Padri/Agostino/EspSalmi/102_2.txt Salmo 102 (101) Discorso 2 1 - Il salmo contiene un invito alla consolazione Nella giornata di ieri abbiamo ascoltato il gemito e la preghiera di un povero, scoprendo che egli era colui che, pur essendo ricco, si è fatto povero per noi, ( 2 Cor 8,9 ) e che a lui erano unite le membra e parlavano per bocca del loro capo. Lì abbiamo infatti visto anche noi stessi, seppure per la sua grazia contiamo qualcosa anche noi. Inoltre, erano ormai terminate le parole esprimenti il gemito ed era cominciata la parte consolatoria. Ma ieri non ci è stato possibile terminarne l'esposizione, ed oggi, in quel che rimane da trattare, dobbiamo ascoltare non più il povero che effonde i suoi gemiti, ma il povero che gode, e gode perché spera, e spera perché nulla presume di sé. Questo povero, dopo aver preannunciato negli scritti di Dio la felicità delle cose umane, aveva aggiunto: Si scrivano queste cose per la generazione seguente, ed il popolo che sarà creato darà lode al Signore. Poiché egli ha riguardato dalla sacra sua altezza. Il sermone di ieri è stato condotto fino a questo punto. Ascoltate ora quello che segue. 2 - [vv 20-22.] I ceppi del timore salutare Il Signore dal cielo ha riguardato sulla terra, per ascoltare il gemito dei prigionieri in ceppi, per sciogliere i figli dei condannati a morte. Abbiamo trovato scritto in un altro salmo: Giunga fino al tuo cospetto il gemito dei prigionieri in ceppi: ( Sal 79,11 ) Ciò è detto in un passo, riferentesi alla voce dei martiri. E perché i martiri sono prigionieri messi in ceppi? Non è più esatto dire che sono dei prigionieri incatenati? Sappiamo infatti che i santi martiri di Dio, trascinati dietro i giudici e vaganti di provincia in provincia, erano messi in catene, mentre non ci risulta che erano messi in ceppi. Conosciamo anche i ceppi rappresentati dalla disciplina di Dio e dal timore di Dio, del quale appunto sta scritto: Il timore del Signore è l'inizio della sapienza. ( Sir 1,16 ) Animati infatti da questo timore, i servi di Dio non ebbero timore di coloro che uccidono il corpo, ma non possono uccidere l'anima; essi avevano timore solo di colui che ha il potere di uccidere l'anima ed il corpo nel fuoco della geenna. ( Mt 10,28 ) Del resto, se i martiri non fossero stati legati ai ceppi di questo timore, avrebbero avuto la forza di sopportare tutti gli aspri e penosi tormenti inflitti loro dai persecutori, pur avendo la possibilità di subire le imposizioni ed anche di sfuggire ai loro patimenti? Ma Dio li aveva legati con questi ceppi, certo temporaneamente aspri e penosi, eppure degni di essere sopportati in base alle promesse fatte da colui, al quale è detto: A motivo delle parole delle tue labbra io ho battuto le vie aspre. ( Sal 17,4 ) Proprio stando in questi ceppi bisogna gemere al fine di ottenere la misericordia di Dio; per questo nell'altro salmo ci è presentata la voce dei martiri: Giunga fino al tuo cospetto il gemito dei prigionieri in ceppi. Né si deve, d'altra parte, rifuggire da questo tipo di ceppi per ricercare una libertà che riuscirebbe funesta e un godimento nel corso della breve vita terrena, cui seguirebbe un'eterna amarezza. Per tale ragione la Scrittura ci esorta a non rifiutare i ceppi della vera sapienza, parlandoci così: Ascolta, o figlio, ed accogli il mio parere, e non respingere il mio consiglio: metti il tuo piede nei ceppi di lei ed il tuo collo nella sua catena. Piega la tua spalla e portala, e non avere in odio i suoi legami. Con tutta la tua anima accostati a lei, e con tutte le tue forze segui le sue vie. Indaga e ricerca, ed essa ti si farà nota; divenuto continente, non lasciarla più. Alla fine infatti in lei troverai il riposo, e ti si volgerà in diletto, ed i suoi ceppi saranno per te una solida protezione, e le sue catene un manto glorioso. In lei infatti è uno splendore d'oro, e i suoi legami sono fili di porpora: qual manto glorioso la vestirai, e quale corona fulgida la cingerai. ( Sir 6,24-32 ) Si levi dunque il grido dei prigionieri in ceppi, mentre si trovano stretti dai vincoli della disciplina di Dio, la quale costituisce l'assiduo travaglio dei martiri. Si spezzeranno allora i ceppi e voleranno in aria, per trasformarsi successivamente in tanti segni d'ornamento. Questo è avvenuto dei martiri. Che ottennero infatti i persecutori, mettendoli a morte? Una cosa sola: che si spezzassero quei ceppi e si trasformassero in corone di gloria. 3 - Il potere che ha la Chiesa di rimettere i peccati È vero dunque che il Signore ha riguardato dal cielo per ascoltare il gemito dei prigionieri in ceppi, per sciogliere i figli dei condannati a morte. Quelli sono i condannati a morte. Ma chi sono i figli dei condannati a morte? Siamo noi. E come noi siamo sciolti? Lo siamo nel momento in cui diciamo al Signore: Hai spezzato le mie catene; a te offrirò un sacrificio di lode. ( Sal 116,16-17 ) Ciascuno di noi infatti viene sciolto dalle catene dei desideri malvagi o dai nodi dei propri peccati: la remissione dei peccati è appunto uno scioglimento di vincoli. Pensate: che vantaggio poteva rappresentare per Lazzaro il fatto di essere uscito dalla tomba se il Signore non diceva per lui: Scioglietelo e lasciatelo andare? ( Gv 11,44 ) Fu egli infatti a farlo levare dal