Padri/Agostino/NozzeC/NozzeC.txt Le Nozze e la Concupiscenza Lettera al conte Valerio A Valerio illustre signore e figlio, non solo meritamente eccellentissimo ma anche carissimo nell'amore di Cristo, Agostino invia saluti nel Signore 1 - Ero già da tempo inquieto per averti scritto più di una volta senza aver mai ricevuto una risposta dall'Eccellenza tua, quand'ecco ricevo all'improvviso ben tre lettere da parte della tua Benevolenza. Una era diretta non a me solo e mi è stata recapitata da Vendemiale, mio collega nell'episcopato; altre due mi sono state recapitate non molto dopo da Firmo, santo mio confratello nel sacerdozio, unito a me - come tu hai potuto sapere da lui stesso - da strettissimi vincoli d'affetto. Egli, parlandomi a lungo di te e ragguagliandomi con sincerità sulla tua personalità quale egli l'ha conosciuta nell'affetto di Cristo, ( Fil 1,8 ) ha superato non solo la lettera recapitatami dal suddetto vescovo, o quelle recapitatemi da lui stesso, ma anche quella che ci lamentavamo di non aver ricevuto. Pertanto quel che mi diceva di te mi riusciva tanto più gradito in quanto m'informava di cose di cui tu non avresti potuto parlarmi in una tua risposta, nemmeno se te le avessi chieste, per evitare di lodarti proclamando da te stesso le tue virtù, cosa questa proibita dalla Sacra Scrittura. ( Pr 27,2 ) Io stesso, del resto, ho un certo ritegno a scriverti così, per paura d'incorrere nel sospetto di adularti, mio illustre ed eccellentissimo signore e figlio carissimo nell'affetto di Cristo. 2 - Vedi quale piacere e quale gioia sia stata per me sentir parlare delle tue virtù in Cristo, o meglio delle virtù di Cristo in te, da una persona come lui che non poteva né ingannarmi data la sua lealtà né ignorarle data la tua amicizia. Avevamo comunque già sentito dire da altre persone altre cose, sebbene non tante né tanto sicure, quanto cioè sia pura e cattolica la tua fede, con quanto spirito di fede aspetti la vita futura; quanto grande è il tuo amore verso Dio e verso i fratelli, quanto grande è la tua modestia nelle tue alte funzioni di magistrato; come non riponi le tue speranze nelle ricchezze malsicure, ma nel Dio vivente, e come sei ricco d'opere buone; ( 1 Tm 6,17-18 ) come la tua casa è ristoro e sollievo dei buoni Cristiani e il terrore degl'empi, quanto ti preoccupi che gli antichi o recenti nemici di Cristo coperti dal manto del nome di Cristo non tendano insidie ai membri di Cristo e con quanto zelo provvedi alla salvezza dei medesimi membri e quanto tu sia nemico dell'errore. Queste informazioni e altre consimili - come ho detto - sentiamo dire di solito anche da altre persone, ma ora ne abbiamo apprese molto più numerose e più documentate per bocca del suddetto nostro fratello Firmo. 3 - Inoltre come avremmo potuto sentir parlare della tua castità coniugale, per poterla amare e lodare tra le altre tue virtù, se non l'avessimo sentito da un tuo amico sì intimo da conoscere non superficialmente, ma a fondo la tua vita? Di questa tua virtù, ch'è un dono di Dio, piacerebbe anche a me parlartene in tono più familiare e un po' più a lungo. Sono sicuro di non farti cosa spiacevole se t'invio un mio scritto alquanto prolisso affinché, leggendolo, tu sia più a lungo in mia compagnia. Sono infatti venuto a sapere anche questo, cioè che tu, pur fra le tue numerose e gravi occupazioni, trovi il tempo e leggi volentieri e provi gran piacere nel leggere le nostre opere, anche quelle scritte per altre persone, che per caso siano potute capitare nelle tue mani; quanto più attentamente ti degnerai di porgere orecchio e quanto maggiormente gradirai uno scritto che si rivolge proprio a te stesso e nel quale io ti parlo come se tu mi fossi presente? Da questa lettera potrai poi passare al libro che ti ho mandato insieme; in esso, proprio all'inizio, troverai più esattamente spiegato perché l'ho scritto e perché l'ho mandato di preferenza alla tua Reverenza. Libro I 1.1 - I pelagiani accusano Agostino di condannare il matrimonio e di attribuire e l'uomo al diavolo I nuovi eretici, dilettissimo figlio Valerio, che sostengono che non sia necessaria ai bambini, nati secondo la carne, la medicina di Cristo, che li guarisce dai peccati, vanno gridando con animo sommamente malevolo che io condanno il matrimonio e l'opera divina, con la quale Dio crea gli uomini dall'unione dell'uomo e della donna. Questo perché affermo che coloro che nascono da una tale unione contraggono il peccato originale, a proposito del quale l'Apostolo dice: Per un solo uomo entrò il peccato nel mondo e per il peccato la morte e così si trasmise a tutti gli uomini, nel quale tutti hanno peccato ( Rm 5,12 ) e perché affermo che essi, quali che siano i loro genitori, sono sempre sotto il potere del diavolo se non rinascono in Cristo e, strappati dal potere delle tenebre per la grazia di Cristo, non sono trasferiti nel regno di colui ( Col 1,13 ), che non volle nascere dall'unione dei due sessi. A causa di queste affermazioni, dunque, contenute nell'antichissima e saldissima regola della fede cattolica, questi assertori di una nuova e perversa dottrina, secondo i quali nei bambini non c'è alcun peccato che debba essere lavato con il lavacro della rigenerazione, mi vanno calunniando, non so se per slealtà o per ignoranza, come se condannassi il matrimonio e come se dicessi che l'opera di Dio, cioè l'uomo che da esso nasce, sia opera del diavolo. Non avvertono che non si può accusare la bontà del matrimonio per il male originale che da esso si contrae, allo stesso modo che non si può scusare la malizia dell'adulterio e della fornicazione per il bene naturale che ne deriva. In effetti, come il peccato è opera del diavolo, sia che i bambini lo contraggano da un'unione legittima che da una illegittima, così l'uomo è opera di Dio sia che nasca dall'una che dall'altra unione. Ecco dunque lo scopo di questo libro: distinguere, per quanto Dio si degnerà di aiutarmi, dalla bontà del matrimonio il male della concupiscenza carnale, a causa della quale l'uomo, che per essa nasce, contrae il peccato originale. Questa vergognosa concupiscenza, che dagli spudorati viene spudoratamente lodata, non esisterebbe neppure se l'uomo non avesse peccato; il matrimonio, invece, esisterebbe lo stesso, anche se nessuno avesse peccato, giacché la generazione dei figli nel corpo di quella vita avverrebbe senza questo morbo, senza del quale ora, nel corpo di questa morte, non può avvenire. ( Rm 7,24 ) 2.2 - Dedica del libro al conte Valerio Accennerò ora brevemente alle tre principali ragioni che mi hanno spinto a scrivere proprio a te su questo argomento. La prima è che tu vivi, con l'aiuto di Cristo, nell'osservanza scrupolosa della castità coniugale; la seconda è che a queste scellerate novità, alle quali io mi oppongo in questo scritto con la discussione, tu ti sei opposto efficacemente facendo uso diligente e tenace della tua autorità; la terza è l'informazione ricevuta che è giunto nelle tue mani un certo loro scritto e, sebbene nella tua solidissima fede te ne sia preso gioco, è bene nondimeno che sappiamo anche sostenere le nostre convinzioni difendendole. Anche l'apostolo Pietro, infatti, ci ordina di essere pronti a dare soddisfazione a chiunque ci domandi ragione della nostra fede e della nostra speranza. ( 1 Pt 3,15 ) L'apostolo Paolo aggiunge: Il vostro discorso sia sempre condito di sale per la grazia, di modo che sappiate come dovete rispondere a ciascuno. ( Col 4,6 ) Questi sono i principali motivi che mi hanno spinto a fare un discorso con te in questo volume, secondo l'aiuto che il Signore vorrà concedermi. A me non è mai piaciuto costringere nessun personaggio illustre a leggere qualche mio opuscolo senza una sua esplicita richiesta, perché lo ritengo più segno di sfrontatezza che di zelo. Tanto meno lo avrei fatto con te, che sei in una posizione tanto elevata e per di più non godi ancora di una tranquilla carica onorifica, ma sei tuttora oberato dall'attività pubblica e per giunta di ordine militare. Se ora, dunque, mi sono deciso a tal passo, per le ragioni sopra ricordate, gentilmente perdonami e presta benevola attenzione alle pagine che seguono. 3.3 - La castità coniugale è un dono di Dio Che la castità coniugale sia anch'essa un dono di Dio è indicato da san Paolo, quando trattando di questo argomento dice: Desidero che tutti gli uomini siano come sono io; ma ciascuno ha da Dio il suo proprio dono, uno in un modo e l'altro in un altro. ( 1 Cor 7,7 ) Ecco dunque, anche essa è detta un dono di Dio; sebbene inferiore a quella continenza, nella quale avrebbe desiderato che si trovassero tutti al pari di lui, nondimeno la considera un dono di Dio. Da qui si comprende come i precetti di praticare queste virtù non significhino altro se non che per riceverle e conservarle ci debba essere in noi anche la nostra volontà. Quando invece sono presentate come dono di Dio, ci viene indicato a chi dobbiamo chiederle, se ne siamo sprovvisti, e chi dobbiamo ringraziare, se le possediamo; veniamo pure a sapere che le nostre volontà, se non sono aiutate dal cielo, valgono ben poco nel desiderare, nel ricevere e nel conservare queste virtù. 3.4 - La castità dei coniugi privi di fede Che dire allora quando troviamo la castità coniugale anche in alcuni uomini infedeli? Dobbiamo forse pensare che essi pecchino per il cattivo uso che fanno del dono di Dio, non indirizzandolo al culto di Dio, dal quale lo hanno ricevuto? Oppure la castità degli infedeli non si deve nemmeno considerare dono di Dio, secondo il detto dell'Apostolo: Tutto ciò che non viene dalla fede è peccato? ( Rm 14,23 ) Ma chi osa dire che un dono di Dio è peccato? L'anima e il corpo, infatti, come ogni altro bene inerente per natura all'anima e al corpo, anche quando si trovano nei peccatori, sono doni di Dio, proprio perché ne è Dio l'autore e non essi. È delle loro azioni invece che l'Apostolo disse: Tutto ciò che non viene dalla fede è peccato. Quando, dunque, uomini privi di fede compiono atti che sembrano propri della castità coniugale sia per il desiderio di piacere agli uomini - a se stessi o ad altri -, sia per evitare le umane molestie connesse alle cose che viziosamente bramano, sia per servire i demoni, non reprimono il peccato, ma vincono un peccato con un altro peccato. Guardiamoci quindi dal chiamare casto in tutta verità colui che osserva la fedeltà coniugale senza l'intenzione di onorare il vero Dio. 4.5 - La castità coniugale e la verginità sono vere virtù solo nei fedeli Pertanto, l'unione dell'uomo e della donna fatta con l'intenzione di generare è il bene naturale del matrimonio. Ma di questo bene fa un cattivo uso colui che se ne serve come le bestie, con l'intenzione cioè rivolta al piacere libidinoso, anziché alla volontà di procreare. Quantunque, perfino alcuni animali privi di ragione, come la maggior parte degli uccelli, osservano una specie di patto coniugale: associano la loro solerzia nel fare il nido, si avvicendano in tempi diversi nella cova delle uova e si alternano nel procurare il cibo ai piccoli. Questo comportamento sembra mostrare che, quando essi si accoppiano, più che al soddisfacimento della loro libidine adempiono il dovere di perpetuare la specie. Di questi due modi di agire, uno si ritrova nell'animale a somiglianza dell'uomo, l'altro si ritrova nell'uomo a somiglianza dell'animale. Quanto al fatto, poi, di considerare proprio della natura del matrimonio che l'uomo e la donna si uniscano in una società per procreare e non si defraudino a vicenda, alla maniera di qualsiasi società che non ammette naturalmente un socio fraudolento, quando gli infedeli sono in possesso di un bene così evidente, dal momento che lo usano senza fede, lo cambiano in male e in peccato. In quel modo, dunque, anche quella concupiscenza carnale, per la quale la carne desidera contro lo spirito, ( Gal 5,17 ) è rivolta a un uso giusto dal matrimonio dei fedeli. Essi, infatti, hanno intenzione di generare figli destinati alla rigenerazione, affinché quelli che da essi nascono come figli del secolo rinascano come figli di Dio. Perciò, coloro che generano figli senza questa intenzione, senza questa volontà e senza questo proposito di farli passare dalle membra del primo uomo alle membra di Cristo, ma da genitori infedeli per gloriarsi di una prole infedele, anche se osservano la legge con tanto scrupolo da unirsi, secondo le Tavole matrimoniali, unicamente per generare figli, non c'è in loro la vera castità coniugale. Se la castità, infatti, è una virtù alla quale si oppone il vizio dell'impudicizia e se tutte le virtù, anche quelle che vengono praticate per mezzo del corpo, risiedono nell'anima, come si può davvero affermare che il corpo è casto, quando proprio l'anima si prostituisce lontano dal vero Dio? Questa prostituzione è denunciata dal salmo, che dice: Ecco infatti, coloro che si allontanano da te periranno; hai mandato in rovina chiunque si prostituisce lontano da te. ( Sal 73,27 ) Non si deve, quindi, ritenere vera castità coniugale, vedovile o verginale che sia, se non quella che è a servizio della vera fede. Se si antepone con retto giudizio la verginità consacrata al matrimonio, quale cristiano assennato non anteporrà le donne cristiane cattoliche, anche rimaritate, non dico alle vestali, ma perfino alle vergini eretiche? Tanto grande è il valore della fede, di cui l'Apostolo dice: Tutto ciò che non viene dalla fede è peccato ( Rm 14,23 ) e di cui ancora nella lettera agli Ebrei è scritto: Senza la fede non si può piacere a Dio. ( Eb 11,6 ) 5.6 - La concupiscenza non viene dal matrimonio ma dal peccato Stando così le cose, sono senz'altro nell'errore coloro che all'udire biasimare la libidine carnale pensano che sia condannato lo stesso matrimonio, come se questo male fosse conseguenza del matrimonio e non del peccato. Forse che quei primi sposi, dei quali Dio benedisse il matrimonio dicendo: Crescete e moltiplicatevi, ( Gen 1,28 ) non erano nudi e non si vergognavano? ( Gen 2,25 ) Per quale motivo, dunque, dopo il peccato nacque una confusione da quelle membra, se non perché da esse ebbe origine un movimento sconveniente, che il matrimonio certamente non avrebbe provato se gli uomini non avessero peccato? O per caso, come pensano alcuni che prestano scarsa attenzione a quello che leggono, gli uomini da principio furono creati ciechi come i cani e, cosa ancora più assurda, acquistarono la vista non crescendo, come avviene ai cani, ma peccando? Lungi da noi una simile idea! Ma ciò che li spinge a una tale credenza è il seguente passo della Scrittura: Prendendo il suo frutto lo mangiò e lo diede a suo marito che era con lei e lo mangiarono; e si aprirono gli occhi ad entrambi e si accorsero di essere nudi. ( Gen 3,6-7 ) Da questo testo gente poco intelligente immagina che avessero inizialmente gli occhi chiusi, perché la divina Scrittura attesta che si aprirono in quella circostanza. Ma Agar, la serva di Sara, aveva forse gli occhi chiusi quando alle grida del figlio che aveva sete aprì gli occhi e vide il pozzo? ( Gen 21,19 ) E quei due discepoli, dopo la risurrezione del Signore, camminavano forse con lui ad occhi chiusi per il fatto che di loro il Vangelo dice che alla frazione del pane si aprirono i loro occhi e lo riconobbero? ( Lc 24,31 ) Ciò che è scritto dei primi uomini: Si aprirono gli occhi ad entrambi, ( Gen 3,7 ) dobbiamo quindi intenderlo nel senso che divennero attenti a considerare e a riconoscere la novità prodotta nel loro corpo, il quale corpo ovviamente era esposto nudo ai loro occhi tutti i giorni ed era ben conosciuto. In caso contrario, come avrebbe potuto Adamo ad occhi chiusi imporre il nome a tutti gli animali terrestri e a tutti i volatili che gli venivano presentati? ( Gen 2,19 ) Non avrebbe potuto compiere questa operazione senza distinguerli e non avrebbe potuto distinguerli senza vederli. E poi, come gli poteva essere mostrata la stessa donna, quando disse: Questa finalmente è osso delle mie ossa e carne della mia carne? ( Gen 2,23 ) Infine, nel caso che uno fosse tanto ostinato da dire che avrebbe potuto fare ciò non servendosi della vista ma del tatto, cosa dirà di quello che si legge nello stesso testo, che cioè la donna vide quanto fosse bello a vedersi quell'albero, ( Gen 3,6 ) il cui frutto era sul punto di mangiare contro l'ordine ricevuto? Erano, dunque, nudi e non si vergognavano, ( Gen 2,25 ) non già perché non ci vedessero, ma perché non avvertivano alcun motivo di vergogna nelle membra che vedevano. La Scrittura non dice: erano ambedue nudi e non lo sapevano, bensì: e non si vergognavano. Non c'era stato niente, in effetti, che non fosse lecito, niente ne era seguito, di cui si dovessero vergognare. 6.7 - Conseguenza della pena della disubbidienza a Dio per la ribellione del corpo alla mente Quando l'uomo trasgredì la legge di Dio fu allora che incominciò ad avere per la prima volta nelle sue membra un'altra legge contraria al suo spirito ( Rm 7,23 ) e, quando provò la disubbidienza della sua carne, che gli era stata retribuita con pieno merito, sperimentò il male della sua disubbidienza. D'altronde, una siffatta apertura degli occhi l'aveva promessa, per sedurre, anche il serpente, tale cioè da far conoscere qualcosa che sarebbe stato meglio ignorare. Allora davvero l'uomo sentì in se stesso quello che aveva fatto; allora distinse il male dal bene, non già perché ne fosse esente, ma perché ne soffriva. Non sarebbe stato giusto che colui che aveva disubbidito al proprio Signore fosse ubbidito dal proprio servo, cioè dal corpo. Come spiegare, infatti, che allorquando abbiamo un corpo libero da impedimenti e in salute, è in nostro potere muovere gli occhi, le labbra, la lingua, le mani, i piedi, piegare il dorso, il corpo e i fianchi secondo le funzioni di ciascun membro, mentre quando si tratta della procreazione dei figli, le membra create a questo scopo non ubbidiscono al comando della volontà? Si deve invece attendere che la libidine, come se fosse indipendente, le ecciti: cosa che talvolta non fa, benché l'animo lo desideri, mentre tal'altra fa nonostante l'opposizione dell'animo. Non dovrebbe di questo arrossire la libertà dell'arbitrio umano, per aver perduto il dominio anche sulle proprie membra a causa del disprezzo del comando di Dio? E dove si potrebbe manifestare con maggior convenienza che la natura umana è degenerata a motivo della disubbidienza, se non nella disubbidienza di quegli organi per mezzo dei quali la natura sussiste perpetuandosi? È questo il motivo per cui queste parti del corpo vengono chiamate con proprietà natura. Quando, dunque, quei primi uomini avvertirono nella propria carne questo movimento sconveniente, proprio perché ribelle, e si vergognarono della propria nudità, essi coprirono quei medesimi organi con foglie di fico, affinché ciò che si muoveva senza l'arbitrio della loro volontà fosse almeno celato dall'arbitrio del loro pudore e, poiché si vergognavano di un piacere sconveniente, avvenisse nell'ombra ciò che era conveniente. 7.8 - La libidine non è un bene costitutivo del matrimonio ma è un male aggiunto Poiché, dunque, neppure con l'aggiunta di questo male poté venir meno la bontà del matrimonio, gente sconsiderata pensa che esso non sia un male, ma faccia parte essenziale di quel bene. Se ne distingue invece, non solo con sottili ragionamenti, ma con il comunissimo giudizio naturale, come apparve in quei primi uomini e come oggi sono convinte le persone coniugate. Ciò che fecero, infatti, in seguito per la procreazione, questo è il bene del matrimonio; ciò che, invece, coprirono prima per vergogna, questo è il male della concupiscenza, che evita dappertutto gli sguardi e cerca per pudore un luogo appartato. Il matrimonio pertanto si può vantare di ricavare un bene anche da quel male, ma arrossisce che non si possa fare senza di esso. Poniamo il caso che uno con un piede in cattivo stato raggiunga qualcosa di buono, zoppicando: non già perché la zoppia è un difetto, è male raggiungere quel bene né per il fatto di aver raggiunto quel bene, la zoppia cessa di essere un difetto. Allo stesso modo non dobbiamo condannare il matrimonio perché la libidine è cattiva né lodare la libidine perché il matrimonio è buono. 8.9 - Usa rettamente la concupiscenza chi mira alla procreazione e alla rigenerazione in Cristo dei figli È proprio questo il morbo del quale l'Apostolo, parlando anche ai fedeli coniugati, diceva: Questa infatti è la volontà di Dio: che vi santifichiate, che vi asteniate dalla fornicazione, che ciascuno di voi sappia possedere il proprio vaso in santità e onore, non nel morbo del desiderio, come i pagani che non conoscono Dio. ( 1 Ts 4,3-5 ) Non solo quindi il coniuge fedele non deve usare del vaso altrui, come fanno quelli che desiderano la donna d'altri, ma sappia che non si deve possedere neanche il proprio vaso nel morbo della concupiscenza carnale. Ciò non vuol dire che l'Apostolo abbia proibito l'unione coniugale, che è lecita e onesta, ma significa che questa unione, alla quale non si sarebbe aggiunta alcuna traccia di morbosa libidine, se per un precedente peccato non fosse perito in essa l'arbitrio della libertà, al presente è accompagnata da questo male, che non deve essere fatto oggetto della volontà, ma subito come una necessità, senza la quale tuttavia nella procreazione dei figli non si può giungere al frutto desiderato dalla stessa volontà. Questa volontà, poi, nel matrimonio cristiano non è determinata dal fine di dar vita a figli destinati a passare su questa terra, ma da quello di dar vita a figli che rinascano in Cristo per l'eternità. Se lo scopo sarà raggiunto, otterranno dal matrimonio la ricompensa di una perfetta felicità; se non sarà raggiunto, gli sposi godranno la pace della buona volontà. Chi possiede il proprio vaso, cioè la propria moglie, con questa intenzione del cuore, senza dubbio non la possiede nel morbo del desiderio, come i pagani che non conoscono Dio, bensì in santità e onore, come fedeli che sperano in Dio. In effetti, di quel male della concupiscenza l'uomo si serve senza esserne sopraffatto, quando la frena e la reprime nel momento in cui arde con movimenti disordinati e indecenti e le allenta un poco le briglie per farne uso soltanto in vista della procreazione, per generare secondo la carne coloro che dovranno essere rigenerati secondo lo spirito, non per sottomettere lo spirito alla vergognosa schiavitù della carne. Nessun cristiano può dubitare che i santi patriarchi, vissuti dopo e prima di Abramo, e ai quali Dio rende testimonianza che gli sono stati graditi, abbiano usato in questo modo delle loro spose. Se ad alcuni di essi fu concesso di avere ciascuno più mogli, il motivo fu di accrescere il numero dei figli e non la preoccupazione di variare il piacere. 9.10 - La poligamia dei patriarchi fu concessa in vista della moltiplicazione dei figli, non del piacere Se infatti il Dio dei nostri padri, che è anche il nostro Dio, avesse approvato quella pluralità di mogli perché più copiose fossero le eccitazioni della libidine, anche le sante donne avrebbero potuto ugualmente servire ciascuna a più mariti. Ma se qualcuna l'avesse fatto, cosa se non la turpe concupiscenza l'avrebbe spinta ad avere più mariti, dal momento che da questa licenza non avrebbe ottenuto più figli? Nondimeno, che al bene del matrimonio convenga di più l'unione di un solo uomo con una donna sola che l'unione di un uomo con molte donne, è chiaramente indicato dalla stessa prima unione coniugale voluta da Dio, affinché i matrimoni da lì ricevessero inizio dove si riscontra l'esempio di maggior onestà. Con il progredire dell'umanità, però, alcuni uomini si unirono singolarmente con più donne, senza scapito dell'onestà di nessuno. Da dove appare come la monogamia rispondesse di più alla misura richiesta dalla dignità, mentre la poligamia fu concessa dall'esigenza della fecondità. Anche il primato, d'altronde, se viene esercitato da uno solo su molti, è più conforme alla natura che se venisse esercitato da molti su uno. Né possiamo mettere in dubbio che nell'ordine naturale gli uomini godano di una supremazia sulle donne piuttosto che le donne sugli uomini. In ossequio a questo principio l'Apostolo disse: L'uomo è il capo della donna ( 1 Cor 11,3 ) e ancora: Donne, siate sottomesse ai vostri mariti. ( Col 3,18 ) Anche l'apostolo Pietro scrive: Come Sara ubbidiva ad Abramo, chiamandolo signore. ( 1 Pt 3,6 ) Sebbene dunque le cose stiano in modo che la natura preferisca l'unicità nel comando, mentre più facilmente vediamo la pluralità nei sudditi, tuttavia non sarebbe mai lecita l'unione di più donne con un solo uomo, se da essa non dovessero nascere più figli. Per cui, se una donna si unisse con più uomini, poiché da una tale unione non risulterebbe un maggior numero di figli, ma solo piaceri più frequenti, essa non potrebbe più essere una moglie, bensì una meretrice. 