendo la Sacra Scrittura, ignorava il peccato originale. Se avesse sentito bene della libidine che tu difendi, non gli sarebbe dispiaciuto che l'animo fosse ad essa incline. 12.61 - Cicerone chiama le libidini parti viziose dell'animo Se poi difendi la libidine come un bene inferiore verso cui l'animo non deve piegarsi dai beni superiori, non perché sia un male ma solo perché è l'infimo dei beni, ascolta le parole ancora più chiare che lo stesso autore scrive nel terzo libro Sulla Repubblica, parlando della ragione del comando: "non vediamo noi che dalla natura stessa è stato dato a tutti i migliori un dominio con grande utilità per i deboli? Perché Dio comanda all'uomo, l'anima al corpo e la ragione alla libidine, all'ira ed alle altre forze viziose della stessa anima?". Secondo l'insegnamento di costui, riconosci alfine che sono forze viziose dell'anima quelle che tu ritieni buone? Ascolta ancora: "È necessario conoscere, aggiunge poco dopo, le differenze tra il comandare e il servire. Come diciamo che l'anima comanda al corpo così diciamo che comanda anche alla libidine: al corpo come il re ai suoi cittadini o il padre ai figli; alla libidine, invece, come il padrone ai servi, perché la reprime e la spezza. Le disposizioni dei re, degli imperatori, dei magistrati, dei genitori, dei popoli comandano ai cittadini o agli alleati, come l'anima al corpo. I padroni invece opprimono i servi come la sapienza, la parte più nobile dell'animo, sovrasta le altre forze viziose e deboli, quali la libidine, l'ira e le altre passioni". Hai ancora da blaterare contro di noi qualcosa tratta dagli scrittori di letteratura profana? Se cercassi di sapere quello che dici a favore di questo errore - che Dio voglia allontanare da te! - contro tanti vescovi, esimi interpreti delle parole divine, ed in qual modo stai resistendo alla loro santità, cosa potrà rappresentare per te Tullio perché tu non gli rinfacci che su questo argomento ha vaneggiato e delirato? Lascia perdere dunque i libri di quel genere e non voler insegnarci da essi qualcosa con tono sprezzante, affinché non accada che, mentre credi di essere innalzato, non venga schiacciato dalle loro testimonianze. 13.62 - Il movimento dei genitali prima del peccato non era indecoroso Cosa hai creduto invano di argomentare dall'eccitazione della donna, di cui essa stessa si vergogna? La donna non ha coperto infatti un movimento visibile, ma, avendo nelle stesse membra una sensazione occulta, simile a quella dell'uomo, entrambi hanno coperto quelle parti che nel reciproco sguardo entrambi avevano sentite mosse in se stessi ed entrambi erano arrossiti per se stessi o l'uno per l'altro. Continuando a parlare vanamente, chiedi che "le vereconde orecchie ti perdonino e, più che indignarsi, si lamentino per la tua dura necessità". Perché mai provi dell'imbarazzo nel parlare delle opere di Dio? Perché chiedi che ti si perdoni? La richiesta di perdono da parte tua non è forse anch'essa una accusa della libidine? "Se il membro dell'uomo, tu dici, poteva eccitarsi anche prima della colpa, non è stata introdotta alcuna novità". Sì, poteva eccitarsi anche prima, ma non era indecente, tale cioè da ingenerare vergogna. Lo muoveva infatti il comando della volontà e non la carne con voglie opposte allo spirito. Proprio qui sta la novità vergognosa che la vostra nuova dottrina difende con impudenza. In linea generale, non ho mai condannato il moto dei genitali, o, come tu dici "affermativamente". Ho semplicemente condannato il moto prodotto dalla concupiscenza, per la quale la carne ha voglie opposte allo spirito. ( Gal 5,17 ) Se il tuo errore lo difende come un bene, non saprei proprio in qual modo il tuo spirito possa avere desideri opposti ad essa, opposti, cioè, ad un male. 13.63 - La disobbedienza delle membra conseguenza della disobbedienza dell'uomo "Se la libidine si trovava nel frutto di quell'albero, tu dici, essa si rivela come opera di Dio e, di conseguenza, è difesa anche come buona". Ti rispondo: la libidine non si trovava nel frutto dell'albero, che, di conseguenza, era buono. Cattiva è la disobbedienza della libidine, che è sorta dopo la disobbedienza dell'uomo commessa nell'albero, mentre Dio l'abbandonava a se stesso. Sia ben lontano il pensare che Dio, in qualunque età della vita umana o in qualunque tempo, da un albero buono abbia conferito un beneficio, a causa del quale gli uomini avessero nelle membra un avversario contro cui la pudicizia dovesse combattere. 13.64 - Giuliano loda la concupiscenza, ma condanna la lussuria Sappiamo bene che "l'apostolo Giovanni, quando scriveva: Tutto ciò che è nel mondo: la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi, il tronfio orgoglio della vita, non è dal Padre, ma è dal mondo, ( 1 Gv 2,16 ) non ha inteso condannare questo mondo, vale a dire, il cielo e la terra e tutto ciò che c'è in esso di sostanziale, poiché proviene dal Padre per opera del Figlio". Sappiamo tutto questo. Non ce lo insegnare. Volendo spiegare la concupiscenza della carne che l'Apostolo esclude possa derivare dal Padre, hai detto che "con essa si deve intendere la lussuria". Ma se ti domando a cosa si debba acconsentire perché si abbia la lussuria e cosa si debba contrastare perché non la si abbia, la tua tesi ti è di fronte: rifletti se è ancora da lodarsi quello che è lussuria se gli acconsenti o è continenza se gli resisti. Mirabile sarebbe che decida se debba maggiormente disprezzarla insieme alla lussuria, che si ha acconsentendole, oppure se debba lodarla con la continenza che le dichiara guerra. In questa guerra la castità è la vittoria della continenza la lussuria quella della concupiscenza. Saresti giudice incorrotto ed integro, nel lodare la continenza e nel disprezzare la lussuria; pur tuttavia tratti come una persona la concupiscenza ( vedi tu perché hai paura di offenderla! ) così da non arrossire nel lodarla insieme alla sua avversaria e da non avere il coraggio di disprezzarla insieme alla sua vittoria. Lungi sia che qualche uomo di Dio ti ascolti quando disprezzi la lussuria per approvarti poi quando lodi la concupiscenza, cosicché dal tuo parlare ritenga un bene quello che in se stesso sperimenta come un male. Chi inoltre nella lotta sconfiggerà la concupiscenza, che a torto esalti, non avrà la lussuria che tu giustamente disprezzi. Come potremo però obbedire all'apostolo Giovanni, se amiamo la concupiscenza della carne? Mi dirai: Non è lei che esalto. Qual è dunque quella che Giovanni esclude venga dal Padre? La lussuria, risponderai. Ma non saremo lussuriosi se non quando ameremo la concupiscenza che lodi. Proprio per questo, quando l'Apostolo diceva: non amate la concupiscenza della carne, voleva che noi non fossimo lussuriosi. Quando ci viene proibita la lussuria, quindi, ci viene proibito di amare la concupiscenza della carne lodata da te. Siccome questa però, che ci è proibito di amare non è dal Padre, anche la concupiscenza che tu esalti non viene dal Padre. Due beni infatti che vengono dal Padre non possono combattersi tra di loro. La continenza e la concupiscenza invece si combattono tra di loro. Decidi quale delle due vorresti che venga dal Padre. Vedo la tua perplessità: saresti favorevole alla concupiscenza, ma arrossisci per la continenza. Ebbene, vinca il tuo pudore e da esso sia sconfitto il tuo errore. E poiché dal Padre viene la continenza con cui è sconfitta la concupiscenza della carne, ricevi da lui la continenza per la quale giustamente sei arrossito e sconfiggi la concupiscenza, che con bocca malvagia hai esaltato. 14.65 - Il piacere dei sensi Hai perfino ritenuto opportuno chiedere l'aiuto del piacere di tutti i sensi, come se il piacere degli organi genitali con così grande avvocato non fosse sufficiente a se stesso, se non gli venisse in soccorso la schiera dei colleghi. Ritieni "logico, infatti, che dovremmo dire derivati dal diavolo e non da Dio i sensi della vista, dell'udito, del gusto, dell'odorato, del tatto, se ammettiamo che la concupiscenza della carne, a cui ci opponiamo con la continenza, non esisteva nel paradiso prima del peccato, ma è sopraggiunta a causa del peccato, ispirato al primo uomo dal diavolo". In tal modo non sai o fingi di non sapere che, in qualsiasi senso del corpo, altro è la vivacità, l'utilità e la necessità di sentire ed altro la libidine del sentire. La vivacità del sentire si ha quando, in misura maggiore o minore, uno riesce a percepire nelle stesse cose materiali ciò che è vero a seconda del loro modo o della loro natura distinguendolo più o meno dal falso. L'utilità del sentire sta nel determinare quello che si deve approvare o riprovare, accettare o respingere, desiderare o evitare per il corpo e la vita che ci portiamo appresso. La necessità del sentire si ha quando i nostri sensi sono costretti a percepire anche le cose che non vogliono. La libidine del sentire invece, di cui ora trattiamo, è quella che ci spinge a sentire il desiderio del piacere carnale sia che la nostra mente è favorevole, sia che è contraria. Essa è avversa all'amore della sapienza ed è nemica delle virtù. Per quanto attiene all'unione dei due sessi, il matrimonio fa buon uso di questo male quando i coniugi generano i figli per mezzo di esso, ma non fanno nulla solo per esso. Se avessi voluto o potuto distinguerlo dalla vivacità, dall'utilità e dalla necessità dei sentire, avresti compreso quanto vanamente hai detto tante cose superflue. Il Signore infatti non ha detto: chiunque guarda una donna, ma chiunque guarda una donna desiderandola ha già commesso in cuor suo adulterio con lei. ( Mt 5,28 ) Se non sei ostinato, ecco la distinzione tra il senso del vedere e la libidine del sentire. Quello l'ha creato Dio quando ha formato il corpo; questa l'ha seminata il diavolo, quando ha ispirato il peccato. 14.66 - Il desiderio del piacere sensibile dev'essere vinto Gli uomini pii dunque lodino il cielo e la terra e tutto ciò che c'è in essi e attraverso di essi lodino Dio per la loro bellezza, non per l'ardore della libidine. Il religioso e l'avaro in maniera diversa lodano lo splendore dell'oro: l'uno con la venerazione per il Creatore, l'altro con l'ansia di possedere la creatura. Un canto sacro muove certamente l'animo all'amore della pietà: se anche qui viene riprovata la libidine dell'ascolto, qualora si desideri il suono e non il significato, quanto a maggior ragione dev'essere provata se si diletta nel sentire canzoncine vuote e magari sporche? Gli altri tre sensi più attinenti al corpo ed in certo senso più grossolani, non si proiettano fuori, ma compiono all'interno quanto compete loro. L'odorato si distingue da chi odora; il sapore da chi gusta ed il tatto da chi tocca. Non sono infatti la stessa cosa il caldo e il freddo o il liscio o il rude; né questi sono la stessa cosa che il molle e il duro, così come da essi si distingue notevolmente il pesante e il leggero. Quando in tutte queste cose si evitano le molestie, quali il puzzo, l'amaro, il caldo, il freddo, il rude, il duro, il pesante, si ha ricerca di comodità, non libidine del piacere. I contrari di queste cose, che accettiamo tranquillamente, quando non hanno rilevanza per la salute o per l'allontanamento del dolore e della fatica, anche se sono accettati con una certa soddisfazione quando ci sono, non debbono essere desiderati con libidine quando non ci sono. Non è bene il desiderarli. Simile appetito infatti dev'essere domato e sanato anche nelle cose di qualsiasi genere. Quale uomo, quanto si voglia castigatore della propria concupiscenza, entrando in un luogo impregnato di profumo d'incenso, può evitare di sentirne il soave odore, a meno che non chiuda le narici o con forza di volontà si alieni dai sensi del corpo? Uscendo da quel luogo, avrà forse desiderio di esso in casa o dovunque vada? Qualora poi lo desideri, dovrà forse saziare questo desiderio o non piuttosto frenarlo ed agire con lo spirito contro le voglie della carne, finché non giunga alla sua primitiva sanità, nella quale non avrà più desideri del genere? È una piccola cosa ma è come è scritto: chi disprezza il poco, muore a poco a poco. ( Sir 19,1 ) 14.67 - Il piacere e la necessità di mangiare Abbiamo bisogno del sostegno degli alimenti. Se non fossero piacevoli non li potremmo neppure prendere e con nausea li respingeremmo: dobbiamo anche guardarci da pericolosi fastidi. La debolezza del nostro corpo ha bisogno non solo del cibo, ma anche del suo sapore, non per appagare la libidine, ma per salvaguardare la salute. Quando la natura pertanto richiede in certo modo i sussidi che le mancano, non si chiama libidine, ma solo fame o sete. Quando, però, dopo aver consumato il necessario, l'amore del cibo sollecita ulteriormente l'animo, già è libidine, già è male cui non bisogna cedere ma resistere. Queste due cose la fame, cioè, e l'amore del mangiare le distingue anche il poeta, quando, dopo il travaglio del mare, giudicando essere stato sufficiente per i compagni di Enea, naufraghi e forestieri, l'aver preso tanto cibo quanto ne richiedeva la necessità di mangiare, scriveva: … saziata la fame e tolte via le mense … Lo stesso Enea, invece, quando fu ricevuto ospite da Evandro, ritenendo giustamente che il banchetto regale più ricco offriva da mangiare in misura superiore al necessario, non ritenne sufficiente dire: saziata la fame, ma aggiunge: soddisfatto l'amore del mangiare. Quanto a maggior ragione spetta a noi conoscere e distinguere quale sia la necessità di mangiare e quale il piacere della voracità. È compito nostro nutrire con lo spirito desideri avversi alle voglie della carne, dilettarci della legge di Dio secondo l'uomo interiore, ( Rm 7,22 ) e non offuscare minimamente la serenità del suo gusto con piaceri libidinosi. Questo piacere del mangiare, dunque, lo si deve reprimere non col mangiare, ma con l'astinenza. 14.68 - Nel paradiso nessun eccesso Chi, sobrio di mente, non preferirebbe, se fosse possibile, prendere cibi o bevande senza alcun pungente piacere carnale, così come prendiamo gli alimenti gassosi, che assorbiamo o emettiamo dall'aria che ci circonda aspirando ed espirando? Questo alimento che prendiamo senza intermissione con la bocca e col naso, non sa di niente e non ha alcun odore, eppure, senza di esso, non possiamo vivere neanche per un piccolo intervallo di tempo, mentre possiamo stare a lungo senza cibo o bevanda. Pur tuttavia non se ne avverte il bisogno, ma solo il fastidio, quando si chiudono la bocca e le narici oppure quando, per decisione della volontà, interrompiamo per un tantino, fino a quando lo permette il fastidio stesso, il compito dei polmoni, con cui, come con dei mantici, a movimenti alternati aspiriamo o emettiamo respiri vitali. Quanto saremmo più felici se potessimo prendere cibo e bevanda ad intervalli lunghi, come ora, o ad intervalli ancor più lunghi, senza l'allettante soavità del sapore. Quanto fastidio e quanta rovina allontaneremmo! Se quelli che prendono gli alimenti con temperanza in questa vita sono chiamati parchi e sobri e giustamente sono tenuti in onore - non mancano in verità coloro che prendono il cibo solo nella misura richiesta dalla natura o anche in misura inferiore, preferendo, nel caso dovessero sbagliarsi nel misurare il necessario, aver mangiato di meno anziché di più - quanto a maggior ragione è necessario ritenere che, in quella dignità originaria ci sarebbe stata una misura onesta nel prendere il cibo, per offrire al corpo animale solo il necessario, senza eccedere in nulla la misura naturale, così come bisogna ritenere che si siano comportati i primi uomini nel paradiso? 14.69 - L'ipotesi della libidine nel paradiso Non si può passare sotto silenzio che alcuni, non disprezzabili espositori della parola di Dio, sono propensi a credere che nel paradiso non c'era alcun bisogno di tale alimento, ma che lì vi sarebbe stato il solo piacere ed il solo alimento del quale si diletta e si ciba il cuore dei sapienti. È stato scritto: Maschio e femmina li creò. Dio li benedisse e disse loro: siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra. ( Gen 1,27-28 ) Sono d'accordo con quelli che intendono queste parole secondo il sesso corporeo e visibile, così come le altre che seguono: Poi Dio disse: ecco, io vi dò ogni sorta di graminacee produttrici di semente, che sono sulla superficie della terra ed anche ogni sorta di alberi in cui vi sono frutti portatori di seme: costituiranno il vostro nutrimento. Ma a tutte le fiere della terra, a tutti i volatili del cielo e a tutti gli esseri che strisciano sulla terra e nei quali è l'alito di vita, io dò come nutrimento le erbe verdi. ( Gen 1,28-30 ) Essi intendono queste parole nel senso che entrambi i sessi facevano uso dei medesimi alimenti di cui si servivano anche gli altri animali e da essi ricevevano un congruo sostentamento necessario al corpo animale, sia pure immortale sotto un certo aspetto, perché non fosse rovinato dalla necessità; dall'albero della vita invece per non essere condotti a morte dalla vecchiaia. Per nessun motivo però sarei disposto a credere che, in quel luogo di tanta felicità, la carne abbia potuto avere voglie opposte allo spirito e lo spirito contro la carne e che, a causa di questo conflitto, essi siano vissuti senza pace interiore, o che lo spirito non abbia contrastato i desideri della carne o che li abbia appagati con turpe sottomissione, ogni qualvolta la libidine avesse suggerito qualcosa. Bisogna dunque concludere che lì non c'era alcuna concupiscenza della carne, ma si viveva in modo tale che tutto il necessario veniva ottenuto con appropriati compiti delle membra, senza alcun movimento libidinoso - non perché non viene seminata con la libidine, infatti, ma solo dal volontario movimento delle mani dell'agricoltore, la terra non concepisce i suoi frutti da partorire - oppure, per non offendere troppo quelli che in qualche modo difendono i piaceri del corpo, che ivi c'era la libidine dei sensi carnali, ma in tutto soggetta alla volontà razionale, che era presente solo per servire alla salute del corpo o alla propagazione della stirpe ed in misura tale da non distrarre per nulla la mente dalla gioia della celeste contemplazione, escludendo qualunque vano o importuno movimento. Da essa insomma sarebbe derivato solo il giovamento e nulla sarebbe stato fatto per essa. 14.70 - L'uso del piacere inevitabile Quanto diversa sia nella realtà attuale, lo sanno molto bene quelli che la combattono. Si insinua infatti in quelli che vedono o sentono qualcosa, anche se vedono o sentono per altri motivi, con moto improvviso tra le cose necessarie che nulla hanno a che fare con essa, per carpire una voluttuosa sensazione sia pure escludendo la percezione del piacere di toccare. E negli stessi pensieri, anche quando nulla di scabroso appare dinanzi agli occhi o risuona nelle orecchie, quanti ricordi di cose già svanite o sopite essa non cerca di risvegliare insieme a turpi ricordi? Quanto strepito non crea nelle sante e caste intenzioni col frastuono di sordidi richiami? Quando poi si arriva all'uso del piacere necessario, con cui ristoriamo il nostro corpo, chi può spiegare come essa non ci permetta di percepire la misura della necessità e come nasconda o oltrepassi il limite del ristabilimento della salute, attraendo verso qualsiasi piacere si presenti? Chi può spiegare come, mentre riteniamo insufficiente quello che di fatto lo è, spinti dalle sue sollecitazioni, volentieri siamo portati a credere di servire la salute, mentre in realtà serviamo la ghiottoneria? Il male fatto ce lo attesta la spiacevole indigestione, per paura della quale spesso ci nutriamo meno di quanto sia sufficiente a togliere la fame. La cupidigia, come si vede, ignora dove finisce la necessità. 14.71 - Le differenze dei piaceri carnali Il piacere del mangiare e del bere può essere tollerato purché, con maggior volontà possibile, stiamo attenti a non rimpinzarci troppo facilmente, eccedendo talvolta nella misura del vitto sufficiente. Contro questa concupiscenza del cibo combattiamo col digiuno o col cibarci con maggiore sobrietà e facciamo buon uso di essa, che è un male, quando attraverso di essa ci procuriamo solo ciò che può tornare utile alla salute. Ho detto che questo piacere può essere tollerato perché la sua forza non è sufficiente a distrarci dai pensieri attinenti alla sapienza, se con diletto siamo intenti ad essi. Durante i banchetti, infatti, riusciamo non solo a pensare, ma anche a discutere di grandi problemi e, mentre si mangia e si beve, parliamo senza perdere minimamente l'attenzione nel dire o nell'ascoltare e, forse più intensamente che se ci venisse letto, imprimiamo nella nostra mente quello che desideriamo conoscere o ricordare. L'altra libidine, invece, quella per la quale ti scontri con tanto ardore, anche quando si fa uso di essa con buoni intendimenti, nella generazione per esempio, può mai permettere, nel mentre la si appaga, di pensare, non dico alla sapienza, ma a qualunque altro problema? Ad essa non si dedicano totalmente il corpo e l'anima? Ed il culmine del suo piacere non viene forse raggiunto con un certo soffocamento della mente? Quando poi essa prende il sopravvento e spinge anche gli sposati ad unirsi non per la generazione ma per la passione del godimento carnale, che Paolo afferma aver detto a modo di concessione, non a modo di comando, ( 1 Cor 7,6 ) la mente emerge e, dopo quel turbine, respira l'aria dei pensieri constatando la verità di quanto qualcuno ha detto circa la vicinanza del pentimento al piacere. Quale uomo, amante del bene spirituale, sposato solo per la propagazione della prole, non vorrebbe procreare i figli senza di essa, se fosse possibile, o per lo meno senza la sua forte passione? Se non ci è dato di pensare nulla di meglio credo sia nostro dovere attribuire alla vita del paradiso che indubbiamente era molto più bella, quello che i santi coniugi amerebbero in questa vita. 14.72 - I filosofi pagani condannano il piacere corporale La filosofia dei pagani, per carità, non sia più nobile di quella dei cristiani, che è la sola vera filosofia, se con questo nome si vuole significare lo studio e l'amore della sapienza! Considera, infatti, quanto Tullio dice nel dialogo dell'Ortensio. Le sue parole avrebbero dovuto piacerti di più delle parole di Balbo che difendeva gli stoici. Quantunque vere, quelle parole non hanno potuto aiutarti perché si riferivano alla parte inferiore dell'uomo, al corpo. Ascolta dunque ciò che egli dice per la vitalità della mente contro il piacere del corpo: Bisogna forse bramare i piaceri del corpo che, giustamente e significativamente, da Platone sono stati chiamati allettamento ed esca dei mali? Quale indebolimento della salute, quale deformazione del temperamento e del corpo, quale turpe danno, quale disonore non viene evocato e destato dal piacere? Il suo eccitamento così come è il più forte, è il maggior nemico della filosofia. Il grande piacere del corpo infatti non può andare d'accordo con il pensiero. Mentre si fa uso di quel piacere, di cui nulla c'è di più forte, chi mai è capace di riflettere, di ragionare, o di pensare qualche cosa? Chi mai può avere tanta impetuosità da voler eccitare i propri sensi giorno e notte, senza la minima pausa, come nel culmine del piacere voluttuario? Quale uomo sano di mente non avrebbe preferito che la natura non ci avesse dato alcun piacere? Queste parole le ha dette uno che non sapeva nulla della vita dei primi uomini, della felicità del paradiso e della risurrezione dei corpi. Arrossiamo dunque per queste veritiere affermazioni degli empi, noi che abbiamo imparato, nella vera e santa filosofia della vera pietà, che la carne ha voglie contro lo spirito e lo spirito contro la carne. ( Gal 5,17 ) Cicerone però ignorava perché avvenisse ciò, eppure, a differenza di quello che fai tu, non solo non favoriva la concupiscenza ma la contrastava tenacemente, cosa che al contrario tu non solo non fai ma ti arrabbi energicamente con quelli che lo fanno. Con timidezza cerchi di lodare le voglie dello spirito e della carne, in lotta tra di loro come in guerra, quasi temendo di avere come nemica quella che potrebbe sconfiggere l'altra. Coraggio, piuttosto, non avere paura, loda la concupiscenza dello spirito contro quella della carne perché essa combatte tanto più acremente, quanto più castamente. Senza timore alcuno, quindi, condanna la legge che contrasta la mente, con la medesima legge contro cui essa è in contrasto. 14.73 - Contemplazione della bellezza e eccitamento della libidine Altro è la considerazione della bellezza, anche corporale, sia quella che si vede, come il colore o la figura, sia quella che si sente, come il canto o la melodia, considerazione riservata all'animale ragionevole, e altro è la commozione della libidine, che deve essere frenata dalla ragione. S. Giovanni apostolo, infatti, ha detto che la concupiscenza che ha voglie contro lo spirito non viene dal Padre. ( 1 Gv 2,16 ) Nessuno la può giudicare buona, se non chi non ama che il suo spirito abbia desideri opposti ad essa. Se non sia tale nel movimento e nell'ardore dei genitali, lo spirito non abbia desideri opposti ad essa affinché non si dimostri ingrato nutrendo desideri opposti al dono di Dio. Le si dia tutto ciò che brama, come ad una cosa che viene dal Padre, e qualora non si ha nulla da darle, si chieda al Padre non che la tolga di mezzo o la reprima, ma che appaghi integralmente la concupiscenza da lui donata. Se questo è parlare da insipienti, perché paragonarla al vino o al cibo? Perché illuderci di dire qualcosa quando affermiamo: "né l'ubriachezza condanni il vino, né l'ingordigia il cibo, né l'oscenità disonori la libidine", dal momento che non si ha né ebrietà, né ingordigia, né oscenità quando la concupiscenza della carne è vinta dallo spirito che nutre desideri contro di essa? "La sua colpa sta nell'eccesso", dici tu. Non ti rendi conto, però ( come ti sarebbe stato molto facile, qualora avessi voluto sconfiggere quella anziché me ), che per non cadere nell'eccesso è necessario resistere al male della concupiscenza. Due sono i mali: l'uno lo possediamo e l'altro lo commettiamo se non resistiamo a quello che possediamo. 14.74 - La libidine nelle bestie non è un disordine Abbiamo già detto in precedenza che nelle bestie la concupiscenza non è un male perché in esse non ha voglie opposte allo spirito. Esse infatti non hanno la ragione con cui soggiogare la libidine sconfiggendola o con cui lavorare per combatterla. Chi ti ha detto che "si pecca sempre ad imitazione delle bestie"? Per controbattere questa tesi che nessuno ti aveva obiettato ti sei affannato tanto da raccogliere una congerie di cose superflue che anche la scienza medica insegna dopo averle osservate nelle bestie. Affinché, però, non si creda che la concupiscenza della carne non è un male, per il fatto che è un bene nelle bestie, la cui natura, incapace di aspirare alla sapienza, può trovare diletto in essa, è stato ribadito che è un bene nelle bestie che vi trovano diletto senza alcun contrasto, mentre è un male negli uomini, nei quali essa ha voglie opposte allo spirito. 15.75 - L'autorità dei filosofi nella questione sulla libidine Hai invocato l'aiuto di una massa di filosofi affinché, non potendolo fare la naturale abilità delle bestie, venissero in soccorso alla tua protetta almeno gli errori di uomini dotti. Chi non vede però come il tuo appellarti a uomini dotti e a sette diverse è solo ostentazione di sapere, se non appena legge le tue parole scopre che non hanno nulla a che fare con i problemi che ci riguardano? Chi può infatti ascoltare i filosofi da te ricordati: Talete di Mileto, uno dei sette sapienti, Anassimandro, Anassimene, Anassagora, Senofane, Parmenide, Leucippo, Democrito, Empedocle, Eraclito, Melisso, Platone, i Pitagorici, ciascuno con la propria soluzione dei problemi naturali? Chi può, dico, ascoltare tutto questo, soprattutto se si tratta di gente non erudita, qual è la maggioranza degli uomini, senza restare stupito dallo strepito dei nomi e delle scuole riunite insieme e senza giudicarti grande, per il fatto che hai potuto imparare tante cose? Questo tu vuoi. Limitandoti in effetti a citare tanti nomi alla rinfusa che nulla hanno a che fare con i problemi di nostro interesse, non hai detto assolutamente nulla. Avevi preannunciato di dire queste cose e poi hai scritto: "Tutti i filosofi, benché insegnavano altro nelle scuole, pur adorando gli idoli come la plebe, nel compiere ricerche sulle cause naturali, tra tante futilità, hanno tuttavia come intravisto alcune porzioni di verità, che, pur evanescenti per la loro nebulosità, giustamente possono essere anteposte al vostro domma contro cui stiamo combattendo". Per provarlo hai creduto dover aggiungere i nomi dei filosofi e dei fisici che anch'io or ora ho citato, con le opinioni che hanno avuto sulle cause naturali, ma non hai voluto o non hai potuto ricordarli tutti. Nessun uomo di dottrina dubita che in questo hai ingannato solo gli inesperti. Avevi cominciato a dimostrare "che tutti i filosofi che hanno tentato di fare ricerche sulle cause naturali, giustamente possono essere preferiti al domma contro cui dovevi combattere". Perché allora, per non parlare di molti altri, nel ricordare Anassimene ed il suo discepolo Anassagora, hai taciuto l'altro discepolo Diogene, il quale, sui fenomeni naturali, ha avuto opinioni diverse da quelle del maestro e del discepolo e ha proposto un proprio sistema? E se avesse pensato qualcosa che non potesse essere preferito a noi, a cui, a tuo dire, debbono essere preferiti tutti coloro che hanno espresso teorie sulla natura delle cose? E se, per dimostrare questo, ti fossi gonfiato insipientemente, ricordando a vuoto il nome e le tesi dei filosofi? Ne hai saltato uno che avresti dovuto esaminare più attentamente per la sua connessione con il maestro e il condiscepolo. Hai avuto forse timore che fosse scambiato con Diogene il Cinico, o che, portando lo stesso nome, ai lettori venisse in mente costui che è stato più di te protettore della libidine, giacché non si vergognava di praticarla in pubblico, ragione per cui la sua setta ha preso il nome dai cani. Tu invece ti professi difensore della libidine, ma nel contempo arrossisci della tua protetta, che non si addiceva alla fede ed alla libertà del protettore. 15.76 - Le opinioni dei filosofi sul bene dell'uomo Dimmi, ti prego: se era tuo desiderio anteporre a noi i filosofi, per qual motivo non hai parlato di quelli che con molta ingegnosità hanno disputato dei costumi nella parte della filosofia che essi chiamavano "etica" e noi "morale"? Questo infatti sarebbe stato molto congruente con te che reputi il piacere del corpo un bene dell'uomo, sia pure inferiore alla bontà della mente. Ma chi non vede le tue intenzioni? Hai cercato di evitare che, proprio sulla questione del piacere, ti possano schiacciare quei filosofi più onesti, che Cicerone ha chiamato "consolari" per la loro onorabilità e magari gli stessi stoici, acerrimi nemici del piacere, la cui testimonianza hai creduto di poter riferire dalla persona di Balbo nel dialogo del medesimo Cicerone, testimonianza senz'altro vera ma perfettamente inutile alla tua causa. Volendo nascondere la loro convinzione che il piacere del corpo non costituisce alcun bene per l'uomo, non hai ricordato nulla del problema morale, né nomi né dottrina di filosofi, cosa che sarebbe stata molto pertinente alla nostra questione, se qualcosa si poteva provare dai filosofi. Contro costoro infatti non avrebbe potuto difenderti, non dico Epicuro, che ha riposto tutto il bene dell'uomo nel piacere del corpo, giacché non pensi, come lui, ma neppure Dinomaco, la cui filosofia ti è piaciuta. Egli pensava di poter unire il piacere all'onestà, e che, al pari dell'onestà, il piacere potesse essere appetibile di per se stesso. Ritenendola ostile a te, hai avuto paura di toccare questa parte riguardante i costumi. Vedi bene che proprio in ciò che costituisce il culmine della nostra controversia, quali e quanti filosofi e di quale straordinaria fama tra le genti sono preferiti a te. Pensa soprattutto a Platone che Cicerone non dubita di chiamare quasi dio dei filosofi. Tu stesso non hai potuto fare a meno di citarlo quando hai voluto metterci contro o preferire a noi le teorie naturalistiche dei filosofi anziché quelle moralistiche. E non dimenticare che Platone giustamente e significativamente ha detto che i piaceri sono l'allettamento e l'esca dei mali. 15.77 - I filosofi ignorarono il peccato del primo uomo Hai forse ritenuto necessario ricordare quanto i filosofi da te citati pensavano della condizione dell'uomo, perché anch'esso è attinente alla questione naturale ed in qualche modo lo richiedeva la nostra causa? Non l'hai fatto ed a ragione. Cosa infatti essi avevano imparato ed insegnato del primo uomo Adamo e di sua moglie, della loro prima caduta, dell'astuzia del serpente o della loro nudità, senza vergogna prima del peccato e con vergogna subito dopo? Cosa infine avevano sentito delle parole dell'Apostolo: per opera di un solo uomo il peccato entrò nel mondo e attraverso il peccato la morte; così la morte passò a tutti gli uomini, perché in lui tutti peccarono? ( Rm 5,12 ) Ignari di queste parole e di questa verità, cosa avrebbero potuto sapere? In verità, se circa la condizione dell'uomo hai ritenuto doveroso non citare per niente le teorie degli uomini molto lontani dalle nostre Sacre Scritture, ed hai pensato molto bene: quanto meno avrebbero potuto esserti di aiuto le parole citate da te riguardanti le loro opinioni sull'inizio di questo mondo visibile, problema intorno a cui non c'è controversia alcuna tra di noi? La tua mente piuttosto è sconvolta dalla vanità dell'orgoglio, come se avessi appreso chissà che cosa dai libri dei filosofi. 15.78 - I filosofi più vicini alla fede cristiana Non sembra, però, che si siano avvicinati invano alla fede cristiana quelli che, vedendo questa vita piena di inganni e di miserie, hanno pensato che tutto fosse avvenuto per disegno di Dio, riconoscendo invero la giustizia al Creatore, da cui è stato fatto ed è governato questo mondo. Quanto hanno pensato meglio di te ed in maniera più aderente alla verità sull'origine dell'uomo, i filosofi che Cicerone, quasi guidato e spinto dall'evidenza stessa della verità, ha citato nell'ultima parte del dialogo dell'Ortensio. Dopo aver detto molte cose sulla vanità ed infelicità dell'uomo, come vediamo e lamentiamo: Per questi errori e contrarietà della vita umana, egli dice, è successo che talvolta nell'antichità i vati o gli espositori delle sacre iniziazioni e della mente divina, dànno l'impressione di avere intravisto qualcosa, dal momento che affermano che siamo nati per scontare pene contratte per qualche delitto commesso in una vita precedente. Per la stessa ragione è accaduto che noi siamo in certo modo colpiti da un supplizio, descritto da Aristotele, simile a quello che subivano coloro che un tempo cadevano nelle mani dei predoni etruschi. I poveretti venivano uccisi con una crudeltà raffinata: i loro corpi vivi erano legati il più stretto possibile ai cadaveri, facendo combaciare l'uno all'altro. Come i vivi ai cadaveri, le nostre anime sono unite ai corpi. Quelli che pensavano in questo modo non hanno visto forse meglio di te il grave giogo posto sul figli di Adamo, nonché la potenza e la giustizia di Dio, anche se non hanno potuto intravedere la grazia, concessa dal Mediatore per la liberazione dell'uomo? Ecco quindi che, su tua istigazione, ho trovato dagli scritti dei filosofi qualcosa che può essere realmente anteposto a te, che in essi non hai potuto trovare nulla di simile e non hai voluto tacere per esortarmi a trovare quello che va contro di te. 16.79 - La testimonianza dell'Apostolo sul pudore Come puoi ritenere favorevole a te una testimonianza dell'Apostolo che è contro di te, e, senza sapere quello che dici, dichiarare vergognose le nostre membra che prima del peccato erano nude e non ingeneravano turbamento? Ho dovuto usare infatti la medesima testimonianza dell'Apostolo che hai usato tu: quelle membra del corpo che ritieniamo le più deboli, sono molto più necessarie ( 1 Cor 12,22 ) e tutte le altre parole che hai aggiunto per noi. Vale la pena però di considerare come sei arrivato a dire: "È tempo ormai di far vedere sull'autorità della Legge, oltre che sulla evidenza della natura, che le nostre membra sono state formate in modo tale che alcune godessero di una libertà ed altre fossero coperte da pudore. A conferma sia citato il maestro dei gentili, che scrivendo ai Corinzi, dice: Il nostro corpo non è composto di un membro solo, ma di molte membra". ( 1 Cor 12,12 ) Dopo aver citato le parole con cui l'Apostolo spiega mirabilmente l'unità e la concordia delle membra, scrivi: "Avendo nominato poche membra di tutto il corpo, per pudore non ha voluto nominare i genitali". Ma con queste parole non rimproveri te stesso? Era pudore dunque non nominare direttamente quello che Dio rettamente si era degnato di fare? Poteva il banditore vergognarsi di proclamare ciò che il Giudice stesso non si era vergognato di creare? Non è meglio dire che quelle membra che Dio aveva create oneste, noi le abbiamo rese disoneste con il peccato? 16.80 - Corretta interpretazione del testo apostolico Su questo argomento aggiungi la testimonianza dell'Apostolo che si esprime, ce lo ricordi, in questi termini: Quelle membra del corpo che riteniamo le più deboli, sono molto più necessarie, e quelle che stimiamo le meno nobili del corpo, sono quelle che circondiamo di un più grande onore, e le nostre membra meno decenti sono trattate con decoro maggiore; al contrario, quelle oneste non ne hanno bisogno. Iddio ha composto il corpo in modo da dare maggiore onore a ciò che ne manca, affinché non vi sia divisione nel corpo ma le membra siano vicendevolmente sollecite del bene comune. ( 1 Cor 12,22-25 ) Subito dopo, qual vincitore, esclami: "Ecco uno che ha veramente compreso l'opera di Dio, ecco un fedele predicatore della sua sapienza: le nostre membra meno decenti sono trattate con maggiore onore". Hai creduto di poter legare tutta la tua causa ad una sola parola che dici di aver letto nell'Apostolo: le membra meno decenti. Se avessi letto invece: le nostre membra disoneste, non ti saresti servito affatto di questa testimonianza. In nessuna maniera infatti, e tanto meno prima del peccato, Dio avrebbe potuto creare qualcosa di disonesto nelle membra del corpo umano. Impara pertanto quello che ignori non avendo voluto indagare con diligenza. L'Apostolo ha scritto: disoneste, ma alcuni traduttori, tra i quali, penso, quello che è stato letto da te, per vergogna, credo, hanno chiamato meno decenti quelle membra che l'Apostolo aveva dichiarate disoneste. Lo si prova dalle parole stesse scritte nel codice da cui le hai tradotte. La parola intesa da te come meno decenti, in greco suona: ?s??µ??a. Le parole che seguono: sono circondate da maggiore onore in greco suonano e?s??µ?s???? che integralmente vengono interpretate onestà. Ne segue che ad ?s??µ??a si deve dare il significato di disoneste. L'altra aggiunta, infine: quelle oneste in greco suonano e?s??µ??a, donde appare chiaro che le membra che sono state chiamate ?s??µ??a sono disoneste. Ma, all'infuori di ogni considerazione delle parole greche, avrebbe dovuto parlarti chiaramente il fatto che sono dette disoneste quelle parti del corpo che copriamo con maggiore cura, mentre sono dette oneste le parti del corpo che non hanno bisogno di essere coperte. Quale significato avrebbero infatti le parole quelle oneste non ne hanno bisogno, se non che sono disoneste quelle parti che hanno bisogno di essere coperte? Si adopera l'onestà quindi con le cose disoneste allorquando queste sono ricoperte per quel senso di verecondia della natura ragionevole. La loro onestà ed il loro onore è la copertura, tanto più abbondante quanto più disoneste sono le parti. L'Apostolo non avrebbe scritto tali parole se avesse descritto il corpo quale l'uomo lo possedeva quando era nudo e non si vergognava. 16.81 - La vergogna dell'uomo e della donna dopo la perdita della grazia Vedi pertanto con quanta impudenza hai detto che "all'inizio gli uomini erano nudi perché il coprirsi appartiene alla umana ingegnosità che essi ancora non avevano". Ne seguirebbe che prima del peccato erano inetti e dopo il peccato sono diventati ingegnosi. Dopo aver detto queste e molte altre idiozie, quasi con eleganza ed acume concludi: "Non hanno reso i genitali disonesti o diabolici perché avevano peccato, ma, poiché avevano paura, hanno ricoperto quelle membra che restavano nella medesima onestà originaria". Al che rispondo dicendoti che le membra non sono affatto diaboliche per quanto riguarda la loro sostanza, la loro forma, la loro qualità, tutte opere di Dio. Se quelle membra però sono rimaste nella identica onestà primitiva, perché mai l'Apostolo le ha dette disoneste? Giustamente tu stesso hai ammesso che prima erano oneste: non avresti potuto infatti pensare diversamente se non con blasfema opinione. Quelle membra, quindi, che Dio aveva fatto oneste, l'Apostolo le ha chiamate disoneste. Ti domando il motivo. Se non è avvenuto a causa del peccato, per quale altro motivo è avvenuto? Chi ha reso disoneste le opere oneste di Dio cosicché l'Apostolo le chiamasse disoneste? È stato, forse, il nostro modo di essere nel quale si vede la ingegnosità del Creatore o la libidine nella quale c'è la pena del peccatore? Anche adesso, infatti, ciò che Dio vi compie è onesto, mentre ciò che l'origine vi contrae è disonesto. Pur tuttavia, affinché non ci siano divisioni nel corpo, Dio ha dato al senso naturale il dono che le membra siano sollecite le une per le altre e che le parti rese disoneste dalla concupiscenza siano ricoperte dal pudore. 16.82 - La vergogna conseguenza della concupiscenza "Perché mai, tu dici, al suono della voce di Dio che passeggiava nel paradiso, Adamo e sua moglie si nascosero, se le cinture potevano bastare a coprire la nudità dei genitali di cui si vergognavano"? ( Gen 3,7-8 ) Ma che dici, quando non trovi niente da dire? Non capisci che cercarono un nascondiglio il più recondito possibile perché erano trepidanti di fronte a Dio? La copertura posta intorno ai lombi copriva l'eccitazione che essi sentivano in se stessi mentre arrossivano. Se quando erano nudi non sentivano vergogna, ne segue che dopo il peccato si sono coperti perché si vergognavano. enza dubbio era la vergogna della disonestà. Le parole: Erano nudi, ma non sentivano mutua vergogna, ( Gen 2,25 ) sono state scritte perché apparisse chiaro che hanno coperto quelle membra proprio per la vergogna. Qui, invece, nascondendosi in mezzo al paradiso, Adamo rispose: Ho sentito la tua voce mentre camminavi nel giardino e mi sono nascosto perché ero nudo. ( Gen 3,10 ) Lì c'era la manifesta vergogna, qui l'occulta coscienza, che dopo la caduta aveva portato internamente la manifesta vergogna; lì il frutto del pudore, qui del timore; lì la concupiscenza che imponeva il rossore, qui la coscienza che richiedeva la pena. Come uno sciocco, nascondendo il corpo, credeva di sfuggire a Colui che guarda l'interno dell'anima. Quale significato hanno le parole del Signore: Chi ti ha fatto sapere che eri nudo, se non il fatto che hai mangiato dell'albero del quale ti avevo comandato di non mangiare? ( Gen 3,11 ) Cos'altro può significare la rivelazione della nudità per aver mangiato il frutto proibito, se non che dal peccato era stato spogliato quello che la grazia ricopriva? Grande, infatti, era la grazia di Dio laddove il corpo terreno ed animale non possedeva la bestiale libidine. Colui che, rivestito della grazia non aveva nel corpo nudo di che vergognarsi, spogliato della grazia ha sentito la necessità di coprirsi. 