sepolcro con la sua voce, fu egli a ridargli l'anima con l'alto suo grido, fu egli a superare il masso di pietra che gravava sul sepolto, onde questi, pur legato, poté uscirne e non già con la forza dei suoi piedi, ma per la virtù di chi lo traeva al di fuori. Questo si verifica nel cuore dell'uomo penitente: quando senti dire che uno si pente dei propri peccati, è già ritornato alla vita; quando senti dire che con la sua confessione mette a nudo la propria coscienza, è già tratto fuori dal sepolcro, pur se ancora non è sciolto. E quando e da chi viene sciolto? Quel che avrete sciolto sulla terra - sta scritto - sarà sciolto anche in cielo. ( Mt 16,19 ) È esatto affermare che la Chiesa può accordare lo scioglimento dai vincoli del peccato, ma il ritorno di un morto alla vita non può di per sé avvenire se il Signore interiormente non grida: è un'azione che Dio compie direttamente nell'interno del cuore. Noi ora parliamo alle vostre orecchie, ma come possiamo conoscere ciò che si compie nei vostri cuori? Ciò che si compie interiormente, è compiuto non da noi, ma solo da lui! 4 - Nella Chiesa si annunzia il nome del Signore Il Signore dunque ha riguardato per sciogliere i figli dei condannati a morte. Avete sentito chi sono i condannati a morte e chi sono i loro figli. E che cosa si dice dopo? Perché in Sion sia annunziato il nome del Signore. Dapprima infatti la Chiesa fu perseguitata, quando appunto venivano messi a morte i prigionieri in ceppi; ma dopo tali persecuzioni viene annunziato sul Sion il nome del Signore: è un annunzio che risuona in piena libertà nel seno stesso della Chiesa. È questa infatti il vero Sion: non già quel luogo prima tanto eccellente, che fu poi ridotto in servitù, ma il Sion, di cui era immagine l'altro Sion che significa contemplazione. La ragione è che noi, mentre ancora viviamo nel corpo, volgiamo lo sguardo alle cose che ci stanno davanti, spingendoci non verso il presente e l'attuale, ma verso ciò che è futuro. Da qui nasce la contemplazione. Difatti ogni osservatore guarda in lontananza e si chiama appunto osservatorio il luogo in cui si pongono le sentinelle. Tali osservatori sono collocati sopra i massi, sopra i monti, sopra gli alberi, sempre al fine di poter vedere in lontananza da una posizione elevata. Sion vale dunque contemplazione, e tale è anche la Chiesa. Ma perché contemplazione? Vedere in lontananza: ecco la contemplazione. Sta scritto: Il lavoro è dinanzi a me, finché io non entri nel santuario di Dio e comprenda le cose ultime. ( Sal 73,16-17 ) E come c'entra la contemplazione nel comprendere le cose ultime? È come attraversare il mare con lo sguardo, senza navigare, ed abitare agli estremi confini del mare: ( Sal 139,9 ) il che significa porre la speranza in ciò che avverrà dopo la fine del mondo. Se dunque la Chiesa è contemplazione, in essa già viene annunziato il nome del Signore. In questo Sion non solo viene annunziato il nome del Signore, ma anche - si aggiunge - la sua lode in Gerusalemme. 5 - [v 23.] E in che modo viene annunziato? Nell'adunarsi insieme dei popoli e dei regni per servire il Signore. Come tutto questo è avvenuto? È avvenuto grazie al sangue dei condannati a morte e grazie al gemito dei prigionieri in ceppi. È dunque vero che furono esauditi quanti vissero nella persecuzione e nella umiliazione: grazie ad essi la Chiesa ha acquistato ai nostri tempi la grande gloria, di cui siamo spettatori, e per cui gli stessi regni, che scatenavano le persecuzioni, si volgono ormai a servire il Signore. 6 - [v 24.] Alla predicazione evangelica si risponda con fede operosa Ha risposto a lui nella via della sua fortezza. A chi ha risposto? Al Signore. E chi ha risposto? Dobbiamo vederlo sopra, dove leggiamo: E la sua lode in Gerusalemme; nell'adunarsi insieme dei popoli e dei regni per servire il Signore. ( Sal 102,22-23 ) Ha risposto a lui nella via della sua fortezza. Ma che cosa ha risposto e chi ha risposto al Signore nella via della sua fortezza? Cerchiamo quindi di sapere anzitutto chi gli ha risposto, per chiederci poi quale sia la via della sua fortezza. Le parole che precedono ci indicano che a lui hanno risposto o la sua lode o Gerusalemme. Leggevamo infatti: E la sua lode in Gerusalemme; nell'adunarsi insieme dei popoli e dei regni per servire il Signore. Come soggetto di ha risposto a lui non possiamo mettere " i regni ", perché in questo caso troveremmo hanno risposto. E neppure possiamo mettere " i popoli ", perché anche in questo caso troveremmo hanno risposto. Essendo dunque il verbo ha risposto a lui al singolare, cerchiamo in quel che precede il numero singolare, ma non troviamo altro che questo: o la sua lode o Gerusalemme. E poiché l'incertezza rimane ( la sua lode o Gerusalemme? ), dobbiamo esaminare l'una e l'altra possibilità. In che modo al Signore ha risposto la sua lode? Quando gli rendono grazie coloro che da lui sono stati chiamati. Egli infatti chiama, e noi gli rispondiamo non con la voce, ma con la fede, e non con la lingua, ma con la vita. Pensa: se Dio ti chiama e ti comanda di vivere bene, ma intanto tu vivi male, non rispondi certo alla sua chiamata né risponde a lui la sua lode a motivo di te, poiché vivi non già in modo che egli sia lodato, ma piuttosto in modo che per causa tua sia