Padri/Agostino/DisVari/348a.txt Contro l'eresia Pelagiana 1 - Come i pelagiani storcano il senso del finale del "Padre nostro" Vi domando, fratelli, che cosa credete rispondano i pelagiani quando si contrappongono loro le due richieste del Padre nostro: Rimetti a noi i nostri debiti, come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori, e: Non ci indurre in tentazione. ( Mt 6,12-13 ) Inorridii quando seppi la loro risposta, che non ascoltai direttamente, ma mi fu riferita dal nostro Urbano, il santo confratello che è vescovo con me, presbitero prima in questa Chiesa, e ora vescovo a Sina. Egli mi riferì, al suo ritorno da Roma, di essersi scontrato con uno che condivideva le idee dei pelagiani: egli aveva cercato di metterlo alle strette con l'autorità dell'orazione del Signore, dicendogli che, se noi avessimo la facoltà di non peccare e di vincere tutte le tentazioni di peccato con le sole forze della nostra volontà, non avremmo motivo di chiedere a Dio di non indurci in tentazione; ma si sentì rispondere che noi preghiamo Dio di non indurci in tentazione volendo evitare quei mali che non dipendono da noi, come una caduta da cavallo, una frattura al piede, l'aggressione di un brigante e simili cose. Sosteneva costui che si deve appunto pregare per le cose che non dipendono da noi, ma che, se vogliamo vincere le tentazioni dei peccati, ne abbiamo la possibilità senza ricorrere all'aiuto di Dio. 2 - L'eresia pelagiana è confutata dalle stesse parole di Cristo Voi vedete, fratelli, come sia perversa questa eresia; lo vedete e ne provate tutti orrore. Ma fate attenzione al pericolo di lasciarvene prendere; io conosco a quali cavillosi e tortuosi ragionamenti ricorrano codesti uomini empi che si sono allontanati dalla verità e, già presi da queste idee eretiche, non vogliono darsi vinti. Fate attenzione, vi prego, a quello che hanno escogitato di dire. Dicono che quando noi preghiamo: Non indurci in tentazione, ( Mt 6,13 ) chiediamo che non ci capiti qualcosa che non dipende da noi in quanto riguarda il corpo. Noi dovremmo in tal caso pensare che, quando il Signore disse: Vigilate e pregate per non entrare in tentazione, ( Mt 26,41 ) volesse che noi chiedessimo che ci fosse evitato di romperci un piede o soffrire mal di capo o incorrere in qualche altro guaio. Egli non intendeva certo dire questo, ma ciò che disse a Pietro: Ho pregato per te perché non venga meno la tua fede. ( Lc 22,32 ) Dice: Ho pregato per te, lo dice Dio a un uomo, il Signore al servo, il Maestro al discepolo, il Medico al malato: Ho pregato per te. Non ha pregato perché non gli venga a mancare l'uso di una mano, di un piede, di un occhio, della parola ovvero perché si risolva una paralisi che impedisce l'uso di membra, bensì ha pregato perché non venga meno la tua fede. Invece costoro sostengono che è nostra facoltà che non venga meno la nostra fede. 3 - Si citano le orazioni consuete nella Chiesa e un passo di Paolo Si prega dunque Dio perché ci conceda quello che costoro invece sostengono che non dobbiamo chiedere pregando l'eterna Maestà divina, ma è nostra facoltà avere. Con ciò essi negano valore, senso e forza alle benedizioni che noi pronunciamo su di voi. Siete soliti, credo, fratelli miei, sentirmi dire: " Rivolti al Signore, benediciamo il suo nome; il Signore ci conceda di perseverare nei suoi comandamenti, di camminare sulla via retta dei suoi insegnamenti, di piacergli in ogni opera buona ", e simili altre preghiere. Ma secondo costoro tutto quello che chiediamo con tali preghiere rientra invece nelle nostre facoltà, e quindi è vano questo nostro supplicare per voi. Dobbiamo difendere noi stessi e voi da questo attacco, che toglierebbe valore sia alle benedizioni che pronunciamo per voi sia all'amen con cui voi le confermate. Fratelli miei, il vostro amen è la vostra firma, esprime la vostra conferma e il vostro consenso. Per impedire che qualcuno di costoro riprovi noi e voi, cerchiamo la nostra difesa nell'apostolo Paolo; vediamo se egli non ha espresso per il suo popolo suppliche simili a quelle che esprimiamo noi per voi. Ascoltiamo che cosa ha detto in un suo passo: sarà una citazione breve. Ma prima, se è qui presente qualche seguace della nuova eresia, mi rivolgo a lui direttamente per chiedergli conferma se sostiene proprio che il non peccare è nostra facoltà e che per non peccare non abbiamo bisogno dell'aiuto divino perché ci basta il nostro libero arbitrio. Questo appunto costoro sostengono, e l'interpellato, ecco, lo conferma. Ma allora gli metto davanti quello che dice l'Apostolo scrivendo ai Corinzi: Preghiamo Dio perché non facciate nulla di male. ( 2 Cor 13,7 ) Avete fatto attenzione e avete udito e, poiché l'Apostolo è molto chiaro, avete appreso e capito quello che egli dice: Preghiamo Dio perché non facciate nulla di male. Avrebbe potuto dire: Vi ammoniamo di non fare del male, o: Vi insegniamo a non fare del male, o anche: Vi ordiniamo, vi prescriviamo. Esprimendosi in quest'altro modo, avrebbe dichiarato che anche la nostra volontà vale; e certo a qualcosa vale anche la nostra volontà, ma non basta da sola. Egli però ha preferito dire: preghiamo, per sottolineare proprio il valore della grazia, volendo far capire ai suoi che, quando non fanno nulla di male, non operano solo con la loro volontà, ma con l'aiuto di Dio mettono in pratica quello che lui ha comandato. 