10.11 - L'indissolubilità del matrimonio e divorzio In verità, agli sposi cristiani non viene raccomandata soltanto la fecondità, il cui frutto sono i figli, né solo la pudicizia, il cui vincolo è la fedeltà, ma anche un certo sacramento del matrimonio, a motivo del quale l'Apostolo dice: Mariti, amate le vostre mogli come Cristo ha amato la Chiesa. ( Ef 5,25 ) Non c'è dubbio che la realtà di questo sacramento è che l'uomo e la donna, uniti in matrimonio, perseverino nell'unione per tutta la vita e che non sia lecita la separazione di un coniuge dall'altro, eccetto il caso di fornicazione. ( Mt 5,32 ) Questo infatti si osserva tra Cristo e la Chiesa che vivendo l'uno unito all'altro non sono separati da alcun divorzio per tutta l'eternità. Tanto scrupolosa è l'osservanza di questo sacramento nella città del nostro Dio, sul suo monte santo, ( Sal 48,2 ) cioè nella Chiesa di Cristo, da parte di tutti gli sposi fedeli che senza dubbio sono membra di Cristo, che, sebbene la ragione per cui le donne prendono marito e gli uomini prendono moglie sia la procreazione dei figli, non è permesso abbandonare neppure la moglie sterile, per sposarne una feconda. Che se qualcuno lo facesse, non secondo la legge di questo secolo, dove servendosi del ripudio è permesso di contrarre senza crimine nuovi matrimoni con altre persone ( cosa permessa agli Israeliti, secondo la testimonianza del Signore, anche dal santo Mosè a causa della durezza del loro cuore ), ( Mt 19,8; Mc 10,5 ) secondo la legge del Vangelo sarebbe responsabile di adulterio. Lo stesso vale per la donna se si maritasse con un altro. Tra persone viventi i diritti del matrimonio, una volta ratificati, sussistono a tal punto che coloro che si sono separati l'uno dall'altro rimangono più coniugi tra loro che nei confronti di quegli altri con cui si sono uniti. Se non rimanessero coniugi l'uno dell'altro, non sarebbero adulteri quando stanno con altri. Inoltre, solo alla morte dell'uomo, con il quale si era contratto un vero matrimonio, si potrà fare un vero matrimonio con colui al quale prima si era uniti in adulterio. Permane così tra loro, finché sono in vita, un certo legame coniugale, che non può essere rimosso né dalla separazione né dall'adulterio. Permane, però, in vista della punizione del crimine, non come un vincolo di un patto, come l'anima di un apostata che recede, per così dire, dall'unione sponsale con Cristo: anche quando ha perduto la fede, essa non perde il sacramento della fede, ricevuto con il lavacro della rigenerazione. Se l'avesse perduto nell'allontanarsi, senza dubbio le sarebbe restituito al ritorno. Ma chi si è allontanato lo possiede per accrescere la pena, non per meritare il premio. 11.12 - Nel matrimonio di Maria e Giuseppe si realizzarono i tre beni del matrimonio Quanto agli sposi che di comune accordo decidono di astenersi per sempre dall'uso della concupiscenza carnale non rompono in alcun modo il vincolo coniugale che li lega l'uno all'altro. Al contrario, tale vincolo sarà tanto più forte quanto più quell'accordo, che dev'essere osservato con più amorosa concordia, è stato da loro raggiunto non negli abbracci voluttuosi dei corpi, ma negli slanci volontari degli animi. Non sono fallaci, infatti, le parole rivolte dall'angelo a Giuseppe: Non temere di accogliere Maria tua sposa. ( Mt 1,20 ) È chiamata sposa per il primo impegno di fidanzamento, senza che Giuseppe l'avesse conosciuta o stesse per conoscerla nell'unione carnale. Non era venuto meno né era stato conservato fallacemente il titolo di sposa, nonostante che non ci fosse stata né ci sarebbe mai stata un'unione carnale. Il motivo per cui la Vergine era ancora più santamente e meravigliosamente cara a suo marito consiste nel fatto che anche senza l'intervento del marito essa divenne feconda, superiore a lui per il Figlio, pari nella fedeltà. A motivo di questo fedele matrimonio entrambi meritarono di essere chiamati i genitori di Cristo: non solo lei fu chiamata madre, ma anche lui, in quanto sposo di sua madre, fu chiamato suo padre; era sposo e padre nello spirito, non nella carne. Tuttavia, sia Giuseppe, padre soltanto in spirito, sia Maria, madre anche secondo la carne, furono entrambi i genitori della sua umiltà non della sua grandezza, della sua debolezza non della sua divinità. Non mentisce, infatti, il Vangelo, dove si legge: Suo padre e sua madre erano stupiti di quanto si diceva di lui ( Lc 2,33 ) né in un altro passo: Tutti gli anni i suoi genitori si recavano a Gerusalemme ( Lc 2,41 ) né poco dopo: Sua madre gli disse: Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco tuo padre ed io addolorati ti cercavamo. ( Lc 2,48ss ) Ma Gesù per mostrare di avere oltre ad essi un altro Padre, che lo generò senza il concorso di nessuna madre, rispose: Perché mi cercavate? Non sapevate che io debbo occuparmi delle cose del Padre mio? E di nuovo, perché non si credesse che con quelle parole li rinnegasse come genitori, l'evangelista continua dicendo: Ma essi non compresero la parola che aveva detto loro. E discese con loro e ritornò a Nazareth ed era loro sottomesso. A chi era sottomesso se non ai genitori? E chi era il sottomesso se non Gesù Cristo, il quale, pur essendo di natura divina, non considerò tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio? ( Fil 2,6-7 ) Perché dunque si sottomise ad essi che erano molto al di sotto della condizione divina, se non perché annichilò se stesso prendendo la condizione di servo, di cui essi erano i genitori? Ma, avendolo lei generato senza l'intervento di lui, certamente non sarebbero entrambi neppure genitori della condizione di servo, se non fossero coniugi l'uno dell'altro, anche senza l'unione della carne. Per questo motivo, quando vengono ricordati in ordine di successione gli antenati di Cristo, la serie delle generazioni doveva essere condotta preferibilmente fino a Giuseppe, come è stato fatto, perché in quel matrimonio non fosse fatto un torto al sesso virile, indubbiamente superiore, senza che venisse meno la verità, dal momento che sia Giuseppe che Maria erano della stirpe di David, dal quale, era stato predetto, doveva nascere il Cristo. 11.13 - Nei genitori di Cristo, quindi, sono stati realizzati tutti i beni propri del matrimonio: prole, fedeltà e sacramento. La prole, la riconosciamo nello stesso Signore Gesù; la fedeltà, nel fatto che non ci fu adulterio; il sacramento, perché non ci fu divorzio. 12 - Il piacere non è un bene del matrimonio, ma disonestà per chi pecca, necessità per chi genera Soltanto l'atto coniugale vi fu assente, perché nella carne di peccato non poteva essere compiuto senza quella concupiscenza della carne che viene dal peccato e senza la quale volle essere concepito Colui che doveva essere senza peccato, non nella carne di peccato, ma nella rassomiglianza della carne di peccato. ( Rm 8,3 ) Così ci insegnava pure che ogni carne che nasce dall'unione carnale è carne di peccato, dal momento che solo la carne che non nacque da essa non fu carne di peccato. Ciò nonostante, l'atto coniugale compiuto con l'intenzione di generare non è di per sé peccaminoso, perché la buona volontà dell'animo riesce a guidare il piacere corporale, che ne segue, senza farsi guidare da esso e senza che l'arbitrio dell'uomo venga soggiogato e trascinato dal peccato, quando la ferita del peccato è ricondotta, com'è giusto, all'uso della procreazione. Un certo prurito di questa ferita signoreggia nella turpitudine degli adulteri, delle fornicazioni e di ogni altro genere di libidine e di impudicizia, nei rapporti coniugali invece è costretto a servire. Là si condanna la turpitudine a causa di un tale padrone, qui l'onestà si vergogna di avere un tale compagno. Non è dunque un bene del matrimonio cotesta libidine, ma disonestà per quelli che peccano e necessità per quelli che generano, ardore della dissolutezza e pudore del matrimonio. Per quale motivo, dunque, non dovrebbero rimanere coniugi coloro che di mutuo accordo cessano di avere rapporti, se rimasero coniugi Giuseppe e Maria, i quali neppure incominciarono ad avere tali rapporti? 13.14 - Dopo Cristo la propagazione dei figli non è più necessaria come nell'antico testamento Questa propagazione dei figli, che per i santi patriarchi era un dovere gravissimo per generare e conservare il popolo di Dio, nel quale doveva precedere l'annuncio profetico del Cristo, oggi non conosce più una tale urgenza. Ormai ci si fa incontro da tutte le nazioni una moltitudine di figli che devono rinascere spiritualmente, qualunque sia la loro origine carnale. Anche ciò che è scritto: C'è un tempo per gli abbracci e un tempo per astenersene ( Qo 3,5 ) lo riconosciamo suddiviso tra quell'antico tempo e il presente: quello fu il tempo degli abbracci, questo il tempo della astinenza dagli abbracci. 13.15 - Il tempo è breve: chi è sposato viva come se non lo fosse Perciò anche l'Apostolo dice a questo proposito: Questo vi dico, fratelli: il tempo è breve! D'ora innanzi anche quelli che hanno moglie vivano come se non l'avessero; quelli che piangono come se non piangessero e quelli che godono, come se non godessero; quelli che comprano, come se non comprassero e quelli che usano di questo mondo come se non l'usassero: perché passa la scena di questo mondo! Io vorrei che voi foste senza sollecitudini. ( 1 Cor 7,29-32 ) Questo testo, per farne una breve esposizione, credo che deve essere inteso nel modo seguente. Questo vi dico, fratelli: il tempo è breve! significa che ormai il popolo di Dio non si deve più propagare con la generazione carnale, ma che deve essere raccolto con la rigenerazione spirituale. D'ora innanzi quindi, quelli che hanno moglie non si sottomettano al giogo della concupiscenza carnale e quelli che piangono per la tristezza del male presente si allietino con la speranza del bene futuro; quelli che godono per qualche bene temporale temano il giudizio eterno; quelli che comprano possiedano i loro averi senza che vi si attacchi il loro cuore, quelli che usano di questo mondo pensino che vi sono di passaggio e non per rimanervi, perché passa la scena di questo mondo! Io vorrei che voi foste senza sollecitudini, cioè vorrei che voi aveste il cuore in alto, nelle cose che non passano. Poi continua dicendo: Chi non è ammogliato ha cura delle cose del Signore, come possa piacere al Signore; chi invece è ammogliato ha cura delle cose del mondo, come possa piacere alla moglie. ( 1 Cor 7,32-33 ) E così in qualche modo spiega quello che aveva detto prima: Quelli che hanno moglie vivano come se non l'avessero. In effetti, quelli che hanno moglie in modo che pensano alle cose del Signore, come possono piacere al Signore, e neppure nelle cose di questo mondo pensano di piacere alla moglie, costoro vivono come se non avessero moglie. A questa condizione si giungerà facilmente se anche le mogli saranno tali che ameranno i mariti non perché sono ricchi, occupano un posto elevato, sono di nobile casato e di bell'aspetto, ma perché sono fedeli, religiosi, casti e virtuosi. 14.16 - Per evitare mali maggiori è tollerabile una certa intemperanza nel matrimonio Tuttavia, nelle persone coniugate come dobbiamo auspicare e lodare questi comportamenti, così dobbiamo tollerarne altri, per evitare che si cada in deplorevoli turpitudini, quali la fornicazione e l'adulterio. Allo scopo di evitare questo male anche quegli atti coniugali, compiuti non in vista della procreazione, ma in obbedienza alla concupiscenza dominante e dei quali hanno l'ordine di non privarsi a vicenda, perché, a motivo della loro intemperanza, non siano tentati da satana, tali atti, pur non essendo imposti da un comando, sono concessi non di meno per indulgenza. ( 1 Cor 7,5 ) Così infatti è scritto: Il marito compia il suo dovere verso la moglie, ugualmente la moglie verso il marito. La moglie non ha potestà sul proprio corpo, ma il marito; allo stesso modo il marito non ha potestà sul proprio corpo, ma la moglie. Non vi private l'uno dell'altro, se non di comune accordo per un certo tempo, per darvi alla preghiera e poi tornate a stare insieme, affinché satana non vi tenti a motivo della vostra intemperanza. Ma dico questo per indulgenza, non per comando. ( 1 Cor 7,3-6 ) Dove si deve usare indulgenza, non si può certo negare che vi sia una colpa. Poiché, dunque, l'unione sessuale compiuta con l'intenzione di generare non è colpevole, ed è questo propriamente che dobbiamo ascrivere al matrimonio, cosa concede l'Apostolo per indulgenza se non che gli sposi, che non riescono a contenersi, chiedano l'uno all'altro il debito coniugale non per desiderio di prole, ma per il piacere sensuale? Questo piacere, tuttavia, non cade nella colpa a causa del matrimonio, ma a causa del matrimonio trova indulgenza. Di conseguenza, anche sotto questo aspetto il matrimonio è degno di lode, perché per suo merito viene scusato anche quello che non gli appartiene. A patto, però, che neppure questa unione, in cui si è schiavi della concupiscenza, venga compiuta in maniera da creare ostacoli al feto, che il matrimonio reclama. 15.17 - Severa condanna delle pratiche anticoncezionali, dell'aborto e dell'esposizione dei figli Tuttavia, una cosa è avere rapporti soltanto con l'intenzione di generare, che non comporta alcuna colpa; altra cosa è ricercare in tali rapporti, avuti sempre con il proprio coniuge naturalmente, il piacere della carne, che comporta una colpa veniale, perché anche se non ci si unisce in vista della propagazione della prole, neppure ci si oppone nel soddisfare la passione né con un malvagio desiderio né con una azione malvagia. Coloro, infatti, che così si comportano, anche se si chiamano sposi, in realtà non lo sono e non conservano niente del vero matrimonio: si fanno schermo dell'onestà di questo nome per coprire la loro turpitudine. Si tradiscono però, quando giungono al punto da esporre i propri figli, nati contro la loro volontà. Detestano di allevare e tenere presso di sé i figli che temevano di generare. Quando, dunque, la tenebrosa iniquità incrudelisce contro i propri figli, generati contro il proprio volere, viene portata alla luce da una chiara iniquità e la segreta turpitudine viene messa a nudo da una manifesta crudeltà. Talvolta, questa voluttuosa crudeltà o se vuoi questa crudele voluttà si spinge fino al punto di procurarsi sostanze contraccettive e, in caso di insuccesso, fino ad uccidere in qualche modo nell'utero i feti concepiti e ad espellerli, volendo che il proprio figlio perisca prima di vivere oppure, nel caso che già vivesse nell'utero, che egli sia ucciso prima di nascere. Non c'è dubbio: se sono tutti e due di tale pasta, essi non sono sposi; e se si comportarono così fin dal principio, non si unirono in matrimonio ma nella lussuria. Se poi non sono tutti e due a comportarsi così, io oserei dire che o lei è in un certo senso la prostituta del marito o lui è l'adultero della moglie. 16.18 - La concupiscenza non regni ma sia costretta a servire Poiché, dunque, il matrimonio non può essere oggi tale quale poteva essere quello dei primi uomini, qualora non ci fosse stato il peccato, sia almeno simile a quello dei santi patriarchi. Tale cioè che la concupiscenza carnale, inesistente nel paradiso prima del peccato e non permessa dopo il peccato, dal momento che la sua presenza è inevitabile in questo corpo di morte, ( Rm 7,24 ) non sia essa a dominare, ma piuttosto sia costretta a servire unicamente alla propagazione della prole. Oppure, poiché il tempo presente, che già abbiamo indicato come il tempo dell'astinenza dagli amplessi, non conosce l'urgenza di questo dovere, mentre da ogni parte, in tutte le nazioni, è pronta una così grande fecondità di figli che devono essere generati nello spirito, chi può comprendere, comprenda ( Mt 19,12 ) piuttosto l'eccellenza di quel bene, costituito dalla continenza. Se poi uno non la può comprendere, se si sposa non pecca; ( 1 Cor 7,28 ) anche la donna, se non riesce a contenersi, si mariti. ( 1 Cor 7,9 ) Certo, è un bene per l'uomo non toccare donna. ( 1 Cor 7,1 ) Ma poiché non tutti capiscono questa parola, ma solo quelli ai quali è stata concessa, ( Mt 19,11 ) non rimane che per evitare le fornicazioni ogni uomo abbia la sua donna e ogni donna il suo marito ( 1 Cor 7,2 ) e così la debolezza dell'incontinenza sia sostenuta dall'onestà del matrimonio, affinché non si cada rovinosamente nelle turpitudini. Quello infatti che l'Apostolo dice delle donne: Voglio che le giovani si maritino ( 1 Tm 5,14 ) si può applicare anche agli uomini: Voglio che i giovani si sposino, in modo da riferire il seguito ad ambedue i sessi: Che generino figli, che siano padri e madri di famiglia e che non offrano all'avversario alcuna occasione di critica. 17.19 - La concupiscenza non dev'essere lodata nel matrimonio, perché è un male sopraggiunto a causa del peccato Nel matrimonio tuttavia siano amati i beni propri del matrimonio: la prole, la fedeltà e il sacramento. La prole non solo perché nasca, ma anche perché rinasca; nasce infatti alla pena, se non rinasce alla vita. La fedeltà, poi, non come quella che hanno anche gli infedeli nella gelosia della carne: nessun marito, per quanto empio, vuole una moglie adultera e nessuna donna, per quanto infedele, vuole un marito adultero. Tale fedeltà nel matrimonio è certamente un bene naturale ma carnale. Chi è membro di Cristo deve temere l'adulterio del coniuge non per se stesso, ma per il coniuge e attendere da Cristo il premio della fedeltà, che egli serba al coniuge. Quanto al sacramento, infine, che non si perde né con la separazione né con l'adulterio, gli sposi lo custodiscano nella concordia e nella castità. È l'unico bene infatti che conserva anche il matrimonio sterile a motivo della pietà, quando si è perduta ormai ogni speranza di fecondità, fine per il quale era stato contratto. Questi sono i beni del matrimonio che devono essere lodati nel matrimonio da chi vuol farne l'elogio. La concupiscenza carnale, invece, non deve essere ascritta al matrimonio, ma vi deve essere tollerata. Non è un bene proveniente dalla natura del matrimonio, ma un male sopravvenutogli dall'antico peccato. 18.20 - Anche dal matrimonio cristiano a causa della concupiscenza nascono figli che devono essere rigenerati È a causa di questa concupiscenza che neppure dal matrimonio regolare e legittimo dei figli di Dio vengono generati figli di Dio, ma figli del secolo. Il motivo sta nel fatto che anche quelli che generano dopo che sono stati rigenerati non generano in quanto figli di Dio, bensì come figli del secolo. È del Signore infatti la dichiarazione: Sono i figli del secolo che generano e sono generati. ( Lc 20,34 ) Per il fatto dunque, che siamo ancora figli di questo secolo, il nostro uomo esteriore si corrompe; ( 2 Cor 4,16 ) per questo motivo ancora sono generati figli di questo secolo e non divengono figli di Dio, se non sono rigenerati. Ma per il fatto che siamo figli di Dio, l'uomo interiore si rinnova di giorno in giorno, ( 2 Cor 4,16 ) sebbene anche l'uomo esteriore sia santificato con il lavacro della rigenerazione e riceva la speranza della futura incorruttibilità, sì da essere meritatamente chiamato tempio di Dio. I vostri corpi, dice l'Apostolo, sono il tempio dello Spirito Santo che è in voi, che avete ricevuto da Dio. Voi non appartenete più a voi stessi, perché siete stati comprati a caro prezzo. Glorificate dunque [ e portate ] Dio nel vostro corpo. ( 1 Cor 6,19-20 ) Tutto questo è stato detto non solo a motivo della presente santificazione, ma soprattutto per quella speranza, di cui lo stesso Apostolo in un altro passo dice: Noi pure che abbiamo le primizie dello Spirito, noi pure che gemiamo dentro di noi, aspettando l'adozione, la redenzione del nostro corpo. ( Rm 8,23 ) Se quindi secondo l'Apostolo aspettiamo la redenzione del nostro corpo, evidentemente ciò che si aspetta ancora si spera, ancora non si possiede. Perciò aggiunge: Nella speranza infatti siamo stati salvati. Ma la speranza che si vede non è più speranza; come si potrebbe sperare quello che si vede? Ma se speriamo quello che non vediamo, noi lo aspettiamo nella pazienza. ( Rm 8,24-25 ) Non è dunque per quello che aspettiamo di essere che i figli vengono procreati carnali, ma per quello che sopportiamo. Pertanto, quando un fedele sente dire dall'Apostolo: Amate le vostre mogli, ( Col 3,19 ) si deve guardare dall'amare nella moglie quella concupiscenza che non deve amare neppure in se stesso, poiché da un altro apostolo si sente dire: Non amate il mondo né le cose che sono nel mondo. Se uno ama il mondo, l'amore del Padre non è in lui, perché tutto quello che è nel mondo è concupiscenza della carne, concupiscenza degli occhi e ambizione del secolo, che non viene dal Padre ma dal mondo. Il mondo passerà con la sua concupiscenza, ma chi fa la volontà di Dio dura in eterno, come anche Dio dura in eterno. ( 1 Gv 2,15-17 ) 19.21 - Non è facile a comprendersi né a spiegarsi la nascita di un figlio peccatore da genitori battezzati Chi nasce dunque da questa concupiscenza della carne nasce certo per il mondo, non per Dio; nasce per Dio quando rinasce dall'acqua e dallo Spirito. Soltanto la rigenerazione rimette il reato di questa concupiscenza, che la generazione si trae dietro. Ciò che è stato generato sia dunque rigenerato, perché non è possibile rimettere altrimenti ciò che è stato contratto. Che una cosa rimessa nei genitori sia contratta dai figli è un fatto certamente straordinario, tuttavia è reale. Per disposizione della divina Provvidenza questi fatti invisibili, incredibili per coloro che non credono, e nondimeno reali, trovano un visibile esempio in certi alberi. Perché non dovremmo credere che a questo scopo è stato disposto che dall'olivo nasca l'oleastro? Non dovremmo credere che in una cosa, creata ad uso dell'uomo, il Creatore abbia potuto disporre e stabilire qualcosa che avesse valore di esempio per il genere umano? È un fatto straordinario che persone, liberate dal vincolo del peccato mediante la grazia, generino tuttavia dei figli irretiti dallo stesso vincolo, dal quale devono essere liberati allo stesso modo. Lo confesso, è straordinario. Ma come si poteva credere, se non lo avesse provato l'esperienza, che i germi degli oleastri siano latenti anche nei semi dell'olivo? Come dunque dal seme dell'oleastro e dal seme dell'olivo non nasce se non l'oleastro, sebbene ci sia grande differenza tra l'oleastro e l'olivo, così sia dalla carne del peccatore che dalla carne del giusto non nascono che figli peccatori, nonostante la grande differenza che passa tra il peccatore e il giusto. Nasce un peccatore, tale non ancora per una propria azione e nuovo quanto all'origine, ma vecchio quanto alla colpa: fatto uomo dal Creatore e reso prigioniero dall'ingannatore, egli ha bisogno del Redentore. Ma ci si domanda come un figlio possa ereditare la condizione di schiavo anche da genitori già riscattati. E poiché non è facilmente comprensibile alla ragione né spiegabile a parole, gli infedeli non lo credono; come se fosse facile trovare una soluzione razionale e una spiegazione verbale a quanto ho detto a proposito dell'oleastro e dell'olivo, che pur essendo di genere diverso danno origine a virgulti simili. Eppure questo fatto può essere constatato da chiunque voglia prendersi la briga di farne esperienza. Serviamoci dunque di un esempio che rende credibile anche quello che non si può vedere. 20.22 - A causa del peccato originale i bambini non ancora battezzati sono prigionieri del diavolo La fede cristiana invero, che i nuovi eretici hanno incominciato a combattere, non mette in dubbio che coloro, i quali vengono purificati nel lavacro della rigenerazione, siano riscattati dal potere del diavolo, mentre coloro, i quali non sono stati ancora riscattati con una tale rigenerazione, compresi i bambini nati da genitori riscattati, restino prigionieri sotto il potere diabolico fino a quando non vengono riscattati anch'essi dalla stessa grazia di Dio. Non abbiamo dubbi infatti che a tutte le età si estenda quel beneficio di Dio, di cui parla l'Apostolo: Egli ci ha strappati dal potere delle tenebre e ci ha trasferiti nel regno del Figlio del suo amore. ( Col 1,13 ) Chi nega che i bambini al momento del battesimo vengono strappati da questo potere delle tenebre, di cui è principe il diavolo, cioè dal potere del diavolo e dei suoi angeli, viene messo a tacere dalla verità degli stessi sacramenti della Chiesa, che nessuna novità eretica può distruggere o mutare nella Chiesa di Cristo, perché il capo regge e aiuta l'intero suo corpo, piccoli e grandi. Realmente, dunque, e non falsamente viene esorcizzato il potere diabolico nei bambini, che vi rinunciano con il cuore e con la bocca di chi li porta, non potendolo fare personalmente, affinché liberati dal potere delle tenebre siano trasferiti nel regno del loro Signore. Cosa c'è dunque in essi che li tiene sotto il potere del diavolo, finché non ne vengono liberati per mezzo del sacramento del battesimo di Cristo? Cosa c'è se non il peccato? Nient'altro infatti ha trovato il diavolo che gli permettesse di sottomettere al suo potere la natura umana, che un Creatore buono aveva creato buona. Ma i bambini nella loro vita non hanno commesso nessun peccato personale; non rimane quindi che il peccato originale, a causa del quale sono prigionieri sotto il potere del diavolo, a meno che non vengono liberati dal lavacro della rigenerazione e dal sangue di Cristo e non passano nel regno del loro Redentore, dopo che è stato reso vano il potere di colui che li teneva asserviti e dopo che è stato loro dato il potere di diventare da figli di questo secolo figli di Dio. 21.23 - Causa della trasmissione del peccato originale non sono i tre beni del matrimonio Se a questo punto potessimo domandare in qualche modo a quei tre beni del matrimonio la causa per la quale da essi abbia potuto propagarsi il peccato nei bambini, l'atto della procreazione ci risponderebbe: Io nel paradiso avrei goduto maggiore felicità, se non fosse stato commesso il peccato. A me infatti fu rivolta la benedizione di Dio: Crescete e moltiplicatevi. ( Gen 1,28 ) In vista di quest'opera buona furono creati nei due differenti sessi organi diversi, che già esistevano prima del peccato, ma non erano vergognosi. La fedeltà nella castità risponderebbe: Se non ci fosse stato il peccato, cosa poteva esserci di più sicuro di me nel paradiso, dove non mi avrebbe istigato la mia passione né mi avrebbe tentato quella di un altro? Anche il sacramento del matrimonio risponderebbe: Di me prima del peccato così fu detto nel paradiso: L'uomo lascerà il padre e la madre e si unirà a sua moglie e saranno due in una sola carne, ( Gen 2,24 ) la qual cosa dall'Apostolo fu definita grande sacramento in Cristo e nella Chiesa. ( Ef 5,32 ) Ciò che dunque è grande in Cristo e nella Chiesa è assai piccolo nelle singole coppie di sposi, ma è pur sempre il sacramento di una unione inseparabile. Quale di questi beni del matrimonio è la causa della trasmissione nei posteri del vincolo del peccato? Sicuramente nessuno. Anzi con questi tre beni la bontà del matrimonio sarebbe stata perfettamente realizzata, perché grazie ad essi il matrimonio è un bene anche al presente. 