bestemmiato. Quando invece viviamo in modo che Dio per causa nostra sia lodato, allora davvero a lui ha già risposto la sua lode. Ma per quanti sono stati chiamati e per i suoi santi anche Gerusalemme già gli ha risposto. Difatti anche Gerusalemme fu oggetto della divina chiamata, ma la prima Gerusalemme si rifiutò di ascoltare, sicché le fu detto: Ecco, la vostra casa vi sarà lasciata deserta. Gerusalemme, Gerusalemme ( questo il grido che rimane senza risposta ), ( … ) quante volte ho voluto raccogliere insieme i tuoi figli, come la gallina raccoglie sotto le ali i suoi pulcini, e tu non hai voluto! ( Mt 23,38 ) Nessuna risposta: cade la pioggia dal cielo, ma invece dei flutti spuntano fuori le spine. Ma ben diversa è la posizione dell'altra Gerusalemme, della quale fu detto: Rallegrati, o sterile che non partorisci; prorompi e grida, tu che non hai doglie, perché molti sono i figli della derelitta, ben più di quelli di colei che ha marito! ( Is 54,1; Gal 4,27 ) Essa gli ha davvero risposto. Che cosa significa questo? Significa che essa non ha disprezzato colui che la chiamava. Che cosa significa questo? Significa che il Signore ha piovuto dal cielo ed essa ha prodotto i suoi frutti. 7 - La fede in Cristo risorto nota distintiva della vera Chiesa Ha risposto a lui, ma dove? Nella via della sua fortezza. Forse gli ha risposto in, se stessa? Ma che sarebbe in se stessa e che voce avrebbe in sé e di per sé? Non avrebbe altro che la voce del peccato e dell'iniquità! Esamina la voce di lei e non troverai altro che questo in gran quantità: Io ho detto: Signore, abbi pietà di me: risana l'anima mia, perché contro di te ho peccato. ( Sal 41,5 ) Resta però che, se è stata giustificata, a lui ha risposto non per proprio merito, ma per dono di lui. E dove? Nella via della sua fortezza. Si tratta di Cristo, si tratta proprio di lui che ha detto: Io sono la via, la verità e la vita. ( Gv 14,6 ) Ma egli prima della risurrezione non venne riconosciuto dal suo popolo e soprattutto quando fu crocifisso per la sua debolezza restò nascosto nel suo vero essere, finché risorgendo non manifestò la sua forza. ( 2 Cor 13,4 ) È chiaro pertanto che la Chiesa non gli ha risposto nella via della sua debolezza, ma nella via della sua fortezza: è stato dopo la sua risurrezione che egli ha chiamato la Chiesa da tutte le parti del mondo, quando era non più debole sulla croce, ma forte nel cielo. Ed infatti il vanto della fede dei Cristiani non consiste nel credere che Cristo è morto, ma nel credere che Cristo è risorto. Che egli sia morto lo credono anche i pagani, anzi è proprio questo il delitto che ti rimproverano: il fatto che tu hai creduto in un morto. In che consiste dunque il tuo vanto? È nel credere che Cristo è risorto e nello sperare che tu risorgerai per mezzo di Cristo. Tale è l'autentico vanto della fede. Se infatti crederai nel tuo cuore che Gesù è il Signore e confesserai con la tua bocca che Iddio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo. ( Rm 10,9-10 ) Non si dice: se confesserai che Dio lo ha consegnato ai nemici perché fosse ucciso, ma: Se confesserai che Iddio lo ha risuscitato dai morti, allora sì che sarai salvo. Con il cuore infatti si crede per la giustizia, mentre con la bocca si fa confessione per la salvezza. Ma perché allora crediamo anche che Gesù è morto? Per la semplice ragione che non potremmo credere che egli è risorto, se non credessimo che prima era morto. Ed infatti uno come potrebbe risorgere, se mai non è morto? E come uno potrebbe svegliarsi, se prima non si è addormentato? Sta scritto però: Forse colui che dorme, non tornerà poi a risorgere? ( Sal 41,9 ) Tale è la fede dei cristiani, ed è proprio in questa fede, per la quale si è adunata la Chiesa, molti sono i figli - come si diceva - della derelitta ben più di quelli di colei che ha marito. ( Is 54,1; Gal 4,27 ) Ed allora ha risposto a lui significa che la Chiesa ha reso lode al Signore secondo i precetti da lui dati; nella via della fortezza di lui, e non già nella via della sua debolezza. 8 - Fatuità della logica donatista Quanto al modo in cui gli ha risposto, l'avete sentito prima: nell'adunarsi insieme dei popoli e dei regni per servire il Signore. ( Sal 102,23 ) Gli ha dunque risposto in un modo preciso: con la sua unità. Chi invece è fuori dell'unità, non gli risponde. Egli infatti è uno e la Chiesa è unità: all'uno non può rispondere altro che l'unità. Ma ecco che si fanno avanti alcuni, i quali dicono: " Questo è già avvenuto: la Chiesa gli ha risposto attraverso tutte le genti, generando ben più figli di colei che aveva marito; sì, gli ha risposto nella via della sua fortezza, perché ha creduto che Cristo è risorto ed in Cristo hanno creduto tutte le genti; ma quella Chiesa, cui appartennero tutte le genti, ormai non esiste più: è andata distrutta ". Questo dicono coloro che sono fuori della Chiesa ed è un'affermazione davvero impudente. Forse essa non esiste perché tu ne sei fuori? Sta' dunque attento che non sia tu a non esistere; essa esisterà anche se tu ne sei fuori! Tale affermazione abominevole e odiosa, tanto presuntuosa quanto falsa, non certo fondata sulla verità né suggerita dalla saggezza né ispirata alla più elementare prudenza, inutile e temeraria, avventata e dannosa, fu