Padri/Agostino/Lettere/125 Lettera 125 Scritta nella primavera del 411. Agostino scrive al vescovo Alipio per dissipare i sospetti propalati da Albina e dai suoi figli Piniano e Melania, che gl'Ipponesi bramassero le ricchezze di Piniano ( n. 1-2 ) dimostrando la piena validità del giuramento emesso da Piniano d'esercitare il presbiterato nella Chiesa d'Ippona qualora avesse acconsentito a farsi ordinare ( n. 3 ); Piniano sarà spergiuro, se non manterrà la promessa ( n. 4 ). Nessuno dei suoi monaci lanciò offese contro Alipio ( n. 5 ). Io Agostino e i miei confratelli salutiamo nel Signore te, Alipio, signore beatissimo e venerabile carissimo fratello e collega nel sacerdozio coi tuoi confratelli 1 - Le spine dei sospetti Siamo bensì molto afflitti e non ci è possibile dar poco peso al fatto che i fedeli di Ippona abbiano lanciato ad alta voce delle ingiurie contro la Santità tua; ma molto più delle ingiurie lanciate al tuo indirizzo c'è da dolersi, mio buon fratello, che certi sospetti siano stati concepiti sul conto nostro. Infatti dal momento che s'insinua che vogliamo trattenere dei servi di Dio per brama di denaro e non già per amore di giustizia, non è preferibile forse che coloro che hanno questa convinzione manifestino ad alta voce i segreti del loro cuore e che escogitino, se è possibile, dei rimedi tanto più gravi, anziché i fedeli vadano in rovina senza manifestare i funesti sospetti da cui sono avvelenati? Occorre quindi che, secondo quanto dicevamo prima che accadesse questo scandalo, ci adoperiamo a persuadere le persone, alle quali abbiamo l'obbligo di offrirci a modello di opere buone, ( Tt 2,7 ) che i sospetti da esse nutriti sono falsi, piuttosto che pensare al modo come redarguire coloro i quali, con mormorazioni e parole, hanno manifestato i loro sospetti. 2 - Gl'Ipponesi non bramano le ricchezze Per questo io non me la prendo con quella santa donna di Albina né penso che si debba redarguirla per questo, ma che è necessario venga guarita di un tale sospetto. Essa non ha lanciato direttamente contro la mia persona quelle medesime recriminazioni, ma facendo vista di lamentarsi degli Ipponesi, perché avrebbero manifestato la loro cupidigia ( dicendo ) ch'essi avrebbero voluto trattenere presso di sé non per amore dell'ordine sacro, ma del denaro, il suo facoltoso genero, dispregiatore e largitore di un'immensa ricchezza, ha tuttavia fatto capire molto bene, quasi proclamandolo ad alta voce, quello che pensava di me, e non essa sola, ma anche i suoi ottimi figli, che nel presbiterio mi dissero lo stesso giorno le medesime cose. Orbene, come ti ho detto, io penso che costoro, piuttosto che esserne redarguiti, debbano essere guariti da sospetti di questo genere. Quando mai infatti ci sarà procurata o arrecata sicurezza e pace esente di tali sospetti che ci pungono come spine, dal momento che sono potute germogliare ai nostri danni in anime così sante e a noi tanto care? Poiché così ha sospettato di te il volgo ignorante, ma di noi hanno sospettato illustri personaggi della Chiesa, sicché comprendi di che cosa ci si debba dolere maggiormente. Eppure io sono d'avviso che né l'uno né gli altri meritino di esser accusati ma guariti, poiché sono uomini e nutrono per i loro simili dei sospetti che, benché falsi, possono tuttavia esser creduti veri. Tali individui infatti non sono cosi sciocchi da credere che i fedeli bramino il loro denaro, specialmente quando hanno già visto per esperienza che né i fedeli di Tagaste né di conseguenza quelli di Ippona ne hanno ricevuta la benché minima parte. Ma tutto questo loro malanimo ribolle solo contro i membri del clero e specialmente contro i vescovi, il cui potere sembra loro che sorpassi ogni limite poiché si pensa che possano usufruire e godere dei beni della Chiesa come possessori e padroni. Dio ci guardi, mio caro Alipio, che a questa brama dannosa e mortifera siano mai trascinati dal nostro esempio, se è possibile, coloro che sono deboli. Ricorda ciò che dicemmo prima che capitasse questa prova che ci spinge maggiormente a farlo. Sforziamoci perciò di provvedervi con l'aiuto del Signore parlandone in pubblico e non accontentiamoci della testimonianza della nostra coscienza, poiché non si tratta d'una faccenda in cui debba bastare essa sola. Se infatti siamo servi di Dio non reprobi, se in noi arde ancora un po' di quel fuoco per cui la carità non cerca le cose che sono di interesse personale, ( 1 Cor 13,5 ) dobbiamo preoccuparci di fare il bene non solo al cospetto di Dio, ma anche al cospetto degli uomini ( 2 Cor 8,21; Pr 3,4 ) affinché, mentre beviamo acqua limpida nella nostra coscienza, non siamo accusati di far si, con i nostri passi incauti, che le pecore del Signore bevano acqua torbida. ( Ger 2,18 ) 3 - Il giuramento di Piniano è valido Quanto a ciò che mi hai scritto, cioè di un genere di giuramento estorto con la violenza, dato che ne discutiamo fra noi, ti scongiuro che la nostra discussione non renda oscure cose chiarissime. Se infatti si fosse minacciato di sicura morte un servo di Dio, per costringerlo a giurare di commettere un'azione illecita e nefanda, sarebbe stato suo dovere morire piuttosto che giurare, per non adempiere il giuramento con un delitto. Ora però si trattava solo dello schiamazzo prolungato ed ostinato dei fedeli, che non costringevano quell'uomo ad alcun sacrilegio ma ad una azione