22.24 - La libidine e la vergogna sono conseguenze del peccato Se invece interrogassimo la concupiscenza della carne, a causa della quale divennero vergognosi quegli organi che prima non lo erano, certamente essa dovrebbe rispondere di aver incominciato ad esistere nelle membra dell'uomo dopo il peccato e di essere chiamata, secondo l'espressione dell'Apostolo, legge del peccato, ( Rm 7,23 ) per il fatto di aver asservito a sé l'uomo, perché costui non volle assoggettarsi al proprio Dio. Direbbe ancora di essere proprio lei quella di cui arrossirono i primi sposi, quando coprirono le parti vergognose, ( Gen 3,7 ) e di cui arrossiscono ancora oggi tutti gli sposi, quando cercano luoghi appartati per compiere l'atto sessuale e non osano avere a testimoni di tale azione neppure i figli, che hanno così generato. A questo pudore naturale si oppose con singolare impudenza l'errore dei filosofi cinici. Essi sostenevano che il rapporto sessuale con la propria moglie, poiché è lecito e onesto, dev'essere compiuto in pubblico. È la ragione per cui questa sconcia impudenza ha preso giustamente il nome dai cani; per questo infatti sono stati chiamati cinici. 23.25 - Nella generazione la concupiscenza trasmette il vincolo del peccato È insomma questa concupiscenza, è questa legge del peccato, che abita nelle membra e alla quale vieta di ubbidire la legge della giustizia, secondo le parole dell'Apostolo: Non regni dunque il peccato nel vostro corpo mortale, per farvi ubbidire ai suoi desideri e non prestate le vostre membra al peccato come strumenti di iniquità; ( Rm 6,12-13 ) è questa concupiscenza, ripeto, che si espia unicamente con il sacramento della rigenerazione, a trasmettere, senza dubbio per generazione, il vincolo del peccato ai posteri, a meno che anch'essi non ne vengano liberati con la rigenerazione. Nei battezzati, invero, la concupiscenza non è di per sé peccato, quando non si consente ad essa per compiere azioni illecite e lo spirito, rimanendo sovrano, non le presta le membra per eseguirle, di modo che se non si adempie il precetto: Non desiderare, ( Es 20,17 ) si adempia almeno quello che leggiamo altrove: Non andare dietro le tue concupiscenze. ( Sir 18,30 ) Ma poiché, secondo un certo modo di parlare, è chiamata peccato, perché è frutto del peccato e, nel caso che prevalga, è causa di peccato, il suo reato sussiste in chi è generato: reato che la grazia di Cristo, attraverso la remissione di tutti i peccati, non lascia sussistere in colui che è stato rigenerato, se costui non le ubbidisce quando comanda in qualche modo azioni cattive. Si chiama peccato, perché è stata prodotta dal peccato, benché nei rigenerati non sia più di per sé un peccato, allo stesso modo che si chiama lingua il linguaggio, che è un prodotto della lingua, e si chiama mano la scrittura, che è una realizzazione della mano. Si chiama ancora peccato, perché se è vittoriosa commette il peccato, allo stesso modo che si dice pigro il freddo non perché sia prodotto dai pigri, ma perché rende pigri. 23.26 - La ferita inflitta dal diavolo rese l'uomo immondo e a lui soggetto Questa ferita, inflitta dal diavolo al genere umano, sottomette alla schiavitù del diavolo chiunque nasce per suo tramite, come se cogliesse con pieno diritto un frutto dal proprio albero, non già perché venga da lui la natura umana, che ha origine solo da Dio, ma perché viene da lui il vizio, che non ha origine da Dio. La natura umana, infatti, non è condannata per se stessa - essa è degna di lode, perché è opera di Dio - ma a causa del condannabile vizio che l'ha viziata. E la causa della sua condanna è anche la causa della sua sottomissione al condannato diavolo, perché anch'egli è uno spirito impuro, certamente buono in quanto spirito, ma cattivo in quanto impuro, giacché è spirito per natura e impuro per vizio: due cose, di cui una viene da Dio e l'altra da lui stesso. Per conseguenza, domina gli uomini, adulti o bambini, non a motivo della loro umanità, bensì della loro impurità. Chi dunque si stupisce del fatto che una creatura di Dio viene sottomessa al diavolo, non si stupisca più: una creatura di Dio è sottomessa a un'altra creatura di Dio, quella più piccola a quella più grande, cioè l'uomo all'angelo, ma non a causa della natura, bensì a causa del vizio, perché un impuro è sottomesso a un altro impuro. Questo è il frutto che egli raccoglie dall'antico ceppo d'impurità, da lui piantato nell'uomo. Certo, all'ultimo giudizio, egli dovrà subire pene più gravi, in proporzione della sua maggiore impurità. Tuttavia anche quelli che saranno condannati a pene più tollerabili, sono soggetti a lui come al principe e al fautore del peccato, perché non ci sarà altra causa di condanna, se non il peccato. 24.27 - Dalla concupiscenza effetto e causa del peccato, tutti contraggono il peccato originale Per la qual cosa, i bambini sono tenuti come rei dal diavolo, non in quanto nati dal bene, che costituisce la bontà del matrimonio, bensì perché nati dal male della concupiscenza, di cui indubbiamente il matrimonio fa buon uso, ma di cui deve arrossire anche il matrimonio. Pur essendo questo degno di onore in tutti i beni che gli sono propri, pur conservando gli sposi intemerato il talamo non solo dalle fornicazioni e dagli adulteri, che sono turpitudini meritevoli di condanna, ma anche da quegli eccessi sessuali, che non si compiono sotto il dominio della volontà in vista della prole, ma per la ricerca del piacere sotto la spinta vittoriosa della passione e che negli sposi costituiscono peccati veniali, tuttavia quando si arriva all'atto della procreazione, quella stessa unione, lecita e onesta, non può essere compiuta senza l'ardore della passione, sì che si possa compiere ciò che è proprio della ragione e non della passione. Sia che segua sia che prevenga, è certamente solo questo ardore che muove, quasi di sua autorità, le membra che la volontà non riesce a muovere. In questo modo esso si rivela non come il servo agli ordini della volontà, ma come pena di una volontà ribelle, che deve essere eccitato non dal libero arbitrio, ma da qualche stimolo allettante. È questa la ragione della sua vergogna. Chiunque nasce da questa concupiscenza della carne, che, sebbene nei rigenerati non sia più imputata a peccato, si trova tuttavia nella natura solo a causa del peccato, chiunque nasce, dicevo, da questa concupiscenza della carne in quanto figlia del peccato e, quando le si acconsente per cose disoneste, anche madre di molti peccati, è in debito del peccato originale, a meno che non rinasca in Colui che una Vergine concepì senza questa concupiscenza e che per questo motivo fu il solo a nascere senza peccato, quando si degnò di nascere nella carne. 25.28 - Il battesimo non distrugge la concupiscenza ma soltanto libera dalla sua colpa Se poi ci si chiede come questa concupiscenza carnale possa rimanere nel rigenerato, nel quale è avvenuta la remissione di tutti i peccati, dal momento che per mezzo di essa è concepito e con essa nasce anche il figlio di un genitore battezzato, oppure se ci si chiede per quale ragione la concupiscenza carnale sia peccato nella prole, quando nel genitore battezzato può sussistere senza essere peccato; a queste domande si risponde che nel battesimo la concupiscenza della carne è rimessa non in modo che cessi di esistere, ma in modo che non sia più imputata a peccato. Anche se la sua colpevolezza è stata ormai cancellata, essa tuttavia rimane fino a quando non sarà guarita tutta la nostra infermità, quando cioè con il quotidiano progresso del rinnovamento dell'uomo interiore, l'uomo esteriore si sarà rivestito di incorruttibilità. ( 2 Cor 4,16; 1 Cor 15,53 ) Non rimane alla maniera di una sostanza, come un corpo o uno spirito, ma è uno stato affettivo di cattiva qualità, come un languore. Non rimane dunque niente che non sia rimesso, quando si adempie quello che è scritto: Il Signore è misericordioso per tutte le nostre iniquità. ( Sal 103,3 ) Ma fino a quando si avvera anche ciò che segue: Egli guarisce tutti i tuoi languori, egli riscatta la tua vita dalla corruzione, ( Sal 103,3-4 ) la concupiscenza della carne resta in questo corpo mortale e noi abbiamo l'ordine di non ubbidire ai suoi viziosi desideri di compiere cose illecite, affinché il peccato non regni nel nostro corpo mortale. Questa concupiscenza, nondimeno, diminuisce di giorno in giorno nelle persone impegnate nella virtù e nella continenza, soprattutto al sopraggiungere della vecchiaia. In coloro, invece, che vergognosamente se ne rendono schiavi, diventa tanto potente che di solito non cessa di infuriare in maniera sempre più turpe e impudente, neppure quando a causa dell'età il vigore fisico viene ormai meno e le stesse parti del corpo sono meno valide ad essere adoperate per la loro funzione. 26.29 - La concupiscenza nei battezzati non più imputata a peccato Quando dunque coloro che vengono rigenerati in Cristo ricevono la remissione di tutti i peccati, necessariamente, è evidente, deve essere rimessa anche la colpevolezza di questa concupiscenza, la quale, benché rimanga in loro, come ho detto, non viene più imputata a peccato. In effetti, come rimane e, se non viene rimessa, rimarrà per sempre la colpevolezza di quei peccati che non possono restare per il semplice fatto che passano mentre si compiono, così, quando viene rimessa, la colpevolezza della concupiscenza viene cancellata. Non aver peccati, infatti, significa proprio questo: non essere colpevole di peccato. Se uno, per esempio, ha commesso adulterio, anche se non lo commette più in seguito, è colpevole di adulterio finché la sua colpa non viene rimessa con il perdono. Egli dunque è in peccato, anche se non esiste più l'azione alla quale acconsentì, perché è passata insieme al tempo nel quale fu compiuta. Se non aver peccati consistesse nel non peccare più, sarebbe sufficiente che la Scrittura ci ammonisse così: Figlio, hai peccato? Non farne altri. Invece non è sufficiente, perché aggiunge: E prega che ti siano perdonati quelli passati. ( Sir 21,1 ) Se non vengono rimessi, quindi, i peccati rimangono. Ma come rimangono, se sono passati, se non perché sono passati come atto, ma rimangono come colpa? Così dunque può accadere, al contrario, che anche la concupiscenza rimanga come atto e passi come colpa. 27.30 - La concupiscenza causa desideri malvagi contro i quali è doveroso lottare La concupiscenza della carne ha una certa attività anche quando non le si dà il consenso del cuore perché regni né le si offrono le membra perché se ne serva come strumenti per compiere ciò che comanda. E qual è questa attività, se non i desideri cattivi e turpi? Se fossero buoni e leciti, infatti, l'Apostolo non vieterebbe di ubbidire loro, dicendo: Non regni il peccato nel vostro corpo mortale, sì da ubbidire ai suoi desideri. ( Rm 6,12 ) Non dice: sì da avere i suoi desideri, ma: sì da ubbidire ai suoi desideri, perché, dal momento che sono in alcuni più forti in altri meno, secondo il progresso fatto da ciascuno nel rinnovamento dell'uomo interiore, ( 2 Cor 4,16 ) continuiamo la lotta per la giustizia e per la castità, per non ubbidire loro. Dobbiamo tuttavia aspirare alla soppressione di questi desideri, anche se questo è un obiettivo irraggiungibile in questo corpo mortale. A questo proposito, il medesimo Apostolo anche in un altro passo, portando, per così dire, sulla scena la propria persona, ci istruisce con queste parole: Non quello che voglio, io faccio, ma quello che odio, questo io faccio, ( Rm 7,19 ) cioè ho desideri, perché neppure questi avrebbe voluto provare per essere perfetto sotto ogni punto di vista. Se faccio quello che non voglio, dice, acconsento alla legge, riconosco che è buona, ( Rm 7,20 ) perché neppure essa vuole ciò che non voglio io. La legge infatti che dice: Non desiderare ( Es 20,17; Rm 7,7 ) non vuole che io abbia desideri, ciò che non voglio neanch'io. In questo quindi la volontà della legge e la mia vanno d'accordo. Tuttavia, poiché non voleva avere desideri e nondimeno li provava, senza però rendersene schiavo con il consenso, prosegue dicendo: Non sono dunque io a farlo, ma il peccato che abita in me. ( Rm 7,20 ) 28.31 - Chi compie il male, acconsentendo alla propria concupiscenza, è responsabile Ma si sbaglia di grosso chi, acconsentendo alla concupiscenza della carne e decidendo liberamente di fare ciò che essa desidera, crede ancora di poter dire: Non sono io a farlo, ( Rm 7,17.20 ) perché anche se odia acconsente. È vera l'una e l'altra cosa: odia, perché sa che è male, ma lo compie, perché ha deciso di farlo. Nel caso poi che aggiungesse anche quello che la Scrittura proibisce, dicendo: Non offrite le vostre membra al peccato come strumenti di iniquità ( Rm 6,13 ) sì da compiere anche con il corpo quanto aveva deciso nel cuore, e ciò nonostante dicesse: Non sono io a farlo, ma il peccato che abita in me, ( Rm 7,17 ) per il fatto che quando lo decide e lo compie prova dispiacere, si sbaglia fino al punto da non riconoscere neanche se stesso, dal momento che, risultando egli nella sua totalità composto del cuore che decide e del corpo che esegue, crede ancora di non essere se stesso. 29 - Chi dunque afferma: Non sono io a farlo, ma il peccato che abita in me, dice la verità se prova soltanto il desiderio; dice invece il falso, se decide con il consenso del cuore o se giunge anche a compierlo servendosi del corpo. 29.32 - Il volere è alla mia portata, ma compiere il bene no L'Apostolo aggiunge poi: Io so infatti che il bene non abita in me, cioè nella mia carne, poiché volere il bene è alla mia portata, ma non il suo compimento. ( Rm 7,18 ) La ragione di tale affermazione sta nel fatto che il compimento del bene si raggiunge quando non si ha alcun desiderio cattivo, allo stesso modo che si raggiunge il compimento del male quando si ubbidisce ai desideri cattivi. Nel caso invece che si hanno desideri cattivi, ma non si ubbidisce loro, non si realizza compiutamente il male, perché non si ubbidisce loro, ma non si realizza interamente il bene, proprio per la loro presenza. In parte si realizza il bene, perché non si acconsente alla cattiva concupiscenza, in parte resta il male, perché viene almeno desiderato. Per questo motivo l'Apostolo non dice che non sia alla sua portata il compiere il bene, ma raggiungere il compimento del bene. In verità, già fa molto bene chi mette in pratica il precetto della Scrittura: Non andare dietro le tue concupiscenze, ( Sir 18,30 ) ma non raggiunge il suo compimento, perché non adempie l'altro precetto: Non desiderare. ( Es 20,17; Rm 7,7 ) Ordinandoci di non desiderare, la legge si proponeva di invitarci a cercare, scoprendoci sofferenti di questa malattia, il rimedio della grazia e di farci sapere con questo precetto verso quale meta dobbiamo dirigere i nostri sforzi durante questa vita mortale e a quale meta potremo arrivare nella beatissima immortalità futura. Se infatti non dovessimo mai raggiungere questa perfezione, non avrebbe dovuto mai essere comandata. 30.33 - Vedo nelle mie membra un'altra legge che si oppone alla legge della mia ragione Per dare maggiore forza alla precedente dichiarazione, l'Apostolo ripete: Infatti io non faccio il bene che voglio, ma il male che non voglio. Ma se faccio quello che non voglio, non sono più io che lo faccio, ma il peccato che abita in me. E continua: Io trovo dunque questa legge che, quando voglio fare il bene, mi si presenta il male. ( Rm 7,19-21 ) Come se dicesse: trovo che la legge è un bene per me, che voglio fare quello che vuole la legge, giacché non proprio alla legge che dice: Non desiderare ( Es 20,17; Rm 7,7 ), ma a me si presenta il male che non voglio, perché è contro mia voglia che ho desideri. Mi compiaccio, dice, nella legge di Dio secondo l'uomo interiore. Ma vedo nelle mie membra un'altra legge che si oppone alla legge della mia mente e che mi tiene prigioniero sotto la legge del peccato, che è nelle mie membra. ( Rm 7,22-23 ) Questo compiacimento nella legge di Dio secondo l'uomo interiore ci viene dalla grande grazia di Dio. Con essa davvero il nostro uomo interiore si rinnova di giorno in giorno, ( 2 Cor 4,16 ) in quanto con essa progredisce con perseveranza. Non è infatti timore che tormenta, ma amore che dà gioia. Allora siamo veramente liberi, quando non godiamo contro voglia. 30.34 - La legge del peccato domina la carne perché suscita in essa desideri illeciti, ai quali non si deve ubbidire Quanto alla affermazione dell'Apostolo: Vedo nelle mie membra un'altra legge che si oppone alla legge della mia mente, ( Rm 7,23 ) essa si riferisce proprio alla concupiscenza, di cui andiamo parlando, cioè alla legge del peccato presente nella carne del peccato. Quando poi aggiunge: E che mi tiene prigioniero sotto la legge del peccato, cioè sotto se stessa, che è nelle mie membra, con l'espressione che mi tiene prigioniero intese dire o che essa cerca di farmi prigioniero, ossia che mi spinge al consenso e all'azione, o piuttosto, e questo è fuori discussione, che mi tiene prigioniero secondo la carne. Se infatti la concupiscenza carnale, che egli chiama legge del peccato, non dominasse sulla carne, non susciterebbe in essa alcun desiderio illecito, al quale la mente non debba ubbidire. Dal momento però che non disse: che tiene prigioniera la mia carne, bensì: che mi tiene prigioniero, è avvenuto che vi si cercasse un altro senso e che intendessimo quell'espressione nel senso: che cerca di farmi prigioniero. Ma perché non avrebbe potuto dire: che mi tiene prigioniero, se avesse voluto intendere la sua carne? Quando non si trovò nel sepolcro il corpo di Gesù, non si disse forse di lui: Hanno portato via il mio Signore e non so dove l'hanno posto? ( Gv 20,2 ) Fu forse inesattezza dire: Il mio Signore, invece di dire: la carne o il corpo del mio Signore? 31.35 - Aspettiamo ancora la redenzione del nostro corpo, perché in parte è ancora sotto la legge del peccato Sebbene, proprio l'Apostolo poco prima aveva mostrato assai chiaramente come avesse potuto correttamente indicare la sua carne con l'espressione: che mi tiene prigioniero. Infatti dopo aver detto: So che il bene non abita in me, per spiegarsi aggiunse: cioè nella mia carne. ( Rm 7,18 ) È dunque tenuta prigioniera sotto la legge del peccato quella in cui non abita il bene, cioè la carne. Qui è stata chiamata carne dove c'è una certa disposizione morbosa della carne, non la struttura stessa del corpo, le cui membra non devono essere offerte come strumenti al peccato, ( Rm 6,13 ) cioè alla stessa concupiscenza che tiene prigioniera questa parte carnale del nostro essere. Per quanto concerne, infatti, la stessa sostanza e natura del corpo, negli uomini fedeli, sia sposati sia continenti, è già tempio di Dio. Tuttavia, se non fosse tenuto prigioniero assolutamente niente della nostra carne non dico dal diavolo, giacché anche in essa è avvenuta la remissione del peccato in modo da non essere più imputata a peccato quella che propriamente si chiama legge del peccato; se in una certa misura la nostra carne non fosse tenuta prigioniera dalla stessa legge del peccato, cioè dalla sua concupiscenza, come potrebbe essere vero quello che dice lo stesso Apostolo: Aspettando l'adozione, la redenzione del nostro corpo? ( Rm 8,23 ) In tanto siamo ancora in attesa della redenzione del nostro corpo, in quanto ancora e in una certa misura esso è prigioniero della legge del peccato. Da qui anche la sua esclamazione: Me infelice! Chi mi libererà da questo corpo di morte? La grazia di Dio per Gesù Cristo nostro Signore. ( Rm 7,24-25 ) Come vorremo intendere questo testo se non nel senso che il corpo che si corrompe appesantisce l'anima? ( Sap 9,15 ) Dunque questo corpo sarà ripreso ormai incorruttibile, si avrà la completa liberazione da questo corpo di morte, dal quale non saranno liberati coloro che risusciteranno per avviarsi al castigo. È a questo corpo di morte, dunque, che si intende spettare la prerogativa che un'altra legge si opponga nelle membra alla legge della mente, fino a quando la carne desidera contro lo spirito, anche se non giunge a soggiogare la mente, perché anche lo spirito desidera contro la carne. ( Gal 5,17 ) E così, sebbene la stessa legge del peccato tenga prigioniero qualcosa della carne, per cui resiste alla legge della mente, essa tuttavia non regna nel nostro corpo, per quanto mortale, a meno che non si ubbidisce ai suoi desideri. Accade di solito anche ai nemici contro cui si combatte: di essere sconfitti in battaglia e di restare padroni di qualcosa nonostante la sconfitta. Questa parte della carne, benché tenuta soggetta alla legge del peccato, è tuttavia in attesa di essere redenta, perché della viziosa concupiscenza non rimarrà assolutamente nessuna traccia, mentre la nostra carne, guarita da quella pestifera malattia e rivestita interamente di immortalità, continuerà a vivere nell'eterna beatitudine. 31.36 - La grazia con la remissione di tutti i peccati ha cancellato la colpa della concupiscenza L'Apostolo continua poi dicendo: Io dunque con la mente servo la legge di Dio, con la carne invece la legge del peccato. ( Rm 7,25 ) Il passo deve essere interpretato così: con la mente servo la legge di Dio, non acconsentendo alla legge del peccato; con la carne invece servo la legge del peccato, perché ho i desideri del peccato, dai quali non sono ancora del tutto libero, benché non vi consenta. Osserviamo infine la conclusione del suo discorso: Non c'è dunque più nessuna condanna per coloro che sono in Cristo Gesù. ( Rm 8,1 ) Anche al presente, dice, quando una legge si oppone nelle membra alla legge della mente e tiene prigioniero qualcosa in questo corpo di morte, non c'è alcuna condanna per coloro che sono in Cristo Gesù. Ascoltane il motivo: Poiché la legge dello spirito di vita, dice, mi ha liberato in Cristo Gesù dalla legge del peccato e della morte. ( Rm 8,2 ) In qual modo ha liberato, se non cancellando la sua colpa con la remissione di tutti i peccati, di modo che non viene imputata a peccato, sebbene rimanga ancora e diminuisca sempre di più di giorno in giorno? 32.37 - Se non è rimessa la sua colpa, la concupiscenza rende tutti debitori di eterna pena Fino a quando, pertanto, non avviene nel bambino questa remissione dei peccati, cotesta legge del peccato rimane in lui in modo da essergli imputata anche a peccato, cioè in modo che con essa rimane anche la sua colpevolezza, sì da renderlo debitore di pena eterna. È questo infatti che trasmette il genitore alla prole carnale, in quanto anch'egli è nato secondo la carne, non in quanto è rinato secondo lo spirito. La realtà stessa, infatti, per cui è nato secondo la carne, sebbene non gli impedisca di portare frutto una volta che la colpevolezza è stata cancellata, vi rimane tuttavia nascosta come nel seme di olivo, anche se a causa della remissione dei peccati non nuoce affatto all'olio, ossia a quella vita per la quale secondo Cristo, che ha ricevuto il nome dall'olio, cioè dal crisma, il giusto vive di fede. ( Rm 1,17; Eb 10,38; Ab 2,4 ) Ciò che nel genitore rigenerato rimane nascosto, come nel seme di ulivo, senza alcuna colpa perché è stata rimessa, si ritrova certamente nel figlio non ancora rigenerato, come nell'oleastro, insieme alla colpevolezza, fino a quando non venga rimesso anche in lui con la medesima grazia. Dal momento infatti in cui Adamo da olivo qual era, in cui cioè non c'era un seme dal quale potesse nascere l'amaro oleastro, si mutò peccando in oleastro, perché il suo peccato fu talmente grave da produrre una grossa degenerazione della natura, rese oleastro tutto il genere umano. Cosicché, come ora vediamo anche negli alberi, se la grazia divina ne trasforma in olivo qualche individuo, il vizio della prima nascita, che era il peccato originale trasmesso e contratto dalla concupiscenza carnale, è in lui rimesso, ricoperto e non imputato; da esso tuttavia nascerà l'oleastro a meno che anch'egli non rinasca a olivo con la medesima grazia. 