Padri\Agostino\PerfGiust\PerfGiust.txt La perfezione della giustizia dell'uomo Agostino ai santi fratelli e Vescovi Eutropio e Paolo 1.1 - Agostino si propone di rispondere punto per punto alle contestazione di Celestio La Carità vostra, tanto grande e tanto santa da esser perfino dilettevole servirla nei comandi, mi ha chiesto di rispondere alle Definizioni che vanno sotto il nome di Celestio. Così almeno è scritto sulla cartella che mi avete consegnata: Definizioni attribuite a Celestio. Tale soprascritta non credo sia di lui, ma di coloro che hanno portato il manoscritto dalla Sicilia. Celestio, a sentir dire, non si trovava là, ma nell'isola c'erano molti che andavano sciorinando le medesime opinioni, ingannati e ingannatori nello stesso tempo, ( 2 Tm 3,13 ) come si esprime l'Apostolo. Che tuttavia queste opinioni vengano dalla dottrina di Celestio o da quella di certi suoi seguaci lo possiamo congetturare anche noi. Infatti nemmeno queste brevi Definizioni o meglio argomentazioni, si distaccano dal suo stile. L'ho potuto riscontrare in un'altra opera di cui consta che egli è l'autore, e non senza ragione cotesti fratelli che le hanno portate sentirono dire in Sicilia, io penso, che proprio lui ha insegnato o scritto tali errori. Sarebbe certamente mio desiderio, se mi fosse possibile, obbedire così alla vostra fraterna benevolenza da rispondere anch'io con la medesima brevità. Ma se non riferisco anche i passi a cui rispondo, chi potrà giudicare della qualità della mia risposta? Farò comunque di tutto perché, con l'aiuto anche delle vostre preghiere presso la misericordia del Signore, le mie parole non oltrepassino i limiti della necessità. 2.1 - La prima contestazione di Celestio: il peccato si può evitare o no? Scrive costui: Prima di tutto, a chi nega che l'uomo può esser senza peccato si domandi che cosa sia il peccato in genere: se qualcosa di evitabile o qualcosa di inevitabile. Se qualcosa di inevitabile, non è peccato; se qualcosa di evitabile, può un uomo essere senza il peccato che si può evitare. Infatti non c'è nessuna ragione o giustizia che consenta minimamente di chiamare peccato ciò che non si può in nessun modo evitare; Noi rispondiamo che si può evitare il peccato, se la natura viziata è risanata dalla grazia di Dio per Gesù Cristo nostro Signore. ( Rm 7,25 ) In tanto essa non è sana in quanto o non vede per cecità ciò che si deve fare o non l'adempie per debilità, atteso che la carne ha desideri contrari allo spirito e lo spirito ha desideri contrari alla carne ( Gal 5,17 ), sicché l'uomo non fa quello che vorrebbe. 2.2 - La seconda contestazione: peccare è necessario o libero? Scrive costui: Si deve chiedere ancora se il peccato dipenda da volontà o da necessità. Se dipende da necessità, non è peccato; se dipende da volontà, si può evitare. Noi rispondiamo come sopra, e per essere risanati invochiamo colui al quale si dice nel salmo: Liberami dalle mie necessità. ( Sal 25,17 ) 2.3 - La terza contestazione: peccare è naturale o contingente? Scrive costui: Si deve chiedere di nuovo se il peccato sia naturale o accidentale. Se è naturale, non è peccato; se è accidentale, può anche mancare, e ciò che può mancare è evitabile e poiché si può evitare l'uomo può essere senza ciò che è evitabile. Si risponde che il peccato non è naturale; ma alla natura, specialmente a quella viziata e a causa della quale siamo diventati per natura meritevoli d'ira, ( Ef 2,3 ) è insufficiente per non peccare l'arbitrio della volontà, se la natura non è sanata e aiutata dalla grazia di Dio per Gesù Cristo nostro Signore. ( Rm 7,25 ) 2.4 - La quarta contestazione: il peccato è un atto o una sostanza? Scrive costui: Si deve chiedere ancora se il peccato sia un'azione o una sostanza. Se è una sostanza, bisogna che abbia un creatore, e se si dice che ha un creatore sembrerà subito che al di fuori di Dio si ammetta un altro creatore di una qualche sostanza. Ma se è un'empietà dir questo, sarà necessario riconoscere che ogni peccato è un'azione e non una sostanza. Se dunque è un'azione, anzi proprio perché è veramente un'azione, si può evitare. Noi rispondiamo che senza dubbio il peccato si dice ed è un'azione, non una sostanza. Ma anche lo zoppicare è similmente nel corpo un'azione e non una sostanza, perché sostanza è il piede stesso o il corpo o l'uomo che zoppica per un piede viziato. E tuttavia non può l'uomo fare a meno di zoppicare, se non ha il piede risanato. Ciò può avvenire anche nell'interno dell'uomo, ma con la grazia di Dio, per Gesù Cristo nostro Signore. ( Rm 7,25 ) Evidentemente il vizio stesso per cui l'uomo zoppica non è né il piede né il corpo né l'uomo né lo stesso zoppicare, che certamente manca quando l'uomo non cammina, pur essendo insito in lui un vizio che lo fa zoppicare quando cammina. Cerchi dunque che nome dare a tale vizio: se lo vuol chiamare sostanza o azione o piuttosto deterioramento d'una sostanza che rende deforme la sua azione. Così pure nell'interno dell'uomo l'anima è sostanza, la rapina è azione, l'avarizia è vizio, ossia un deterioramento che rende cattivo l'animo, anche quando non compie nessuna azione per contentare la sua avarizia, anche quando sente intimarsi: Non desiderare ( Es 20,17 ) e vitupera se stesso, e tuttavia rimane avaro; ma per mezzo della fede si rinnova, cioè si risana, di giorno in giorno, ( 2 Cor 4,16 ) né tuttavia lo può senza la grazia di Dio per Gesù Cristo nostro Signore. ( Rm 7,25 ) 3.5 - La quinta contestazione: l'uomo ha il dovere di non peccare? Scrive costui: C'è da chiedere ancora se l'uomo abbia il dovere d'esser senza peccato. Certamente ne ha il dovere. Se deve, può; se non può, nemmeno dunque deve. E se l'uomo non dev'esser senza peccato, dev'esser dunque con il peccato, e non sarà più peccato se risulterà necessario. Oppure, se questo è assurdo anche solo a dirsi, bisognerà riconoscere che l'uomo dev'esser senza peccato, e si conclude così che l'uomo non deve altro che quello che può. Si risponde con la medesima similitudine con la quale abbiamo già risposto più sopra. Quando infatti vediamo uno zoppo che può esser guarito, certo diciamo giustamente: Quest'uomo non deve più zoppicare e se deve può. Né tuttavia lo può appena lo vuole, ma lo potrà dopo che sia stato guarito dalle cure prestategli e la medicina abbia aiutato la sua volontà. Lo stesso avviene nell'interno dell'uomo riguardo al peccato, che è come uno zoppicare, per mezzo della grazia di colui che non è venuto a chiamare i giusti, bensì i peccatori, perché non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. ( Mt 9,12-13 ) 3.6 - La sesta contestazione: il precetto di non peccare è possibile per l'uomo? Scrive costui: Si deve chiedere ancora se sia comandato all'uomo d'esser senza peccato. Infatti o non può e non gli è comandato, o proprio perché gli è comandato può. Come si potrebbe infatti comandare ciò che fosse assolutamente impossibile? Si risponde che con precisa intenzionalità si comanda all'uomo di camminare bene, perché, quando s'accorge di non poterlo, cerchi la medicina con cui sanare lo zoppicare del peccato nel suo interno, e la medicina è la grazia di Dio per Gesù Cristo nostro Signore. ( Rm 7,25 ) 3.7 - La settima contestazione: Dio vuole che l'uomo sia senza peccato? Scrive costui: Un'altra domanda che si deve fare è se Dio vuole che l'uomo sia senza peccato. Certamente Dio lo vuole e certamente l'uomo lo può. Chi infatti sarebbe tanto pazzo da dubitare che si possa compiere quanto si sa con certezza voluto da Dio? Si risponde: Se Dio non voleva che l'uomo fosse senza peccato, non mandava il suo Figlio senza peccato a risanare gli uomini dai peccati. Ciò avviene in coloro che credono e che mediante la rinnovazione dell'interno dell'uomo progrediscono di giorno in giorno ( 2 Cor 4,16 ) finché la giustizia diventi perfetta come sanità completa. 