prevista dallo Spirito di Dio, allorché parlando - si direbbe - contro quegli uomini annunziava l'unità della Chiesa: Nell'adunarsi insieme dei popoli e dei regni per servire il Signore. Perciò l'aggiunta: Ha risposto a lui rappresenta un elogio per la Chiesa, in quanto si riferisce a quella Gerusalemme, la nostra madre, che sarà un giorno richiamata dalle vie dell'esilio, davvero prolifica per i tanti figli che ha generato ben più di colei che aveva marito. E poiché alcuni si sarebbero levati a contraddire: " Essa è esistita; ma ora non esiste più ", si dice: Fammi conoscere l'esiguità dei miei giorni. Che cos'è - sembra dire la Chiesa - quello che certi sconosciuti, mentre da me si allontanano, vanno mormorando contro di me? Che cosa vogliono questi uomini perduti che van sostenendo che io sono perduta? Dicono davvero così, che io sono esistita e più non esisto: Fammi conoscere l'esiguità dei miei giorni. Io non ti chiedo di conoscere i giorni eterni: essi non hanno fine e sono là dove sarò anch'io. Non chiedo di conoscere quei giorni, ma quelli del tempo presente, ed allora sii tu a farmeli conoscere: Fammi conoscere l'esiguità dei miei giorni, non l'eternità degli altri miei giorni. Fammeli conoscere per tutto il tempo che starò in questo mondo, perché ci sono quelli che dicono: "Essa è esistita, ma ora non esiste più"; e magari soggiungono: "Le Scritture si sono verificate, tutte le genti hanno creduto, ma la Chiesa di tutte le genti è caduta nell'apostasia ed è andata distrutta". Che significa: Fammi conoscere l'esiguità dei miei giorni? Sì, me l'ha fatta conoscere; questa voce non è davvero mancata. E chi me l'ha fatta conoscere? Colui che è la via. E in che modo me l'ha fatta conoscere? Dicendo: Ecco, io sono con voi fino alla consumazione del mondo. ( Mt 28,20 ) 9 - Alla Chiesa universale, non alle sette, è promessa la perpetuità Ma quei tali si fanno avanti per dire: " Il Signore ha pronunciato quelle parole ( Io sono con voi fino alla consumazione del mondo ), perché guardava a noi nella sua preveggenza, perché ci sarebbe stata sulla terra la sètta di Donato ". Ma è forse questa che ha detto: Fammi conoscere l'esiguità dei miei giorni, o non è piuttosto colei che parlava già prima, affermando: Nell'adunarsi insieme dei popoli e dei regni per servire il Signore? ( Sal 102,23 ) Qual è il motivo che tanto vi affligge? Poiché anche gli imperatori emanano disposizioni contro gli eretici, si è verificata manifestamente tale unione dei regni per servire il Signore. Non siete certo voi i figli di quei condannati a morte, la cui voce dolente di prigionieri in ceppi fu esaudita dal Signore. Tutt'altro: le vostre azioni, la vostra superbia, la vostra vanità stanno lì a dimostrare il contrario. Voi non avete sapore e state fuori della Chiesa: siete come il sale scipito, e per questo gli uomini vi calpestano. ( Mt 5,13 ) Sentite quel che essa dice. Quale Chiesa? Quella che ha riunito insieme i popoli. Quale Chiesa? Quella che ha riunito i regni per servire il Signore. Essa, come sospinta dalle vostre voci e dalle vostre false credenze, si rivolge a Dio chiedendogli che le faccia conoscere l'esiguità dei suoi giorni e scopre che il Signore ha detto: Ecco, io sono con voi fino alla consumazione del mondo. Proprio qui vi attaccate voi: questo il Signore l'ha detto di noi: siamo noi che esistiamo ed esisteremo fino alla consumazione del mondo. Proviamo ad interrogare Cristo stesso, al quale è stato detto: Fammi conoscere l'esiguità dei miei giorni. Egli risponde: E sarà predicato questo Vangelo ( del regno ) in tutto quanto il mondo in testimonianza per tutte le genti; ed allora verrà la fine. ( Mt 24,14 ) Che rimane di quel che prima dicevi: " La Chiesa, sì, una volta è esistita, ma è andata distrutta? " Ascolta il Signore che mi fa conoscere l'esiguità dei miei giorni. Egli dice che sarà predicato questo Vangelo. E dove? In tutto quanto il mondo. E a chi? In testimonianza per tutte le genti. E poi che succederà? Ed allora verrà la fine. Ma non ti accorgi che ci sono tuttora delle genti, alle quali non è stato ancora predicato il Vangelo? Essendo dunque necessario che si adempia ciò che il Signore ha detto rivelando l'esiguità dei miei giorni alla Chiesa, dovendosi cioè predicare questo Vangelo a tutte le genti prima che venga la fine, che senso ha quel che dici quando sostieni che ormai è distrutta la Chiesa di tutte le genti? Ma se il Vangelo è predicato proprio perché possa arrivare a tutte le genti! La Chiesa dunque sussisterà in mezzo a tutte le genti fino alla fine del mondo: ed a questa fine si riferisce l'esiguità dei giorni, perché esiguo è tutto quanto è destinato a finire, ma per passare poi da tale esiguità all'eternità. Periscano gli eretici, periscano in quel che ora sono e si ritrovino ad essere quel che non sono. L'esiguità dei giorni durerà fino alla fine del mondo: la ragione è nel fatto che tutto il tempo presente - e lo intendo non solo da questo giorno fino alla fine del mondo - ma da Adamo fino alla fine del mondo non è che una goccia esigua in confronto all'eternità. 