33.38 - Pur rimessa, la concupiscenza nei battezzati conserva una forza nascosta, per la quale nasceranno uomini peccatori Beato dunque l'olivo le cui iniquità sono state rimesse e i cui peccati sono stati ricoperti; beato colui al quale il Signore non ha imputato il peccato. ( Sal 32,1-2 ) Ma quel peccato che è stato rimesso e ricoperto e che non è più imputato, finché non avverrà la completa trasformazione nell'eterna immortalità, conserva una certa forza misteriosa, da cui è prodotto l'amaro oleastro, a meno che anche in esso per il medesimo intervento di Dio non sia rimesso, ricoperto, e non più imputato. Non ci sarà più nulla di vizioso, neppure nel seme carnale, quando, purificati e guariti sino in fondo tutti i mali dell'uomo con la medesima rigenerazione che ora avviene con il lavacro sacro, la stessa carne, per la quale l'anima è diventata carnale, diventerà anch'essa spirituale: ( 1 Cor 15,44 ) non avrà più nessuna concupiscenza carnale che si opponga alla legge della mente e non emetterà più seme carnale. Questo è il significato che si deve dare alle parole dell'Apostolo: Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per essa, per santificarla con il lavacro dell'acqua mediante la parola e per farsi comparire davanti una Chiesa gloriosa senza macchie né rughe o cose del genere. ( Ef 5,25-27 ) Così, dicevo, si devono intendere queste parole: con lo stesso lavacro di rigenerazione e con la parola di santificazione sono purificati e mondati assolutamente tutti i peccati degli uomini rigenerati, non solo tutti i peccati che ora vengono rimessi nel battesimo, ma anche quelli che si commettono dopo per ignoranza o per fragilità umana, non nel senso che si debba ripetere il battesimo ogni qualvolta si commette un peccato, ma perché, per il fatto stesso che è stato amministrato una sola volta, accade che i fedeli ottengano il perdono di qualsivoglia peccato, non solo di quelli commessi prima, ma anche di quelli commessi dopo. Quale giovamento infatti si avrebbe dalla penitenza prima del battesimo, se il battesimo non la seguisse, o dopo, se il battesimo non la precedesse? Perfino nella preghiera del Signore, nella quale troviamo la nostra quotidiana purificazione, con quale frutto, con quale risultato si potrebbe dire: Perdona i nostri debiti, ( Mt 6,12 ) se non fossero dei battezzati a dirla? Così pure per quanto riguarda la generosità nel fare elemosine e la beneficenza, per quanto grandi esse fossero; a chi otterrebbero la remissione dei peccati, se chi le fa non è battezzato? Infine, la felicità stessa del regno dei cieli, dove la Chiesa non avrà né macchie né rughe né cose simili, ( Ef 5,27 ) dove non ci sarà niente da rimproverare, niente da nascondere, dove non ci sarà più non solo la colpa ma neppure la concupiscenza del peccato, da chi sarà goduta, se non da coloro che sono stati battezzati? 34.39 - La purificazione dei battezzati raggiungerà la sua perfezione nel secolo futuro Per conseguenza, non soltanto tutti i peccati, ma assolutamente tutti i mali degli uomini vengono eliminati dalla santità del lavacro cristiano, con il quale Cristo purifica la sua Chiesa, per farsela comparire davanti, non in questo secolo, bensì in quello futuro, senza macchie né rughe né cose simili. Ci sono di quelli che la ritengono tale già al presente e tuttavia ne fanno parte. Ma poiché anch'essi riconoscono di essere peccatori, se dicono la verità, dal momento che non sono immuni dai peccati, senza dubbio almeno in essi la Chiesa ha una macchia; se invece dicono il falso, perché non parlano con cuore sincero, in essi la Chiesa presenta delle rughe. Se poi insistono nel dire che questi difetti li possiedono loro e non la Chiesa, confessino allora di non essere sue membra e di non appartenere al suo corpo, affinché siano condannati dalla loro stessa confessione. 35.40 - Già Ambrogio aveva collegato la trasmissione del peccato originale alla concupiscenza Mi sono adoperato con un lungo discorso a distinguere la concupiscenza carnale dai beni del matrimonio, costrettovi dai nuovi eretici, i quali quando sentono biasimarla lanciano accuse come se fosse biasimato lo stesso matrimonio. Ovviamente, lodandola come un bene naturale, essi vogliono rafforzare la loro pestifera eresia, secondo la quale la prole che nasce per essa non contrae alcun peccato originale. Ma di questa concupiscenza carnale già il beato Ambrogio, vescovo di Milano, per il ministero sacerdotale del quale io ho ricevuto il battesimo, parlò brevemente, quando accennò alla nascita carnale di Cristo, nell'esposizione del profeta Isaia: "Perciò, scrive, in quanto uomo egli fu tentato in tutte le maniere e a somiglianza degli uomini sostenne tutte le prove, ma in quanto nato dallo Spirito si astenne dal peccato; ogni uomo infatti è menzognero ( Sal 116,2 ) e nessuno, tranne il solo Dio, è senza peccato. Rimane dunque valida la regola per cui nessuno che sia nato dall'uomo e dalla donna, cioè mediante quell'unione corporale, risulta immune dal peccato. Se uno poi risulta immune dal peccato, è immune anche da un simile concepimento". Forse che anche il santo Ambrogio ha condannato la santità del matrimonio o non piuttosto con la verità di questa sua affermazione ha condannato la falsità di questi eretici, anche se in quel tempo non erano ancora apparsi all'orizzonte? Ho creduto opportuno ricordare questa testimonianza di Ambrogio, perché Pelagio ne fa il seguente elogio: "Il beato Ambrogio, nei cui libri risplende particolarmente la fede romana, lui che tra gli scrittori latini si è distinto come un bel fiore, la cui fede e il purissimo senso delle Scritture neppure un avversario ha osato criticare". Si penta dunque di aver avuto idee contrarie a quelle di Ambrogio, se non vuole pentirsi di averne fatto un simile elogio. Eccoti, dunque, un libro che per la molestia della lunghezza e per la difficoltà del tema trattato, quanto fu laborioso a me il dettarlo tanto sarà per te leggerlo nelle briciole di tempo, in cui ti ha potuto o ti potrà trovare libero da impegni. L'ho elaborato, per quanto il Signore si è degnato di aiutarmi, in mezzo alle mie preoccupazioni pastorali e non avrei certo osato presentarlo a te impegnato nei pubblici affari, se non avessi saputo da un uomo di Dio, che ti conosce bene, che ti dai alla lettura tanto volentieri, da passare nella veglia perfino alcune ore della notte. Libro II 1.1 - Motivi del secondo libro È difficile dire quanta gioia io provi nell'animo, dilettissimo e stimato figlio Valerio, nel sapere che tu, pur tra le occupazioni della tua vita militare, della illustre carica che degnamente ricopri e delle attività necessarie alla vita dello stato, ti dedichi con tanto ardore allo studio della parola di Dio per combattere gli eretici. Dopo aver letto la lettera della tua Signoria, nella quale mi ringrazi del libro che ti ho indirizzato, ma dove pure mi inviti ad informarmi da Alipio, mio fratello e compagno nell'episcopato, delle critiche che muovono gli eretici a certi passi di quel libro, mi sono sentito animato a scriverne un altro. D'altra parte, sono stato informato non solo dalla relazione del mio confratello, ora ricordato, ma anche dalla lettura di quei brevi scritti da lui recapitatimi e che tu stesso gli facesti giungere a Roma dopo la sua partenza da Ravenna. In essi ho potuto ritrovare le vane chiacchiere degli avversari e ho deciso di dar loro una risposta con l'aiuto di Dio, appoggiandomi secondo le mie possibilità sulla verità e sull'autorità della sacra Scrittura. 2.2 - Uno strano fascicolo pelagiano inviato da Valerio Lo scritto, al quale ora rispondo, porta questo titolo: "Proposizioni tratte dal libro di Agostino, contro le quali ho raccolto poche risposte dai libri". Mi par di capire che colui che ha inviato questi scritti all'Eccellenza tua abbia voluto raccoglierli da non so quali libri allo scopo di darti una più rapida risposta, per non porre indugi alle tue istanze. Riflettendo, poi, quali potessero essere questi libri, mi sono convinto essere quelli ricordati da Giuliano in una lettera inviata a Roma e di cui un esemplare è giunto nello stesso tempo fino a me. In essa scrive: "Dicono ancora che questo matrimonio, quale ora si fa, non è stato istituito da Dio; affermazione questa che si legge in un libro di Agostino, al quale ho da poco finito di dare una risposta in quattro libri". Da questi libri, credo, sono stati tratti questi estratti. Ciò considerato, forse sarebbe stato meglio che mi fossi applicato con impegno a ribattere e confutare l'intera opera, da lui divisa in quattro libri. Ma non ho voluto ritardare nel rispondere a scritti che esigono una risposta, come neanche tu hai ritardato nell'inviarmeli. 2.3 - I brani dell'opuscolo agostiniano riferiti nel fascicolo Dal mio libro, che ti mandai e che tu conosci molto bene, riporta le seguenti parole, cercando di confutarle: "Vanno gridando con animo sommamente malevolo che io condanno il matrimonio e l'opera divina con la quale Dio crea gli uomini dall'unione dell'uomo e della donna. Questo perché affermo che coloro che nascono da una tale unione contraggono il peccato originale e perché affermo che essi, quali che siano i genitori, sono sempre sotto il potere del diavolo, se non rinascono in Cristo". In questa citazione ha taciuto la testimonianza dell'Apostolo da me inserita, perché si sentiva opprimere dalla sua grande autorità. Io, infatti, dopo aver detto che gli uomini alla nascita contraggono il peccato originale, aggiungevo subito le parole dell'Apostolo: Per un solo uomo entrò il peccato nel mondo e per il peccato la morte, e così si trasmise a tutti gli uomini, nel quale tutti hanno peccato. ( Rm 5,12 ) Omessa, come dicevo, questa testimonianza, egli ha messo insieme le frasi sopra ricordate. Sa bene infatti in che senso i fedeli cattolici sono soliti intendere quelle parole dell'Apostolo, da lui taciute. Quelle parole, così pertinenti e piene di luce, i nuovi eretici tentano di oscurare e deformare con tenebrose e tortuose interpretazioni. 2.4 - Ha aggiunto poi un altro brano, dove io dicevo: "Non avvertono che non si può accusare la bontà del matrimonio per il male originale che da esso si contrae, allo stesso modo come non si può scusare la malizia dell'adulterio e della fornicazione per il bene naturale che ne deriva. In effetti, come il peccato è opera del diavolo, sia che i bambini lo contraggano da un'unione legittima che da una illegittima, così l'uomo è opera di Dio, sia che nasca dall'una come dall'altra unione". Anche qui ha tralasciato le parole, in cui temeva il giudizio dei cattolici. Prima di giungere al passo citato, infatti, io avevo detto: "A causa di queste affermazioni, dunque, contenute nell'antichissima e saldissima regola della fede cattolica, questi assertori di una nuova e perversa dottrina, secondo i quali nei bambini non c'è alcun peccato che debba essere lavato con il lavacro della rigenerazione, mi vanno calunniando, non so se per slealtà o per ignoranza, come se condannassi il matrimonio e come se dicessi che l'opera di Dio, cioè l'uomo che da esso nasce, sia opera del diavolo". A questo brano, da lui taciuto, seguono le parole da lui citate, come è scritto sopra. Nel testo taciuto ha avuto paura del punto in cui dicevo: "perché dicono che nei bambini non c'è alcun peccato che debba essere lavato con il lavacro della rigenerazione", giacché su questo punto si trovano d'accordo tutti i fedeli della Chiesa cattolica; da esso viene richiamata, per così dire, a viva voce, la fede fondata e tramandata dall'antichità e da esso si sentono pressati con la massima violenza. Non c'è infatti nessun altro motivo, per cui tutti corrono alla chiesa con i bambini, se non perché essi siano purificati, con la rigenerazione della seconda nascita, dal peccato originale, contratto con la generazione della prima nascita. 2.5 - Non capisco poi per quale motivo torna a ripetere la mia frase precedente: "diciamo che coloro che nascono da una tale unione contraggono il peccato originale e affermiamo ancora che essi, quali che siano i genitori, sono sempre sotto il potere del diavolo, se non rinascono in Cristo". Questa frase l'aveva già citata poco prima. Poi aggiunge quello che dicevo di Cristo: "il quale non volle nascere dalla stessa unione dei due sessi". Ma anche qui tralasciò ciò che io avevo messo: "Perché, strappati dal potere delle tenebre per la grazia di Cristo, siano trasferiti nel regno di colui, che non volle nascere dall'unione dei due sessi". Ti prego di notare quali mie frasi ha omesso, rivelandosi così acerrimo nemico della grazia di Dio, che giunge a noi per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore. Sa benissimo infatti che non si possono escludere, senza malizia ed empietà, i bambini da quanto dice l'Apostolo di Dio Padre: Egli ci liberò dal potere delle tenebre e ci trasferì nel regno del Figlio del suo amore. ( Col 1,13 ) Per questo motivo, senza dubbio, ha preferito tralasciare le mie parole piuttosto che riportarle 2.6 - Cita poi un altro mio testo, dove si dice: "Questa vergognosa concupiscenza, che dagli spudorati viene spudoratamente lodata, non esisterebbe neppure se l'uomo non avesse peccato; il matrimonio invece esisterebbe lo stesso, anche se nessuno avesse peccato, giacché la generazione dei figli nel corpo di quella vita avverrebbe senza questo morbo". Ha citato le mie parole fino a questo punto, perché temeva quello che aggiungevo: "nel corpo di quella vita ( precedente il peccato ), mentre ora, nel corpo di questa morte, non può avvenire senza di esso". Anche qui non ha terminato la mia frase, ma l'ha troncata per timore della testimonianza apostolica, che dice: Povero me! Chi mi libererà da questo corpo di morte? La grazia di Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore. ( Rm 7,24-25 ) Prima del peccato, infatti, nel paradiso non vi era questo corpo di morte, per cui dicevo che nel corpo di quella vita, che ivi si conduceva, "la generazione avrebbe potuto avvenire senza questo vizio, senza del quale ora, in questo corpo di morte, non può avvenire". L'Apostolo poi, prima di fare questo richiamo all'umana miseria e alla grazia divina, aveva detto: Vedo nelle mie membra un'altra legge, contraria alla legge dello spirito, che mi rende schiavo della legge del peccato, che è nelle mie membra. ( Rm 7,23 ) Aggiungeva poi l'esclamazione: Povero me! Chi mi libererà da questo corpo di morte? La grazia di Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore. In questo corpo di morte, dunque, quale era prima del peccato nel paradiso terrestre, certamente non c'era nelle nostre membra un'altra legge contraria alla legge dello spirito; ora invece, anche quando non vogliamo, anche quando non acconsentiamo né le offriamo le nostre membra perché compia i suoi desideri, essa abita nelle nostre membra e sollecita l'animo che resiste e si oppone. Questo conflitto quantunque non condannabile, perché non compie il male, è tuttavia degno di compassione perché non ha pace. Penso di avere richiamato a sufficienza l'attenzione sul comportamento di questo avversario: egli, per confutare le mie parole, ha voluto citarle, a volte tralasciandone alcune nel mezzo del periodo, così da tagliarlo a metà, a volte omettendo frasi al principio o alla fine, apportandovi mutilazioni; penso anche di aver mostrato a sufficienza le ragioni di questo suo metodo. 3.7 - La prefazione dell'opera di Giuliano d'Eclano Vediamo ora gli argomenti che egli porta contro il mio scritto, citato con tanta libertà. A questo punto, infatti, seguono le sue parole. Come fa capire colui che ti ha mandato il breve scritto, ha incominciato trascrivendo una parte della prefazione di quei libri, certamente, dai quali ha tratto alcuni argomenti. Essa è di questo tenore: "I dottori del nostro tempo, beatissimo fratello, e i fautori dell'empia sedizione, che ancora infuria, hanno deciso di ricorrere alle offese e al linciaggio degli uomini, che li scottano con il loro santo zelo, a costo di distruggere tutta la Chiesa. Non comprendono quanto onore rendano a coloro la cui gloria mostrano di non poter distruggere, senza distruggere insieme la religione cattolica. Se uno, infatti, ammette nell'uomo il libero arbitrio o proclama che Dio è il creatore di quelli che nascono, è ritenuto celestiano e pelagiano. Così, per non essere considerati eretici, diventano manichei e per timore di una falsa infamia, cadono in un vero crimine; proprio come avviene alle bestie feroci, le quali, quando si vogliono catturare con le reti, vengono circondate con le penne: essendo prive di ragione, esse sono spinte a una rovina certa da un vano timore". 3.8 - Rifiuto dell'accusa pelagiana Chiunque tu sia a fare questo discorso, le cose non stanno come dici tu, non stanno così; ti sbagli di grosso, oppure vuoi deliberatamente ingannare. Noi non neghiamo il libero arbitrio. Dice la Verità: Se il Figlio vi libererà, allora sarete veramente liberi. ( Gv 8,36 ) Voi negate questo liberatore ai prigionieri, ai quali attribuiste una falsa libertà. Se uno è stato sconfitto da un altro, dice la Scrittura, è ritenuto suo servo. ( 2 Pt 2,19 ) Nessuno si libererà da questo vincolo di schiavitù, dal quale nessun uomo è immune, senza la grazia di un Liberatore. Per mezzo di un uomo infatti entrò il peccato nel mondo e per il peccato la morte e così si trasmise a tutti gli uomini, nel quale tutti hanno peccato. ( Rm 5,12 ) Dio dunque è il creatore di quelli che nascono; ma se egli non sarà pure il loro liberatore, con la rinascita, a causa di uno solo tutti saranno condannati. ( Rm 5,18 ) Egli infatti è stato chiamato "vasaio", perché dalla stessa massa fa un vaso per un uso nobile, secondo la sua misericordia, un altro per un uso volgare, secondo il giudizio; ( Rm 9,21 ) di lui la Chiesa canta la misericordia e il giudizio. ( Sal 101,1 ) Non è vero dunque quello che dici, ingannando te stesso e gli altri: "Se uno ammette il libero arbitrio nell'uomo e proclama Dio creatore di coloro che nascono, è ritenuto celestiano e pelagiano". Le stesse cose le afferma senza dubbio la Chiesa cattolica. Viene chiamato, invece, pelagiano e celestiano chi dice che il libero arbitrio dell'uomo è sufficiente a rendere a Dio il culto che gli si deve, senza l'aiuto divino, e chi dice che Dio è il creatore di coloro che nascono, in modo tale da negare che egli sia il redentore dei bambini dal potere del diavolo. Siamo d'accordo perciò nel riconoscere nell'uomo il libero arbitrio e in Dio il creatore di chi nasce. Non siete celestiani o pelagiani per questo motivo. Ma voi dite che ogni uomo è libero di compiere il bene senza l'aiuto di Dio e che i bambini non sono liberati dal potere delle tenebre e trasferiti così nel regno di Dio: ( Col 1,13 ) per questo motivo siete celestiani e pelagiani. Perché per ingannare stendi un velo sulla fede comune, cercando di nascondere la colpa da cui avete ricevuto il nome? Perché, per impaurire gli inesperti con una parola odiosa, dici che "diventano manichei per non essere chiamati eretici"? 3.9 - Confronto delle dottrine manichee, pelagiane e cattoliche Ascolta dunque un poco i termini di questa controversia. I cattolici affermano che la natura umana è stata creata buona da Dio buono, ma che, viziata dal peccato, ha bisogno delle cure di Cristo. Per i manichei la natura umana non è stata creata buona da Dio e viziata dal peccato; essi ritengono che l'uomo è stato creato dal principe delle tenebre eterne con la mescolanza di due nature, una buona e l'altra cattiva, che sono sempre esistite. I pelagiani e i celestiani infine affermano che la natura umana è stata creata buona da un Dio buono, ma questa natura in coloro che nascono è talmente sana che essi non hanno in quell'età alcun bisogno della medicina di Cristo. Riconosci dunque nella tua professione di fede il nome che ti conviene e cessa di rinfacciare ai cattolici, che ti confutano, una fede e un nome che appartengono ad altri. La Verità è contro i manichei e contro di voi. Ai manichei dice: Non avete letto che chi fece all'inizio l'uomo, lo fece maschio e femmina? E aggiunge: Perciò l'uomo lascerà il padre e la madre, si unirà a sua moglie e saranno due in una sola carne. Quindi non sono due ma una sola carne. L'uomo perciò non separi quello che Dio ha unito. ( Mt 19,4-6 ) Ha mostrato così che è Dio a creare l'uomo e a unire i coniugi, contro i manichei che negano ambedue le verità. Quanto a voi, dice: Il Figlio dell'uomo è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto. ( Lc 19,10 ) Ma voi, illustri cristiani, rispondete a Cristo: "Sei venuto a cercare e salvare ciò che era perduto, ma non sei venuto per i bambini; questi non erano perduti e sono nati salvi. Rivolgiti ai grandi; con le tue stesse parole ti diciamo che non hanno bisogno i sani del medico, ma gli ammalati". ( Mt 9,12 ) Avviene così che il manicheo, il quale dice che all'uomo si è mescolata una natura cattiva, vuole che Cristo salvi almeno l'anima buona, mentre tu, poiché sono salvi quanto al corpo, sostieni che nei piccoli non ci sia niente che debba essere salvato da Cristo. Il manicheo disprezza e detesta la natura umana, tu la lodi, ma sei crudele nei suoi confronti, perché chiunque crederà alle tue lodi non offrirà i propri bambini al Salvatore. Con un'opinione così scellerata, che ti giova non aver paura di ciò che ti potrebbe incutere un salutare timore e ti renderebbe uomo e non bestia, che per essere catturata con le reti è circondata con le penne? Avresti dovuto tenerti aggrappato alla verità e non temere nulla per la sua zelante difesa; ora invece non hai paura, ma sarebbe meglio che temessi per evitare le reti del maligno piuttosto che finirci dentro. La Chiesa cattolica ti spaventa come una madre, perché teme che tu possa danneggiare te stesso e gli altri. Se ti spaventa per mezzo dei suoi figli che hanno qualche autorità civile, non lo fa per crudeltà, ma per amore. Ma tu sei uomo fortissimo e giudichi una viltà aver timore degli uomini! Temi dunque Dio e non cercare con tanta ostinazione di rovesciare le antiche fondamenta della fede cattolica. Sarebbe meglio però che il tuo animo coraggioso, almeno in questa questione, avesse paura degli uomini. Sì, dico, magari si spaventasse almeno per viltà, piuttosto che perire per la sua audacia! 4.10 - Osservazioni metodologiche Vediamo ora gli altri argomenti messi insieme. Ma quale criterio seguire? Dovrò riportare i singoli testi per dare a ciascuno una risposta, oppure, passando sotto silenzio i punti conformi alla dottrina cattolica, dovrò trattare e confutare solo i passi in cui devia dalla via della verità e cerca di innestare l'eresia pelagiana, come virgulti velenosi, nelle piante cattoliche? Questa seconda via sarebbe certamente più breve, ma credo mio dovere evitare che qualcuno, avendo letto il mio libro e non avendovi trovato tutto quello che è stato da lui detto, pensi che io non abbia voluto riportare quelle frasi da cui dipendono quelle citazioni e dalle quali si potrebbe arguire, quasi per logica conseguenza, la verità di ciò che io accuso di falsità. Non rincresca dunque al lettore di fare un attento esame di entrambe le parti di questo mio opuscolo, ossia delle sue affermazioni e delle mie risposte. 4.11 - Con la dottrina del peccato originale il matrimonio non è condannato I testi che seguono hanno ricevuto il seguente titolo da colui che ha mandato gli estratti alla tua Dilezione: "Contro coloro che condannano il matrimonio e attribuiscono al diavolo i suoi frutti". Non contro di noi, dunque, perché non condanniamo il matrimonio, di cui anzi nel suo ordine facciamo le lodi dovute, né attribuiamo i suoi frutti al diavolo: i frutti del matrimonio, infatti, sono gli uomini, che in esso sono generati ordinatamente, non i peccati, con i quali gli uomini nascono; d'altra parte gli uomini non sono sotto il potere del diavolo in quanto uomini ( in ciò consiste il frutto del matrimonio ), ma in quanto peccatori ( e questa è la propaggine dei vizi ). Il diavolo infatti è l'autore della colpa, non della natura. 4.12 - Nel nome di Eva il grande mistero della Chiesa Presta ora attenzione a ciò che segue; l'autore ritiene che questo testo si accordi, contro di noi, con il titolo premesso: "Dio, dice, che aveva fatto Adamo dal fango, formò Eva da una costola e disse: Questa si chiamerà Vita, perché è la madre di tutti i viventi". In verità non sta scritto così; ma che importa? Può accadere che la memoria tradisca quanto alla parola, purché tuttavia si conservi il senso! Non fu Dio a imporre il nome a Eva, perché si chiamasse "Vita", ma il marito. Si legge così infatti: Adamo impose a sua moglie il nome di Vita, perché è la madre di tutti i viventi. ( Gen 3,20; Gen 2,7.22 ) Ma forse ha interpretato il testo nel senso che Dio ha imposto il nome ad Eva per mezzo di Adamo come per mezzo di una profezia, poiché nel fatto che è stata chiamata Vita e madre dei viventi c'è un grande segno misterioso della Chiesa, del quale sarebbe lungo ora parlare e non necessario all'argomento trattato. Anche quello che dice l'Apostolo: Questo è un grande mistero, lo dico in ordine a Cristo e alla Chiesa, ( Ef 5,32 ) lo aveva detto pure Adamo: Perciò l'uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e saranno due in una sola carne. ( Gen 2,24; Mt 19,5; Ef 5,31 ) Gesù tuttavia nel Vangelo ricorda che queste parole furono dette da Dio, ( Gen 2,24; Mt 19,5; Ef 5,31 ) senza dubbio perché Dio disse per mezzo dell'uomo ciò che l'uomo predisse profetando. Leggi dunque attentamente quanto segue: "Con il primo appellativo, dice, indicò a quale ufficio fosse stata destinata la donna e disse: Crescete, moltiplicatevi e riempite la terra". ( Gen 1,28 ) Chi di noi nega che la donna sia stata destinata dal Signore Dio, creatore buono di tutte le cose buone, all'ufficio di generare? Leggi ancora come continua: "Dio quindi, dice, creatore dell'uomo e della donna, formò loro le membra adatte alla generazione e stabilì che i corpi fossero generati dai corpi; per renderli efficienti intervenne poi con la potenza della sua azione, poiché governa tutto ciò che esiste con la sua potenza con la quale creò". Confesso che questa espressione è cattolica, come pure la seguente: "Se dunque non si ha feto se non per mezzo del sesso, se il sesso non esiste se non nel corpo e se il corpo non viene se non da Dio, chi può esitare nell'attribuire giustamente a Dio la fecondità?". 