3.8 - L'ottava contestazione: può l'uomo essere quello che Dio non vuole che sia? Scrive costui: Di nuovo si deve chiedere in che condizione Dio voglia l'uomo: se con il peccato o senza peccato. Certamente non vuole che l'uomo sia con il peccato. Si rifletta quanto sia grande questa così empia bestemmia d'affermare che l'uomo può essere con il peccato, mentre Dio non lo vuole così, e di negare che l'uomo può esser senza peccato, mentre Dio lo vuole così. Come se Dio avesse creato qualcuno proprio perché potesse essere quello che Dio non vuole e non potesse essere quello che Dio vuole ed esistesse così più contro la volontà di Dio che secondo la sua volontà. Abbiamo già dato sopra la risposta: ma vedo di dover aggiungere che nella speranza noi siamo stati salvati. Ora, ciò che si spera, se visto, non è più speranza; infatti ciò che uno già vede, come potrebbe ancora sperarlo? Ma se speriamo quello che non vediamo, lo attendiamo con perseveranza. ( Rm 8,24-25 ) Allora dunque ci sarà pienezza di giustizia quando ci sarà pienezza di sanità, allora ci sarà pienezza di sanità quando ci sarà pienezza di carità, perché pieno compimento della legge è la carità; ( Rm 13,10 ) ma allora ci sarà pienezza di carità quando vedremo Dio così com'egli è. ( 1 Gv 3,2 ) Non ci sarà infatti più nulla da aggiungere all'amore quando la fede sarà giunta alla visione. 4.9 - La nona contestazione: la libertà umana è più incline a peccare che a non peccare? Scrive costui: Si deve porre un'altra domanda su che cosa faccia essere l'uomo con il peccato: se una necessità di natura o se una libertà dell'arbitrio. Se una necessità di natura, l'uomo è esente da colpa; se una libertà dell'arbitrio, domandiamoci da chi l'uomo abbia ricevuto la stessa libertà dell'arbitrio. Senza dubbio da Dio. Ora, quello che Dio ha dato è sicuramente buono: non si può negare. Ma come dunque risulterebbe buono, se fosse incline più al male che al bene? Ed è più incline al male che al bene il libero arbitrio, se per esso l'uomo può essere con il peccato e non può esser senza peccato. Si risponde: per libertà d'arbitrio accadde che l'uomo fosse con il peccato, ma ormai la viziosità dovuta e seguita al castigo ha cambiato la libertà in una necessità. Perciò la fede grida a Dio: Salvami dalle mie necessità. ( Sal 25,17 ) Noi, posti sotto queste necessità, o non possiamo capire quello che vogliamo, o vogliamo fare quello che abbiamo capito ma non possiamo farlo. Infatti anche la stessa libertà è una promessa che viene ai credenti dal Liberatore. Se il Figlio vi farà liberi, dice Gesù, sarete liberi davvero. ( Gv 8,36 ) La ragione è che, quando la volontà fu vinta dal vizio in cui cadde, la natura perse la libertà. Per questo un altro testo della Scrittura dice: Uno è schiavo di ciò che l'ha vinto. ( 2 Pt 2,19 ) Come dunque il medico non è necessario ai sani, ma ai malati, ( Mt 9,12 ) così il liberatore non è necessario ai liberi, ma agli schiavi, cosicché con il suo Liberatore si congratula la libertà dicendo: Hai salvato l'anima mia dalle sue necessità. ( Sal 31,8 ) È la stessa sanità infatti ad essere la vera libertà, e la libertà non si sarebbe perduta se la volontà fosse rimasta buona. Poiché invece la volontà peccò, nell'uomo che peccò insorse la dura necessità di avere il peccato dentro di sé, finché si guarisca tutta l'infermità e si riceva tanta libertà che in essa sia, com'è necessario, immutabile la volontà di vivere felicemente, unita alla necessità volontaria e felice di vivere anche santamente e di non peccare mai più. 4.10 - La decima contestazione: l'uomo è cattivo? Scrive costui: Dio dunque fece buono l'uomo e oltre a farlo buono gli comandò pure di fare il bene. Quanto sarebbe grande la nostra empietà, se dicessimo che l'uomo è cattivo, mentre non è stato fatto cattivo né gli è stato comandato di fare il male, se gli negassimo la possibilità d'essere buono, mentre è stato fatto buono e gli è stato comandato di fare il bene! Noi rispondiamo: Proprio dunque perché non è stato l'uomo da se stesso, ma è Dio che ha fatto buono l'uomo, non è l'uomo che si rifà buono da se stesso, ma è Dio che lo rifà buono, se collabora con Dio mediante il volere, il credere, il pregare, liberandolo dal male che ha fatto a sé da se stesso. Ciò poi avviene se, con la grazia di Dio per Gesù Cristo nostro Signore, ( Rm 7,25 ) l'uomo si rinnova nella sua anima di giorno in giorno ( 2 Cor 4,16 ) così da meritare di risorgere con il suo corpo nell'ultimo giorno non alla pena, ma alla vita eterna. 5.11 - L'undicesima contestazione: può l'uomo osservare i divieti e i precetti di Dio? Scrive costui: Si deve chiedere ancora in quanti modi si commetta il peccato. In due, credo: o facendo le azioni che sono proibite o non facendo le azioni che sono comandate. Ora, si possono evitare tutte le azioni proibite così come si possono compiere tutte le azioni comandate. Invano infatti si proibirebbe o si comanderebbe ciò che fosse inevitabile o fosse irrealizzabile. E come negheremo allora che l'uomo possa esser senza peccato, quando bisogna necessariamente dire che può ed evitare le azioni proibite e compiere le azioni comandate? Si risponde: i precetti divini nelle Scritture sante sono così numerosi che sarebbe troppo laborioso ricordarli tutti. Ma il Signore, che portò a compimento la parola di Dio sulla terra con pienezza e rapidità, ( Rm 9,28 ) disse che la Legge e i Profeti si riducono a due precetti, così da farci capire che quant'altro è stato comandato da Dio sfocia in questi due precetti e deve riferirsi ad essi: Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima e con tutta la tua mente, ( Dt 6,5; Mt 22,37 ) e: Amerai il prossimo tuo come te stesso. Da questi due comandamenti, disse, dipende tutta la Legge e i Profeti. ( Mt 22,39-40; Lv 19,18 ) Quanto perciò la legge di Dio ci proibisce di fare e quanto ci comanda di fare, ce lo proibisce e ce lo comanda perché noi adempiamo questi due precetti. E forse tutte le proibizioni stanno nel divieto: Non desiderare, ( Es 20,17 ) e tutte le prescrizioni stanno nel comando: Amerai. ( Dt 6,5 ) Perciò anche l'apostolo