10 - [v 25.] L'eternità di Dio e la relatività dell'uomo Perciò, non devono lusingarsi gli eretici nella loro avversione per me, perché ho parlato dell'esiguità dei miei giorni, come se non fossi destinata a durare fino alla fine del mondo. Che sta aggiunto a queste parole? Non mi richiamare a metà dei miei giorni. Non agire con me nel modo in cui parlano gli eretici. Conducimi e guidami fino alla fine del mondo, non fino alla metà dei miei giorni, e completa tu gli esigui miei giorni per donarmi poi i giorni eterni. Perché dunque hai voluto conoscere l'esiguità dei miei giorni? Perché? Vuoi saperlo? I tuoi anni durano nella generazione delle generazioni. Se io ho voluto conoscere gli esigui miei giorni, è appunto perché essi, pur destinati a durare con me fino alla fine del mondo, sono sempre esigui a paragone dei tuoi giorni: difatti i tuoi anni durano nella generazione delle generazioni. Perché non dice: " I tuoi anni durano nei secoli dei secoli ", secondo la formula usata più frequentemente dalla Sacra Scrittura per designare l'eternità? Perché dice: I tuoi anni durano nella generazione delle generazioni? E quali sono i tuoi anni? Sono certo gli anni che non vengono e passano. Sono gli anni che non vengono, perché poi non siano. Nel tempo di quaggiù davvero ogni giorno viene, perché poi non sia: è così di ogni ora, di ogni mese, di ogni anno; nessuna di queste cose è stabile: prima che venga, sarà, e dopo che è venuta, non sarà più. Quegli anni tuoi dunque, anni eterni, anni che non mutano, dureranno nella generazione delle generazioni. Esiste, possiamo dire, una generazione delle generazioni, ed in essa dureranno i tuoi anni. E qual è? Ma esiste davvero, sicché, se sappiamo riconoscerla, noi saremo in essa e in noi saranno gli anni di Dio. E in che modo saranno in noi gli anni di Dio? Nello stesso modo in cui Dio sarà in noi. Per questo sta scritto: Perché sia Dio tutte le cose in tutti. ( 1 Cor 15,28 ) Non c'è infatti distinzione tra gli anni di Dio e Dio stesso: gli anni di Dio sono l'eternità di Dio, e questa eternità è la stessa sostanza di Dio, che non conosce mutazioni di sorta. Lì niente è passato, come se più non esista; niente è futuro, come se ancor non esista. Lì non c'è che il presente del verbo essere; lì non c'è né il fu né il sarà, perché quel che fu ormai non c'è più e quel che sarà ancora non c'è. Tutto quanto lì esiste è semplicemente il presente è. Giustamente con questa parola Dio mandò il suo servo Mosè. Ricordate: egli aveva domandato il nome di colui che lo mandava; sì, lo domandò e poté conoscerlo, senza che tale desiderio, frutto di un'onesta aspirazione, rimanesse insoddisfatto. L'aveva domandato non per curiosità o presunzione, ma per necessaria esigenza del suo stesso servizio. Che cosa risponderò - disse - ai figli d'Israele, se mi chiederanno: Chi ti ha mandato a noi? Ed il Signore, presentandosi come creatore alla creatura, come Dio all'uomo, come l'immortale al mortale, come l'eterno al temporale, rispose: Io sono colui che sono. Anche tu potresti rispondere: Io sono. Chi sei? Caio. Un altro potrebbe dire: Sono Lucio; un altro ancora: Sono Marco. Ma potresti aggiungere altro? No, solamente il tuo nome. Questo era quel che Mosè si aspettava da Dio, perché proprio questo gli aveva domandato: come ti chiami? Da chi dirò che sono stato mandato per rispondere a coloro che me lo domanderanno? Io sono. E chi? Colui che sono. Questo dunque è il tuo nome? Tutto questo per dire come ti chiami? Ed avresti tu per nome proprio l'essere, se tutto quanto è al di fuori di te non si rivelasse realmente, confrontato con te, come non essere? Sì, questo è il tuo nome, ma devi esprimerlo in maniera più chiara. Va' - egli dice - e di' ai figli d'Israele: Colui che è mi ha mandato a voi. Io sono colui che sono: Colui che è mi ha mandato a voi. Grande, davvero grande questo È! Di fronte ad esso che cos'è l'uomo? Di fronte a quel grande È - dico - che cosa è l'uomo, per quanto sia e valga? Chi potrebbe raggiungere quell'essere o divenirne partecipe? Chi potrebbe aspirare o avvicinarsi ad esso? Chi potrebbe presumere di riuscire a ritrovarsi in esso? Eppure tu, uomo, non devi disperare nella tua fragilità. Io sono - dice - il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe. ( Es 3,13-15 ) Se prima hai ascoltato quel che io sono in me stesso, ascolta ora quel che io sono per te. Questa eternità ci ha dunque chiamato e dall'eternità è balzato fuori il Verbo. Già esisteva l'eternità, e con essa il Verbo, quando il tempo ancora non era! E perché il tempo non era? Perché anche il tempo è stato fatto. Ma come è stato fatto anche il tempo? Tutte le cose furono fatte per mezzo di lui, e senza di lui nulla fu fatto. ( Gv 1,3 ) O Verbo esistente prima dei tempi, per mezzo del quale furono fatti i tempi, eppure nato nel tempo perché sei tu la vita eterna che chiami gli uomini viventi nel tempo e li trasformi in eterni! Eccola la generazione delle generazioni, perché una generazione si allontana e una generazione sopravviene. ( Sir 1,4 ) E potete anche osservare che le generazioni umane si avvicendano sulla terra come le foglie sull'albero ( mi riferisco all'albero dell'olivo, dell'alloro, o di qualsiasi altra specie che sia rivestito perennemente di fronde ). È proprio così: la terra porta come sue foglie il genere umano. Essa è sempre piena di uomini in una incessante vicenda, per cui a quelli che muoiono succedono altri che nascono. Davvero quest'albero è sempre ornato del suo verde vestito. Ma guarda anche sotto di esso e nota quante foglie rinsecchite calpesti. 