4.13 - Difficoltà sulla trasmissione del peccato originale Queste espressioni sono vere e cattoliche, si trovano anzi scritte veracemente nei Libri sacri, ma da questo autore non sono ripetute in senso cattolico, perché non ha l'intenzione di un'anima cattolica. Proprio attraverso di esse incomincia a farsi strada l'eresia pelagiana e celestiana. Esamina il brano seguente: "Tu dici: "Quali che siano i genitori dei bambini che nascono, crediamo fermamente che essi sono ancora sotto il potere del diavolo, se non rinascono in Cristo". Mostra dunque ora cosa riconosce di suo il diavolo nei sessi, per cui, come dici tu, con pieno diritto ha potere sul loro frutto. La diversità dei sessi? Ma questa è una proprietà dei corpi fatti da Dio. L'unione sessuale? Ma questa è garantita non meno dal privilegio della sua benedizione che della sua istituzione. È Dio infatti che dice: L'uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e saranno due in una sola carne. ( Gen 2,24 ) Ed è ancora Dio a dire: Crescete, moltiplicatevi e riempite la terra. ( Gen 1,28 ) O per caso la stessa fecondità? Ma questa è la causa stessa della istituzione del matrimonio". 5.14 - Il peccato originale si trasmette attraverso la concupiscenza Vedi dunque come ci interroga: cosa riconosce di suo il diavolo nei sessi, per cui coloro che nascono, quali che siano i loro genitori, sono sotto il suo potere, se non rinascono in Cristo. Chiede se attribuiamo al diavolo la diversità dei sessi, l'unione sessuale o la stessa fecondità. Rispondo, dunque: niente di tutto questo! Perché la diversità dei sessi è propria dei corpi di coloro che generano, l'unione sessuale ha come fine la procreazione dei figli e la fecondità è l'oggetto della benedizione del matrimonio. Tutte queste cose vengono da Dio. Ma costui di proposito non ha voluto nominare tra tutte queste cose la concupiscenza della carne, che non viene dal Padre ma dal mondo, ( 1 Gv 2,16 ) mondo di cui il diavolo è stato dichiarato il principe e che non trovò questa concupiscenza nel Signore, perché il Signore facendosi uomo non venne tra gli uomini per mezzo di essa. Egli stesso dice: Ecco viene il principe di questo mondo e in me non trova niente; ( Gv 14,30 ) evidentemente nessuna traccia di peccato, né di quello che si contrae alla nascita né di quello che si aggiunge durante la vita. Fra tutti questi beni naturali da lui ricordati non ha voluto ricordare la concupiscenza, di cui prova confusione anche il matrimonio, che si vanta invece di tutti quei beni. Per quale motivo, infatti, questa azione dei coniugi viene sottratta e nascosta perfino agli occhi dei figli, se non perché essi non possono compiere la loro lodevole unione senza la vergognosa libidine? Di essa arrossirono anche quelli che per primi coprirono le parti vergognose, ( Gen 3,7 ) che in precedenza non erano vergognose, ma erano degne di lode e di esaltazione in quanto opera di Dio. Le coprirono, dunque, quando arrossirono e arrossirono quando, dopo la loro disubbidienza, si accorsero che le membra non erano loro più sottomesse. Della concupiscenza si è vergognato anche questo panegirista. Ha ricordato la diversità dei sessi, ha ricordato la loro unione, ha ricordato la loro fecondità, ma si è vergognato di ricordare la concupiscenza. Ma non ci sorprende che se ne vergognino coloro che ne fanno gli elogi, dal momento che vediamo vergognarsene persino coloro che generano. 5.15 - La testimonianza di Ambrogio Continua poi dicendo: "Per quale motivo, dunque, sono sotto il potere del diavolo coloro che sono stati creati da Dio?". E risponde alla sua domanda, come se fossimo noi a rispondere: "a causa del peccato, non della natura". Opponendo, poi, la sua alla mia risposta: "Ma come non può esserci feto senza i sessi, così nemmeno il peccato senza la volontà". Sì, è proprio così! Così infatti il peccato entrò nel mondo per mezzo di un solo uomo e con il peccato la morte e così si trasmise a tutti gli uomini, nel quale tutti hanno peccato. ( Rm 5,12 ) A causa della cattiva volontà di quel solo uomo tutti hanno peccato in lui, quando tutti erano quell'unico uomo, dal quale perciò i singoli hanno ereditato il peccato originale. "Tu dici", soggiunge, "che essi sono sotto il potere del diavolo, perché nascono dall'unione dei due sessi". Affermo chiaramente che essi sono sotto il potere del diavolo a causa del peccato e che non sono immuni dal peccato, perché sono nati da quella unione, che non può compiere senza la vergognosa libidine neppure ciò che è onesto. Così pensava anche Ambrogio, di felice memoria, vescovo della Chiesa di Milano, quando diceva che la nascita carnale di Cristo è immune dal peccato, perché il suo concepimento non è dovuto all'unione dei due sessi e che nessun uomo è senza peccato se è stato concepito da tale unione. Queste sono le sue parole: "Perciò, in quanto uomo, fu provato in tutto e a somiglianza degli uomini sostenne tutte le prove; ma perché nato dallo Spirito si astenne dal peccato. ( Eb 4,15 ) Ogni uomo è mendace ( Sal 116,11 ) e nessuno è senza peccato, tranne Dio. Fu rispettata dunque la regola, per cui nessuno che sia nato dall'uomo e dalla donna, ossia da quella unione carnale, appare esente dal peccato. Chi è immune dal peccato, è immune anche da un tale concepimento". Osate voi pelagiani e celestiani accusare di manicheismo anche Ambrogio? Quest'accusa gli fu già rivolta dall'eretico Gioviniano, contro la cui empietà quel santo vescovo difendeva la verginità della santa Maria anche dopo il parto. Se dunque non osate chiamare manicheo Ambrogio, perché dichiarate manichei noi, che nella stessa questione difendiamo la fede cattolica nello stesso senso? Se poi osate affermare che su questo punto anche quell'uomo dalla fede purissima ebbe sentimenti manichei, scagliate, scagliate pure l'insulto per colmare più perfettamente la misura di Gioviniano! Quanto a me, io preferisco sopportare pazientemente, insieme a quell'uomo di Dio, i vostri insulti e i vostri scherni. Nondimeno, il vostro eresiarca Pelagio loda a tal punto la fede e il senso purissimo della Scrittura di Ambrogio da dire che neppure un avversario ha osato mai correggerlo. Considerate dunque fin dove vi siete spinti e guardatevi una buona volta dalla temerarietà di Gioviniano. Sebbene egli mettesse sullo stesso piano il matrimonio e la verginità, facendo eccessive lodi del primo, tuttavia non negò che ai frutti del matrimonio, anche appena venuti alla luce, sia necessario Cristo, che li salvi e li riscatti dal potere del diavolo. Cosa che voi negate e ci chiamate anzi manichei, perché ci opponiamo a voi per assicurare la salvezza di coloro che ancora non possono parlare in propria difesa e per difendere i fondamenti della fede cattolica. Ma andiamo oltre! 6.16 - Il corpo e l'unione dei corpi vengono da Dio Mi rivolge ancora una domanda: "Chi dunque credi che sia il creatore dei bambini? Il vero Dio?". Rispondo: Sì, il vero Dio. Quindi aggiunge: "Ma Egli non ha fatto alcun male". E di nuovo mi chiede se è il diavolo che dichiariamo creatore dei bambini e di nuovo risponde: "Ma non è stato lui a creare la natura dell'uomo". Infine, come traendo una logica deduzione, conclude: "Se l'unione sessuale è cattiva, anche i corpi sono viziati per costituzione e quindi sono da te attribuiti a un creatore malvagio". Ecco la mia risposta: Al malvagio autore io non attribuisco i corpi, bensì i peccati, a motivo dei quali è avvenuto che l'uomo e la donna abbiano di che vergognarsi, sebbene nei corpi, in quanto opera di Dio, tutto sia buono, cosicché la loro unione sessuale non è più quale poteva essere nel corpo di quella vita, ma quale arrossendo vediamo nel corpo di questa morte. "Ma Dio, ribatte, ha voluto la differenza dei sessi, perché potessero congiungersi nell'esercizio della propria attività. L'unione sessuale quindi trae origine dallo stesso autore dal quale hanno origine i corpi". Ho già risposto che tutto ciò viene da Dio, ma non il peccato, non la disubbidienza delle membra a causa della concupiscenza carnale, che non viene dal Padre. ( 1 Gv 2,16 ) Prosegue: "Non possono essere quindi cattivi i frutti di tante cose buone, cioè dei corpi, del sesso, dell'unione sessuale né gli uomini sono stati creati da Dio allo scopo di tenerli soggetti al diavolo con pieno diritto, come dici tu". Ho già detto che essi non sono soggetti perché sono uomini, ciò che indica la natura, di cui il diavolo non è affatto l'autore, ma perché sono peccatori, ciò che indica la colpa, di cui è autore il diavolo. 7.17 - La concupiscenza carnale non è l'appetito naturale Tuttavia tra tanti nomi di cose buone, come i corpi, i sessi e le loro unioni, costui evita di nominare la libidine o concupiscenza carnale. Tace, perché si vergogna. Ma con straordinaria impudenza di pudore, se così posso esprimermi, non si vergogna di lodare ciò che si vergogna di nominare. Osserva come abbia preferito indicarla con una circonlocuzione, piuttosto che chiamarla per nome. Dice: "Dopo che l'uomo, spinto dal desiderio naturale, conobbe la moglie …". Ecco che di nuovo non ha voluto dire: Spinto dalla concupiscenza carnale, conobbe la moglie; bensì: "Spinto dal desiderio naturale", espressione nella quale possiamo ancora intendere la volontà giusta e onesta di procreare i figli, non quella libidine di cui egli si vergogna al punto da preferire un'espressione ambigua piuttosto che esprimere con chiarezza il suo pensiero. Cos'è questo desiderio naturale? Voler essere sano, aver la volontà di accogliere, nutrire ed educare i figli non è forse desiderio naturale, proprio della ragione e non della libidine? Ma poiché conosco l'intenzione di costui, credo che con queste parole egli non abbia voluto significare altro che la libidine degli organi genitali. Non ti sembra che queste parole somiglino alle foglie di fico, sotto le quali non si nasconde altro se non ciò di cui ci si vergogna? Proprio così! Costui s'è fatto schermo di questa circonlocuzione allo stesso modo che i primi uomini intrecciarono cinture. Intrecci pure, quindi, e dica: "Dopo che l'uomo, spinto dal desiderio naturale, conobbe sua moglie, Eva, dice la divina Scrittura, concepì e partorì un figlio che chiamò Caino. Ma ascoltiamo, dice, cosa dice Adamo: Ho ricevuto un uomo da Dio. ( Gen 4,1 ) Perciò risulta essere opera di Dio colui che, secondo la testimonianza della divina Scrittura, è stato ricevuto da Dio". Chi ne può dubitare? Chi può negarlo? Non certo un cristiano cattolico. L'uomo è opera di Dio, ma la concupiscenza della carne, senza la quale, nell'ipotesi che non fosse stato commesso il peccato, sarebbe stato generato l'uomo con gli organi genitali sottomessi, al pari di tutte le altre membra, a una volontà tranquilla, questa concupiscenza non viene dal Padre, ma dal mondo. ( 1 Gv 2,16 ) 7.18 - La concupiscenza carnale non è la potenza delle membra Ora ti prego di osservare con un po' più di attenzione quale termine abbia trovato per coprire di nuovo ciò che si vergogna di scoprire. "Adamo infatti, dice, l'aveva generato con la potenza delle sue membra e non per la diversità dei suoi meriti". Confesso di non capire ciò che vuol dire con "la diversità dei suoi meriti", ma con "la potenza delle sue membra" credo che abbia voluto designare una cosa che si vergogna di nominare chiaramente. Ha preferito dire "con la potenza delle sue membra" piuttosto che con la concupiscenza della carne. Certamente, anche se non lo ha pensato, ha indicato qualcosa che sembra aver relazione con essa. Cosa c'è, infatti, di più potente delle membra dell'uomo, quando non sono sottomesse alla sua volontà? Anche se con la temperanza o continenza il loro uso è tenuto in qualche modo a freno, il loro movimento sfugge al controllo dell'uomo. Adamo dunque, al dire di costui, generò i figli con questa potenza delle membra, di cui prima di generarli si vergognò, una volta che aveva peccato. Ma se non avesse peccato, egli non avrebbe generato con la potenza delle sue membra, bensì con la loro obbedienza. Egli stesso, cioè, avrebbe avuto il potere di imporre la sua volontà alle membra sottomesse, se lui stesso, assoggettandosi a uno più potente, l'avesse servito con la sua volontà. 8.19 - Dono di Dio sono i figli non il piacere libidinoso "Dopo un po', dice, la divina Scrittura torna a dire: Adamo conobbe sua moglie Eva, che concepì e partorì un figlio. E gli diede il nome di Seth, dicendo: il Signore mi ha suscitato un altro seme al posto di Abele, ucciso da Caino". ( Gen 4,25 ) E aggiunge: "Come prova della istituzione dell'unione sessuale è detto che la Divinità suscitò questo seme". Questo benedetto uomo non ha capito ciò che è scritto. Ha pensato che la frase: Il Signore mi ha suscitato un altro seme al posto di Abele sia stata detta perché si credesse che fu Dio a suscitare in Adamo la libidine sessuale, affinché con il suo movimento fosse suscitato il seme, che doveva essere effuso nel corpo della donna. Non sa che l'espressione: Mi ha suscitato un seme non significa altro che: Mi ha dato un figlio. Infine, Adamo non pronunziò quelle parole dopo la sua unione carnale, quando effuse il seme, ma dopo il parto della moglie, quando ricevette in dono da Dio un figlio. In effetti, una manifestazione di gioia perché si effonde il seme con il massimo piacere della copula, senza che ne segua il concepimento o il parto, in cui consiste il vero frutto del matrimonio, non sarebbe forse propria di gente lussuriosa e di chi possiede, contro la proibizione dell'Apostolo, la propria moglie nel vizio della concupiscenza? ( 1 Ts 4,5 ) 8.20 - Dal seme "viziato" si contrae il peccato originale Né si deve credere a motivo di questa mia affermazione che al di fuori del sommo e vero Dio ci sia un altro creatore del seme umano o dello stesso uomo che viene dal seme; ma se non ci fosse stato il peccato, questo sarebbe uscito dall'uomo con la pacifica obbedienza delle membra al comando della volontà. Non tratto qui della natura del seme ma del suo vizio. La prima infatti ha Dio come autore, mentre dal secondo si contrae il peccato originale. In effetti, se lo stesso seme non avesse alcun vizio, che senso avrebbe il testo del libro della Sapienza: Non ignorando che quella gente era scellerata ed era loro connaturata la malizia e che i loro pensieri non potevano mai cambiare, poiché erano una semenza maledetta fin dal principio? ( Sap 12,10-11 ) Di chiunque dica questo, certo si riferisce a uomini. In che senso dunque la malizia di qualsiasi uomo è naturale e la sua semenza è maledetta fin dal principio, se non si pone mente al fatto che per un solo uomo entrò il peccato nel mondo e per il peccato la morte e così si trasmise a tutti gli uomini, nel quale tutti hanno peccato? ( Rm 5,12 ) In che senso il pensiero malvagio di un uomo non potrà mai cambiare, se non nel senso che non lo può per virtù propria, ma solo se viene in aiuto la grazia di Dio? E senza di essa che altro sono gli uomini se non, come dice l'apostolo Pietro, come animali senza ragione, destinati per natura alla schiavitù e alla morte? ( 2 Pt 2,12 ) A questo proposito l'apostolo Paolo, ricordando in un solo testo l'ira di Dio, nella quale nasciamo, e la sua grazia, dalla quale siamo liberati, dice: Anche tutti noi vivemmo un tempo secondo i desideri della nostra carne, assecondando la volontà della carne e delle passioni ed eravamo per natura figli dell'ira come tutti gli altri. Ma Dio, che è ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amato, essendo noi morti per i peccati, ci ha fatto vivere con Cristo, per grazia del quale siamo stati salvati. ( Ef 2,3-5 ) Cosa significano, dunque, la malizia naturale dell'uomo, la semenza maledetta fin dal principio, destinati per natura alla schiavitù e alla morte e per natura figli dell'ira? In Adamo questa natura era stata creata forse in tale condizione? Assolutamente no! Ma poiché in lui è stata viziata, è in questa condizione che si è trasmessa e si trasmette naturalmente a tutti gli uomini, di modo che soltanto la grazia di Dio, che ci viene da Gesù Cristo nostro Signore, ( Rm 7,25 ) ci può liberare da questa rovina. 9.21 - A Dio si deve la natura, non il vizio Cosa vuol dire dunque costui quando, parlando di Noè e dei suoi figli, aggiunge che "furono benedetti allo stesso modo di Adamo ed Eva con le parole divine: Crescete e moltiplicatevi e riempite la terra e dominatela"? ( Gen 9,1 ) A queste parole di Dio aggiunge le sue: "Pertanto questa voluttà che tu vuoi che sia considerata diabolica, si trovava già nei coniugi sopra nominati e come era onesta per la sua istituzione, così rimase anche per la sua benedizione. Non c'è dubbio infatti che le parole rivolte a Noè e ai suoi figli: Crescete e moltiplicatevi e riempite la terra, si riferiscono a questa unione corporale, la cui pratica si era già estesa". È inutile ripetere le stesse cose con tante parole. Qui si parla del vizio, che ha corrotto una natura buona e il cui autore è il diavolo. Non si parla della bontà della stessa natura, che ha Dio come autore. Egli non tenne lontana la sua bontà dalla natura neppure quando si viziò e si corruppe, sì da privare gli uomini della loro fecondità, della vitalità, della salute e della stessa sostanza dell'anima e del corpo, dei sensi e della ragione, degli alimenti, del nutrimento e dell'accrescimento. Egli ancora fa sorgere il suo sole sui buoni e sui cattivi e fa piovere sopra i giusti e gli ingiusti. ( Mt 5,45 ) Tutto ciò che di buono, insomma, ha la natura umana viene da Dio buono, anche negli uomini che non saranno liberati dal male. 9.22 - La libidine è vergognosa perché è la pena del peccato Tuttavia, anche qui costui ha parlato di piacere, perché il piacere può essere anche onesto; non ha parlato della concupiscenza carnale o libidine, che è vergognosa. Non potendo però nascondere un sentimento che la natura ha imposto con violenza, in seguito non è riuscito a dissimulare la sua vergogna. Dice: Perciò l'uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e saranno due in una sola carne ( Gen 2,24 ) e dopo queste divine parole aggiunge le sue: "Per esprimere le opere con realismo il profeta si è quasi esposto al pericolo di offendere il pudore". Ecco una confessione davvero chiara, estorta dalla forza della verità! Il profeta, dunque, per un'esposizione realistica delle opere, si è quasi esposto al pericolo di offendere il pudore, perché ha detto: Saranno due in una sola carne, volendo significare l'unione dell'uomo e della donna. Si dica il motivo per cui nell'esprimere le opere di Dio il profeta si è quasi esposto al pericolo di offendere il pudore! Ma davvero le opere dell'uomo non dovrebbero essere vergognose, anzi meritano ogni lode, mentre le opere di Dio sarebbero motivo di vergogna? Ma davvero l'amore e lo sforzo del profeta nell'esprimere con parole le opere di Dio non sono degni di onore, mettono anzi in pericolo il pudore? Cosa mai ha potuto fare Dio, per cui il suo portavoce dovrebbe vergognarsi di parlarne e, cosa ancora più grave, l'uomo dovrebbe vergognarsi di un'opera che non ha fatto, ma Dio ha fatto in lui, quando tutti gli altri artigiani si sforzano, affrontando sacrifici e ricorrendo a ogni accorgimento, per non dover arrossire dei propri lavori? Ma senza dubbio noi proviamo vergogna di ciò di cui si vergognarono i primi uomini, quando si coprirono le parti vergognose. Questa è la pena del peccato, questa è la ferita e il segno del peccato, questa è la lusinga e il fomite del peccato, questa è la legge delle membra che si oppone alla legge dello spirito, questa è la disubbidienza sorta contro di noi per nostra stessa colpa, inflitta per un giustissimo contraccambio a coloro che avevano disubbidito. Di essa proviamo vergogna e meritatamente. Se non fosse così, cosa ci sarebbe per noi di più ingrato e più empio, se nelle nostre membra provassimo confusione non a causa di un nostro vizio o di una pena da noi meritata, ma a motivo delle opere di Dio? 10.23 - Dio concesse a Sara la fecondità, non la concupiscenza Anche a proposito di Abramo e Sara costui spreca tante parole per spiegare come abbiano avuto il figlio della promessa. Finalmente nomina la concupiscenza, senza peraltro aggiungere: della carne, perché proprio questa è vergognosa; mentre nel concetto di concupiscenza troviamo talora materia per gloriarci, giacché c'è una concupiscenza dello spirito contro la carne ( Gal 5,17 ) e c'è una concupiscenza della sapienza. ( Sap 6,21 ) Dice dunque: "Certamente questa concupiscenza, senza la quale non si dà alcuna fecondità, tu l'hai definita naturalmente cattiva. Com'è possibile dunque che venga eccitata in questi vecchi per un dono dal cielo? Dimostra, se ci riesci, che appartiene all'opera del diavolo quello che vedi dato in dono da Dio". Parla come se essi in precedenza fossero stati privi della concupiscenza della carne e l'avessero ricevuta in dono da Dio, mentre essa era certamente presente in questo corpo di morte. Quello che mancava in realtà era la fecondità, che ha Dio per autore, e fu proprio questa ad essere loro concessa quando Dio volle. Lungi da me invece l'affermazione, che costui forse si attendeva, di una generazione di Isacco immune dall'ardore dell'unione sessuale. 11.24 - La circoncisione purificava dal peccato originale Dica lui piuttosto per quale motivo l'anima di Isacco sarebbe stata recisa dal suo popolo, qualora non fosse stato circonciso l'ottavo giorno, quale peccato avrebbe potuto commettere personalmente, come avrebbe potuto offendere Dio, sì da essere punito con una sentenza tanto severa a causa della altrui negligenza nei suoi confronti, se non si desse alcun peccato originale. Sulla circoncisione dei bambini così Dio aveva ordinato: Il maschio che non sarà circonciso nella carne del suo prepuzio l'ottavo giorno, la sua anima sarà recisa dal suo popolo, perché ha violato la mia alleanza. ( Gen 17,14 ) Dica dunque costui, se ci riesce, in qual modo quel fanciullo di otto giorni e, per quanto lo riguarda personalmente, innocente, poté violare l'alleanza di Dio, escludendo ogni possibilità che Dio o la sacra Scrittura abbiano mentito nel fare quell'affermazione. Allora dunque violò l'alleanza di Dio, non quella dell'obbligo della circoncisione, ma quella della proibizione dell'albero, quando a causa di un solo uomo entrò il peccato nel mondo e per il peccato la morte e così si trasmise a tutti gli uomini, nel quale tutti peccarono. ( Rm 5,12 ) Ed era la purificazione di questo peccato che veniva significata in lui con la circoncisione dell'ottavo giorno, ossia con il sacramento del Mediatore che doveva venire nella carne. Anche gli antichi giusti, infatti, si salvavano mediante la fede nel Cristo che doveva venire nella carne, che per noi doveva morire e risorgere il terzo giorno, il quale venendo dopo il sabato, cioè il settimo, sarebbe stato l'ottavo. Fu consegnato, infatti, per i nostri peccati e risuscitò per la nostra giustificazione. ( Rm 4,25 ) Dal momento in cui fu istituita nel popolo di Dio la circoncisione, poiché era allora segno della giustizia mediante la fede ( Rm 4,11 ), aveva anche il valore di segno della purificazione, anche nei bambini, dell'antico e originale peccato, allo stesso modo del battesimo, che incominciò ad aver valore per il rinnovamento dell'uomo dal momento in cui fu istituito. Non già che prima della circoncisione non si desse alcuna giustificazione mediante la fede - Abramo stesso, il padre dei popoli che avrebbero seguito la sua fede, fu giustificato mediante la fede quando era ancora incirconciso -, ma nei tempi più antichi il sacramento della giustificazione mediante la fede era rimasto assolutamente nascosto. Ciò nondimeno, la stessa fede nel Mediatore dava la salvezza agli antichi giusti, piccoli e grandi, non l'antica Alleanza che genera nella schiavitù, ( Gal 4,24 ) non la legge, che non era stata data in modo da poter dare la vita, ( Gal 3,21 ) ma la grazia di Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore. ( Rm 7,25 ) Come noi crediamo nel Cristo venuto nella carne, così essi credevano nel Cristo che doveva venire; come crediamo nel Cristo che è morto, così essi credettero nel Cristo che doveva morire; come noi crediamo che è risorto, così essi che sarebbe risorto; noi ed essi, infine, crediamo nel Cristo che verrà a giudicare i vivi e i morti. Non ostacoli quindi costui la salvezza della natura umana, facendone una difesa inopportuna. Nasciamo tutti sotto il potere del peccato e soltanto per mezzo di colui, che solo è nato senza peccato, possiamo esserne liberati. 12.25 - La fede della Chiesa nel peccato originale "Questa unione dei corpi, dice, accompagnata dal calore, dal piacere e dal seme è stata voluta da Dio e, nella giusta misura, è stimata degna di lode; essa infatti in taluni casi costituisce perfino un grande dono fatto a persone pie". Ha detto "con calore", ha detto "con piacere", ha detto "con il seme", ma non ha osato dire "con la libidine". Per quale motivo, se non perché si è vergognato di nominare ciò che non si vergogna di lodare? La ricompensa delle persone pie è la feconda procreazione dei figli, non l'eccitazione vergognosa delle membra: questa non sarebbe stata presente nella natura sana durante l'atto procreativo, mentre ora è presente nella natura viziata. Per questa ragione, chi nasce da essa ha bisogno di rinascere per essere membro di Cristo e, anche se colui dal quale nasce è già stato rigenerato, ha bisogno di essere liberato da quella legge del peccato, che è presente nel corpo di questa morte. Stando così le cose, come può continuare dicendo: "Sei costretto quindi a confessare che è svanito il peccato originale, che avevi inventato"? Non sono stato io a inventare il peccato originale, che la fede cattolica crede dai tempi più remoti. Tu piuttosto, che lo neghi, sei senza dubbio un nuovo eretico. Per un giudizio di Dio, sono sotto il potere del diavolo tutti coloro che sono stati generati con il peccato, se non saranno rigenerati in Cristo. 