16.83 - Nulla che appartiene alla natura dell'uomo fu creato dal diavolo "È necessario fuggire - scrivi ancora - l'opinione secondo la quale nelle membra dell'uomo o nei suoi sensi il diavolo ha creato qualcosa". Perché ci contrapponi le tue stravaganti obiezioni? Il diavolo non ha creato nulla nella natura dell'uomo, ma, convincendolo al peccato, ha solo violato quello che Dio aveva creato buono, cosicché, per la ferita inferta dal libero arbitrio di due uomini, tutto il genere umano è diventato zoppo. Ecco che circonda i tuoi sensi la miseria del genere umano. Sei uomo, non ritenere estraneo a te nulla di ciò che è umano. Quello che non soffri tu, compatiscilo negli altri. Per quanta felicità terrena possa avere a tua disposizione, neppure tu trascorri un giorno della tua vita terrena senza una lotta interna, se è vero che ti sforzi di porre in atto ciò che professi. Quando non riesci più a ricordare, guarda i fanciulli; quali e quanti mali debbono soffrire; tra quante menzogne, tra quanti tormenti, tra quanti errori e paure crescono. Quando sono cresciuti poi, e magari sono al servizio di Dio, l'errore li tenta ancora per ingannarli; li tentano la fatica o il dolore per spezzarli, la libidine per accenderli; la tristezza per prostrarli; il tifo per esaltarli. E chi può spiegare rapidamente tutti i pesi con i quali è appesantito il giogo sui figli di Adamo? L'evidenza di questa miseranda situazione, ha spinto i filosofi pagani, che nulla sapevano o credevano del peccato originale, ad affermare che siamo nati per espiare i peccati commessi in una vita precedente e che le nostre anime sono unite al corpo corruttibile alla maniera del supplizio a cui i predoni etruschi erano soliti condannare i prigionieri: uomini vivi legati a cadaveri! L'Apostolo tronca la credenza secondo cui le singole anime sono inserite nei diversi corpi in rapporto ai meriti di una vita precedente. Che altro rimane, se non che la causa di questi mali sia l'iniquità o l'impotenza di Dio, oppure la pena del primo ed antico peccato? Siccome, però, Dio non è né ingiusto né impotente, resta solo quello che non vuoi ma sei costretto ad ammettere: un gravame assegnato da Dio e un giogo pesante sui figli dell'uomo, dal giorno nel quale sono usciti dal seno della madre fino al giorno nel quale ritorneranno alla madre di tutti, ( Sir 40,1 ) non ci sarebbe stato se non ci fosse stato in precedenza il demerito del peccato originale. Libro V 1.1 - Lamentele e insulti di Giuliano L'ordine stesso delle cose mi chiede di passare ad esaminare il contenuto del tuo terzo libro, dopo avere risposto al primo ed al secondo. Con la mia salutare fatica, per quanto il Signore me lo permetterà, risponderò al tuo pestilenziale lavoro. Mi attengo naturalmente sempre allo stesso metodo di tralasciare tutto quello che non è pertinente con la nostra controversia, affinché i lettori di queste nostre opere non spendano più fatica e tempo nell'impresa di leggerle anziché nell'utilità dell'apprenderle. Che necessità c'è di spendere altre parole contro quelle abituali e vuote, che hai posto all'inizio del tuo libro, "sull'avversione che vantate di sostenere per amore della verità e sul ristretto numero dei saggi a cui vi rallegrate di piacere"? Questa infatti è la voce di tutti gli eretici, vecchi e nuovi, resa sporca e logora dall'uso stesso. Ciò nonostante, di simili panni è costretta a rivestirsi la vostra grande superbia, che si dilata e si gonfia tanto da strapparli nel tentativo di ostentarli nella maniera più deforme. Non è necessario respingere ancora una volta i tuoi calunniosi disprezzi con cui, dando l'impressione di colpire solo me personalmente, come un pazzo e come un cieco ti scagli e lanci offese contro tanti luminari della Chiesa Cattolica, pur tacendone i nomi. Credo di aver risposto tanto esaurientemente ai tuoi primi due libri, che nessuno mi chiederà di più. 1.2 - La vana scienza degli eretici Esageri "la difficoltà di conoscere la Sacra Scrittura" asserendo che "essa è riservata a pochi eruditi. Conoscere, cioè, che Dio è creatore degli uomini e dell'universo, che è giusto, vero e pio, ed è il solo che arricchisce gli uomini con i suoi doni, e perciò l'unico e miglior motivo dell'impegno per il bene è, come tu dici, rendere onore a Dio". Eppure non gli rendi tanto onore perché neghi che egli sia il liberatore dei fanciulli per opera di Cristo Gesù, che significa Salvatore, ed affermi che essi sono lavati dal suo battesimo senza conseguire la salvezza, come se non avessero bisogno di Cristo medico. Questo perché Giuliano ha dato uno sguardo sagace alla vena dell'origine degli uomini e li ha dichiarati sani. Quanto sarebbe stato meglio se non avessi imparato niente anziché agitarti tronfio in questa cosiddetta scienza della legge, sotto la guida non della legge di Dio, ma della vostra vanità, per giungere a questa empia presunzione nemica della fede cristiana e dell'anima tua. 1.3 - Risposta alle accuse di Giuliano "La vostra tesi, tu scrivi, è talmente deforme e vuota che attribuite a Dio l'iniquità, al diavolo la creazione degli uomini, al peccato la sostanza ed ai bambini la coscienza senza la scienza". Ti rispondo brevemente. La nostra tesi non è deforme poiché predica che il più bello tra i figli dell'uomo, ( Sal 45,3 ) è il Salvatore di tutti gli uomini e per questo anche dei bambini, e non è vuota poiché, non senza motivo, ma in conseguenza del peccato dice che l'uomo assomiglia ad un soffio ed i suoi giorni sono come ombra che passa. ( Sal 144,4 ) A Dio non attribuisce l'ingiustizia, ma la giustizia, poiché non ingiustamente i bambini sono colpiti da tali e tanti mali, come spessissimo vediamo. Al diavolo non attribuisce la creazione degli uomini, ma solo la deformazione della loro origine. Non attribuisce una sostanza al peccato, bensì l'atto ai primi uomini ed il contagio ai posteri. Non attribuisce ai fanciulli la coscienza senza la scienza perché, dove non c'è scienza, non c'è neppure coscienza. Colui nel quale tutti hanno peccato sa bene quello che ha fatto e che da lui ciascuno ha contratto il male. 1.4 - L'opposizione della moltitudine dei fedeli ai pelagiani Tu invece prepari una moltitudine di idioti che chiami "uomini semplici, i quali, occupati in altri affari, non hanno ricevuto alcuna erudizione e si sono preoccupati di entrare nella Chiesa di Cristo con la sola fede, affinché non siano facilmente spaventati da astruse questioni. Ritenendo Dio vero Creatore degli uomini, senza esitazione siano convinti che è anche pio, verace e giusto, e, conservando questo giudizio sulla Trinità, abbraccino e lodino tutto quanto è consono a questo modo di pensare, cosicché nessuna argomentazione contraria riesca a smuoverli, ma detestino ogni autorità o alleanza che cerchi di convincerli del contrario". Se esamini attentamente queste tue parole, ti accorgerai che quella moltitudine è saldamente schierata contro di te. L'unica ragione, infatti, per cui anche la moltitudine di cristiani, dal cui giudizio inesperto tu ti appelli ai pochi vostri, che vorresti far credere dottissimi e prudentissimi, detesta la vostra innovazione sta nel fatto che essi ritengono Dio creatore degli uomini e giustissimo e guardano i tanti tormenti dei propri bambini con la convinzione che, essendo Dio creatore sommamente buono e giusto, la sua immagine non soffrirebbe alcun male in quella età, se non ci fosse stato il peccato originale. Supponiamo che qualcuno di loro, portando il proprio figlio, venga da te senza malizioso fragore, in un luogo dove nessun altro possa sentire e ti rimproverasse dicendo: Io con questa mente, questa intelligenza, questa ragione per cui sono fatto ad immagine di Dio, amo tanto il suo regno che ritengo grande pena per l'uomo l'esserne escluso per sempre. Tu che non sei uno della massa degli ignoranti, ma un vero amatore del regno di Dio tra i pochi veramente prudenti, con tanto più ardore quanto più t'infiamma l'ardentissima compagnia dei pochi, senza che la massa riesca a raffreddarti minimamente, risponderai a quell'uomo e gli dirai: Non solo non è una grande pena per l'immagine di Dio l'essere esclusi per sempre dal suo regno, ma non lo è affatto. Eppure sono convinto che non oserai dire questo neppure ad un uomo solo di cui non temi né la forza né la testimonianza. Qualunque cosa tu possa dire o tacere ( come lo esigerebbe da te l'umano pudore più che la fede cristiana ), egli ti mostrerà suo figlio dicendoti: Dio è giusto, quale male impedisce a questa innocente immagine di Dio l'ingresso nel suo regno, se non esiste il peccato che attraverso un solo uomo è entrato nel mondo? ( Rm 5,12 ) Non ti rimarrà alcuna sapienza, credo, che ti faccia sentire più dotto di quell'ignorante; ma quando la tua spudoratezza se ne sarà andata, resterai più infante di quell'infante. 2.5 - Ancora sulla questione del pudore Terminato il preambolo con cui hai tolto di mezzo gli ignoranti con un semplice ammonimento, e ti sei preparato le eruditissime orecchie di pochi, vediamo cosa dobbiamo trattare. Non so quale idea geniale, che ti è sfuggita nel secondo libro, ti sia venuta in mente a proposito delle mie parole sulle membra vergognose, che, dopo il peccato, sono state coperte con cinture di foglie di fico, perché la natura razionale se ne vergognava. Invano allora hai tentato di confutare queste mie parole: "Per qual motivo da quelle membra dopo il peccato è nata una confusione, se non perché in esse si era prodotto un movimento sconveniente?". Cosa dunque hai escogitato, che ti piace tanto, da non ometterla neppure dopo avere terminato il libro in cui con tanta loquacità hai trattato la questione? Tu dici: "È scritto: … e si fecero delle vesti", ( Gen 3,7 ) e ci ricordi che c'è l'altra traduzione: … e si fecero delle cinture. "La veste, spieghi dopo, può intendersi come un indumento per tutto il corpo ed appartiene all'ufficio del pudore". Sono sorpreso che il traduttore letto da te, a meno che non si trattasse di un pelagiano, possa aver tradotto col termine vesti la parola greca perizomata. Se anche qui ci fosse il pudore, al cui ufficio, tu dici, appartengono le vesti, non avresti cercato affatto di convincerci che i primi uomini hanno imparato dal peccato come da un maestro l'ufficio del pudore e che in essi l'innocenza e la spudoratezza abitavano insieme come due alleate o amiche. A tuo dire, infatti, quando erano nudi e non si vergognavano, erano inverecondi ed aborrivano dal naturale senso del pudore. Da questa aberrazione li ha corretti il peccato e, in tal modo, il senso riprovevole della caduta è diventato in essi maestro di pudore. La cattiveria dunque ha trasformato in pudichi quelli che la giustizia aveva fatti impudichi. Questa tua tesi però è così indecentemente impudica e deformemente nuda che, con tutte le foglie di parole che riuscirai a cucire insieme, non potrai ricoprirla. 2.6 - Il racconto della Genesi Mi deridi asserendo che ho imparato dai pittori che Adamo e sua moglie hanno coperto i loro genitali e poi mi comandi di ascoltare il detto di Orazio: I pittori ed i poeti hanno avuto sempre uguale potere di osare qualsiasi cosa. Non da un pittore di vuote figure, invece, ma dall'autore della Sacra Scrittura ho imparato che prima del peccato i primi uomini erano nudi e non si vergognavano. Non già perché la loro grande innocenza era tanto impudente, ma perché in essi non c'era ancora di che vergognarsi. Peccarono, si guardarono, arrossirono, si coprirono… ( Gen 2,25-3,11 ) E tu ancora vai dicendo: "Non sentirono nulla di indecente e di nuovo". Mi guardo bene dal pensare che questa tua impudenza te l'abbiano insegnata un Apostolo o un Profeta, ma neppure un pittore o un poeta. Quegli stessi che, secondo un detto elegante, hanno avuto sempre uguale potere di osare qualsiasi cosa, si vergognerebbero di inventare per ridere quello che tu non ti vergogni di discutere perché ci si creda. Nessun pittore oserebbe dipingere e nessun poeta oserebbe cantare due realtà viventi insieme, delle quali l'una è molto buona e l'altra è molto cattiva, l'innocenza voglio dire e la spudoratezza, come se fossero consone tra di loro e concordi. Nessuno di loro potrebbe tanto dubitare dei sensi umani da ritenere di avere in sé un uguale potere di osare anche questo, ma piuttosto un'insana leggerezza. 2.7 - I perizomata "Se si accetta l'interpretazione di perizomata nel senso di 'cinture' - tu scrivi - si è portati a credere che sono stati coperti i fianchi e non le cosce". A proposito di queste tue parole innanzitutto mi rammarico del fatto che hai abusato tanto dell'ignoranza di quelli che non sanno il greco da non aver timore del giudizio di quelli che lo sanno. Solo per maggiore comodità è accaduto che la lingua latina ha usurpato come sua la parola perizomata che troviamo nei codici greci. Pertanto, quando affermi che con perizomata si intendono coperti i fianchi e non le cosce, credo che ti sia reso ridicolo a te stesso. Quale persona, ignorante o dotta, non sa quali parti del corpo ricopra il perizoma? Questo termine suole essere adoperato e valutato nella dote delle donne, e con esso non si copre se non la zona intorno ai lombi. Domanda ed impara quello che tuttavia non credo ignori. Anche se lo ignorassi, comunque, non credo vorrai sovvertire, non dico il linguaggio, ma il modo di vestire dell'uomo al punto di alzare il perizoma alle spalle o d'intendere che con esso sono stati coperti i fianchi dei primi uomini, lasciando scoperti i genitali e tutta la zona dei lombi con le cosce. Quale vantaggio può portare a te piuttosto che a me la quantità del corpo scoperta al disopra o al di sotto della parte in cui entrambi sentivano la legge delle membra in contrasto con la legge dello spirito ( Rm 7,23 ) ed entrambi sentivano l'eccitazione per il reciproco sguardo che confondeva la cattiveria delle parti disobbedienti con la novità della loro disobbedienza? Quanto più l'eccitazione era turbolenta, tanto più verecondo diventava il coprire la parte che si sentiva stimolata, talvolta insieme con un'ampia zona circostante. Sia che la copertura scendeva dai fianchi, quindi, sia che scendeva dai lombi, erano coperte le parti vergognose, che non avrebbero causato vergogna se la legge del peccato non si fosse posta in aspro contrasto con la legge della mente. Dove il senso è chiaro, però, non dobbiamo aggiungere la nostra interpretazione al senso della Scrittura. Questo, infatti, non avverrebbe per umana ignoranza, ma per presunzione perversa. Col termine perizoma viene espresso molto chiaramente quali parti del corpo furono coperte subito dopo il peccato da Adamo e sua moglie, che, prima del peccato erano nudi, ma non si vergognavano. Vediamo cosa hanno coperto. È troppo da insipienti cercare ancora ed è troppo da impudenti negare ancora ciò che hanno sentito. A dispetto della tua ostinata opposizione, tu stesso sei convinto che per l'umano sentire non c'è altra risposta se non che quei primi uomini hanno coperto i genitali perché arrossivano per il movimento della concupiscenza. Questa è la verità anche se tu innalzi il perizoma ai fianchi, oppure se, lasciando scoperti i fianchi, sostieni che ivi essi non hanno sentito nulla di male, oppure se spogli con orrore le parti che tu stesso ritieni debbano essere maggiormente coperte. 3.8 - La disobbedienza della carne pena e causa del peccato Riporti altre parole del mio libro dove affermo che "la disobbedienza della carne è stata con pieno merito ripagata all'uomo disobbediente, poiché sarebbe stato ingiusto che, chi aveva disobbedito al suo Signore, trovasse obbedienza nel suo servo, vale a dire nel suo corpo", e vorresti dimostrare che questa ribellione della carne dev'essere piuttosto considerata lodevole se è pena del peccato. Come se fosse una persona che coscientemente affligge il peccatore, quale vendicatrice dei delitti e, da questo punto di vista, anche ministro di Dio, l'adorni con un pomposo discorso, quasi fosse un grande bene. Non pensi, però, che di questo passo potresti lodare gli angeli cattivi, che, pur essendo prevaricatori ed empi, Dio se ne serve per infliggere le meritate pene ai peccatori, come attesta la Scrittura: Sguinzagliò fra di loro il furore della sua ira; trasportò collera e angustia. Inviò messaggeri di male; spianò la via alla sua ira. ( Sal 78,49 ) Loda anche costoro, loda il loro principe Satana, perché anch'egli è stato vendicatore del peccato, quando l'Apostolo gli ha affidato l'uomo per mandarne in rovina la carne. ( 1 Cor 5,5 ) Hai parlato abbastanza contro la grazia di Cristo e sei ormai idoneo a fare il panegirico a Satana ed ai suoi angeli, dei quali Dio giusto, che fa buon uso dei buoni e dei cattivi, si serve per punire gran numero di peccatori, ripagandoli secondo le loro opere e trasformando essi stessi in spiriti pessimi e dannati per punire i cattivi. Loda pertanto queste terribili potestà, attraverso le quali i mali sono puniti con i mali, tu che esalti la concupiscenza della carne, perché con la sua disobbedienza è stata ripagata la disobbedienza del peccatore. Loda l'iniquo re Saul perché anch'egli fu pena dei peccatori, avendo il Signore detto: Ti concedo un re nella mia ira. ( Os 13,11 ) Loda pure il demonio, che il re stesso ha dovuto sopportare perché anche questi è stato pena del peccatore. ( 1 Sam 16,14 ) Loda la cecità del cuore che c'è stata da parte di Israele. Non si passi sotto silenzio il perché è stato detto: … finché l'insieme dei pagani non sia entrato, ( Rm 11,25 ) a meno che non vorrai negare che anche questa è stata una pena, e che sia stata non una pena qualunque, ma una grandissima pena, se fossi amante della luce interiore, lo dovresti gridare. Per i Giudei questa cecità è stata il grande male dell'incredulità e la grande causa del peccato che ha portato all'uccisione di Cristo. Se insisti a negare che questa cecità fu una pena, vuol dire che soffri dello stesso male, anche se non lo riconosci. Se poi ammetti che è stata una pena, ma non pena del peccato, devi ammettere che qualche cosa può essere peccato e pena. Ma se non è pena del peccato è una pena iniqua. In tal caso però ritieni Dio ingiusto, perché per suo comando o per suo permesso è stata inflitta una pena, o lo ritieni debole perché non ha allontanato la pena inflitta ad un innocente. Se poi, per evitare di sembrare cieco nel tuo cuore, sei costretto ad ammettere che è stata pena del peccato, cerca di capire quello che finora non hai voluto capire, che cioè la questione posta da te è ormai risolta. Il diavolo, i suoi angeli, i cattivi re, peccatori essi stessi, per la giustizia divina diventano supplizio ai peccatori. Come essi, però, non diventano degni di lode per il fatto che per loro mezzo viene inflitta una pena ai colpevoli, così la legge delle membra in contrasto con la legge della mente non è giustificata nel suo agire dal fatto che diventa pena giusta per chi ha agito ingiustamente. E come la cecità del cuore, che solo la luce di Dio può diradare, è peccato perché non si crede in Dio, è pena del peccato perché il cuore superbo viene punito con una idonea riprensione ed è causa di peccato perché per colpa del cuore accecato si commette del male, così la concupiscenza della carne, contro cui ha desideri lo spirito buono, è peccato perché in essa è insita la ribellione contro il dominio della mente, è pena del peccato perché è stata meritata dalla disobbedienza ed è causa di peccato nella defezione di chi vi acconsente o nel contagio di chi nasce. 3.9 - Pene che occorre tollerare, pene di cui occorre liberarsi Quantunque ti sia fermato a lungo su questa questione, è fuor di ogni dubbio che è svanito completamente tutto quello che hai detto per questa tua cieca e sconsiderata opinione, secondo cui hai ritenuto che la concupiscenza della carne non solo non deve essere disprezzata, ma addirittura deve essere lodata perché l'abbiamo dichiarata pena del peccato. "Se la libidine è pena del peccato, è necessario lasciar perdere la castità, affinché non si dica che ribellandosi a Dio, essa abbia a svuotare la sentenza proferita da lui". Questa tua affermazione ed altre del genere che vai intrecciando come conseguenti o collegate ad essa possono essere paragonate parola per parola alla cecità del cuore. Se la cecità del cuore è pena del peccato, bisognerebbe lasciar perdere l'istruzione affinché non si dica che l'illuminazione dell'anima, ribelle a Dio, abbia a svuotare la sentenza proferita da lui. Se è decisamente assurdo fare una affermazione del genere anche se la cecità del cuore è pena del peccato, non meno assurda è la tua affermazione, anche se la libidine, la ribellione della carne cioè, è pena del peccato. Alla cecità del cuore deve opporsi la scienza ed alla libidine la continenza. Quella pena poi, che non è né errore né libidine, la deve sopportare la pazienza. Proprio per questo, quando con l'aiuto di Dio si vive della vera fede, Dio stesso è presente per illuminare la mente, per superare la concupiscenza e per sopportare le molestie. Viene compiuto tutto rettamente, infatti, quando viene compiuto per lui, vale a dire quando si ama Dio gratuitamente, amore che non possiamo avere se non da lui. In caso contrario, quando l'uomo si compiace molto di se stesso e confida nella sua virtù, se cade nelle grinfie della sua superbia, questo peccato tanto più si accresce quanto più le altre cupidigie diminuiscono, come se, rallegrandosi lodevolmente solo di essa, reprima le altre. 3.10 - Alcuni peccati sono anche pene del peccato Ponendo da parte la bramosia di vincere, rifletti attentamente su quanto asserisci di aver letto in altri miei opuscoli e che invano hai cercato di confutare, sull'esistenza cioè di "taluni peccati che sono anche pena dei peccati"; constaterai che è verissimo secondo quanto è stato detto della cecità del cuore. Cosa hai ottenuto, di grazia, citando la testimonianza dell'Apostolo in cui diceva che alcuni Dio "li diede allora in balia della loro mentalità pervertita ed essi compirono cose indegne"? Cosa hai ottenuto citando queste parole con cui dimostravo quello che hai letto in un'altra mia disputa? L'hai visto come un'iperbole, figura che si usa quando l'oratore, per commuovere gli animi, esagera la verità delle cose. Ma ti prendi la briga di farci vedere dove l'Apostolo ha parlato così. "Inveendo contro i crimini degli empi, tu dici, li ha aggravati con i nomi delle pene e, dimostrando quanto orrore la turpitudine creasse nel suo animo, abitacolo di tutte le virtù, disse che quelli gli sembravano dannati più che rei". Le sue parole però, e non quelle che tu gli fai dire, dimostrano che essi sono dannati e rei, rei non solo per le colpe commesse in passato, per le quali sono stati condannati, ma altresì rei donde sono stati condannati. Li dichiara infatti rei quando dice: Avevano reso culto e servizio alle creature in cambio del Creatore, che sia benedetto per sempre. Amen. ( Rm 1,25 ) E li dichiara condannati per questo reato quando continua: Per questo Dio li diede in balia di passioni vergognose. ( Rm 1,26 ) Tu senti per questo e subito ti domandi invano come si debba intendere Dio li diede in balia, affaticandoti molto per dimostrare che egli li ha dati in balia abbandonandoli. In qualunque modo l'abbia dati in balia, e "per questo" li ha dati in balia, "per questo" li ha abbandonati: puoi vederne le conseguenze, qualunque o comunque lo intenda. L'Apostolo si è preoccupato di spiegare quale grave pena sia l'essere dati da Dio in balia di passioni vergognose, o con l'abbandono o in qualunque altro modo, spiegabile o non spiegabile, con cui ha agito egli che è sommamente buono e ineffabilmente giusto. Infatti le loro donne tramutarono i rapporti conformi a natura con rapporti contro natura; del pari anche gli uomini abbandonarono i rapporti naturali con la donna e si accesero di brame gli uni verso gli altri, facendo, maschi con maschi, cose infami e ricevendo in loro stessi la giusta paga dovuta alla loro aberrazione. ( Rm 1,26-27 ) Cosa più evidente? Cosa più aperta? Cosa più manifesta? Afferma che hanno ricevuto la mutua paga, condannati così a compiere tanti mali! La stessa condanna, tuttavia, è un reato, dal quale sono avviluppati in maniera più inestricabile. Sono peccato certamente e pena di precedenti peccati. E, cosa ancor più mirabile, afferma che era necessario che essi ricevessero questa mutua paga. Identico significato hanno le precedenti parole dell'Apostolo che pure hai citato: … sostituirono la gloria di Dio immortale con immagini di uomini mortali, di uccelli, di quadrupedi e di rettili. Per questo Dio li diede, secondo le voglie dei loro cuori, in balia dell'impurità, ( Rm 1,23-24 ) eccetera. Anche qui puoi vedere senza alcuna ambiguità la ragione per cui essi furono dati in balia. Dopo avere specificato il male compiuto in precedenza, infatti, aggiunge: Per questo Dio li diede, secondo le voglie dei loro cuori, in balia … ( Rm 1,24 ) Di conseguenza, essa è pena del precedente peccato e tuttavia è anch'essa peccato, come spiegano le parole che seguono. 3.11 - Esegesi di Rm 1,24 Nella tua argomentazione contraria, credi di avere trovato la soluzione della questione perché l'Apostolo dice che essi sono stati dati in balia delle loro passioni. "Già bruciavano infatti per la voglia del disordine", tu dici ed aggiungi: "Come si può credere che siano caduti in tali misfatti per la potenza di Dio che li dava in balia?". Cosa è stato fatto di più, ti chiedo, o perché ha detto: Dio li diede in balia delle voglie del loro cuore, dal momento che, in certo senso, già erano in balia delle cattive voglie del loro cuore? Ritieni forse logico che se uno ha desideri cattivi nel cuore, già di fatto acconsente anche a porli in atto? Proprio per questo, altro è avere cattivi desideri nel cuore ed altro è essere dato in balia di essi, perché acconsentendovi si sia posseduti da essi, cosa che avviene quando, a giudizio di Dio, si è abbandonati in loro balia. Invano altrimenti sarebbe stato detto: Non seguire le tue brame, ( Sir 18,30 ) se già ciascuno è reo quando le sente tumultuanti mentre tentano di spingerlo al male, pur non acconsentendovi se non è abbandonato in loro balia e se quando vive in grazia esercita gloriose lotte. Che te ne pare di chi osserva queste parole: Se per la tua anima concedi licenza alle sue voglie - quali altre se non quelle cattive? -, queste ti renderanno godimento per i tuoi nemici. ( Sir 18,30-31 ) Che forse è già reo chi ha simili voglie nell'animo, a cui non deve acconsentire per non tornare in possesso del diavolo e dei suoi angeli, che sono nostri nemici e ci odiano? 3.12 - La cecità del cuore è anche pena del peccato Quando dunque si dice che l'uomo viene dato in balia dei suoi desideri, egli diventa reo perché, abbandonato da Dio, cede ed acconsente ad essi ed allora è vinto, è preso, è attratto, è posseduto. Si rimane infatti schiavi di chi ci ha vinto. ( 2 Pt 2,19 ) La pena del precedente peccato, quindi, diventa per lui peccato conseguente. Non è forse peccato e pena del peccato quando leggiamo: Dio ha mandato in mezzo a loro uno spirito di smarrimento; essi fanno smarrire l'Egitto in ogni sua impresa, come un ubriaco si smarrisce nel suo vomito? ( Is 19,14 ) Non è forse peccato e pena del peccato quando il Profeta dice a Dio: Perché ci fai deviare dalle tue vie ed hai indurito il nostro cuore, così che non ti si tema? ( Is 63,17 ) Non è peccato e pena del peccato quando ripete ancora a Dio: Ecco tu sei adirato perché abbiamo peccato; siamo stati ribelli e siamo divenuti tutti come una cosa impura? ( Is 64,5-6 ) Non è forse peccato e pena del peccato quando leggiamo che i popoli sconfitti da Giosuè sono stati eccitati dal Signore perché si scontrassero con Israele e fossero sterminati? Non è forse peccato e pena del peccato quando Roboamo non ha ascoltato il popolo che ben lo consigliava, ( Gs 11,20 ) perché, come dice la Scrittura: Ciò accadde per disposizione del Signore, perché si attuasse la parola che il Signore aveva detto di lui per mezzo del Profeta? ( 1 Re 12,15 ) Non è forse peccato e pena del peccato quando troviamo scritto che Amasia re di Giuda non ha voluto ascoltare Ioash re di Israele che lo pregava di non andare in guerra? Così infatti leggiamo: Amasia non diede ascolto; ciò del resto era disegno di Dio, il quale voleva metterli in potere di Ioash, poiché essi erano andati in cerca delle divinità di Edom. ( 2 Cr 25,20 ) Potremmo citare molti altri passi, nei quali appare con molta evidenza che, per un occulto decreto di Dio, si produce una perversità nel cuore perché non si senta più la verità e si pecchi e lo stesso peccato diventi anche pena del precedente peccato. Credere alla menzogna, infatti, e non alla verità è già di per sé un peccato. E questo deriva dalla cecità del cuore, che, per occulto, ma giusto giudizio di Dio, si manifesta come pena di un altro peccato. È la stessa cosa ciò che l'Apostolo scrive ai Tessalonicesi: Poiché non hanno accolto l'amore per la verità che li avrebbe salvati, Dio manda loro una potenza seduttrice che li farà aderire alla menzogna. ( 2 Ts 2,10 ) Ecco che la pena del peccato, è peccato. Entrambi sono evidenti: brevemente è stato detto, chiaramente è stato detto, ed è stato detto da colui le cui parole hai cercato invano di rendere favorevoli alla tua tesi. 3.13 - Esempi di peccati che sono anche pene di peccati "Quando si dice che gli uomini sono dati in balia delle loro voglie, si deve intendere che essi sono spinti verso il peccato perché abbandonati dalla divina pazienza, non dalla divina potenza". Cosa vuoi dire con queste parole? Quasi che l'Apostolo non le abbia messe insieme, la pazienza e la potenza quando scrive: E che dunque se Dio, volendo mostrare la sua ira e manifestare la sua potenza, ha tollerato con immensa pazienza vasi provocanti la sua ira, pronti per la perdizione … ( Rm 9,22 ) A quale delle due credi che si riferiscano le parole: Se il profeta si lascia sedurre ed annunzia qualcosa, sono io, il Signore, che lo avrò sedotto; stenderò contro di lui la mano e lo sterminerò in mezzo al mio popolo Israele? ( Ez 14,9 ) Alla pazienza o alla potenza? Qualunque scelga, o anche entrambe, vedi che profetizzare il falso è peccato ed è pena del peccato. Dirai forse che le parole: Sono io, il Signore, che avrò sedotto il profeta, debbano intendersi come se fosse scritto: "… io l'ho lasciato, affinché, sedotto in misura dei suoi demeriti andasse errando"? Fa' come vuoi, ma rimane il fatto che egli è punito a causa del peccato per continuare a peccare profetizzando il falso. Ascolta il profeta Michea: Ho visto Dio seduto sul trono, mentre tutto l'esercito del cielo stava in piedi vicino a lui, a destra ed a sinistra. Il Signore parlò: Chi vuol sedurre Achab, re d'Israele, perché salga e cada a Ramat di Galaad? E l'uno rispondeva in un modo, l'altro in un altro. Finalmente uscì lo spirito, il quale, in piedi al cospetto del Signore, disse: Lo voglio sedurre! Il Signore gli domandò: Come farai? Quegli rispose: Uscirò per diventare uno spirito menzognero in bocca ai suoi profeti. Gli confermò: Tu lo sedurrai, e lo vincerai. Esci ed agisci in tal modo. ( 1 Re 22,19-22 ) Cosa dirai di fronte a queste parole? Lo stesso re ha peccato credendo ai falsi profeti. Questa era anche la pena del peccato perché Dio giudicava e dava via libera agli angeli cattivi, come lo possiamo meglio capire nelle parole del Salmo: E sguinzagliò il furore della sua ira, inviando messaggeri del male. ( Sal 78,49 ) Forse sbagliando, giudicando o agendo ingiustamente o temerariamente? No: ma non invano gli è stato detto: Il tuo giudizio come il grande abisso. ( Sal 36,7 ) Non invano l'Apostolo esclama: O abisso insondabile della sapienza e della scienza di Dio! Quanto impenetrabili sono i suoi decreti e inesplorabili le sue vie! Chi infatti ha mai conosciuto il pensiero del Signore? Chi ne fu mai consigliere? Chi lo ha prevenuto con i suoi doni, da non aver diritto al contraccambio? ( Rm 11,33-35 ) Non sceglie nessuno che già sia degno ma, scegliendolo, lo rende degno; tuttavia non punisce nessuno che non sia degno di castigo. 4.14 - Gli eletti sono i chiamati secondo il proposito "L'Apostolo ha detto - tu scrivi - che la bontà di Dio ti spinge al pentimento". È vero e lo possiamo constatare. Spinge al pentimento, però, colui che ha predestinato, anche se questi, per quanto attiene a lui, con la sua ostinatezza ed il suo cuore impenitente, accumuli sul suo corpo l'ira per il giorno dell'ira, quando si manifesterà il giusto giudizio di Dio, il quale renderà a ciascuno secondo le sue opere. ( Rm 2,4-6 ) Per quanta pazienza si possa mostrare, chi mai potrà fare penitenza, se Dio non lo concede? Hai forse dimenticato quello che lo stesso Dottore ha detto: … Nel caso che Dio conceda loro di convertirsi alla perfetta conoscenza della verità e rinsavire lontano dal laccio del diavolo …? ( 2 Tm 2,25-26 ) Ma il suo giudizio è come il grande abisso. Qualora noi permettessimo che chi dipende da noi commetta dei delitti in nostra presenza, saremmo di certo responsabili insieme a lui. Eppure, quanti delitti Dio permette che avvengano sotto i suoi occhi, che in nessuna maniera permetterebbe se non lo volesse? È giusto tuttavia ed è buono. Poiché egli porta pazienza verso di noi, non volendo che alcuno perisca ma che tutti si volgano a penitenza, ( 2 Pt 3,9 ) il Signore conosce chi sono suoi, ( 2 Tm 2,19 ) e fa cooperare tutto al bene di coloro che sono stati eletti secondo il suo eterno disegno. Non tutti quelli che sono stati chiamati, infatti, lo sono stati secondo il suo disegno. Molti sono i chiamati, pochi gli eletti. ( Mt 22,14 ) Gli eletti, dunque, sono stati chiamati secondo il suo disegno. Per questo l'Apostolo scrive: Egli ci salvò e ci chiamò con una vocazione santa, non in considerazione delle opere nostre, ma conformemente ad un suo piano di grazia, preparato per noi in Cristo Gesù avanti i tempi eterni. ( 2 Tm 1,8-9 ) Ed infine, dopo aver detto: Dio fa cooperare tutto al bene di coloro che sono stati eletti secondo il suo eterno disegno, continua: Poiché quelli che egli conobbe in antecedenza li ha predestinati a riprodurre l'immagine del Figlio suo onde egli sia primogenito tra un gran numero di fratelli: e quelli che ha predestinati, li ha anche chiamati; e quelli che ha chiamati, li ha pure giustificati; e quelli che ha giustificati, li ha altresì glorificati.( Rm 8,28-30 ) Tutti costoro sono stati chiamati secondo il disegno di Dio. Sono stati dunque eletti prima della fondazione del mondo ( Ef 1,4 ) da Colui che chiama all'esistenza ciò che non esiste. ( Rm 4,17 ) Sono stati scelti, ma conformemente ad un suo piano di grazia. Per questo motivo anche di Israele lo stesso Dottore scrive: Un resto eletto per grazia. ( Rm 11,5 ) E affinché non si creda che sono stati scelti prima della fondazione del mondo, in previsione delle loro opere, l'Apostolo aggiunge: E se lo è per grazia, non lo è allora in base alle opere: altrimenti la grazia non sarebbe più grazia. ( Rm 11,6 ) Tra questi eletti e predestinati anche quelli che hanno menato una vita pessima, sono indotti alla penitenza dalla misericordia di Dio, per la cui pazienza non è stato ad essi impedito in questa vita di commettere il male affinché a loro ed ai loro coeredi fosse chiaro da quale profondo abisso di male la grazia di Dio possa liberare. In qualsiasi età morirà, nessuno di loro perirà. È impossibile infatti che uno di questi predestinati possa finire la sua vita senza il sacramento del Mediatore. Proprio per essi il Signore ha detto: La volontà di colui che mi ha mandato è che io non perda nulla di quanto mi ha dato. ( Gv 6,39 ) Gli altri mortali invece, che non sono di questo numero e che provengono dalla stessa massa donde provengono costoro, ma sono diventati vasi d'ira, nascono per la loro utilità. Dio infatti non crea nessuno di essi alla cieca o per caso e neppure ignora il bene che può ricavarne, dal momento che già opera in essi un bene creando la natura umana ed adornandone il mondo presente. Non spinge nessuno di essi alla penitenza salutare e spirituale, per la quale l'uomo in Cristo si riconcilia a Dio, in rapporto alla costanza più o meno sufficiente data ad essi. Benché tutti provengano dalla stessa massa di perdizione e di condanna e, con la loro ostinatezza ed il loro cuore impenitente, accumulano sul loro capo l'ira per il giorno dell'ira, quando sarà reso a ciascuno secondo le sue opere. Dio, per la sua misericordiosa bontà, spinge alcuni alla penitenza, mentre gli altri, secondo la sua giusta determinazione, non li spinge. Ha, infatti, il potere di spingere ed attrarre, avendo il Signore stesso affermato: Nessuno può venire a me se il Padre non lo abbia attratto. ( Gv 6,44 ) Non ha forse spinto alla penitenza il re Achab, sacrilego ed empio, o, per lo meno, non ha donato pazienza e longanimità al re già sedotto ed ingannato ad opera di uno spirito falso? In lui, forse, dopo essere stato sedotto non ha trovato immediato compimento la sentenza con la morte? ( 1 Re 22 ) Chi può dire che non ha peccato prestando fede ad uno spirito menzognero? Chi può dire che questo peccato non è stato la pena del peccato derivante dal giudizio di Dio, che per porlo in atto ha scelto uno spirito malvagio, mandandolo o lasciandolo libero di agire? Chi può dire qualcosa del genere, se non chi dice quello che vuole e si rifiuta di ascoltare il vero? 4.15 - Dio permette il male per i suoi giusti fini È possibile mai che qualcuno, ascoltando le parole del Salmo: Non abbandonarmi, o Signore, a come mi desidera il malvagio, ( Sal 140,9 ) possa essere talmente insensato da dire che l'uomo chiede a Dio di non essere paziente con lui, dal momento che "Dio non abbandona l'uomo al compimento del male, se non dimostrando una paziente bontà quando lo commette"? Che vogliamo dire con le parole che diciamo ogni giorno: Non indurci in tentazione, ( Mt 6,13 ) se non che non siamo abbandonati alle nostre passioni? Ciascuno invece è tentato dalla propria concupiscenza, adescato e sedotto. ( Gc 1,14 ) Chiediamo forse a Dio che la sua bontà non sia paziente con noi? Non invochiamo dunque la sua misericordia, ma provochiamo la sua ira. Quale persona sana può pensare tali cose? Quale pazzo, anzi, può dire cose del genere? Dio dunque abbandona alle passioni dell'ignominia perché si facciano cose sconvenienti. Egli però abbandona secondo una convenienza: gli stessi peccati sono pena dei peccati passati e sono meritevoli di pene future. Così è stato abbandonato Achab alla menzogna dei falsi profeti e Roboamo al falso consiglio. ( 1 Re 12 ) Per vie meravigliose e ineffabili compie tutto questo chi conosce che i suoi giusti disegni operano non solo nel corpo, ma anche nell'anima dell'uomo. Non rende cattive le volontà, ma si serve di esse come vuole, giacché non può volere nulla d'iniquo. Esaudisce quando è benevolo e non esaudisce quando è adirato, o viceversa esaudisce quando è adirato e non esaudisce quando è benevolo. Perdona quando è benevolo e non perdona quando è adirato, o viceversa perdona quando è adirato e non perdona quando è benevolo. E in tutto rimane sempre giusto e buono. Chi è all'altezza di questo compito? ( 2 Cor 2,16 ) Quale uomo, appesantito dal peso del corpo corruttibile, può avere la capacità di comprendere i suoi imperscrutabili ed impenetrabili disegni, anche se è in possesso del pegno dello Spirito Santo? 4.16 - La concupiscenza è un disordine perché la parte inferiore dell'uomo lotta contro la parte superiore Da uomo intelligente ed acuto dichiari che "la libidine è giusta ed è degna di lode, se con la sua ribellione punisce chi si è ribellato a Dio". Se riflettessi con maggior prudenza, ti renderesti subito conto che è male ciò per cui la parte inferiore dell'uomo è in contrasto con quella superiore e migliore. L'iniquo tuttavia è giustamente punito dal male della sua carne, così come il re cattivo è stato punito dalla cattiveria dello spirito maligno. O pensi di lodare anche lo stesso spirito maligno? Orsù, coraggio! Cosa aspetti? Quale nemico della gratuita bontà di Dio, ti si addice essere il lodatore dello spirito della menzogna. Non farai fatica a trovare cosa dire. Hai già pronte le sue lodi: basta applicare a lui le parole usate per lodare la libidine, parole che, a tuo dire, sono conseguenze della mia opinione secondo la quale è "ingiusto che chi aveva disobbedito al suo Signore, trovasse obbedienza nel suo schiavo, vale a dire, nel suo corpo". Negandola e deridendola come falsa, hai voluto come dimostrare l'assurdità che ne seguiva: se è così, sarebbe da lodare la libidine quale vendicatrice del peccato. Non potrai certo negare che lo spirito maligno, portando con l'inganno la morte all'empio re come egli meritava, è stato il vendicatore dell'iniquità. Lo ripeto anche qui; era ingiusto che, chi non aveva creduto al Dio vero, non fosse ingannato dal falso. Loda dunque la giustizia di questa falsità e ripeti quello che hai detto a lode della libidine: "Nulla può essere più lodevole del castigare la cattiveria del male commesso e del vendicare l'offesa fatta a Dio, poiché in tal modo, per assumere l'ufficio del vendicatore, non ha avuto contatto con il peccato". Secondo la tua acutissima visione, tutte queste cose sono dette giustamente in lode di quello spirito immondo. In questa controversia dunque, non ti resta che lodare lo spirito della menzogna o smettere di lodare la libidine recalcitrante. 4.17 - La questione dell'anima Perché ti rifugi nella oscurissima questione dell'anima? Nel paradiso, in verità, dall'anima ha cominciato ad innalzarsi la superbia e da essa è derivato il consenso alla trasgressione del comando per cui il serpente disse: Diventerete come dèi. ( Gen 3,5 ) Quel peccato l'ha commesso tutto l'uomo. La carne allora è divenuta carne di peccato e i suoi vizi sono sanati soltanto dalla somiglianza della carne del peccato. L'anima ed il corpo di chi nasce saranno puniti insieme entrambi, a meno che non si ottenga la purificazione con la seconda nascita. Pertanto essi o derivano dall'uomo entrambi viziati, oppure l'una si corrompe nell'altro come in un vaso viziato, dove è racchiusa l'occulta giustizia della legge divina. Quale delle due possibilità sia la vera, vorrei apprenderla anziché insegnarla, affinché non corra il rischio d'insegnare una cosa che non so. Tuttavia so con certezza che delle due sarà vera quella che la fede vera, antica e cattolica, che crede e professa il peccato originale, non mi avrà dimostrato falsa. Non si neghi questa fede; ciò che non sappiamo dell'anima, lo possiamo apprendere dalla riflessione, oppure lo possiamo tranquillamente ignorare come tante altre cose in questa vita senza detrimento alcuno per la salvezza. Nei grandi e nei piccoli è necessario curare maggiormente con quale aiuto l'anima si possa salvare anziché per quale motivo sia stata viziata. Se si negherà che è stata viziata, non sarà neppure sanata. 4.18 - La stoltezza, causa del male Non sono riuscito ad immaginare perché citando le parole dell'Apostolo: Ed il loro cuore insensato si offuscò, ( Rm 1,21 ) hai aggiunto: "Si noti come egli dichiari l'insipienza causa di tutti i mali". Non è abbastanza chiaro che l'Apostolo abbia inteso dire questo. Ma non contesto: dimmi piuttosto perché tu l'hai detto. Forse perché a torto i bambini sono detti insipienti, dal momento che non possono ancora essere partecipi della sapienza e, per questo motivo, vuoi far credere che in essi non c'è alcun male, come sarebbe logico, se davvero l'insipienza fosse causa di tutti i mali? Occorrerebbe una disputa sottilissima e limatissima per sapere se i primi uomini siano stati resi superbi dall'insipienza o insipienti dalla superbia, ma, per quanto riguarda la questione che si agita tra di noi, chi ignora che fra tutti gli uomini, chiunque diventi sapiente, lo diventa dalla insipienza? A meno che qualcuno dei messaggeri del Mediatore per una sua grande ed insolita grazia, sia potuto passare alla sapienza direttamente dall'infanzia e non dall'insipienza. Qualora però voi sostenete che ciò possa avvenire per natura senza la fede nel Mediatore, state spandendo l'occulto veleno della vostra eresia. È chiaro infatti che vi adoperate tanto per difendere e lodare solo la natura per dimostrare che Cristo è morto inutilmente, ( Gal 2,21 ) mentre noi affermiamo che la fede in lui operante per mezzo della carità ( Gal 5,6 ) viene in aiuto anche a coloro che sono insipienti per natura. Ci sono infatti di quelli che nascono con tanta ottusità da rassomigliare più agli animali che agli uomini. Per spiegare la loro grande ottusità, che in essi sembra connaturale, negando il peccato originale, non potete trovare alcun demerito. Attraverso l'umana esperienza chi non riesce quotidianamente a constatare che il fanciullo dapprima non sa nulla, e man mano, con la crescita, comincia a conoscere cose inutili per giungere, se è del numero dei sapienti, alla retta conoscenza delle cose, arrivando in tal modo dalla infanzia alla sapienza attraverso l'insipienza? Proprio per questo voi vedete che nei bambini la natura umana a cui, quasi fosse sana, con le vostre lodi negate il Salvatore, prima produce il frutto dell'insipienza e poi quello della sapienza, ma non volete vedere il difetto della sua origine, o, il che è peggio, lo vedete e lo negate. 