Paolo ha ristretto brevemente ambedue le norme in un suo testo. È proibitiva la norma: Non conformatevi alla mentalità di questo secolo; è prescrittiva invece la norma: Ma trasformatevi rinnovando la vostra mente. ( Rm 12,2 ) La prima norma concerne il non desiderare, l'altra l'amare, la prima la continenza, l'altra la giustizia, la prima l'allontanarsi dal male, l'altra fare il bene. Infatti non desiderando deponiamo l'uomo vecchio e amando ci rivestiamo dell'uomo nuovo. Ma è vero sia che nessuno può esser continente se Dio non glielo concede, ( Sap 8,21 ) sia che l'amore di Dio non si riversa nei nostri cuori da noi stessi, bensì per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato. ( Rm 5,5 ) Tutto questo poi avviene ogni giorno di più in coloro che progrediscono nel volere, nel credere, nel pregare e, dimentichi del passato, si protendono verso il futuro. ( Fil 3,14 ) Questo è infatti lo scopo per cui la legge stessa comanda: quando l'uomo si trova insufficiente ad osservare tali precetti, non s'impenni per tumida superbia, ma nella sua fatica ricorra alla grazia, e così avverrà che la legge nella sua veste di pedagogo lo condurrà attraverso il timore all'amore del Cristo. ( Gal 3,24 ) 6.12 - La dodicesima contestazione: la volontà umana non ha il potere di volgersi al bene? Scrive costui: Si deve chiedere ancora perché mai l'uomo non possa essere senza peccato: se ciò dipenda dalla volontà o dalla natura. Se dalla natura, il peccato non c'è; se dalla volontà, è facilissimo con la volontà cambiare la volontà. Noi rispondiamo ammonendo che si deve riflettere quanto sia grande cotesta presunzione che fa dire che non solo la volontà può cambiare la volontà - e non si deve certamente negare che lo possa con l'aiuto della grazia di Dio -, ma anche che "la volontà può facilissimamente cambiare la volontà", mentre l'Apostolo dice: La carne ha desideri contrari allo spirito e lo spirito ha desideri contrari alla carne; queste cose si oppongono a vicenda, sicché voi non fate quello che vorreste. ( Gal 5,17 ) Non dice infatti: Queste cose si oppongono a vicenda, sicché voi non volete quello che potete fare, ma dice: Sicché voi non fate quello che vorreste. Dunque la concupiscenza della carne, la quale è certamente colpevole e viziosa, non è altro che quel desiderio di peccato che il medesimo Apostolo comanda di non far regnare nel nostro corpo mortale, ( Rm 6,12 ) dando così ad intendere sufficientemente che è tuttavia presente nel nostro corpo mortale il peccato a cui non si deve permettere di regnare. Perché mai dunque cotesta concupiscenza non è stata cambiata da quella volontà espressa dall'Apostolo con sufficiente evidenza nelle parole: Sicché voi non fate quello che vorreste, se è facile con la volontà cambiare la volontà? Ed in questa maniera non è certamente che noi accusiamo la natura o dell'anima o del corpo, la quale è stata creata da Dio ed è tutta buona, ma diciamo che essa, dopo esser stata viziata dalla propria volontà, non può esser sanata se non dalla grazia di Dio; 6.13 - La tredicesima contestazione: perché l'inevitabile dovrebbe essere una colpa per l'uomo? Scrive costui: Si deve chiedere ancora di chi sia la colpa che l'uomo non possa essere senza peccato: se dell'uomo stesso o di qualsiasi altro. Se dell'uomo stesso, come può aver colpa di non essere quello che non può essere? Noi rispondiamo che in tanto è colpa dell'uomo di non esser senza peccato in quanto è dipeso solo dalla volontà dell'uomo che egli arrivasse a tale necessità da non poter essere superata dalla sola volontà dell'uomo. 6.14 - La quattordicesima contestazione: come può essere buona la natura umana, se non le è possibile evitare il male? Scrive costui: Si deve chiedere ancora, ammesso che la natura dell'uomo sia buona, ciò che nessuno all'infuori di Marcione o di Manicheo oserà negare, come dunque sia buona la natura dell'uomo, se non le è possibile esser immune dal male. Chi potrebbe infatti dubitare che ogni peccato sia un male? Noi rispondiamo che la natura dell'uomo è buona e che essa può esser immune dal male. È per questo appunto che gridiamo: Liberaci dal male. ( Mt 6,13 ) Ciò non si avvera perfettamente finché un corpo corruttibile appesantisce l'anima. ( Sap 9,15 ) Ma la grazia ottiene per mezzo della fede che un giorno si possa dire: Dov'è, o morte, la tua vittoria? Dov'è, o morte, il tuo pungiglione? Il pungiglione della morte è il peccato e la forza del peccato è la legge. ( 1 Cor 15,55-56 ) Perché la legge con le sue proibizioni accresce il desiderio del peccato, se lo Spirito non diffonde la carità, la quale sarà piena e perfetta quando vedremo Dio faccia a faccia. ( 1 Cor 13,12 ) La quindicesima contestazione: con quale giustizia 6.15 - Dio imputerebbe all'uomo quello che l'uomo non può evitare? Scrive costui: Si deve dire anche questo: Dio è certamente giusto e non lo si può davvero negare. Ma Dio imputa all'uomo qualsiasi peccato. E anche questo, credo, si deve riconoscere, perché non è nemmeno peccato ciò che non sarà imputato a peccato. Ora, concessa l'esistenza di qualche peccato che non si possa evitare, com'è possibile dire giusto Dio, se si crede che imputi a chiunque ciò che non si può evitare? Noi rispondiamo che già nei tempi antichi si è gridato contro i superbi: Beato l'uomo a cui il Signore non imputa il peccato. ( Sal 32,2 ) Non lo imputa infatti a coloro che gli dicono sinceramente: Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori. ( Mt 6,12 ) E giustamente non lo imputa, perché è giusta la regola: Con la misura con la quale misurate sarete misurati. ( Mt 7,2 ) Ora, il peccato si ha o quando non c'è la carità che ci dev'essere o quando la carità è inferiore a quella che dev'essere, sia che ciò si possa evitare dalla volontà, sia che non si possa evitare. Se si può, il peccato è della volontà presente; se invece non si può, il peccato è stato della volontà passata, e tuttavia tale peccato si può sempre evitare, non quando si aizza una superba volontà, ma quando si aiuta un'umile volontà. 