13.26 - La concupiscenza carnale era assente nel corpo prima del peccato Ma poiché stava parlando di Abramo e di Sara, continua dicendo: "Se dirai che essi facevano uso del matrimonio, ma non avevano figli, risponderò: colui che era stato promesso dal Creatore fu dal Creatore concesso; chi nasce non è opera dell'unione sessuale, ma di Dio. Colui infatti che formò il primo uomo dal fango, ( Gen 2,7 ) forma tutti dal seme. Come dunque allora il fango usato come materiale non fu l'autore dell'uomo, così ora questa forza della voluttà, che produce e mescola i semi, non sostituisce l'opera divina, ma dai tesori della natura ricava, per offrirlo a Dio, il materiale con cui egli si degna di fare l'uomo". Tutto questo discorso, se si eccettua quanto dice a proposito della produzione e del rimescolamento dei semi ad opera della voluttà, sarebbe corretto, se in esso cercasse di difendere il senso cattolico. Ma poiché conosciamo gli obiettivi di questi ragionamenti, certamente l'autore stravolge il senso anche delle affermazioni giuste. Il motivo, poi, per il quale non è vero quel punto, che solo respingevo in un discorso per il resto corretto, è il fatto che non è la voluttà della concupiscenza carnale a produrre i semi: questi sono già creati nei corpi dal vero Dio, dal quale sono creati pure gli stessi corpi, e non sono prodotti dalla voluttà, ma vengono eccitati ed emessi con voluttà. Quanto alla questione, poi, se i semi dell'uno e dell'altro sesso si mescolino con voluttà nell'utero della donna, lasciamo alle donne stabilire cosa sentono nel segreto delle viscere; a noi non conviene spingere fino a questo punto la vana curiosità. Nondimeno, quella vergognosa libidine, per la quale anche le membra sono state chiamate vergognose, era assente nel corpo di quella vita, che si conduceva nel paradiso prima del peccato, ma incominciò ad esistere nel corpo di questa morte, come disubbidienza resa in cambio della disubbidienza, dopo il peccato. L'atto coniugale si sarebbe potuto compiere nella generazione dei figli senza questa libidine, come molte azioni si compiono con la sottomissione delle altre membra, senza quell'ardore, giacché si muovono al cenno della volontà e non sono eccitate dall'ardore della passione. 13.27 - Argomentazioni contro il peccato originale Ascolta il seguito: "Questo è confermato anche dall'autorità dell'Apostolo. Parlando infatti san Paolo della risurrezione dei morti, dice: Stolto! Ciò che tu semini non prende vita, ( 1 Cor 15,36 ) e poco dopo: Ma Dio gli dà un corpo nel modo che a lui piace e a ciascun seme il suo proprio corpo. ( 1 Cor 15,38 ) Se dunque fu Dio a dare al seme umano, come a tutte le cose, un proprio corpo, cosa che nessuna persona pia e saggia nega, come proverai tu che tutti sono nati peccatori? Ti prego di renderti conto una buona volta da quali lacci venga soffocata la dottrina di un peccato naturale. Suvvia, ti scongiuro, sii più indulgente con te! Credimi, anche tu sei una creatura di Dio, ma lo devi riconoscere, sei stato corrotto da un grave errore. Cosa potrebbe essere più sacrilego dell'affermazione secondo la quale Dio non avrebbe creato l'uomo, oppure, come dici tu, che lo avrebbe creato per il diavolo, o almeno, cosa non meno stolta che empia, che il diavolo avrebbe fabbricato l'immagine di Dio, cioè l'uomo? Dio dunque sarebbe tanto meschino, tanto sfacciato da non avere in serbo nient'altro da dare in premio alle persone sante, se non quello che il diavolo ha infuso come vizio in coloro che aveva ingannato? Ma vuoi sapere che è possibile dimostrare come persino nei riguardi di persone che non sono sante questa potenza generativa fu data da Dio in dono? Al tempo dunque in cui Abramo, preso dal timore di gente straniera, fece passare Sara, che era sua moglie, per sua sorella, si narra che il re di quella regione, Abimelech, se la fece condurre per possederla durante la notte. Ma Dio, che aveva a cuore l'onore di quella santa donna, apparve in sogno ad Abimelech e frenò l'audacia del re, minacciandolo di morte, qualora si fosse spinto a violare il coniugio. Allora Abimelech disse: Farai perire, Signore, una gente che ignorava ed è giusta? Non hanno essi stessi affermato di essere fratelli? Si alzò dunque al mattino Abimelech e prese mille didramme d'argento, pecore, buoi, servi e serve e li diede ad Abramo, restituendogli anche la moglie intatta. Abramo, poi, pregò Dio per Abimelech e Dio guarì Abimelech, sua moglie e le sue serve". ( Gen 8,14-17; Gen 20,2-4 ) Quanto al motivo di un racconto tanto prolisso, eccotelo in poche parole. Subito dopo infatti aggiunge: "Per le preghiere di Abramo Dio guarì la potenza della funzione misteriosa, di cui erano stati privati gli organi genitali di umili donne, poiché Dio aveva chiuso dal di fuori ogni vulva della casa di Abimelech. ( Gen 20,18 ) Vedi dunque, continua, se si deve considerare naturalmente cattivo quello che Dio talora toglie, perché adirato, e restituisce, una volta placato. È lui che crea i figli delle persone pie e delle empie, giacché il fatto di diventare genitori è una capacità naturale, che ha la fortuna di aver Dio per autore, mentre il fatto di essere empi dipende dalla depravazione delle passioni, che per tutti è una conseguenza della libera volontà". 14.28 - Abusi della Sacra Scrittura A tutto questo brano, in cui ha detto tante cose, rispondo che nelle testimonianze divine da lui citate non è detto niente sul tema della vergognosa concupiscenza, di cui noi affermiamo l'assenza nel corpo di quei beati, quando erano nudi e non provavano confusione. ( Gen 2,25 ) La prima citazione dell'Apostolo infatti si riferisce ai semi di frumento, i quali prima muoiono per ricevere vita. ( 1 Cor 15,36 ) Questa frase, certamente dell'Apostolo, non so per quale motivo, non è stata citata da lui fino in fondo. L'ha ricordata fino alle parole: Stolto! Quel che tu semini non riceve vita, mentre l'Apostolo aggiunge: Se non muore. Costui, a mio avviso, ha voluto che quanto è stato detto del frumento fosse inteso dai lettori ignoranti o dimentichi delle sante Scritture come detto del seme umano. Infine, non solo ha accorciato questa frase tacendo: Se non muore, ma ha anche passato sotto silenzio le parole seguenti, in cui l'Apostolo spiegava di quali semi stava parlando. Dice infatti l'Apostolo: E quel che tu semini non è il corpo che deve venire che semini, ma un semplice granello, per esempio, di frumento o di altro genere. ( 1 Cor 15,37 ) Omesso questo versetto, prosegue con il successivo testo dell'Apostolo: Dio poi gli dà un corpo come a lui piace e a ciascun seme il proprio corpo, ( 1 Cor 15,38 ) come se la frase: Stolto! Quel che tu semini non riceve vita l'Apostolo l'avesse detta a proposito dell'uomo che compie l'atto coniugale, per farci comprendere che il seme umano non riceve vita dall'uomo che genera i figli nell'accoppiamento, ma da Dio. Aveva già detto infatti che "quel piacere non sostituisce l'opera divina, ma dai tesori della natura ricava, per offrirlo a Dio, il materiale con il quale si degna di fare l'uomo". E aggiunge la testimonianza: Stolto! Quel che tu semini non riceve vita, come se l'Apostolo avesse detto: non riceve vita da te, ma è Dio che forma l'uomo dal tuo seme, come se non avesse detto le parole intermedie, da lui omesse, e tutta la frase si riferisse al seme umano: Stolto! Quel che tu semini non riceve vita, ma Dio gli dà un corpo come a lui piace e a ciascun seme il proprio corpo. Dopo queste parole dell'Apostolo, così conclude il suo discorso: "Se dunque fu Dio a dare al seme umano, come a tutte le cose, un proprio corpo, cosa che nessuna persona saggia e pia nega"; come se l'Apostolo in quel testo avesse parlato proprio del seme umano. 14.29 - Ipotesi sulla procreazione umana prima del peccato Riflettendo con un po' più di attenzione su quale aiuto potesse dare un simile inganno alla sua causa, non sono riuscito a trovare altro se non che voleva portare a testimone l'Apostolo per dimostrare che è dal seme umano che Dio forma l'uomo, cosa che noi diciamo. Ma non offrendoglisi alcuna testimonianza ha fatto di questa un uso fraudolento, nel timore, certo, che nel caso si fosse scoperto che l'Apostolo non parlava del seme umano, bensì dei grani di frumento, ci fornisse lo spunto per confutare chi si fa scrupolo di nominare, ma non si vergogna di farne le lodi, non la onesta volontà, ma la voluttà libidinosa. Sì, proprio i semi che gli agricoltori seminano nei campi ci offrono lo spunto per confutare costui. Perché infatti non dovremmo credere che Dio nel paradiso potesse concedere all'uomo beato, nei confronti del suo seme, quello che vediamo concesso agli agricoltori riguardo alla semente del grano? Il seme umano avrebbe potuto essere seminato senza alcuna vergognosa libidine con gli organi genitali sottomessi alla volontà, allo stesso modo che il seme del grano viene sparso dalle mani dei contadini, che obbediscono agli ordini della volontà, senza alcuna vergognosa libidine; tanto più che il desiderio dei genitori di avere figli è più nobile del desiderio dei bifolchi di riempire i granai. Inoltre, perché non dovremmo credere che il Creatore onnipotente con la sua incontaminata presenza e con la sua potenza creatrice avrebbe potuto intervenire a suo arbitrio sul seme umano nella donna, cosa che fa anche al presente, come a suo piacimento opera sui semi di frumento della terra? Beate allora le madri che avrebbero concepito senza il piacere libidinoso e avrebbero partorito senza gemiti né dolori. Poiché in quella felicità e nel corpo di quella vita, che non era ancora di questa morte, le donne non avrebbero avuto di che vergognarsi nell'essere fecondate dal seme né di che soffrire nel dare alla luce i figli. Chi non crede e non vuole che si creda che dalla volontà e dalla benignità di Dio poteva essere concesso questo dono agli uomini, che prima di qualsiasi peccato vivevano nella felicità del paradiso, non è esaltatore della desiderabile fecondità, ma amante della vergognosa voluttà. 15.30 - Un altro abuso scritturistico Allo stesso modo è fuori posto l'altra testimonianza addotta dal Libro divino a proposito di Abimelech e del fatto che per volontà di Dio tutte le donne della sua casa furono rese sterili perché non partorissero e poi di nuovo furono rese feconde, perché partorissero. Che rapporto ha tutto questo con la vergognosa libidine, di cui stiamo ora trattando? Fu forse questa che Dio tolse a quelle donne e restituì loro quando volle? In realtà la punizione consisteva nel fatto che non potessero partorire e il beneficio nel fatto che potessero partorire, secondo il modo proprio di questa carne corruttibile. Dio infatti non avrebbe concesso al corpo di questa morte un beneficio tale, quale avrebbe potuto avere soltanto il corpo di quella vita, che si conduceva nel paradiso prima del peccato, quello cioè di generare senza il prurito della lussuria e di partorire senza i lancinanti dolori. Ma dal momento che la Scrittura dice che le donne furono rese sterili dall'esterno, ( Gen 20,18 ) perché non intendere che a causa di qualche dolore avvenne che le donne non potessero sopportare la copula e che questo dolore fosse inflitto dalla collera divina e fosse fatto sparire dalla sua misericordia? Se infatti per impedire la generazione della prole fosse stato necessario sopprimere la libidine, ne dovevano essere privati gli uomini, non le donne. La donna infatti avrebbe potuto accoppiarsi per decisione della volontà, anche in assenza dello stimolo della libidine, purché non ne fosse privo l'uomo, che ha bisogno di esserne eccitato. A meno che, essendo scritto che anche Abimelech fu risanato, non dirà che a lui fu restituita la libidine virile. Ma senza dubbio se l'avesse perduta, non ci sarebbe stato bisogno che Dio lo ammonisse di non unirsi alla moglie di Abramo. Se la Scrittura dunque dice che fu risanato è perché era stata liberata da quella malattia la sua famiglia. 16.31 - Il peccato originale e la prescienza divina Ed ora vediamo le tre affermazioni che, a quanto dice, quale che sia la nostra, sono le più empie affermazioni che si possono fare: che Dio non avrebbe creato l'uomo o che lo avrebbe creato per il diavolo o addirittura che sarebbe stato il diavolo a formare l'immagine di Dio, ossia l'uomo. La prima e l'ultima affermazione, lo deve ammettere lui pure, se non è insensato o troppo ostinato, non sono mie. Si può discutere invece sull'altra, posta tra quelle due. Ebbene si sbaglia se pensa che io dica che Dio ha fatto l'uomo per il diavolo, come se Dio negli uomini che crea dai genitori abbia di mira, si proponga e procuri con il disegno della sua opera che il diavolo abbia degli schiavi, che è incapace di farsi personalmente. Che nessuno, neppure il fedele più ingenuo concepisca un tale sospetto! È per la sua bontà che Dio crea gli uomini, i primi senza peccato, gli altri sotto il peccato, secondo i suoi imperscrutabili disegni. Egli sa cosa fare della malizia dello stesso diavolo e quello che fa è giusto e buono, benché sia ingiusto e perverso colui sul quale opera, né volle rinunciare a crearlo per il fatto che prevedeva che sarebbe stato perverso. Allo stesso modo, per quanto concerne la totalità del genere umano, benché nessun uomo nasca senza la macchia del peccato, colui che è sommamente buono realizza un'opera buona, facendone alcuni vasi di misericordia, per distinguerli con la sua grazia da quelli che sono vasi di collera, altri vasi di collera, per far conoscere le ricchezze della sua gloria verso i vasi di misericordia. ( Rm 9,23 ) Vada pure ora costui anche contro l'Apostolo autore di questa affermazione; controbatta lo stesso vasaio, a cui l'Apostolo vieta di rispondere, dicendo: O uomo, chi sei tu per contraddire Dio? Dirà forse il vaso a colui che lo ha modellato: Perché mi hai fatto così? Non è forse il vasaio padrone di fare della medesima massa di argilla un vaso per un uso onorevole, un altro per un uso volgare? ( Rm 9,20-21 ) Può dunque costui negare che i vasi di collera sono in potere del diavolo? Oppure, poiché sono in potere del diavolo, hanno un creatore diverso da quello dei vasi di misericordia? O ancora, sono formati da un altro materiale e non dalla medesima massa? A questo punto quindi dica pure: Dunque Dio crea i vasi per il diavolo, come se Dio non sapesse servirsene per le sue opere giuste e buone, come si serve dello stesso diavolo. 17.32 - Dio ricava il bene anche dal male Ma forse per il fatto che fa sorgere il suo sole sopra i buoni e i cattivi e fa piovere sopra i giusti e gli ingiusti ( Gv 17,12 ) è per il diavolo che pasce, è per il diavolo che nutre e veste i figli di perdizione, ( Mt 25,33 ) i capri che saranno dal lato sinistro? ( Mt 5,45 ) Così dunque crea i malvagi allo stesso modo che li nutre e li pasce, poiché quello che dona loro al momento della creazione appartiene alla bontà della natura e l'incremento che dà loro, pascendoli e nutrendoli, lo dà come buon aiuto non certo della malizia, ma della stessa natura buona, che egli ha creato nella sua bontà. In quanto sono uomini, infatti, costituiscono un bene naturale, di cui è autore Dio; in quanto nascono peccatori invece e destinati a perire, se non rinascono, appartengono alla progenie maledetta dall'inizio ( Sap 12,11 ) a causa del vizio di quell'antica disubbidienza. Di questo fatto tuttavia fa buon uso colui che forma anche i vasi di collera per far conoscere le ricchezze della sua gloria verso i vasi di misericordia, ( Rm 9,23 ) affinché nessuno, appartenente alla medesima massa, attribuisca ai propri meriti la liberazione ottenuta per grazia, ma chi si vanta, si vanti nel Signore. ( 2 Cor 10,17 ) 18.33 - La fede apostolica e cattolica nei riti battesimali Allontanandosi da questa fede cattolica e apostolica, veracissima e saldissima, costui insieme ai pelagiani non vuole che gli uomini che nascono siano in potere del diavolo, affinché i piccoli siano portati a Cristo per essere liberati dal potere delle tenebre e trasferiti nel suo regno. ( Col 1,13 ) E così accusa la Chiesa diffusa nel mondo intero, perché in essa, in ogni parte, su tutti i bambini che devono essere battezzati per nessun altro motivo si compie il rito dell'insufflazione, se non per scacciare da essi il principe del mondo, ( Gv 12,31 ) da cui necessariamente i vasi di collera sono posseduti quando nascono da Adamo, fino a quando non rinascono in Cristo e, divenuti vasi di misericordia mediante la grazia, non sono trasferiti nel suo regno. Mettendosi contro questa fondatissima verità, per non apparire avversario di tutta la Chiesa di Cristo, egli si rivolge contro me solo e con l'aria di redarguirmi e ammonirmi dice: "Anche tu sei creatura di Dio, ma devi riconoscere di esserti macchiato di un grave errore". Certo, riconosco che Dio mi ha creato e lo ringrazio; però se mi avesse solo creato da Adamo e non mi avesse ricreato in Cristo, sarei perito insieme ai vasi di collera. Ma poiché tutto preso dall'empietà pelagiana non crede a questa dottrina, se persevera in questa malvagia convinzione fino alla fine, non lui ma i cattolici vedano da quale grave ed enorme errore si sia lasciato non solo macchiare ma uccidere del tutto. 19.34 - Concezione pelagiana della concupiscenza carnale Presta attenzione a ciò che segue: "Che i figli avuti dal matrimonio siano per natura buoni, lo apprendiamo dall'Apostolo che, parlando dei malvagi, dice: Abbandonato l'uso naturale della donna, arsero nei loro desideri gli uni per gli altri, i maschi per i maschi, facendo cose obbrobriose. ( Rm 1,27 ) Ha mostrato così, dice, che l'uso della donna è naturale e, se compiuto nella giusta misura, degno di lode, mentre la turpitudine contro il pudore di questa istituzione viene compiuta dalla propria volontà. Giustamente dunque, continua, in coloro che ne fanno buon uso viene lodata la concupiscenza nel suo genere e nel suo moderato esercizio, mentre in coloro che ne abusano turpemente è punito il suo eccesso. Infine, nello stesso tempo che Dio rinvigoriva le membra infiacchite dagli anni di Abramo e di Sara, le puniva a Sodoma con la pioggia di fuoco. ( Gen 21,1; Gen 19,24 ) Se quindi credi che il vigore delle membra dev'essere accusato, perché per causa di esso i sodomiti si macchiarono di turpitudini, dovrai accusare pure il pane e il vino, giacché la sacra Scrittura fa intendere che peccarono anche a causa di queste creature. Dice infatti il Signore per mezzo del profeta Ezechiele: Queste furono le iniquità di Sodoma tua sorella: la superbia, la sazietà di pane, l'abbondanza di vino di essa e dei suoi figli; e non porgevano la mano al bisognoso e al povero. ( Ez 16,49 ) Suvvia, prosegue, scegli cosa preferisci: vuoi attribuire all'opera divina l'unione dei corpi oppure vuoi considerare ugualmente cattive le creature del pane e del vino? Ma se sceglierai questo, sarà chiarissimo che sei manicheo. Chi osserva la giusta misura della concupiscenza naturale fa buon uso di una cosa buona, chi non osserva questa misura fa cattivo uso di una cosa buona. Perché dunque affermi che non si può accusare la bontà del matrimonio del male originale che da esso si contrae, come non si può scusare la malizia dell'adulterio per il bene naturale che ne deriva? Con questo discorso, dice, hai ammesso quello che avevi negato e hai negato quello che avevi concesso e ti affatichi tanto solo per farti capire di meno. Mostrami un matrimonio corporale senza unione dei sessi, oppure da' un nome a questa azione e proclama il matrimonio buono o cattivo! Certo, hai promesso di definire buoni i matrimoni. Ma, se il matrimonio è buono, se l'uomo, frutto del matrimonio, è buono, se questo frutto, opera di Dio, non può essere cattivo, perché nasce da una cosa buona mediante un'azione buona, dov'è dunque il male originale, che è distrutto da tante ammissioni?". 20.35 - Esegesi di Rm 1,26-27 Ecco la mia risposta. Non soltanto i figli nati dal matrimonio, ma anche quelli nati dall'adulterio sono esseri buoni in rapporto all'opera di Dio che li ha creati; ma in rapporto al peccato originale nascono dal primo Adamo nella condizione di condannati non solo i figli adulterini ma anche i figli legittimi, a meno che non rinascano nel secondo Adamo, che è Cristo. Quanto poi alle parole dell'Apostolo: Abbandonato l'uso naturale della donna, arsero nei loro desideri gli uni per gli altri, i maschi per i maschi, facendo cose obbrobriose, ( Rm 1,27 ) egli non parla di uso coniugale, ma di uso naturale, volendo significare quello che si compie con le membra create proprio perché i due sessi possano unirsi per mezzo di esse in vista della procreazione. In questo senso, anche quando uno si unisce con quelle membra a una prostituta, ne fa un uso naturale, anche se non lodevole, ma colpevole. Se uno invece si unisce anche al proprio coniuge in una parte del corpo non destinata alla generazione, commette un atto contro natura e obbrobrioso. Infine, lo stesso Apostolo in antecedenza aveva detto riguardo alle donne: Le loro donne hanno cambiato l'uso naturale nell'uso che è contro natura, ( Rm 1,26 ) in seguito parlò degli uomini che compiono turpitudini con uomini, abbandonando l'uso naturale della donna. Perciò con l'espressione: uso naturale, non è stata lodata l'unione coniugale, ma sono state bollate azioni più immonde e più turpi dell'uso anche illecito, e pur tuttavia naturale, della donna. 21.36 - Uso buono e lecito della concupiscenza nel matrimonio Quanto al pane e al vino, ( Mt 26,26 ) poi, io non li condanno a motivo dei ghiottoni e degli ubriaconi, come non condanno l'oro a motivo degli avidi e degli avari. Di conseguenza non condanno neppure l'onesta unione degli sposi a causa della vergognosa concupiscenza carnale. Essa infatti, se in precedenza non fosse stato commesso alcun peccato, potrebbe essere tale da non fare arrossire gli sposi; ma l'attuale è sorta dopo il peccato e i primi uomini furono costretti a velarla per la confusione. ( Gen 3,7 ) Per i posteri coniugati ne è rimasta la conseguenza di essere costretti a evitare lo sguardo umano durante l'esecuzione di una tale azione, anche quando fanno un uso buono e lecito di quel male, confessando così che è vergognosa, mentre nessuno dovrebbe vergognarsi di ciò che è buono. In tal modo ci vengono suggerite due verità: l'onestà della lodevole unione con la quale si generano i figli e la disonestà della vergognosa libidine, a causa della quale i generati devono essere rigenerati per non essere condannati. Pertanto, chi si unisce lecitamente nella vergognosa libidine fa buon uso di una cosa cattiva, chi invece si unisce illecitamente fa cattivo uso di una cosa cattiva. È più esatto infatti chiamare male piuttosto che bene ciò di cui arrossiscono sia i cattivi che i buoni. Ed è meglio credere a colui che dice: So che in me, cioè nella mia carne, non abita il bene, ( Rm 7,18 ) piuttosto che a costui, il quale chiama bene una cosa che, se ne viene confuso, confessa di essere un male, se poi non ne viene confuso, vi aggiunge l'impudenza, che è un male maggiore. Giustamente quindi avevo scritto che "non si può accusare la bontà del matrimonio per il male originale che da esso si contrae, allo stesso modo che non si può scusare la malizia dell'adulterio per il bene naturale che ne deriva", poiché la natura umana sia che nasca dal matrimonio che dall'adulterio è sempre opera di Dio. Se fosse un male in sé, non dovrebbe essere generata; se non avesse alcun male, non dovrebbe essere rigenerata. E per racchiudere le due cose in una sola parola: se la natura umana fosse una cosa cattiva, non dovrebbe essere creata; ma se in essa non ci fosse niente di male, non avrebbe bisogno di salvezza. Chi dunque afferma che essa non è una cosa buona, nega la bontà del Creatore, che l'ha creata; chi dice che in essa non c'è alcun male, nega a questa natura viziata un Salvatore misericordioso. Perciò negli uomini che nascono non si deve scusare l'adulterio per il bene che da esso è stato creato dal Creatore buono, né si deve accusare il matrimonio per il male che in esso deve essere risanato dalla misericordia del Salvatore. 