5.19 - Agostino accusato di contraddizione Dopo aver citato altre mie parole, calunniandomi scrivi che mi contraddico perché da una parte affermo che "l'uomo ribelle è stato ripagato con un corpo ribelle e dall'altra dichiaro che alcune membra del corpo, espressamente nominate, sono al pieno servizio della nostra volontà". Sì, l'ho detto. Escludevo però i genitali, che io chiamavo col nome di corpo. Il corpo obbedisce alla volontà nel movimento delle altre membra, mentre non obbedisce nel movimento dei genitali. Le mie parole pertanto non sono contraddittorie, quantunque debbano tollerare te contrario o perché non comprendi o perché non lasci che gli altri comprendano. Se una parte del corpo non potesse essere chiamata col nome di corpo, l'Apostolo non avrebbe detto: La moglie non può liberamente disporre del proprio corpo, ma il marito; e parimenti neanche il marito può disporre del proprio corpo, ma la moglie. ( 1 Cor 7,4 ) Evidentemente egli chiama col nome di corpo le membra che distinguono il sesso e con le quali si attua l'unione. Chi può mai dire che l'uomo non può disporre del suo corpo, se nelle parole dell'Apostolo tu intendi tutto il corpo formato da tutte le membra? Per questo anch'io, al pari dell'Apostolo, ho chiamato col nome di corpo i soli genitali, che il senso comune sa bene di poter muovere non liberamente come il piede o la mano, ma dietro la spinta della libidine. Proprio questo senso comune ride di te, che, spargendo sconvenienti nebulosità in cose manifeste, fai in modo che la necessità c'induca a parlare più a lungo di queste cose vergognose, mentre la rettitudine c'indurrebbe ad usare circonlocuzioni. Chi legge le mie parole che hai cercato di confutare, vede la tua insidia e capisce molto bene cosa intendevo dire nel passo in questione, e questo mi basta. 5.20 - Contraddizioni di Giuliano Tu però, che hai detto che io mi contraddico nelle mie parole - che sia del tutto falso lo vedrà chiunque, dopo aver ascoltato te, le rileggerà e richiamerà alla mente che l'Apostolo ha chiamato col nome di corpo i soli genitali -, tu dunque, che hai accusato di contraddizione le mie parole e mi hai offeso, dimmi come puoi restare coerente senza contraddirti, dal momento che dapprima hai scritto: "Quando si arriva al momento della seminazione dei figli, le membra create a questo scopo si sottomettono al cenno della volontà, e, a meno che altri impedimenti derivanti da malattia o intemperanza non lo impediscano, obbediscono al comando dello spirito"; e più tardi invece: "Questo genere di movimento, che deve essere incluso tra i molti il cui ordine e la cui disposizione sono ignoti, non richiede il comando ma solo il consenso della volontà". In parte ti sei arreso alla evidenza della verità, ma sei stato costretto ad annullare quanto avevi detto prima. Come è possibile, infatti, che le membra di cui parliamo, secondo la tua prima affermazione, "si sottomettono al cenno della volontà e obbediscono allo spirito", se poi, secondo la tua seconda affermazione, esse "al pari della fame, della sete, della digestione, richiedono non il comando ma il consenso della volontà"? Ti sei molto affaticato a cercare queste parole, che vanno più contro di te che contro di me: che se avessi avuto un po' di pudore, non ti sarebbe stata necessaria alcuna fatica in questo problema. Che giova dichiarare di "vergognarti e di avere quasi orrore di parlare di tali cose ma di esserne costretto dalla necessità", se poi non hai rossore di lasciare scritta una tua affermazione contro cui tu stesso, turbato dall'evidenza della verità, immediatamente dopo hai proferito una contraria? Per la verità il solo accenno alla tua vergogna è già di per se stesso spudorato. Mi piace, però, perché parla contro di te. Sei uno, infatti, che non arrossisce nel lodare la libidine, e dichiara di arrossire nel disputare sui movimenti della libidine! 5.21 - La volontà e il movimento delle membra Cosa c'era di così grande da capire se, dopo aver affermato: "Il corpo ha in suo potere muovere le membra", ho aggiunto "purché esso sia sano e libero da altri impedimenti"? Il sonno, infatti, quando contro voglia ci opprime, e la stanchezza sono per davvero impedimenti che ostacolano l'agilità delle membra. Tu dici: "Le membra non potrebbero seguire il nostro volere se la loro attitudine non lo consentisse". Evidentemente, nel dire questo, non hai notato che in precedenza avevo per l'appunto detto: "per essere mosse ad azioni a sé consentanee ". È naturale quindi che, se volessimo piegarle dove la loro natura non consente, esse non ci seguirebbero nel compiere azioni ad esse non consentanee. Tuttavia, quando le muoviamo con la volontà ed esse obbediscono, non abbiamo bisogno dell'aiuto della libidine. Quando vogliamo smettere di muoverle, lo facciamo subito, senza che esse siano eccitate contro la nostra volontà dagli stimoli della libidine. 5.22 - I mali sopportati dalla pazienza e quelli frenati dalla continenza Dicendo che "anche i genitali obbediscono alla volontà dello spirito", parli di una nuova libidine o, meglio, di una antichissima, quale avrebbe potuto esserci nel paradiso se non ci fosse stato il peccato. Ma a che pro trattare di questo con te se, con le parole che seguono, ritratti tutto, dicendo che "i genitali non sono mossi dal comando dell'anima, ma aspettano piuttosto il suo consenso"? Non puoi neppure paragonare questa libidine alla fame o alle altre nostre molestie. Nessuno ha fame, ha sete o digerisce a comando. Quelle di rifocillare o vuotare il corpo, sono esigenze necessarie che bisogna soddisfare affinché il corpo non abbia a deperire o morire. Forse il corpo deperisce o muore se non si acconsente alla libidine? Sappi distinguere quindi i mali che sopportiamo con la pazienza da quelli che freniamo con la continenza. Anche quelli, infatti, sono mali di cui abbiamo potuto fare esperienza in questo corpo di morte. Chi mai potrà dire con certezza o spiegare a sufficienza con quale e quanta tranquilla potestà avremmo potuto dominare anche i movimenti con cui mangiamo o digeriamo in quella felicità del paradiso? Ben lontano da noi il pensare che avrebbe potuto esservi qualcosa per cui, dall'interno o dall'esterno, il dolore tormentasse, la fatica stancasse, il pudore confondesse, la passione bruciasse, il freddo facesse rabbrividire, o l'orrore spaventasse i nostri sensi. 5.23 - La forza del canto nell'eccitare e nel sedare le passioni Per qual motivo credi che codesta tua bellissima serva, della quale a me rincresce il parlarne con frequenza, sia pure per disprezzarla, mentre a te non rincresce affatto esaltarla, "diventi più rispettata perché per eccitarla maggiormente la servono anche le altre parti del corpo, quali gli occhi per vedere e desiderare o le altre membra con baci ed abbracci"? Hai trovato pure il modo di assoggettarle le orecchie ed hai innalzato il suo antichissimo ma pur sempre gloriosissimo epitaffio, ricordando lo scritto di Tullio nell'esposizione dei suoi Consigli: Dopo che alcuni giovanotti ubriachi ed eccitati, come succede, anche dal suono dei flauti, avevano infranto le porte di una donna casta, si racconta che Pitagora pregò il flautista di suonare un canto lento. Non appena quello cominciò ad eseguirlo, la furente esuberanza di quei giovani si calmò sia per la lentezza del movimento sia per la gravità del canto. Nota con quanta maggior congruenza, ho detto che in certo senso appartiene al suo diritto l'essere servito dagli altri sensi per portare a termine la sua opera o per rilassarsi dalla sua commozione. Ho detto questo perché, come tu stesso hai confessato, "ad essa si può acconsentire più che comandare". Se fosse al servizio del volere dell'uomo, essa non potrebbe "essere eccitata da altri stimoli, spezzata o moderata da un suono", come tu stesso affermi. Le donne poi, che tu credi immuni da questo movimento, benché possano sottostare alla concupiscenza dell'uomo anche quando non sentono la propria, con quanta veemenza sentano il suo impeto, a cui si oppone il decoro e l'onestà delle caste, lo si chieda a Giuseppe. ( Gen 39 ) Quale uomo di Chiesa, avresti dovuto essere ammonito dalla musica ecclesiastica più che dalla pitagorica e sapere ciò che la cetra di Davide ha prodotto su Saul, allorché egli era tormentato dallo spirito cattivo ed il suono di quella cetra toccata dal santo l'ha fatto rinsavire. ( 1 Sam 16 ) Non giudicare buona la concupiscenza della carne per il fatto che talvolta viene frenata dalla musica! 6.24 - La Chiesa significata dal paradiso terrestre "Quanto giustamente Geremia, insieme al coro dei Profeti e dei Santi, ha esclamato: Chi cambierà il mio corpo in una fonte di acqua e i miei occhi in una sorgente di lacrime? "; ( Ger 9,1 ) perché potesse piangere i peccati del popolo stesso! Dici queste parole strepitando perché la Chiesa di Cristo scaccia i maestri dell'errore pelagiano. Se davvero volessi piangere salutarmente, piangeresti per essere implicato in quell'errore, e con quelle lacrime ti purificheresti da codesta nuova peste. O forse ignori, dimentichi o rifiuti di pensare che la Chiesa santa, una e cattolica è stata indicata anche col nome di Paradiso? Perché vi meravigliate di essere estromessi da questo paradiso quando volete introdurre la legge, che nelle nostre membra contrasta con la legge della mente, nell'altro paradiso da cui siamo stati estromessi ed in cui non potremo tornare se in questo paradiso non l'avremo sconfitto? Se questa concupiscenza infatti che tu difendi non contrastasse la legge della mente, nessun santo si impegnerebbe nella lotta contro di essa. Tu stesso invece hai confessato che contro di essa, che tu proteggi, i santi hanno esercitato "gloriose lotte". Questa è la legge in conflitto con la legge della mente in questo corpo fonte di morte, dalla quale l'Apostolo affermava di essere liberato dalla grazia di Dio, per mezzo di Gesù Cristo Signore nostro. ( Rm 7,23-25 ) Comprendi una buona volta con quante lacrime debbono essere pianti questi nemici della grazia e con quanta attenzione debbono essere evitati perché non portino con sé altri alla rovina? Con la vostra innovazione, infatti, cosa comune a tutti gli eretici, accrescete "la cattiveria di questo tempo già decadente". Siete la rovina dei costumi, voi che cercate di sovvertire le fondamenta stesse della fede, sulle quali si debbono edificare i costumi; "siete la morte del pudore" se non vi vergognate di lodare le cose contro cui combatte il pudore. Questo piuttosto deve sentire la Chiesa che è detta vergine, perché possa guardarsi da voi; questo le matrone, questo le sacre vergini, questo tutta la pudicizia cristiana. Non dicono infatti con i manichei, come osi insinuare, "che nella loro carne è insita una necessità del male", coeterno a Dio e a lui consustanziale, ma insieme all'Apostolo dicono semplicemente: Vedo nelle mie membra una legge che ripugna alla legge della mia mente, ( Rm 7,23 ) legge che viene sottoposta al potere dell'anima in virtù della grazia di Dio per mezzo di Gesù Cristo Signore nostro, per essere castigata in questo corpo fonte di morte, per essere sciolta nella morte del corpo e per essere sanata nella risurrezione del corpo e nella morte della morte. Esse attuano la santa professione non solo nell'abito esteriore, ma nell'anima e nel corpo, e l'attuano non restando prive della concupiscenza della carne, cosa impossibile quaggiù, ma superandola, cosa possibile quaggiù. Ascoltino questo, dunque, perché possano guardarsi da voi fino a quando non saranno libere da essa. Se provassi a chiedere a tutti i santi, quasi immaginando un auditorio nel quale ambiscano recitare due attori, se essi preferiscano ascoltare quello che loda o piuttosto quello che disprezza la libidine, cosa credi che sceglieranno la lotta dei continenti, il pudore degli sposati, la castità di tutti? Credi forse che allontaneranno dalle loro orecchie il disprezzo della libidine per ascoltare volentieri la lode di essa? Non si può credere che il pudore sia sparito fino a tal punto che tu possa esporre quest'infamia se non in un auditorio presieduto dal maestro Celestio o Pelagio, circondati dai loro discepoli. 7.25 - La concupiscenza è un vizio, non un'energia indomabile A questo punto passi a considerare le altre mie parole, ove ho affermato: "Quando quei primi uomini sentirono nella propria carne questo movimento sconveniente proprio perché ribelle, e si vergognarono della propria nudità, coprirono quelle membra con foglie di fico, affinché ciò che si muoveva contro la loro volontà fosse almeno coperto dalla scelta del loro pudore; e perché si vergognavano di un piacere sconveniente, ricoprendolo, si compisse ciò che era conveniente". Dopo aver citato queste mie parole, con vuota euforia mi avverti che l'hai già confutato nel secondo libro e nella prima parte di questo terzo a cui sto ora rispondendo. Siccome ho detto che "il movimento della libidine è sconveniente proprio perché ribelle", vorresti far credere che io abbia detto che "non è soggetta né al corpo né allo spirito, ma è sempre indomita per la sua virtù selvaggia". Per la verità non ho mai detto infatti che è una virtù, ma un vizio. Se non si eccita con la concupiscenza, perché mai la castità dovrebbe combatterla con la continenza? Dove vanno a finire quelle "gloriose lotte" dei santi che tu stesso hai affermato di combattere contro di essa? Per quanto attiene alla castità, dunque, sul fatto che essa si salva reprimendo, sconfiggendo e frenando la libidine, evitando di lasciarla scivolare verso alcunché di illecito, dici la stessa cosa che dico io. Che sia buona la libidine, però, che deve essere repressa, sconfitta e frenata affinché non attragga verso l'illecito con la sua incessante bramosia, lo dici tu, non io. Chi di noi dica il vero lo giudichino i casti, che daranno retta non alla tua lingua ma alla loro esperienza; lo giudichi pure l'Apostolo quando dice: Vedo nelle mie membra un'altra legge in contrasto con la legge della mia mente. ( Rm 7,23 ) 7.26 - Il diavolo non è il creatore, ma il corruttore della natura "I paterniani e gli stessi venustiani - tu dici - eretici molto simili ai manichei, sostengono che il corpo umano dai fianchi fino ai piedi è stato fatto dal diavolo; le parti superiori invece le ha collocate Dio come su di un piedistallo. Dall'uomo, essi aggiungono, null'altro si richiede se non di serbare monda l'anima che, a loro dire, risiede nello stomaco e nella testa. A lui nulla importa, essi dicono, se la zona pubica si macchia di ogni genere di lordura. E così, per servire turpemente la libidine, le attribuiscono sempre il titolo della propria potestà". Affine a questa opinione, tu dici, è ciò che ho detto nel mio libro: "per un senso di pudore è stato coperto ciò che si muoveva contro la volontà; perché la libidine, non servendo la volontà per suo diritto accende il corpo". Credi davvero di poter sfuggire alla forza della verità associandoci con la calunnia a compagni di falsità? Le cose che ho poste nel mio libro, a cui volesse il cielo avessi preferito credere anziché resistere, sono ben lontane dalle tesi paterniane e venustiane. Secondo la fede cattolica, infatti, attribuisco a Dio, sommo e verace, la creazione di tutto l'uomo, di tutta l'anima e di tutto il corpo, mentre dico che il diavolo non ha creato la natura umana o una parte di essa, ma l'ha solo viziata. Contro questa piaga diabolica, che dovrà essere sanata con l'aiuto di Dio, dobbiamo combattere fin quando non ne saremo completamente liberati. Per quanto puro possa essere in questa vita, l'uomo non potrà mai serbare del tutto monda l'anima per la quale il corpo vive, se asseconderà la concupiscenza della carne nel perpetrare delitti o altre lordure. Per quanto attiene a codesta tua calunnia, hai forse da dire qualcosa contro queste mie parole? Se questo è poco, sono pronto a condannare e ad anatematizzare le cose che hai detto pensano i paterniani e i venustiani. Aggiungo anche i manichei; e gli uni e gli altri, al pari di tutti gli eretici, li maledico, li condanno, li anatematizzo, li detesto. Che vuoi di più? Lascia stare le calunnie e combatti con le ragioni, non con le frodi. Rispondimi piuttosto: donde viene ciò a cui, se non si resiste, nessuna castità si salva? Non è certamente una natura o una sostanza, come sostengono i venustiani e i manichei: se non è un vizio della natura, che cosa è? S'innalza, lo reprimo; insiste, lo tengo a freno; contrasta, lo sconfiggo. In tutta l'anima e in tutto il corpo ritengo Dio Creatore della pace: chi ha dunque seminato in me questa guerra? O Apostolo, risolvi tu la questione e rispondi: Per opera di un solo uomo il peccato entrò nel mondo e attraverso il peccato la morte; così la morte passò su tutti gli uomini, perché tutti in lui peccarono. ( Rm 5,12 ) Giuliano non vuole. O glorioso Apostolo, rispondi anche a lui: Se qualcuno vi annuncia un Vangelo diverso da quello che avete ricevuto, sia anatema! ( Gal 1,9 ) 7.27 - Si vuol sapere se la concupiscenza sia un bene o un male "Se concedo - come tu dici - che il male della libidine è invincibile, mi professerò difensore della turpitudine; se invece riconosco di aver detto che è un male naturale, ma che ha la possibilità di essere sconfitto, vale a dire che ce se ne può guardare", immediatamente ti rallegrerai per la seconda parte della tua tesi. "Dal momento che sono in grado di vincere il male della concupiscenza, tu scrivi, gli uomini possono evitare tutti i peccati. Se la libidine infatti è un male naturale e la si vince con l'amore della virtù, a maggior ragione potranno essere sconfitti gli altri vizi che dipendono solo dalla volontà". Spesso ed in mille modi ho risposto a questi vostri argomenti. Finché viviamo quaggiù, dove la carne ha voglie contro lo spirito e lo spirito contro la carne, ( Gal 5,17 ) per quanto possiamo essere superiori in questo conflitto e non offriamo le nostre membra quali armi di ingiustizia al servizio del peccato, piegandoci alle sue voglie, ( Rm 6,12-13 ) tuttavia, per tacere dei sensi del corpo, nelle stesse cose lecite a causa degli eccessi della sopravvenuta voluttà, ed ancor più nei movimenti e nei sentimenti dei nostri pensieri se diciamo di non aver peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi. ( 1 Gv 1,8 ) Invano, dunque, esulti per la seconda parte della tua tesi, a meno che, con sacrilega presunzione, tu non voglia ripudiare l'affermazione dell'apostolo Giovanni. Circa la nostra questione, anch'io dico che la libidine è un male naturale, poiché con essa nascono tutti gli uomini; tu dici molto di più affermando che con essa è stato creato il primo uomo. Che la libidine debba essere vinta e che per vincerla è necessario resisterle e contrastarla lo dico io e lo dici anche tu, perché non abbia a sentire da me le parole che tu stesso mi hai rivolto: "Sarai difensore della turpitudine, se negherai che la libidine dev'essere sconfitta", e certamente non sarà sconfitta se contro di essa non si fa alcuna guerra. Poiché entrambi diciamo che la libidine è naturale e che essa può essere vinta, la nostra controversia verte solo sul fatto se vinciamo un bene o un male. Quanto sei assurdo! Vuoi sconfiggere come nemico la libidine e non vuoi chiudere la questione riconoscendola come male, cosicché, il diavolo, se non ti vince con l'avversità della concupiscenza, ti vince con la perversità della tua dottrina. 7.28 - La libidine è un vizio, non la natura dell'uomo Non ancora ti svegli per capire che non è la nostra natura ma solo un vizio quello contro cui combattiamo con la virtù? Non vinciamo infatti un bene col bene, ma un male col bene. Pensa con chi vince, con chi è vinta. Quando la libidine vince, infatti, è il diavolo che vince; quando la libidine è vinta, è il diavolo che è vinto. Nemico della libidine, quindi, è ciò che la libidine vince e ciò da cui è vinta; suo autore invece è colui col quale vince o è vinta. Apri gli occhi, ti scongiuro, e guarda le cose che sono tanto evidenti. Non c'è battaglia senza un male. Quando si combatte, infatti, il bene combatte contro il male o il male contro il male. Se poi due beni si combattono fra di loro, la battaglia stessa è un grande male. Così nel corpo, quando succede che le sue componenti, l'umido e il secco, il caldo e il freddo, benché siano in se stesse contrarie, non hanno tra di loro il giusto equilibrio, vengono fuori le indisposizioni e le malattie. Chi oserà affermare che qualcuno di essi non è un bene, dal momento che tutte le creature di Dio sono un bene e, nell'inno dei tre fanciulli, il caldo e il freddo benedicono il Signore? ( Dn 3,67 ) Quantunque tra di loro contrarie, queste componenti conservano un equilibrio per il buon andamento delle cose. Quando, invece, nel nostro corpo entrano in discordia e si combattono reciprocamente, la salute viene turbata. Tutto questo e la morte stessa provengono dalla propagazione di quella colpa. Nessuno, infatti, oserà dire che li avremmo sofferti in quella felicità del paradiso, se non ci fosse stato il peccato. Una cosa però sono le qualità del corpo che, pur tra loro contrarie, se sono temperate, possiamo stare in buona salute; mentre pur buone nel loro diverso genere, diventano causa di malattia se entrano in discordia; ed altra cosa sono le passioni dell'anima, che sono dette della carne appunto perché l'anima ha voglie secondo la carne, allorquando queste voglie sono tali che lo spirito, vale a dire la parte migliore e superiore dell'anima le deve contrastare. Questi vizi non hanno bisogno di nessun medico del corpo, ma vengono curati solo dalla grazia medicatrice di Cristo, prima perché siano liberati dal reato, poi perché non vincano nella lotta, ed infine perché, sanati in ogni parte, spariscano del tutto. Pertanto, siccome è male desiderare cose cattive, ed è bene desiderare cose buone e, siccome finché si vive quaggiù, questa guerra non dà tregua perché la carne ha voglie contro lo spirito e lo spirito contro la carne; chi mi libererà da questo corpo fonte di morte se non la grazia di Dio per mezzo di Gesù Cristo Signore nostro? Abbiamo in orrore il vostro domma, perché troppo nemico della grazia di Cristo. 7.29 - Almeno nell'attuale concupiscenza si deve ammettere un vizio originale Da uomo fortissimo, se non direttore, certo esortatore e predicatore delle guerre notturne, dichiari che è "flaccida e fiacca l'opinione secondo cui si crede che nel paradiso i genitali potevano essere mossi ad arbitrio della volontà". Da uomo casto, a te pare che l'animo sia tanto più effeminato quanto più ha potere sul corpo. Noi non discutiamo con voi sulla presenza o l'assenza della libidine, né offendiamo l'amore che vi vediamo nutrire per essa, ma vogliate sottometterla al comando della volontà, almeno in quel luogo di felicità. Togliete da lì l'evidentissima guerra che si ha quando lo spirito si oppone alla sua sollecitazione e togliete pure quella sozza tranquillità che si ha quando la mente si adatta al dominio di essa. Certamente ora non la vedete così come è stata all'inizio. Se non vi muove la ragione, sia almeno il pudore a costringervi a riconoscere in essa, quale è ora, il peccato originale; essa ci porterà alla perdizione se la serviamo e che contrastiamo appunto per non servirla. Ecco ciò che lodi e non temi, che ti si possa rimproverare di spingere gli uomini alle nefandezze, non contrastando la concupiscenza che tu presenti come un bene naturale. Qual giovamento ti porta dare l'impressione di riprovarne l'eccesso, quando ne approvi il movimento? Solo allora infatti oltrepassa il limite lecito quando si acconsente al movimento. Essa è tuttavia cattiva anche quando non le si acconsente, perché si resiste a un male affinché non muoia il bene della castità qualora non lo si contrastasse. Dichiarandola naturalmente buona, con astuzia insinui che si deve sempre acconsentire ad essa, affinché non ci si opponga con insano impegno ad un bene naturale. In tal modo potrebbe facilmente rivelarsi vera la vostra tesi secondo cui l'uomo, se vuole, può essere senza peccato. Non c'è motivo infatti di fare ciò che non è lecito, dal momento che è lecito tutto ciò che piace, poiché è buono tutto ciò che piace secondo natura. Quando ci sono, dunque, si goda dei piaceri e, quando non ci sono, ci si diletti dei pensieri, come riteneva Epicuro. Non ci saranno peccati e non ci si priverà di alcun bene. Non si opponga resistenza ai movimenti naturali secondo i dettami di qualsivoglia dottrina, ma, come ha detto Ortensio: Allora si segua la natura, quando senza il maestro si percepirà quello che la natura desidera. Essa che è buona, infatti, non può desiderare il male né ad essa che è buona si può negare alcun bene. Si faccia dunque tutto quello che la libidine buona desidera affinché non diventi cattivo chi si oppone ad un bene. 7.30 - La dottrina pelagiana combattuta in quest'opera Io non dico questo, mi obietterai, ed è ingiusto che mi faccia pensare cose che non dico. Ebbene, non fare quello che non vuoi si faccia a te e non dire che "invitiamo a piacevoli furti coloro a cui ricordiamo le parole dell'Apostolo: So infatti che il bene non dimora in me, vale a dire nella mia carne". ( Rm 7,18 ) Anche se non pongono quaggiù in atto il bene che vogliono, quello cioè di non avere la libidine, compiono tuttavia il bene non andando dietro alle sue voglie. ( Sir 18,30 ) Se credete di insegnare la castità quando predicate: "Non lasciatevi vincere dal bene, ma trionfate col bene sul bene", quanto a maggior ragione la insegniamo noi quando predichiamo: Non lasciatevi vincere dal male, ma trionfate sul male col bene. ( Rm 12,21 ) Comprendi quanto è ingiusto non credere che noi sconfiggiamo quello che disprezziamo, mentre non vuoi che si creda che tu goda di quello che lodi. Come è possibile che non possano essere casti i nemici della libidine, se lo possono essere anche i suoi amici? Negando il peccato originale e togliendo ai piccoli il salvatore Gesù, voi volete introdurre nel paradiso, prima del peccato, la legge del peccato, che contrasta alla legge della mente. Questo confutiamo in voi in quest'opera. Non vogliamo essere giudici di cose che non vediamo in voi, né sentiamo da voi, e non ci importa cosa facciano di nascosto quelli che apertamente lodano la libidine. 8.31 - La bontà del matrimonio è distinta dal male della concupiscenza Dopo aver citato altre mie parole, hai creduto di poter confutare la mia distinzione tra il matrimonio e la concupiscenza dei primi uomini che presentavo in questi termini: "Quello che in seguito hanno fatto per la propagazione è il bene del matrimonio; quello che prima avevano coperto per la vergogna, invece, è il male della concupiscenza". Hai pensato di confutare questa affermazione dicendo: "Non è possibile che una cosa buona non abbia la lode insieme all'altra cosa senza di cui non può esistere". Praticamente vorresti accomunare nella lode il matrimonio e la concupiscenza. Osserva un po' come questa tua tesi, che pare definitiva, va a rotoli. Tutte le cose create da Dio, innanzitutto, non possono essere immuni da mali, ma non per questo detti mali possono essere accomunati ai beni nella lode. Se è impossibile poi che una cosa buona non abbia la lode insieme all'altra cosa senza di cui non può esistere, ne segue che è impossibile che una cosa cattiva non abbia il disprezzo insieme all'altra cosa senza di cui non può esistere. Disprezziamo dunque le opere di Dio così come disprezziamo i mali che non possono esistere senza di quelle. Nessun male infatti esiste se non in un'opera di Dio, né può esistere altrove fuori di essa. Per non andare lontano, disprezza le membra umane come disprezzi l'adulterio, che non può aversi senza di esse. Se rifiuti di farlo per non apparire manifestamente insano anche a te stesso, devi ammettere che il bene del matrimonio può non avere la lode insieme alla libidine, di cui ora non può fare a meno, così come qualsiasi male può non avere il disprezzo insieme all'opera di Dio, senza di cui non può mai esistere. Dimostrata falsa e vuota la tua asserzione, saranno false e vuote tutte le conseguenze che ne hai dedotte. 8.32 - Il piacere della carne può essere vinto Non ho mai detto che "il piacere della carne è invincibile", come calunniosamente mi fai abitualmente dire. Entrambi affermiamo che esso può e dev'essere vinto. Tu però parli di un bene che si oppone ad un bene, io invece di un male che si oppone ad un bene. Tu dici che può essere vinto con le proprie forze, io invece che può esserlo solo con la grazia del Salvatore, cosicché sia vinto non da un'altra riprovevole voglia, bensì dall'amore di Dio che si è riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo elargitoci, ( Rm 5,5 ) e non per mezzo delle nostre forze. 8.33 - Giuliano di nuovo si appella all'insegnamento dei filosofi "Inutilmente ti affanni - mi dici - di aver dimostrato qualcosa sulla testimonianza dell'Apostolo, circa la vergogna di quei primi uomini ed il nascondimento delle parti delicate". Tu infatti chiami "meno decenti" quelle parti che egli dichiara disoneste, ma su questo abbiamo già ampiamente discusso. Inutilmente ritorni ancora una volta a Balbo ed alla letteratura dei filosofi, quasi che Balbo ti restituisca la parola quando non puoi trovare altro da dire sulla vergogna di quei primi uomini. Volesse il cielo che almeno ti arrendessi a talune opinioni veritiere dei filosofi e le ascoltassi a cuore aperto! Essi hanno chiamato lusinga ed esca del male i piaceri, e parte viziosa dell'anima la libidine. Balbo ha detto che nel nostro corpo gli organi della digestione sono alieni dai sensi. Questo è vero in quanto il cibo che digeriamo non alletta i nostri sensi, ma li disgusta. Proprio per questo la parte attraverso cui il cibo viene espulso è naturalmente occultata dalle altre parti sporgenti, così come avveniva anche quando erano nudi ma non si vergognavano. Subito dopo il peccato, i primi uomini hanno coperto non le membra nascoste, ma quelle poste allo scoperto. Quanto più la vista di esse offriva diletto anziché paura, e quanto più eccitava la tua protetta, tanto più diventava compito del pudore il coprirle. 8.34 - L'intenzione e l'opera degli sposi cristiani Se non agisci per inganno, non hai compreso affatto quello che ho detto "sulla claudicazione ed il raggiungimento". Con "raggiungimento" non ho inteso significare l'uomo che nasce dall'unione coniugale, come pensi o fingi di pensare, ma semplicemente il bene che è insito nel fine del matrimonio, anche se da esso non nasce nessuno. Compito dell'uomo è porre il seme, compito della donna riceverlo. Qui termina l'opera dei coniugi. Fin qui, io ho detto, non è possibile arrivare senza zoppicare, vale a dire, senza la libidine. Che il feto sia concepito e possa nascere è opera di Dio, non dell'uomo. Con questo intento e con questa volontà, tuttavia, il matrimonio compie anche il bene che appartiene alla sua opera. Ma poiché lo stesso feto nasce per la condanna finché non rinasce, il matrimonio cristiano, non per opera propria, come il camminare, ma per il fine della volontà arriva a generare coloro che dovranno essere rigenerati. Per questo in esso c'è la vera castità, quella cioè che piace a Dio. Senza la fede, infatti, è impossibile piacere a Dio. ( Eb 11,6 ) 9.35 - Lo scopo dell'unione coniugale non è il piacere della carne, ma la volontà della prole Dopo di questo arrivi al punto dove ho parlato della testimonianza dell'Apostolo: Ciascuno sappia possedere il proprio corpo - la propria consorte cioè - non seguendo la spinta della concupiscenza come i pagani che non conoscono Dio. ( 1 Ts 4,4-5 ) Commentando queste parole scrivevo: "Non è stata proibita l'unione coniugale, l'accoppiamento cioè onesto e lecito, ma solo che la sua finalità sia il piacere della carne e non la volontà della prole. Quello che non può essere compiuto senza la libidine, lo si compia, ma non per la libidine". A questo punto tu esclami: "O profondità delle ricchezze della sapienza e della scienza di Dio! ( Rm 11,3 ) che, al di fuori della futura retribuzione delle opere, ha voluto che per larga parte il libero arbitrio esercitasse una forma di giudizio. Molto giustamente, infatti, il buono e il cattivo sono lasciati a se stessi affinché il buono possa godere di se stesso ed il cattivo possa patire di se stesso". La tua esclamazione esula dalla questione da cui ti senti pressato e col tuo grido non riesci a sollevare il peso da cui sei oppresso, tenendo stretto tra i denti il vostro domma secondo il quale, per decreto divino, è lasciato a se stesso anche l'uomo buono così che non gli sia necessaria la grazia di Dio, come se fosse capace di agire da solo. Ma non è così. Quelli invero che sono lasciati a se stessi ed agiscono da sé non sono buoni perché non sono figli di Dio. Sono infatti quanti vengono mossi dallo Spirito di Dio i veri figli di Dio. ( Rm 8,14 ) Voglio sperare che in questa affermazione riconoscerai il domma dell'Apostolo dal quale è sconfitto il vostro domma. 9.36 - Peccati e pene di peccati In te tuttavia c'è una contraddizione che non posso passare sotto silenzio. Ricordi quanto a lungo hai parlato contro una chiarissima verità dedotta dall'Apostolo, dicendo: "In nessun modo può avvenire che una cosa sia ad un tempo peccato e pena del peccato"? Perché mai ora, dimentico di tanta tua loquacità, esalti la profondità delle ricchezze della sapienza e della scienza di Dio, che, "al di fuori della futura retribuzione delle opere, ha voluto che per larga parte il libero arbitrio esercitasse una forma di giudizio? Molto giustamente infatti - secondo le tue parole - il buono e il cattivo sono lasciati a se stessi affinché il buono possa godere di se stesso per l'opera buona, ed il cattivo possa patire di se stesso per l'opera cattiva". Per lui senza dubbio questo è peccato perché compie il male, ed è pena del peccato perché ne soffre in se stesso, cosicché per gran parte il giudizio, col quale il bene viene retribuito col bene ed il male col male, compete al libero arbitrio in virtù del quale il buono, agendo rettamente, gode di se stesso e il cattivo, peccando, soffre di se stesso. Ti rendi conto come, con vuota iattanza, vai ventilando le tue armi sterili e spuntate e ti esponi senza difesa alle ferite o addirittura sei tu stesso a ferirti? E poi dici che le mie parole sono contraddittorie perché ho detto, certamente non come tu mi calunni, che "l'unione dei corpi è stata scoperta dal diavolo", dal momento che anche se nessuno avesse peccato, non altrimenti i figli sarebbero nati se non con l'unione dei due sessi. Io invece ho detto che "la disobbedienza della carne, che nel corpo ci si presenta in contrasto con lo spirito, è stata causata dalla ferita del diavolo". Ho detto inoltre che "questa legge del peccato in contrasto con la legge della mente è stata da Dio inflitta per vendetta e che perciò è pena del peccato". Affermi che queste parole sono contraddittorie: quasi che sia impossibile che un unico ed identico male sia inflitto ai peccatori dalla cattiveria del diavolo e dalla giustizia di Dio. Eppure lo stesso diavolo è ostile all'uomo per la sua cattiveria ed anche perché dal decreto divino gli è stato permesso di nuocere ai peccatori. Sotto questo aspetto non sono contraddittorie neppure le parole della Scrittura che dicono: Dio non ha fatto la morte, ( Sap 1,13 ) e: La vita e la morte sono da Dio. ( Sir 11,14 ) Ingannatore dell'uomo, il diavolo è causa della morte che Dio ha introdotto non quale suo primo autore, ma quale vendicatore del peccato. Abbastanza lucidamente in verità, tu stesso hai risolto questa questione affermando che l'uomo cattivo è stato lasciato a se stesso, cosicché l'essere a se stesso supplizio deriva dal giudizio di Dio e dal libero arbitrio, e che non è contraddittorio il fatto che della pena egli ne è l'autore e Dio il vendicatore. 9.37 - Confusione tra volontà e voluttà Tu però abusi delle menti più deboli. Non voglio dire infatti che anche tu non capisci fino a non distinguere queste due parole, e che con maligna furbizia o tenebrosa cecità le confonda, volontà, cioè, e voluttà. Come per i sordastri questi nomi suonano identici, così credi di poter convincere i cuori sordastri che esse hanno lo stesso significato. Da qui credi o vuoi che si creda che le mie tesi sono contraddittorie, quasi che riprovi quello che prima approvavo o abbracci quello che prima respingevo. Ascolta dunque la mia chiara opinione, e comprendila o almeno lascia che gli altri la comprendano, evitando di spargere dinanzi alla serenità di una sincerissima verità la caligine di una nebulosa disputa. Come è cosa buona fare buon uso delle cose cattive, così è cosa onesta fare buon uso delle cose disoneste. Per questo l'Apostolo ha dichiarato disoneste le stesse membra, ( 1 Cor 12,23 ) non per la bellezza dell'opera divina, ma per la sozzura della libidine. Né i casti sono spinti dalla necessità agli stupri: per non essere spinti a commettere cose disoneste, resistono alla disonesta libidine, senza la quale tuttavia non possono onestamente procreare i figli. Così accade che per i coniugi casti c'è la volontà nella procreazione e la necessità nella libidine. Da un fatto disonesto, quindi, si ha l'onestà della procreazione quando la castità non ama ma tollera la libidine dell'unione. 9.38 - La procreazione non dev'essere fatta per il piacere Volentieri sei solito ricordare frasi di autori pagani che credi possano esserti di giovamento. Per quanto ti è possibile, rifletti con cuore sincero su quello che il poeta ha cantato di Catone: Per la città è padre, per la città marito; amante della giustizia, rigido custode dell'onestà, buono in tutto; in nessuna azione di Catone si insinuò e trovò parte alcuna l'innata voluttà. Che uomo sia stato Catone e se fu vera virtù e vera onestà quella lodata in lui, è un'altra questione. A qualsiasi finalità abbia riferito i suoi doveri, è certo che non senza voluttà ha procreato i figli. Pur tuttavia in nessuna azione di Catone si è insinuata o ha trovato parte alcuna l'innata voluttà, poiché quello che non faceva senza voluttà, non lo faceva per la voluttà. Se è vero quello che si dice di lui, pur ignorando Dio, possedeva il suo corpo senza seguire la spinta della concupiscenza. E tu non vuoi capire le parole dell'Apostolo: Ciascuno sappia possedere il proprio corpo, non seguendo la spinta della concupiscenza, come i pagani che non conoscono Dio. ( 1 Ts 4,5 ) 9.39 - La bontà del matrimonio e della continenza Rettamente distingui tra il bene coniugale che è minore e quello della continenza che è maggiore, ma ti ostini a non lasciare il tuo domma, grande nemico della grazia. Dici infatti: "Il Signore ha onorato la gloria della continenza con la libertà della scelta, dicendo: Chi può intendere intenda", ( Mt 19,12 ) come se fosse possibile intenderlo per arbitrio della volontà e non per dono di Dio, ma passi sotto silenzio quello che aveva detto prima: Non tutti comprendono queste parole, ma solo coloro ai quali è dato. ( Mt 19,11 ) Nota cosa taci e cosa dici. Credo che la coscienza ti pungoli, ma la necessità di difendere ad ogni costo una tesi già distrutta vince il retto timore insinuando un pudore perverso. A più riprese accusi l'eccesso della libidine, ma non smetti di lodarla e non ti accorgi, non senti, non comprendi che è male ciò a cui la temperanza deve porre un freno perché non oltrepassi il limite della necessità. 9.40 - La passione del desiderio Hai creduto di poter riferire alla fornicazione e non al matrimonio l'esortazione dell'Apostolo affinché ciascuno possegga il proprio vaso non seguendo la spinta della concupiscenza. Dall'unione dei coniugi sottrai in tal modo tutta l'onestà della temperanza, poiché nessuno, per quanto impetuosa possa essere la libidine verso la moglie, crederà di possedere il proprio corpo seguendo la spinta della concupiscenza. Se infatti avessi ritenuto che ivi fosse necessaria una certa moderazione, avresti potuto rimproverare l'eccesso della concupiscenza e dire che lo stesso male della concupiscenza è stato inteso dall'Apostolo, senza inopportunamente negare che nelle parole proprio vaso sia stata inclusa la propria moglie. Anche l'apostolo Pietro adopera questa parola con significato identico quando ammonisce gli uomini ad onorare le mogli come vasi più fragili e come coeredi della grazia ed aggiunge: State attenti che non siano ostacolate le vostre preghiere. ( 1 Pt 3,7 ) Al pari del suo collega Apostolo, prescrive alla temperanza coniugale il tempo della preghiera e permette a mo' di concessione, sia pure solo col coniuge, l'unione fatta non per la generazione, ma per il piacere. ( 1 Cor 7,5-6 ) Questi ascoltino i coniugi cristiani e non te, che non vuoi sia frenata in essi la concupiscenza che difendi, ma sia assecondata ogni volta che si ecciterà e regni sovrana. Questi ascoltino, ripeto, i fedeli cristiani uniti in matrimonio, perché di comune accordo cerchino la temperanza per dedicarsi alla preghiera. Quando poi tornano al matrimonio per l'incontinenza, si ricordino che anche per questo dicono a Dio: Rimetti a noi i nostri debiti. ( Mt 6,12 ) Quanto è stato detto, da un Dottore così grande, infatti, è a mo' di concessione e non di comando, è tollerato, non comandato. 10.41 - I mezzi non giustificano i fini Dopo aver citato altre mie parole nelle quali raccomandavo alla volontà dei coniugi veramente buoni, in quanto cristiani, di generare i loro figli in questo mondo affinché siano rigenerati in Cristo per l'altro, dichiari di aver già distrutto questa mia tesi nel tuo secondo libro. I lettori che lo vogliono possono trovarvi la mia risposta. È certo tuttavia che non è lecito commettere adulteri con l'intenzione di generare per la rigenerazione, così come non è lecito commettere furti con l'intenzione di sovvenire ai poveri, ai quali bisogna portare aiuto non rubando, ma facendo buon uso della ricchezza iniqua affinché essi accolgano negli eterni padiglioni. ( Lc 16,9 ) Alla stessa maniera, non con l'adulterio, ma con il buon uso del male della libidine bisogna generare i figli per regnare con essi in eterno. 10.42 - Il piacere della carne sommerge la mente Davvero con eleganza lodi la tua protetta quando, dicendo il vero, affermi che, "durante l'unione non è possibile pensare a nulla". È la pura verità. Cosa si può infatti pensare in quel momento, quando la mente stessa è sommersa nel diletto carnale? Molto a proposito, dunque, parlando del piacere, diceva Cicerone, citato nel precedente libro: Il suo eccitamento così come è il più forte, è il maggior nemico della filosofia. Il grande piacere del corpo infatti non può andare d'accordo con il pensiero. Mentre si fa uso di quel piacere, di cui nulla c'è di più forte, chi mai è capace di riflettere, di ragionare o di pensare qualche cosa? Alla libidine, che tu lodi, non avresti potuto fare accusa maggiore dell'ammettere che nel suo culmine non è possibile avere pensieri santi. Un'anima religiosa che fa buon uso di questo male, medita quelle cose che sa di non poter meditare quando, nell'unione, deve tollerare la libidine. Allo stesso modo l'uomo pensa alla sua salute prima di abbandonarsi al sonno, ben sapendo di non poterci pensare mentre dorme. Il sonno però s'impossessa delle membra, ma non le rende ribelli alla volontà, dal momento che sottrae alla volontà stessa il potere di comandare, guidando l'anima alla visione dei sogni, nei quali frequentemente è stato mostrato anche il futuro. Se nel paradiso c'era l'alternarsi della veglia e del sonno, laddove non c'era il male della concupiscenza, il sonno di chi dormiva era felice quanto la vita di chi era sveglio. 