11 - Il succedersi delle varie epoche nella storia della Chiesa Orbene, ci fu una generazione durante la vita di Adamo: essa passò. Da essa anche in quel tempo nacquero alcuni destinati a divenire partecipi dell'eternità di Dio, cioè Abele, poi Seth e poi Enoch. Passò quella generazione, venne il diluvio e rimase sulla terra una sola famiglia. Comunque, anch'essa diede alcuni di quegli uomini: Noè, i suoi tre figli e le sue tre nuore, perché in tutta questa famiglia, composta di otto persone, non c'era che un solo peccatore. Alla generazione precedente segui una gran moltitudine, finché dai tre figli di Noè, come dalle tre note misure di farina, si riempì tutto il mondo. Furono poi scelti Abramo, Isacco e Giacobbe, cioè i tre santi Patriarchi che riuscirono graditi a Dio. ( Gen 4-28 ) Anche la loro generazione produsse altri generanti, da cui derivarono i profeti ed i messaggeri di Dio. Da loro venne, infine, lo stesso nostro Signore Gesù Cristo, il quale mise il lievito nelle tre misure di farina finché non lievitò tutta la pasta. ( Mt 13,33 ) Nel tempo in cui visse in forma corporea sulla terra ci furono gli Apostoli e i santi; dopo di loro altri santi, ed attualmente tutti coloro che sono santi nel nome di Cristo, e dopo di noi tutti coloro che saranno santi, e così ancora fino alla fine del mondo. Da questa serie innumerevole di generazioni prova a raccogliere tutti i santi figli, che in esse sono stati generati, e ricavane una sola generazione. In tale generazione delle generazioni durano i tuoi anni, cioè l'eternità, di cui si parlava, risulterà in quella generazione che è formata in sintesi unitaria da tutte le generazioni: sarà essa a partecipare della tua eternità. Le altre generazioni sono generate man mano che si compiono i tempi, e da esse è rigenerata per la vita eterna l'altra generazione, che sarà trasformata e vivificata, divenendo capace di portare te perché prenderà forza e vigore da te. Nella generazione delle generazioni durano i tuoi anni. 12 - [vv 26-28.] La perpetuità della Chiesa cattolica. L'onnipotenza di Dio creatore In principio tu, o Signore, fondasti la terra. Conosco la tua eternità, per la quale tu sei prima di tutte le cose fatte da te. In principio tu, o Signore, fondasti la terra, ed opera delle tue mani sono i cieli. Essi periranno, mentre tu rimani; essi tutti si logoreranno come un panno, e tu li cambierai come un vestito ed essi si cambieranno: tu invece sei sempre lo stesso. Chi sei tu? Sei sempre lo stesso. Tu che hai detto: Io sono colui che sono, sei sempre lo stesso. ( Es 3,14 ) E pur se è vero che anche le creature non esisterebbero se non da te e per te ed in te, esse tuttavia non sono quel che sei tu, ché solo tu sei sempre lo stesso. Ed i tuoi anni non verranno mai - meno. Sono quelli gli anni tuoi che non verranno mai meno: precisamente quei tuoi anni che durano nella generazione delle generazioni, non verranno mai meno. È dunque con tale consapevole certezza che io ti chiederei di conoscere l'esiguità dei miei giorni, se non sapessi che tutti i giorni di quaggiù, dall'inizio fino alla fine del mondo, sono tanto esigui se messi a confronto con la tua eternità. So dunque perché ho posto questa domanda. E non si facciano un vanto gli eretici ritenendo che i giorni della Chiesa, una volta diffusa in tutto quanto il mondo, siano stati esigui: certo anche se durano fino alla fine, restano sempre esigui. E perché sempre esigui? Perché anch'essi dovranno presto o tardi finire. Gli anni invece che dureranno nella generazione delle generazioni, quelli sì, devono essere oggetto costante del nostro amore, dei nostri desideri e dei nostri sospiri: per essi bisogna mantenersi in fedele unità, per essi bisogna evitare ogni specie di male che ci viene dagli eretici, per essi bisogna saper rispondere agli empi, per essi bisogna sforzarsi di guadagnare quelli che sono in errore e riportare sulla retta via quelli che sono perduti. Là deve tendere ogni nostra aspirazione. Ma pure, perché io possa rispondere a questi parolai e cialtroni, che sono anche calunniatori e mormoratori e detrattori, fammi tu per questo conoscere l'esiguità dei miei giorni, e non mi richiamare a metà dei miei giorni: ( Sal 102,26 ) non mi togliere da questa terra prima che in tutto il mondo non sia completamente annunciato il Vangelo, la qual cosa sarebbe in contrasto con la risposta del Signore che ha detto: È necessario che questo Vangelo sia predicato in tutto quanto il mondo, in testimonianza per tutte le genti. E allora verrà la fine. ( Mt 24,14 ) Che c'è da aggiungere a queste parole, o fratelli? Sono tanto chiare ed evidenti: sappiamo che Dio ha fondato la terra e che i cieli sono opera delle sue mani. Non dovete infatti pensare che alcune cose Dio le faccia con la sua mano ed altre con la sua parola: quanto egli fa con la parola lo fa anche con la mano, non essendo suddiviso in membra corporee colui che ha detto di sé: Io sono colui che sono. E forse la sua parola è la stessa sua mano, che in definitiva si identifica con la sua virtù. Poiché egli ha detto: Si faccia il firmamento ed il firmamento è stato fatto, è da intendere che l'ha fatto con