7.16 - La sedicesima contestazione: se non posso, come sono colpevole? Dopo queste proposizioni colui che le ha scritte s'introduce in prima persona come se discutesse con un altro, si fa interrogare e si fa dire dal finto interrogante: Potresti darmi un uomo senza peccato? Risponde costui: Ti do chi lo potrebbe essere. A sua volta l'interrogante gli chiede: Chi è? Egli risponde: Tu stesso. E prosegue: Se tu dici: Io non posso esser senza peccato, bisogna che tu risponda di chi è la colpa? Se dici: È mia, ti chiedo: E com'è tua, se tu non puoi esser senza peccato? Si fa interrogare di nuovo e si fa dire dall'interrogante: Tu che dici l'uomo capace di esser senza peccato, sei tu stesso senza peccato? Risponde: Che io non sia senza peccato di chi è la colpa? Se mi si dirà: È tua la colpa, si deve rispondere: Com'è mia, se non posso essere senza peccato? Noi rispondiamo che nei riguardi di questo dialogo immaginario non ci dev'essere nessun conflitto con costoro, perché l'interessato di turno non ha osato dire che l'uomo, o qualcun altro e lui stesso, è senza peccato, ma ha risposto semplicemente che può esser senza peccato: ciò che nemmeno noi neghiamo. Ma quando lo possa essere e per mezzo di chi: questa è la questione. Se infatti lo è già attualmente, allora non è più vero che ogni anima fedele posta nel corpo di questa morte deve pregare dicendo: Rimetti a noi i nostri debiti, ( Mt 6,12 ) dopo che nel santo battesimo sono già stati rimessi tutti i peccati passati. Ora, chiunque tenta di convincere che le membra fedeli del Cristo non hanno da pregare in questo modo non fa altro che confessare da sé di non esser cristiano. Quanto poi al secondo punto della questione, se da se stesso l'uomo può esser senza peccato, allora il Cristo è morto invano. ( Gal 2,21 ) Invece il Cristo non è morto invano. L'uomo dunque, nemmeno quando lo vuole, può esser senza peccato se non è aiutato dalla grazia di Dio per Gesù Cristo nostro Signore. ( Rm 7,25 ) Il perfetto compimento dell'assenza del peccato si va già preparando adesso in coloro che progrediscono e sarà pieno sotto ogni aspetto, quando la nemica morte sarà stata ingoiata ( 1 Cor 15,54 ) e quando la carità che adesso si nutre di fede e di speranza sarà perfetta per la visione e il possesso. 8.17 - Il precetto di essere senza peccato equivale per l'uomo al precetto di giungere alla vita eterna, dove solamente sarà senza peccato Prende poi a dimostrare la sua tesi con testimonianze divine. Vediamo più attentamente come proceda. Scrive: Testimonianze con le quali si prova che è stato comandato all'uomo d'esser senza peccato. A questo noi rispondiamo: La questione non è se sia stato comandato, ciò che è molto chiaro, ma se quello stesso che risulta comandato si possa adempiere nel corpo di questa morte, ( Rm 7,24 ) dove la carne ha desideri contrari allo spirito e lo spirito ha desideri contrari alla carne, ( Gal 5,17 ) sicché non facciamo ciò che vorremmo. E dal corpo di questa morte non è che ciascuno si liberi finendo questa vita, ma si libera chi in questa vita ha ricevuto la grazia e ha fatto di tutto con le buone opere per non riceverla invano. Altra cosa è infatti uscire da questo corpo, al che costringe tutti gli uomini l'ultimo giorno di questa vita; altra cosa è invece liberarsi dal corpo di questa morte, ( Rm 7,24 ) il che solo la grazia di Dio per Gesù Cristo nostro Signore ( Rm 7,25 ) concede ai suoi santi e fedeli. Dopo questa vita si rende poi la ricompensa che fa perfetti, ma si rende solamente a coloro dai quali in questa vita si acquista il merito della medesima ricompensa. Infatti non sarà dato di giungere alla sazietà della giustizia a chiunque sarà partito da quaggiù, ma soltanto a chi, quand'era quaggiù, ha corso verso di essa soffrendone fame e sete. Beati, appunto, quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati. ( Mt 5,6 ) 8.18 - L'ideale della nostra giustizia terrena Finché dunque, esuli e lontani dal Signore, cammineremo in stato di fede e non ancora di visione, ( 2 Cor 5,6-7 ) per cui è scritto: Il giusto vivrà per la sua fede, la nostra giustizia durante lo stesso esilio consiste in questo: che alla perfezione e pienezza della giustizia, dove nella visione dello splendore di Dio sarà ormai piena e perfetta la carità, noi presentemente tendiamo con la dirittura e la perfezione dello stesso correre, cioè castigando il nostro corpo e costringendolo a servire, ( 1 Cor 9,27 ) facendo lietamente e cordialmente le opere di misericordia, sia nel prodigare benefici, sia nel perdonare i peccati commessi contro di noi, e attendendo incessantemente alle orazioni, ( Rm 12,12; Col 4,2 ) e compiendo tutto questo nella sana dottrina, ( 1 Tm 1,10; 2 Tm 4,3; Tt 2,1 ) sulla quale si basa l'edificio della fede retta, della speranza ferma, della carità pura. Questa è per adesso la nostra giustizia con la quale corriamo affamati e assetati verso la perfezione e la pienezza della giustizia per esserne poi saziati. Per questo il Signore, dopo che ebbe detto nel Vangelo: Guardatevi dal praticare le vostre opere buone davanti agli uomini per essere da loro ammirati, ( Mt 6,1 ) perché la nostra corsa non avesse per sua misura la gloria umana, nell'esporre le stesse opere buone non sottolineò se non queste tre soltanto: digiuno, elemosine, orazioni, significando con il digiuno tutta in genere la mortificazione del corpo, con le elemosine ogni benevolenza e ogni beneficenza o nel donare o nel perdonare, e insinuando con l'orazione tutte le regole per realizzare il desiderio della santità. Ecco alcune considerazioni da fare. Nella mortificazione del corpo si frena la concupiscenza che in quella perfezione di giustizia, dove non esisterà più assolutamente nessun peccato, non si dovrà frenare, ma dovrà sparire e sparirà del tutto: ebbene anche nell'uso di cose permesse e lecite la concupiscenza mostra spesso la sua smoderatezza. Difetti si commettono perfino nella vera beneficenza con la quale il giusto si prende cura del prossimo. Accade in essa di compiere certe azioni che recano nocumento invece del giovamento che si pensava, e talvolta subentra nella beneficenza la noia che appanna la gioia amata da Dio in chi dona. ( 2 Cor 9,7 ) Ciò avviene per nostra debolezza o quando quello che si prodiga di bontà e di fatica non basta alle necessità degli altri o quando produce in loro poco progresso. La noia poi subentra in ciascuno tanto di più quanto meno egli ha progredito e subentra tanto di meno quanto più egli ha progredito. Per queste e simili considerazioni noi doverosamente diciamo nell'orazione: Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori. ( Mt 6,12 ) Purché facciamo quello che diciamo: cioè giungiamo ad amare anche gli stessi nostri nemici; o se a tanto non arriva chi è ancora piccolo nel Cristo, tuttavia al suo nemico che si pente del peccato che ha commesso contro di lui e ne chiede perdono glielo conceda dall'intimo del cuore, se vuole che il Padre celeste esaudisca la sua orazione. 