10.43 - Non sono responsabili i genitori se i figli nascono peccatori Inutilmente ti adiri e spandi il tuo eloquio spumeggiante in cui "paragoni i genitori ai parricidi, riponendo in essi la causa per cui i figli nascono con la condanna". La tua lingua ti trasporta come su ali esultanti e starnazzanti, ma, nello strepito che tu stesso produci, non guardi Dio. Perché non rivolgi queste o simili accuse, più che ai genitori, al Creatore degli uomini che è autore e creatore di tutti i beni? Non smette infatti di creare quelli che egli sa destinati al fuoco eterno, eppure a lui che li crea viene attribuita solo la bontà. Non sottrae da questa vita per adottarli nel regno eterno neppure taluni bambini che egli prevede diventeranno apostati e non rende loro quel grande beneficio reso a colui del quale si legge: Fu rapito perché la malizia non gli mutasse la mente. ( Sap 4,11 ) Eppure a Dio viene attribuita solo la bontà e la giustizia con cui dal bene e dal male sa trarre solo il giusto bene. Quanto si capisce più facilmente che ai genitori non si deve attribuire altro se non il desiderio di avere figli dei quali senza dubbio ignorano l'avvenire! 11.44 - Pena lievissima per i bambini morti senza battesimo A proposito delle parole del Vangelo da te ricordate: Sarebbe stato meglio per quell'uomo non nascere, ( Mt 26,24 ) non credi che nella nascita [ di Giuda ] l'opera di Dio è stata più grande di quella dei genitori? Per qual motivo, egli che conosceva il male a cui sarebbe andato incontro, cosa che i genitori non potevano sapere, non ha concesso alla sua immagine quello che sarebbe stato meglio? Eppure chiunque pensa rettamente attribuisce a Dio solo quello che si può attribuire alla benevolenza del Creatore, mentre ai genitori, senza alcuna difficile investigazione, attribuisce solo l'aver voluto i figli, dei quali ignoravano l'avvenire. Io non dico però che i fanciulli che muoiono senza il battesimo di Cristo debbano essere colpiti da una pena così grande che per loro sarebbe stato meglio non nascere, avendo il Signore detto questo non per peccatori qualunque ma per i più scellerati ed empi. Se consideriamo, secondo quanto è stato detto per i sodomiti, e non per i sodomiti soltanto, che nel giorno del giudizio gli uni saranno puniti in maniera più lieve degli altri, ( Mt 10,15; Mt 11,24 ) chi può responsabilmente dubitare che i fanciulli non battezzati, immuni dall'aggravante di qualsiasi altro peccato personale, avendo solo il peccato originale, nella condanna avranno la pena più lieve di tutti? Quantunque non sia possibile precisare quale e quanta sia la pena, non oserei dire che per essi sarebbe stato meglio non esistere affatto che essere lì. Voi stessi, in verità, che li ritenete liberi da ogni condanna, non volete riflettere sulla condanna con cui di fatto punite tante immagini di Dio tenendole lontane dalla vita di Dio e dal suo regno e, per ultimo, separandole anche dai genitori pii, che con tanta eloquenza esorti a procreare. Ingiustamente pertanto patiscono queste sofferenze se non hanno alcun peccato. Se poi le soffrono giustamente, vuol dire che hanno il peccato originale. 11.45 - La fede nel Mediatore futuro e il sacramento per i bambini Dopo avere citato altre mie parole nelle quali ricordavo con quanta onestà gli antichi santi Padri facevano uso delle mogli, dici che "essi non hanno procreato con la convinzione di generare dei figli macchiati di un reato destinato ad essere sciolto nel battesimo, per il semplice fatto che il battesimo con cui ora riceviamo l'adozione, non era stato ancora istituito". Quanto al battesimo questo è vero. Ma non per questo si deve credere che, prima della circoncisione, quando in essi c'era la fede del Mediatore, che si sarebbe incarnato, i servi di Dio non abbiano aiutato i loro piccoli con un sacramento, che tuttavia, per qualche motivo necessario, la Scrittura ha voluto tenere nascosto. Leggiamo infatti dei loro sacrifici, ( Lv 12 ) nei quali il sangue era figura di colui che solo toglie i peccati del mondo. ( Gv 1,29 ) Ancor più apertamente puoi leggere che, alla nascita dei bambini, da tempo si offrivano sacrifici per i peccati. Per quali peccati? Rispondi. Considera pure che i bambini nati da quei genitori sarebbero stati eliminati dal suo popolo se non fossero stati circoncisi entro l'ottavo giorno. ( Gen 17,14 ) E per qual motivo sarebbero stati eliminati se non erano soggetti ad alcun peccato originale? 12.46 - Il matrimonio di Maria e Giuseppe Hai molte obiezioni da fare sulla mia affermazione riguardante Giuseppe, di cui, sulla testimonianza del Vangelo, ho detto che Maria è la moglie. Vorresti dimostrare che, "essendo mancata l'unione carnale, non si può parlare in alcun modo di matrimonio". Secondo questo tuo punto di vista, pertanto, i coniugi quando smettono di unirsi non sono più coniugi ma divorziati. Affinché questo non avvenga, pur vecchi decrepiti, facciano come meglio possono quello che facevano da giovani e da quest'azione, di cui tu che sei continente ti diletti un po' troppo, non si astengano neppure quando i loro corpi saranno sfiniti. Per poter restare coniugi, non pensino di essere invecchiati per quanto riguarda l'incentivo della libidine. Se ti piace così, giudica tu. Per conto mio - siccome l'onestà umana consente di sposare per la procreazione dei figli, senza badare a come la debolezza cede alla libidine -, oltre alla fedeltà reciproca che i coniugi si debbono per non commettere adulteri, ed alla prole per la cui procreazione i due sessi debbono unirsi, trovo un terzo bene, che dev'essere presente nei coniugi, soprattutto in quelli che appartengono al popolo di Dio. Bene che, secondo me, è un sacramento che impedisca di fare il divorzio dalla moglie che non può partorire e proibisca all'uomo, che non vuole avere più figli, di offrire la propria moglie ad altri per essere fecondata, come si dice abbia fatto Catone. Per questo motivo, in quello che sulla testimonianza del Vangelo ho chiamato matrimonio, sono presenti tutti e tre i beni: "La fedeltà, perché senza adulterio; la prole, lo stesso Cristo Signore; il sacramento, perché senza divorzio". Ma non perché ho detto che tutto il bene, cioè il triplice bene del matrimonio è stato presente nei genitori di Cristo, si deve credere che io abbia detto, come osi insinuare, che "quello che avviene diversamente, deve ritenersi male". Al contrario infatti dico che il matrimonio è un bene anche se la prole non si può avere che dall'unione carnale. Qualora fosse possibile avere i figli diversamente e i coniugi continuassero ad unirsi, chiaramente cederebbero alla libidine e farebbero cattivo uso di quel male. Siccome però i due sessi sono stati istituiti proprio per questo fine e un uomo non nasce se non dalla loro unione, i coniugi che si uniscono fanno buon uso di quel male. Se poi dalla libidine cercano anche il piacere essi peccano venialmente. 12.47 - Maria vera sposa Tu dici che "Giuseppe era marito soltanto nella opinione di tutti". Vorresti dire che la Scrittura, nel dire che Maria era sua moglie, ha parlato secondo questa opinione e non secondo verità. Crediamo pure che l'Evangelista abbia potuto far questo narrando la sua opinione o quella di qualsiasi altra persona, parlando secondo il pensiero degli uomini, ma l'Angelo, parlando da solo a solo, avrebbe potuto esprimersi contro la sua coscienza o contro quella di chi lo ascoltava, adeguandosi più alle opinioni che alla verità, quando gli ha detto: Non temere di prendere con te Maria, tua sposa? ( Mt 1,20 ) Qual bisogno poi c'era di riportare la genealogia fino a Giuseppe, ( Mt 1,16 ) se non per quella verità secondo cui nel matrimonio ha la preferenza il sesso maschile? Per la verità hai avuto timore di toccare questo argomento, sebbene io l'abbia posto nel libro al quale rispondi. L'evangelista Luca dice del Signore che era creduto figlio di Giuseppe, ( Lc 3,23 ) perché riteneva che la gente lo pensasse generato dalla sua unione coniugale. Ha intesoeliminare questa falsa opinione ma non negare, contro la testimonianza dell'Angelo, che Maria era moglie di quell'uomo. 12.48 - Il vincolo della fede coniugale Anche tu, d'altronde, ammetti che "Maria ha preso il nome di moglie dalla fede dello sposalizio". Questa fede indubbiamente è rimasta inviolata. Quando si è accorto infatti che la sacra vergine era già stata fecondata per opera divina, Giuseppe non ha cercato un'altra moglie; non avrebbe certamente cercato neppure lei se non l'avesse ritenuta come sua sposa. E neppure ha ritenuto rotto il vincolo della fede coniugale per il fatto che non aveva più speranza di unione carnale. Di questo matrimonio pensa pure quello che vuoi, ma noi non diciamo affatto, come calunniandoci ci fai dire, che "esso è stato istituito in modo da poter esser tale pur senza l'unione dei due sessi". La nostra controversia verte soltanto su questi punti: se nel paradiso, prima del peccato, la carne abbia avuto voglie contro lo spirito; se ora nei coniugi questo non avvenga quando l'eccesso della concupiscenza viene frenato dalla pudicizia coniugale; se non è un male quello alle cui sollecitazioni non si deve acconsentire perché non porti all'eccesso; se non nasca dalla e con la concupiscenza colui nel quale tu neghi sia insito alcun male; se un uomo possa essere liberato da un male ingenerato al di fuori della rigenerazione. In tutte queste questioni la vostra empia innovazione viene soffocata dall'antica tradizione della verità cattolica. 13.49 - Dio creatore dell'uomo Hai creduto dover raccogliere molte testimonianze dalla Sacra Scrittura per dimostrare, in una questione in cui non esiste dissenso fra di noi, "che l'uomo è creato da Dio", verità innegabile anche per un qualunque vermiciattolo. A che pro tutto questo se non per procurarti uno spazio di parole, ove potessi vanamente e liberamente correre? Dal momento che con molta loquacità ti sei servito della testimonianza del santo Giobbe, perché mai non ti sono venute in mente le parole dell'uomo di Dio riguardo ai peccati degli uomini: Nessuno può essere immune dal peccato, neppure un bambino di un sol giorno di vita? ( Gb 14,5 sec. LXX ) Per tutti, grandi e piccoli, la misericordia viene da Colui che è la sola salvezza degli uomini e delle bestie e che fa sorgere il suo sole sui buoni e sui cattivi. ( Mt 5,45 ) Chi lo può negare se non chi non crede che Dio esiste o ha cura delle cose terrene? Come se fosse in discussione fra di noi, ce ne hai voluto dare un insegnamento dalla testimonianza di Giobbe: Di ossa e di nervi mi hai intessuto, mi hai donato vita e misericordia. ( Gb 10,11-12 ) Qui, in verità, avrebbe potuto non intendere tutti gli uomini, ma semplicemente ringraziare Dio per sé, perché il Creatore non aveva abbandonato lui, nato secondo la carne, ma gli aveva benignamente concesso di vivere secondo verità, vale a dire secondo giustizia. E certamente per il fatto che la vita che aveva ricevuta nascendo era poca cosa, aveva aggiunto: e misericordia, affinché non restasse secondo natura figlio dell'ira come gli altri e crescesse non tra i vasi d'ira, ma tra quelli di misericordia. 13.50 - Il beneficio della rigenerazione Perché poi il fedele non è reo per il male che gli sta vicino e che è insito nelle sue membra, e pur tuttavia chi nasce da lui contrae il reato, non so quante volte te l'abbia detto. Al fedele infatti questo beneficio lo porta la rigenerazione, non la generazione. Con la rigenerazione, dunque, i figli debbono essere sciolti da questo reato, come lo sono stati in precedenza i genitori. 14.51 - La trasmissione della colpa nei figli La dialettica ti ha insegnato una grande verità: "Ciò che è inerente al soggetto, non può esistere senza il soggetto a cui è inerente". Per questo aggiungi: che "il male che è inerente al padre come ad un soggetto non può trasmettere un reato ad un altro reo, alla prole cioè, a cui non perviene". Avresti parlato rettamente se il male della concupiscenza dal padre non pervenisse al figlio. Dal momento però che nessuno è concepito senza di esso e nessuno ne nasce immune, come puoi affermare che non arriva laddove passa? Non Aristotele, le cui categorie tu conosci come un insipiente, ma l'Apostolo ha detto: Per opera di un solo uomo il peccato entrò nel mondo … passò a tutti gli uomini. ( Rm 5,12 ) E in verità non è la dialettica che ti inganna, ma sei tu che non la capisci. È vero, infatti, ciò che hai appreso dalle Categorie: Le cose che ineriscono ad un soggetto, come le qualità, non possono esistere senza il soggetto nel quale ineriscono. Tali sono, per esempio, la forma e il colore nel soggetto corpo. Esse passano da un soggetto all'altro qualificando, non trasferendosi. Gli etiopi di razza negra generano figli negri ma non trasmettono il colore ai figli come una tunica con la qualità del proprio corpo, ma qualificano quello che da essi trae origine con la qualità del loro corpo. Ancora più mirabile è il passaggio delle qualità dalle cose corporee a quelle incorporee, cosa che tuttavia avviene quando in certo qual modo assorbiamo le forme dei corpi che vediamo, le riponiamo nella memoria e le portiamo con noi ovunque andiamo. Senza allontanarsi dai loro corpi, in un modo mirabile passano a noi dopo aver colpito i nostri sensi. Come passano quindi dal corpo allo spirito, così possono passare dallo spirito al corpo. I colori delle verghe variati da Giacobbe sono passati nelle pecore madri imprimendosi nelle loro anime, e da esse, con identico passaggio, si sono manifestati nel corpo degli agnelli. ( Gen 30,37-42 ) Che qualcosa del genere possa avvenire anche nei feti umani, lo attesta il nobilissimo medico Sorano e lo conferma con un esempio storico. Racconta infatti che il tiranno Dionisio, essendo deforme e non volendo che i figli nascessero tali, era solito porre dinanzi alla moglie, durante l'unione coniugale, una bella immagine da cui il desiderio potesse in certo senso rapire la bellezza per trasmetterla nel figlio che stava per concepire. Dio infatti crea senza togliere le leggi da lui date ai movimenti di ciascuna natura. Allo stesso modo i vizi che si trovano in un soggetto passano dai genitori ai figli, non come trasferendosi da un soggetto ad un altro, cosa che le Categorie sopra ricordate dimostrano impossibile, ma, cosa che non comprendi, imprimendosi e contagiando. 15.52 - La carne di Cristo non è carne di peccato A che pro lavorare tanto con grandi argomenti per arrivare ad un abisso di empietà? "La carne di Cristo, dici infatti, in quanto nata da Maria, la cui carne verginale al pari di quella di tutti gli altri uomini veniva da Adamo, non si differenzia dalla carne di peccato e senza alcuna distinzione l'Apostolo ha detto che Gesù è stato mandato in una carne simile a quella del peccato". ( Rm 8,3 ) Insisti, anzi, nel dichiarare che "non esiste alcuna carne di peccato affinché non sia tale anche quella di Cristo". Che significa, allora, carne simile a quella del peccato, se non esiste alcuna carne di peccato? Hai detto che "io non ho capito l'espressione dell'Apostolo". Non ci hai spiegato, però, come, te maestro, possiamo sapere in qual modo una cosa possa essere simile ad una che non esiste. Se questa è una affermazione da insipienti, e se la carne di Cristo senza dubbio non è carne di peccato, ma soltanto simile a quella di peccato, cosa rimane se non che, eccezion fatta della sua, la carne di tutti gli altri uomini è una carne di peccato? Da questo appare che la concupiscenza, per opera della quale Cristo non volle essere concepito, ha immesso nel genere umano la propaggine del male. Il corpo di Maria, quantunque derivato da essa, non l'ha tuttavia trasmesso nel corpo che non aveva concepito da essa. Del resto è detestabile eretico chiunque nega che la carne di Cristo è stata detta simile alla carne di peccato appunto perché quella di tutti gli altri uomini è una carne di peccato, e paragona la carne di Cristo a quella di tutti gli altri che nascono uomini così da ritenere entrambe di una uguale purezza. 15.53 - Dio è il creatore di tutti i corpi Credendo di aver fatto una grandissima scoperta, discuti abbondantemente per dire che "anche nel caso i figli contraessero qualcosa di male dai genitori, esso sarebbe espiato dalle mani di Dio, che li plasma nel ventre materno". Come se noi lo negassimo, tu proponi molte testimonianze della Scrittura per dimostrarci che gli uomini sono plasmati da Dio. Tra l'altro, citando le parole dell'Ecclesiastico, nelle quali si afferma che le opere di Dio sono occulte, ( Sir 3,22-23 ) aggiungi cose tue e dici che "tale affermazione rimprovera la vanità di chi crede di poter comprendere con la propria ricerca la profondità della natura". Di' a te stesso queste cose e non voler temerariamente definire qualcosa sull'origine dell'anima che, senza ragione più che evidente o parole divine non ambigue, non può essere compresa. Sappi piuttosto come la sapientissima madre dei Maccabei, di cui hai citato le parole rivolte ai figli: Non so come voi siate apparsi nel mio seno. ( 2 Mac 7,22 ) Non intendeva certamente parlare dei loro corpi, che non dubitava di aver concepito dal seme dell'uomo; ignorava però se l'anima dei figli era stata tratta dall'anima del padre, oppure da qualche altra parte. Per non essere temeraria, non si vergognava di confessare la sua ignoranza. "Per quale motivo i figli non vengono purificati mentre sono plasmati e liberati dalla maestà dell'Artefice dalle macchie attribuite ai genitori?". Poni quest'altra questione, ma non fai caso che la stessa cosa si può dire anche dei difetti evidenti del corpo, con cui non pochi fanciulli nascono. Anche se è ben lontano da noi dubitare che Dio vero e buono abbia plasmato tutti i corpi, dalle mani di così grande artefice tuttavia sono usciti molti corpi non solo difettosi, ma addirittura mostruosi, tali da essere chiamati errori di natura da alcuni che, non potendo comprendere perché la potenza di Dio faceva certe cose, si vergognavano di dichiarare l'ignoranza di ciò che non sapevano. 15.54 - La carne di Cristo non contrasse il contagio del peccato originale Per quanto riguarda la trasmissione del peccato originale a tutti gli uomini, siccome si trasmette per la concupiscenza della carne, non ha potuto essere trasmesso alla carne che la Vergine ha concepito non per mezzo di essa. Quanto poi a ciò che hai voluto eccepire dal mio libro a Marcellino, di venerata memoria, che Adamo cioè "avrebbe corrotto in sé tutti quelli che sarebbero venuti dalla sua stirpe", è ben certo che Cristo non è venuto nel seno della madre attraverso la stirpe corrotta. Dalla mia stessa argomentazione, però, riferirò parole molto attinenti alla questione, che non hai voluto citare e del perché non l'hai voluto sarà presto chiaro il motivo. "Adamo, dicevo, ha corrotto in sé tutti quelli che sarebbero venuti dalla sua stirpe con l'occulta macchia della concupiscenza carnale". Non ha corrotto, quindi, la carne nel cui concepimento non c'era questa macchia. La carne di Cristo pertanto ha tratto la mortalità dal corpo mortale della madre, perché aveva trovato il suo corpo mortale, non ha contratto il peccato originale perché non aveva trovato in esso la concupiscenza dell'unione carnale. Qualora poi dalla madre non avesse preso neppure la mortalità, ma solo la sostanza della carne, la sua non solo non sarebbe stata una carne di peccato, ma neppure una carne simile ad una carne di peccato. 15.55 - La concupiscenza non è un senso della carne Mi paragoni e mi metti sullo stesso piano "dell'errore di Apollinare, che negava in Cristo i sensi della carne", per creare ovunque nebulosità agli occhi degli inesperti affinché non vedano la luce della verità. Una cosa sono i sensi del corpo, senza i quali non è mai esistito un uomo, non esiste e non esisterà, ed una cosa ben diversa è la concupiscenza per cui la carne ha voglie contro lo spirito, senza la quale era l'uomo prima del peccato, con una natura umana simile a quella che Cristo uomo ci ha manifestato. Come Adamo è stato fatto dalla terra senza la concupiscenza, così Cristo è stato fatto da una donna senza la concupiscenza. Dalla donna tuttavia Cristo ha preso la debolezza della mortalità che prima del peccato non c'era nel primo uomo, affinché la sua fosse una carne simile a quella del peccato, che allora non esisteva. Per offrirci un esempio di come soffrire, Cristo non ha avuto mali personali ma ha portato quelli degli altri. Per noi si è sottoposto al dolore, non alla libidine. 15.56 - L'uomo non è costretto al peccato Per questo è necessario che i figli di Adamo siano portati rinati a Cristo, affinché le immagini di Dio non abbiano a perdere il suo regno, cosa che chi dichiara non essere male, non ha né amore né timore di Dio. Con questo male, però, è necessario che sia generato l'uomo da un'origine condannata. Ben lontano, però, il pensare, come tu ci calunni, "che i rigenerati si trovano nella necessità di peccare, mentre Dio elargisce doni di virtù". Quantunque nelle nostre membra vediamo una legge in contrasto con la legge della mente, non solo non ci troviamo nella necessità di peccare, ma possediamo piuttosto l'onore della lode, se il nostro spirito, con l'aiuto del dono spirituale ha desideri contro la concupiscenza della carne. In qualunque direzione ti rivolga, contro qualunque cosa ti scagli, qualunque cosa o da qualunque parte raccolga, gonfi, ventili, o sparga, è certo che quello contro cui ha desideri lo spirito buono, non può essere buono. 15.57 - La natura di Cristo è simile alla nostra, ma è dissimile per il vizio "Una natura diversa, tu dici, non può averci dato l'esempio". Lo ha potuto senz'altro. Cosa significa, infatti, l'esortazione che ci viene fatta di imitare il Padre, che fa sorgere il sole sui buoni e sui cattivi, ( Mt 5,45 ) affinché, sul suo esempio, amiamo i nostri nemici? Per la verità, la natura di Cristo uomo non è stata diversa dalla nostra, ma fu diversa soltanto dal nostro vizio. A differenza di tutti gli altri uomini infatti, egli è nato senza difetti. Quanto alla vita, poi, nella quale dobbiamo imitare Cristo, conta molto per la distanza il fatto che noi siamo soltanto uomini, mentre egli è pure Dio. Non è possibile, infatti, che uno che è soltanto uomo sia tanto giusto quanto uno che è anche Dio. Citando la testimonianza dell'apostolo Pietro: Il quale non ha commesso peccato ( 1 Pt 2,22 ), hai proposto una grande verità, facendo notare che per l'Apostolo è stato sufficiente dire: Non ha commesso peccato, per indicare che in Cristo non c'era alcun peccato, e per insegnarci, tu concludi, che "chi non li ha fatti, non li ha neppure avuti". È assolutamente vero. Da grande avrebbe certamente commesso peccati, se da piccolo ne avesse avuti. All'infuori di lui non c'è stato nessuno che, nel crescere dell'età, non ha commesso peccato, proprio perché, all'infuori di lui, non c'è nessuno che non ha avuto peccato all'inizio della fanciullezza. 15.58 - In Cristo non ci fu concupiscenza "Sopprimi la causa dell'esempio - tu dici - ed è soppressa anche quella del prezzo, che si è fatto per noi". Non c'è da stupirsi se in Cristo riponi solo l'esempio, dal momento che escludi il presidio della grazia, di cui lui era pieno. "Per la speranza di essere preservati dal male, continui, ricorriamo agli aiuti della fede; ma non siamo privi di quelli innati, perché la stessa virilità rimane dopo il battesimo". Poiché con nome di virilità intendi la concupiscenza della carne, bisogna dire che rimane senz'altro e non lo puoi negare, e contro di essa deve avere desideri lo spirito, affinché l'uomo già rinato non sia irretito e attratto dalla concupiscenza. Questa concupiscenza che contrastando attrae, anche nel caso in cui per la opposizione e la resistenza dello spirito di fatto non attrae, e quindi non concepisce e non partorisce il peccato, non è un bene. ( Gc 1,14-15 ) Di essa l'Apostolo ha detto: So che il bene non dimora in me, vale a dire nella mia carne. ( Rm 7,18 ) Se nella sua natura Cristo avesse avuto la concupiscenza, che non è un bene, non avrebbe potuto sanare la nostra. 16.59 - Una frase di Giuliano che favorisce il manicheismo "L'unione coniugale, fatta con l'intenzione di procreare, di per sé non è peccato, perché la buona volontà dell'anima guida ma non è guidata dal piacere del corpo che ne deriva". A queste parole citate dal mio libro, opponi le tue: "Da una cosa che è libera dal peccato, non nasce il peccato", con la convinzione di poter, in tal modo, distruggere il peccato originale, che, in verità, può essere distrutto solo dal Salvatore che voi negate ai bambini. Egli però lo distrugge liberandoli dal reato, non negandolo. L'unione coniugale, pertanto, fatta con l'intenzione di generare, non è peccato appunto perché fa buon uso della legge del peccato, della concupiscenza cioè insita nelle membra e contrastante la legge della mente. Se questa non mantiene nel reato il genitore, che è stato rigenerato, qual meraviglia se conserva nel reato chi nasce, che da lui è stato generato? Proprio per non restare nel reato anch'egli ha bisogno di essere rigenerato. Se pensassi al beneficio che apportano ai manichei le tue parole: "Da una cosa che è libera dal peccato, non nasce il peccato", voleresti a distruggerle dal tuo libro e dalla mente di tutti quelli che l'hanno letto. Se il peccato non deriva da una cosa che ne è libera, infatti, deve avere un'altra natura da cui derivare, come insegnano i manichei. Quanto li hai aiutati con altre affermazioni simili, te l'ho già dimostrato nel primo volume di quest'opera. La parola di adesso e quelle di allora dicono la stessa cosa. Vuoi capire che, se vogliamo vincere i manichei, oltre che i vostri errori specificamente pelagiani, dobbiamo distruggere anche alcune tue affermazioni, come quella di cui stiamo trattando: "Da una cosa che è libera dal peccato, non nasce il peccato"? La verità smentisce te ed i manichei a cui hai unito la tua voce in questa occasione. L'angelo che Dio ha creato, era una cosa libera dal peccato; e l'uomo che Dio ha creato all'inizio, era una cosa libera dal peccato. Chi nega, dunque, che da cose libere dal peccato, sia derivato il peccato, o è apertamente manicheo o incautamente favorisce i manichei. 16.60 - Usare la concupiscenza non è sempre peccato Dopo aver citato altre mie parole, proponi alcune argomentazioni, partendo dal presupposto che io abbia detto: "Quando serve ai coniugati per generare la prole, la libidine deve essere onorata". Tu dici quello che vuoi: questo non l'ho mai detto né pensato. Come può essere onorata, quando serve, se, per evitare che possa portare a sfrenati eccessi, dev'essere repressa dal dominio dello spirito? Non ho mai detto che "è sempre un reato servirsi della libidine". Come se l'avessi detto, però, tu concludi che "gli adulteri peccano meno dei maritati perché ai mariti la libidine serve per peccare, agli adulteri invece essa comanda". Non avendolo però mai detto, le conseguenze che ne hai tratte non mi riguardano affatto. Al contrario, sono convinto che non sempre è peccato fare uso della libidine, perché far buon uso di un male non è peccato. Allo stesso modo una cosa non è buona per il solo fatto che il buono ne fa buon uso. Di due uomini infatti sta scritto: Il figlio erudito sarà sapiente, ma si servirà di un ministro imprudente. ( Pr 10,4 sec. LXX ) Che forse l'imprudente può essere ritenuto buono perché il sapiente ne fa buon uso? L'apostolo Giovanni non ha detto: Non servitevi del mondo, ma: Non amate il mondo, in cui includeva anche la concupiscenza della carne. ( 1 Gv 2,15-16 ) Chi fa uso di una cosa senza amarla, infatti, è come se non l'usasse, perché non ne fa uso per se stessa, ma per un'altra che ha davanti agli occhi, amandola al punto da servirsi di una cosa che non ama. Per questo l'apostolo Paolo ha detto: E quelli che si giovano del mondo, come se non ne usassero. ( 1 Cor 7,31 ) Che significa come se non ne usassero se non che non amino quello di cui si servono, perché esso è tale che non se ne possa far buon uso diversamente? Lo stesso si deve dire di tutte le altre cose di questo mondo che sono buone, ma tali tuttavia da non dover essere amate. Onestamente, chi può affermare che il denaro è cattivo? Eppure non ne fa buon uso colui che ci si affeziona. Quanto a maggior ragione della libidine? Uno spirito cattivo, infatti, brama il denaro, ma questo non ha voglie avverse allo spirito come invece le ha la libidine. Per questo motivo chi sostiene che essa non è un male fa peccato, mentre non fa peccato chi ne fa buon uso. "Se la libidine è cattiva, commettono un reato maggiore i maritati dei quali essa è al servizio, anziché gli adulteri ai quali essa comanda". Se ti fossi espresso così, questo sarebbe stato un buon argomento per te qualora avessimo detto che quei coniugi, che si servono del male della concupiscenza per il solo scopo di generare, si servono di essa per un fine cattivo, come ad esempio un omicida si serve di un servitore per commettere un delitto. Noi però diciamo che nei coniugi il compito della procreazione è un bene, anche se il nascituro contrae dal contagio del primo peccato una ferita che può essere sanata con la rinascita spirituale. Di conseguenza, i buoni coniugi si servono del male della concupiscenza come il sapiente che, per compiere opere buone, si serve anche di un ministro imprudente. 16.61 - Il male della concupiscenza dev'essere vinto Da uomini intelligentissimi voi rimproverate e ritenete degno di biasimo non il modo e il genere, ma l'eccesso della libidine perché, a vostro dire, "esso può essere mantenuto entro i giusti limiti dal sovrano potere dell'anima". Compito dell'anima quindi, se le è possibile, è far sì che la libidine non si ecciti per andare oltre i limiti, dentro i quali essa la richiama. Se questo non le è possibile, senza dubbio perché non oltrepassi i limiti, le oppone resistenza, come ad un improbo nemico che in tutti i modi si sforza di trasgredirli. "Ma noi attestiamo, tu dici, che solo nelle vergini e nei continenti c'è un totale disprezzo per essa". Che forse per questo le vergini ed i continenti non combattono contro la concupiscenza della carne? Ma allora contro che cosa esercitano le loro gloriose lotte, esaltate anche da te, per salvaguardare la loro verginità e la loro continenza? Se combattono, è un male quello che sconfiggono. E dove si trova questo male se non in loro stessi? Anch'essi dunque possono giustamente affermare: Il bene non dimora in me, vale a dire, nella mia carne. ( Rm 7,18 ) 16.62 - Definizione del matrimonio Tu dici: "Il matrimonio altro non è che l'unione dei corpi", ed aggiungi una constatazione veritiera: "Non ci può essere propagazione senza reciproco desiderio e senza l'atto naturale". Puoi negare forse che gli adulteri si uniscono con mutuo desiderio, con l'atto naturale e con l'unione dei corpi? Non è questa, dunque, la definizione di matrimonio. Una cosa è il matrimonio ed una cosa è ciò di cui neppure il matrimonio può fare a meno per avere figli. Gli uomini infatti possono nascere senza il matrimonio e vi possono essere coniugi che non uniscono i loro corpi. Altrimenti, per non dire altro, non ci sarebbero più coniugi certamente quando invecchiano e non possono più unirsi, o quando, non avendo più speranza di prole, si vergognano di unirsi o non lo vogliono. Ti rendi conto di quanto sei stato sconsiderato affermando che il matrimonio altro non è se non l'unione dei corpi? Sarebbe stato forse più accettabile se avessi detto che non può iniziare se non con l'unione dei corpi. Si prende moglie infatti per la procreazione dei figli, e questi non possono essere generati altrimenti. Se nessuno avesse peccato, però, l'unione dei corpi per la procreazione sarebbe stata diversa da quella che essa è adesso. Ben lontano da noi il pensare che l'onestissima felicità nel paradiso ubbidisse sempre alla commozione della libidine; ben lontano il pensare che l'equilibrio tra anima e corpo sia stato turbato da qualcosa per cui la prima natura dell'uomo abbia dovuto combattere contro se stessa. Nel paradiso dunque, se non si doveva servire la libidine né si doveva combatterla, o non c'era la libidine o non era quale essa è adesso. Ora infatti dovrà contrastarla chi non vuole essere suo servitore, o dovrà assoggettarsi al suo servizio chi trascurerà di combatterla. Dei due comportamenti, l'uno, benché lodevole, è molesto; l'altro è turpe e miserevole. In questo mondo uno dei due comportamenti è necessario ai casti; nel paradiso invece entrambi erano sconosciuti ai beati. 16.63 - Buon uso della libidine Ancora una volta mi accusi di contraddizione, citando altre mie parole nelle quali distinguo il compito della procreazione dal desiderio del diletto carnale: "Una cosa è non avere rapporti se non con la volontà di generare, che non comporta colpa alcuna, ed una cosa ricercare il piacere della carne nei rapporti, ma solo col coniuge, che comporta colpa veniale". Queste due affermazioni non hanno nulla di contraddittorio, come possono osservare tutti quelli che insieme a me guardano la verità. Ascolta tuttavia ciò che ripetutamente si è cercato di imprimere con forza nella mente di coloro che cerchi di ingannare. Calunniosamente affermi che noi "offriamo una scusa agli uomini turpi e scandalosi che, dopo aver compiuto azioni nefande o immonde, dicono di aver agito contro volontà e per questo di non aver commesso alcun peccato": quasi che non esortassimo con insistenza a combattere contro la libidine. Se voi dunque, che la ritenete buona, non volete farci credere che la vostra lotta contro di essa si sia raffreddata o quantomeno intiepidita, con quanta maggior vigilanza ed ardore dobbiamo combattere contro di essa noi che la riteniamo cattiva? Noi diciamo che è contro la volontà il fatto che la carne abbia voglie contro lo spirito, e non il fatto che lo spirito abbia desideri contro la carne. ( Gal 5,17 ) Anzi, proprio in virtù di questi buoni desideri avviene che i coniugi fanno uso della libidine solo per la procreazione, facendo in tal modo buon uso di un male. Il fare buon uso di questo male rende l'unione onesta e veramente nuziale; il desiderio invece del piacere e non della prole rende l'unione colpevole, ma solo venialmente nei coniugi. Anche chi nasce da una onesta unione, pertanto, contrae la colpa che sarà sciolta con la rinascita, perché anche nell'unione onesta è insito il male di cui fa buon uso la bontà del matrimonio. Ma non è ostacolo ai rinati ciò che lo era ai nati. È logico, dunque, che chi nasce da essi trovi un ostacolo qualora non rinasca. 16.64 - Argomenti di Giuliano che favoriscono i manichei Con le argomentazioni che inutilmente scagli contro le mie parole, non ti accorgi di aiutare ancora una volta i manichei. Ritieni che chi nasce dall'unione coniugale non contrae il peccato originale, perché, a tuo dire, "da quest'opera che non ha colpa non può derivare una colpa". Perché mai allora dall'opera di Dio che non aveva colpa, è nata la colpa degli angeli e quella degli uomini? Osserva, dunque, l'aiuto arrecato ai manichei, col cui disprezzo cerchi di coprire ciò che pensi contro la fondatissima fede cattolica. Se infatti, secondo la tua definizione, "da un'opera che non ha colpa non può derivare una colpa", e nessuna opera di Dio ha una colpa, donde dunque è nata la colpa? A questo punto, col tuo aiuto i manichei cercano di introdurre un'altra natura cattiva, da cui possa derivare il male, dal momento che, secondo le tue parole, "la colpa non deriva dall'opera di Dio". Possono dunque essere vinti i manichei senza che lo sia anche tu insieme ad essi? Gli angeli e gli uomini sono opera di Dio, liberi da colpa; da essi tuttavia è nata la colpa quando per mezzo del libero arbitrio, che essi avevano ricevuto senza colpa, si sono allontanati da Colui che non ha colpe. Sono diventati cattivi non per l'unione col male, ma per la defezione dal bene. 16.65 - Lodare la continenza senza sminuire il matrimonio Dici che "io ho lodato la continenza dell'era cristiana non per infervorare gli uomini alla verginità, ma per condannare il bene del matrimonio istituito da Dio". E perché non si credesse che tu sia turbato da un malevole sospetto sul mio animo, quasi per mettermi alla prova, mi dici: "Se realmente inviti gli uomini all'impegno della continenza, devi ammettere che la virtù della castità può essere salvata da chi lo vuole, al punto che chiunque lo voglia sia santo nel corpo e nello spirito". Rispondo che lo ammetto, ma non alla vostra maniera. Voi l'attribuite alle sole forze dell'anima, io invece alla volontà aiutata dalla grazia di Dio. Cosa infatti viene represso dal comando dell'anima per non peccare, se non il male con la cui vittoria si pecca? Per non dire, quindi, insieme ai manichei che questo male si è mescolato a noi da un'altra natura, non resta che ammettere nella nostra natura una ferita che dovrà essere sanata, mentre il suo reato lo riteniamo già estinto con la rigenerazione. 16.66 - Il matrimonio non ha nulla di riprovevole Invano hai tentato di catalogare tutte le frodi degli eretici per paragonarmi ad essi, mentre volesse il cielo che tu non ne aumentassi il numero. Affermi che "le parole con cui l'Apostolo indica gli eretici che proibiscono il matrimonio ( 1 Tm 4,3 ) mi toccano da vicino", quasi che io sostenga che, "dopo la venuta di Cristo, il matrimonio è una cosa turpe". Ebbene, ascolta quanto ti diciamo affinché, dopo averlo ascoltato in molti modi e con molta frequenza, non abbia a dissimulare la verità simulando in certo senso la sordità. Non diciamo affatto che il matrimonio è una cosa turpe: al contrario, affermiamo che l'incontinenza, per non cadere in una dannabile sozzura, dev'essere contenuta dall'onestà del matrimonio. La dottrina cristiana non dice quello che dite voi, e cioè, per citare le tue parole, che "l'uomo è capace di controllare i suoi moti istintivi". Non diciamo questo, ma ripetiamo le parole dell'Apostolo su questo argomento: Ciascuno riceve da Dio il suo dono particolare, ( 1 Cor 7,7 ) e quelle del Signore: Senza di me non potete fare nulla ( Gv 15,5 ) e: Non tutti comprendono questa parola, ma soltanto coloro ai quali è dato . ( Mt 19,11 ) Se fosse vero invece quello che dite voi, il Signore avrebbe potuto dire: "Non tutti comprendono questa parola, ma solo quelli che lo vogliono". Domando: quali motivi istintivi l'uomo è capace di controllare, quelli buoni o quelli cattivi? Se i buoni, lo spirito ha dunque desideri contro un bene e, di conseguenza, nell'uomo due beni sono in contrasto tra di loro. Se così fosse, però, lo stesso reciproco contrasto tra due beni non potrebbe essere un bene. Se i cattivi invece, dovrai ammettere che nell'uomo esistono moti cattivi istintivi, contro i quali deve combattere la castità. Per non essere costretto a dire con i manichei che in noi c'è una mescolanza col male di un'altra natura, confessa piuttosto la nostra malattia originale. Del male di questa malattia fa buon uso la castità coniugale. Contro di esso gli sposati usano il rimedio del matrimonio ed i celibi esercitano gloriose lotte. Credo di potere mantenere più comodamente la mia promessa con cui ho cominciato a rispondere a tutte le tue parole ed a sciogliere i nodi delle questioni che mi hai poste, se non supererò il numero dei tuoi libri. Metto fine pertanto a questo libro per iniziare con un altro a controbattere il tuo ultimo libro. Libro VI 1.1 - La misera condizione dei bambini è la pena del peccato originale Esaurita la risposta al terzo libro, si passi al quarto. Il Signore mi assista affinché sappia mostrarti non soltanto la verità, ma anche la carità. Chi le avrà entrambe non sarà né stolto né detrattore. Di questi due vizi hai chiacchierato molto all'inizio del suddetto libro. L'errore sarà dissipato dalla verità, il livore dalla carità. In questa tua disputa invece, parlando della stoltezza, ti sei servito di un testo della Scrittura dove si legge: Dio non ama se non colui che abita con la sapienza, ( Sap 7,28 ) per affermare che "la stoltezza è la madre di tutti i vizi". Ricerca ora attentamente se con la sapienza può coabitare l'incoscienza infantile, attraverso la quale il fanciullo deve necessariamente passare, seppure ci passa. Pensa al primo frutto che nasce dalla radice che tu lodi ed alla trasformazione ad esso necessaria perché sia amato da Dio, che non ama se non chi abita con la sapienza. Indubbiamente questo accade anche per i bambini predestinati, da cui Dio porta via ciò che odia affinché, liberati dalle vanità, possa amarli mentre abitano con la sapienza. Mi meraviglierei se osassi affermare che, qualora l'ultimo giorno li strappasse dalle mammelle, insieme alla sapienza essi abiteranno fuori del regno di Dio, al quale, secondo il tuo parere, "il bene di una natura inviolata ed innocente" impedisce di accedere, a meno che la grazia del vero Salvatore non li liberi e li redima dalla stoltezza di un adulatore. Per non parlare poi degli stolti per natura che, secondo la Scrittura, sono da piangersi molto più dei morti. ( Sir 22,13 ) La grazia di Dio, in verità, per mezzo del sangue del Mediatore li può liberare anche da un male così grave. Donde però hanno potuto piombare in tanto male se dal giudizio divino non era dovuta pena alcuna alla loro origine viziata? 1.2 - L'origine di tanti mali è l'origine viziata Giustamente hai rimproverato e con severità coloro "che hanno trascurato di conoscere le cose che avrebbero dovuto sapere o non esitano a biasimare quelle ignorate". Puoi forse dirlo di coloro che sono nati dementi? Essendo Dio giusto tuttavia, non potrai darne una spiegazione se i figli non contraggono colpa alcuna dai genitori. "Noi siamo diventati insani, tu dici, invidiandoti in un meriggio di aperta verità, senza ombra di ignoranza". Sicché, tu che non ci invidi, non vedi nei bambini tanti mali così gravi? Dio è buono, Dio è giusto e non esiste affatto una natura esterna del male che secondo i manichei è mescolata alla nostra: donde derivano allora agli uomini tanti mali, non dico nelle abitudini ma nella stessa mente con cui nascono, se l'umana origine è viziata ed il genere umano una massa dannata? Uomo privo di insania e alieno dagli stimoli dell'invidia, perché mai descrivi l'invidia in maniera tale che nella tua descrizione questo vizio appaia ad un tempo peccato e pena del peccato? L'invidia non è forse un peccato diabolico? Non è forse pena del peccato essa che "tormenta immediatamente lo stesso autore da cui nasce"? Queste sono tue parole. Eppure l'inveterata abitudine alla loquacità ti dà l'impressione di aver dimostrato con molto acume che "lo stesso vizio non può essere ad un tempo peccato e pena del peccato". Ma forse, poiché non sei invidioso, hai potuto appena scoprire nell'altro libro l'invidia cui dire queste cose e contraddirti nell'affermare che non hai invidia per me. 2.3 - Il mondo sono gli uomini destinati alla condanna eterna Terminata l'introduzione, nella quale come al solito ti sei affaticato a dimostrare quello che avevo gia detto prima, che cioè "Dio è il Creatore degli uomini", proponi le mie parole dove affermo "che chi nasce dalla concupiscenza della carne, nasce per il mondo e non per Dio; nasce invece per Dio solo quando rinasce dall'acqua e dallo spirito". Raggiri queste mie parole in maniera tale da affermare che da esse si deve intendere che io ho dichiarato appartenere al diavolo tutto quanto appartiene al mondo, perché altrove avevo detto che "quelli che nascono dall'unione dei corpi, appartengono di diritto al diavolo", dicendo nel contempo che "sono sottratti al potere delle tenebre quando rinascono in Cristo". Rispondo alla tua calunnia. Vorresti far credere che ho attribuito il mondo al potere del diavolo, al punto da sostenere che il cielo e la terra e tutto ciò che è in essi, è stato fatto dal diavolo o gli appartiene. Non dico affatto questo, anzi lo detesto, lo respingo e condanno chi lo dice. Ho detto qui "mondo" esattamente come il Signore quando diceva: Ecco viene il principe del mondo. ( Gv 14,30 ) Il Signore non ha inteso affatto dichiarare il diavolo principe del cielo e della terra e di tutto ciò che è stato fatto per opera del Verbo, vale a dire per opera dello stesso Cristo, per cui è stato scritto: E il mondo per mezzo di lui fu fatto, ( Gv 1,10 ) ma intese dare il significato espresso nelle parole: Il mondo giace tutto in potere del maligno, ( 1 Gv 5,19 ) e nelle altre: Poiché tutto ciò che è nel mondo, la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi, il tronfio orgoglio della vita, non è dal Padre, ma è dal mondo. ( 1 Gv 2,16 ) Non si può dire infatti che il cielo e la terra non sono dal Padre per mezzo del Figlio, oppure che gli Angeli, le stelle, gli alberi, gli animali, gli uomini non sono dal Padre per mezzo del Figlio per quanto attiene, naturalmente, alla loro intrinseca sostanza per cui sono uomini. Il diavolo però è il principe di questo mondo; il mondo giace in potere del maligno e così pure tutti gli uomini che sono rei di eterna condanna se non sono liberati, affinché, redenti dal sangue sparso per la redenzione dei peccatori, non appartengano più al principe dei peccatori. A questo mondo, dunque, del quale è principe colui di cui il Vincitore del mondo, ( Gv 16,33 ) ha detto: Ecco viene il principe del mondo e contro di me non può nulla, ( Gv 14,30 ) a questo mondo dunque nasce l'uomo fin quando non rinasce in colui che vince il mondo e nel quale nulla può trovare il principe del mondo. 