4 - Riconoscere il libero arbitrio non comporta la negazione della grazia L'arbitrio della nostra volontà è confermato dal fatto che ci sono dati dei precetti, ma il fatto che l'adempimento dei precetti è oggetto di preghiera conferma l'aiuto della grazia. L'una e l'altra cosa è presente nella Scrittura: si danno comandamenti e si levano suppliche, e si chiede con suppliche proprio quello che viene comandato. Seguitemi in ciò che dico. Ci viene dato il comando di capire. Come ci viene comandato di capire? Lo ascoltiamo nel Salmo: Non siate come il cavallo e il mulo che sono privi di intelligenza. ( Sal 32,9 ) Avete sentito che ci è dato il comando di chiedere per mettere in pratica quello che ci è comandato. Ed è ancora la Scrittura a insegnarci come chiederlo. Dalla Scrittura ascoltiamo il comando: Non siate come il cavallo e il mulo che sono privi di intelligenza, e in quanto ci viene dato un comando, è riconosciuta la nostra volontà. Ascoltiamo anche la preghiera che ci fa riconoscere la grazia: Fammi capire e imparerò i tuoi comandi. ( Sal 119,73 ) Ci è stato comandato di aver saggezza: anche questo comando lo leggiamo nella Scrittura. " Dove lo leggiamo? ". Prestate ascolto: Voi, insensati tra il popolo, stolti, ragionate da saggi una buona volta! ( Sal 94,8 ) A questo punto quell'eretico, qui presente, mi farebbe rilevare che il fatto che Dio ci comandi di essere saggi, conferma che è in nostro potere esserlo. E sono d'accordo, come già ho detto: ho ascoltato il precetto e ho riconosciuto la parte della nostra volontà; ma, io dico, si ascolti anche la preghiera che fa riconoscere la parte della grazia. Quanto alla sapienza che ci è comandata ascoltiamo che cosa ci dice l'apostolo Giacomo: Se qualcuno di voi non è saggio, chieda la saggezza a Dio, il quale dona a tutti generosamente. ( Gc 1,5 ) Ci è dato anche il comando della continenza; lo scrive a Timoteo l'Apostolo: Consèrvati puro. ( 1 Tm 5,22 ) É un comando, un ordine: lo dobbiamo ascoltare e osservare. Ma se non ci aiuta Dio, noi non riusciamo. Tentiamo di farcela con la volontà, e la volontà si adopera quanto può, ma non presumiamo di avere la capacità di riuscire, se la nostra debolezza non è sostenuta. Se in un passo della Scrittura è dato il precetto: Consèrvati puro, in un altro passo si legge: Sapendo che nessuno può conservare la continenza se Dio non la concede - ed era proprio della sapienza sapere da chi viene tale dono -, mi rivolsi al Signore e lo pregai. ( Sap 8,21 ) Ecco che cosa fa. Non v'è bisogno di molte altre citazioni, fratelli miei: ogni precetto che ci viene dato dobbiamo chiedere con la preghiera di poterlo osservare, senza però abbandonarci all'inerzia e restare supini, non volendo proprio far nulla da parte nostra e chiedendo a Dio di farci piovere il cibo in bocca, e poi anche di farcelo deglutire, se il cibo è così abbondante che noi non ci riusciamo. É necessario che anche noi ci adoperiamo e facciamo qualche sforzo; per quello che ci riesce di fare, dobbiamo rendere grazie; per quello che non ci riesce, dobbiamo pregare. Ringraziando, evitiamo di peccare di ingratitudine, e chiedendo quello che ancora ci manca, evitiamo di restarne privi, impediti dalla nostra incapacità. 5 - Velenosa obiezione dei pelagiani. Fu assolto Pelagio, non la sua eresia Riflettete dunque, fratelli miei, su quelle cose che vi ho detto. E qualora si avvicini a voi qualcuno a dirvi che l'ammettere che nulla è in facoltà nostra se non ci viene dato da Dio, porterebbe a concludere che il premio finale dovrebbe essere dato da Dio a se stesso, non a noi, voi ormai sarete in grado di individuare la provenienza di tale discorso: esso fluisce da una vena di veleno, una vena malata in seguito alla ferita del serpente. Oggi Satana cerca di cacciare fuori dalla Chiesa per mezzo del veleno degli eretici, così come un tempo ci cacciò fuori dal paradiso col veleno del serpente. Nessuno dica che l'autore dell'eresia fu assolto dai vescovi. Questi diedero l'approvazione alla dichiarazione di lui, che fu propriamente una correzione, e la diedero perché risultarono pienamente cattoliche le affermazioni da lui fatte alla presenza dei vescovi; però i vescovi che lo assolsero non conoscevano quello che egli aveva scritto nei suoi libri. Può darsi che egli si fosse corretto. Quanto a lui come persona, non si deve disperare della sua salvezza: forse preferì mettersi in accordo con la fede cattolica ricorrendo alla grazia e all'aiuto che da essa ci viene. Chissà che non sia avvenuto così. Ma in ogni caso non fu assolta l'eresia ma fu assolto l'uomo che la rifiutava.