Padri/Agostino/Lettere/276.txt Lettera 276 Al beatissimo signore Attico, fratello e collega nell'episcopato, degno di essere onorato con la dovuta venerazione, Agostino augura salute nel Signore 1 - Ag. scrive ad Attico che lo aveva creduto già morto Per le mani del religioso fratello e collega di sacerdozio Innocenzo non ho ricevuto la lettera della Santità tua che avevo supposto di ricevere per mezzo di lui. Egli tuttavia mi ha fatto sapere il motivo per cui ciò è avvenuto. Ti scrivo perciò la presente come se io avessi ricevuto uno scritto dalla tua Venerabilità e come se mi sdebitassi della dovuta risposta, essendo io sano e salvo per grazia di Dio e per l'aiuto delle tue preghiere. In realtà, poiché s'era sparsa una voce diversa a mio riguardo - come mi ha riferito il suddetto fratello - tu la credesti vera come la si crede riguardo a un uomo. Che c'è infatti di più credibile della voce relativa alla morte di un mortale, cosa che un giorno capiterà senza dubbio a chiunque vive nella carne? ( Gen 1,28 ) Ma poiché da altri messaggeri più recenti aveva sentito dire che io ero vivo e lo aveva fatto sapere alla tua Dilezione, mi ha raccontato che te n'eri rallegrato assai e ne avevi ringraziato Dio, sebbene la notizia restasse ancora incerta per voi. 2 - L'impegno pastorale di Attico contro il pelagianesimo Per conseguenza, mio signore, non devo dubitare che tu riceverai con gioia la mia lettera, ma per diritto di carità reclamo con maggior fiducia e brama la risposta che dovevi inviarmi e che invece non hai inviato, sebbene io consideri la lettera della tua Beatitudine al mio carissimo fratello come se fosse stata inviata ad entrambi. Da essa ho appreso con gioia che la Santità tua con la cura propria d'un pastore ha agito non solo per correggere l'eresia pelagiana d'alcuni individui, ma anche per stare in guardia contro la loro astuzia. 3 - La concupiscenza dell'unione coniugale non è opera demoniaca Veramente, però, non c'è da stupirsi ch'essi rivolgano critiche ingiuste e maligne ai cattolici se in tal modo si sforzano di respingere ciò che si dice al fine di confutare le loro velenose dottrine. Chi mai dei cattolici infatti difende contro di loro la retta fede fino al punto di rigettare il matrimonio, che fu benedetto dall'Autore e Creatore del mondo? Chi mai tra i cattolici affermerebbe che la concupiscenza inerente al matrimonio è collegata a un'azione diabolica, dal momento che proprio per l'impulso di essa si sarebbe propagato il genere umano anche se nessuno avesse peccato, di modo che si adempisse la benedizione [ di Dio ] espressa con le parole: Crescete e moltiplicatevi? ( Rm 5,12 ) Quella benedizione neppure a causa del peccato del [ primo ] uomo, per l'unione con il quale hanno peccato tutti, ( Sal 119,171 ) ha perduto l'effetto della sua bontà, inerente alla fecondità della natura, tanto lampante, tanto mirabile e tanto pregevole e ch'è sotto gli occhi di tutti. Chi dei cattolici non esalta le opere di Dio compiute nella creazione d'ogni anima e d'ogni corpo e nel contemplarle non fa sgorgare [ dal cuore ] un inno ( Gen 1,31 ) al Creatore il quale non solo prima del peccato fece, ma ancora adesso fa ogni cosa assai buona? ( Rm 7,23 ) 4 - I pelagiani negano la necessità del battesimo per i bambini I pelagiani al contrario, nel loro spirito ormai pervertito, confondono, nella loro perniciosa cecità, i mali sopraggiunti alla natura per castigo della colpa [ originale ] con i beni naturali. Essi lodano il Creatore degli uomini ma in modo da negare la necessità del Salvatore per i bambini, quasi che questi non avessero alcun peccato, come afferma la loro riprovevole dottrina. Essi inoltre credono di poter avvalorare questo loro empio errore con l'elogio del matrimonio dicendo che viene condannato anche il matrimonio, se viene condannata la prole che nasce da esso qualora non rinascesse [ nel battesimo ]. Essi in effetti non capiscono che una cosa è il bene del matrimonio - bene che il matrimonio non perse nemmeno dopo il peccato - e un'altra cosa è il male originale, che il matrimonio non commise [ all'inizio ] né commette adesso, ma lo trova ormai commesso, eppure ne fa buon uso quando con esso compie non tutto ciò che è piacevole, ma solo ciò che è lecito. I pelagiani rifiutano di prendere in considerazione questo fatto, prevenuti come sono da un errore che preferiscono sostenere anziché schivare. 