la sua parola; ma poiché ha detto ancora: Facciamo l'uomo a nostra immagine e somiglianza, ( Gen 1,6.26 ) sembra quasi che l'ha fatto con la sua mano. Ascolta dunque: I cieli sono opera delle tue mani. Ecco, ciò che ha fatto con la parola ovviamente l'ha fatto anche con le sue mani, avendo egli operato con la sua virtù, cioè con la sua potenza. Osserva anzitutto ciò che egli ha fatto e non domandare come l'ha fatto. È un problema difficile per te comprendere come l'ha fatto: anche te egli ha fatto, ma in maniera tale che tu sia prima un servo obbediente e poi eventualmente un amico intelligente. Resta dunque dimostrato che i cieli sono opera delle tue mani. 13 - Chi sono i cieli che, secondo il salino, periranno Essi periranno, tu invece rimani. Ciò è stato esplicitamente affermato dall'apostolo Pietro: I cieli furono un tempo, per la parola di Dio, formati dall'acqua e per mezzo dell'acqua; e per quelle ( colpe ) il mondo che fu creato perì inondato dall'acqua. Ma la terra ed i cieli, quali oggi esistono, sono custoditi da quella stessa parola e sono destinati al fuoco. ( 2 Pt 3,5-7 ) Egli ha dunque affermato che i cieli perirono già a causa del diluvio, e noi d'altra parte sappiamo che tale distruzione è avvenuta in rapporto alla quantità e allo spazio dell'aria che ci circonda. L'acqua infatti, salendo, crebbe fino ad occupare l'intera massa atmosferica, dove vediamo volare gli uccelli: ciò significa che perirono i cieli più vicini alla terra, i cieli che comunemente intendiamo quando parliamo di uccelli del cielo. Ma esistono anche più in alto, nel firmamento, i cieli dei cieli. Ora se anche questi siano destinati a perire nel fuoco, o soltanto i cieli che già perirono nel diluvio, è tuttora discusso tra gli studiosi: è una disputa abbastanza sottile, che non è facile spiegare, soprattutto perché ce ne mancherebbe il tempo. Preferiamo perciò lasciarla, o rimandarla ad altra occasione. Quel che sappiamo con certezza è che tutte queste cose periranno, mentre Dio rimane. E se alcune delle cose che Dio ha fatto, con Dio rimangono, non rimangono per virtù propria, ma solo in Dio, senza staccarsi da lui. Ed allora? Diremo forse, o fratelli, che anche gli Angeli periranno nel fuoco che incendierà tutto il mondo? Certamente no! Ma allora? Diremo forse che Dio non ha fatto gli Angeli? Certamente no! Che dire allora? Come esisterebbero gli Angeli, se non fossero stati fatti da Dio? Egli disse e le cose furono fatte; egli comandò e le cose furono create. ( Sal 33,9 ) Queste parole sono state infatti dette proprio quando venivano esattamente enumerate e ricordate le opere di Dio, tra le quali sono nominati anche gli Angeli. Con lui dunque saranno gli Angeli anche quando il mondo brucerà nel fuoco: ci sarà l'incendio del mondo, ma senza che tocchi i santi di Dio. Quale fu la fornace del re per i tre fanciulli, ( Dn 3 ) tale sarà il mondo in fiamme per i giusti che portano il segno della Trinità. 14 - Periscono i cieli, Dio non perisce; mutano i cieli, Dio non muta E forse a questo punto non è proprio inopportuno intendere con il termine cieli i giusti stessi, i santi di Dio, per mezzo dei quali Dio, rimanendo in essi, ha fatto risuonare l'annunzio dei suoi comandamenti, ha diffuso lo splendore dei suoi miracoli e ha fecondato la terra con la sapienza della sua verità. È scritto infatti che i cieli narrarono la gloria di Dio. ( Sal 19,2 ) Ma forse periranno anch'essi? O forse periranno solo in un certo senso o modo? E qual è questo modo? Periranno in ragione del loro vestito. E che significa questo? Che periranno in ragione del loro corpo. Difatti il corpo costituisce come il vestito dell'anima, ed il Signore stesso ha nominato il vestito, quando ha detto: Non vale forse l'anima più del nutrimento ed il corpo più del vestito? ( Mt 6,25 ) Come può dunque perire tale vestito? Anche se il nostro uomo esteriore è soggetto a corruzione, quello interiore però si rinnova di giorno in giorno. ( 2 Cor 4,16 ) I giusti dunque periranno, ma solo in ragione del corpo: Tu invece rimani. Ma se essi periranno in ragione del loro corpo, come parlare di risurrezione della carne? E come si riproduce allora nelle membra quel modello che si è prima avuto nel capo? Come? Vuoi proprio saperlo? Il corpo sarà trasformato, cioè non sarà più come era prima. Ascolta l'Apostolo che dice: E i morti risorgeranno incorrotti, e noi saremo trasformati. In che modo saremo trasformati? Viene seminato un corpo carnale, sorgerà un corpo spirituale. ( 1 Cor 15,52 ) Viene dunque seminato mortale e risorgerà immortale; viene seminato corruttibile e risorgerà incorruttibile. Noi pertanto aspettiamo tale trasformazione: è così che i cieli periranno, ma saranno poi trasformati. Ma forse è sbagliato chiamare cieli i corpi dei santi? Certo, se non portano Dio, non possono essere dei cieli. Ma come fai a dimostrarmi - si potrebbe dire - che i loro corpi portano Dio? Hai dunque a tal punto dimenticato l'invito: Glorificate e portate Dio nel vostro corpo? ( 1 Cor 6,20 ) Dunque periranno, sì, questi cieli, ma non in eterno: periranno per essere poi trasformati. O forse tutto ciò non è detto nel Salmo? Leggi le parole che seguono: E tutti si logoreranno come un panno, e tu li cambierai come un vestito ed essi si cambieranno; tu