che, se fosse stata compiuta, sarebbe stata lecita. S'aveva anche paura che alcuni facinorosi, i quali per lo più si mescolano anche tra i buoni, colta l'occasione di una sommossa e quasi d'un giusto sdegno, si abbandonassero a una scellerata violenza per brama di rapine, quantunque tale paura fosse vaga e confusa. Chi potrebbe quindi credere che, per evitare danni, non dico incerti, e qualsivoglia offesa del corpo, ma per evitare perfino la morte, si debba commettere uno spergiuro non dubbio? Quel non so qual Regolo non aveva sentito parlare affatto attraverso le Sacre Scritture dell'empietà del falso giuramento, non aveva appreso nulla della falce di Zaccaria ( Zc 5,2 sec. LXX ) eppure aveva giurato ai Cartaginesi non per santità dei sacramenti di Cristo, ma per le immondezze e le oscenità dei demoni, eppure non tremò di fronte alle torture che senz'alcun dubbio avrebbe dovuto subire e alla pena esemplare di una orribile morte sicché giurasse costretto da forza maggiore ma, per non essere spergiuro, affrontò quelle sventure con la medesima libertà di spirito e col medesimo coraggio con cui aveva giurato. I severi censori romani di allora non vollero tenere, non dico nel numero dei santi, ma neanche dei senatori, non dico nella gloria celeste, ma neppure nella Curia terrestre quei soldati che, per paura della morte e di orribili pene, avevano preferito commettere uno spergiuro lampante, anziché tornarsene tra i nemici crudeli. Essi non accolsero neanche un altro soldato che si era assolto dalla colpa di spergiuro, perché dopo il giuramento era tornato indietro sotto il pretesto di non so quale necessità. Pertanto quelli che lo espulsero dal Senato, non tennero conto di ciò che egli aveva pensato quando giurava, ma di ciò che si attendevano da lui le persone a favore delle quali aveva giurato. Neppure avevano letto i versetti che spesso noi cantiamo: Chi giura a favore del suo prossimo e non lo inganna. ( Sal 15,4 ) Sono azioni, queste, che siamo soliti esaltare con grande ammirazione anche a proposito di uomini privi della grazia e del nome di Dio e poi crediamo che dobbiamo ancora indagare nei libri divini se ci è permesso qualche volta di giurare il falso lecitamente, mentre in essi ci è prescritto perfino di non giurare, per evitare di cadere nello spergiuro qualora ci abituassimo a giurare! ( Mt 5,34 ) 4 - Chi è leale, chi spergiuro Non metto in dubbio che sia giustissima l'affermazione che la parola data col giuramento si adempie non alla stregua dell'espressione orale di chi giura, ma di ciò che si aspetta la persona per cui si giura ed è ben noto a chi fa il giuramento. Difatti le parole di un giuramento, soprattutto quando sia formulato in modo conciso, difficilmente esprimono per intero il pensiero di cui si esige il compimento da chi giura. Per conseguenza sono spergiuri coloro che, pur attenendosi alle parole, deludono l'attesa di coloro per cui è fatto il giuramento; non sono spergiuri invece coloro che, anche senza attenersi alle parole, soddisfano a ciò che si attendeva da essi quando giurarono. Insomma gli abitanti d'Ippona volevano avere quel sant'uomo di Piniano non come uno condannato al domicilio coatto, ma come un carissimo abitatore della loro città; benché dalle sue parole non si riuscisse a comprendere molto, nondimeno si sa molto bene quello che si aspettassero da lui: tant'è vero che il fatto che adesso, dopo il giuramento, egli non sia presente, non fa impressione a nessuno di quelli che poterono ascoltare ch'egli si disponeva a partire per un motivo fondato con la volontà di tornare. Per questo egli non sarà spergiuro né sarà considerato tale da quelli, salvo che non ne abbia deluso l'aspettazione. Ma non la deluderà a patto che non muti la volontà di abitare con essi o un bel giorno se ne parta senza la disposizione di tornare. Ma questo pensiero sia lontano dal carattere e dalla fedeltà dovuta a Cristo e alla Chiesa ch'egli ancora conserva. Lasciando da parte ciò che sai anche tu molto bene, quanto cioè sia tremendo il giudizio divino sul giuramento falso, so di sicuro che non dobbiamo adirarci in seguito con chi non crederà al nostro giuramento, se reputeremo che lo spergiuro di un uomo tanto bravo non solo debba essere pazientemente sopportato, ma anche difeso. Allontani da noi e da lui una simile iattura la misericordia di Colui, che libera dalla tentazione coloro che sperano in Lui. ( Sal 18,30; 2 Pt 2,9 ) Come dunque hai risposto nel promemoria, egli adempia la sua promessa con cui promise di non andarsene via da Ippona, allo stesso modo che non ce ne andiamo via né io né gli Ipponesi, con la sola differenza che quelli che non sono legati da giuramento hanno pienamente la facoltà di trasferirsi per sempre altrove e di non tornare senza macchiarsi di spergiuro. 5 - Nessun monaco ha ingiuriato Alipio Non so se si possa comprovare che i membri del nostro clero o fratelli residenti nel monastero siano stati veramente partecipi o istigatori delle ingiurie contro di te. Difatti alle domande loro fatte in proposito mi è stato risposto che solo un Cartaginese del monastero avrebbe gridato insieme coi fedeli quando reclamarono Piniano per prete, non quando si lanciavano contumelie contro di te. A questa lettera ho accluso la copia, della dichiarazione di lui stesso trascritta dalla carta medesima da lui sottoscritta e corretta sotto i miei occhi.