8.19 - La nostra meta è oltre la vita presente Nell'orazione domenicale, se non vogliamo essere puntigliosi, ci è stato offerto abbastanza chiaramente uno specchio dove vedere la vita dei giusti che vivono di fede e corrono in modo perfetto, sebbene non siano senza peccato. La ragione per cui dicono: Rimetti a noi ( Mt 6,12 ) è che non sono ancora giunti alla meta verso la quale si corre. È per la stessa ragione che l'Apostolo dice: Non che io abbia già conquistato il premio o sia ormai arrivato alla perfezione. Fratelli, io non ritengo ancora di esservi giunto, questo soltanto so che, dimentico del passato e proteso verso il futuro, corro verso la meta per arrivare al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù nel Cristo Gesù. Quanti dunque siamo perfetti dobbiamo aver questi sentimenti. ( Fil 3,12-15 ) Cioè quanti corriamo santamente dobbiamo avere la saggezza di considerarci ancora imperfetti, per diventare perfetti là dove santamente stiamo correndo ancora, e quando arriverà ciò che è perfetto sia distrutto quanto è parziale, ( 1 Cor 13,10 ) cioè non ci sia più la perfezione parziale, ma quella totale, perché alla fede e alla speranza succederà la stessa realtà, non più creduta e sperata, ma veduta e posseduta. La carità poi che è più grande delle altre due ( 1 Cor 13,13 ) non sarà abolita, ma aumentata e completata, avendo allora raggiunta la contemplazione di quanto credeva e il possesso di quanto sperava. In quella pienezza di carità verrà a soddisfarsi il famoso comandamento: Tu amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. ( Dt 6,5; Mt 22,37 ) Fin quando infatti rimane qualche traccia di concupiscenza carnale, pur frenata dalla continenza, non si ama Dio con tutta l'anima in modo assoluto. La carne infatti non può desiderare senza l'anima, mentre si suole dire della carne che desidera, perché l'anima desidera carnalmente. Il giusto sarà libero assolutamente da ogni peccato soltanto quando nelle sue membra non ci sarà più nessuna legge in lotta con la legge del suo spirito, ( Rm 7,23 ) ma amerà Dio davvero con tutto il cuore, con tutta l'anima, con tutta la mente: e questo è il primo e sommo comandamento. ( Mt 22,37-38 ) Perché dunque non dovrebbe esser comandata all'uomo cotesta perfezione, sebbene nessuno l'abbia in questa vita? Non si corre come si deve se s'ignora dove si deve correre. Ma come si saprebbe se a indicarlo non ci fossero dei comandamenti? Cerchiamo dunque di correre così da giungere alla meta. Tutti infatti quelli che corrono come si deve arriveranno. Non accade quello che accade nelle gare sportive: Tutti corrono, ma uno solo conquista il premio. ( 1 Cor 9,24 ) Dobbiamo correre credendo, sperando, desiderando, mortificando il corpo, facendo elemosine gioiosamente e cordialmente nel donare i beni nostri e nel perdonare i mali altrui, pregando che siano aiutate le forze di coloro che corrono. E dobbiamo ascoltare i precetti della perfezione così da non trascurare di correre verso la pienezza della carità. 9.20 - Testimonianze bibliche sul dovere dell'uomo di vivere senza peccato Ciò premesso, ascoltiamo con attenzione le testimonianze che lo scrittore al quale stiamo rispondendo ha messo nel suo libro, come se fossero state tirate fuori da noi. Nel Deuteronomio si legge: Tu sarai irreprensibile verso il Signore tuo Dio. ( Dt 18,13 ) Ugualmente nello stesso libro: Non ci dovrà essere nessun uomo imperfetto tra i figli d'Israele. ( Dt 23,17 ) Parimente il Salvatore nel Vangelo: Siate perfetti com'è perfetto il vostro Padre celeste. ( Mt 5,48 ) Altrettanto l'Apostolo nella seconda lettera ai Corinzi: Per il resto, fratelli, siate lieti, tendete alla perfezione. ( 2 Cor 13,11 ) Ai Colossesi lo stesso: Ammoniamo e istruiamo ogni uomo con ogni sapienza per rendere ciascuno perfetto nel Cristo. ( Col 1,28 ) Allo stesso modo ai Filippesi: Fate tutto senza mormorazioni e senza critiche, perché siate irreprensibili e semplici, figli di Dio immacolati. ( Fil 2, 14.15 ) Parimente agli Efesini: Benedetto sia Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli, nel Cristo. In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo cospetto. ( Ef 1,34 ) Ancora ai Colossesi: E anche voi, che un tempo eravate stranieri e nemici alla sua mente, intenti alle opere cattive che facevate, ora egli ha riconciliati per mezzo della morte del suo corpo di carne, per presentarvi santi, immacolati e irreprensibili [ al suo cospetto ]. ( Col 1,21 ) Agli Efesini ancora: Al fine di farsi comparire davanti la sua Chiesa tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata. ( Ef 5,27 ) Lo stesso nella prima ai Corinzi: Siate sobri e giusti e non peccate. ( 1 Cor 15,34 ) In una lettera di S. Pietro si ha altrettanto: Perciò, dopo aver preparato la vostra mente all'azione, siate vigilanti, fissate ogni speranza in quella grazia che vi sarà data. Come figli obbedienti, non conformatevi ai desideri d'un tempo, quando eravate nell'ignoranza, ma ad immagine del Santo che vi ha chiamati diventate santi anche voi in tutta la vostra condotta, poiché sta scritto: Voi sarete santi, perché io sono santo. ( 1 Pt 1,13-16 ) Nello stesso senso dice anche il beato Davide: Signore, chi abiterà nella tua tenda? Chi dimorerà sul tuo santo monte? Colui che cammina senza colpa e agisce con giustizia. ( Sal 15,1-2 ) E altrove dice: Integro sono stato con lui. ( Sal 18,24 ) E in un altro passo: Beato l'uomo di integra condotta, che cammina nella legge del Signore. ( Sal 119,1 ) Ugualmente presso Salomone: Il Signore ama i cuori puri, si compiace di chi ha una condotta integra. ( Pr 22,11 ) Di queste testimonianze alcune esortano coloro che stanno correndo a correre in modo perfetto, altre ricordano la meta stessa alla quale devono tendere nel loro correre. Che cammina senza colpa si dice non irragionevolmente anche di chi, pur senza essere ancora perfetto, corre in modo irreprensibile verso la perfezione stessa, libero da crimini gravemente condannabili e attento a mondare i suoi stessi peccati veniali con opere di misericordia. Il nostro incedere, cioè il cammino con il quale tendiamo alla perfezione, lo monda una monda orazione. Monda poi è l'orazione nella quale si dice con sincerità: Rimetti a noi come noi rimettiamo. ( Mt 6,12 ) Quando non c'è più nulla da condannare, perché non è più nulla imputato, allora è giudicata irreprensibile, ossia senza colpa, la nostra corsa verso la perfezione. In quella perfezione, quando ci saremo arrivati, non ci sarà più assolutamente nessuna colpa da mondare con il perdono. 10.21 - Dobbiamo chiedere il dono della facilità Adopera poi costui alcune testimonianze per dimostrare che i comandamenti di Dio non sono difficili. Ma chi non sa che, essendo la carità il comandamento generale - perché il fine del precetto è la carità ( 1 Tm 1,5 ) e il pieno compimento della legge è la carità ( Rm 13,10 ) -, non è gravoso ciò che si fa per amore e non per timore? Durano fatica nei comandamenti di Dio certamente coloro che si sforzano d'osservarli per timore, ma la carità perfetta scaccia invece il timore ( 1 Gv 4,18 ) e rende il fardello leggero del comandamento non solo non opprimente per il carico dei pesi, ma anche sollevante a guisa di ali. Per avere poi la carità, anche soltanto quanta se ne può avere nel corpo di questa morte, è troppo poco l'arbitrio della nostra volontà, se non l'aiuta la grazia di Dio per Gesù Cristo nostro Signore. ( Rm 7,25 ) Si riversa appunto la carità nei nostri cuori, e ciò va ripetuto spesso, non da noi stessi, ma per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato. ( Rm 5,5 ) Né per altro fine la Scrittura ricorda che non sono difficili i comandamenti divini se non perché l'anima che li trova gravosi capisca di non aver ancora ricevuto le forze per le quali i comandamenti del Signore diventino esattamente come sono raccomandati, cioè leggeri e soavi, e perché egli preghi con il gemito della