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Lettera 44

Scritta tra l'anno 396 e il 397.

A. rende note le iniziative rivolte a riportare la concordia tra le chiese e Fortunio, lamentandosi per i tumulti ( n. 1-7 ).

Respinge l'accusa di un delitto addebitato ai Cattolici e rinfaccia i misfatti dei Circoncellioni ( n. 8-9 ).

Battesimo e comunione di Giuda, persecuzione e ripetizione del battesimo ( n.10-12 ).

Condizioni per una fruttuosa e pacifica disputa ( n. 13-14 ).

Agostino saluta i dilettissimi e stimatissimi fratelli Eusebio, Glorio e i Felici

1.1 - Incontro di Agostino con Fortunio e discussione disturbata

Mentre mi recavo alla Chiesa di Cirta, sono passato per la città di Tubursico e vi ho conosciuto, sebbene in un incontro purtroppo brevissimo, Fortunio, vescovo di quella città, in tutto quale voi, pieni di bontà, siete soliti presentarlo.

Avendogli fatto sapere ciò che ci avevate detto di lui e il desiderio che avevo di vederlo, non si rifiutò affatto di ricevermi.

Andai pertanto da lui; mi sembrò doveroso dare questo segno di deferenza alla sua età piuttosto che esigere ch'egli fosse il primo a venire da me.

Mi recai dunque da lui insieme con non poche persone che in quella circostanza si trovavano per caso in mia compagnia.

Essendoci poi accomodati in casa sua, la voce, che s'era sparsa del mio arrivo, fece affluire una gran folla; ma tra tutta quella gente molto pochi apparivano desiderosi di trattare quella causa con utilità e con risultati apportatori di salvezza, e di discutere con spirito di prudenza e di religione una questione sì importante circa un affare altrettanto importante.

Tutti gli altri invece erano accorsi alla nostra discussione come si va a teatro, cioè come per assistere a uno spettacolo piuttosto che ascoltare con devozione cristiana un'istruzione concernente la salvezza.

Non potevano quindi né fare silenzio né discorrere con noi attentamente o per lo meno con rispetto e moderazione, tranne, come ho detto, solo pochi, la cui attenzione appariva religiosa e sincera.

Tutti insomma parlavano senza modo e misura a seconda dell'impulso del proprio animo con gran confusione e strepito e non potemmo ottenere che facessero rispettoso silenzio per quanto li pregassimo, ora io ora lui, e talora pure li rimproverassimo.

1.2 - I Donatisti impediscono la discussione stenografata

Si cominciò comunque alla meno peggio la discussione e continuammo il dialogo per alcune ore nella misura che ce lo permettevano gl'intervalli di silenzio della folla che schiamazzava, chi per un verso chi per un altro.

Senonché proprio all'inizio della discussione ci rendemmo conto che quanto si diceva cadeva immediatamente dopo dalla memoria sia nostra sia di coloro dei quali ci stava a cuore la salvezza; allora, non solo perché la discussione procedesse più cauta e più misurata, ma anche perché voi e gli altri fratelli, allora assenti, poteste leggere e conoscere quali erano stati gli argomenti trattati nella nostra discussione, chiedemmo che i nostri discorsi venissero stenografati.

Fortunio e i suoi correligionari vi si opposero a lungo.

Alla fine però egli acconsentì.

Ma gli stenografi presenti, capacissimi di compiere quel lavoro, non so per qual motivo, si rifiutarono.

Ottenemmo tuttavia per lo meno che i fratelli, ch'erano con noi, stenografassero, sebbene non fossero molto veloci, mentre noi promettemmo che avremmo lasciato là le tavolette stenografate.

Si rimase d'accordo. I nostri discorsi cominciarono ad essere stenografati ed alcune frasi da una parte e dall'altra furono messe a protocollo.

Gli stenografi in seguito se ne andarono, non riuscendo a tener fronte alle confuse interruzioni di quanti strepitavano e per conseguenza neppure alla nostra discussione, divenuta piuttosto turbolenta: noi però continuammo a parlare a lungo a seconda della possibilità che a ciascuno si presentava.

Non ho voluto privare la Carità vostra di tutto quel che abbiamo detto e fatto nella discussione di tutta la faccenda, per quanto posso ricordare.

Voi infatti potete far leggere la mia lettera al vescovo affinché attesti la verità di quel che ho scritto oppure vi faccia sapere senza indugio quel che ricorda meglio di me.