2.4 - Dal mondo Cristo scelse i suoi discepoli Qual è dunque il mondo del quale il Salvatore e Vincitore del mondo dice: Il mondo non può odiare voi; odia invece me, perché io attesto che le sue opere sono malvagie? ( Gv 7,7 ) Che forse le opere della terra, del mare, del cielo e delle stelle sono cattive? Ma questo mondo sono pure gli uomini. Da questo mondo non è liberato nessuno se non per la grazia di Dio per mezzo di Gesù Cristo Signore nostro, che ha offerto la sua carne per la vita del mondo, cosa che certamente non avrebbe fatto se non avesse trovato il mondo nella morte. Qual è il mondo del quale diceva ai Giudei: Voi siete di questo mondo, io non sono di questo mondo? ( Gv 8,23 ) Qual è il mondo infine dal quale Gesù ha scelto i suoi Apostoli perché non fossero più del mondo, e, non essendo più suoi, il mondo li odiasse? Così infatti parla il Salvatore e la Luce del mondo, così, ripeto, parla: Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri. Se il mondo vi odia, sappiate che ha odiato me prima di voi. Se voi foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo; invece, siccome non siete del mondo ma io vi ho scelti dal mondo, perciò il mondo vi odia. ( Gv 15,17-19 ) Se non avesse aggiunto: Io vi ho scelto dal mondo, si potrebbe pensare che abbia detto: Voi non siete del mondo, come di se stesso aveva detto: Io non sono di questo mondo. Egli infatti non era del mondo e non è stato scelto dal mondo perché non fosse del mondo. Quale cristiano avrebbe potuto dire questo? Il Figlio di Dio non è stato di questo mondo, infatti, neppure in rapporto al fatto che si è degnato di essere uomo. Cosa ne segue se non che in lui non c'è mai stato il peccato a causa del quale ogni uomo dapprima nasce per il mondo e non per Dio, e chi rinasce è scelto dal mondo perché possa rinascere per Dio e non essere più del mondo? Proprio per questo il principe del mondo è cacciato fuori, come Gesù stesso attesta con le parole: È adesso la condanna di questo mondo; adesso il principe di questo mondo sarà cacciato fuori. ( Gv 12,31 ) 2.5 - Tutto il mondo reso reo da Adamo viene riconciliato per mezzo di Cristo A meno che la vostra sfrontatezza non vi spinga ad affermare che i bambini non sono scelti dal mondo quando sono lavati dal battesimo di Colui del quale è stato scritto: Dio era in Cristo quando riconciliava con sé il mondo. Se voi, affermando che i bambini non sono del mondo, negate che essi appartengono a questa riconciliazione, non so proprio con quale faccia viviate nel mondo. Se, al contrario, ammettiamo che essi sono scelti dal mondo quando vengono inseriti nel corpo di Cristo, è necessario che nascano per colui dal quale sono scelti perché rinascano. Nascono infatti per mezzo della concupiscenza della carne e rinascono per mezzo della grazia dello Spirito. Quella è del mondo, questa viene nel mondo affinché siano scelti dal mondo quelli che sono stati predestinati prima dell'inizio del mondo. L'Apostolo, dopo aver detto: Dio era in Cristo quando riconciliava con sé il mondo, ci spiega come faceva, aggiungendo le parole: Non imputando ad essi le loro colpe. ( 2 Cor 5,19 ) Tutto il mondo dunque è reo a causa di Adamo. Dio non nega il potere formativo alla sua opera, avendo egli predisposto i semi, pur viziati dalla caduta paterna, ed il mondo, quando è riconciliato per opera di Cristo, è liberato dal mondo. Liberatore ne è Colui che viene nel mondo non per essere scelto dal mondo, ma per scegliere, con una scelta basata non sui meriti, ma sulla grazia, poiché il resto è stato salvato con una scelta della grazia. ( Rm 11,5 ) 3.6 - La grazia battesimale nel pensiero di Giuliano A questo punto citi le mie parole: "Solo la rigenerazione rimette il reato di questa concupiscenza e, per questo, la generazione lo contrae". Alle quali parole aggiungevo subito dopo: "quello che è stato generato dunque sia rigenerato affinché, non essendo possibile diversamente, allo stesso modo sia rimesso ciò che è stato contratto". Ripetutamente ma inutilmente cerchi di nascondere che ritenete superfluo il battesimo nei bambini asserendo che "la grazia dei misteri di Cristo è ricca di molti doni". Vogliate o no, confessate che i bambini credono in Cristo attraverso il cuore e la bocca delle madri. Anche ad essi dunque debbono essere riferite le parole del Signore: Chi non crederà sarà condannato. ( Mc 16,16 ) Ma per quale motivo o per quale giustizia, se non contraggono alcun peccato originale? Tu dici: "Da questo li riconosce come suoi, perché, prima ancora dell'ossequio della volontà personale, con un aumento di benefici accresce quello che aveva dato ad essi in precedenza". Ma se riconosce costoro come suoi, vuol dire che non riconosce come suoi quelli a cui non fa questo dono. Siccome però essi pure appartengono a lui per la medesima ragione che li ha creati, perché non li riconosce ugualmente come suoi? Da questo punto di vista, voi non negate né il fato né la parzialità. Vogliate quindi insieme a noi confessare la grazia. Che altro possono avere se nulla appartiene ad essi? Nello stesso ed identico stato, l'uno è lasciato per un atto di giustizia, non per il fato; l'altro è preso in virtù della grazia, non per il merito. 3.7 - Essere battezzato nella morte di Cristo significa morire al peccato Assolutamente invano cercate di sostenere che con la rigenerazione i bambini non sono purificati neppure dal peccato originale. Non ha dimostrato questo chi ha detto: Tutti noi che fummo battezzati in Cristo Gesù, fummo battezzati nella sua morte. ( Rm 6,3 ) Dicendo tutti infatti, non ha escluso i bambini. Essere battezzati nella morte di Cristo, che altro può significare se non morire al peccato? Per questo in un altro passo sullo stesso argomento dichiara: Chi è morto, è morto al peccato una volta per sempre, ( Rm 6,10 ) che certamente è stato detto per la somiglianza della carne dominata dal peccato. Per questo c'è anche il grande mistero della sua croce dove: Il nostro vecchio uomo fu crocifisso con lui, affinché fosse distrutto il corpo dominato dal peccato. ( Rm 6,6 ) Se i bambini dunque sono battezzati in Cristo, lo sono nella sua morte e, se sono battezzati nella sua morte, certamente muoiono al peccato perché sono diventati con lui un essere solo nella somiglianza della sua morte. Chi è morto al peccato, è morto una volta per sempre; e chi vive, vive ormai per Iddio. ( Rm 6,10 ) Cos'altro può significare essere diventati un essere solo con lui nella somiglianza della sua morte se non quello che segue: Così voi pure consideratevi morti, sì, al peccato, ma vivi per Dio in Cristo Gesù? ( Rm 6,11 ) Diremo forse che Cristo è morto al peccato che non ha mai avuto? No. Pur tuttavia, chi è morto al peccato, è morto una volta per sempre. La sua morte ha significato il nostro peccato, a causa del quale ci è venuta la morte. Morto alla sua morte, l'uomo è detto morto al peccato affinché non sia più oltre mortale. Quello che Cristo ha significato nella somiglianza della carne di peccato, noi lo operiamo per mezzo della sua grazia nella carne del peccato. E come egli, morendo nella somiglianza della carne del peccato, è dichiarato morto al peccato, così tutti quelli che sono battezzati in lui muoiono nella medesima realtà di cui quella era stata la somiglianza. Come nella sua vera carne c'è stata una vera morte, così nei veri peccati c'è una vera remissione. 4.8 - Esegesi di Rm 5,8-35: Cristo è morto anche per i bambini Devi essere di certo molto testardo se tutto questo brano dell'Apostolo non riesce a correggerti dalla tua perversità. Quantunque tutto quello che ha detto, scrivendo ai Romani per raccomandare la grazia di Dio attraverso Cristo Gesù, abbia un'intima connessione, non ci è possibile citarlo per intero perché sarebbe troppo lungo. Ci limitiamo alla considerazione del passo dove dice: Dio dimostra il suo amore verso di noi per il fatto che Cristo è morto per noi quando eravamo ancora peccatori. ( Rm 5,8-9 ) Vorresti far credere che questo è stato detto facendo eccezione dei bambini. Ma ti domando: Se questi non debbono essere annoverati tra i peccatori, perché mai è morto per loro colui che è morto per i peccatori? Risponderai che, quantunque è morto per i peccatori, non è morto solo per i peccatori. Negli autori divini, però, non leggerai mai che Cristo è morto anche per quelli che non hanno avuto alcun peccato. Presta attenzione alle valide testimonianze che ti incalzano. Tu dici che Cristo è morto "anche" per i peccatori; io sostengo che Cristo è morto "soltanto" per i peccatori, affinché tu sia costretto a rispondere che, se i bambini non sono legati da nessun peccato, Cristo non è morto per essi. Dice infatti ai Corinzi: Siccome uno solo è morto per tutti, tutti di conseguenza sono morti, ed egli è morto per tutti. ( 2 Cor 5,14-15 ) Non ti è permesso assolutamente negare che Gesù è morto solo per quelli che sono morti. Che intendi qui per "morti"? Forse quelli che sono usciti dal corpo? Ma chi è tanto insensato di pensarlo? "Morti", per i quali tutti il solo Cristo è morto, va inteso secondo il senso dell'altro brano: E voi che eravate morti per le vostre colpe e per l'incirconcisione della vostra carne, egli ha fatto rivivere con lui. ( Col 2,13 ) Per questo aveva detto: Siccome uno solo è morto per tutti, tutti di conseguenza sono morti, per dimostrare che era impossibile che morisse se non per i morti. Proprio da questo ha dimostrato che tutti sono morti, perché uno è morto per tutti. Te lo sbatto in faccia, te lo inculco, ti ci riempio, mentre lo rifiuti: accettalo, è salutare per te; non voglio che tu abbia a morire. Uno solo è morto per tutti, e tutti di conseguenza sono morti. Vedi come ha voluto essere logico per far comprendere che tutti erano morti, se è morto per tutti. Siccome non sono morti nel corpo, bisogna dire che sono morti nel peccato tutti quelli per i quali Cristo è morto. Nessuno lo neghi, nessuno lo metta in dubbio a meno che non neghi o dubiti di essere cristiano. Per la qual cosa, se i bambini non contraggono alcun peccato, non sono morti e, se non sono morti, non può essere morto per essi colui che non è morto se non per i morti. Sin dal tuo primo libro, però, hai già gridato contro di noi che "Cristo è morto anche per i bambini". In nessuna maniera, pertanto, ti è permesso di negare che i bambini contraggono il peccato originale. Donde, infatti, è venuta loro la morte se non da esso? o per quale morte dei bambini è morto colui che non è morto se non per i morti? Tu stesso hai dichiarato che è morto anche per i bambini. Torna dunque insieme con me a quello che avevo cominciato a dire sulla lettera ai Romani. 4.9 - Tutti muoiono per Adamo, tutti vivono per Cristo Dio dimostra il suo amore verso di noi, dice, per il fatto che Cristo è morto per noi quando eravamo ancora peccatori. Se Cristo è morto per noi quando eravamo peccatori, cioè quando eravamo morti, a maggior ragione ora che siamo stati riconciliati nel suo sangue, saremo salvi dall'ira divina per suo merito. Se infatti fummo riconciliati con Dio mediante la morte del Figlio suo quando gli eravamo nemici, a più forte ragione ora, riconciliati ormai con lui, saremo salvi nella sua vita. ( Rm 5,8-10 ) È la stessa cosa che altrove suona: Dio era in Cristo quando riconciliava con sé il mondo. ( 2 Cor 5,19 ) E qui continua: Ci gloriamo altresì in Dio per il Signore nostro Gesù Cristo. Non solo quindi siamo salvi, ma ci gloriamo pure e per mezzo di lui ora abbiamo la riconciliazione. ( Rm 5,11 ) Come se si ricercasse la causa per cui avviene questa riconciliazione per mezzo di un solo uomo mediatore, aggiunge: Per opera di un solo uomo il peccato entrò nel mondo e attraverso il peccato la morte; così la morte passò su tutti gli uomini perché tutti in lui peccarono. ( Rm 5,12 ) Cosa ha fatto dunque la legge? È stata forse capace di riportare la riconciliazione? No, perché fino alla Legge vi era nel mondo il peccato, il che significa che neppure la legge ha potuto portare via il peccato. Il peccato però non veniva imputato quando non c'era la Legge. ( Rm 5,13 ) Il peccato c'era, ma non veniva imputato perché non era conosciuto. Attraverso la Legge infatti, come dice in un altro passo, si conosce il peccato. ( Rm 3,20 ) Eppure la morte ha dominato da Adamo fino a Mosè perché neppure per mezzo di Mosè, cioè neppure per mezzo della sua legge è stato sottratto il regno della morte. Essa regnò anche su quelli che non peccarono. Per qual motivo dunque, se non avevano peccato? Eccolo: A somiglianza del peccato di Adamo, figura di colui che doveva venire. ( Rm 5,14 ) Da se stesso egli ha offerto ai posteri, sebbene questi non avessero peccati personali, una figura: sarebbero morti, a causa del contagio del progenitore, tutti coloro che sarebbero nati per mezzo della sua concupiscenza carnale. Ma il fallo non è pari al dono, aggiunge. Se infatti per il fallo di uno solo gli altri morirono, con quanta più abbondanza si riversò su tutti gli altri la grazia di Dio ed il dono conferito per merito di un solo uomo, Gesù Cristo. ( Rm 5,14-15 ) Sì, con molta più abbondanza, poiché quelli nei quali abbonda, muoiono nel tempo, ma sono destinati a vivere nell'eternità. Il dono infatti non è pareggiato a quell'uno che ha peccato: poiché il giudizio che tenne dietro a quel solo peccato si conchiuse con una condanna; ma l'opera di grazia che venne dopo le tante colpe si conchiuse con la giustificazione. ( Rm 5,16 ) Un solo peccato ha potuto trarlo alla condanna, ma la grazia non ha distrutto solo quel peccato, ma molti altri che vi si erano aggiunti. Se infatti per il fallo di uno solo, la morte regnò per opera di quel solo, molto più a ragione regneranno nella vita per opera del solo Gesù Cristo quelli che ricevono l'abbondanza della grazia ed il dono della giustizia. ( Rm 5,17 ) È stato posto in evidenza il valore superiore: coloro che regneranno senza fine, regneranno nella vita molto di più di quanto ha potuto regnare su di essi la morte, che aveva regnato per un tempo finito. E così, come per colpa di uno solo ricadde su tutti gli uomini una condanna, pure per l'opera di giustizia di uno solo perviene a tutti gli uomini la giustificazione che dà la vita. ( Rm 5,18 ) Tutti nel primo caso e tutti nel secondo: nessuno è giunto alla morte se non per colpa di quello e nessuno è giunto alla vita se non per opera di questo. Difatti, come per la disobbedienza di un solo uomo gli altri furono costituiti peccatori, per l'obbedienza di uno solo gli altri sono costituiti giusti. La Legge, è vero, sopravvenne perché la colpa si manifestasse; ma dove abbondò il peccato sovrabbondò a sua volta la grazia, perché come il peccato regnò per mezzo della morte, così regni anche la grazia mediante la giustizia per la vita eterna, per opera di Gesù Cristo nostro Signore. ( Rm 5,19-21 ) 4.10 - Se i bambini non muoiono al peccato, non sono battezzati in Cristo Concluderemo dunque, egli scrive, che dobbiamo restare nel peccato perché abbondi la grazia? È assurdo. ( Rm 6,1-2 ) Cosa ha portato la grazia se dobbiamo restare in peccato? Continua, per tanto, e dice: Noi, morti ormai al peccato, come potremo ancora vivere in esso? ( Rm 6,2 ) Fa' bene attenzione ora e, per comprenderlo, ascolta diligentemente quello che segue. Dopo aver detto: Noi, morti ormai nel peccato, come potremo ancora vivere in esso? aggiunge: Non sapete forse che tutti noi che fummo battezzati in Cristo Gesù, fummo battezzati nella sua morte? ( Rm 6,3 ) Vi sono compresi i bambini battezzati, oppure no? Se non ci sono, è falso dunque ciò che aveva detto: Tutti noi che fummo battezzati in Cristo Gesù, fummo battezzati nella sua morte, dal momento che i bambini non sono battezzati nella sua morte. Siccome però l'Apostolo dice la verità, nessuno dev'essere ritenuto escluso. Se l'espressione tutti noi si dovesse riferire ai soli adulti, che hanno già l'uso del libero arbitrio, invano vi spaventa la massima del Signore: Se non chi rinasce da acqua e spirito. ( Gv 3,5 ) Ecco una buona via d'uscita per voi: dite che anche questo è stato detto solo degli adulti e che in nessun modo i bambini sono inclusi in questa generalità. Perché quindi affaticarvi tanto sulla questione del battesimo, se cioè tante immagini di Dio innocenti abbiano la vita eterna oltre al regno di Dio oppure siano private della vita eterna e, di conseguenza, castigate con la morte eterna? Se poi non osate dire questo perché universalmente è stata proferita la massima: Nessuno, se non rinasce da acqua e Spirito, può entrare nel regno di Dio, ( Gv 3,5 ) vi schiaccerà la stessa universalità, avendo l'Apostolo affermato: Tutti noi che fummo battezzati in Cristo Gesù, fummo battezzati nella sua morte. Anche i bambini che sono battezzati in Cristo, quindi, muoiono al peccato perché sono battezzati nella sua morte. Trovano qui infatti una connessione queste cose che seguono, essendo stato detto prima: Noi, morti ormai al peccato, come potremo ancora vivere in esso? Come se gli fosse stato chiesto cosa significasse morire al peccato, l'Apostolo risponde: Non sapete forse che tutti noi che fummo battezzati in Cristo Gesù, fummo battezzati nella sua morte? dimostrando in tal modo il precedente interrogativo: Se siamo morti al peccato, come potremo ancora vivere in esso? Affinché quelli che non ignoravano di essere stati battezzati nella morte di Cristo, quando sono stati battezzati in Cristo, si ricordassero di essere morti al peccato, poiché essere battezzati nella morte di Cristo null'altro significa che morire al peccato. Per esporre con maggior chiarezza questo concetto, egli aggiunge: Fummo, col battesimo, sepolti con lui nella morte, affinché come Cristo fu risuscitato da morte dalla potenza gloriosa del Padre, così noi pure vivessimo di una vita nuova. Se infatti siamo diventati un essere solo con lui nella somiglianza della morte, lo diventeremo altresì nella somiglianza della sua risurrezione; poiché, sappiamo bene, il nostro vecchio uomo fu crocifisso con lui, affinché fosse distrutto il corpo dominato dal peccato e noi non fossimo più schiavi del peccato. Ora chi è morto è affrancato dal peccato. E se con Cristo siamo morti, crediamo che con lui parimenti vivremo, ben consci però che Cristo, una volta risuscitato dai morti, più non morrà, non avendo la morte più alcun dominio su di lui. Chi è morto, è morto al peccato una volta per sempre; e chi vive, vive ormai per Dio. Così voi pure consideratevi sì morti al peccato, ma vivi per Dio in Cristo Gesù. ( Rm 6,4-11 ) Se i bambini dunque non muoiono al peccato, senza dubbio non sono battezzati nella morte di Cristo, e se non sono battezzati nella sua morte, non sono battezzati neppure in Cristo. Tutti noi infatti, che fummo battezzati in Cristo Gesù, fummo battezzati nella sua morte. Essi però sono battezzati in Cristo e, di conseguenza, muoiono al peccato. A quale peccato, di grazia, se non a quello contratto nell'origine? Tacciamo le argomentazioni degli uomini perché: Il Signore conosce i disegni degli uomini, che essi sono fiato ( Sal 93,11 ) e: Ha nascosto queste cose ai sapienti ed agli scaltri e le ha rivelate ai semplici. ( Mt 11,25 ) Se la fede cristiana non ti è gradita, confessalo apertamente: non potrai infatti trovarne un'altra. Un uomo solo è per la morte ed uno solo è per la vita. Quello è uomo soltanto, questo è Dio e uomo. Per mezzo di quello il mondo è diventato nemico di Dio; per mezzo di questo, scelto dal mondo, il mondo è stato riconciliato con Dio. Come infatti tutti muoiono in Adamo, così pure tutti in Cristo saranno richiamati in vita. E a quel modo che portammo l'immagine dell'uomo terrestre, così porteremo l'immagine dell'uomo celeste. ( 1 Cor 15,22.49 ) Chi tenterà di abbattere queste fondamenta della fede cristiana, sarà abbattuto lui, ma queste resteranno in piedi. 5.11 - Non è facile spiegare il modo della trasmissione del peccato È certamente vero quello che affermo nel mio libro, al quale tu ti opponi: "La colpa perdonata ai genitori si trasmette ai figli in una maniera straordinaria, ma si trasmette; e siccome la maniera non può essere facilmente compresa con la ragione, né può essere facilmente spiegata con le parole, gli infedeli non ci credono". Con la menzogna fraintendi queste mie parole, come se avessi detto che non può essere compresa "con la ragione" né spiegata "con le parole", sottraendo il "facilmente" sia in rapporto a ragione che a parole. Ben diverso è dire: "non può essere", come dici tu e: "non può essere facilmente", come ho detto io. Che altro dimostri di essere qui se non un calunniatore? Pur tuttavia, anche se non fosse possibile alcuna comprensione razionale o alcuna spiegazione con le parole, rimane sempre vero quello che si crede e si predica con sincera fede cattolica in tutta la Chiesa, la quale non esorcizzerebbe né soffierebbe sui figli dei fedeli se non li sottraesse al potere delle tenebre ed al principe della morte. Tutto questo l'ho posto nel mio libro al quale vuoi dare l'impressione di rispondere. Hai avuto paura di menzionarlo, quasi temendo di dover essere scacciato da tutto il mondo qualora avessi voluto opporti a questo esorcismo con cui viene allontanato dai bambini il principe del mondo. Inutilmente quindi ti dibatti in vuote argomentazioni, non contro di me, ma contro la nostra comune madre spirituale, che non diversamente ti ha partorito da come non vuoi che più oltre partorisca. Raccogliendo argomentazioni dalla giustizia di Dio contro la giustizia di Dio e dalla grazia di Dio contro la grazia di Dio, credi d'essere sufficientemente armato di acuti strali contro di essa. Allora soltanto però c'è vera giustizia da parte di Dio se il giogo pesante sui figli dell'uomo, dal giorno nel quale sono usciti dal seno della madre, ( Sir 40,1 ) non è ingiusto. Ma come può il grave giogo non essere ingiusto, se nei bambini non è presente alcun male che possa giustificare il grave giogo dal quale sono oppressi? Allora soltanto c'è vera grazia, se si dimostra con i fatti quello che si dice con le parole. Ma come può avvenire questo se la Chiesa esorcizza uno da cui non c'è nulla da scacciare, oppure lava uno in cui non c'è nulla da lavare? 5.12 - La remissione della colpa della concupiscenza è oggetto di fede Che forse tu o qualcuno dei tuoi seguaci non vi accorgereste di far discorsi vuoti se, con sana coscienza, riusciste a rendervi conto di quanto sia grande il male della concupiscenza ( deve necessariamente rinascere chi nasce da essa, o deve necessariamente essere condannato chi non rinasce ), oppure se riusciste a capire che cosa conferisca la grazia quando toglie il reato, che rendeva l'uomo originariamente reo, e gli restituisce la piena remissione dei peccati, benché rimanga la concupiscenza contro cui deve avere desideri lo spirito di chi è rinato, facendone buon uso in una battaglia minore o non facendone affatto uso in una battaglia maggiore? La consapevolezza di questo male la si ha quando viene combattuto o respinto. Il reato invece, che è perdonato solo con la rigenerazione, come non era avvertito quando era presente, così la sua assenza non è avvertita nella carne o nella mente, ma è soltanto creduta con la fede. In tal modo ti abbandoni all'oscurità di questo argomento e, quanto più aspramente, tanto più infedelmente combatti contro una verità che non può essere dimostrata dai sensi di uomini estremamente carnali. 5.13 - Adulti e bambini muoiono al peccato nella morte di Cristo Ma: Mutati in quanti aspetti vuoi, e riunisci tutto ciò di cui sei capace coll'ingegnosità e con l'astuzia. Tutti noi che siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte. ( Rm 6,3 ) È vero dunque che noi siamo morti al peccato nella morte di Cristo, che fu senza peccato. Proprio per questo siamo morti tutti, grandi e piccini. Non quelli sì e questi no o questi sì e quelli no, ma tutti noi che siamo stati battezzati in Cristo Gesù, lo siamo stati nella sua morte. Fummo, col battesimo, sepolti con lui nella morte, non esclusi i bambini, però, poiché: Tutti noi che siamo stati battezzati, siamo stati battezzati nella sua morte. Affinché, come Cristo fu risuscitato da morte dalla potenza gloriosa del Padre, così noi pure vivessimo di una vita nuova. Se infatti siamo diventati un essere solo con lui nella somiglianza della sua morte, lo diventeremo altresì nella somiglianza della sua risurrezione. ( Rm 6,3-5 ) Anche i bambini sono diventati un essere solo con lui nella somiglianza della sua morte. Questo infatti tocca a tutti noi che siamo stati battezzati in Cristo Gesù, sapendo bene che il nostro uomo vecchio fu crocifisso con lui. Il vecchio uomo di chi, se non di tutti noi che fummo battezzati in Cristo? Includiamo anche i bambini, dunque, dal momento che non neghiamo che anch'essi sono stati battezzati in Cristo. Per qual motivo insieme con lui è stato crocifisso il nostro vecchio uomo? Paolo risponde: Affinché fosse distrutto il corpo dominato dal peccato e non fossimo più schiavi del peccato. ( Rm 6,6 ) A causa di questo corpo dominato dal peccato, Dio mandò il proprio Figlio in una carne simile a quella del peccato. ( Rm 8,3 ) Con quale impudenza, dunque, neghiamo che anche i bambini hanno un corpo dominato dal peccato, dal momento che le parole: Tutti noi che siamo stati battezzati in Cristo debbono essere riferite a tutti? Ora chi è morto, è affrancato dal peccato. E se con Cristo siamo morti, crediamo che con lui parimenti vivremo, ben consci però che Cristo, una volta risuscitato dai morti, più non morrà, non avendo la morte più alcun dominio su di lui. Chi è morto, è morto al peccato una volta per sempre; e chi vive, vive ormai per Dio. Così voi pure consideratevi morti sì al peccato, ma vivi per Dio in Cristo Gesù. ( Rm 6,7-11 ) A chi dice questo? Sei sveglio e stai attento? Certamente a tutti quelli a cui diceva: Se siamo morti in Cristo. E chi sono questi se non quelli ai quali aveva detto: Il nostro vecchio uomo fu crocifisso con lui, affinché fosse distrutto il corpo dominato dal peccato? oppure quelli ai quali aveva detto: Siamo diventati un essere solo con lui nella somiglianza della morte? oppure quelli ai quali aveva detto: Fummo sepolti, col battesimo, con lui nella morte? Per capire meglio a chi e di chi è stato detto questo, leggi le parole precedenti e troverai la risposta: Non sapete forse che tutti noi che fummo battezzati in Cristo Gesù, fummo battezzati nella sua morte? Cosa ha voluto dimostrare con questo? Leggi ancora un po' più sopra e vedrai: Noi, morti ormai al peccato, come potremo ancora vivere in esso? O ammettete, quindi, che nel battesimo i bambini sono morti al peccato e confessate che anch'essi avevano il peccato originale a cui morire, oppure dite apertamente che essi non sono stati battezzati nella morte di Cristo quando sono stati battezzati in Cristo, e rimproverate altresì l'Apostolo che dice: Tutti noi che fummo battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte. ( Rm 6,3 ) 5.14 - Se Cristo è morto per tutti, anche i bambini sono morti Non abbandono queste armi celesti che sconfiggono Celestio, ad esse affido la mia fede ed il mio parlare. Le vostre argomentazioni sono umane; le mie sono fortificazioni divine. Gli errori chi li comprende? ( Sal 19,13 ) Per questo forse non sono più errori? Così pure chi può comprendere come il peccato originale, pur rimesso nei genitori rigenerati, si trasmette tuttavia ai figli e rimane in essi se non sono rigenerati? Ma per questo forse non è peccato? Se uno è morto per tutti vuol dire che tutti sono morti. ( 2 Cor 5,14 ) Con quale animo, con quale bocca, con quale faccia negate che i bambini sono morti, e non negate che Cristo è morto per essi? Se Cristo non è morto per essi, perché sono battezzati? Tutti noi, infatti, che siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte. ( Rm 6,3 ) Se Colui che è morto per tutti, è morto anche per essi, vuol dire che anch'essi sono morti insieme con tutti. E siccome sono morti nel peccato, quando rinascono da Dio muoiono anch'essi al peccato, affinché vivano per Dio. Se poi non riescono a spiegare come un vivo possa generare un morto - i genitori morti al peccato, ma viventi per Dio, generano i figli morti nel peccato, fino a che essi stessi muoiano al peccato con la rigenerazione, onde vivere per Dio - è forse falso perché non può essere spiegato a parole o lo può essere con molta difficoltà? Tu nega, se hai coraggio, che è nato morto colui per il quale non neghi che Cristo è morto. Uno solo infatti morì per tutti, tutti conseguentemente morirono. Sono parole apostoliche, sono nostre armi a cui tuttavia, se non vuoi opporti, comprendi che devi crederci senza esitazione anche se non comprendi. L'uomo che è morto secondo lo spirito infatti e genera secondo la carne, possiede entrambi i semi, quello immortale per il quale gode di essere vivo e quello mortale per il quale genera il figlio morto. Per farlo tornare in vita non sarebbe stata assolutamente necessaria la morte di Cristo, se non fosse nato morto. Uno solo morì per tutti, tutti conseguentemente morirono. Non lo svegliate certo da questa morte, se gridate che non sono morti. Al contrario impedite che vivano, quando con macchinazione di empi argomenti, contrastate nei genitori la fede, per la quale soltanto possono tornare a vivere. 6.15 - L'esempio dell'olivo e dell'oleastro Veniamo ora alla tua lunga e laboriosa disquisizione con cui hai cercato di respingere l'esempio dell'ulivo il cui seme degenera in oleastro, che ho creduto di addurre in grazia di una certa qual similitudine per meglio comprendere un argomento molto difficile. Sei partito dall'affermazione che "a nulla valgono gli esempi per quelle cose che non possono essere difese di per se stesse". Perché allora l'Apostolo, dopo aver posto la questione del come risorgono i morti e con quale corpo ritornino, ha cominciato a dimostrare con un esempio una cosa sconosciuta e mai sperimentata, aggiungendo: Insensato! Quello che tu semini, non riprende vita se prima non muore? ( 1 Cor 15,36 ) Anche il mio esempio non è del tutto inadatto alla questione di cui stiamo trattando. Il frumento infatti è separato dalla paglia così come l'uomo è separato dal peccato, eppure da esso torna a nascere altro frumento insieme con la paglia. 6.16 - Può diventare naturale nel figlio ciò che era accidentale nel padre? Cosa hai voluto dire a proposito del "coccodrillo che, a dire di Albino, è il solo tra gli animali a muovere le mandibole superiori", e a proposito del "fuoco che è morte per tutti, mentre è divertimento per la salamandra"? Questi esempi non tornano piuttosto a vostro svantaggio, dal momento che da essi appare come talora è possibile quello che in linea generale sembrava impossibile? Voi affermate infatti che in linea generale i genitori non possono trasmettere ai figli ciò che essi stessi non hanno. Ebbene, se si scoprisse che è possibile, sareste sconfessati, così come, quando si scopre il coccodrillo, è sconfessato senza ombra di dubbio chi riteneva che gli animali potessero muovere solo la mandibola inferiore, e così come, quando si dimostra ciò che si dice della salamandra, è sconfessato chi riteneva impossibile per gli animali vivere nel fuoco. Quando pertanto definisci che "le cose naturali non possono essere cambiate da un accidente", la tua definizione sarà completamente svuotata qualora si scoprisse qualcuno che, dopo essersi procurato un difetto da una caduta, generasse un figlio con lo stesso difetto, cosicché quello che nel padre era un semplice accidente, diventa naturale nel figlio. Così pure quando definisci che "i genitori non possono trasmettere ai figli ciò che essi non hanno", non sarà ugualmente distrutta questa tua definizione qualora ti fossero mostrati uomini nati con tutte le membra sanissime da genitori che avevano perduto alcune membra? Ebbene, noi abbiamo sentito dai nostri padri, che a loro volta asserivano di averlo conosciuto e visto, di un tale Fundanio, retore di Cartagine che, dopo essere diventato monocolo in un incidente, ha procreato un figlio monocolo. Con questo esempio è distrutta la tua tesi secondo la quale "le cose naturali non possono essere cambiate da un accidente". Quello che nel padre era accidente, è diventato naturale nel figlio. L'altra vostra tesi, secondo la quale "i genitori non possono trasmettere ai figli ciò che essi non hanno", viene distrutta dall'esempio dell'altro figlio di Fundanio, che, come avviene il più delle volte, è nato con due occhi da un monocolo. Abbiamo inoltre l'esempio di innumerevoli altri che nascono con tutti e due gli occhi da genitori ciechi. Trasmettendo ai figli ciò che non hanno, essi dimostrano che voi piuttosto siete più simili a loro che i loro figli, perché siete tanto ciechi nelle vostre definizioni. 7.17 - Utilità del mistero che circonda le opere di Dio Tra le tante chiacchiere che non riguardano la questione, hai detto una cosa pertinente che vorrebbe essere un'ammonizione per me, e cioè che "la bramosia del sapere suole apprezzare di meno ciò che si comprende e che proprio per questo Dio ha disposto che sulla terra fossero generate molte cose distinte da innumerevoli proprietà". Questo, in verità, è il vantaggio delle occulte opere di Dio perché non siano svilite le cose evidenti e non cessino di essere meravigliose quelle comprese. Proprio per questo la Scrittura afferma: come non sai in qual modo lo spirito entra nelle ossa in seno all'incinta, così ignori in che modo agisca Dio che fa tutto. ( Qo 11,5 ) Molto giustamente pertanto hai detto che le opere di Dio sono incomprensibili a motivo della bramosia del sapere, che suole apprezzare di meno le cose che può comprendere. Perché allora vuoi distruggere con l'umano pensiero quello che dell'agire divino riesci a capire con maggiore difficoltà? Io non ho detto, come calunniosamente affermi: "Non può essere assolutamente capita dalla ragione", ma "non può essere facilmente capita". Cosa hai dunque da ridire se Dio, contro l'umana bramosia del sapere, per cui, come tu stesso ci ammonisci, si sviliscono le cose comprese, ha voluto nascondere anche questo al pari di tante altre cose sicché l'umano raziocinio non possa né indagare né comprendere? Per questo forse credete di dovervi armare contro la Chiesa vostra madre, con le vostre meschine argomentazioni, come con pugnaletti parricidi, onde ricercare la forza occulta di quel mistero, per cui ella concepisce i figli destinati alla purificazione, quantunque nati da genitori già purificati, come per ricercare le ossa in seno all'incinta, non per toccarle ma per dilaniarle? Se non volessi evitare di stancare il lettore con l'eccessiva lungaggine del discorso, ti schiaccerei con l'esempio di mille specie di cose, la cui incomprensibile ragion d'essere si trascina contro le abituali vie della natura come attraverso oscuri deserti. Ti potrei mostrare la degenerazione dei semi, non verso un genere del tutto diverso - l'oleastro non è così diverso dall'ulivo quanto la vite -, bensì di una certa per così dire diversità simile, come per esempio la vite selvatica è dissimile dalla vite, ma tuttavia nasce dal suo seme. Perché non dovremmo credere che il Creatore ha voluto così, perché credessimo che anche il seme dell'uomo possa contrarre dai genitori un difetto, che in essi non era presente, e perché anche i battezzati ricorressero con i propri figli alla sua grazia in virtù della quale gli uomini sono sottratti al potere delle tenebre, così come anche il tuo santo padre è corso insieme con te, ignorando quanto saresti diventato ad essa ingrato? 7.18 - Il sacramento della circoncisione, figura del battesimo Da profondo scrutatore della natura, ne scopri i limiti e ne stabilisci le leggi dicendo: "Non può accadere che attraverso la natura si possa dimostrare che i genitori trasmettano una cosa di cui essi sono ritenuti privi. Se lo trasmettono vuol dire che non l'hanno perduto". Queste sono definizioni pelagiane che avresti già dovuto respingere dopo aver letto il nostro opuscolo a Marcellino, di religiosa memoria, come tu stesso ci ricordi. Pelagio per primo infatti ha detto che i genitori fedeli "non hanno potuto trasmettere ai posteri quello che essi non avevano". L'estrema falsità di quest'affermazione è posta in risalto da evidentissimi esempi, dei quali alcuni li ho ricordati sopra ed un altro sto per addurlo adesso. Che cosa conserva del prepuzio il circonciso? E da lui non nasce forse una creatura con il prepuzio? Non si trasmette forse nel suo seme ciò che nell'uomo non c'era più? Non c'è altro motivo per cui Dio ha comandato agli antichi Padri di far circoncidere i bambini entro l'ottavo giorno, se non quello di significare la rigenerazione che avviene in Cristo, che dopo il settimo giorno, dopo il sabato, cioè, giorno in cui è rimasto nel sepolcro consegnato per i nostri peccati, il giorno seguente, vale a dire l'ottavo giorno della settimana è risuscitato per la nostra giustificazione. ( Rm 4,25 ) Quale pur mediocre conoscitore della Sacra Scrittura ignora che il mistero della circoncisione è stato istituito quale figura del battesimo, avendo l'Apostolo chiaramente detto: È il Capo di ogni principato e di ogni potestà. In lui pure siete stati circoncisi d'una circoncisione non fatta per mano d'uomo, con lo spogliamento del corpo carnale: la circoncisione di Cristo. Sepolti con lui nel battesimo, in lui pure siete risorti per la fede nella forza di Dio, che ha risuscitato lui di tra i morti. E voi che eravate morti per le vostre colpe e per la incirconcisione della vostra carne, egli ha fatto rivivere con lui, dopo averci perdonate tutte le colpe. ( Col 2,10-13 ) La circoncisione fatta a mano d'uomo ed ordinata ad Abramo è stata istituita prima come figura della circoncisione non fatta da mano d'uomo che ora avviene in Cristo. 7.19 - Il bambino non ha colpe personali, ma solo quella originale Non si può dire, infatti, che il prepuzio è una parte del corpo, mentre quanto si contrae con l'origine è un vizio e che, dopo che quello è stato tagliato, la sua forza non ha potuto essere sottratta dal seme, mentre questo vizio che non è un corpo, ma un accidente, dopo che è stato perdonato dalla misericordia, non ha potuto risiedere nel seme. Questo, ripeto, non lo può dire nessuno con tutta l'astuzia che si vuole, perché verrebbe schiacciato dall'autorità divina, secondo la quale quella parte del corpo è stata amputata proprio perché si venisse purificati da tale vizio. Se non si trovasse nel seme, infatti, non potrebbe mai arrivare ai bambini, dai quali dev'essere portata via con la circoncisione. Se non fosse arrivata invece non avrebbe avuto affatto bisogno di essere asportata con questa circoncisione del corpo. Siccome il bambino non ha alcun peccato personale, nessun altro peccato se non quello originale gli viene tolto con quel rimedio senza del quale verrebbe eliminato dal suo popolo. Essendo Dio giusto giudice, questo non potrebbe avvenire se non vi fosse una colpa che lo giustificasse. Non essendocene una personale, non rimane che quella dell'origine viziata. 7.20 - Argomentazioni dalla circoncisione Ecco quindi che il circonciso trasmette a chi nasce da lui qualcosa che non ha in se stesso. Cosa intendi dire quando affermi: "Attraverso la natura non si può dimostrare che gli uomini trasmettono una cosa di cui sono creduti privi"? Il prepuzio è una cosa buona, non una cosa cattiva, perché Dio l'ha fatto e tu stesso ne hai parlato a lungo trattando dell'oleastro. Ti rispondo che l'oleastro è una cosa buona in natura, ma nel linguaggio dei misteri significa un male. Alla stessa maniera i lupi, le volpi, il maiale insozzato nelle lordure del fango, il cane che torna a mangiare il suo vomito, in natura sono tutte cose buone e così le pecore: Dio infatti ha fatto ogni cosa molto buona. ( Gen 1,31 ) Nella Scrittura però i lupi rappresentano i cattivi e le pecore i buoni. Noi intendiamo riferirci non a ciò che sono, ma a ciò che significano, quando li prendiamo come esempi nelle nostre discussioni sui buoni e sui cattivi. Così pure il prepuzio in natura è senz'altro una cosa buona essendo una particella del corpo umano, che indubbiamente è una cosa buona, ma in figura significa male perché il bambino dev'essere circonciso entro l'ottavo giorno per Cristo, nel quale, secondo le parole dell'Apostolo, siamo stati circoncisi d'una circoncisione non fatta per mano d'uomo, che senza dubbio è stata prefigurata da quella fatta per mano d'uomo. Il prepuzio pertanto non è il peccato ma significa il peccato, principalmente quello originale perché per mezzo dello stesso membro hanno origine quelli che nascono e, a causa di quel peccato, siamo detti per natura figli dell'ira. Lo stesso membro infatti è chiamato propriamente natura. La circoncisione della carne perciò, oltre a smantellare senza ombra di dubbio la vostra generica asserzione che "attraverso la natura non può avvenire che i genitori trasmettano ai figli qualcosa di cui essi mancano", dimostra che il peccato originale, già rimesso ai genitori battezzati, rimane nei bambini fin quando non sono battezzati, fin quando cioè non sono purificati dalla spirituale circoncisione, appunto perché il prepuzio che significa il peccato, si trova in colui che nasce, anche se nel padre non c'era più. Convince altresì voi che è verissimo quello che negate, appunto perché, negando il peccato originale, non potete trovare una ragione per cui sotto un giudice giusto debba perire un fanciullo del quale è scritto: Sia eliminato dal suo popolo, se entro l'ottavo giorno non sarà circonciso. ( Gen 17,14 ) 7.21 - Come la colpa rimessa nel padre passi nel figlio Lasciamo da parte la selva degli oleastri ed i colli africani o italiani ricoperti di uliveti. Non interroghiamo neppure i contadini che potrebbero rispondere a me in un senso e a te in un altro, mentre noi non abbiamo la possibilità di fare una pratica e celere esperienza, se a questo scopo volessimo piantare un albero che produrrà l'ombra per i fieri nipoti. Abbiamo un ulivo non italiano, non africano, ma ebreo, al quale noi che eravamo oleastri, ci rallegriamo di essere stati innestati. A quell'ulivo è stata data la circoncisione, che senza tentennamenti risolve la presente questione. Il figlio ottiene il prepuzio che non è più presente in suo padre. Ne era privo ma lo ha trasmesso; lo aveva perso ma lo ha trasmesso; e il prepuzio significa il peccato. Può non esserci più nei genitori ma passare ugualmente ai figli. Lo attesti il fanciullo stesso e, in silenzio, dica: "Sarò eliminato dal mio popolo se entro l'ottavo giorno non sarò circonciso. Negando il peccato originale e, nello stesso tempo, professando che Dio è giusto, ditemi per favore in che cosa ho peccato". Siccome la vostra loquacità non risponde alcunché di ragionevole a questo fanciullo che tacitamente grida, insieme a noi vogliate unire la vostra voce a quella degli Apostoli. Sia esso facile, difficile o impossibile a scoprirsi, siamo liberi di ricercare quali contagi di peccato derivino dai genitori o se ve ne siano altri, ma non sta a noi attribuire alle parole dell'Apostolo: Per opera di un solo uomo il peccato entrò nel mondo e attraverso il peccato la morte; così la morte passò su tutti gli uomini, ( Rm 5,12 ) altro significato diverso da quello per cui crediamo che tutti noi per i quali Cristo è morto, siamo morti nel peccato del primo uomo e che muoiono al peccato tutti quelli che sono battezzati in Cristo. 