volontà così da impetrare il dono della facilità. Chi infatti prega in questi modi: Sia il mio cuore integro, e: Rendi saldi i miei passi secondo la tua parola e su di me non prevalga il male, ( Sal 119,80.133 ) e: Sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra, e: Non c'indurre in tentazione ( Mt 6, 10.13 ) e in altri modi simili che sarebbe troppo lungo enumerare, quello che chiede è precisamente questo: di osservare i comandamenti di Dio. Che essi siano osservati né si prescriverebbe, se per la loro osservanza non avesse nulla da fare la nostra volontà, né si pregherebbe, se ad osservarli bastasse da sola la nostra volontà. Si raccomandano dunque come non pesanti, perché la persona che li sente pesanti si renda conto di non aver ancora accolto il dono per cui non sono pesanti e perché non pensi che li sta osservando perfettamente, quando si comporta così che le siano pesanti. Dio ama infatti chi dona con gioia. ( 2 Cor 9,7 ) Tuttavia chi li sente gravosi non si abbatta per disperazione, ma si butti con forza a cercare, a chiedere, a bussare. ( Lc 11,9 ) 10.22 - La Scrittura attesta che i comandamenti di Dio non sono gravosi Ascoltiamo dunque, anche in altre testimonianze riferite da costui, Dio nell'atto di raccomandare i suoi comandamenti come non gravosi. Scrive l'autore: I comandamenti di Dio non soltanto non sono impossibili, ma nemmeno difficili. Nel Deuteronomio si legge: "Il Signore tuo Dio tornerà a godere nel ricolmarti di beni, come gioiva per i tuoi padri, quando ascolterete la voce del Signore vostro Dio, osservando e facendo tutti i suoi comandi, leggi e norme, scritti in questo libro della legge; quando ti sarai convertito al Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima. Perché questo comando che oggi ti ordino, non è difficile né lontano da te. Non è nel cielo, perché tu dica: Chi salirà per noi in cielo per prendercelo e farcelo udire e lo possiamo eseguire? Non è di là dal mare, perché tu dica: Chi attraverserà per noi il mare per prendercelo e farcelo udire e lo possiamo eseguire? Anzi questa parola è molto vicina a te, è nella tua bocca, nel tuo cuore, nelle tue mani, perché tu la metta in pratica". ( Dt 30,9-14 ) Anche nel Vangelo il Signore dice: "Venite a me voi tutti che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime. Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero". ( Mt 11,28-30 ) Ugualmente in una lettera di S. Giovanni: "In questo consiste l'amore di Dio, nell'osservare i suoi comandamenti, e i suoi comandamenti non sono gravosi". ( 1 Gv 5,3 ) Udite queste testimonianze della Legge, del Vangelo e dell'Apostolo, dobbiamo sentirci crescere nell'edificio della grazia, che non capiscono quanti, ignorando la giustizia di Dio e cercando di far valere la propria, non si sono sottomessi alla giustizia di Dio. ( Rm 10,3 ) Se infatti non comprendono la testimonianza del Deuteronomio nel senso in cui l'ha ricordata l'apostolo Paolo che con il cuore si crede per ottenere la giustizia e con la bocca si fa la professione di fede per avere la salvezza, ( Rm 10,10 ) perché non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati, ( Mt 9,12 ) certamente da cotesta testimonianza dell'apostolo Giovanni che costui ha messa per ultima in appoggio alla propria sentenza e che dice: In questo consiste l'amore di Dio, nell'osservare i suoi comandamenti, e i suoi comandamenti non sono gravosi ( 1 Gv 5,3 ), costoro si devono sentir avvisati che all'amore di Dio non è grave il comando di Dio, all'amore che non si riversa nei nostri cuori se non per mezzo dello Spirito Santo ( Rm 5,5 ) e non per l'arbitrio della volontà umana. Costoro, attribuendo a questo arbitrio più del conveniente, dimostrano d'ignorare la giustizia di Dio. Tuttavia tale amore sarà perfetto solamente quando sarà scomparso ogni timore incusso dal castigo. 11.23 - Una testimonianza di Giobbe invocata da Celestio Dopo queste ha proposto le testimonianze che di solito si citano contro costoro, e non le risolve, ma ricordando altri testi apparentemente contrari ha stretto ancora di più i nodi delle questioni. Scrive: Testimonianze delle Scritture da opporre a coloro che maldestramente stimano di poter distruggere con l'autorità delle Scritture la libertà dell'arbitrio o la possibilità di non peccare. Sono soliti infatti obiettare le parole del santo Giobbe: "Chi è mondo da peccato? Nemmeno un bambino che abbia un solo giorno di vita sopra la terra". ( Gb 14,4 sec. LXX ) Poi fa vista di rispondere a questo testo riferendo le altre parole che lo stesso Giobbe dice di sé: Ludibrio sono diventato io, uomo giusto e integro. ( Gb 12,4 ) Non capisce il nostro scrittore che un uomo può dirsi giusto se si è avvicinato così d'appresso alla perfezione della giustizia da esserle prossimo. E che ciò sia riuscito a molti anche nella vita attuale in cui si vive in stato di fede non lo neghiamo. 11.24 - Un'altra testimonianza di Giobbe Ciò viene confermato anche dalla testimonianza che costui porta, collegandola logicamente con la precedente, dal medesimo Giobbe: Ecco, tutto ho preparato per il giudizio, sono convinto che sarò dichiarato innocente. ( Gb 13,18 ) Il giudizio infatti di cui parla è quello riguardo al quale si dice altrove: Farà brillare come luce la tua giustizia e come il meriggio il tuo diritto. ( Sal 37,6 ) Non dice: "Sono nel giudizio", ma dice: Tutto ho preparato. Che se per il suo giudizio vuole intendere non quello dove farà da giudice egli stesso, ma quello in cui dev'esser giudicato alla fine, in quel giudizio saranno trovati giusti tutti coloro che non dicono bugiardamente: Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori. ( Mt 6,12 ) Quindi per questa remissione saranno trovati giusti, avendo distrutto con le elemosine i peccati che si trovavano ad avere qui sulla terra. Per questo dice il Signore: Date in elemosina ed ecco, tutto per voi sarà mondo. ( Lc 11,41 ) Questo infine sarà detto ai giusti sul punto d'andare nel regno promesso: Io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ( Mt 25,35 ) e le altre dichiarazioni simili. Ma altro è essere senza peccato, e ciò è stato detto per la vita terrena unicamente dell'Unigenito, altro è essere senza riprensione, e questo si è potuto dire di molti giusti anche in relazione a questa vita: perché c'è un certo stile di buona condotta rispetto al quale anche, nel comportamento umano di adesso non si potrebbe muovere giusta riprensione. Chi per esempio si potrebbe lamentare giustamente d'una persona che non vuole male a nessuno, che provvede diligentemente a quanti può, né mantiene desiderio di vendicarsi contro le ingiurie di chicchessia, così da poter dire con sincerità: Come noi li rimettiamo ai nostri debitori? ( Mt 6,12 ) E tuttavia, proprio perché dice con sincerità: Rimetti, come noi rimettiamo, dichiara di non essere senza peccato. 