5 - I pelagiani non distinguono la concupiscenza carnale da quella coniugale A causa di questo errore i pelagiani non distinguono la concupiscenza insita nel matrimonio - cioè la concupiscenza propria della castità coniugale, la concupiscenza pertinente alla propagazione della prole secondo la legge di Dio, la concupiscenza della vita comune con cui si legano tra loro i due sessi - e la concupiscenza della carne che s'infiamma indifferentemente del desiderio per i piaceri leciti e illeciti, e che, dal desiderare quelli illeciti, è raffrenata per mezzo della concupiscenza matrimoniale, che fa buon uso di essa e si rilassa solo per i piaceri leciti. Contro gli assalti di questa concupiscenza che si ribella contro la legge dello spirito ( Gen 3,7 ) combatte la castità d'ogni specie, vale a dire tanto quella dei coniugati al fine di usarla per il bene, quanto quella delle persone continenti e delle vergini consacrate affinché si astengano dall'usarla per un ideale migliore e più glorioso. Cotali eretici dunque nel modo più sfrontato possibile lodano la concupiscenza della carne ( Gen 2,25 ) nella quale è solo il desiderio del coito, senza distinguerlo dalla concupiscenza matrimoniale, in cui risiede il dovere di generare, mentre ne provarono vergogna i primi esseri umani allorché si coprirono con le foglie di fico le membra di cui non dovevano arrossire prima del peccato. Essi, in realtà, erano nudi ma non sentivano vergogna; ( Gen 3,19 ) in tal modo noi possiamo comprendere che quell'impulso passionale, del quale si vergognarono, nacque nella natura umana con la morte. Essi infatti ebbero motivo di vergognarsi quando avvertirono [ nel loro corpo ] anche l'inevitabilità della morte. ( Gen 3,19 ) Questa concupiscenza della carne, dunque, dev'essere distinta con saggezza e prudenza dalla concupiscenza matrimoniale; essi invece la esaltano fino al punto di pensare che, anche se nel paradiso nessuno avesse peccato, non si sarebbero potuti - senza di essa - procreare dei figli ( Rm 7,24 ) in quel corpo destinato alla vita [ paradisiaca ], allo stesso modo che senza di essa non se ne procreano adesso in questo corpo destinato alla morte, corpo del quale l'Apostolo desidera d'essere liberato per mezzo di Gesù Cristo. ( Gen 3,16 ) 6 - È assurdo che nei progenitori fosse la concupiscenza carnale Avviene quindi che da questa loro opinione, derivante da una sventata ignoranza, segua un'assurdità sì madornale da non poter essere sostenuta assolutamente nemmeno da essi, per quanto grande possa essere l'impudenza da cui è resa dura la fronte dell'uomo. Difatti, se nel paradiso [ terrestre ] ci fosse stata, prima del peccato, siffatta concupiscenza carnale - che noi sosteniamo di avere in noi come un impulso talmente disordinato da doverla trattenere da ogni uso con il freno della castità o da ricondurla a un uso buono con la bontà del matrimonio, sebbene sia di per se stessa un male - di certo nel luogo di tanta felicità o l'uomo ne sarebbe diventato vergognosamente schiavo se, ogniqualvolta fosse insorta, si fosse unito con la consorte senza alcuna necessità di generare, ma solo per soddisfare la brama della passione ancorché la moglie si trovasse già in stato di gravidanza, oppure avrebbe dovuto lottare con tutte le forze della continenza contro di essa, per non essere trascinato a tali azioni vergognose. Di queste due ipotetiche condizioni scelgano dunque quella che loro piace. In realtà, se l'uomo fosse stato soggetto alla concupiscenza della carne per non opporle resistenza, nel paradiso non ci sarebbe stata un'onesta libertà; se invece era necessario opporvisi per non esserne schiavo, non vi sarebbe stata una tranquilla felicità. Ambedue queste ipotesi sono contrarie sia alla felice bellezza, sia alla bella felicità del paradiso. 