8.22 - Agostino non è solo a combattere i pelagiani Riferendoti ad altre mie parole, che inserisci nella tua discussione come per controbatterle, dichiari che "io ho cercato di eccitare il popolino contro di te". Il motivo lo trovi nel fatto che ho detto: "La fede cristiana, che i novelli eretici hanno cominciato a contrastare, non mette in dubbio che coloro i quali vengono purificati dal lavacro di rigenerazione sono redenti dal potere del diavolo, mentre quelli che non sono stati ancora redenti dalla rigenerazione, compresi i piccoli nati da persone redente, rimangono prigionieri del potere delle tenebre fino a quando non siano anch'essi redenti dalla medesima grazia". Per dimostrarlo con una testimonianza dell'Apostolo ho aggiunto: "Si estende a tutte le età il beneficio di cui parla l'Apostolo: Egli ci ha sottratto al potere delle tenebre e ci ha trasportato nel regno del suo figlio diletto". ( Col 1,13 ) Se questa argomentazione riesce a smuovere il popolino contro di te, non dovresti dedurne che detta fede cristiana si è tanto divulgata e radicata presso tutti da non poter sfuggire neppure alla coscienza popolare? Era necessario infatti che tutti i cristiani sapessero ciò che bisogna fare nei loro piccoli, per quanto attiene ai misteri cristiani. Perché allora affermi che: "dimentico del dibattito a due, mi sono rifugiato presso il popolino"? Chi ti ha promesso il mio dibattito? Dove, quando, in qual modo, con quali testimoni, con quali moderatori si è preferito, come tu dici: "Chiudere la guerra con la condizione offerta, affinché il nostro dibattito risolvesse la battaglia di tutti"? Ben lungi da me l'arrogarmi presso i cattolici quello che a te non riesce di arrogarti presso i pelagiani. Sono soltanto uno dei tanti che cerchiamo di confutare le vostre profane innovazioni, come meglio possiamo, nella misura del grado di fede che Dio ha concesso a ciascuno di noi. ( Rm 12,3 ) Prima ancora della mia nascita e prima della mia rinascita a Dio, molti luminari cattolici ci hanno preceduto nel respingere le vostre future tenebre. Di essi ho già parlato con la maggiore chiarezza possibile nei due libri precedenti. Sai a chi rivolgerti se trovi gusto ad insanire ulteriormente contro la Chiesa Cattolica. 8.23 - Respinte le calunnie di Giuliano Non voler deridere le membra di Cristo col nome di "lavoratori di bassa condizione": ricordati piuttosto che ciò che è stolto per il mondo, Dio lo scelse per confondere i sapienti. ( 1 Cor 1,27 ) Che intendi dire affermando che "non appena avrai cominciato a mostrarti ad essi, diventeranno più duri verso di me"? Non mentire, ed essi non lo diventeranno. Non dico affatto, come calunniosamente affermi, che "sono patrimonio del diavolo" quelli che sono redenti dal sangue di Cristo. "Non attribuisco al diavolo nessun matrimonio" in quanto matrimonio, né lo considero "autore di genitali o eccitatore degli uomini solo a cose illecite", e neppure "fecondatore delle donne o creatore dei bambini". Se riferisci al popolo cose del genere che sono estranee a me, tu menti. Se qualcuno, credendoti, diventerà più duro contro di me, egli sarà stato ingannato, non formato. Coloro invece che ci conoscono entrambi e conoscono la fede cattolica non vogliono imparare nulla da te, ma, al contrario, se ne guardano affinché non sottragga loro quello che già conoscono. Tra di loro, infatti, ci sono molti che non solo per vie diverse dalla mia, ma anche prima di me, hanno imparato queste cose che il vostro nuovo errore cerca di combattere. Non avendoli pertanto fabbricati io questi compagni della verità cattolica, che voi negate, ma avendoli solo trovati, come posso essere per essi l'autore di quello che ritenete un errore? 9.24 - Tutti sono morti, se Cristo è morto per tutti "Spiegami, tu dici, in che modo il peccato può essere addebitato giustamente ad una persona che non ha voluto né potuto peccare?" Per quanto attiene all'azione della vita di ciascuno, altro è il compimento dei peccati ed altro è il contagio dei peccati altrui. Se vorreste evitare di torcere in senso erroneo la tesi giusta, sapreste ascoltare l'Apostolo che brevemente la spiega dicendo che è stato uno solo colui nel quale tutti hanno peccato. In quell'uno solo sono morti tutti, affinché un altro, uno solo, morisse per tutti. Uno solo morì per tutti, tutti conseguentemente morirono, ( 2 Cor 5,14 ) e per essi Cristo è morto. Nega dunque che Cristo è morto anche per i bambini, affinché possa sottrarli al numero di coloro che sono morti, e cioè dal contagio dei peccati. "Come può avvenire, tu dici, che qualcosa che appartiene all'arbitrio della volontà si mescoli ai semi"? Se questo non può avvenire, evidentemente non c'è motivo per affermare che i bambini, non ancora usciti dal corpo, sono morti. Se Cristo però è morto anche per essi, vuol dire che anch'essi sono morti: Se uno è morto per tutti, tutti conseguentemente morirono. Capisci, Giuliano? Queste sono parole dell'Apostolo, non mie. Perché mi chiedi in qual modo sia avvenuto, dal momento che puoi constatare che in qualche modo è pur avvenuto, se in qualche modo tu credi all'Apostolo, che in nessun modo può aver mentito su Cristo e su quelli per i quali Cristo è morto? 9.25 - Dio sa far buon uso dei buoni e dei cattivi Qualcuno, perverso come voi, ma per un errore diverso, potrebbe dire di Dio quello che, voi dite, sentiamo per i fanciulli, e cioè: "Dio lavora attivamente per fare guadagnare il proprio nemico". Non cessa infatti di creare, nutrire, vestire quelli che sa sottomessi al diavolo non soltanto per un breve periodo di tempo, ma addirittura destinati ad ardere eternamente con lui, e non cessa di somministrare vita e salute ad essi che peccano con ostinatissima cattiveria. Dio fa questo però ben sapendo come far buon uso dei buoni e dei cattivi. A questo uso della divina maestà, con tutta l'arte della sua cattiveria, il diavolo non può sottrarre quelli che opprime ed inganna e neppure se stesso. Per questo non appartengono al diavolo coloro che sono sottratti al potere del diavolo: quelli invece che appartengono a lui, così come lui stesso, sono sotto il potere di Dio. 9.26 - Non fu il diavolo a istituire l'unione sessuale Quanto è sciocco dunque ciò che credi di avere detto con sottigliezza d'ingegno, quasi avessimo affermato che "tra il diavolo e Dio è stato stabilito questo patto: Dio rivendicherebbe a sé tutto quello che è asperso, ed il diavolo tutto quello che nasce, a condizione però che, tu specifichi, Dio, con la sua potenza assoggettata, fecondi l'unione stessa istituita dal diavolo". Il diavolo non ha istituito affatto l'unione che ci sarebbe stata ugualmente anche se nessuno avesse peccato, ma essa sarebbe stata tale che la tua protetta o non ci sarebbe stata affatto o non sarebbe stata inquieta. Dio, poi, feconda l'utero femminile, anche quello che partorisce vasi diabolici, non con una potenza assoggettata, ma con una forza libera e potentissima. Come agli uomini cattivi infatti, così ai semi viziati dall'origine, nei quali c'è la sostanza buona, creata da lui, Dio elargisce la crescita, la forma, la vita e la salute con gratuita bontà, senza alcuna necessità, con insuperabile capacità ed irreprensibile varietà. Essendo, dunque, entrambi sotto il potere di Dio, quello che è asperso, cioè, e quello che nasce, e non potendo neppure il diavolo dirsi estraneo al suo potere, come hai potuto introdurre la tua distinzione? Avresti preferito nascere o essere asperso? Non è forse meglio l'essere aspersi in cui è incluso anche l'essere nati? Non può essere asperso infatti chi non è nato. O tu propendi per l'uno o per l'altro con identica inclinazione? Se credi che sia meglio il nascere, arrechi offesa alla rinascita spirituale, a cui con sacrilego errore anteponi la generazione carnale. Non senza ragione crediamo che hai preferito dire non "quello che rinasce", ma "quello che è asperso": in considerazione, infatti, che attraverso i nostri sensi desideravi dimostrare che Dio ed il diavolo hanno fatto una specie di spartizione tra di loro, con l'aiuto di una parola hai reso più disprezzabile la parte di Dio. Potevi dire infatti "quello che rinasce"; "quello che è rigenerato"; ed infine "quello che è battezzato", parola, quest'ultima, che la consuetudine latina ha preso dal greco per indicare nient'altro che il sacramento di rigenerazione. Non hai voluto scegliere nessuna di queste parole, ma ne hai scelta una che rendesse disprezzabile quello che dicevi. Nessuno dei lettori, infatti, avrebbe potuto preferire il "nato" al "rinato" o al "battezzato", ma sarebbe stato facile, a tuo avviso, che si potesse preferire il "nato" all'"asperso". Se poi l'essere asperso, perché si possa portare l'immagine dell'uomo celeste, supera il nascere, perché si possa portare l'immagine dell'uomo terreno, di quanto il cielo dista dalla terra, ( 1 Cor 15,49 ) la tua odiosa distinzione svanisce immediatamente. Non c'è da meravigliarsi che Dio rivendichi a sé l'immagine dell'uomo celeste, che si riceve con il sacro lavacro, e lasci al dominio del diavolo l'immagine dell'uomo terreno, sporco di macchie terrene, finché rinasca in Cristo per prendere l'immagine dell'uomo celeste. 9.27 - I bambini prima del battesimo sono sotto il potere del diavolo Se poi ritieni di ugual peso l'essere asperso ed il nascere - cosicché per questo si creda che i bambini non ancora rinati non si trovino sotto il potere del diavolo, perché Dio ed il diavolo non diano l'impressione di voler fare tra di loro una divisione in parti uguali, qualora Dio rivendichi per sé gli aspersi ed il diavolo i nati - ne segue indubbiamente, secondo questa interpretazione, che, siccome l'essere aspersi vale quanto il nascere, è superfluo l'essere aspersi dal momento che, avendo lo stesso valore, è sufficiente nascere. Vi siamo grati tuttavia che non la pensiate così. Voi infatti non ammettete al regno di Dio quelli che sono nati se prima non sono aspersi, ed in tal modo, nei fatti, ritenete che è molto meglio l'essere aspersi che il nascere. Vogliate, pertanto, rendere ragione a voi stessi per non credere che sia indegno che quelli che non sono ammessi al regno di Dio si trovino sotto il potere di chi è caduto dal regno di Dio, oppure che quelli che hanno la vita si trovino sotto il potere di chi ha perduto la vita. Che i bambini non abbiano la vita se non hanno Cristo ( che senza dubbio non possono avere se non si rivestono di lui, secondo quanto è scritto: Quanti foste battezzati in Cristo, avete rivestito il Cristo ( Gal 3,27 ) ), che i bambini dunque non abbiano la vita se non hanno Cristo, ce lo attesta con chiarezza Giovanni evangelista nella sua epistola: Chi ha il Figlio, ha la vita; chi non ha il Figlio di Dio, non ha la vita. ( 1 Gv 5,12 ) Giustamente quindi sono ritenuti morti se non hanno la vita quelli per i quali Cristo è morto affinché l'avessero. Uno solo infatti morì per tutti, tutti conseguentemente morirono, ( 2 Cor 5,14 ) e quest'uno, come si legge nell'Epistola agli Ebrei, è morto per ridurre all'impotenza colui che della morte aveva il potere, cioè il diavolo. ( Eb 2,14 ) Che c'è di strano, dunque, se i bambini, finché rimangono morti, prima cioè di cominciare a possedere colui che è morto per i morti, si trovano sotto il potere di colui che ha il potere della morte? 10.28 - I peccati dei genitori sono in qualche modo anche nostri Enumeri verità su cui la fede cristiana veramente non ha dubbi. Tra di esse menzioni quelle che, nella quasi totalità, predichiamo anche noi e su cui siamo convinti non si debbano avere dubbi. Arriviamo perfino a ritenere vera la vostra affermazione, secondo cui, "senza la partecipazione del libero arbitrio, per l'uomo non ci può essere peccato". Non ci sarebbe neppure questo peccato che si contrae con l'origine senza la partecipazione del libero arbitrio, mediante il quale il primo uomo ha peccato e il peccato entrò nel mondo e attraverso il peccato la morte; così la morte passò su tutti gli uomini. ( Rm 5,12 ) Le tue parole: "non si può essere soggetti a peccati altrui" ci interessano in quanto possono essere intese rettamente. Per ora non parlo del fatto che Davide ha peccato e che per questo peccato caddero tante migliaia di uomini, ( 2 Sam 24 ) o dell'altro fatto che uno solo, disobbedendo al divieto, si rese colpevole della violazione dell'anatema e che la vendetta ricadde su chi non aveva commesso il peccato e neppure sapeva che era stato commesso. ( Gs 7 ) È un'altra questione ed ora non ci dobbiamo preoccupare di questo genere di peccati o di pene. I peccati dei progenitori in certo senso ci sono estranei ed in certo senso ci appartengono. Ci sono estranei per la proprietà dell'azione; ci appartengono per il contagio della propagazione. Se questo fosse falso, il giogo pesante sui figli dell'uomo, dal giorno nel quale sono usciti dal seno della madre, ( Sir 40,1 ) per nessun verso sarebbe giusto. 10.29 - I bambini ereditano il male da un peccato altrui Tutti noi dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo, affinché ciascuno raccolga, in ragione delle azioni compiute, ciò che ha meritato quando era nel corpo, o il bene o il male. ( 2 Cor 5,10 ) Come puoi riferire ai bambini queste parole dell'Apostolo di cui fai menzione? Dovranno anch'essi presentarsi dinanzi al tribunale di Cristo oppure no? Se non si dovranno presentare, quale giovamento ti potranno portare queste parole che non riguardano la questione di cui stiamo trattando? Se poi dovranno presentarsi, come potranno raccogliere quello che hanno fatto, se non hanno fatto nulla? O, forse, si deve pensare che appartiene ad essi quello che credono o non credono attraverso il cuore e la bocca delle madri? Con le parole: Ciò che ha meritato quando era nel corpo, l'Apostolo intendeva riferirsi a tutti coloro che avevano una propria vita. Ma come può il bambino raccogliere il bene per entrare nel regno di Dio, se ciascuno raccoglie quello che ha fatto, a meno che non appartenga al bambino anche quello che ha fatto, ossia ha creduto per mezzo di altri? Come dunque appartiene al fanciullo ciò che ha creduto per raccogliere il bene, per conseguire cioè il regno di Dio, così, se non ha creduto, appartiene a lui raccogliere il giudizio di condanna, poiché è evangelica l'affermazione: Chi non crederà sarà condannato. ( Mc 16,16 ) Affermando che: Tutti noi dobbiamo comparire, affinché ciascuno raccolga, in ragione delle azioni compiute, ciò che ha meritato quando era col corpo, o il bene o il male, ( 2 Cor 5,10 ) l'Apostolo non lascia una via di mezzo. Comprendi quindi quanto inopportunamente escludi che il bambino possa raccogliere il male dal peccato altrui, mentre ritieni che possa raccogliere il bene dal buon operato altrui, e non un bene qualunque, ma il regno di Dio. Estranea certamente è l'opera quando crede per mezzo di un altro ed estranea è stata l'opera quando ha peccato in un altro. Noi non dubitiamo che tutti i peccati sono purificati col Battesimo, ma ciascuno è purificato con la rinascita. Quello dunque che non lo sottrae se non la rigenerazione, non cessa di contrarlo la generazione. 10.30 - Dio è il creatore di tutti gli uomini Dicendo che "la concupiscenza non è sempre ribelle all'animo", riconosci senza dubbio che essa è ribelle. Perché allora ti ostini a negare il castigo a causa del quale sostieni una guerra contro di te? "Dio sia ritenuto il Creatore di quei bambini, tu dici, che siano degni delle sue mani", ed aggiungi: "di quelli innocenti, cioè". Non credi che potrà vincerti nella pietà e nella lode di Dio, colui che afferma che anche le opere belle e sane sono degne delle mani di Dio? Pur tuttavia molti nascono deformi, malati, brutti e perfino mostruosi. Ciò nonostante tutta quella sostanza, tutte le sue parti, e tutto quello che in essa sostanzialmente esiste e vive, non può essere stata creata se non dalla mano di Dio buono e vero. 10.31 - Il giogo che opprime il genere umano Mi chiedi di dire "come il diavolo osa rivendicare a sé i bambini creati in Cristo, vale a dire nella sua potenza". Dimmi tu, piuttosto, se ti è possibile, come rivendica a sé, apertamente e non occultamente, i bambini vessati dagli spiriti immondi. Se dici che sono stati consegnati entrambi vediamo il castigo: dimmi allora la colpa. Entrambi vediamo la pena, ma tu sostieni che nessun demerito si contrae dai genitori, e poiché entrambi dichiariamo Dio giusto, mostrami nei bambini, se è possibile, una colpa degna di questa pena. O non riconosci che anche questo appartiene a quel giogo pesante che è sui figli dell'uomo dal giorno nel quale sono usciti dal seno della madre fino al giorno nel quale ritorneranno alla madre di tutti? Sotto tale giogo il genere umano è schiacciato tanto da varie pene, che diventa chiaro come gli uomini da figli dell'ira diventano figli della misericordia, quasi ricevendo in pegno che questo accadrà nel mondo futuro. In questo mondo, però, anche i figli della misericordia sono schiacciati dal grave giogo dal giorno della nascita fino a quello della morte. Talvolta i bambini, benché siano stati strappati dal potere delle tenebre, tra gli altri mali di questa vita vanno soggetti a queste vessazioni dei demoni, affinché non siano da essi portati al supplizio eterno. 10.32 - Perché i bambini, che muoiono senza il battesimo, siano condannati Me lo hai già detto una volta e ti ho risposto, ma neppure adesso debbo sorvolare, che cioè "quando Dio concede ai bambini di nulla meritevoli in proprio, né in bene né in male, la gloria della rigenerazione, c'insegna che essi appartengono alla sua cura, al suo diritto e al suo potere per il fatto stesso che previene la loro volontà con la larghezza del suo ineffabile beneficio". In che cosa hanno dunque peccato quegli innumerevoli esseri che, pur creati ugualmente innocenti e puri, e pur fatti a sua immagine, Dio li priva di questo dono e non previene con la larghezza del suo ineffabile beneficio la volontà di costoro, separando tante sue immagini dal suo regno? Se per essi questo non costituirà un male, vuol dire che tante innocenti immagini di Dio non ameranno il suo regno. Se invece lo ameranno, e lo ameranno tanto quanto debbono amare il suo regno gl'innocenti creati da lui a sua immagine, non sentiranno alcun tormento per questa stessa separazione? Dovunque essi si trovino, infine, comunque essi si trovino sotto Dio giudice, che non è mosso dal fato né è corrotto da parzialità di persone, essi non si troveranno nella felicità del suo regno, nel quale troveranno posto gli altri che parimenti non hanno meritato alcunché né di bene né di male. Ma se non avessero meritato niente di male, mai sarebbero stati privati, in identiche condizioni, della comunione di tanto bene. In quei vasi d'ira dunque, secondo l'Apostolo, come spesso abbiamo ripetuto, Dio manifesta le ricchezze della sua gloria verso i vasi della misericordia, ( Rm 9,22-23 ) perché non si glorino come di meriti della propria vita, dal momento che non ignorano che ad essi poteva venir concesso giustamente quello che hanno visto concesso ai compagni della propria morte. 10.33 - Interpretazione di un testo paolino Se vuoi pensare rettamente, sappi che vale anche per i bambini ciò che l'Apostolo ha detto di Dio Padre: Egli ci ha sottratti dal potere delle tenebre e ci ha trasportati nel regno del suo Figlio diletto ( Col 1,13 ), e così pure le altre parole: Eravamo anche noi per natura figli dell'ira, alla stessa guisa degli altri. ( Ef 2,3 ) Sono sottratti dal potere delle tenebre infatti, ed erano figli dell'ira tutti coloro che muoiono al peccato. Tutti quelli poi che sono battezzati nella morte di Cristo, muoiono al peccato per vivere in Dio. Sono tutti battezzati nella sua morte, infatti, quelli che sono battezzati in Cristo. Siccome anche i bambini sono battezzati in Cristo, anch'essi muoiono al peccato e sono sottratti dal potere delle tenebre, laddove per natura erano figli dell'ira. Quanto poi alla tua pretesa che, dove l'Apostolo dice: "Per natura figli dell'ira, si possa intendere: Interamente figli dell'ira", non dovresti per caso trovare un'ammonizione nel fatto che l'antica fede cattolica è schierata contro di voi? Non si trova infatti nessun codice latino, a meno che voi non cominciate a correggerli o piuttosto a cambiarli, dove non sia scritto: per natura. Di questa espressione gli antichi interpreti non si sarebbero certamente curati, se non ci fosse stata anche l'antichità di questa fede, alla quale ora ha tentato di opporsi la vostra innovazione. 11.34 - L'opposizione della moltitudine dei fedeli verso i pelagiani Da uomo superiore non vuoi far parte del gregge popolare. Ancora una volta, infatti, respingi la tesi del popolo, dopo tanti argomenti con i quali, dandone ragione, avevi cercato di eccitarlo contro di me con maggior violenza di quanto era stato eccitato contro di te. Nonostante tutto, però, ripensando alle tue discussioni, ti sei accorto che con tali argomenti non hai potuto e non puoi far nulla presso il popolo saldamente fondato sull'antica verità della fede cattolica. Per questo motivo ancora una volta rivolgi contro di esso la faccia ostinata per disprezzarlo e, deridendolo, ne descrivi le singole parti di cui è composto, mentre non a torto la moltitudine dei cristiani è adiratissima contro di voi. Tra gli altri accenni agli "uditori scolastici" ed affermi che essi esclameranno contro di me: "O tempi! o Costumi!". Hai paura tuttavia del giudizio del popolo in mezzo al quale hai potuto trovare dei sostenitori tanto rumorosi che mi spaventassero con l'esclamazione di Cicerone, quasi credessi che "i genitali derivano da una parte diversa da quella donde viene il resto del corpo". Mentre rispondo a costoro: Non dico questo, egli mente; accuso la libidine, non le membra; condanno il vizio, non la natura; costui che mi calunnia presso di voi osa recitare le lodi della libidine nella Chiesa di Cristo, dinanzi al Maestro assiso in cielo. Qualora studiasse con voi, nessun maestro gli proporrebbe di recitare tali lodi onde evitare di offendere il pudore di tutti voi. Non rivolgeranno forse a te le altre parole di Cicerone che ben ti si addicono: "Dalla mia parte combatte il pudore, dalla tua l'impudenza; dalla mia parte la continenza, dalla tua la libidine"? 11.35 - La libidine può essere da tutti tenuta a freno Non so quali convertiti alla fede cattolica o ad essa tornati, rimproveri come disertori del vostro domma. Hai dato tuttavia l'impressione di temerli tanto da non osare proferire i loro nomi, perché non accadesse che, sentendo da te i loro falsi crimini, ti rinfacciassero i tuoi, se non veri, certamente più credibili. Chiunque essi siano, se umanamente sensati, non lo avrebbero fatto e ti avrebbero perdonato secondo il detto dell'Apostolo: Non rendete male per male. ( 1 Pt 3,9 ) Tu però non voler almeno disdegnare di ascoltare l'ammonizione di colui, dai cui scritti ti è piaciuto esclamare: "O tempi, o costumi!". Sappi almeno ascoltare costui che ti dice: "Sii lontano dalla scorrettezza del linguaggio, quanto sei lontano dalla turpitudine delle cose ( supposto che lo sia ); e non voler rinfacciare agli altri quelle cose che, pur se ti vengono dette falsamente, ti fanno arrossire". I lettori sappiano che hai detto contro non so chi tali cose, quali non ci risulta affatto in alcuni che sappiamo hanno lasciato l'eresia pelagiana col proposito della castità. A me però nulla interessa dei tuoi uomini o delle tue donne, che tu inganni al punto da farmi dire che "la libidine non può essere frenata neppure in un corpo corroso". Anzi, proprio perché sono convinto che essa può e dev'essere frenata, la ritengo cattiva. Chi nega che sia cattiva veda in qual modo possegga un bene, che lei contrasta, e, volendo o nolendo, deve ammettere che la libidine dev'essere frenata. Ritengo che la libidine può essere frenata non soltanto dai vecchi, ma anche dai giovani, e mi meraviglio grandemente che essa possa essere lodata dai continenti. 11.36 - Giuliano architetto dell'eresia pelagiana Chi di noi ha mai detto che "questo male, che i bambini contraggono con l'origine, può esistere o è potuto esistere senza la sostanza nella quale inerisce"? Come se lo dicessimo, vai alla ricerca di giudici dialettici e disprezzi il popolo quasi che ti avessi portato dinanzi ad esso giudice, dal quale non possono essere giudicate quelle cose che, se tu non le avessi imparate, la macchina del domma pelagiano sarebbe rimasta senza l'architetto necessario. Se vuoi avere la vita, non amare la sapienza della parola, con cui la croce di Cristo viene svuotata di ogni efficacia. ( 1 Cor 1,17 ) Già nel precedente libro ho esposto in che modo le qualità, sia quelle buone che le cattive, passano da una sostanza all'altra non trasferendosi ma qualificandosi. Se disprezzi il giudizio del popolo, guarda quei giudici, forniti di abbondantissima autorità nella Chiesa di Cristo, che ti ho presentato nei miei primi due libri. 12.37 - Il Pontefice Zosimo accusato di prevaricazione Quale motivo ti spinge, per restare nella tua perversità, ad accusare di prevaricazione Zosimo, di venerata memoria, vescovo della Sede Apostolica? Egli non si è allontanato dal suo predecessore Innocenzo, che hai avuto paura di nominare. Hai preferito Zosimo perché in un primo tempo aveva usato maggiore dolcezza con Celestio, che si era detto disposto, qualora nel vostro modo di pensare ci fosse stato qualcosa di spiacevole, a correggersi e ad aderire alle lettere di Innocenzo. 12.38 - I dissensi nella chiesa di Roma alla morte di Zosimo Ricordati in verità con quanta insolenza ci obietti il dissenso del popolo romano nella elezione del vescovo. Secondo te gli uomini l'hanno fatto di propria volontà? Se dici di no, come difendi il libero arbitrio? Se dici di sì, come lo chiami "vendetta di Dio", e abbandoni il tuo domma, mentre pretendi di far credere che sei stato vendicato da Dio? O ti sei deciso alfine ad ammettere ciò che negavi con ostinatissima testardaggine, che, cioè, per un occulto giudizio di Dio può accadere che nella stessa volontà degli uomini c'è qualcosa che è, ad un tempo peccato e pena del peccato? Se nel tuo pensiero non ci fosse stata un'idea del genere, non avresti mai chiamato "vendetta di Dio" l'azione degli uomini. Quando, tanti anni fa, una cosa simile accadde al beato Damaso e ad Ursicino, la Chiesa Romana non aveva ancora condannato i pelagiani. 12.39 - Continuità nel pensiero agostiniano circa il peccato originale Tu dici che "anch'io ho mutato il mio pensiero perché all'inizio della mia conversione la pensavo come te". T'inganni o sei ingannato, o perché stai calunniando quello che dico adesso, o perché non hai capito o piuttosto non hai letto quello che ho scritto allora. Dall'inizio della conversione ho sempre creduto, come credo tuttora, che per mezzo di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e attraverso il peccato la morte, e che essa è passata a tutti gli uomini perché tutti hanno peccato in lui. ( Rm 5,12 ) Ci sono dei libri che ho scritto subito dopo la mia conversione, quando ero ancora laico. Anche se allora non ero erudito nella Sacra Scrittura come lo sarei stato più tardi, tuttavia, su questa questione non pensavo e, se la discussione richiedeva il mio parere, non dicevo nulla di diverso da quello che tutta la Chiesa impara ed insegna dall'antichità: a causa del peccato originale il genere umano era caduto in queste immense ed evidenti miserie nelle quali l'uomo somiglia ad un soffio, i suoi giorni sono come ombra che passa, ( Sal 144,4 ) e ogni uomo è costituito da un puro soffio; ( Sal 39,6 ) da esse non ci libera se non Colui che ha detto: La verità vi farà liberi; ( Gv 8,32 ) e: Io sono la verità ( Gv 14,6 ) e: Se dunque il Figlio vi farà liberi, sarete realmente liberi. ( Gv 8,36 ) Dalla vanità non ci può liberare se non la verità, secondo la grazia, però, non secondo il debito; per la misericordia, non per il merito. Come a causa del giudizio infatti siamo stati sottomessi alla vanità, così in virtù della misericordia siamo liberati dalla verità, e dobbiamo confessare che gli stessi nostri meriti non sono che doni di Dio. 13.40 - La grazia battesimale rinnova l'uomo perfettamente Veniamo ora alla calunnia con cui mi accusi di aver detto che "i battezzati sono purificati solo in parte". Cosa che, a tuo parere, appare meglio in alcune mie frasi che nella tua discussione proponi alla nostra considerazione. Grazie! Eccole: "La concupiscenza della carne non dev'essere imputata al matrimonio, ma tollerata. Non è un bene infatti proveniente dalla natura del matrimonio, ma un male sopravvenutogli dall'antico peccato. Proprio per questo accade che neppure dal matrimonio regolare e legittimo dei figli di Dio vengono generati dei figli di Dio, ma dei figli di questo mondo, perché gli stessi genitori, anche quando sono stati rigenerati, generano non in quanto sono figli di Dio ma in quanto sono ancora figli del mondo. Il Signore infatti dice: I figli di questo mondo generano e sono generati. ( Lc 20,34 ) "Pertanto, in quanto siamo ancora figli di questo mondo, il nostro uomo esteriore si corrompe e da esso sono generati i figli di questo mondo; in quanto siamo figli di Dio invece, l'uomo interiore si rinnova di giorno in giorno. ( 2 Cor 4,16 ) Benché lo stesso uomo esteriore sia stato santificato per mezzo del battesimo ed abbia ricevuto la speranza della futura incorruttibilità, per la quale ben a ragione è chiamato tempio di Dio, ( 1 Cor 3,16 ) tutto questo è stato detto non soltanto per la presente santificazione, ma anche per quella speranza di cui sta scritto: Anche noi, che già possediamo le primizie dello spirito, noi pure gemiamo dentro di noi, anelando alla redenzione del nostro corpo. ( Rm 8,23 ) Se, a dire dell'Apostolo, aspettiamo la redenzione del nostro corpo, evidentemente ciò che si aspetta ancora si spera e non ancora lo si possiede". In queste mie parole non c'è nulla che un battezzato non possa riconoscere in se stesso, quando, insieme all'Apostolo, dice: Noi pure gemiamo dentro di noi. Per la medesima ragione in un altro passo l'Apostolo scrive: Sì, mentre siamo in questa tenda sospiriamo oppressi. ( 2 Cor 5,4 ) A questo concetto si riferiscono le parole del libro della Sapienza: Il corpo corruttibile pesa sull'anima e la dimora terrena opprime una mente presa da molte ansie. ( Sap 9,15 ) Come se già vivessi immortale tra gli Angeli, deridi le parole di debolezza o di mortalità e, parlando non secondo il senso inteso da me, ma secondo il tuo inganno, mi fai dire che "la grazia non rende l'uomo perfettamente nuovo". Non dico questo. Presta attenzione a ciò che dico: la grazia rende l'uomo perfettamente nuovo, dal momento che conduce all'immortalità del corpo e alla piena felicità. Anche adesso essa rinnova perfettamente l'uomo per quanto attiene alla liberazione da tutti i peccati, ma non per quanto attiene alla liberazione da tutti i peccati, e non per quanto attiene alla liberazione da tutti i mali e da tutta la corruzione della mortalità, per la quale ora il corpo appesantisce l'anima. Ecco di conseguenza il gemito che l'Apostolo fa suo quando dice: Anche noi gemiamo dentro di noi. Ma anche a quella perfezione che ora è soltanto sperata, si arriva attraverso lo stesso battesimo che si riceve ora. Non tutti i figli del mondo, però, sono figli del diavolo, anche se tutti i figli del diavolo sono figli del mondo. Ci sono dei figli di Dio che sono ancora figli del mondo e per questo si uniscono in matrimonio. Dalla carne però non generano i figli di Dio poiché anche essi per poter essere figli di Dio non da sangue, né da volere della carne, né da volere d'uomo, ma Dio sono nati. ( Gv 1,13 ) Attraverso il battesimo, dunque, la santificazione viene concessa anche al corpo, ma da esso non è portata via la corruzione che ora appesantisce anche l'anima. Per questo, anche se i corpi sono casti, quando le membra non obbediscono alle voglie del peccato e cominciano di conseguenza ad appartenere al tempio di Dio, in tutta questa edificazione c'è tuttavia qualcosa che la grazia deve perfezionare, durante tutto il tempo in cui la carne ha voglie contro lo spirito, per provocare i movimenti peccaminosi che debbono essere frenati, e lo spirito ha desideri contro la carne, ( Gal 5,17 ) perché la santità possa perseverare. 14.41 - Con la mortificazione si progredisce nella santità Chi non sa che tu, egregio dottore, c'inculchi che "la carne ha la concupiscenza appunto perché l'anima ha desideri secondo la carne"? Senza l'anima infatti non può esserci alcuna concupiscenza della carne. Avere desideri è proprio della natura vivente e sensitiva, sicché non manchi la concupiscenza, che deve essere frenata anche dalla castità degli evirati. Siccome la libidine agisce meno violentemente quando non trova la materia su cui operare, negli evirati probabilmente essa sarà meno laboriosa, ma è presente ugualmente ed è pudicamente repressa affinché l'incentivo al coito, quantunque inefficace, non giunga alla turpitudine che, ci consta, ha portato alla punizione della spada vendicatrice l'eunuco di Valentiniano, il giovane Calligono, riconosciuto colpevole dalla confessione della meretrice. Il libro dell'Ecclesiastico infatti non potrebbe addurre la similitudine: Egli vede con i suoi occhi e geme, come geme un eunuco che abbraccia una vergine, ( Sir 30,21 ) se gli eunuchi non fossero mossi dal piacere della concupiscenza carnale, benché destituita degli effetti della carne. Con i desideri che ha secondo lo spirito, pertanto, l'anima contrasta quelli che ha secondo la carne e, parimenti, con le voglie che ha secondo la carne, contrasta quelle che ha secondo lo spirito. Per questo è scritto: La carne ha voglie contro lo spirito e lo spirito contro la carne, e per questo motivo ancora è stato detto dell'anima: Si rinnova di giorno in giorno. ( 2 Cor 4,16 ) Essa infatti non cessa di avanzare nella santità quando fa diminuire sempre più le cupidigie della carne, negando ad esse il consenso. A coloro che erano già stati battezzati infatti l'Apostolo diceva: Mortificate dunque le vostre membra terrene, ( Col 3,5 ) e menzionava la fornicazione, la passione peccaminosa, la cupidigia di possedere. Come può dunque il battezzato mortificare la fornicazione che non commette più e che, secondo te "non ha niente da mortificare"? Come può, ripeto, obbedire all'Apostolo che dice: Mortificate la fornicazione, se non quando sconfigge i suoi desideri ai quali nega il consenso? Anche se non mancano, essi diminuiscono ogni giorno di più in quelli che avanzano nel bene ed evitano del tutto ogni fornicazione, sia nel consenso che nelle azioni. Nel tempio di Dio questo avviene quando, con l'aiuto divino, si compie ciò che Dio comanda. Le opere dello spirito sono innalzate, quelle della carne mortificate. Vivendo secondo la carne morrete certamente, scrive l'Apostolo, uccidendo invece con lo spirito le opere del corpo avrete la vita, ( Rm 8,13 ) e affinché sapessero che era solo la grazia di Dio ad operare questo, l'Apostolo aggiunge subito dopo: Sono infatti quanti vengono mossi dallo Spirito di Dio i veri figli di Dio. ( Rm 8,14 ) Proprio per questo tutti quelli che sono mossi dallo Spirito di Dio, con lo spirito mortificano le opere della carne. 14.42 - Il battezzato costruisce in se stesso il tempio di Dio I battezzati dunque hanno il loro da fare in se stessi, nel tempio di Dio cioè, che viene edificato in questo tempo per essere dedicato alla fine dei tempi. Viene edificato dopo la prigionia, come è indicato dal titolo del Salmo, dopo la cacciata del nemico che li aveva fatti prigionieri. Nella successione dei Salmi, cosa che può sembrare strana, viene prima il Salmo della dedicazione della casa e poi quello della edificazione. Il Salmo della dedicazione, però, viene prima perché canta la dedicazione di quella casa di cui l'Architetto dice: Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere. ( Gv 2,19 ) Il Salmo posteriore invece, mentre veniva edificata la casa dopo la prigionia, ha profetizzato la Chiesa. Comincia così: Cantate al Signore un cantico nuovo, cantate al Signore, tutta la terra. ( Sal 96,1-2 ) Nessuno sia tanto stolto da ritenere che ogni battezzato sia già perfetto perché è scritto: Il tempio di Dio è santo, e tale tempio siete voi, ( 1 Cor 3,17 ) oppure: E non sapete che il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo che è in voi per averlo ricevuto da Dio? ( 1 Cor 6,19 ) ed ancora un altro passo: Noi siamo il tempio del Dio vivo, ( 2 Cor 6,16 ) e via dicendo con altre frasi del genere. È chiamato così, infatti, ma mentre viene edificato le nostre membra terrene sono mortificate. Benché già morti al peccato, infatti, viviamo per Dio. C'è tuttavia in noi qualcosa che bisogna mortificare affinché il peccato non regni nel nostro corpo mortale piegandoci alle sue voglie, ( Rm 6,11-12 ) dalle quali la piena e perfetta remissione dei peccati ci ha liberati affinché non fossimo ad esse soggetti. Esse però sono rimaste dentro di noi perché contro di esse si combatte la guerra dei casti. Una di esse è la concupiscenza di cui fa buon uso il coniuge casto. Anche quando è usata bene però, da un male nasce un bene non immune da male, al quale è necessaria la rinascita perché sia liberato dal male. Quello che Dio crea e l'uomo genera, infatti, è indubbiamente un bene in quanto uomo, ma non è immune dal male perché soltanto la rigenerazione scioglie dal male, che la generazione ha contratto dal primo e grande peccato. 14.43 - Il corpo diviene tempio di Dio con il dono della grazia battesimale Vorresti far apparire incredibile che "nel ventre di una donna battezzata, il cui corpo è tempio di Dio, si possa formare un uomo soggetto al diavolo, finché per opera di Dio non rinasca in Dio". Ma non desta maggior meraviglia che Dio operi anche dove non abita? Non dimora infatti nel corpo soggetto al peccato ( Sap 1,4 ) e tuttavia forma l'uomo nel ventre di una peccatrice. Pervade infatti e penetra tutto per la sua purezza e niente di lurido lo raggiunge. ( Sap 7,24-25 ) E, cosa ancor più mirabile, talvolta adotta come figlio uno che plasma nel ventre di una donna pessima, mentre altre volte rifiuta di accettare come figlio uno che plasma nel ventre di una sua figlia. Quello infatti, per non so qual ventura, arriva al battesimo; questo invece, per una morte improvvisa, non vi perviene. E così Dio, nel cui potere sono tutte le cose, rende partecipe della comunione di Cristo uno che è nato nella casa del diavolo, mentre esclude dal suo regno uno che ha plasmato nel suo tempio. Se poi lo vuole, perché non rende efficace il suo volere? Non può valere infatti ciò che siete soliti dire degli adulti: Dio vuole, il bambino non vuole. Dove non c'è l'immobilità del fato, né la temerità della fortuna, né la dignità della persona, cosa resta se non la profondità della misericordia e della verità? Dalla considerazione dei due uomini, l'uno per il quale il peccato è entrato nel mondo e l'altro che porta via il peccato dal mondo, possiamo tentare di capire, in una materia incomprensibile, come tutti i figli della concupiscenza, dovunque nascano, sono meritatamente soggetti al pesante gravame dei figli di Adamo, e come tra di essi tutti i figli della grazia, dovunque nascano, senza alcun merito raggiungono il soave giogo dei figli di Dio. Segue pertanto la sua condizione chi, pur plasmato in un altro corpo, che è il tempio di Dio, non è plasmato così da essere anch'egli tempio di Dio solo perché è plasmato in un tempio di Dio. Che il corpo della madre era un tempio di Dio è stato un beneficio della grazia, non della natura; della grazia conferita nella rigenerazione e non nella concezione. Se, infatti, chi è concepito appartenesse al corpo della madre, così da essere reputato come una sua parte, il bambino la cui madre è battezzata, in un immediato pericolo di morte, non avrebbe bisogno di essere battezzato mentre si trova ancora nel seno materno. Qualora venga battezzato dopo la nascita, nessuno lo riterrà battezzato due volte. Non appartiene al corpo della madre quanto si trovava nel corpo materno; era plasmato nel tempio di Dio, non era tempio di Dio. Così, nel seno di una donna fedele è plasmato un infedele, ed in lui i genitori trasmettono l'infedeltà che non avevano quando è nato da essi, ma che essi stessi avevano quando sono nati allo stesso modo. Trasmettono dunque ciò che in essi non c'è più, in virtù del seme spirituale per il quale sono stati rigenerati, ma che era presente nel seme carnale col quale hanno generato il figlio. 14.44 - Il battesimo libera l'uomo perfettamente Anche se col sacro battesimo è santificato il corpo, è santificato nel senso che, per la remissione dei peccati, non solo non è soggetto a tutti i peccati passati, ma neppure alla stessa concupiscenza insita nella carne, a cui è necessario che ogni uomo nasca soggetto ed a cui l'uomo morirà soggetto qualora non rinasca. Dove mi hai sentito dire o dove hai letto che "nel battesimo l'uomo non è rinnovato, ma quasi rinnovato; non è liberato, ma quasi liberato; non è salvato, ma quasi salvato"? Lungi da me l'aver dichiarato inefficace la grazia di quel lavacro, nel quale sono rinato da acqua e Spirito Santo, e per il quale sono stato liberato dal reato di tutti i peccati, sia quelli contratti dalla nascita, sia quelli contratti con una vita cattiva. Da essa sono stato liberato perché impari a non entrare in tentazione, attratto e allettato dalla mia concupiscenza, e sappia in qual modo essere esaudito quando, insieme ai miei compagni ripeto: Rimetti a noi i nostri debiti; ( Mt 6,12 ) da essa sarò liberato per sempre, lo spero, quando nelle mie membra non ci sarà alcuna legge in contrasto con la legge della mia mente. ( Rm 7,23 ) Non io dunque rendo inefficace la grazia di Dio. Tu piuttosto, come suo nemico, dài l'impressione di aver voluto cercare un vuoto orgoglio introducendo nella disputa Epicuro, il quale affermava che gli dèi non avevano un corpo, ma una sembianza di corpo; non avevano il sangue, ma una sembianza di sangue. In questa circostanza, trattando della letteratura filosofica, decisamente non pertinente alla nostra questione, hai delirato con tanta più inettitudine, quanta più dottrina hai cercato di sfoggiare. Chi di noi ha mai detto che "tutto ciò che si fa in questo mondo è colpevole"; se lo stesso Cristo ha praticato tante opere buone, ma per sottrarci a questo mondo cattivo? 