11.25 - La brevissima preghiera di Giobbe Ecco perché Giobbe dice: Non c'è violenza nelle mie mani e pura è stata la mia preghiera. ( Gb 16,17 ) In tanto infatti era pura la sua preghiera in quanto egli non indegnamente chiedeva il perdono che sinceramente concedeva. 11.26 - Giobbe non soffrì senza colpa, ma oltre le sue colpe Giobbe dice del Signore: Molte delle mie tribolazioni me le ha date senza ragione. ( Gb 9,17 ) Non dice: "Non me ne ha data nessuna con ragione", ma dice: Molte senza ragione. Non gli furono infatti inflitte le sue molte sofferenze perché erano molti i suoi peccati, ma per provarne la pazienza. ( Gb 6,2-3 ) Per i peccati che altrove riconosce di avere giudica che avrebbe dovuto soffrire meno. 11.27 - Altre testimonianze di Giobbe Giobbe dice pure: Io ho custodito le sue vie, non mi sono allontanato e non mi allontanerò dai suoi precetti. ( Gb 23,11-12 ) Custodisce le vie di Dio chi non si smarrisce così tanto da abbandonarle, ma progredisce correndo in esse, benché gli càpiti qualche volta per debolezza di sbagliare o di esitare. Progredisce diminuendo i suoi peccati, finché non arrivi dove sarà senza peccato. Non può progredire in altro modo che custodendo le vie di Dio. Erra invece e si allontana dai precetti del Signore l'apostata, non colui che pur avendo il peccato non rinunzia tuttavia ad essere perseverante nel combattere contro di esso, finché non giunga là dove non ci sarà più nessuna battaglia da combattere contro la morte. ( 1 Cor 15,55 ) In questo combattimento dunque ci rivestiamo di quella giustizia della quale si vive adesso in virtù della fede e ce ne facciamo quasi una corazza. ( Is 59,17; Ef 6,14 ) Assumiamo anche il giudizio, che pronunziamo pure contro di noi a nostro vantaggio quando accusiamo e condanniamo i nostri peccati. Per questo è scritto: Il giusto accusa se stesso fin dalle sue prime parole. ( Pr 18,17 ) A tal proposito Giobbe dice: Mi ero rivestito di giustizia come d'un vestimento, come mantello era la mia equità. ( Gb 29,14 ) Anche il mantello è una veste che suole essere più del tempo di guerra che del tempo di pace: una veste di questa vita in cui abbiamo da combattere contro la concupiscenza, non dell'altra vita quando la giustizia sarà piena e senza più l'ombra di nessun nemico, dopo che per ultima nemica sarà stata annientata la morte. 11.28 - Ancora una testimonianza di Giobbe Quel medesimo sant'uomo di Giobbe dice: In tutta la mia vita il mio cuore non mi rimprovera nulla. ( Gb 27,6 ) Allora, nella vita presente in cui viviamo di fede, il nostro cuore non ci rimprovera nulla, solo se la medesima fede, in forza della quale con il cuore si crede per ottenere la giustizia, ( Rm 10,10 ) non trascura di rimproverarci il nostro peccato. L'Apostolo dice in proposito: Io non compio il bene che voglio, ma il male che detesto. ( Rm 7,15 ) Il bene infatti che voglio è di non desiderare, e questo bene vuole il giusto che vive di fede, e tuttavia egli fa il male che detesta, perché desidera, benché non vada dietro alle sue concupiscenza: ( Sir 18,30 ) se vi è andato dietro, allora è proprio lui che l'ha fatto così da cedere, da acconsentire, da obbedire al desiderio del peccato. È allora che il suo cuore lo rimprovera, perché allora rimprovera personalmente lui e non più quel peccato che abita nelle sue membra. Se al contrario egli non lascia che il peccato regni nel suo corpo mortale così da obbedire ai suoi desideri, se non offre le proprie membra come strumenti d'ingiustizia al peccato ( Rm 6,12-13 ), il peccato risiede, sì, nelle sue membra, ma non vi regna, perché le sue brame non sono assecondate. Perciò nel fare quello che detesta, cioè nel desiderare mentre non vuol desiderare, si trova d'accordo con la legge che è buona. ( Rm 7,17 ) Vuole infatti egli stesso quello che vuole anche la legge: egli vuole non desiderare e la legge dice: Non desiderare. ( Es 20,17 ) In questo, poiché vuole ciò che vuole la legge, è d'accordo con la legge. Tuttavia desidera perché non è senza il peccato, ma non è più lui stesso a farlo, cioè a desiderare, bensì il peccato che abita in lui. ( Rm 7,20 ) Il suo cuore quindi non gli rimprovera nulla in tutta la sua vita, cioè nella sua fede, perché è di fede che vive il giusto e dunque la fede è la vita del giusto. Sa infatti che non abita il bene nella sua carne dove abita il peccato, ( Rm 7,18 ) ma senza consentire al peccato vive di fede e con essa invoca Dio che lo aiuti mentre combatte contro il peccato, riguardo al quale ha il desiderio che non abiti affatto nella sua carne, ma non ha la capacità di fare perfettamente tal bene in se stesso. ( Rm 7,18 ) Non è che gli manchi la capacità di fare il bene, ma gli manca la capacità di fare il bene perfettamente. Per esempio, non consentendo al peccato fa il bene, e odiando la propria concupiscenza fa il bene, e non cessando di elargire elemosine fa il bene, e perdonando a chi pecca contro di lui fa il bene, e chiedendo che gli siano rimessi i suoi debiti, e dichiarando con sincerità di rimetterli egli stesso ai suoi debitori, e pregando di non essere indotto in tentazione, ma di essere liberato dal male, fa il bene: tuttavia fare perfettamente il bene non è alla sua portata. Lo sarà quando non esisterà più quella concupiscenza che abita nelle sue membra. Non è lui dunque che il suo cuore rimprovera quando rimprovera il peccato che abita nelle sue membra e quando non ha da rimproverare a lui personalmente nessuna mancanza di fede. Così da una parte il giusto non è rimproverato dal suo cuore nella sua vita, ossia nella sua fede, dall'altra è convinto che non è senza peccato. Lo confessa di sé anche Giobbe dicendo: Nulla ti è sfuggito dei miei peccati. Hai sigillato in un sacco le mie colpe e hai notato perfino le mie trasgressioni involontarie. ( Gb 14,16-17 ) Noi pertanto abbiamo spiegato, come ci è stato possibile, quale interpretazione si deve dare alle parole del santo Giobbe, citate da costui; egli al contrario non ha risolto la difficoltà che nasce dal testo del medesimo Giobbe riferito da lui: Chi è mondo dal peccato? Nemmeno un bambino che abbia un solo giorno di vita sopra la terra. ( Gb 14,4 sec. LXX ) 12.29 - Ogni uomo è inganno! Scrive costui: Sono soliti opporre anche le parole: "Ogni uomo è inganno". ( Sal 116,2 ) Nemmeno a questo testo, proposto da lui contro se stesso, egli risponde, ma ricordando altre testimonianze, come se fossero contrarie ad esso, lascia i testi divini in contrasto tra loro agli occhi di quanti non capiscono la Scrittura santa. Scrive infatti: Ad essi bisogna rispondere quello che è scritto nel libro dei Numeri: "L'uomo è verace". ( Nm 24,3.15 sec. LXX ) E del santo Giobbe si legge così: "C'era nella terra di Uz un uomo chiamato Giobbe: verace, senza colpa, giusto, timorato di Dio, alieno da ogni cosa cattiva". ( Gb 1,1 ) Mi meraviglio che costui abbia usato di questa testimonianza dove si dice: Alieno da ogni cosa cattiva, volendo con tale espressione intendere che era lontano da ogni peccato, mentre sopra ha detto che il peccato è un'azione cattiva e non una cosa. Ricordi dunque che pur essendo un'azione