2.3 - La vera Chiesa

Anzitutto egli si degnò d'elogiare la nostra condotta che diceva conoscere da quanto gli avevate detto voi con più bontà forse che verità: aggiunse pure di avervi detto che avremmo potuto far bene tutto quel che voi gli avevate suggerito per parte nostra, se lo avessimo fatto nel seno della Chiesa.

Cominciammo quindi a domandargli quale fosse la Chiesa ove occorreva vivere in quel modo, se cioè quella che, secondo la predizione della Sacra Scrittura fatta tanto tempo prima, era diffusa in tutto il mondo, oppure quella limitata a una parte dell'Africa e degli Africani.

Egli allora si sforzò di provare anzitutto che la sua comunione era diffusa su tutta la terra.

Gli chiesi pertanto se potesse darmi, per andare ovunque io volessi, le lettere di comunione che diciamo patenti e affermavo, com'era a tutti palese, che in tal modo si sarebbe potuta dirimere assai facilmente la nostra questione.

Avrei pure procurato, se avesse acconsentito, che fossero da noi inviate siffatte lettere a quelle chiese che negli scritti sacri degli Apostoli leggevamo essere stata fondate già al tempo degli stessi Apostoli.

2.4 - Persecuzioni e "traditori"

Siccome però l'affermazione di Fortunio era evidentemente falsa, ben presto egli andò a finire col sovvertire il significato delle espressioni tra cui ricordò quel monito del Signore in cui disse: Guardatevi dai falsi profeti: molti vengono a voi in veste di pecore, ma dentro sono lupi rapaci: li conoscerete dai loro frutti. ( Mt 7,15.16 )

Siccome io gli risposi che quelle stesse parole avremmo potuto citarle a proposito degli scismatici, si arrivò a parlare della persecuzione, ch'egli gonfiando i fatti affermava essere stata subita spesso dal suo partito, per dimostrare che i veri Cristiani erano i suoi per il fatto che subivano la persecuzione.

Mentre io, nel sentire quelle parole, mi preparavo a rispondere citando il Vangelo, egli mi prevenne citando quel passo ove il Signore dice: Beati coloro che soffrono la persecuzione a causa della giustizia, poiché di essi è il regno dei cieli. ( Mt 5,10 )

Io allora, felicitandomi che avesse citato quel passo, soggiunsi subito che si doveva dunque esaminare se quelli avevano sopportato la persecuzione proprio per la giustizia.

Era appunto la questione a proposito della quale desideravo discutere, cosa che d'altronde era chiara a tutti, se al tempo dello scisma di Macario si trovavano ancora nell'unità della Chiesa o se n'erano già staccati: così coloro che volessero vedere se avessero patito la persecuzione per causa della giustizia, avrebbero dovuto piuttosto considerare se avevano fatto bene a distaccarsi dall'unità di tutto il mondo.

Se fosse stato dimostrato che lo scisma era ingiusto, sarebbe stato evidente ch'essi avevano patito la persecuzione per causa dell'ingiustizia piuttosto che della giustizia; perciò non potevano annoverarsi tra i beati, di cui è stato detto: Beati quelli che soffrono la persecuzione per causa della giustizia.

Fu ricordata allora la consegna dei Libri Sacri, più che sicura.

Ma si rispondeva dai nostri fedeli che a consegnare i Libri Sacri erano stati piuttosto i loro caporioni.

Se poi riguardo a ciò non volevano credere ai nostri documenti scritti, nemmeno noi dovevamo esser costretti a credere ai loro.

3.5 - La comunione con le Chiese d'oltremare

Senonché, messa da parte questa difficile e pericolosa questione, domandai come i Donatisti potevano essersi separati per giusta ragione da tutti gli altri Cristiani immuni da colpe, i quali, conservando la serie della successione delle antichissime Chiese in cui erano stabiliti, ignoravano del tutto quali fossero in Africa i "traditori" né potevano essere in comunione se non con quei vescovi che sapevano legittimamente insediati nelle rispettive sedi episcopali.

Rispose che le Chiese d'oltremare s'erano mantenute immuni da colpe finché non approvarono l'uccisione di coloro, i quali - a suo dire - avevano subìto la persecuzione di Macario.

Io allora gli avrei potuto rispondere che le Chiese d'oltremare non avrebbero potuto perdere la loro santità né macchiarsi per l'odiosità dei tempi di Macario, dal momento che in nessun modo si poteva dimostrare, quanto alle stesse azioni provate, che egli le avesse fatte per istigazione di quelle Chiese.