7 - Il battesimo cancella il reato del peccato, ma rimane un impulso disordinato e corruttore Chi non vedrebbe queste cose? Chi potrebbe contraddire questa verità del tutto evidente, se non uno dominato dalla più sfrontata ostinazione? Restano dunque due ipotesi: o nel paradiso terrestre non esisteva tale concupiscenza della carne - che noi sentiamo eccitarsi contro la nostra volontà a causa di un torbido e disordinato appetito anche quando ciò non è necessario - sebbene vi fosse la concupiscenza propria del matrimonio che conservava il tranquillo amore tra i coniugi e che, allo stesso modo con cui la decisione dello spirito dà ordini alle mani e ai piedi perché compiano le azioni rispettivamente conformi a quelle membra, così comandava anche agli organi genitali perché generassero, di modo che nel paradiso la prole sarebbe stata procreata in modo mirabile senza gli ardori della passione carnale come anche sarebbe nata in modo mirabile senza i dolori del parto; oppure, secondo l'altra ipotesi, se esisteva nel paradiso terrestre siffatta concupiscenza della carne, non era certamente in ogni caso tale quale la sentono adesso, con tutta la sua molestia e il suo fastidio, coloro che la combattono mediante la loro castità di sposi, di vedove e di vergini. Essa in effetti s'insinua anche dove non è necessaria e, con desideri importuni o anche empi, cerca di sedurre perfino il cuore dei fedeli e dei santi. Anche se non acconsentiamo affatto ai suoi impulsi turbolenti, ma piuttosto li combattiamo, tuttavia, spinti da un desiderio più santo, vorremmo - se fosse possibile - che fossero assolutamente assenti come lo saranno un giorno. È proprio questo il bene perfetto il quale, come mostrava l'Apostolo, manca ancora ai fedeli servi di Dio in questa vita, allorché dice: C'è in me il desiderio di fare il bene, ma non la capacità di compierlo alla perfezione. ( Rm 7,18 ) In effetti non dice: " farlo ", ma: farlo perfettamente, poiché l'uomo fa il bene non consentendo a siffatti desideri, ma non lo fa perfettamente in quanto ha quei desideri. Io infatti, dice, non faccio il bene che voglio ma faccio il male che non voglio. ( Rm 7,19 ) L'Apostolo di certo non faceva il male con l'offrire le sue membra per appagare i cattivi desideri, ( Rm 6,13 ) ma diceva ciò degli impulsi della concupiscenza; sebbene egli non acconsentisse a quei desideri né facesse il male a cui lo stimolavano, tuttavia faceva il male in quanto aveva quegli impulsi che non avrebbe voluto avere. In effetti egli aggiunge: Ora, se faccio quel che non voglio - cioè: sebbene io non acconsenta alla concupiscenza, non voglio tuttavia avere desideri passionali pur avendoli - non sono più io a farlo, ma il peccato che abita in me. ( Rm 7,20 ) La colpevolezza di questo " peccato " si contrae per via della generazione e si cancella in virtù della rigenerazione in cui avviene la remissione di tutti i peccati. Ciononostante, anche dopo l'eliminazione della colpevolezza, nel corpo corruttibile e mortale persiste una sua certa potenza e una certa sua influenza morbosa dovuta al suo contagio; contro di essa deve combattere il battezzato, se progredisce [ nella virtù ]. In effetti, anche se egli riuscirà a osservare non una continenza completa ma solo la castità coniugale, dovrà lottare anche lui contro questa concupiscenza della carne per non commettere adulterio, per non abbandonarsi all'impudicizia e non macchiarsi di nessuna delle turpitudini mortifere ed empie e infine per non avere rapporti smodati