15.45 - Dopo il battesimo restano le concupiscenze della carne È gia abbastanza che io noti con quanta diligenza e congruenza esponi la testimonianza dell'Apostolo che dice: Sono stati salvati dalla speranza fino a … redenzione del nostro corpo. ( Rm 8,23-24 ) Tu sostieni che "quella risurrezione non rimette i peccati a nessuno ma solo purifica i meriti dei singoli, rende cioè a ciascuno secondo le sue opere". Non dici però secondo quali opere proprie renda il regno di Dio ai bambini. Nessun peccato, in verità, viene perdonato nel regno, ma se nessun peccato sarà rimesso in quell'ultimo giudizio, credo che il Signore non avrebbe detto di certi peccati: Non ci sarà perdono, né in questo mondo né nel mondo futuro, ( Mt 12,32 ) perdono che sperava di ottenere il ladrone che diceva: Ricordati di me quando sarai nel tuo regno. ( Lc 23,42 ) Siccome però qui si tratta di una questione quanto mai profonda, non bisogna pronunciarsi con troppa facilità. Per quale motivo, nel suo regno, Dio non rimette nessun peccato ai suoi figli se non perché non trova niente da perdonare? Non vi potranno essere peccati infatti laddove lo spirito, non dico non acconsente alla concupiscenza della carne, ma addirittura non ha desideri contro la carne, per il fatto che neppure questa ha desideri contro di esso. Tutto questo ci sarà per quella ineffabile salvezza perfetta, che ora non abbiamo nel battesimo, nel quale, è vero, sono perdonati tutti i peccati, ma rimangono i mali della concupiscenza della carne, contro cui, dopo il battesimo, se progrediscono, esercitano gloriose battaglie gli sposati e lotte ancor più gloriose i casti. Lo ammetti tu stesso, ma non so per quale sfortuna, quando parli a favore della verità, non ascolti neppure te stesso. 15.46 - Giuliano ammette che il corpo dev'essere domato con la disciplina Descrivendo la somma felicità della risurrezione, dici che "ivi nessuno dei giusti rende livido il suo corpo, o lo sottopone a schiavitù e che nessuno può umiliare la propria anima sui duri giacigli e nello squallore delle sue membra". Rispondimi: perché compie tali cose uno che nel battesimo ha perduto tutti i mali? Perché osa rendere livido il tempio di Dio? Le sue membra non sono forse membra del tempio di Dio? Perché invita la presenza di Dio, invoca la sua misericordia o placa la sua ira non con l'odore soave, ma con il livore e lo squallore dello stesso tempio di Dio? O forse non rifletti e non comprendi che colpendo tanto duramente il suo corpo, se non ci fosse nulla da mortificare che dispiace a Dio, rischierebbe di recargli una grave offesa colpendo inutilmente il suo tempio? Perché tentenni, perché esiti a confessare più apertamente? Quel male certamente, quello colpisce nella sua carne colui del quale tu predichi il livore e lo squallore per cui l'Apostolo diceva: So infatti che il bene non dimora in me, vale a dire nella mia carne. ( Rm 7,18 ) Perché escludi che questa possa essere la voce di un battezzato dal momento che, nelle lividure del corpo e nello squallore delle membra, riconosci il suo operato? I santi non ricevono le lividure dai flagelli di Dio o dai nemici, ma se le infliggono da se medesimi con la continenza. E per qual motivo se non perché lo spirito sollecita i desideri della carne? Non lo hai sperimentato anche tu? Nel descrivere infatti la felicità della vita futura hai detto: "Nessuno offre una lieta sfrontatezza ai rimproveri, le guance agli schiaffi e le spalle alle sferzate. Nessuno si sforzerà di ottenere la forza dalla debolezza e la frugalità non si scontrerà con l'indigenza o la magnanimità con l'afflizione". Perché non hai voluto dire: la castità con la concupiscenza della carne, ma ti sei affrettato a chiudere il periodo dicendo "e neppure la pazienza si scontrerà con il dolore"? Ti sei limitato a ricordare solo quello che, sopravvenendo dall'esterno, è tollerato con fortezza, ma non hai ricordato quello che, agitandosi dall'interno, è represso dalla castità. O forse ci rimproveri di lentezza mentale perché non abbiamo capito che volevi intendere proprio questo, quando, più sopra, parlavi delle lividure del corpo, della fatica e dello squallore delle membra? Quando uno, infatti, è tribolato non da un nemico ma da se stesso, vuol dire che si trova in lui il nemico che dev'essere sconfitto. 15.47 - I fedeli combattono contro le concupiscenze Ricordati pure che non hai spiegato come mai l'Apostolo ha detto: Aspettando l'adozione, ( Rm 8,23 ) dal momento che nel lavacro del battesimo era già stato adottato. Di nuovo ripeti che "nessuno odia la sua carne". Chi lo nega? Continui tuttavia a sostenere che la carne dev'essere calpestata con il rigore della disciplina. Ancora una volta parli a favore della verità, ma non vuoi ascoltare te stesso. Perché la carne dovrebbe essere calpestata dai fedeli, se nel battesimo nulla è rimasto che abbia voglie contro lo spirito? Perché, dico, il tempio di Dio calpesta se stesso, se dentro non c'è nulla che resista allo Spirito di Dio? Non solo non sarebbe presente, ma non ci contrasterebbe con tanta veemenza, se il reato che ci teneva stretti non fosse stato sciolto per la remissione dei peccati. È sciolta dunque dal perdono perché ci tratteneva nella pena; è calpestata dalla continenza perché non vinca nella lotta. Viene frenata perché non frapponga ostacoli, finché sarà così sanata da non esserci più. Nel battesimo sono rimessi tutti i peccati, quelli contratti dall'origine e quelli aggiunti scientemente o per ignoranza. Ciascuno è tentato dalla propria concupiscenza, adescato e sedotto. La concupiscenza poi, come se avesse concepito, partorisce il peccato. ( Gc 1,14-15 ) Quando l'apostolo Giacomo dice queste parole, il parto è distinto dalla partoriente. La partoriente è la concupiscenza, il parto è il peccato. La concupiscenza non partorisce se prima non ha concepito e non concepisce se prima non è stata sedotta, se prima cioè non ottiene il consenso della volontà per commettere il male. Contro di essa poi si combatte perché non concepisca e partorisca il peccato. Dopo che nel battesimo quindi, perdonati tutti i peccati, vale a dire tutti i parti della concupiscenza, se anche questa è stata distrutta del tutto, perché i santi, onde evitare che concepisca ulteriormente, combattono contro di essa con le "lividure del corpo, lo squallore delle membra ed il maltrattamento della carne"? Queste sono parole tue! Perché, ripeto, i santi combattono contro di essa con le lividure, lo squallore, il maltrattamento del tempio di Dio, se la concupiscenza è stata già portata via nel battesimo? Rimane, dunque: se non ci manca la sensazione con cui avvertiamo la sua presenza, vuol dire con il lavacro di rigenerazione, non viene a mancare. 15.48 - La concupiscenza è il vincolo di morte tratto da Adamo Chi mai può essere tanto imprudente e impudente, tanto sfacciato, ostinato, caparbio e tanto insano e demente, che, pur conoscendo che i peccati sono un male, nega che è male la concupiscenza del peccato, anche se lo spirito si affatica contro di essa per non permetterle di concepire e partorire il peccato? Un male così grande, come potrebbe non trattenerci nella morte per il solo fatto che è presente e come potrebbe non condurci all'ultima morte se il suo vincolo non fosse stato sciolto nella remissione di tutti i peccati che si ha nel battesimo? Proprio per questo il laccio stretto dal primo Adamo non può essere sciolto se non dal secondo Adamo. Proprio per questo vincolo di morte, ripeto, troviamo i bambini morti, non per questa morte notissima che separa l'anima dal corpo, ma per quella morte che legava tutti coloro per i quali Cristo è morto. Sappiamo infatti, dice l'Apostolo - e dobbiamo ripeterlo spesso - che uno solo morì per tutti, tutti conseguentemente morirono; e per tutti morì, affinché coloro che vivono non vivano più per se stessi, ma per colui che morì e risuscitò per essi. ( 2 Cor 5,14-15 ) Per lui dunque sono vivi quelli per i quali chi aveva la vita è morto perché vivessero. Più chiaramente, sono liberi dal vincolo della morte coloro per i quali è morto chi è libero tra i morti. ( Sal 88,6 ) Ancor più chiaramente, sono stati liberati dal peccato coloro per i quali è morto colui che mai era stato soggetto al peccato. Anche se è morto una sola volta, tuttavia muore singolarmente per ciascuno, quando, in qualsiasi età uno è battezzato nella sua morte. In altre parole, la morte di colui che fu senza peccato porta giovamento a chi era morto nel peccato, quando, battezzato nella sua morte, anch'egli morirà al peccato. 16.49 - Il battezzato è libero da ogni colpa, non da ogni male Inserisci la testimonianza dell'Apostolo dove dice: Non illudetevi! Né gl'impudichi, né gl'idolatri ( 1 Cor 6,9-10 ) ecc., e dopo aver ricordato costoro, conclude che essi non avranno l'eredità del regno di Dio. Queste colpe però le compiono coloro che acconsentono alle sollecitazioni della concupiscenza, che tu esalti, verso qualsiasi cosa cattiva o turpe. Le parole successive: Appunto questo eravate …, ma vi mondaste, ma foste santificati, ( 1 Cor 6,11 ) vogliono dire che essi sono stati mutati in meglio, non nel senso che erano privi di tutte le passioni, cosa impossibile in questa vita, ma nel senso che non acconsentivano ad esse, cosa del tutto possibile in una vita retta. In tal modo avrebbero potuto conoscere di essere stati liberati da quel vincolo cui erano soggetti, cosa che non può avvenire se non in virtù della rigenerazione. Al contrario, sbagli di molto quando pensi che "se la concupiscenza è un male, non la dovrebbe avere il battezzato". È libero da tutti i peccati, non da tutti i mali. Con maggiore chiarezza si può dire: È libero dal reato di tutti i mali, ma non da tutti i mali. Che forse non ha la corruzione del corpo? O non è un male che appesantisce l'anima? O credi che ha sbagliato chi ha detto: Il corpo corruttibile pesa sull'anima? ( Sap 9,15 ) Che forse non ha il male dell'ignoranza, per la quale gl'ignoranti commettono molti mali? O credi che sia un male di poco conto quello per cui l'uomo non percepisce le cose proprie dello spirito di Dio? Dei battezzati infatti l'Apostolo scrive: L'uomo terreno non accoglie le cose proprie dello Spirito di Dio; per lui infatti sono stoltezza e non le può intendere, perché solo in modo spirituale si apprezzano, ( 1 Cor 2,14-15 ) e poco più avanti aggiunge: Ecco, fratelli, non potrei parlare a voi come ad uomini spirituali ma come a carnali, come a bimbi nel Cristo. Vi diedi a bere latte non cibi solidi che non avreste ancora potuto sopportare. Anzi, neppure al presente potete sopportarli, perché siete ancora carnali. Dacché infatti ci sono tra voi gelosie e contese, non siete forse carnali, cioé non vi comportate forse alla maniera di uomini? ( 1 Cor 3,1-2 ) Vedi quanti mali fa derivare dall'ignoranza. E queste cose non le diceva dei catecumeni, credo. Come avrebbero potuto essere bambini in Cristo, se non erano ancora rinati? Se ancora non sei convinto, ascolta ciò che l'Apostolo dice un po' più avanti: Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito Santo abita in voi? ( 1 Cor 3,16 ) Avrai forse ancora dubbi o negherai ancora che non avrebbero potuto essere tempio di Dio, nel quale abita lo Spirito di Dio, se non fossero stati battezzati? Rifletti almeno sulle parole che l'Apostolo ha rivolto ad essi: Siete stati forse battezzati nel nome di Paolo? ( 1 Cor 1,13 ) Nel lavacro di rigenerazione, dunque, non erano liberi dal grande male dell'ignoranza, anche se indubbiamente erano liberi da tutti i peccati. Proprio per questo male dell'ignoranza, per il tempio di Dio nel quale abitava lo Spirito di Dio erano stoltezza le cose dello Spirito di Dio. Progredendo di giorno in giorno e avanzando per la strada sulla quale erano giunti, il male dell'ignoranza sarebbe diminuito sempre di più con l'avvento della sacra dottrina. Riteniamo pure che nel corso della vita questo male non solo diminuisca ma possa anche esaurirsi del tutto. Dopo il battesimo tuttavia. O forse nel battesimo? Chi dubita invece che in questa vita la concupiscenza possa diminuire, ma non scomparire del tutto? 16.50 - Con il battesimo viene lavata ogni colpa Nel sacro fonte è distrutto tutto il passato reato di questi mali, che sono rimessi in coloro che rinascono e diminuiscono in coloro che progrediscono. L'ignoranza diminuisce per la luce della verità che risplende sempre di più; la concupiscenza diminuisce per l'ardore della carità che si infiamma sempre di più. Di questi due beni, niente viene da noi. Non abbiamo infatti ricevuto lo spirito di questo mondo, ma lo spirito che viene da Dio per conoscere le cose che ci sono state donate da Dio. ( 1 Cor 2,12 ) Da questo punto di vista la concupiscenza è peggiore dell'ignoranza, poiché l'ignoranza senza la concupiscenza pecca di meno, mentre la concupiscenza senza l'ignoranza pecca più gravemente. Ignorare il male, non sempre è peccato; desiderare il male invece è sempre peccato. Talvolta il bene stesso può essere ignorato con un certo vantaggio per essere opportunamente conosciuto. In nessuna maniera, al contrario, può accadere che, tramite la concupiscenza carnale, si desideri il bene dell'uomo. La stessa prole infatti è voluta dalla volontà dell'animo, non dal piacere del corpo, quantunque non sia possibile deporre il seme senza il piacere del corpo. Stiamo trattando di questa concupiscenza, per la quale la carne ha voglie contro lo spirito, e non di quella buona per la quale lo spirito ha desideri contro la carne, ( Gal 5,17 ) e con la quale si desidera la continenza, con cui poter vincere la concupiscenza. Se il piacere della carne non è mai un bene per l'uomo, con questa concupiscenza della carne non si desidera mai un bene per l'uomo. Qualora poi, come hai notato in qualche parte, "ti piace la setta di Dinomaco, che unisce il piacere all'onestà", per il fatto che anche alcuni filosofi di questo mondo, che sembravano più onesti, hanno dichiarato buono Scilleo, composto di natura umana e animale; qualora dunque, secondo la tua opinione, segui questo mostro, a noi è sufficiente che tu ammetta la possibilità di un piacere lecito e di un piacere illecito. La concupiscenza è cattiva proprio perché è attratta indifferentemente dall'uno o dall'altro, a meno che non si ponga un freno al piacere illecito con il piacere lecito. Questo male non è deposto nel battesimo, ma i battezzati, già liberi dal suo vincolo per la grazia della rigenerazione, lo vincono salutarmente perché non attragga alle cose illecite. Che poi nel tempo della risurrezione non sia più presente nel corpo vivente e senza dolore, è un premio per quelli che hanno combattuto fedelmente contro di esso, i quali, dopo essere guariti dalla malattia, saranno rivestiti di una felicissima immortalità. In coloro però che non risorgeranno alla vita, la sua mancanza non sarà felice ma dolorosa, non perché qualcuno sarà da essa purificato, ma perché dai mali non saranno eccitati verso i piaceri ma spinti verso i tormenti. 17.51 - Il reato della concupiscenza rende responsabile l'uomo dall'origine Vediamo ora quell'eccellentissimo tuo acume con cui hai creduto di respingere la mia affermazione che "la concupiscenza della carne viene rimessa nel battesimo, non nel senso che cessi di esistere, ma nel senso che non è imputata come peccato", ossia, "anche se il suo reato è stato cancellato, essa tuttavia rimane". Da uomo acutissimo, argomenti contro queste mie parole come se avessi detto che nel battesimo la concupiscenza stessa è liberata dal reato. Siccome ho detto: "anche se il suo reato è stato cancellato", tu intendi "il suo", come se si riferisse a ciò per cui la concupiscenza è rea, cosicché, assolto il reato, essa stessa rimarrebbe assolta. Se avessi pensato questo non avrei di certo detto che la concupiscenza è cattiva, ma che era cattiva. Per questo, secondo la tua mirabile intelligenza, quando senti che in qualcuno è stato assolto il reato di omicidio, pensi che non l'uomo ma l'omicidio è stato assolto dal reato. Chi può intendere questo se non chi non si vergogna di lodare quello contro cui è costretto a combattere? Come puoi vantarti ed esultare nel rimproverare questa tesi che non è mia, ma tua? Tu dici cose che dovrebbero essere dette contro coloro che affermano che attraverso il battesimo la concupiscenza della carne viene santificata e diviene fedele in quelli in cui, pur rigenerati, tuttavia rimane. A te piuttosto che la dichiari buona, converrebbe dire, come lo dite dei bambini, che "al suo bene naturale si aggiunge il bene della santificazione" ed in tal modo la concupiscenza della carne diventa figlia di Dio. Noi, invece, che la dichiariamo cattiva e diciamo che essa rimane nei battezzati, anche se il suo reato, non quello per cui essa era colpevole - la concupiscenza infatti non è una persona - ma quello per cui essa rendeva colpevole l'uomo nella sua origine, è stato perdonato e svuotato. Ben lungi da noi affermare che viene santificata la concupiscenza contro cui i rigenerati, se non hanno ricevuto invano la grazia di Dio, debbono lottare in una guerra intestina come contro un nemico, e debbono desiderare e bramare la liberazione da quella peste. 17.52 - I mali che rimangono nel battezzato Se poi dici che nei battezzati non rimane alcun male, solo perché non si creda che gli stessi mali siano stati battezzati e santificati, rifletti sulle innumerevoli assurdità che ne seguono. Se nel battesimo si deve ritenere battezzato e santificato tutto ciò che c'è nell'uomo, bisogna concludere che è battezzato e santificato anche ciò che si trova negli intestini e nella vescica e che viene espulso per mezzo della digestione. Bisogna concludere altresì che è battezzato e santificato l'uomo che si trova nell'utero di una madre, che è costretta a ricevere il sacramento durante la sua gravidanza e, di conseguenza, il nascituro non ha più la necessità di essere battezzato. Bisogna concludere infine che sono santificate anche le febbri quando vengono battezzati i malati e, di conseguenza, sono santificate e battezzate le stesse opere del diavolo, come nel caso fosse stata battezzata prima di essere curata quella donna che il diavolo aveva legato alla sua malattia per diciotto anni 149. ( Lc 13,11 ) Che dire poi dei mali dell'anima? Pensa che grande male è ritenere stoltezza le cose che sono dello Spirito di Dio! Eppure avevano questo male quelli che l'Apostolo alimentava con il latte e non con il cibo. O forse, per il fatto che nel battesimo non è stato portato via, dirai che è stato battezzato e santificato anche il male tanto grande di quella stoltezza? Alla stessa maniera, anche se nel battesimo sono stati perdonati indistintamente tutti i peccati, la concupiscenza che rimane per essere contrastata e sanata, non solo non è santificata ma piuttosto è svuotata, affinché non tenga soggetti alla morte eterna quelli che sono stati santificati. Anche quelli, in verità, che venivano alimentati non con cibo solido ma con latte, ed erano ancora animali che non percepivano le cose dello spirito poiché avevano ancora la stoltezza, qualora fossero usciti dal corpo in quell'età della mente, non della carne, in cui gli uomini nuovi erano chiamati bambini in Cristo, non sarebbero stati responsabili di nessun reato per quella stoltezza. Il beneficio loro concesso nella rigenerazione, infatti, era precisamente questo: il reato di tutti i mali, dei quali avrebbero dovuto spogliarsi o con la morte o col progresso, sarebbe stato immediatamente tolto con la remissione di tutti i peccati, ma non con la guarigione da tutte le malattie. Questo reato, però, mantiene necessariamente legato chi è generato secondo la carne, poiché non è rimesso se non a chi rinasce secondo lo spirito. Dalla morte di una giustissima condanna il genere umano è liberato da un solo Mediatore tra Dio e gli uomini, e non è liberato soltanto dalla morte del corpo, ma altresì dalla morte per cui sono morti tutti quelli per i quali uno è morto. Poiché uno solo morì per tutti, conseguentemente morirono tutti. 18.53 - La concupiscenza non è una sostanza ma un vizio Solo perché ho nominato la parola qualità, ti è piaciuto discutere molto a lungo sulla differenza delle qualità. Scrivevo: "La concupiscenza non rimane al pari di una sostanza come un corpo o uno spirito, ma è semplicemente l'affezione di una cattiva qualità, quale per esempio una malattia". Non ti accorgi che non è per nulla pertinente alla nostra questione? Per prima cosa infatti mi accusi di "aver cambiato parere" e, dimenticando tutto il mio primo libro, "di aver detto che la libidine è una sostanza". Per la verità, se ripasserai e sviscererai tutto il mio libro, non troverai neppure una volta che abbia detto che la libidine è una sostanza. Alcuni filosofi hanno affermato che essa è la parte viziosa dell'anima; ed una parte dell'anima sarebbe sì una sostanza perché, per l'appunto, l'anima è una sostanza. Io però dico che la libidine è il vizio stesso per cui l'anima o una parte di essa è viziosa, sicché, una volta sanato il vizio, la sostanza rimane assolutamente integra. Ma anche i suddetti filosofi, credo, con linguaggio metaforico, hanno chiamato "libidine" la parte viziosa dell'anima, in cui si trova il vizio che si chiama libidine, alla stessa maniera per cui si dice "la casa" per indicare tutti quelli che sono in casa. 18.54 - La qualità secondo le Categorie di Aristotele Dopo di questo, usando maldestramente gli acutissimi strali dei dialettici e cercando di spaventarci con maggiore altezzosità, hai ferito a morte la tua setta. Dividendo, definendo o descrivendo le differenze delle qualità, tra le altre cose dici: "La terza specie di qualità è l'affezione e la qualità affezionale. L'affezione si pone tra le qualità perché costituisce il principio delle qualità, a cui si crede accedano o da cui recedano temporaneamente le passioni dell'anima o del corpo. La qualità affezionale invece, derivata da cause maggiori, inerisce a tutti coloro a cui perviene, in modo tale da poter essere separata solo con grandi sforzi o non poter essere separata affatto". Questa tua spiegazione è sufficiente per quelli che sanno. Siccome però non sono da disprezzare i lettori dei nostri libri, che non conoscono questa disciplina, cercherò di illustrare con degli esempi ciò che non è chiaro. Per quanto riguarda l'anima, l'affezione è il temere; la qualità affezionale è l'essere timido. Così altro è l'essere adirato ed altro l'essere iracondo; altro è l'essere ubriaco ed altro l'essere ubriacone. Nel primo caso abbiamo delle affezioni, nel secondo delle qualità affezionali. Per quanto riguarda il corpo, una cosa è l'impallidire ed una cosa è l'essere pallido; una cosa è l'arrossire ed un'altra l'essere rosso; e via dicendo, tenendo presente che per parecchie di esse mancano parole di uso corrente. Dicendo pertanto: "la qualità affezionale, derivata da cause maggiori, inerisce in modo tale da non poter essere separata affatto", quando cioè in rapporto ad essa un'anima è dichiarata cattiva, o meglio, quando un uomo è dichiarato cattivo, hai forse timore che non ci possa essere la volontà buona o che non possa far nulla? Non credi che un uomo miserando, chiunque sia o sia stato, ha certamente esclamato contro questa qualità: Il volere è alla mia portata, ma il praticarlo no? ( Rm 7,18 ) Vogliate riconoscere che almeno qui c'è il gemito necessario di queste parole: Chi mi libererà da questo corpo fonte di morte? La grazia di Dio per mezzo di Gesù Cristo, nostro Signore. ( Rm 7,24-25 ) 18.55 - Dall'origine corrotta si è ingenerato nell'uomo il vizio, come una malattia Per la qual cosa, quantunque ti avvolga con veste dialettica agli occhi della gente inesperta, sarai spogliato dall'evidenza della verità. Affermo che il vizio per cui la carne ha voglie contro lo spirito, è stato ingenerato da un'origine viziata, come la cattiva salute; che di questo male fanno buon uso i casti coniugi quando lo usano per generare figli e che nel buon uso di esso si può lodare colui che lo usa ma non il male in se stesso. Non è innocente infatti il male ma l'uomo che fa in modo che il suo male di cui fa buon uso, non gli possa nuocere. Così la morte, quantunque sia un castigo per il peccatore, con l'avvento di un uso buono diventa merito per il martire. Nel battesimo cristiano si riceve un perfetto rinnovamento ed un perfetto risanamento da quei nostri mali per i quali eravamo rei, ma non da quei mali contro cui dobbiamo combattere per non essere rei, essendo anch'essi in noi e non essendo a noi estranei, ma nostri. Al vizio del bere, che di per sé è cattivo e che gli uomini hanno acquistato e non contratto con la nascita, dopo il battesimo si oppone resistenza perché non conduca ai mali abituali. Si resiste tuttavia al male, quando, con l'aiuto della continenza, si nega alla concupiscenza ciò che si desidera per abitudine. Per questo motivo anche il conflitto contro questa concupiscenza dei genitali, ingenerata in noi dal peccato originale, si rivela più ardua per la vedova anziché per la vergine, ed ancor più arduo per la meretrice quando desidera esser casta, anziché per una donna che è sempre stata casta. La volontà lavorerà con tanto più ardore per vincerla, quanto maggiori sono state le forze che ad essa ha prestato l'abitudine. Da questo e con questo male dell'uomo nasce l'uomo. Esso è tanto grande ed è tanto legato alla condanna dell'uomo ed alla separazione dal regno di Dio, che, pur se si contrae da genitori rigenerati, può essere cancellato solo con la rigenerazione, com'era avvenuto nei genitori stessi, e solo con questo rimedio la minaccia della morte può essere allontanata dalla prole com'era stata allontanata dai genitori. La qualità del male non passa da sostanza come da luogo a luogo, così da lasciare il posto dove si trovava e continuare ad essere in altro luogo ciò che era prima, ma per l'azione di un certo contagio sarà un'altra cosa dello stesso genere, come suole accadere talvolta ai figli, dal corpo malato dei genitori. 18.56 - La concupiscenza non è un senso Cosa hai voluto intendere quando, a tuo dire, "hai chiuso la palestra di Aristotele per ritornare alle sacre Scritture"? Tu dici: "la concupiscenza dunque, è una sensazione e non una cattiva qualità; di conseguenza, quando diminuisce la concupiscenza, diminuisce anche la sensazione". Attraverso il desiderio della castità e della continenza, non diminuisce forse di giorno in giorno la concupiscenza della carne? Vorrei che mi dicessi se non diventa sempre più sano dalla malattia della fornicazione chi si diletta sempre meno di fornicare, quantunque abbia imputato in se stesso questo male con una sola conversione e, dopo aver ricevuto il lavacro della rigenerazione, non vi sia più ricaduto. Vorrei ancora che mi dicessi se, dopo un'inveterata abitudine al bere, un battezzato che non si ubriaca più, non diventa ogni giorno più sano di quanto era prima, moderando sempre più la voglia di trangugiare vino. È la sensazione dunque, e non la concupiscenza, che ci fa avvertire di averne di più o di meno. Nei patimenti del corpo la sensazione non è il dolore, ma attraverso la sensazione avvertiamo il dolore. Così pure la sensazione non è la malattia, ma attraverso la sensazione avvertiamo la malattia. Pertanto, se colui che rinunciando alla fornicazione ed al vino si astiene da opere del genere e diventa buono, e per una buona qualità si diventa buoni, non gli si può forse giustamente dire: Ecco, sei guarito, non peccare più? ( Gv 5,14 ) o non può egli giustamente essere chiamato casto e sobrio? Se poi con la crescita della concupiscenza buona, con cui debella la voglia di fornicare e di bere, diventa diverso da ciò che era al momento della recente conversione, e se diventa tanto diverso che la voglia del peccato lo muove sempre meno, sicché contro quei mali egli combatte non tutte le battaglie che combatteva prima, ma molte di meno, non per la diminuizione del valore ma dei nemici, non per la defezione della battaglia ma per l'aumento della vittoria, avrai per caso qualche dubbio a dichiararlo migliore? E per quel motivo, se non perché la buona qualità è cresciuta mentre la cattiva è diminuita? Si è accresciuto ciò per cui ha cominciato ad essere buono ed è diminuito ciò per cui era cattivo, e tutto questo lo ha fatto dopo il battesimo, non durante il battesimo. Anche se c'è stata la piena remissione dei peccati, è rimasta tuttavia una lotta con cui bisogna attentamente guardarsi e istantemente combattere contro la caterva dei cattivi desideri che tumultuano dentro di noi, affinché si possa progredire verso il meglio. Per questo motivo giustamente viene detto ai battezzati: Mortificate dunque le vostre membra terrene; ( Col 3,5 ) e: Uccidendo invece con lo spirito le opere della carne avrete la vita, ( Rm 8,13 ) ed ancora: Vi siete spogliati del vecchio uomo. ( Col 3,9 ) Queste parole sono dette con grande aderenza alla verità e senza alcun rimprovero al battesimo. 18.57 - Il languore, con il quale la carne desidera contro lo spirito Se non vuoi essere litigioso, credo che ormai comprenda come debbono essere intese rettamente le parole del Profeta, che tu cerchi di esporre in maniera diversa. Dapprima egli dice: Diventa propizio verso tutte le tue iniquità, ( Sal 103,3 ) cosa che avviene nella remissione di tutti i peccati, e poi aggiunge: Che guarisce tutti i tuoi mali, ( Sal 103,3 ) lasciando intendere che questi sono i mali contro cui, senza intermissione, i santi combattono le lotte interiori, fino a quando essi non siano sanati o diminuiti il più possibile in questa vita. Non si può dire infatti che non esiste la malattia, per cui la carne ha voglie contro lo spirito, perché la virtù della castità rimane invitta. Se non ci fosse la malattia, lo spirito non avrebbe desideri contro la carne. Per questo però lo spirito ha desideri contro di essa, perché, se non può avere la sanità di non combattere, ottenga quella di non acconsentire. Quello di cui trattiamo, quindi, e di cui sentiamo la resistenza dentro di noi, o è una natura estranea che dev'essere separata, o è la nostra che deve essere sanata. Se diciamo che è una natura estranea che deve essere separata, favoriamo i manichei. Riconosciamo dunque che la nostra natura deve essere sanata, ed eviteremo insieme i manichei ed i pelagiani. 19.58 - Il diavolo ha corrotto, non creato la sostanza "Questa ferita inferta dal diavolo al genere umano costringe chiunque nasce per mezzo di essa ad essergli soggetto, come se raccogliesse di diritto il frutto del suo albero". Ti sei proposto di respingere queste parole del mio libro, che tu travisi come se avessi detto che "il diavolo è l'autore della natura umana ed il creatore della sostanza stessa di cui l'uomo è costituito", quasi che si possa chiamare sostanza la ferita che si trova nel corpo. Se credi che abbia dichiarato il diavolo creatore della sostanza solo perché, nella similitudine da me usata, l'ho chiamato albero, che senza dubbio è una sostanza, perché ti dimostri o fingi di essere tanto ignorante da non sapere che dalle sostanze si possono usare similitudini per realtà che non sono sostanze? A meno che dialetticamente non vorrai calunniare lo stesso nostro Signore che ha detto: Ogni albero buono fa frutti buoni, ma l'albero guasto fa frutti cattivi. ( Mt 7,17 ) Chi mai, se non chi non sa quel che dice, potrebbe dichiarare sostanze la malizia o la bontà, le opere buone o cattive, che sono significate con i frutti di quegli alberi? Chi, in verità, consapevole di quello che dice, potrà negare che gli alberi ed i loro frutti sono sostanze? Con queste cose dunque che sono sostanze, vediamo che sono state usate similitudini per realtà che non sono sostanze. Anche ammettendo che l'albero buono o cattivo voglia significare non la bontà o la malizia dell'uomo, ma l'uomo stesso nel quale risiedono tali qualità, vale a dire la bontà nell'uomo buono e la malizia in quello cattivo, cosicché l'albero, l'uomo cioè, è da ritenersi una sostanza, nessuno, se non un ignorante, può chiamare sostanze i loro frutti, che null'altro possono significare se non le loro opere, anche se nessuno, neppure uno stupido, può negare che tutti i frutti degli alberi da cui è stata tratta la similitudine, sono sostanze. Per una realtà quindi che non è sostanza, si può usare una similitudine dalla sostanza. Proprio per questo, per significare il vizio che il diavolo ha inferto al genere umano come una ferita, quantunque in nessun modo sia una sostanza, ho tratto una similitudine dalla sostanza e l'ho chiamato albero. Allo stesso modo ho chiamato frutto il vizio con cui nasce l'uomo, che voi negate ma che la verità pone in evidenza, ed a causa del quale l'uomo perderà eternamente il regno di Dio, se non rinasce in virtù della verità che libera. 19.59 - La bontà divina non abbandona la natura condannata Di conseguenza, ho detto che il diavolo è il corruttore, non il creatore della sostanza. Avendogliene Dio giusto dato il potere, infliggendo una ferita ha sottomesso a sé quello che non aveva creato. Al suo potere, tuttavia, non può sottrarre né se stesso né ciò che gli è assoggettato. Proprio perché la prima è condannata, è stata istituita una seconda nascita. Pur condannata, tuttavia ad essa è manifestata la bontà di Dio perché da un seme maledetto viene formata una natura razionale. Dalla medesima immensa bontà è apertamente nutrita una miriade di uomini cattivi, che vegetano in virtù della nascosta opera di Dio. Se questa bontà dell'opera di Dio venisse sottratta alla formazione ed allo sviluppo del seme, ed alla vita di tutti i viventi, non solo non ci sarebbero le generazioni, ma anche le cose generate finirebbero nel nulla. Dal momento che solo una stolta empietà può rimproverare Dio, vivificatore di tutti, che fa vivere gli uomini condannabili per la loro viziosa volontà, perché dovremmo ritenere incompatibile con la sua opera, che, da lui Creatore, nascano uomini condannabili per la loro origine viziata, oppure che in virtù del Mediatore, per un atto gratuito di misericordia non meritato, i rigenerati, scelti prima della costituzione del mondo, con scelta gratuita e non per merito di opere passate presenti o future, siano liberati da una condanna dovuta? Altrimenti la grazia non sarebbe più grazia. ( Rm 11,6 ) La qual cosa appare soprattutto nei piccoli, le cui opere non possono essere passate perché non fanno nulla e neppure future, se muoiono in quella età. 19.60 - La concupiscenza, pur cessando come colpa, resta attiva Riconosco di aver detto: "Allo stesso modo che i peccati passano come atto, ma rimangono come reato, così, al contrario, può avvenire che la concupiscenza passi come reato, ma rimanga come atto". Il tuo errore dice che è falso; la verità invece conferma che è vero. Incapace di controbatterlo, come prima cosa cerchi di confondere le idee degli inesperti con sofistiche oscurità, affermando che "non ti riesce di pensare in quale dialettica abbia trovato la reciprocità di tutti i contrari". Se volessi offrire una spiegazione di questa tua affermazione e volessi farla comprendere a chi non ha mai studiato queste cose, probabilmente ci vorrebbe tutto il libro. Per il momento è sufficiente ciò che hai detto: "in nessuna dialettica si può trovare la reciprocità di tutti i contrari". Dal tenore delle tue risposte si deduce che non è possibile per tutti, ma è possibile per alcuni. Tra di essi ho trovato il mio. Se avessi detto che tra nessun contrario c'è reciprocità, ed avessi dimostrato che i contrari posti da me non possono essere reciproci perché non esistono contrari reciproci, avrei dovuto dimostrarti che per alcuni contrari era possibile la reciprocità e che tra di essi c'erano quelli posti da me. Dicendo però che "non c'è reciprocità tra tutti i contrari" e non che "tra nessun contrario c'è reciprocità", di fatto ammetti che tra alcuni esiste la reciprocità. In alcuni contrari dunque esiste la reciprocità. A me quindi resta solo da dimostrare che tra di essi ci sono anche i contrari posti da me e cioè: se è vero che i peccati passano come atto, ma rimangono come reato, allo stesso modo è vero che la concupiscenza passa come reato, ma rimane come atto. Volendo dimostrare che non era possibile, hai detto una cosa che non ho detto. Io ho parlato infatti della concupiscenza che nelle membra contrasta la legge della mente, ( Rm 7,23 ) anche se il suo reato è passato con la remissione di tutti i peccati, esattamente come, al contrario, un sacrificio fatto agli idoli e non ripetuto, passa come atto, ma rimane come reato fino a che non venga rimesso dalla misericordia. Sacrificare agli idoli è tale che il suo atto passa non appena è stato compiuto, ma, passato l'atto, il suo reato rimane per essere cancellato dal perdono. La concupiscenza, invece, è tale che rimane nell'uomo che lotta contro di essa con l'aiuto della continenza, anche se il reato, contratto con la generazione, è già passato con la rigenerazione. Rimane in atto non già distraendo ed allettando la mente e, col suo consenso, concependo e partorendo il peccato, bensì muovendo i cattivi desideri a cui la mente deve resistere. Il movimento stesso è il suo atto anche se l'effetto manca perché la mente non vi acconsente. Nell'uomo, infatti, al di fuori di questo atto, ossia di questo movimento, esiste un male da cui deriva appunto questo movimento che chiamiamo desiderio. Non sempre però c'è questo desiderio contro cui combattere. Se talvolta non c'è, quando nulla è desiderato con concupiscenza né dall'anima di chi pensa né dai sensi del corpo, può accadere che sia insita una cattiva qualità che non sia mossa da alcuna tentazione, così come la timidezza è insita nel timido anche quando non ha alcun timore. Quando poi c'è qualcosa da desiderare, ma nessun desiderio cattivo è di fatto eccitato, neppure contro la volontà, allora si ha la piena salute. Questo vizio dunque non potrebbe tener legato l'uomo se non con il reato, quantunque sia stato procreato dal buon uso dello stesso male da parte di casti coniugi. Questo reato, anche se il male rimane, è cancellato nella remissione di tutti i peccati, in virtù della grazia di Dio per la quale siamo liberati da tutti i mali, poiché il Signore non solo è benigno verso tutte le nostre iniquità, ma risana tutte le nostre malattie. Ricorda pertanto ciò che lo stesso Liberatore e Salvatore ha risposto a chi gli aveva chiesto di uscire da Gerusalemme: Ecco, io scaccio i demoni ed opero guarigioni oggi e domani e il terzo giorno sarà la mia fine. ( Lc 13,32 ) Leggi il Vangelo e vedi dopo quanto tempo Cristo ha patito ed è risuscitato. Ha mentito forse? Affatto. Ha voluto semplicemente significare qualcosa che stiamo trattando tra di noi in questa disputa. La cacciata dei demoni significa la remissione dei peccati; il compimento delle guarigioni il progresso che si compie dopo il battesimo; la consumazione del terzo giorno, che ci ha mostrato anche con l'immortalità della sua carne, significa la felicità dei gaudii incorruttibili. 19.61 - L'azione cattiva passa, ma rimane il vizio Come esempio di ciò di cui parlavi hai addotto un sacrificio sacrilego ed hai detto: "tutto quanto appartiene a questo genere può essere dimostrato da questo solo: se uno ha sacrificato agli idoli una volta soltanto, finché non ottenga il perdono, può essere oppresso dall'empietà del male commesso e rimane il reato dopo che è finita l'azione. Non può mai accadere però che rimanga l'azione ma passi il reato, vale a dire non può accadere che uno continui a sacrificare agli idoli, ma sia libero dalla profanazione". Molto giustamente dici questo riguardo ai sacrifici offerti agli idoli. L'atto, infatti, è l'opera che si compie nell'azione stessa e non sarà più. Se la si compie un'altra volta si avrà un altro atto. L'empietà, invece, per la quale si compiono queste azioni, rimane fin quando non si rinuncia agli idoli e si crede in Dio. L'aver sacrificato agli idoli infatti, è un fatto transitorio, non un vizio permanente; l'empietà invece per la quale è stato offerto il sacrificio, siccome rimane anche dopo l'azione, può essere paragonato alla concupiscenza per la quale è stato commesso un adulterio. Tolto l'errore però, per cui l'empietà era creduta pietà, può forse dilettare qualcuno sacrificare agli idoli, o può essere sollecitato verso di esso il desiderio di qualcuno? In nessun modo, dunque, è simile quello che hai creduto di presentare come tale. In nessun modo, dico, il sacrificio transitorio è simile alla concupiscenza permanente, che, con gli stimoli dei cattivi desideri ai quali resiste la castità, non cessa di tormentare l'uomo che non commette più quelle cose che si è soliti commettere quando si acconsente ad essa, e che, con piena cognizione di fede, sa di non doverne più commettere. Né la concupiscenza si esaurisce con la conoscenza al punto da non esistere più, ma è frenata dalla continenza, affinché non giunga dove vorrebbe. Per la qual cosa, come l'immolazione fatta agli dèi non rimane come atto perché è già passato e non rimane nella volontà perché l'errore che l'aveva causato è già stato distrutto, ma ne rimane tuttavia il reato fin quando non venga cancellato nel lavacro di rigenerazione, con la remissione di tutti i peccati; così, al contrario, quantunque il reato della cattiva concupiscenza sia stato cancellato nello stesso battesimo, essa tuttavia rimane fino a quando non sarà sanata con l'opera della medicina da Colui che apporta la salvezza dopo aver cacciato i demoni. 19.62 - Nessuna ingiustizia resta impunita se non quella espiata dal sangue del Mediatore Dal momento che tu stesso ammetti che di un peccato fatto e trascorso rimane il reato, a meno che non sia distrutto nel sacro fonte, rispondimi per favore: cos'è questo reato e dove si trova se l'uomo si è già corretto e vive rettamente, ma non è stato ancora liberato dalla remissione dei peccati? È un soggetto questo reato, una sostanza, cioè, al pari di uno spirito o di un corpo, oppure si trova nel soggetto come la febbre o una ferita nel corpo, o l'avarizia e l'errore nell'anima? Dirai che si trova nel soggetto: non dirai certamente che il reato è una sostanza. Ebbene, in quale soggetto credi che si trovi? Ma perché chiederti una risposta, e non riportare piuttosto le tue parole? Dici infatti: "Compiuta l'azione, il reato rimane nella coscienza di chi ha mancato fino a quando non venga perdonato". Si trova dunque nel soggetto, nell'animo cioè di colui che ricorda di aver peccato e che è angustiato dal rimorso di coscienza fino a quando non sia sicuro della remissione del peccato. Cosa accadrebbe se dimenticasse di aver peccato e se la sua coscienza non fosse tormentata? Dove si troverebbe quel reato che, passato il peccato, come tu stesso hai detto, rimane fino a quando non venga perdonato? Non si trova certamente nel corpo, perché non è di quel genere di accidenti che sono appropriati al corpo; non si trova nell'anima, perché la dimenticanza ne ha cancellato il ricordo, eppure c'è. Dov'è dunque se l'uomo vive ormai rettamente e non commette più tali azioni e dal momento che non si può neppure dire che il reato dei peccati che si ricordano rimane, mentre quello dei peccati dimenticati non rimane? Esso tuttavia rimane fino a quando non viene perdonato. Dove rimane dunque se non nelle occulte leggi di Dio, scritte in certo modo nella mente degli Angeli affinché nessuna iniquità resti impunita, se non quella che ha espiato il sangue del Mediatore, col cui segno di Croce viene consacrata l'acqua del battesimo, perché in essa sia cancellato il reato scritto come su un chirografo a conoscenza delle Potestà spirituali, destinate ad esigere la pena dei peccati? A questo chirografo ( Col 2,14 ) nascono soggetti tutti coloro che in carne nascono dalla carne secondo la carne e sono destinati ad essere liberati dal sangue di Colui che, pur nato in carne dalla carne, non è nato secondo la carne ma secondo lo spirito. È nato infatti per opera dello Spirito Santo dalla vergine Maria. Per opera dello Spirito Santo, cioè, affinché in lui non ci fosse la carne di peccato, e dalla vergine Maria affinché in lui ci fosse la somiglianza della carne di peccato. Per questo motivo non è stato soggetto a quel chirografo e da esso ha potuto liberare tutti quelli che erano ad esso soggetti. Né si può dire che non c'è un male, quando in un uomo la parte superiore serve turpemente l'inferiore, o quando l'inferiore resiste tenacemente alla superiore, anche se questa non si lascia vincere. Se questo male un uomo l'avesse sofferto da un altro che lo contrasta dall'esterno, per il fatto che non si trova in lui, sarebbe senz'altro punito senza di lui. Siccome però si trova dentro di lui, o viene punito insieme a lui, o, dopo essere stato liberato dal suo reato, persevera nella lotta contro lo spirito in modo tale da non trascinare l'uomo, non più colpevole, ad alcun tormento dopo la morte, da non alienarlo dal regno di Dio, e da non farlo tenere legato da alcuna condanna. Per essere liberati del tutto non dobbiamo credere che debba separarsi da noi come una natura estranea, ma, essendo una malattia della nostra natura, dev'essere risanata in noi. 20.63 - Il peccato originale è comune a tutti gli uomini "A causa di questo vizio, come ho scritto nel libro che tu contesti, la natura umana viene condannata. Per lo stesso motivo per cui è condannata, essa è assoggettata al diavolo condannato, perché anch'egli è uno spirito immondo, certamente buono in quanto spirito, ma cattivo in quanto immondo, giacché è spirito per natura ed è immondo per vizio: delle due cose, quella viene da Dio e questo da lui stesso. Di conseguenza tiene soggetti a sé gli uomini, sia gli adulti che i bambini, non per la loro umanità ma per la loro impurità". Dopo aver citato queste parole dal mio libro hai creduto di opporti ad esse dicendo: "la regola che si segue per il diavolo dev'essere seguita anche per l'uomo cattivo, affinché nessuno sia condannato se non per i vizi della propria volontà. Proprio per questo non vi può essere il peccato originale, altrimenti non può essere approvata l'opera di chi ha creato buono anche il diavolo". Non pensi però che Dio non ha creato il diavolo da un altro diavolo e neppure da un angelo, sia pure buono, che avesse tuttavia nelle membra una legge in contrasto con la legge della mente, per la quale e con la quale tutti gli uomini nascono dagli uomini. Questo argomento avrebbe potuto esserti di aiuto se il diavolo generasse i figli al pari dell'uomo e noi negassimo che essi siano soggetti al peccato paterno. Ora, in verità, altro è colui che era omicida fin da principio, perché, con la seduzione della donna, ha ucciso l'uomo fin dall'inizio della sua formazione e, non essendo per il libero arbitrio rimasto nella verità, ( Gv 8,44 ) cadendo, l'ha precipitato giù; ed altro è che per opera di un solo uomo il peccato entrò nel mondo e attraverso il peccato la morte; così la morte passò su tutti gli uomini, perché in lui tutti peccarono, ( Rm 5,12 ) dove con evidenza viene espresso che, oltre i peccati personali di ciascuno, c'è un peccato originale comune a tutti. 