Preferii invece domandare brevemente se, qualora le Chiese d'oltremare avessero perso la loro incensurabilità a causa delle crudeli repressioni di Macario a cui, si diceva, avevano acconsentito, si poteva almeno provare che i Donatisti fossero rimasti nell'unità con le Chiese Orientali e con tutte le altre Chiese delle altre parti del mondo fino a quei tempi.

3.6 - Il Concilio di Sardica e i Donatisti

Egli allora presentò un libro con cui pretendeva di provare che il concilio di Sardica aveva inviato lettere di comunione ai vescovi Africani della setta donatista.

Mentre leggeva, tra i nomi degli altri vescovi ai quali essi avevano scritto, udimmo quello di Donato.

Noi perciò cominciammo a supplicarlo che ci spiegasse se quel Donato fosse il capo della loro setta, dal quale essi prendono il nome, poiché poteva darsi che il Donato, al quale avevano scritto, fosse un vescovo di un'altra setta, soprattutto per il fatto che in quell'elenco di nomi non era fatta nemmeno menzione dell'Africa.

In qual modo avrebbe dunque potuto provare che con quel nome doveva intendersi Donato, vescovo della setta donatista, dal momento che non avrebbe potuto provare nemmeno che quelle lettere erano state inviate in particolare ai vescovi delle Chiese africane?

Sebbene infatti Donato sia di solito un nome africano, non sarebbe per sé impossibile che qualche vescovo di quelle regioni si chiamasse realmente con un nome africano o qualche africano fosse costituito vescovo in quelle regioni.

In quelle lettere poi non trovammo alcuna indicazione né della data né del console, che ci permettesse di ricavare almeno dalle circostanze qualche elemento di certezza.

Posso assicurare infatti d'aver udito, non so quando, che gli Ariani, dopo essersi separati dalla comunione cattolica, tentarono d'associare a sé i Donatisti dell'Africa: questo preciso particolare me lo sussurrò all'orecchio il fratello Alipio.

Presi allora il libro ed esaminando i decreti del concilio, vi lessi che da quel concilio di Sardica furono condannati Atanasio, vescovo cattolico di Alessandria, che si distinse su tutti gli altri per l'energica lotta sostenuta nel confutare gli Ariani, e Giulio, vescovo della Chiesa di Roma, parimenti cattolico.

Per tali motivi ci risultò provato che quello era stato un concilio di Ariani, ai quali i suddetti vescovi cattolici opponevano la più forte resistenza.

Desideravamo quindi prendere e portar via con noi il libro per un più accurato esame anche delle circostanze, ma Fortunio non volle darcelo, dicendo che noi potevamo trovarlo lì, a nostra disposizione, qualora volessimo consultarlo.

Lo pregai pure che mi permettesse di farvi di mia mano un segno di riconoscimento, temendo - lo confesso - che se per qualche motivo lo avessi dovuto chiedere, me ne presentasse un altro invece di quello; ma non volle concedermi neppure questo!

4.7 - Persecutori e perseguitati

Cominciò poi a insistere che rispondessi brevemente alla sua domanda, se cioè ritenessi giusto chi perseguita o chi è perseguitato.

Gli risposi che la domanda non era posta bene, poiché può darsi che siano ingiusti ambedue; oppure che uno più giusto perseguiti uno più ingiusto.

Non ne verrebbe logicamente che uno sia più giusto per il fatto di patire persecuzione, quantunque di solito avvenga così.

Vedendo poi che insisteva su questo punto al fine di far capire che la giustizia stava certamente nella sua setta per il fatto di aver sofferto la persecuzione, gli chiesi se riteneva giusto e cristiano Ambrogio, vescovo della Chiesa milanese.

Messo così con le spalle al muro era costretto a negare che quel famoso personaggio fosse cristiano e giusto, poiché se lo avesse ammesso, gli avrei subito obiettato che nondimeno egli pensava ch'era necessario ribattezzarlo.

Essendo dunque costretto a dire i motivi per cui egli non doveva essere considerato né cristiano né giusto, gli ricordai la dura persecuzione da lui sostenuta fino al punto che la sua chiesa fu assediata da soldati armati.

Gli chiesi pure se riteneva giusto e cristiano Massimiano, che aveva fatto lo scisma nella loro setta a Cartagine.

Non avrebbe potuto rispondere se non negativamente.