con la propria moglie con cui, di comune accordo, dovrà anche astenersi dall'amplesso carnale per un certo tempo al fine di dedicarsi ambedue alla preghiera ( Rm 7,20 ) e poi stare di nuovo insieme perché satana non li tenti, a causa della loro incontinenza, cosa che l'Apostolo dice loro a mo' d'indulgenza, non di comando. ( 1 Cor 7,5 ) Alcuni, poiché non hanno capito bene queste parole, hanno creduto che il matrimonio sia stato concesso a mo' d'indulgenza, ma non è così, altrimenti - Dio non voglia - il matrimonio sarà un peccato. Quando infatti si concede una scusante, per certo si riconosce che viene perdonata una colpa; l'Apostolo invece permette ai coniugi a mo' d'indulgenza l'unione carnale tra loro alla quale non sono indotti perché sta loro a cuore di propagare la prole ma vi sono trascinati dall'incontinenza di soddisfare la passione, e lo permette agli sposi perché non commettano peccati mortali qualora non fossero liberati dalla scusante. Tuttavia anche se alcuni coniugati sono superiori [ ad altri ] in virtù di una sì grande castità coniugale da praticare l'unione carnale al solo fine di procreare e, una volta battezzati e rigenerati, vivono in questo modo, tuttavia qualsiasi figlio nato da essi per via della concupiscenza della carne, che non è buona, ma di cui fanno un buon uso mediante la concupiscenza buona del matrimonio, contrae il peccato originale. In effetti il peccato che si cancella solo con la rigenerazione [ battesimale ], accompagna senza dubbio il generato, salvo che anch'esso non venga rigenerato esattamente come il prepuzio, che si asporta solo con la circoncisione, accompagna il figlio di un circonciso, se non viene circonciso anche lui. ( 1 Cor 7,5-6 ) 8 - Un'ipotetica concupiscenza della carne nei progenitori sarebbe stata del tutto diversa dall'attuale Se dunque nel paradiso terrestre esisteva questa concupiscenza carnale ( 1 Cor 7,18-19 ) affinché per mezzo di essa fossero generati dei figli e si adempisse la benedizione accordata al matrimonio mediante la moltiplicazione degli uomini, essa non era certamente uguale a quella attuale, capace, con il suo impulso, di bramare indifferentemente azioni lecite ed illecite; essa sarebbe stata trascinata a commettere azioni assai vergognose qualora le fosse stato permesso d'arrivare a tutto ciò a cui si fosse sentita spinta, e [ perciò ] contro di essa si sarebbe dovuto lottare per conservare la castità; essa invece sarebbe stata - se pure nel paradiso terrestre fosse esistita - tale per cui la carne non avrebbe dovuto avere mai desideri contrari allo spirito, ( Gal 5,17 ) ma in una meravigliosa armonia non avrebbe trasgredito l'ordine della volontà in modo che non si sarebbe fatta sentire mai, tranne quando fosse stato necessario; mai si sarebbe insinuata, nello spirito d'uno che riflettesse, con un piacere disordinato e illecito, non avrebbe avuto nulla di riprovevole da frenarsi con le briglie della temperanza ed essere vinta con lo sforzo della virtù ma, qualora fosse stato necessario, avrebbe, con facile e completa ubbidienza, assecondato la volontà di colui che ne avesse fatto uso. Or dunque, poiché [ la nostra concupiscenza ] non è come quella [ del paradiso terrestre ] ed è necessario che la castità lotti con tutte le forze per vincere la sua opposizione, [ i pelagiani ] devono riconoscere ch'è stata viziata dal peccato con il risultato che il suo stimolo riempì di vergogna [ i progenitori ] che prima erano nudi e non avvertivano alcuna vergogna; ( Gen 2,25 ) non devono nemmeno stupirsi che solamente il Figlio della Vergine - di cui non possono dire che fu concepito mediante questa concupiscenza - non contrasse il peccato originale. Ti chiedo venia d'essermi reso molesto alla tua santa saggezza con la prolissità della mia lettera, con cui non ho inteso di accrescere la tua dottrina, ma solo di confutare le loro obiezioni maligne e cavillose.