invece sei sempre lo stesso, ed i tuoi anni non verranno mai meno. Senti parlare di veste, di panno che serve per coprire, e intendi qualcosa di diverso dal corpo? Dobbiamo dunque sperare anche la trasformazione del nostro corpo: è una speranza però che ci viene da colui il quale, come era prima di noi, così rimane dopo di noi, grazie al quale noi siamo quel che siamo ed al quale noi arriveremo dopo che sarà avvenuta la nostra trasformazione. Egli trasforma e non si trasforma, egli fa e non è fatto, egli muove ma rimane, in maniera che può essere inteso dalla carne e dal sangue quell'io sono colui che sono. Tu invece sei sempre lo stesso, ed i tuoi anni non verranno mai meno. Ma di fronte a quegli anni che cosa siamo noi con questi anni cenciosi? E che cosa sono quegli anni? Ciononostante non dobbiamo disperare. Se Dio infatti nella sua grandezza, nella sovrana dignità della sua sapienza aveva detto: Io sono colui che sono, tuttavia a nostro spirituale conforto aggiunse: Io sono il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe. ( Es 3,14.15 ) Ebbene, siamo noi la discendenza di Abramo, ( Gal 3,29 ) sicché, pur essendo spregevoli e miseri, pur essendo cenere e terra, abbiamo motivo di sperare in lui. Noi non siamo che servi, eppure per noi il Signor nostro assunse la natura di servo; ( Fil 2,7 ) per noi mortali egli che era immortale volle morire, per noi egli volle mostrare un tale esempio di risurrezione. Dobbiamo dunque sperare che noi giungeremo a questi anni stabili e duraturi, nei quali non si formano i giorni secondo il volger del sole, ma ciò che è rimane così com'è, in quanto questo soltanto veramente è. 15 - [v 29.] Novità di vita e fecondità di opere buone Devi dire però se un giorno anche noi potremo essere là. Ascolta e giudica se hai motivo di disperare. Ascolta le parole che seguono: I figli dei tuoi servi vi abiteranno. E dove? Negli anni che non vengono mai meno. I figli dei tuoi servi vi abiteranno, e la loro discendenza sarà diretta verso il secolo: è il secolo dei secoli, il secolo eterno, il secolo che rimane per sempre. Ma, poiché si dice: I figli dei tuoi servi, dobbiamo forse temere di non essere noi i servi di Dio, per cui là saranno i nostri figli, e non noi? Se poi siamo noi i figli dei servi di Dio, in quanto figli degli Apostoli, che dobbiamo dire? Ma non sarebbe davvero una presunzione malvagia da parte dei figli che nascono via via dopo i genitori e si gloriano del fatto di esser loro succeduti in età più recente se osassero dire: " Noi, sì, saremo là, ma gli Apostoli non ci saranno "? Lungi, per carità, una tale affermazione dalla pietà dei figli, dalla fede dei piccoli e dall'intelligenza dei grandi! Là saranno anche gli Apostoli: in un gregge vanno avanti i montoni e dietro vanno gli agnelli. Ma perché allora si dice: I figli dei tuoi servi, e non più concisamente: " I tuoi servi "? Anche gli Apostoli sono tuoi servi, come sono tuoi servi i loro figli, ed i figli di questi, nipoti di quelli, che cosa sono se non tuoi servi? Li avresti tutti inclusi in una formula più comprensiva e concisa, se avessi detto: " I tuoi servi vi abiteranno ". Ma vediamo che cosa egli ha voluto insegnarci, perché c'è un fatto significativo avvenuto nei primi secoli. Per quarant'anni i figli d'Israele subirono dolorose tribolazioni nel deserto: nessuno di loro entrò nella terra promessa, ma ci entrarono i loro figli. Più esattamente, come ci sembra di ricordare salvo errore, ne entrarono due, mentre gli altri no. ( Nm 14,29-30 ) Di tante migliaia di persone solo due entrarono, e solo per loro tante sofferenze e fatiche! Ma Dio non soffre; certo però soffrirono i suoi servi. E Mosè quali e quante difficoltà non affrontò, quali e quante parole non ascoltò per gli uomini che pur non sarebbero entrati nella terra promessa? Entrarono invece i loro figli, e questo che significa? Significa che entrarono gli uomini nuovi e che i vecchi restarono esclusi. Tuttavia di questi ne entrarono due, l'uno e l'unità, come a dire il capo e il corpo, Cristo e la Chiesa con tutti quegli uomini nuovi, ossia i loro figli. Dunque è certo che i figli dei tuoi servi vi abiteranno. I figli dei servi rappresentano le opere dei servi: nessuno abiterà là, se non attraverso le sue opere. Che significa allora: vi abiteranno anche i figli? Nessuno deve esaltarsi nella speranza di abitarvi, se si proclama servo di Dio, ma non ha le opere: là infatti non abiteranno che i figli. Che significa dunque: I figli dei tuoi servi vi abiteranno? I servi vi abiteranno attraverso le loro opere, i servi vi abiteranno attraverso i loro figli. Se vuoi dunque abitarvi, non essere sterile di opere: manda avanti la tua prole, alla quale terrai dietro, mandandola avanti - dico - e non seppellendola. Siano i tuoi figli a condurti alla terra promessa, che è terra dei viventi, non terra dei morti: mentre tu vivi quaggiù, in questo soggiorno straniero, siano essi a precederti e quindi ad accoglierti. Leggiamo che per il nutrimento materiale uno dei figli precedette Giacobbe in Egitto; al suo padre ed ai suoi fratelli egli disse: Io sono venuto prima per prepararvi gli alimenti. ( Gen 45,7 ) Ti precedano dunque i tuoi figli, ti precedano le tue opere: potrai allora seguire quei figli che avrai mandato prima di te.