Gli ricordai dunque che anch'egli subì una persecuzione così violenta che la sua chiesa fu distrutta dalle fondamenta.

Con tali esempi cercavo di persuaderlo, se avessi potuto, a smetterla di affermare che il patire la persecuzione è prova certissima di giustizia cristiana.

4.8 - Un delitto rinfacciato ai Cattolici

Mi narrò pure che proprio agli inizi dello scisma i primi Donatisti, pensando di voler sopire in qualsiasi modo la colpa di Ceciliano, per evitare uno scisma, concessero un vescovo interinale ai fedeli della sua comunione residenti a Cartagine, prima che fosse ordinato Maggiorino contro Ceciliano.

Diceva dunque che quel vescovo era stato ucciso dai nostri nella sua chiesa.

Confesso che non avevo mai udito prima un fatto simile, sebbene i nostri dovessero sfatare e confutare tanti delitti da essi rinfacciati e se ne rinfacciassero loro più numerosi e peggiori.

Ciò nondimeno, dopo aver narrato il fatto, di nuovo cominciò a domandarmi con petulanza chi io ritenessi giusto, chi viene ucciso o chi uccide, come se già mi avesse provato che il delitto era stato commesso come lo aveva narrato lui.

Gli risposi che bisognava prima esaminare se il fatto fosse autentico, poiché non si deve credere alla leggera tutto ciò che si dice, e d'altronde poteva darsi che fossero malvagi tutt'e due o anche peggiore quello ucciso dal malvagio.

In realtà può darsi che più scellerato di chi ammazza soltanto il corpo sia chi ribattezza l'intera persona.

4.9 - Le stragi fatte dai Circoncellioni

Dopo ciò non avrebbe dovuto farmi la domanda rivoltami dopo, dicendo che neppure il malvagio avrebbe dovuto essere ammazzato da Cristiani e giusti, come se noi chiamassimo giusti coloro che nella Chiesa cattolica commettono simili delitti.

Ciononostante per essi questi crimini è più facile affermarli che provarli, sebbene molti di essi, anche vescovi, preti e chierici di ogni grado, per mezzo delle bande composte da individui forsennati, non cessino d'infliggere, quando possono, tante efferate uccisioni e stragi non solo ai cattolici, ma talora anche ai loro stessi seguaci.

Sebbene le cose stessero così, egli passando tuttavia sopra gli scelleratissimi delitti dei suoi, a lui stesso molto più noti, incalzava che rispondessi quale giusto avesse mai ucciso una persona, fosse pure malvagia.

Ciò non aveva nulla a che vedere con la nostra questione, poiché avevamo convenuto che dovunque tali delitti si commettessero da persone che portano il nome di Cristiani, non sono commessi dai buoni: ciononostante, per fargli comprendere cosa bisognava discutere, rispondemmo con la domanda se gli sembrava che Elia fosse giusto; non poté negarlo.

Soggiungemmo allora dicendo quanti falsi profeti egli uccise di sua mano. ( 1 Re 18,40 )

Allora egli capì davvero quel che doveva capirsi, che allora tali azioni erano lecite ai giusti.

Elia infatti compiva quelle azioni mosso dallo spirito profetico e per ordine di Dio, il quale certamente sa a chi giova perfino d'essere ucciso.

Esigeva dunque che gl'indicassi quale giusto ormai al tempo del Nuovo Testamento uccidesse una persona sia pure scellerata ed empia.

5.10 - Del battesimo e della comunione di Giuda

Si ritornò allora alla esposizione precedente della Sacra Scrittura, con cui volevamo dimostrare che né noi dovevamo rinfacciare ad essi i loro delitti, né essi a noi, qualora si fossero trovate tali azioni compiute dai nostri.

In base al Nuovo Testamento non si può dimostrare che alcun giusto uccidesse qualcuno; al contrario, con l'esempio stesso dei Signore si può provare che gli scellerati furono tollerati dagli innocenti.

Sopportò infatti che il suo traditore, che aveva già ricevuto il suo prezzo, rimanesse con sé fino all'ultimo bacio di pace tra gli innocenti, ai quali non nascose che c'era tra loro un individuo così scellerato; ciò nostante diede per la prima volta a tutti insieme, senza escludere lui, il sacramento del suo Corpo e del suo Sangue. ( Mt 16,20-28 )

Essendo rimasti quasi tutti impressionati di quest'esempio, Fortunio tentò di rispondere che quella comunione fatta con lo scellerato prima della passione del Signore non aveva recato alcun danno agli Apostoli, poiché non avevano ricevuto ancora il battesimo di Cristo, ma quello di Giovanni.