22.37 - Il matrimonio e i figli che da esso nascono sono buoni "Mostrami, dice, un matrimonio corporale senza unione carnale". Io non gli posso mostrare un matrimonio corporale senza tale unione, ma neanche lui può mostrare la stessa unione esente dalla confusione. Nel paradiso invece, se non ci fosse stato il peccato, non ci sarebbe stata certo una generazione senza l'unione dei due sessi, ma ci sarebbe stata un'unione esente dalla confusione. Ci sarebbe stata in effetti, nell'atto di accoppiarsi, la pacifica obbedienza delle membra, senza la vergognosa concupiscenza della carne. Per conseguenza il matrimonio è un bene, da cui nasce l'uomo, dopo che è stato seminato secondo l'ordine stabilito; anche il frutto del matrimonio, cioè l'uomo stesso che così nasce, è buono, ma è un male il peccato con il quale nasce ogni uomo. Certamente fu Dio a creare l'uomo e lo crea ancora; ma per un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e per il peccato la morte e così si è trasmessa a tutti gli uomini, nel quale tutti hanno peccato. ( Rm 5,12 ) 23.38 - I pelagiani accusano Agostino di manicheismo "Con un nuovo genere di dialettica, dice, ti dichiari cattolico e ti fai difensore dei manichei, affermando che il matrimonio è un grande bene e insieme un grande male". Assolutamente, o non sa cosa dice o finge di ignorare. O non comprende infatti o non vuole che si comprenda quello che dico. Ma, se non comprende, ne è impedito dall'errore che si è impadronito di lui; se non vuole che si comprenda quello che dico, ci troviamo di fronte al vizio della pervicacia, che gli fa difendere il suo errore. Anche Gioviniano, che alcuni anni fa tentò di diffondere una nuova eresia, diceva che i cattolici difendevano il manicheismo, perché anteponevano, contro di lui, la santa verginità al matrimonio. Costui risponderà di non essere d'accordo con Gioviniano nel porre sullo stesso piano il matrimonio e la verginità. Neppure io dico che costoro affermino la stessa dottrina, tuttavia nel fatto che Gioviniano accusava i cattolici di manicheismo, i nuovi eretici devono riconoscere che la loro accusa non è affatto nuova. Noi dunque affermiamo che il matrimonio è un bene, non un male. Ma come gli ariani ci accusano di sabellianesimo, sebbene non diciamo come i sabelliani che il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo si identificano, bensì professiamo, come professano i cattolici, che il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo sono della stessa e unica natura; così i pelagiani ci accusano di manicheismo, sebbene non diciamo affatto come i manichei che il matrimonio è cattivo; bensì, come dicono i cattolici, che il male venne con i primi uomini, cioè con i primi sposi, e da loro si trasmise a tutti gli uomini. Ma come gli ariani per fuggire il sabellianesimo caddero in un errore più grave, perché osarono distinguere nella Trinità non le persone ma le nature; così i pelagiani, mentre cercano di sfuggire al manicheismo in una direzione sbagliata, a riguardo del frutto del matrimonio dimostrano di avere idee più perniciose degli stessi manichei, giacché credono che i bambini non hanno bisogno della medicina di Cristo. 24.39 - Il male originale si contrae anche dal matrimonio "Dichiari, scrive ancora, che l'uomo, se nasce dalla fornicazione non è colpevole, se nasce dal matrimonio non è innocente. A questa conclusione infatti si giunge quando dici che dall'adulterio può risultare un bene naturale, mentre il male originale si contrae anche dal matrimonio". È del tutto inutile cambiare le carte in tavola di fronte al lettore intelligente. Lungi da me il dire che l'uomo che nasce dalla fornicazione non è colpevole. Affermo invece che l'uomo, sia che nasca dal matrimonio che dalla fornicazione, è un essere buono, perché l'autore della natura è Dio, ma contrae un certo male a causa del peccato originale. Quando perciò dico che "un bene naturale può risultare anche dall'adulterio e che il male originale si contrae anche dal matrimonio", non si può concludere, come ha cercato di fare costui, che dall'adulterio non nasce un colpevole né un innocente dal matrimonio; ma in entrambi i casi l'uomo è reso colpevole dalla generazione a causa del peccato originale e in entrambi i casi deve essere assolto mediante la rigenerazione a motivo della bontà della natura. 25.40 - Argomenti contro la dottrina del peccato originale "Di queste due proposizioni una sola è vera, l'altra falsa", dice. Con la stessa brevità gli rispondo: al contrario, sono entrambe vere e nessuna delle due è falsa. Continua: "È vero che l'uomo nato dall'adulterio non può scusare la colpa degli adulterii, perché ciò che fecero gli adulteri è imputabile al vizio della volontà, mentre il figlio da essi generato costituisce la lode della fecondità: se si semina il grano rubato, non nasce una messe colpevole. Rimprovero quindi il ladro, ma lodo la messe. Proclamo innocente chi nasce dalla fecondità dei semi, poiché l'Apostolo dice: Dio gli dà il corpo come a lui piace e a ogni seme il proprio corpo, ( 1 Cor 15,38 ) condanno invece lo scellerato che peccò per il pervertimento della sua volontà". 26.41 - Altri argomenti di Giuliano A queste parole ne aggiunge delle altre, dicendo: "Certamente, se il male si contrae dal matrimonio, questo può essere accusato e non scusato e sottometti la sua opera e il suo frutto al diritto del diavolo, poiché tutto ciò che è causa di male non ha niente di buono. Ma l'uomo, dice, che nasce dal matrimonio, non si attribuisce ai peccati, bensì ai semi. La causa dei semi poi sta nella condizione dei corpi e chi fa un cattivo uso dei corpi ferisce il merito del bene, non la sua essenza. È perfettamente chiaro quindi, continua, che il bene non è causa del male. Perciò, prosegue, se dal matrimonio si contrae il male di origine, l'unione degli sposi è causa del male e necessariamente è male ciò per cui e da cui apparve un frutto cattivo, secondo le parole del Signore che si leggono nel Vangelo: L'albero si riconosce dai suoi frutti. ( Mt 12,33; Lc 6,44 ) Come pensi di essere creduto, mi apostrofa, quando dici che il matrimonio è buono, se affermi che da esso non ne deriva che male? È chiaro dunque che il matrimonio è colpevole se da esso si contrae il peccato originale, né può essere difeso senza riconoscere l'innocenza del suo frutto. Ma esso è difeso e proclamato buono, quindi si riconosce l'innocenza del suo frutto". 26.42 - Il matrimonio in sé non è la causa del peccato Prima di rispondere a questi argomenti, voglio richiamare l'attenzione del lettore sul fatto che l'unica preoccupazione di costoro è quella di dimostrare che i bambini non hanno alcun bisogno di un Salvatore, giacché a loro avviso non hanno affatto peccati dai quali debbano essere salvati. Un'opinione così perversa e nemica di una grazia di Dio così grande, quale ci è stata data per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore, che è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto, ( Lc 19,10 ) tenta di insinuarsi nei cuori di gente poco intelligente con l'elogio delle opere divine, cioè con l'elogio della natura umana, con l'elogio del seme, con l'elogio del matrimonio, con l'elogio dell'unione sessuale e con l'elogio della fecondità: tutte cose buone. Non voglio dire: con l'elogio della libidine, perché anch'egli si vergogna di nominarla, così da dare l'impressione che egli lodi non questa, ma un'altra cosa. E così, non distinguendo dalla natura i mali, che sono sopravvenuti alla stessa natura, egli non dimostra che sia sana, perché è falso, ma non permette che sia risanata dalla sua infermità. Perciò concorda con me nel dire che "la colpa degli adulterii non può essere scusata dal bene che nasce da essi, cioè l'uomo"; anzi a sostegno di questo punto, sul quale non c'è divergenza tra noi, ricorre alla similitudine del ladro, che semina il grano rubato, dal quale naturalmente nasce una messe buona, per rafforzarlo come può. Ma quanto all'altra mia affermazione, secondo cui "non si può accusare la bontà del matrimonio, per il male originale che da esso si contrae", non vuole ammetterne la verità, perché, se fosse d'accordo, non sarebbe più un eretico pelagiano, ma un cristiano cattolico. "Certamente, asserisce, se il male si contrae dal matrimonio, questo si può accusare, non è possibile scusarlo e tu sottometti al diritto del diavolo l'opera sua e il suo frutto, perché tutto ciò che è causa di male non ha niente di buono". E a questo assioma collega tutto il resto, per provare che la causa del male non può essere il bene e che perciò il matrimonio, che è una cosa buona, non è causa di un male e quindi non è assolutamente possibile che da esso nasca un peccatore che ha bisogno del Salvatore. Come se io affermassi che il matrimonio è causa del peccato! Benché l'uomo che da esso nasce, nasca sempre con il peccato, il matrimonio fu istituito come causa della generazione, non del peccato. Di qui la benedizione del matrimonio da parte del Signore: Crescete e moltiplicatevi e riempite la terra. ( Gen 1,28 ) Il peccato invece, che da esso contraggono quelli che nascono, non appartiene al matrimonio, ma al male sopraggiunto agli uomini, la cui unione costituisce il matrimonio. Il male della libidine vergognosa, infatti, si può avere anche fuori del matrimonio e il matrimonio avrebbe potuto esserci anche senza di quello. Appartiene alla condizione propria del corpo di questa morte, non del corpo di quella vita, il fatto che al presente non sia possibile un matrimonio immune da quel male, sebbene questo possa esistere al di fuori di quello. Fuori del matrimonio, infatti, la concupiscenza carnale è certamente vergognosa quando spinge a commettere adulterii e ogni genere di turpitudini e di immondezze tanto contrarie alla castità coniugale, oppure quando non si commette niente di tutto questo, perché si rifiuta qualsiasi consenso e tuttavia sorge, si eccita ed eccita e spesso giunge nei sogni a una parvenza di azione e al termine stesso della sua eccitazione. Questo male, dunque, neppure quando si esperimenta nel matrimonio è proprio del matrimonio, ma gli uomini lo portano sempre con sé, nel corpo di questa morte, anche se non lo vogliono e senza di esso non possono compiere ciò che vogliono. Non deriva perciò al matrimonio dalla sua istituzione, che è stata benedetta, ma dal fatto che per un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e per il peccato la morte e così si trasmise a tutti gli uomini, nel quale tutti hanno peccato. ( Rm 5,12 ) 26.43 - La causa del peccato è il volontario peccato di Adamo Per quale motivo dunque, cita le parole che leggiamo nel Vangelo, dette dal Signore: L'albero si riconosce dai suoi frutti? ( Mt 12,33; Lc 6,44 ) Il Signore non parlava di questo argomento, ma delle due volontà degli uomini, cioè di quella buona e di quella cattiva. Chiamava albero buono la volontà buona e albero cattivo la volontà cattiva, perché dalla volontà buona nascono le opere buone e da quella cattiva le opere cattive, mentre non è possibile che nascano opere buone dalla volontà cattiva né opere cattive dalla volontà buona. Se consideriamo, secondo la similitudine evangelica da lui ricordata, albero buono il matrimonio, dovremo certamente considerare al contrario la fornicazione albero cattivo. Per conseguenza, se l'uomo è chiamato frutto del matrimonio come un buon frutto prodotto da un albero buono, dalla fornicazione certamente non dovrebbe nascere un uomo, giacché l'albero cattivo non produce frutti buoni. ( Mt 7,18 ) D'altra parte, se dirà che in quel caso l'albero non può rappresentare l'adulterio ma piuttosto la natura umana, dalla quale nasce l'uomo, anche in questo caso l'albero non rappresenta il matrimonio, ma la natura umana dalla quale nasce l'uomo. Insomma, quella similitudine evangelica non dice nulla riguardo alla nostra questione, perché non è il matrimonio la causa del peccato, contratto da chi nasce e purificato in colui che rinasce, ma il volontario peccato del primo uomo è la causa del peccato originale. "Tu affermi ancora, dice, che come il peccato è opera del diavolo, sia che i bambini lo contraggano da un'unione legittima che da una illegittima, così l'uomo è opera di Dio da qualunque unione nasca". L'ho detto ed è la verità e se non fosse pelagiano ma cattolico, anch'egli non parlerebbe diversamente nella Chiesa cattolica. 27.44 - Altri argomenti contro la dottrina del peccato originale Che senso hanno dunque le domande che mi rivolge: "Qual è la causa per cui si trova il peccato nel bambino? La volontà, il matrimonio o i genitori?". Così infatti si esprime. E rispondendo a tutte queste domande e come se volesse liberare dal peccato tutti questi elementi non pensa che a eliminare tutto ciò per cui nel bambino si possa trovare il peccato. Ma ascolta infine le sue stesse parole: "Qual è la causa per cui si trova il peccato nel bambino? La volontà? Ma in lui non c'era volontà. Il matrimonio? Ma questo è opera dei genitori, i quali, secondo la tua ammissione, non hanno peccato in questo atto, anche se da quanto appare dal seguito non sei stato sincero nel fare questa concessione. Dobbiamo dunque maledire lo stesso matrimonio per aver fornito la causa del male? Ma esso indica soltanto l'opera delle persone. È giusto quindi condannare i genitori, perché con la loro unione diedero una causa al peccato. Non si può quindi più dubitare, conclude, che se seguiamo la tua opinione i coniugi si condannano all'eterno supplizio, poiché per la loro azione il diavolo è pervenuto a esercitare il dominio sugli uomini. Come hai potuto dire un momento prima che l'uomo è opera di Dio? Se il male si trova nell'uomo a causa della sua origine; se il diavolo ha potere sugli uomini a causa del male, tu affermi che il diavolo è l'autore degli uomini, poiché sta all'origine di quelli che nascono. Se poi credi che l'uomo è stato creato da Dio e che i coniugi sono innocenti, non puoi sostenere che da essi si contrae il peccato originale". 27.45 - La testimonianza dell'Apostolo ( Rm 5,12ss ) A tutte queste domande risponde l'Apostolo. Egli non accusa la volontà del bambino, il quale ancora non ne ha una propria per peccare; né accusa il matrimonio in quanto tale, perché a Dio risale non soltanto la sua istituzione ma anche la sua benedizione; né accusa i genitori in quanto genitori, uniti l'uno all'altro lecitamente e legittimamente per la procreazione dei figli; ma a causa di un solo uomo, dice, entrò il peccato nel mondo e per il peccato la morte e così si trasmise a tutti gli uomini, nel quale tutti hanno peccato. ( Rm 5,12 ) Se ascoltassero queste parole con orecchie e sentimenti cattolici non avrebbero l'animo contrario alla fede e alla grazia di Cristo, né farebbero inutili tentativi per interpretare a modo loro e in senso eretico queste parole dell'Apostolo tanto chiare ed evidenti, affermando che esse furono dette per significare che Adamo peccò per primo e che in seguito chiunque ha voluto peccare ha trovato in lui un esempio, con l'ovvia conseguenza che il peccato non è passato da quel primo uomo a tutti i discendenti per mezzo della generazione da quell'unico capostipite, bensì per l'imitazione di quello solo. Ma se l'Apostolo avesse inteso parlare qui di imitazione, certamente non avrebbe detto: A causa di un solo uomo, bensì: A causa del diavolo entrò il peccato nel mondo e si trasmise a tutti gli uomini. Del diavolo infatti si legge: Quelli della sua parte sono suoi imitatori. ( Sap 2,24 ) Invece ha detto: A causa di un solo uomo, dal quale certo ebbe inizio la generazione degli uomini, proprio per insegnare che il peccato originale si è trasmesso a tutti gli uomini per mezzo della generazione. 27.46 - Adamo e Cristo D'altronde, cos'altro significano le parole seguenti dell'Apostolo? Dopo la frase citata infatti aggiunge: Poiché fino alla legge il peccato era nel mondo, ( Rm 5,13 ) nel senso che nemmeno la legge poteva cancellare il peccato; ma il peccato, dice, non veniva imputato, non essendovi la legge. ( Rm 5,13 ) C'era dunque, ma non veniva imputato, perché non era indicato ciò che poteva essere imputato. In un altro passo dice infatti: Dalla legge viene la conoscenza del peccato. ( Rm 3,20 ) Ma la morte, dice, regnò da Adamo fino a Mosè ( Rm 5,14 ) - cioè come aveva detto sopra, fino alla legge -, non nel senso che da Mosè in poi il peccato fosse scomparso, ma nel senso che neppure la legge data da Mosè poté distruggere il regno della morte, la quale evidentemente non regnò se non per mezzo del peccato. Il suo regno, inoltre, è tale da far precipitare l'uomo mortale anche nella seconda morte, che è eterna. Ma su chi regnò? Anche su quelli, dice, che non peccarono a somiglianza della trasgressione di Adamo, che è figura di colui che doveva venire. ( Rm 5,14 ) E chi doveva venire se non Cristo? E di quale figura si tratta se non di una figura per opposizione? La stessa cosa diceva con brevità anche in un altro passo: Come tutti muoiono in Adamo, così tutti riceveranno la vita in Cristo; ( 1 Cor 15,22 ) come nel primo la morte, così nel secondo la vita: la figura è la stessa, ma non è identica sotto ogni aspetto. Per cui, proseguendo, l'Apostolo aggiunge: Ma il dono non è come il delitto: se infatti per il delitto di uno morì la moltitudine, molto di più la grazia di Dio e il dono concesso in grazia di un solo uomo, Gesù Cristo, si sono riversati in abbondanza sulla moltitudine. ( Rm 5,15 ) Cosa significa: Si sono riversati in abbondanza, se non che tutti quelli che sono liberati da Cristo muoiono a causa di Adamo nel tempo, ma vivranno senza fine per Cristo? E per il dono non è come per il peccato di uno solo, poiché il giudizio da uno solo ( pervenne ) alla condanna, la grazia invece da molti delitti alla giustificazione. ( Rm 5,16 ) Quando dice: Da uno solo, intende naturalmente un delitto, giacché continua: La grazia invece da molti delitti. Dicano costoro come mai da un solo delitto si giunse alla condanna, se non perché per la condanna è sufficiente anche il solo peccato originale, che si è trasmesso a tutti gli uomini. La grazia invece da molti delitti alla giustificazione, proprio perché cancella non solo il peccato contratto con l'origine, ma anche tutti gli altri, che in ciascun uomo si aggiungono per il movimento della propria volontà. Se infatti per la colpa di uno solo la morte regnò a causa di quel solo uomo, molto più quelli che hanno ricevuto l'abbondanza della grazia e del dono della giustizia regneranno nella vita per mezzo del solo Gesù Cristo. Come dunque per il delitto di uno solo alla condanna per tutti gli uomini, così per la giustizia di uno solo alla giustificazione di vita per tutti gli uomini. ( Rm 5,17-18 ) Restino ancora nelle loro false opinioni e dicano pure che un solo uomo non ha trasferito la propaggine del suo peccato, ma ha offerto un esempio del peccato. Come dunque ( si è giunti ) alla condanna di tutti gli uomini per il delitto di uno solo ( Rm 5,18 ) e non piuttosto per i numerosi peccati commessi da ciascuno, se non perché quel peccato, anche se fosse rimasto l'unico, è capace di portare alla condanna, anche senza aggiungerne altri, come vi porta i bambini che muoiono, se nascono da Adamo e non rinascono in Cristo? Perché dunque costui mi chiede quello che non vuole sentire dall'Apostolo: per quale motivo si trova il peccato nel bambino, se per la volontà, per il matrimonio o per i genitori? Ecco il motivo, ascolti in silenzio per quale motivo si trova il peccato nel bambino: per il delitto di uno solo, dice l'Apostolo, alla condanna per tutti gli uomini. Ha detto che tutti vanno alla condanna per Adamo e tutti alla giustificazione per Cristo, anche se in verità non tutti quelli che muoiono in Adamo vengono da Cristo trasferiti alla vita. Ha detto tutti prima e poi, perché come nessuno va alla morte senza Adamo, così nessuno va alla vita senza Cristo. Allo stesso modo noi siamo soliti dire di un insegnante che sia l'unico in città: qui egli insegna le lettere a tutti; non già perché tutti le apprendano, ma perché nessuno le apprende senza di lui. Si deve notare infine che quelli che prima aveva detto tutti, poi li dica molti, pur intendendo indicare con tutti e con molti le stesse persone. Dice infatti: Come per la disubbidienza di uno solo molti sono stati costituiti peccatori, così per l'obbedienza di uno solo molti saranno costituiti giusti. ( Rm 5,19 ) 27.47 - Domandi ancora per quale motivo si trova il peccato nel bambino! Le pagine sante gli risponderanno: Per un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e per il peccato la morte e così si trasmise a tutti gli uomini, nel quale tutti hanno peccato; ( Rm 5,12 ) per il delitto di un solo uomo sono morti molti; ( Rm 5,15 ) il giudizio da uno solo alla condanna, ( Rm 5,16 ) per la colpa di uno solo, la morte regnò per uno solo; ( Rm 5,17 ) per il delitto di uno solo alla condanna per tutti gli uomini; ( Rm 5,18 ) per la disubbidienza di uno solo molti furono costituiti peccatori. ( Rm 5,19 ) Ecco per quale motivo si trova il peccato nel bambino. Creda dunque ormai al peccato originale e lasci che i piccoli vengano da Cristo per essere salvati! 28 - Perché dice: "Non pecca questo che nasce, non pecca quello che generò, non pecca colui che creò; attraverso quali crepe pensi che sia passato il peccato fra tanti presidi dell'innocenza?". Perché cerca una crepa nascosta, quando c'è una porta completamente spalancata? A causa di un solo uomo, dice l'Apostolo; per il delitto di un solo uomo, dice l'Apostolo; per la disubbidienza di un solo uomo, dice l'Apostolo. Cosa cerca ancora? Cosa cerca di più chiaro? Cosa cerca di più assodato? 28.48 - Il problema dell'origine del male "Se il peccato, osserva, deriva dalla volontà, cattiva è la volontà, perché essa fa il peccato; se deriva dalla natura, cattiva è la natura". Rispondo subito: il peccato deriva dalla volontà. Forse mi chiede se anche il peccato originale. Rispondo: certo, anche il peccato originale, perché questo pure è nato dalla volontà del primo uomo, sì da essere in lui ed essere trasmesso a tutti. Ma poiché ha soggiunto: "se deriva dalla natura, cattiva è la natura", gli chiedo di rispondere a me, se gli è possibile. Così come è evidente che tutte le opere malvagie provengono dalla cattiva volontà, come da un albero cattivo, mi dica qual è l'origine della stessa cattiva volontà, cioè dell'albero cattivo, che produce frutti cattivi. Se ha origine dall'angelo, non era anche l'angelo un'opera buona di Dio? Se da un uomo, non era pure l'uomo un'opera buona di Dio? Anzi, poiché la cattiva volontà dell'angelo proviene da un angelo, quella dell'uomo da un uomo, cosa erano questi due esseri prima che in essi sorgessero questi mali, se non opere buone di Dio e nature buone e degne di lode? Ecco dunque come dal bene nasce il male e non c'era altro da cui potesse nascere, se non dal bene. Parlo proprio della volontà cattiva, che non era stata preceduta da alcun male, non delle opere cattive, che nascono dalla volontà cattiva, come da un albero cattivo. Tuttavia la volontà cattiva poté nascere dal bene non per il fatto che il bene è stato creato da un Dio buono, ma perché il bene è stato creato dal nulla e non dalla stessa sostanza divina. Perché, dunque, dice che "se la natura è opera di Dio, l'opera del diavolo non può trasmettersi attraverso l'opera di Dio"? L'opera del diavolo non sorse forse dall'opera di Dio, quando per la prima volta sorse nell'angelo, che divenne diavolo? Per conseguenza, se un male che non era in nessun luogo, poté sorgere in un'opera di Dio, per quale ragione un male già esistente in qualche parte non si poteva trasmettere nell'opera di Dio, tanto più che l'Apostolo usa la stessa parola: E così si trasmise a tutti gli uomini? ( Rm 5,12 ) Non sono forse gli uomini opera di Dio? Il peccato dunque si trasmise agli uomini, cioè l'opera del diavolo all'opera di Dio e, per dire la stessa cosa in modo diverso, poiché l'opera del diavolo, cioè il peccato nato dal diavolo stesso, che è - il diavolo - fattura ed opera di Dio, si trasmise attraverso un'altra opera di Dio, cioè l'uomo, ne segue che l'opera di un'opera di Dio si trasmise all'opera di Dio. Ecco perché Dio solo è immutabile e di bontà potentissima, perché Egli prima che apparisse qualsiasi male, tutte le opere le fece buone e dai mali sorti nei beni, da lui fatti, sa ricavare il bene in tutto. 29.49 - Dio autore della natura, il diavolo del vizio "Nel medesimo uomo, argomenta, si condanna giustamente l'intenzione e si loda l'origine, perché tra le due cose c'è contrarietà; ma nel bambino ne esiste una soltanto, cioè la natura, perché la volontà è assente. Quell'unica cosa dunque o si attribuirà a Dio o al demonio. Se la natura viene da Dio, in essa non ci può essere il male originale; se viene dal diavolo, non ci sarà più nulla per rivendicare l'uomo alla creazione di Dio. Pertanto chi difende il peccato originale è un perfetto manicheo". Contro queste obiezioni ascolti piuttosto la verità. Nel medesimo uomo si condanna giustamente l'intenzione e si loda l'origine, perché tra le due cose c'è contrarietà, ma neppure nel bambino c'è una cosa sola, cioè la natura, nella quale l'uomo è stato creato dal Dio buono; ha infatti un vizio che a causa di uno solo si è trasmesso a tutti, come afferma saggiamente l'Apostolo, non come insensatamente negano Pelagio, Celestio e tutti i loro discepoli. Di queste due cose quindi che diciamo essere nel bambino, una la attribuiamo a Dio, l'altra al diavolo. E non è affatto assurdo che ambedue siano sottoposte al potere del diavolo a causa di una di esse cioè a causa del vizio, perché ciò non avviene per la potenza del diavolo, ma per quella di Dio. Un vizio, poi, viene sottomesso a un vizio, una natura a una natura, poiché anche nel diavolo c'è l'una e l'altra cosa; di modo che quando gli amati e gli eletti sono strappati al potere delle tenebre, al quale sono giustamente sottomessi, risplenda il dono fatto ai buoni, giustificati dal Dio buono, che sa ricavare il bene anche dal male. 29.50 - La fede della Chiesa e la Scrittura sul peccato originale Se costui ha creduto di parlare religiosamente, perché diceva che "se la natura viene da Dio, in essa non ci può essere il peccato originale", un altro penserà di parlare con maggiore pietà, affermando che se la natura è da Dio, in essa non può sorgere alcun male. Eppure ciò è falso. Lo vollero affermare i manichei e cercarono di riempire di tutti i mali non la creatura di Dio, tratta dal nulla, ma la stessa natura di Dio. Il male infatti non è sorto se non nel bene, non in quello sommo e immutabile che è la natura divina, ma in quello creato dal nulla dalla Sapienza divina. C'è dunque qualcosa per cui si può rivendicare l'uomo alla creazione di Dio, poiché l'uomo non esisterebbe se non fosse stato creato dall'opera di Dio. Il male invece non esisterebbe nei bambini, se la volontà del primo uomo non avesse peccato e se a causa dell'origine viziata non si contraesse il peccato originale. Perciò non è vero, come dice costui, che "chi difende il peccato originale è un perfetto manicheo", ma è un perfetto pelagiano chi non crede al peccato originale. Nella Chiesa di Dio non si è cominciato a fare esorcismi e a soffiare sui bambini che devono essere battezzati ( per mostrare anche con questi riti simbolici che essi non vengono trasferiti nel regno di Cristo, se non dopo essere stati liberati dal potere delle tenebre ( Col 1,13 ) ), quando incominciò a sorgere la pestifera eresia manichea. Né si legge nei libri manichei che il Figlio dell'uomo è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto; ( Lc 19,10 ) oppure che a causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo ( Rm 5,12 ) e tutti gli altri versetti dello stesso testo, sopra ricordati; non vi si legge nemmeno che Dio punisce i peccati dei padri nei figli; ( Es 20,5 ) o quello che è scritto nel Salmo: Nell'iniquità sono stato concepito e nel peccato mia madre mi ha nutrito nel seno; ( Sal 51,7 ) oppure: L'uomo è stato fatto simile alla vanità, i suoi giorni passano come un'ombra; ( Sal 144,4 ) o ancora: Ecco a corta misura hai ridotto i miei giorni e l'essere mio è come nulla dinanzi a te; ogni uomo vivente d'altronde è mera vanità; ( Sal 39,6 ) o le parole dell'Apostolo: Tutte le creature sono sottoposte alla vanità; ( Rm 8,20 ) o quelle dell'Ecclesiaste: Vanità delle vanità, tutto è vanità; quale vantaggio ricava l'uomo da tutto il suo lavoro, con il quale si affatica sotto il sole? ( Qo 1,2-3 ) o quelle dell'Ecclesiastico: Un giogo pesante grava sui figli di Adamo dal giorno in cui nascono dal seno della madre fino al giorno della loro sepoltura nel seno della madre di tutti; ( Sir 40,1 ) o quelle dell'Apostolo: Tutti muoiono in Adamo; ( 1 Cor 15,22 ) o quelle del santo Giobbe, quando parla dei suoi peccati: L'uomo nato da donna vive poco tempo ed è pieno di ira; è reciso come un fiore, fugge come un'ombra e mai resta nello stesso stato; non ti sei preso briga anche di lui e non lo hai fatto comparire davanti a te in giudizio? Chi infatti sarà puro da macchie? Neppure uno, anche se avrà passato un solo giorno di vita sulla terra. ( Gb 14,1-5 ) Che le macchie, di cui si parla, indichino i peccati risulta evidente dalla stessa lettura del testo, dove appare chiaramente il tema del discorso. Nello stesso senso, presso il profeta Zaccaria, nell'episodio in cui viene tolta una veste sordida a un sacerdote, gli viene detto: Ecco che ti ho tolto i peccati. ( Zc 3,4 ) Credo che tutti questi testi ed altri simili, dai quali risulta che ogni uomo nasce sotto il peccato e la maledizione, non si leggano nelle tenebre dei manichei, bensì nella luce dei cattolici. 