20.64 - L'uomo cattivo poté essere sottomesso al diavolo cattivo "Chi si meraviglia perché una creatura di Dio è soggetta al diavolo, non si meravigli; una creatura di Dio, infatti, è assoggettata ad una creatura di Dio, quella più piccola a quella più grande". Perché hai citato queste mie parole senza aggiungere quelle seguenti, nelle quali dimostravo in che senso ho detto: "la più piccola alla più grande", l'umana cioè all'angelica, se non perché fosse compreso di meno il mio intento, per trovare un posto a te, dove, come al solito potessi spargere davanti agli inesperti la nebbia dalle categorie di Aristotele, cosicché, non sapendo cosa dire, pensassero che, nascosto in mezzo ad essa, effettivamente dicessi qualche cosa? A tal punto infatti è arrivata la vostra eresia che i vostri seguaci gemono perché nella Chiesa non si trovano giudici dialettici della scuola dei peripatetici o degli stoici, da cui possiate essere assolti. Che c'entra, cosa vuol dire, per qual motivo hai detto che "più grande e più piccola" appartengono ad una specie della quantità? Ma "la quantità, aggiungi, non solo non è capace dei contrari, cosa comune con la qualità e agli altri predicamenti, ma non ha neppure un contrario, cosa comune con la definizione della sostanza: il bene ed il male invece sono contrari". Non avresti detto mai tali cose se avessi ritenuto che i lettori o gli uditori dei tuoi libri avrebbero compreso quello che dici. Sicché l'uomo immondo non avrebbe dovuto essere assoggettato all'angelo immondo perché la quantità per cui l'angelo è più grande dell'uomo, non solo non è capace dei contrari ma non ha neppure il contrario, quasi che l'uomo avrebbe dovuto essere assoggettato al diavolo solo se si fosse scoperto che era a lui contrario, e che i cattivi non avrebbero dovuto essere assoggettati ai cattivi perché i buoni ai cattivi sembrano contrari e non i cattivi ai cattivi? Cosa si può pensare di più sciocco? Cosa si può dire di più inetto? Che forse il servo non è assoggettato al padrone, il buono al buono, il cattivo al cattivo, il cattivo al buono e il buono al cattivo? Che forse la moglie non è assoggettata al marito, la buona al buono, la cattiva al cattivo, la cattiva al buono o la buona al cattivo? Che importa alla forza o alla ragione con cui una cosa è assoggettata ad un'altra, se questa o quella possa o non possa ricevere o avere il contrario? Non avresti di certo sparso sconsideratamente queste parole, se avessi meditato la sapienza contraria alla stoltezza che ti suggerisce tali cose. 20.65 - Per castigo del peccato la natura umana fu sottomessa al nemico Intanto, qual è la tua argomentazione? "Se una cosa ordinata convenientemente appartiene a Dio, tu dici, e la cosa che appartiene a Dio è buona, ne segue che l'essere soggetto al diavolo è un bene, perché in tal modo si osserva un ordine stabilito da Dio. Ne segue altresì che ribellarsi al diavolo è un male perché come risultato si ha un turbamento dell'ordine stabilito da Dio". Potresti dire che i contadini si oppongono a Dio e turbano il suo ordine quando tolgono dai campi le spine ed i cardi, che il Signore ha fatto nascere come pena per i peccatori? ( Gen 3,18 ) Che diresti se, secondo questo tuo ragionamento, dicessimo: Se una cosa ordinata convenientemente appartiene a Dio e la cosa che appartiene a Dio è buona, per i cattivi è un bene trovarsi nella geenna, giacché per mezzo di essa si osserva un ordine stabilito da Dio? Perché poi aggiungi: "ne segue che ribellarsi al diavolo è un male, poiché come risultato si ha un turbamento dell'ordine stabilito da Dio?" Chi mai si ribella al diavolo se non è stato liberato dal suo potere per mezzo del sangue del Mediatore? Sarebbe stato meglio non avere un nemico, anziché vincerlo. Ma siccome a causa del peccato la natura umana si è trovata soggetta al nemico, l'uomo, per poter lottare contro di esso, dapprima è sottratto al suo potere e poi, più tardi, se la vita in questa carne è più lunga, viene aiutato nella lotta per poter vincere. Alla fine, vittorioso, troverà la beatitudine, regnerà e dirà: Dove sono i tuoi contagi o morte? ( Os 13,14 sec. LXX ) oppure, come dice l'Apostolo: Dov'è o morte la tua vittoria, dov'è o morte il tuo pungiglione? ( 1 Cor 15,55 ) 21.66 - Giuliano grida contro la verità a favore dei manichei Hai ritenuto altresì doveroso citare alcune frasi dai libri dei manichei per paragonare con esse il mio pensiero. Sai bene però che con la fede e con le parole non solo detesto e condanno la mescolanza delle due nature, di quella buona e di quella cattiva, da cui deriva tutta l'immaginosa insania manichea, ma, opponendomi e resistendo a te, dimostro che sei tu a suffragare la loro dottrina. Quando la verità grida contro di essi che i mali non possono derivare che dai beni, non sei forse tu che per essi ed insieme ad essi reclami a gran voce contro la verità: "L'opera del diavolo non può passare attraverso l'opera di Dio; la radice del male non può essere collocata nel dono di Dio; il retto ordine delle cose non permette che dal bene possa derivare il male o dal giusto l'iniquo; da una cosa che è immune da peccato non può derivare una colpa"? Da tutte queste tue espressioni si deduce che il male non deriva dal bene e, di conseguenza, non rimane altra possibilità se non che il male non può derivare che dal male. Come puoi dunque, quasi fossi un avversario, accusare chicchessia di manicheismo, dal momento che sei talmente radicato dalla loro parte che non possono essere sconfitti senza che anche tu lo sia insieme ad essi? Quest'argomento l'ho trattato molto a lungo nel mio primo libro e più brevemente nel quinto, per cui basta averlo qui accennato. 21.67 - L'origine dei mali nei bambini Quanto la vostra comune eresia favorisca i manichei l'ho frequentemente dimostrato, ma neppure qui lo debbo tralasciare. I manichei enumerano i mali che si manifestano nei bambini, che anche Cicerone tiene presenti nei libri Sulla Repubblica, da cui ho già riportato le sue parole. Ricordando quei mali, egli dice che "l'uomo è stato gettato tra queste calamità non da una natura madre, ma da una matrigna". Ad essi si aggiungono anche quegli svariati mali, fino all'ossessione diabolica, che vediamo colpire se non tutti, certamente molti bambini. Concludono quindi dicendo: se Dio è giusto e onnipotente, per quale motivo la sua immagine nei bambini soffre tanti mali, se non perché è vera la mescolanza delle due nature, come noi affermiamo, di quella buona cioè e di quella cattiva? La verità cattolica li redarguisce professando il peccato originale, per il quale il genere umano è diventato lo zimbello dei demoni, e la discendenza dei mortali è stata destinata ad una faticosa miseria. Certamente non sarebbe stato così, se la natura umana per mezzo del libero arbitrio fosse rimasta nello stato in cui era stata creata all'inizio. Negando il peccato originale, invece, siete costretti a dichiarare impotente o ingiusto Dio, sotto il cui potere, la sua immagine nei bambini, senza un demerito per peccati propri od originali, viene colpita da tanti mali; non si può dire infatti che per mezzo di essi si esercita la virtù, come giustamente lo si può dire dei buoni adulti, che hanno l'uso della ragione. Siccome però non potete dire che Dio è impotente o ingiusto, i manichei vedranno rafforzato contro di voi il proprio necessario errore sulla mescolanza delle due sostanze nemiche tra loro. Non è vero, dunque, come tu dici, che "nessuna erba dei lavandai mi purifica dall'infezione manichea". Con tali insolenti parole offendi il lavacro di rigenerazione che ho ricevuto nel seno della cattolica Madre. In voi piuttosto si è insinuato il malizioso veleno dell'antico serpente a tal punto da infamare i cattolici con l'orrore del nome manicheo ed aiutare i manichei con la perversità nel vostro errore. 22.68 - Eva corrotta dal serpente nell'animo, non nel corpo Scrivendo a Marcellino, in un altro mio libro dicevo che "i figli della donna che ha creduto al serpente ed è stata corrotta dalla libidine non sono liberati se non dal Figlio della Vergine, che ha creduto all'Angelo ed è stata fecondata senza libidine". Hai citato queste parole e le hai interpretate come se avessi detto che il serpente si è unito ad Eva con unione corporale, così come i manichei, delirando, affermano che si è unito alla donna il principe delle tenebre e padre della stessa. Non ho detto questo del serpente. Contro l'Apostolo però puoi forse negare che la mente della donna è stata corrotta dal serpente? O non lo senti quando dice: E temo che, come il serpente con la sua astuzia sedusse Eva, così le vostre menti non si lascino corrompere, traviando dalla sincerità e dalla purezza da serbare per Cristo? ( 2 Cor 11,3 ) Da questa corruzione del serpente, come avviene quando i cattivi discorsi corrompono i costumi, ( 1 Cor 15,33 ) la libidine del peccato è giunta alla mente della donna, e, dopo che anche l'uomo fu corrotto dalla prevaricazione, è passata nella carne, per cui arrossirono e coprirono le parti delicate, non perché c'era stata l'unione corporale del diavolo, ma perché la grazia di Dio se n'era andata. 22.69 - La fede cattolica sulla concupiscenza e sul peccato originale Con tutta la tua disputa non hai affatto "schiacciato, come ti vanti, la mia affermazione sul male della concupiscenza carnale e sul peccato originale", pur restando la lode del matrimonio che fa buon uso di un male che non ha fatto, ma ha trovato. Per la verità non hai schiacciato neppure i manichei, che piuttosto hai aiutato massimamente tu, come ho dimostrato, insieme a tutti i tuoi compagni della novità pelagiana e dell'errore. Nel primo libro di quest'opera, con amplissima e certissima verità, ho dato una risposta su talune testimonianze prese dai trattati cattolici di San Basilio di Cesarea e di San Giovanni di Costantinopoli, che, a vostro dire, sarebbero concordi con il vostro modo di pensare. Ti facevo notare come, non comprendendo alcune loro parole, avete combattutto con straordinaria cecità contro il loro domma che è il domma cattolico. Nel secondo libro ho discusso abbastanza per dimostrare che non si tratta, come tu accusi, di una "cospirazione di uomini perduti", bensì di un pio e fedele consesso di santi ed eruditi Padri della Chiesa cattolica che, aderendo ad un'antichissima verità cattolica, resistono alla vostra eretica novità. Di conseguenza, il mormorio del popolo che, a vostro dire, è il solo argomento che sappiamo opporvi, non è affatto il solo, poiché poggia sull'autorità di tanti Dottori; esso poi è giustificato perché il popolo non vuole che distruggiate la notissima salvezza dei bambini, riposta in Cristo. 23.70 - Esegesi di Rm 7,14ss Riguardo alle parole dell'Apostolo: So infatti che il bene non dimora in me, vale a dire nella mia carne … ( Rm 7,18 ) ecc., fino a: Ah me infelice! Chi mi libererà da questo corpo fonte di morte? ( Rm 7,24 ) tu sostieni che le ho interpretate "in maniera diversa da come deve essere interpretato tutto il capitolo". Senza saperlo, mi attribuisci molto. Non sono infatti né il primo né il solo ad intendere questo passo che distrugge la vostra tesi come dev'essere inteso secondo verità. In un primo tempo anzi l'avevo inteso diversamente, o meglio non l'avevo compreso affatto, come testimoniano alcuni miei scritti di quel tempo. Mi sembrava infatti che l'Apostolo non avesse potuto dire di se stesso, che era spirituale: ma io sono carnale ( Rm 7,14 ), e che era tenuto prigioniero dalla legge del peccato esistente nelle sue membra. Ritenevo che queste parole non si potessero riferire se non a quelli che la concupiscenza teneva tanto soggiogati a se stessa da spingerli a fare tutto ciò che essa voleva. Mi sembrava una pazzia attribuire una cosa del genere all'Apostolo, se si pensa che una innumerevole schiera di santi con lo spirito si oppone alla carne per non portare a compimento le sue voglie. Più tardi mi sono arreso ad interpretazioni migliori e più chiare o piuttosto alla verità stessa che bisogna professare, e nelle parole dell'Apostolo ho visto il gemito dei santi che combattono contro la concupiscenza della carne. Essi, pur essendo spirituali nella mente, trovandosi ancora immersi in questo corpo corruttibile che appesantisce l'anima, ( Sap 9,15 ) sono giustamente ritenuti carnali, ma saranno spirituali anche nel corpo, quando, dopo aver seminato un corpo in condizione terrena, si risorge in un corpo spirituale. ( 1 Cor 15,44 ) Per ora sono ancora ritenuti prigionieri sotto la legge del peccato nella parte che soggiace ai movimenti dei desideri a cui non acconsentono. E così è avvenuto che queste cose le ho intese come l'hanno intese Ilario, Gregorio, Ambrogio e tutti gli altri illustri e santi Dottori della Chiesa, i quali hanno capito che lo stesso Apostolo ha dovuto lottare strenuamente contro le concupiscenze carnali, che non voleva ma che tuttavia aveva, ed hanno capito altresì che con quelle sue parole l'Apostolo ha dato una testimonianza del suo conflitto. Anche tu, d'altronde, hai ammesso che i santi debbono esercitare gloriose lotte contro quei movimenti, innanzitutto per debellarli perché non abbiano il sopravvento, e poi per sanarli perché siano estinti del tutto. Se combattiamo insieme, riconosciamo insieme le parole di chi combatte. In tal modo non viviamo noi, ma Cristo vive in noi, purché in questa lotta contro la concupiscenza e nel conseguimento della vittoria fino alla distruzione totale dei nostri nemici, abbiamo fiducia in lui e non in noi. Egli infatti divenne per noi sapienza e insieme giustizia e santificazione e redenzione, affinché, come sta scritto: Colui che si gloria, si glori nel Signore. ( 1 Cor 1,30-31 ) 23.71 - Chi possiede lo Spirito di Cristo lotta contro la carne Non è contraddittorio pertanto dire: Non più io vivo, ma Cristo vive in me ( Gal 2,20 ) e nello stesso tempo: So bene che il bene non dimora in me, vale a dire nella mia carne. ( Rm 7,18 ) Solo in quanto Cristo vive in lui, egli supera ed espugna il fatto che nella sua carne non c'è il bene ma il male. Nessuno spirito infatti potrebbe opporsi alla sua carne se in lui non abitasse lo spirito di Cristo. Ben lungi quindi l'affermare, come vai insinuando, che "l'Apostolo ha scritto queste cose per dimostrarsi renitente ad essere condotto verso qualche sgualdrina dalle mani del pestifero piacere". Ha detto infatti: Non sono più io che lo compio, ( Rm 7,20 ) per dimostrare che la concupiscenza della carne provoca l'impulso della libidine, senza il consenso del peccato. 23.72 - L'Apostolo non parlava della superbia dei giudei Perché tenti inutilmente di "applicare queste parole all'orgoglio dei Giudei, quasi che l'Apostolo li abbia trasfigurati in se stesso perché disprezzavano i doni di Dio, come se non fossero loro necessari"? Questo è il vostro sospetto. Ma volesse il cielo che dei doni di Cristo pensassi almeno che valgono qualcosa per farti vincere la concupiscenza. Tu affermi che i Giudei disprezzavano quei doni perché "egli perdonava i peccati che avrebbero evitato di commettere seguendo l'ammonimento della legge". Quasi che la remissione dei peccati conferisse all'uomo il beneficio che la carne non avesse più concupiscenza contro lo spirito, ( Gal 5,17 ) donde sono derivate le parole: So che il bene non dimora in me, vale a dire nella mia carne, ( Rm 7,18 ) e tutte le altre parole simili. Non recedi dal vostro domma secondo cui la grazia di Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore è ordinata alla sola remissione dei peccati e non all'aiuto per evitare i peccati e vincere i desideri della carne, riversando l'amore di Dio nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo elargitoci. ( Rm 5,5 ) Non pensi neppure che chi dice: Sento nelle mie membra un'altra legge in conflitto con la legge della mia ragione, ( Rm 7,23 ) dichiara altresì di non poter essere liberato se non dalla grazia di Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore, di non essere giudeo e di non affaticarsi perché ha peccato, ma perché non pecchi più. 23.73 - L'Apostolo si dice spirituale e carnale Tu dici che "l'Apostolo esagera la forza dell'abitudine". Rispondimi allora: il battesimo non combatte forse contro questa forza? Se dici di no, contraddici l'esperienza di tutti i cristiani. Se, al contrario, ammetti che combatte, perché nelle parole dell'Apostolo non riconosci la voce di chi combatte? "Per mezzo di una legge buona e di un comandamento santo, continui, l'animo dei cattivi si era inferocito perché, mancando la volontà propria, nessuna istruzione aveva potuto ispirare la virtù". O acuto pensatore! O illustre espositore delle parole divine! Che ne fai delle parole: Non faccio il bene che voglio ( Rm 7,15 ) e: Volere il bene è alla mia portata; ( Rm 7,18 ) e: Compio ciò che non voglio; ( Rm 7,19 ) e: Io mi diletto, seguendo l'uomo interiore, della legge di Dio? ( Rm 7,22 ) Ascolti queste parole e poi dici che la virtù è mancata perché mancava la volontà. Che dici se lì c'era non solo la volontà ma anche la virtù, per non acconsentire alla concupiscenza della carne, che con i suoi moti serviva la legge del peccato? Pur non cedendo ad esse e non offrendo le sue membra quali armi di ingiustizia al servizio del peccato, ( Rm 6,13 ) mentre nella sua carne sentiva qualcosa che in opposizione alla sua volontà aveva voglie contro lo spirito e nello stesso tempo con lo spirito nutriva desideri contro la carne, con sincerissima voce di castità poteva dire: Io stesso con la ragione servo la legge di Dio e con la carne la legge del peccato. ( Rm 7,25 ) La legge dunque è santa e santo e giusto e buono è il precetto. Una cosa buona sarebbe allora diventata la mia morte? No, di certo. Piuttosto il peccato, per apparire tale, per mostrarsi all'estremo peccaminoso, mi causò la morte servendosi di una cosa buona. ( Rm 7,12-13 ) Queste parole dell'Apostolo, da te citate, si comprendono bene se vengono riferite alla sua vita passata, quando era ancora sotto la legge e non sotto la grazia. Usa infatti anche il verbo al passato quando dice: Io non conobbi il peccato se non per mezzo della legge. ( Rm 7,7 ) E realmente non avrei conosciuto la concupiscenza ( Rm 7,7 ) … ha prodotto in me ogni sorta di voglie ( Rm 7,13 ) … un tempo, senza la legge io vivevo ( Rm 7,9 ) ( quando non poteva ancora avere l'uso della ragione ); ma quando venne il precetto, il peccato prese vita ed io morii; ( Rm 7,9-10 ) … il peccato, cogliendo occasione dal precetto, mi sedusse e per mezzo di esso mi uccise ( Rm 7,11 ) … mi causò la morte servendosi di una cosa buona. ( Rm 7,13 ) Con tutte queste espressioni voleva significare il tempo in cui viveva sotto la legge e, non avendo ancora l'aiuto della grazia, era sconfitto dalle concupiscenze carnali. Quando invece dice: La legge è spirituale, ma io sono carnale, ( Rm 7,14 ) dimostra quello che soffriva nel conflitto. Non dice infatti "fui" oppure "ero" carnale, bensì sono carnale. Ancor più apertamente distingue i tempi quando dice: E non sono più io che opero il male bensì il peccato che abita in me. ( Rm 7,17 ) Non era lui che operava il movimento dei cattivi desideri, a cui egli non prestava il suo consenso per commettere il peccato. Col nome del peccato che dimorava in lui indicava la concupiscenza stessa, giacché essa è derivata dal peccato e, attraendo e allettando chi vi acconsente, concepisce e partorisce il peccato. Le rimanenti parole fino a: io con la ragione servo la legge di Dio e con la carne la legge del peccato, ( Rm 7,25 ) si riferiscono a lui già costituito in grazia, ma ancora in lotta contro la concupiscenza, mentre non acconsentiva al peccato, ma sperimentava i desideri del peccato a cui resisteva. 23.74 - Non viene accusata la natura della carne, ma la sua concupiscenza Nessuno di noi accusa la sostanza del corpo, nessuno la natura della carne. Inutilmente quindi giustifichi ciò che noi non incolpiamo. Non neghiamo tuttavia che dentro di noi ci sono le cattive concupiscenze alle quali non acconsentiamo se viviamo bene. Le dobbiamo castigare, frenare, sconfiggere, vincere: esse però ci sono e non sono estranee a noi. Non sono nostri beni ma nostri mali. Né, come affermano i manichei, esisteranno fuori di noi, ma, una volta sanate, non esisteranno più, come afferma la verità cattolica. 24.75 - L'esegesi di Rm 15,12 fatta dai pelagiani Solo la tua straordinaria sfacciataggine, solo la tua demenza, direi, può respingere la fondatissima fede espressa nelle parole dell'Apostolo: Per opera di un solo uomo il peccato entrò nel mondo e attraverso il peccato la morte; così la morte passò su tutti gli uomini, perché tutti peccarono in lui. ( Rm 5,12 ) Invano cerchi di cavar fuori un senso nuovo e distorto in contrasto con quello vero, affermando che in quella frase è stato detto: Perché tutti peccarono in lui, come se si dicesse: "E per questo motivo tutti peccarono", così come era stato detto: Per questo motivo ( in quo ) il più giovane corregge la sua vita. ( Sal 119,9 ) Praticamente vorresti dire che non si deve intendere nel senso che tutti gli uomini hanno peccato all'inizio in un solo uomo, uniti insieme come in una massa, ma che hanno peccato proprio perché quel primo uomo aveva peccato, vale a dire, hanno peccato imitandolo e non perché sono stati generati da lui. L'espressione "in lui" col senso di "e per questo motivo", non si adatta a questo significato. Si pecca infatti per il motivo che ciascuno si propone nel peccare, o in qualsiasi altro modo si presenti un'occasione di peccato. Chi può mai essere tanto insensato da dire che quest'uomo ha commesso omicidio perché, nel Paradiso, Adamo ha mangiato il frutto dell'albero proibito, mentre sappiamo che in una rapina ha ucciso un altro uomo, non pensando affatto ad Adamo, ma semplicemente perché si potesse appropriare dell'oro che portava? In ugual modo tutti gli altri peccati che ciascuno commette personalmente hanno un motivo per il quale sono commessi, anche se nessuno ricorda il peccato commesso da quel primo uomo né se lo propone come esempio nel peccare. Di conseguenza non si può neppure dire che Caino, che pur aveva conosciuto suo padre, ha peccato perché aveva peccato Adamo. Ci è noto infatti il motivo per cui ha ucciso il fratello: non di certo perché Adamo aveva commesso una colpa, ma semplicemente perché era invidioso del bene di suo fratello. 24.76 - L'Apostolo non parla di imitazione In definitiva, neppure le testimonianze che hai addotte suffragano questa vostra interpretazione. L'interpretazione di per questo motivo il più giovane corregge il suo cammino, è giusta perché segue la frase: osservando le tue parole. Il giovane corregge il suo cammino perché medita le parole di Dio come bisogna meditarle; meditandole le osserva ed osservandole vive rettamente. La causa per cui corregge il suo cammino dunque sta precisamente nell'osservare la parola di Dio. Anche le parole del beatissimo Stefano: Mosè si diede alla fuga per queste parole, ( At 7,29 ) si intendono bene nel senso di "proprio a causa di queste parole" perché egli le sentì, ne ebbe paura, le meditò per fuggire: esse furono la causa del suo fuggire. In tutte queste espressioni è stato forse detto qualcosa che possa rapportarsi ad una imitazione, per cui l'uno imita l'altro senza pensarlo affatto, cosicché in nessun modo si possa dire che ha peccato perché ha peccato un altro, in cui non era presente in origine, ed a cui non ha pensato affatto quando ha commesso il suo peccato personale? 24.77 - Il primo e il secondo Adamo "Se Paolo parlava della trasmissione del peccato originale, tu affermi, in nessun caso avrebbe detto con maggior congruenza: Il peccato si è trasmesso perché tutti sono stati generati dal piacere dei coniugi; ma avrebbe aggiunto: Si è trasmesso in quelli che hanno avuto origine dalla carne corrotta del primo uomo". Non ti rendi conto però che allo stesso modo ti si può dire: Se l'Apostolo parlava della imitazione del peccato, in nessun caso avrebbe detto con maggiore congruenza: Il peccato si è trasmesso perché vi era stato in precedenza il peccato del primo uomo; ma avrebbe aggiunto: Si è trasmesso perché tutti hanno peccato ad imitazione di quell'uno solo. Se in questa circostanza l'Apostolo avesse parlato secondo il tuo o il mio arbitrio, si sarebbe espresso in una di queste due maniere. Ma siccome non ha detto né quello che dici tu né quello che dico io, vorresti forse che nelle sue parole non si intenda né il peccato originale dei cattolici, né il peccato d'imitazione dei pelagiani? Penso che non voglia questo. Metti da parte dunque quelle cose che possono essere dette con la stessa forza dall'una e dall'altra parte e, se non ti dispiace esaminare senza contese ciò che l'Apostolo ha detto, considera cosa faceva per poterlo dire. Scoprirai che attraverso un solo uomo l'ira di Dio è arrivata sul genere umano ed attraverso un solo uomo arriva la riconciliazione con Dio di quelli che gratuitamente sono liberati dalla condanna di tutto il genere umano. Quello è il primo Adamo, fatto dalla terra, questo è il secondo Adamo fatto da una donna. Lì per mezzo del Verbo è stata creata la carne; qui il Verbo stesso si è fatto carne, affinché per la sua morte potessimo vivere noi che eravamo morti perché l'avevamo lasciato. Ma Dio, scrive l'Apostolo, dimostra il suo amore verso di noi per il fatto che Cristo è morto quando si era ancora peccatori. A maggior ragione quindi ora che siamo stati riconciliati nel suo sangue saremo salvi dall'ira divina per suo merito. ( Rm 5,8-9 ) 24.78 - A causa di un solo uomo l'ira di Dio sul genere umano Di quest'ira egli dice: Eravamo così per natura figli dell'ira, alla stessa maniera degli altri. ( Ef 2,3 ) Di essa il profeta Geremia dice: Maledetto il giorno in cui sono nato, ( Ger 20,14 ) ed il santo Giobbe: Perisca il giorno nel quale fui generato, ( Gb 3,3 ) ed ancora in un altro passo: L'uomo, nato da una donna, ha una vita breve e piena di affanni. Come un fiore sboccia e appassisce; fugge come l'ombra e non si arresta; sopra di lui tieni gli occhi aperti e lo citi in giudizio con te. Chi mai potrà uscire puro dall'immondizia? Nessuno, anche se la sua vita sarà di un solo giorno. ( Gb 14,1-5 sec. LXX ) Il libro dell'Ecclesiastico di quest'ira dice: Ogni uomo s'invecchia come una veste; c'è un decreto da sempre: morrai! ( Sir 14,18 ) ed ancora: Dalla donna ha avuto origine il peccato e per essa tutti moriamo; ( Sir 25,33 ) ed ancora: Un gravame ha assegnato Dio e un giogo pesante è sui figli dell'uomo, dal giorno nel quale sono usciti dal seno della madre fino al giorno nel quale ritorneranno alla madre di tutti. ( Sir 40,1 ) Sempre di quest'ira l'Ecclesiaste aggiunge: O vanità delle vanità, tutto è vanità. Che vantaggio ricava l'uomo da tutta la pena per cui fatica sotto il sole? ( Qo 1,2-3 ) e l'Apostolo ribatte: Ogni creatura è stata sottomessa alla vanità. ( Rm 8,20 ) Per quest'ira il Salmo piange: Ecco, di due palmi hai fatto i miei giorni e la mia vita è nulla dinanzi a te. Sì, ogni uomo è costituito da un puro soffio, ( Sal 39,6 ) ed un altro Salmo: I loro anni sono come cose da nulla: al mattino sono come erba che cresce; al mattino fiorisce e ricresce; a sera avvizzisce e si affloscia. Infatti siamo consunti dalla tua ira e siamo atterriti dalla tua destra. Hai posto le nostre colpe davanti a te, i nostri segreti nella luce del tuo volto. Perché tutti i nostri giorni sono svaniti per il tuo furore, abbiamo compiuto i nostri anni come un sospiro. ( Sal 90,5-9 ) 24.79 - Nessuno è liberato dall'ira di Dio se non per mezzo di Cristo Nessuno potrà essere liberato da quest'ira se dal Mediatore non sarà riconciliato con Dio. Proprio per questo motivo lo stesso Mediatore dice: Chi si rifiuta di credere al Figlio non vedrà la vita, ma la collera di Dio incombe su di lui. ( 1 Gv 3,36 ) Bada che non ha detto "incomberà", ma incombe su di lui. Gli adulti, dunque, per mezzo della propria mente e della propria bocca e i bambini per mezzo di quella degli altri credono e professano di dover essere riconciliati con Dio per mezzo della morte del Figlio suo, affinché l'ira di Dio non incomba su di essi, che sono stati resi colpevoli anche a causa dell'origine viziata. Parlando di essa Paolo scrive: Cristo è morto per noi quando si era ancora peccatori. A maggior ragione quindi ora che siamo stati riconciliati nel suo sangue saremo salvi dall'ira divina per suo merito. Se infatti fummo riconciliati con Dio mediante la morte del Figlio suo quando gli eravamo nemici, a più forte ragione ora, riconciliati ormai con lui, saremo salvi nella sua vita. E non solo siamo riconciliati, ci gloriamo altresì in Dio per il Signore nostro Gesù Cristo, grazie al quale abbiamo ora ottenuto la riconciliazione. È vero, per opera di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e attraverso il peccato la morte; così la morte passò su tutti gli uomini, perché tutti peccarono in lui. ( Rm 5,8-12 ) Ci è manifesto quindi cosa faceva l'Apostolo per dire questo. Andate ora voi e sottraete i bambini a questa riconciliazione che avviene per mezzo della morte del figlio di Dio, che è venuto nel mondo senza peccato, cosicché l'ira di Dio rimanga su di essi a causa di colui per il quale il peccato entrò nel mondo. Come si può parlare di imitazione quando leggiamo: Il giudizio che tenne dietro a quel solo peccato si conchiuse con una condanna, ma l'opera di grazia che venne dopo le tante colpe si conchiuse con la giustificazione? ( Rm 5,16 ) Perché abbiamo la grazia della giustificazione dopo le tante colpe, se non perché oltre a quel primo peccato di origine ha trovato da distruggere molti altri che se n'erano aggiunti? Diversamente, anche la condanna avrebbe dovuto derivare dalle molte colpe che gli uomini avevano commesso ad imitazione del primo, così come da essi era arrivata la giustificazione dopo le tante colpe, perdonate le quali, essi respiravano in grazia. Ma siccome era sufficiente solo quello perché ci fosse la condanna, mentre alla grazia non era sufficiente distruggere solo quello perché ci fosse la giustificazione con la remissione di tutti i peccati, è stato scritto: Il giudizio che tenne dietro a quel solo peccato si conchiuse con una condanna ma l'opera di grazia che venne dopo le tante colpe si conchiuse con la giustificazione. Come i bambini, pur non potendo ancora imitare Cristo, possono appartenere alla sua grazia spirituale, così, senza l'imitazione del primo uomo, sono legati da lui attraverso il contagio della generazione carnale. Se poi pretendi che siano estranei a peccato del primo uomo perché non lo hanno imitato con la propria volontà, per la medesima ragione dovrai dire che sono estranei alla giustizia di Cristo perché neppure lui hanno imitato con la propria volontà. 24.80 - Tutti muoiono in Adamo, tutti sono vivificati in Cristo Riguardo poi al fatto che non vuoi dare al molti, detto in un secondo tempo, il senso di tutti, detto in precedenza, ritenendo che "sia stata usata la parola "molti" per non indicare "tutti"", potrai dire la stessa cosa del seme di Abramo a cui erano state promesse tutte le genti. ( Gen 22,18 ) Potrai dire infatti che non è vero che gli sono state promesse tutte le genti perché di lui in un altro passo si dice: Ti ho fatto padre di molte genti. ( Gen 17,5 ) Un sano intelletto tuttavia ci dimostra che la Scrittura ha parlato così perché il "tutti" può non significare "molti", come quando diciamo "tutti" i Vangeli ed indichiamo un piccolo numero soltanto, quattro per la precisione. Così pure "molti" talvolta può non significare "tutti" come quando diciamo che "molti" credono in Cristo, e tuttavia non "tutti" credono. Non tutti aderiscono alla fede, ( 2 Ts 3,2 ) dice infatti l'Apostolo. Nelle espressioni invece: Saranno benedette, per la tua discendenza, tutte le nazioni, e: Padre di molte nazioni, è dimostrato che "tutte" e "molte" hanno lo stesso valore. Così, quando è stato detto che per opera di un solo uomo il peccato è entrato in tutti e, dopo, che la disobbedienza di uno solo molti sono stati costituiti peccatori, "tutti" e "molti" hanno lo stesso valore. Parimenti nelle espressioni: Per l'opera di giustizia di uno solo perviene a tutti gli uomini la giustificazione che dà la vita, e: Per l'obbedienza di uno solo molti sono stati costituiti giusti, ( Rm 5,12.18.19 ) senza alcuna eccezione, a "molti" bisogna dare il significato di "tutti", non perché tutti sono giustificati in Cristo, ma perché tutti quelli che sono giustificati non possono essere giustificati se non in Cristo. Possiamo in tal modo affermare che in una casa tutti entrano per una sola porta, non nel senso che tutti entrano in quella casa, ma nel senso che quelli che vi entrano non possono entrarvi se non per quella porta. Tutti quindi alla morte per opera di Adamo, tutti alla vita per opera di Cristo. Difatti: Come tutti muoiono in Adamo, così pure tutti in Cristo saranno richiamati in vita, ( 1 Cor 15,22 ) vale a dire che dall'origine del genere umano nessuno va alla morte se non per opera di Adamo, e che per opera di Adamo non si può andare se non alla morte, e viceversa nessuno va alla vita se non attraverso Cristo e attraverso Cristo non si può andare se non alla vita. 24.81 - I pelagiani sono nemici della religione cristiana Voi invece, volendo intendere che non "tutti", ma soltanto "molti" sono stati condannati per opera di Adamo o sono stati liberati per opera di Cristo, con la vostra orrenda perversità vi rendete nemici della religione cristiana. Qualora fosse possibile ad alcuni salvarsi senza Cristo, oppure essere giustificati senza Cristo, egli sarebbe morto inutilmente. Ci sarebbe stata infatti, come voi dite, un'altra via nella natura, nel libero arbitrio, nella legge naturale o in quella scritta, attraverso cui avrebbero potuto salvarsi ed essere giustificati quelli che lo avessero voluto. Chi mai avrebbe potuto escludere dal regno di Dio le giuste immagini di Dio, se non un ingiusto? Potrai forse affermare che attraverso Cristo si entra più facilmente. Non si potrebbe dire ugualmente della legge: la giustizia si ha per la legge, ma più facilmente per Cristo? L'Apostolo tuttavia ha detto: Se la giustizia si ottiene mediante la legge, Cristo allora è morto inutilmente. ( Gal 2,21 ) Oltre all'unico Mediatore tra Dio e gli uomini, un uomo, Cristo Gesù, ( 1 Tm 2,5 ) non c'è sulla terra altra persona per la cui opera è necessario che siamo salvati. ( At 4,12 ) È stato scritto: Tutti in Cristo saranno richiamati in vita, proprio perché in lui, risuscitandolo dai morti, ( At 17,31 ) Dio ha fissato la fede per tutti. Il vostro domma invece, con la predicazione della natura innocente, della potenza del libero arbitrio, della legge naturale o di quella data da Mosè, cerca di persuadere che per avere la salvezza eterna, quantunque se ne senta il bisogno, non è necessario passare attraverso Cristo. Questo perché il sacramento della sua morte e risurrezione ( ammesso pure che lo crediate ), rende la via più comoda, ma non esclude che ve ne possa essere un'altra. Pensando quanto i cristiani vi debbano detestare per questo motivo, rinunciate al vostro errore anche se noi stiamo zitti. 25.82 - La testimonianza di Ez 18,2 nella questione del peccato originale Come estremo e fortissimo baluardo della tua causa hai voluto che ci fosse la testimonianza del profeta Ezechiele, nella quale asseriva che non avrebbe più dovuto esservi il proverbio: I padri mangiano uva acerba e i figli ne hanno i denti allegati, e che i figli non avrebbero dovuto morire per le colpe dei padri, né i padri per quelle dei figli, ma ognuno avrebbe dovuto morire per i peccati propri. ( Ez 18,2-4 ) Non capisci che qui si ha la promessa del Nuovo Testamento e della eredità spirituale, che si riferisce all'altro secolo. Il compito della grazia del Redentore è quello di cancellare il "paterno chirografo" ( Col 2,14 ) e far sì che ognuno renda conto di se medesimo. Del resto, chi può numerare le innumerevoli testimonianze della Sacra Scrittura, nelle quali i peccati dei padri obbligano i figli? Per qual motivo Cam ha commesso il peccato e la vendetta è stata scaricata su suo figlio Canaan? ( Gen 9,22-25 ) Perché mai per il peccato di Salomone, il figlio fu punito con la diminuzione del regno? ( 1 Sam 12 ) Perché la punizione dei peccati di Acab, re d'Israele, è stata differita ai suoi posteri? ( 1 Sam 21 ) Perché mai si legge nei Libri sacri: Che punisce la colpa dei padri sui figli di coloro che mi odiano ( Ger 32,18 ) …, che punisce la colpa dei padri sui figli fino alla terza e alla quarta generazione, ( Es 20,5 ) espressione con la quale si può intendere un numero indefinito di anni? Sono false queste cose? Chi lo può dire se non un apertissimo nemico della Sacra Scrittura? La generazione carnale, però, anche quella del popolo di Dio che appartiene al Vecchio Testamento, che genera per la schiavitù, ( Gal 4,24 ) obbliga i figli con i peccati dei genitori. La generazione spirituale invece, al pari dell'eredità, ha mutato con la promessa dei premi la minaccia dei castighi. Prevedendolo nello spirito, i Profeti hanno detto queste cose. In modo più chiaro si è espresso Geremia: In quei giorni non si dirà più: I padri mangiarono l'uva acerba e i denti dei figli ne restarono allegati! Perché certamente ognuno morirà per la sua iniquità, ad ogni uomo che mangi l'uva acerba si allegheranno i denti. ( Ger 31,29-30 ) È chiaro dunque che, nel linguaggio profetico, questo viene preannunciato come lo stesso Nuovo Testamento: dapprima era occulto e poi è stato rivelato per mezzo di Cristo. Ora, affinché le cose che ho ricordate e le numerose altre dette circa i peccati dei genitori che colpiscono i figli, tutte scritte secondo verità e che sembrano contrastare la suddetta profezia, non ci impressionassero, il Profeta stesso scioglie la fastidiosa questione aggiungendo immediatamente dopo: Ecco, verranno giorni - oracolo del Signore - nei quali con la casa d'Israele io concluderò una nuova Alleanza. Non come l'Alleanza che conclusi con i loro Padri. ( Ger 31,31-32 ) In questo Nuovo Testamento, pertanto, dopo che il chirografo è stato cancellato dal sangue del Testatore, l'uomo, con la rinascita, comincia a non essere più soggetto al debito dei genitori, ai quali per nascita era obbligato. Lo stesso Mediatore infatti dice: Non chiamate nessuno padre sulla terra, ( Mt 23,9 ) perché troviamo una nuova nascita con cui non succediamo ai nostri padri, ma viviamo sempre con il Padre. 26.83 - Conclusione dell'intera opera Se non vuoi essere testardo, o Giuliano, puoi constatare che ho risposto a tutto ed ho confutato tutto quello che hai ritenuto di dover discutere nei tuoi quattro libri, per dimostrare che non si deve credere al peccato originale e che non si può incolpare la concupiscenza senza condannare allo stesso tempo il matrimonio. Ti ho dimostrato che all'antico debito paterno non è obbligato soltanto colui che ha cambiato alleanza e padre: adottato egli stesso per grazia, ha trovato un solo coerede per natura. Ti ho dimostrato inoltre che, dopo la morte, la concupiscenza della carne non porta la morte solo a colui che nella morte di Cristo ha trovato la morte, con cui morire al peccato e sfuggire alla morte per cui era nato nel peccato. Uno solo infatti morì per tutti, tutti conseguentemente morirono. ( 2 Cor 5,14 ) È morto per tutti e non ci può essere nessuno che possa vivere senza che per lui sia morto colui che, essendo vivo, è morto per i morti. Negando queste cose, contrastandole, cercando di svellere le fondamenta della fede cattolica, tu spezzi gli stessi nervi della fede cristiana e della vera pietà, e poi hai il coraggio di affermare che hai iniziato una guerra contro gli empi, proprio mentre stai indossando le armi dell'empietà contro la madre che ti ha generato spiritualmente. Hai l'ardire di "aggregarti alla schiera dei Santi Patriarchi, dei Profeti, degli Apostoli, dei Martiri, dei Sacerdoti". Eppure i Patriarchi ti dicono che anche per i bambini sono stati offerti sacrifici per i peccati, ( Lv 12 ) poiché non è immune da peccato neppure il fanciullo di un solo giorno. ( Gb 14,4 sec. LXX ) I Profeti ti dicono: Siamo stati concepiti nelle iniquità ( Sal 51,7 ), e gli Apostoli: Non sapete forse che tutti noi che fummo battezzati in Cristo Gesù, fummo battezzati nella sua morte? ( Rm 6,3 ) Così voi pure consideratevi sì morti al peccato, ma vivi per Dio in Cristo Gesù. ( Rm 6,11 ) A loro volta i Martiri ti ripetono che, dopo essere nati secondo la carne da Adamo, con la prima nascita hanno contratto il contagio dell'antica morte, cosicché nel battesimo ai bambini vengono rimessi non i peccati personali, ma quelli di altri. I Sacerdoti infine ti dicono che, essendo stati formati dal piacere della carne, subiscono il contagio della colpa, prima ancora di ricevere il dono di questa vita. Ed hai la presunzione di associarti a costoro proprio mentre stai cercando di sconfessarne la fede! Hai il coraggio di affermare che saresti sconfitto da una associazione di manichei proprio tu, che li rendi invincibili, a meno che anche tu non sia sconfitto insieme ad essi. T'inganni, figlio, miserevolmente t'inganni, ed anche destabilmente t'inganni! Quando avrai deposta l'animosità che ti tiene avvinto, potrai possedere la verità da cui esser vinto.