Dopo ch'ebbe detto ciò, cominciai a domandargli come mai dunque stava scritto che Gesù aveva battezzato più persone di Giovanni, benché non fosse lui in persona a battezzare ma i suoi discepoli; ( Gv 4,1s ) amministrava cioè il battesimo per mezzo dei suoi discepoli.

In qual modo adunque potevano dare ciò che non avevano ricevuto, come sono soliti affermare soprattutto i Donatisti?

O forse che Cristo battezzava col battesimo di Giovanni?

Avevo intenzione di fare molte domande di tal sorta; volevo domandare per esempio come mai a Giovanni fu chiesto perché anche il Signore battezzasse e rispose che il Signore aveva la sposa ed era lo sposo. ( Gv 3,22-29 )

Era dunque forse lecito che lo sposo battezzasse col battesimo di Giovanni, cioè col battesimo dell'amico o del servo?

Volevo pure domandare in qual modo gli Apostoli avrebbero potuto ricevere l'Eucaristia, se non fossero stati ancora battezzati.

Oppure perché a Pietro, che desiderava esser lavato interamente, rispose: Chi ha preso un bagno, non ha bisogno di lavarsì ma è interamente mondo. ( Gv 13,10 )

Ora, la mondezza completa non è nel battesimo di Giovanni, poiché il battesimo riceve la validità dal nome del Signore, se chi lo riceve se ne mostri degno; se invece se ne mostra indegno, i sacramenti rimarranno validi non per la sua salvezza, bensì per la sua rovina, ma rimarranno comunque validi.

Avendo io accennato a porgli di queste domande, anch'egli capì che non avrebbe dovuto fare domande a proposito del battesimo dei discepoli.

5.11 - Psicosi Donatista di persecuzioni da parte cattolica

In seguito si passò a discutere lungamente da una parte e dall'altra su diversi argomenti.

Fra l'altro si disse che i nostri avrebbero continuato a perseguitare i loro seguaci; a noi diceva che voleva vedere come ci saremmo dimostrati in quella persecuzione, se avremmo cioè approvato quella crudeltà oppure avremmo rifiutato il nostro consenso.

Rispondemmo che Dio vedeva nel nostro cuore nel quale essi non potevano vedere, che essi nutrivano ancora senza motivo il timore di vessazioni e che se anche capitassero, sarebbero opera di malvagi, ma che tra loro c'erano degl'individui ancora peggiori.

Aggiungemmo che però non avremmo dovuto staccarci dalla comunione cattolica qualora per caso fosse stato compiuto qualche delitto contro la nostra volontà oppure nonostante gli sforzi che avessimo fatti per impedirli, avendo imparato la tolleranza pacifica dalle parole dell'Apostolo: Sopportandovi l'un l'altro con amore, studiandovi di conservare l'unità dello spirito mediante il vincolo della pace. ( Ef 4,2s )

Aggiungemmo che a non mantenere questa pace e tolleranza furono gli autori dello scisma, come ora i più miti tra loro tollerano colpe anche più gravi perché non avvengano altre scissioni nella scissione, mentre non vorrebbero tollerare colpe più leggere per amore dell'unità stessa.

Aggiungemmo pure che al tempo del Vecchio Testamento la pace dell'unità e la tolleranza non erano ancora state raccomandate tanto quanto lo furono poi con l'esempio del Signore e con l'amore proclamato dal Nuovo Testamento: ciò nondimeno i Profeti e i santi personaggi solevano denunciare al popolo le loro colpe senza tuttavia nemmeno lontanamente provare a distaccarsi dall'unità del popolo e continuando a partecipare in comune ai riti sacri di allora.

5.12 - La ripetizione del battesimo

S'arrivò quindi, non so come, a ricordare la santa memoria di Genetlio, vescovo di Cartagine prima di Aurelio, che annullò un decreto emanato contro di loro e ne proibì l'applicazione.

Tutti lo lodavano e lo esaltavano con grande entusiasmo.

In mezzo a quelle grida di approvazione io soggiunsi che tuttavia perfino Genetlio, se fosse capitato tra le loro mani, avrebbero reputato necessario ribattezzarlo.

Eravamo già alzati in piedi, quando pronunciammo tali parole perché urgeva il tempo di partire.