29.51 - La testimonianza di Cipriano e di Ambrogio Che dire poi dei commentatori della sacra Scrittura, fioriti nella Chiesa cattolica, i quali non hanno tentato di dare un senso diverso a quei testi, perché erano ben saldi nell'antichissima e solidissima fede e non erano scossi da questo errore novello? Se volessi passarli in rassegna e servirmi della loro testimonianza, da un lato sarebbe troppo lungo e dall'altro potrebbe sembrare che io dia meno importanza del dovuto all'autorità dei Libri canonici, dai quali non dobbiamo allontanarci. Nondimeno, per non parlare del beatissimo Ambrogio, alla cui integrità nella fede lo stesso Pelagio, come ho già ricordato, ha reso una così grande testimonianza, il quale Ambrogio tuttavia, perché i bambini avessero la necessaria medicina di Cristo, nient'altro difese in loro se non il peccato originale; ci sarà forse qualcuno disposto a dire che il gloriosissimo martire Cipriano non solo fu, ma anche poté essere manicheo, dal momento che egli soffrì il martirio prima ancora che questo errore apparisse nell'impero romano? Pur tuttavia, nel libro Sul battesimo dei bambini egli difese il peccato originale in tal modo da dire che, in caso di necessità, il bambino dev'essere battezzato anche prima dell'ottavo giorno, proprio perché non perisca la sua anima. Voleva far comprendere che il bambino giunge tanto più facilmente al perdono del battesimo, in quanto gli sono rimessi non i propri, ma i peccati di altri. Li chiami pure manichei costui e rivolga questa infame accusa alla antichissima tradizione della Chiesa, secondo la quale, come ho detto, i bambini sono sottoposti ai riti dell'esorcismo e dell'insufflazione, affinché strappati al potere delle tenebre, cioè del diavolo e dei suoi angeli, siano trasferiti nel regno di Cristo. ( Col 1,13 ) Quanto a noi, siamo più disposti a soffrire ogni genere di insulti e di ingiurie in compagnia di questi uomini e della Chiesa di Cristo, saldamente stabilita sull'antichità di questa fede, piuttosto che a essere lodati con la migliore arte oratoria insieme ai pelagiani. 30.52 - La concupiscenza vergognosa conseguenza della disubbidienza "Forse dirai, scrive ancora, che non esisterebbe alcuna concupiscenza, se l'uomo non avesse prima peccato, mentre il matrimonio esisterebbe anche se nessuno avesse peccato". Non ho detto che non esisterebbe alcuna concupiscenza, perché esiste una concupiscenza spirituale, degna di lode, per la quale si aspira alla sapienza. ( Sap 6,21; Gal 5,17 ) Ho detto invece che non esisterebbe alcuna concupiscenza vergognosa. Si rileggano le mie parole, citate anche da lui, affinché appaia con quanta falsità siano da lui ricordate. Ma la chiami pure con il nome che vuole. Io ho detto che, se l'uomo non avesse peccato, non esisterebbe quella concupiscenza, di cui arrossirono nel paradiso coloro che coprirono le loro vergogne e che nessuno nega esser seguita al precedente peccato di disubbidienza. Chi vuole poi sapere quali sensazioni provarono, deve considerare cosa coprirono. Con le foglie di fico essi non si fecero vestiti, ma cinture, che in greco sono dette pe????µata. Tutti sanno quali parti coprano i perizomata, che parecchi autori latini rendono con la parola campestria. Ora chi non sa quali parti coprano coloro che portano i campestria? Queste infatti coprivano i giovani romani, quando si esercitavano nudi nel Campo Marzio, da dove ricevette il nome un tale genere di indumento. 31.53 - L'unione procreatrice prima del peccato "Quindi, dice, quel matrimonio che avrebbe potuto essere senza concupiscenza, senza movimento dei corpi e senza la necessità dei sessi, come dici tu, viene da te dichiarato degno di lode; queste unioni invece, che si fanno attualmente, le dichiari invenzioni diaboliche. Il matrimonio quindi, continua, che secondo i tuoi sogni poteva essere istituito, lo proclami buono, mentre questo, a proposito del quale la divina Scrittura dice: L'uomo lascerà il padre e la madre e si unirà a sua moglie e saranno due in una sola carne, ( Gen 2,24 ) questo matrimonio lo ritieni un male diabolico e in definitiva si dovrebbe chiamare malattia e non matrimonio". Non è strano che i pelagiani tentino di distorcere le mie parole nel senso che vogliono, dal momento che sono soliti fare lo stesso con la sacra Scrittura e non nei punti oscuri soltanto, ma dove le testimonianze sono chiare ed evidenti, secondo l'abitudine comune a tutti gli eretici. Chi infatti avrebbe potuto dire che poteva esserci un matrimonio senza il movimento dei corpi e senza la necessità dei sessi? I sessi sono stati voluti da Dio perché, come sta scritto, maschio e femmina li creò. ( Gen 1,27 ) Come sarebbe stato poi possibile che non muovessero i loro corpi, se dovevano unirsi e generare proprio con la loro unione? Se manca il movimento del corpo, non avviene alcun contatto corporale tra uomo e uomo. Non si tratta dunque qui del movimento, senza del quale i corpi non si potrebbero unire affatto, ma del vergognoso movimento dei genitali, il quale certamente non ci sarebbe, senza tuttavia che venisse a mancare l'unione seminatrice, qualora i genitali fossero sottomessi non alla libidine ma alla volontà, come tutte le altre membra. Non comandiamo forse anche al presente, nel corpo di questa morte, al piede, al braccio, al dito, alle labbra e alla lingua ed essi si mettono subito a nostra disposizione? Infine, cosa ancora più mirabile, al liquido depositato dentro la vescica comandiamo di uscire quando vogliamo, anche se non siamo pressati dalla sua abbondanza, ed obbedisce. Anzi, persino agli organi nascosti e ai nervi, dai quali questo liquido è trattenuto, si ordina di espellerlo, di cavarlo fuori e di eliminarlo e, se si sta bene in salute, senza difficoltà ubbidiscono alla volontà. Con quanta maggiore facilità e serenità, dunque, nella obbedienza delle parti genitali del corpo si sarebbe offerto lo stesso membro e si sarebbe compiuta la inseminazione dell'uomo, se la disubbidienza di quei primi uomini non fosse stata giustamente punita con la disubbidienza di queste membra? Questa pena è sentita dalle persone caste, le quali certamente, se fosse possibile, preferirebbero generare i figli all'ordine della volontà, piuttosto che essere trascinati dal prurito della voluttà. Gli impuri, invece, che amano non solo le prostitute, ma anche le loro mogli, con l'intento di soddisfare questa passione, esultano di questo tormento della carne con un maggiore tormento dello spirito. 32.54 - Il matrimonio prima e dopo il peccato Lungi da me, dunque, l'affermazione attribuitami da costui, cioè che "il matrimonio, quale ora si fa, è un'invenzione diabolica". Senza dubbio il matrimonio è sempre lo stesso che Dio istituì all'inizio. Di questo suo dono infatti, istituito per la generazione umana, Dio non privò gli uomini neppure dopo la condanna, come non li privò dei sensi della carne e delle membra, indubbiamente suoi doni, benché ormai destinati alla morte per una giusta condanna. È questo, ripeto, il matrimonio del quale fu detto ( ma in queste parole c'è simbolizzato pure il grande mistero di Cristo e della Chiesa ): Per questo l'uomo lascerà il padre e la madre e si unirà a sua moglie e saranno due in una carne sola. ( Ef 5, 3; Gen 2,24; Mt 19,5 ) Questo fu detto prima del peccato, e se nessuno avesse peccato, avrebbe potuto compiersi senza la vergognosa libidine. Anche adesso, benché nel corpo di questa morte non avvenga senza la concupiscenza, non cessa di realizzarsi proprio questo: l'uomo aderisce a sua moglie ed essi sono due in una carne sola. Per questa ragione anche se si dice che l'attuale matrimonio è diverso da quello che poteva essere, qualora nessuno avesse peccato, non lo dico riguardo alla natura, ma riguardo a una certa qualità mutata in peggio. Se uno muta la sua vita in meglio o in peggio, rimane sempre lo stesso, eppure si dice che è diverso. Una cosa infatti è un giusto, una cosa un peccatore, anche se si tratta della stessa persona. Allo stesso modo, una cosa è il matrimonio immune dalla vergognosa libidine, altra cosa è quello accompagnato dalla vergognosa libidine. Quando, tuttavia, si osserva la sua costituzione, per cui la moglie si unisce legittimamente al marito e la fedeltà del debito carnale si preserva immune dal peccato di adulterio e in questo modo legittimo si generano i figli, si ha sempre lo stesso matrimonio che Dio istituì. Del resto, il diavolo con l'antica istigazione a peccare aprì una ferita non propriamente nel matrimonio, ma negli uomini che lo realizzano, inducendoli al peccato di disubbidienza, che fu ricambiata, per un giudizio divino, con la disubbidienza delle membra. Anche in questa condizione gli sposi, benché provassero vergogna della propria nudità, non poterono perdere del tutto la bontà da Dio annessa al matrimonio. 33.55 - La libidine è una malattia A questo punto costui passa da coloro che si uniscono a coloro che sono generati, per i quali affronto in questa controversia tante fatiche e discussioni contro i nuovi eretici e, spinto da una segreta ispirazione divina, dice qualcosa per cui, proprio con la sua confessione, scioglie tutto questo nodo. Volendo infatti suscitare maggiore malevolenza contro di me, perché affermo che anche i figli nati dai matrimoni legittimi nascono sotto il peccato, dice: "Ritieni, dunque, che coloro che non sono mai nati potevano essere buoni, mentre quelli che hanno riempito il mondo e per i quali Cristo è morto li consideri opera del diavolo, frutto di una malattia e colpevoli fin dalla nascita. Ho provato perciò, dice, che tu non fai altro che negare che Dio sia il creatore di questi uomini che esistono". In verità io affermo che, creatore di tutti gli uomini, sebbene tutti nascano sotto il peccato e periscano, se non rinascono, non è altri che Dio. A essere seminato dalla persuasione diabolica, infatti, è stato il vizio, a motivo del quale nascono nel peccato, non la natura creata, per la quale sono costituiti uomini. Quanto alla libidine, che essa ecciti le membra solo quando vogliamo e non sarà più una malattia! Che di essa non debbano arrossire persino i coniugi nei loro rapporti leciti e onesti, evitando gli sguardi e cercando luoghi apportati, e non sarà più una malattia! Che l'Apostolo non vieti di possedere le proprie mogli con questo morbo, ( 1 Ts 4,5 ) e non sarà più una malattia! Ciò che il testo greco infatti dice con ?? p??e? ?p???µ?a? da alcuni è stato tradotto in latino: in morbo desiderii o concupiscentiae, cioè nella malattia del desiderio o della concupiscenza, da altri è stato tradotto: in passione concupiscentiae, nella passione della concupiscenza, senza escludere altre traduzioni a seconda dei diversi codici. Ma la parola passio nella lingua latina e soprattutto nella lingua corrente dei cristiani di solito non ha che un senso peggiorativo. 33.56 - Cristo è morto anche per i bambini Ma quale che sia l'opinione di costui sul tema della vergognosa concupiscenza carnale, ascolta cosa dice a proposito dei bambini, per i quali io mi affatico tanto per dimostrare che essi hanno bisogno del Salvatore, perché non muoiano senza essere salvati. Ripeto le sue parole: "Quelli dunque, dice, che non sono mai nati, ritieni che potevano essere buoni, mentre quelli che hanno riempito il mondo e per i quali Cristo è morto, li consideri opera diabolica, frutto di una malattia e colpevoli fin dalla nascita". O se sciogliesse il nodo di tutta la controversia come scioglie quello di questa questione! Dirà forse di aver detto queste parole solo degli adulti? Si tratta dei bambini, si tratta di quelli che nascono; è per loro, perché li dichiaro colpevoli fin dalla nascita, che egli va eccitando la malevolenza nei miei confronti, perché dichiaro colpevoli coloro, per i quali Cristo è morto. Perché dunque Cristo è morto per essi, se non sono colpevoli? Proprio da questo argomento, per il quale si credeva in dovere di eccitare la malevolenza, proprio da questo argomento risulterà vittoriosa la nostra causa. Lui dice: "Come possono essere colpevoli i bambini, per i quali Cristo è morto?". Rispondo io: Piuttosto, come non sono colpevoli i bambini, per i quali Cristo è morto? La controversia reclama un giudice. Giudichi dunque Cristo e dica lui stesso a che cosa abbia giovato la sua morte. Egli dice: Questo è il mio sangue che sarà versato per molti in remissione dei peccati. ( Mt 26,28 ) Giudichi con lui anche l'Apostolo, giacché anche nell'Apostolo parla Cristo. Egli proclama a gran voce che Dio Padre non risparmiò il proprio Figlio, ma lo consegnò per tutti noi. ( Rm 8,32 ) Penso che nel dire che Cristo fu consegnato per tutti noi, non volesse distinguere in questa questione i bambini da noi. Ma che bisogno c'è d'insistere su un punto, sul quale neppure lui contrasta più ormai? Non solo ha confessato che Cristo è morto anche per i bambini, ma ne trae motivo per riprendere me, perché dichiaro colpevoli quei medesimi bambini, per i quali Cristo è morto. Sia dunque l'Apostolo a dirci la ragione, per la quale Cristo fu consegnato per noi, lui che ha detto che è stato consegnato per tutti noi. Fu consegnato, dice, a causa dei nostri peccati ed è risuscitato per la nostra giustificazione. ( Rm 4,25 ) Se quindi, come costui confessa, professa, afferma e obietta, i bambini sono tra coloro per i quali Cristo fu consegnato e Cristo fu consegnato per i nostri peccati, anche i bambini hanno senza dubbio peccati originali, per i quali Cristo fu consegnato, e in essi c'è qualcosa che dev'essere guarito da Cristo, poiché come egli stesso dice: Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; ( Mt 9,12 ) c'è in essi qualcosa per cui devono essere salvati da colui che è venuto nel mondo, come dice l'apostolo Paolo, a salvare i peccatori; ( 1 Tm 1,15 ) c'è in essi qualcosa che dev'essere rimesso da colui che attesta di aver versato il proprio sangue in remissione dei peccati; ( Mt 26,28 ) c'è in essi qualcosa per cui devono essere cercati da colui che è venuto, a suo dire, a cercare e a salvare ciò che era perduto; ( Lc 19,10 ) c'è in essi qualcosa che deve essere distrutto dal Figlio di Dio, il quale a questo scopo venne, come dice l'apostolo Giovanni, per distruggere le opere del diavolo. ( 1 Gv 3,8 ) È dunque nemico di questa salvezza dei bambini chi difende la loro innocenza al punto di rifiutare la necessaria medicina alle loro piaghe e alle loro ferite. 34.57 - La natura umana decaduta genera uomini peccatori Ascolta ora come continua la sua argomentazione: "Se prima del peccato, dice, fu da Dio creato ciò da cui dovevano nascere gli uomini, dal diavolo invece ciò da cui i genitori vengono eccitati, si dovrà senza dubbio attribuire la santità a chi nasce e la colpa a chi genera. Ma poiché questo suona con ogni evidenza a condanna del matrimonio, togli, ti prego, questa opinione di mezzo alla Chiesa e credi davvero che tutte le cose sono state fatte per mezzo di Gesù Cristo e senza di lui niente è stato fatto". ( Gv 1,3 ) Parla come se io dicessi che il diavolo ha creato nell'uomo qualche sostanza. Il diavolo indusse al male come peccato, non lo creò come natura. Ma ovviamente persuase una natura, perché l'uomo è una natura, e persuadendola la viziò. Chi ferisce non crea le membra, ma le tormenta. Inoltre, le ferite inflitte al corpo fanno zoppicare le membra o rendono difficile il loro movimento, ma non intaccano quella forza che rende l'uomo giusto; la ferita invece, che chiamiamo peccato, ferisce la stessa vita per la quale si viveva rettamente. Ancora, la ferita che inflisse allora il diavolo fu molto più grave e profonda degli attuali peccati conosciuti dagli uomini. Per conseguenza, a causa di quel grande peccato, commesso dal primo uomo, la nostra natura, mutata in peggio, non solo divenne peccatrice, ma genera anche peccatori. Tuttavia, in se stessa questa infermità, per cui è venuta meno la forza di vivere rettamente, non è una natura, ma un vizio; come la cattiva salute non è certo una sostanza o una natura, ma un vizio. E, benché non sempre, avviene tuttavia di solito che le cattive disposizioni dei genitori si ingenerino in qualche modo e riappaiano nei corpi dei figli. 34.58 - Gravità del peccato di Adamo Questo peccato, che nel paradiso mutò in peggio l'uomo stesso, perché è molto più grave di quanto noi possiamo giudicare, viene contratto da tutti quelli che nascono e, non viene rimesso se non in coloro che rinascono, in maniera tale che è attribuito a reato anche ai figli che nascono da genitori già rigenerati e nei quali è stato rimesso e coperto, a meno che questi stessi, che erano stati resi debitori dalla prima nascita secondo la carne, non vengano liberati dalla seconda nascita spirituale. Di questo fatto straordinario il Creatore ci ha offerto un mirabile esempio nell'olivo e nell'oleastro, nel senso che non solo dal seme dell'oleastro, ma anche da quello dell'olivo non spunta se non l'oleastro. Pertanto, benché anche negli uomini generati secondo natura e rigenerati secondo la grazia sia presente questa concupiscenza carnale, che si oppone alla legge dello spirito, ( Rm 7,23 ) tuttavia essa è stata rimessa nella remissione dei peccati, non viene più imputata a peccato né porta loro nocumento alcuno, se non quando consentono ai suoi impulsi, che spingono a cose illecite. La loro prole invece, poiché viene concepita non nella concupiscenza spirituale, ma in quella carnale, come se da quell'olivo nascesse un oleastro della nostra specie, alla nascita contrae da essi un reato, di modo che non potrà essere liberata da quella peste se non rinascendo. Come può dunque costui affermare che io attribuisco la santità ai figli e la colpa ai genitori, quando invece la verità dimostra piuttosto che, anche se nei genitori c'è la santità, nei figli c'è la colpa originale, che non può essere cancellata senza la loro rinascita? 35.59 - La felicità del paradiso esclude ogni male Stando così le cose, costui è libero di pensarla come vuole a proposito della concupiscenza carnale e della libidine, che la fa da padrona sugli impudichi, che deve essere domata dai casti, ma che risulta vergognosa sia per i casti che per gli impudichi. A lui, a quanto vedo, piace molto. Non indugi dunque a farne l'elogio, anche se prova vergogna nel nominarla. La chiami pure, come ha già fatto, vigore delle membra, senza timore di far inorridire le orecchie delle persone caste; la chiami forza delle membra, senza preoccuparsi di evitare l'impudenza! Dica pure, se non arrossisce, che nel paradiso, se nessuno avesse peccato, questo vigore avrebbe potuto fiorire come un fiore e che non ci sarebbe stato bisogno di nascondere nulla che per i suoi movimenti suscitasse vergogna; che anzi esso si sarebbe potuto sempre esercitare, essendo la moglie sempre disposta, e mai reprimere, per non negare mai un così grande diletto a uno stato tanto felice. Non è pensabile infatti che in quello stato di felicità l'uomo non potesse soddisfare i propri desideri, oppure che potesse avere nel suo corpo o nel suo animo sensazioni indesiderate. Perciò, se il moto libidinoso avesse preceduto la volontà dell'uomo, la volontà avrebbe dovuto subito seguire; la moglie, che per questo motivo non avrebbe dovuto essere mai assente, gli si sarebbe subito dovuta congiungere, fosse in grado di concepire o fosse già gravida; e così o si sarebbe concepito un figlio o si sarebbe soddisfatto il naturale e lodevole piacere, magari con la perdita del seme, purché non fosse rimasto frustrato il desiderio di una concupiscenza tanto buona. Unica proibizione: che i coniugi non si volgessero a pratiche contro natura. Per il resto, ogni qualvolta fosse piaciuto, avrebbero potuto usare le membra create a questo scopo e in vista della generazione. Dobbiamo però domandarci: e se avessero sentito attrazione anche per le pratiche contro natura, se quella lodevole libidine li avesse spinti anche a questo piacere? L'avrebbero seguita, perché è piacevole o si sarebbero opposti, perché è turpe? Se avessero acconsentito, non si sarebbero curati dell'onestà. Se avessero resistito, dove sarebbe la pace di una così grande felicità? A questo punto, se per caso provasse vergogna e se dicesse che sarebbe stata così grande la pace di quella felicità e così perfetto l'ordine in questo campo che la concupiscenza carnale non avrebbe mai preceduto la volontà degli uomini, ma che essa sarebbe sorta quando quelli lo avessero voluto e lo avrebbero voluto, quando si fosse resa necessaria per la procreazione dei figli, di modo che nessuna perdita di seme sarebbe avvenuta e non ci sarebbe stata alcuna unione sessuale che non fosse seguita dal concepimento e dal parto, perché la carne e la libidine avrebbero prestato un servizio a richiesta della volontà; se dice tutto questo, consideri almeno che al presente non avviene così tra gli uomini. E se non vuole ammettere che la libidine è un vizio, dica almeno che a causa della disubbidienza di quei primi uomini si è corrotta la stessa concupiscenza carnale, sicché i suoi movimenti, che dovrebbero essere sottomessi e ordinati, sono ora ribelli e disordinati al punto che essa non obbedisce più neppure alla volontà dei coniugi casti, ma si muove quando non è necessaria e, quando è necessaria, non segue i loro comandi, muovendosi per suo conto a volte troppo presto, a volte troppo tardi. Questa è dunque la disubbidienza della concupiscenza, ricevuta da quei primi uomini in cambio della loro disubbidienza e da loro trasmessa a noi per generazione. Non si muoveva infatti a loro piacimento, bensì in maniera disordinata, allorché coprirono le membra prima onorevoli e ormai vergognose. 35.60 - Gesù Cristo, Salvatore anche dei bambini … Ma, come ho detto, costui è libero di pensare quello che vuole di questa concupiscenza, la esalti come vuole, ne faccia tutte le lodi che vuole ( poiché, a quanto par di capire da molti passi, gli piace molto ), per dar modo ai pelagiani di dilettarsi delle sue lodi, se non del suo uso, almeno a quelli tra essi, che, a causa del voto di continenza, non hanno il piacere di unirsi alle loro mogli! Soltanto risparmi i bambini, non facendone un'inutile lode e una crudele difesa. Non li dichiari salvi, ma li lasci venire non a Pelagio che li esalta, ma a Cristo che li salva. Infine, per chiudere ormai questo libro, poiché il suo discorso, riportato nelle cartelle che mi hai inviato, termina dicendo: "Credi veramente che per mezzo di Gesù sono state fatte tutte le cose e senza di lui niente è stato fatto", ( Gv 1,3 ) conceda che Gesù anche per i bambini sia Gesù e confessi, se vuole essere cristiano cattolico, che i bambini sono da lui salvati in quanto è Gesù, come confessa che tutte le cose sono state fatte per mezzo di lui in quanto è Verbo di Dio. Così infatti si legge nel Vangelo: E lo chiameranno Gesù, perché salverà il suo popolo dai suoi peccati. ( Mt 1,21 ) È chiamato quindi Gesù, perché Gesù corrisponde al latino salvator, salvatore: Egli infatti salverà il suo popolo e in questo popolo sono compresi certamente anche i bambini. Lo salverà, poi, dai suoi peccati: quindi anche nei bambini ci sono i peccati originali, a motivo dei quali anche per essi potrà essere Gesù, cioè il Salvatore.