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Lettera 191

Scritta forse alla fine del 418.

Agostino si congratula col prete Sisto, poi Vescovo di Roma, d'aver difeso la grazia contro i Pelagiani, ai quali si diceva fosse stato favorevole ( n. 1 ), esortandolo a continuare a porre un freno agl'impudenti, a guarire i dissimulanti ( n. 2 ).

Agostino saluta nel Signore il suo venerabile signore Sisto, suo santo fratello, stimatissimo nell'amore di Cristo e suo collega di sacerdozio

1 - Si rallegra con Sisto, difensore della grazia

La lettera della tua Benignità inviata ad Ippona per mezzo del presbitero Firmo, nostro santo fratello, giunse durante la mia assenza.

Al mio ritorno il latore di essa era, purtroppo, già partito.

Da quando mi fu possibile leggerla, mi si presenta solo adesso la prima ed assai gradita occasione di farti recapitare la risposta per mano dell'accolito Albino, nostro carissimo figlio.

Ma poiché in quel momento non eravamo insieme noi due ai quali era indirizzata la lettera, è successo che tu ricevessi una lettera da ciascuno di noi e non un'unica lettera di ambedue.

Infatti il latore di questa mia è partito da me allo scopo di recarsi dal venerabile Alipio, fratello e collega mio nell'episcopato, al quale ha portato anche l'originale della tua lettera, già da me letta, affinché ne scrivesse un'altra in risposta alla Santità tua.

Di quanta gioia ci abbia riempiti la tua lettera, come potrebbe uno sforzarsi di dirlo dal momento che è impossibile esprimerlo a parole?

Penso che non sappia nemmeno tu stesso quanto bene ci hai fatto con l'inviarci quella lettera, ma credi a noi, poiché, allo stesso modo che dei tuoi sentimenti sei testimonio tu solo, così noi soli possiamo testimoniare quali sentimenti abbia provato il nostro animo a causa della luminosa sincerità che traspariva dalla tua lettera.

Noi infatti con vivo piacere ci siamo affrettati a far copiare e abbiamo messo tutto l'impegno per far leggere a quanti era possibile la tua brevissima lettera scritta sulla medesima questione e da te inviata al santo primate Aurelio per mezzo dell'accolito Leone, lettera in cui ci esponi cosa pensi riguardo alla nota funestissima dottrina e che cosa, al contrario, pensi della grazia di Dio largita ai bambini e agli adulti, alla quale è del tutto avversa quella dottrina; dati siffatti nostri sentimenti, con quanto vivo piacere pensi tu che noi abbiamo letto questa tua lettera più prolissa e con quanta maggiore premura l'abbiamo data a leggere e ci adoperiamo ancora a farla leggere a quanti è possibile?

Che cosa, infatti, si potrebbe leggere o ascoltare di più gradito che una difesa tanto ortodossa della grazia di Dio contro i suoi nemici, dalla bocca di chi per l'innanzi veniva additato come un autorevole protettore degli stessi nemici della grazia?

Oppure qual motivo possiamo avere di rendere maggiori grazie a Dio se non per il fatto che la sua grazia è così ben difesa da coloro ai quali egli la concede contro coloro ai quali egli non la concede o non è gradito il dono concesso, poiché, in virtù d'un occulto e giusto decreto di Dio, non è loro concesso che il dono sia gradito?

2 - Sisto freni gli impudenti, risani i dissimulatori

Sebbene quindi, o mio venerabile signore e fratello stimatissimo nell'amore di Cristo, tu faccia benissimo a scrivere su tale questione ai fratelli, presso i quali gli eretici sono soliti vantarsi della tua amicizia, devi tuttavia preoccuparti ancor più che non solo siano colpiti con salutare severità tutti quelli che osano spacciare senz'alcun ritegno il loro errore estremamente dannoso alla religione cristiana, ma altresì che a causa delle pecorelle del Signore più deboli e più semplici vengano evitati con ogni diligenza e vigilanza pastorale coloro che, sia pure alquanto cautamente e timidamente, non cessano tuttavia di bisbigliare tale errore alle orecchie dei fedeli, penetrando nelle case, come dice l'Apostolo, e facendo con l'empietà a cui sono assuefatti tutto ciò che ricorda l'Apostolo subito dopo. ( 2 Tm 3,6-8 )

Non sono da trascurare nemmeno coloro che per paura soffocano le loro idee nel più profondo silenzio, senza cessare per altro di condividere la medesima errata opinione.

Alcuni di tali individui avete potuto conoscerli voi stessi prima che tale funesto errore fosse condannato con sentenza inequivocabile della Sede Apostolica, mentre adesso voi li vedete in modo palese starsene chiusi tutt'a un tratto nel loro mutismo; d'altronde non si può nemmeno sapere se si siano ravveduti se non quando non solo non manifestano le loro false idee, ma difendono anche le verità ad esse contrarie col medesimo zelo con cui erano soliti difendere quelle false; essi tuttavia devono essere trattati certamente con particolare dolcezza.

Che bisogno ci sarebbe infatti di atterrirli, dal momento che il loro stesso silenzio dimostra quanto siano abbastanza atterriti?

Non per questo però bisogna trascurare verso di loro la cura scrupolosa della medicina come se fossero già guariti, poiché la loro piaga è nascosta.

Sebbene infatti non si debbano atterrire, si devono però istruire.

A mio modesto parere poi, possono venire istruiti più facilmente mentre in loro il timore della severità è d'aiuto al maestro della verità, in modo che avendo, con l'aiuto di Dio, compreso e amato la sua grazia, possano combattere anche, col parlare, l'errore di cui non osano più parlare.

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