Il buon vecchio disse apertamente che ormai era stata fissata la regola che qualunque dei nostri fedeli passasse nella loro setta doveva essere ribattezzato: appariva però chiaro con quale ripugnanza e dolore diceva ciò.

Deplorava inoltre per parte sua in modo quanto mai esplicito molte ribalderie commesse dai suoi; mostrava pure quanto fosse alieno da simili azioni, com'era provato dalla testimonianza di tutta la città.

Ricordava pure che soleva farne rimprovero perfino ai suoi correligionari lamentandosene con spirito di dolcezza e di moderazione.

Noi rammentammo perciò il passo dei profeta Ezechiele ove chiaramente è scritto, che la colpa del figlio non deve imputarsi al padre, né quella del padre al figlio; in quel passo è detto: Poiché, come l'anima del padre, così l'anima del figlio è mia; qualunque anima peccherà sarà essa a perire. ( Ez 18,20 )

Dopo queste considerazioni e discussioni tutti fummo d'accordo che non ci dovevamo rimproverare a vicenda le violenze perpetrate dai malvagi dell'una e dell'altra parte.

Rimaneva la questione dello scisma.

Lo esortammo quindi a fare con noi sempre maggiori sforzi con calma e serenità, affinché si arrivasse a concludere, dopo diligente esame, la questione.

Egli allora ebbe la bontà di dire che a desiderare una simile discussione, eravamo noi soli ma non i cattolici.

Partimmo infine dopo avergli promesso che gli avremmo presentato molti nostri colleghi d'episcopato, certamente almeno dieci, desiderosi di discutere la questione con tanta benevolenza e mitezza, con tanto zelo religioso, quale m'ero accorto d'aver egli riscontrato e gradito in noi.

Un numero altrettanto grande di suoi colleghi promise egli pure.

6.13 - Raccomanda di continuare gli sforzi per l'unione

Vi esorto quindi e vi scongiuro, per il sangue del Signore, di ricordargli la sua promessa e d'insistere negli sforzi tendenti a condurre a termine l'impresa incominciata, che voi stessi vedete ormai condotta a buon fine.

A mio parere, assai difficilmente potete trovare nei vostri vescovi una disposizione d'animo e una propensione tanto confacente quale ho constatato in questo vegliardo.

Egli infatti venne da me il giorno dopo e cominciammo di nuovo a discutere questi problemi.

Ma siccome da un momento all'altro dovevo partire per andare a compiere l'ordinazione di un vescovo, non potei trattenermi più a lungo con lui.

Avevo tra l'altro mandato ad avvisare il Capo dei Celicoli, il quale - come avevo sentito dire - aveva istituito un nuovo battesimo presso i Donatisti e aveva sedotto molti con quell'empia sua eresia.

Desideravo che venisse a intrattenersi a conversare con me per quanto ce lo avrebbe permesso la ristrettezza del tempo.

Fortunio, venuto a sapere che quello sarebbe venuto, vedendo che mi ero assunto un'altra incombenza ed essendo anch'egli costretto a partire per non so quale necessità, si congedò da noi benevolmente e serenamente.

6.14 - Condizioni per una pacata e proficua discussione

Per evitare poi ad ogni costo le turbe turbolente, più dannose che vantaggiose, e per portare a termine con l'aiuto di Dio e con animo veramente amichevole e tranquillo la grande impresa che ci siamo assunta, sarà bene - a mio parere - radunarci in un villaggio non grande, dove non ci sia alcuna chiesa dei fedeli di nessuna delle due confessioni, ma sia di proprietà dei nostri come dei loro, come sarebbe il villaggio di Tiziano.

Sia dunque che un luogo siffatto venga trovato nel territorio di Tubursico, sia in quello di Tagaste o quello da me accennato o un altro qualsiasi, procuriamo che vi siano a nostra disposizione i Libri canonici della Sacra Scrittura e i documenti che potranno essere esibiti da una parte e dall'altra.

In tal modo, messe da parte tutte le altre brighe, senz'essere disturbati, a Dio piacendo, da alcuna molestia, potremo dedicarci a quest'affare per tutti i giorni che potremo; pregando inoltre ciascuno di noi il Signore in casa del proprio ospite, con l'aiuto di Lui al quale è assai gradita la pace cristiana, potremo portare al termine della discussione un'impresa così importante, incominciata con tante buone disposizioni.

Rispondi per farmi sapere qual'è la vostra opinione e quella di Fortunio a questo proposito.

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