può dirsi una cosa. Si tiene lontano da ogni male colui che o non consente mai assolutamente al peccato, sebbene sia sempre in lui, o, se qualche volta ne è pressato, non ne rimane oppresso, come un lottatore più forte di un altro, benché gli capiti d'esser tenuto dall'avversario, non per questo perde la forza in cui lo supera. Certamente si legge di uomini senza crimine, di uomini senza menda, ma non di uomini senza peccato, eccettuato il Figlio dell'uomo, il solo che è nello stesso tempo l'unico Figlio di Dio. 12.30 - L'uomo non può essere verace senza la grazia di Dio Scrive costui: Nello stesso Giobbe si legge: "Mostrò il miracolo di un uomo verace". ( Gb 17,8 sec. LXX ) Ugualmente presso Salomone è detto della Sapienza: "Essa sta lontana dalla superbia, ma gli uomini sinceri stanno con essa". ( Sir 15,8 ) Nell'Apocalisse lo stesso: "Non fu trovata menzogna sulla loro bocca; sono senza macchia" ( Ap 14,5 ). A questi testi rispondiamo anche noi avvertendo come per la grazia e la verità di Dio deve dirsi verace l'uomo che per se stesso è senza dubbio mendace. In tal senso è scritto: Ogni uomo è inganno. ( Sal 116,2 ) Concorda in questo senso anche la testimonianza che risuona della sapienza e che egli stesso cita: Gli uomini sinceri stanno con essa. ( Sir 15,8 ) Senza dubbio costoro risulteranno mendaci non in quanto stanno con la sapienza, ma in se stessi. Come indica il testo: Un tempo eravate tenebra, ora siete luce nel Signore. ( Ef 5,8 ) Dicendo tenebra non aggiunge "nel Signore", dicendo luce aggiunge nel Signore, perché non potrebbero essere luce in se stessi, e così chi si vanta si vanti nel Signore. ( 1 Cor 1,31 ) Di quelli poi dell'Apocalisse in tanto si dice che non fu trovata menzogna sulla loro bocca ( Ap 14,5 ) in quanto non hanno detto che erano senza peccato. Se lo dicessero, ingannerebbero se stessi e la verità non sarebbe in loro ( 1 Gv 1,8 ) e conseguentemente mancando in essi la verità, si troverebbe la menzogna sulle loro labbra. Che se per non sollevare invidia contro di sé, pur essendo senza peccato, dicessero di non essere senza peccato, questa stessa sarebbe una menzogna e risulterebbe falsa la dichiarazione: Non fu trovata menzogna sulla loro bocca. Per questo dunque sono senza macchia, ( Ap 14,5 ) perché, come essi hanno rimesso al loro debitori, così Dio ha rimesso ad essi e in tal modo li ha mondati. Ecco, noi abbiamo spiegato, come ci è stato possibile, in che senso si devono intendere le testimonianze che costui cita a proprio favore. Egli al contrario non spiega affatto il senso del testo: Ogni uomo è inganno e non lo potrà spiegare se non dopo aver corretto il proprio errore per cui crede che l'uomo può esser verace senza l'aiuto della grazia di Dio in forza della sua volontà soltanto. 13.31 - Il bene non manca tra gli uomini Così pure ha impostato la questione che segue e non l'ha risolta, ma anzi l'ha aggravata e resa più difficile riportando la testimonianza invocata contro di lui: Più nessuno fa il bene, neppure uno, ( Sal 14,1.3 ) e riferendo altre testimonianze apparentemente contrarie a questa, per dimostrare l'esistenza di uomini che fanno il bene. E la dimostra veramente. Ma altro è un uomo che non fa il bene e altro un uomo che non è senza peccato anche quando fa molte buone azioni. Perciò i testi addotti da lui non vanno contro l'affermazione che in questa vita non esiste uomo senza peccato. Egli invece non spiega in che senso sia stato detto: Più nessuno fa il bene, neppure uno ( Sal 14,1.3 ). Scrive costui: Dice il santo Profeta Davide: "Confida nel Signore e fa' il bene". ( Sal 37,3 ) Questo è un precetto, non è un fatto: un precetto non rispettato certamente da coloro di cui si dice: Più nessuno fa il bene, neppure uno 149. ( Sal 14,1.3 ) Scrive costui: Anche il santo Tobia dice: "Non temere, figlio mio; noi conduciamo una vita povera, ma avremo grandi beni se temeremo il Signore, se ci asterremo da ogni peccato e faremo opere buone". ( Tb 4,21 ) Esattissimo: allora l'uomo avrà molti beni quando si sarà sottratto ad ogni peccato. Quel giorno infatti non ci sarà più nessun male per lui, così da non aver più bisogno di dire: Liberaci dal male. ( Mt 6,13 ) Per quanto anche adesso chiunque progredisce, se progredisce con retta intenzione, si sottrae ad ogni peccato e tanto più se ne allontana quanto più si avvicina alla pienezza e alla perfezione della giustizia, perché la stessa concupiscenza, che è il peccato immanente nella nostra carne, ( Rm 6,12 ) pur restando ancora e per sempre nelle membra mortali, non cessa tuttavia di diminuire in coloro che progrediscono. Altro dunque è sottrarsi ad ogni peccato, e ciò è il compito della vita d'ora, altro è l'essersi già sottratti ad ogni peccato, e ciò avverrà nella perfezione di allora. Comunque, tanto chi si è già sottratto quanto chi si sta ancora sottraendo al peccato, fa innegabilmente il bene. La frase dunque: Più nessuno fa il bene, neppure uno, ( Sal 14,1.3 ) che costui riporta e lascia senza spiegazione, come si deve intendere? Solamente così: quel salmo rimprovera un popolo nel quale non c'era nemmeno uno che facesse il bene, perché volevano rimanere figli degli uomini e non essere figli di Dio, per la cui grazia l'uomo diventa buono e capace di fare il bene. Dobbiamo infatti intendere che qui si parla del medesimo bene di cui là si dice: Il Signore dal cielo si china sugli uomini per vedere se esista un saggio: se c'è uno che cerchi Dio. ( Sal 14,2 ) Non c'era dunque nessuno che facesse questo bene di cercare Dio, neppure uno; ma non c'era in mezzo a quella cerchia di uomini che sono predestinati alla rovina. Su costoro infatti si chinò la prescienza di Dio e pronunziò la sentenza. 14.32 - Dio solo è buono? Scrive costui: Obiettano altresì quello che dice il Signore: "Perché mi dici buono? Nessuno è buono se non uno solo, Dio". ( Lc 18,19; Mc 10,18 ) Lascia ugualmente in sospeso anche questa proposizione, ma mette di fronte ad essa altre testimonianze per provare che pure l'uomo è buono. Scrive infatti: Bisogna rispondere quello che afferma altrove lo stesso Signore: "L'uomo buono dal buon tesoro del suo cuore trae cose buone", ( Mt 12,35 ) e: "Dio fa sorgere il suo sole sopra i buoni e sopra i malvagi". ( Mt 5,45 ) E altrove è scritto: "I beni per i buoni furono creati fin da principio". ( Sir 39,25 ) E ancora: "Gli uomini retti abiteranno nel paese". ( Pr 2,21 ) Si deve rispondere a costui, ma in modo da rendere intelligibile anche la dichiarazione: Nessuno è buono se non uno solo, Dio. ( Lc 18,19; Mc 10,18 ) Una spiegazione può essere la seguente. Tutte le cose create, sebbene Dio le abbia fatte molto buone, ( Gen 1,31 ) nondimeno a confronto del Creatore non sono buone, come a confronto di lui non esistono nemmeno. In senso altissimo e in certo qual modo esclusivo dice di se stesso: Io sono colui che sono. ( Es 3,14 ) Si afferma che nessuno è buono se non uno solo, Dio nel senso in cui si dice di Giovanni: Egli non era la luce, ( Gv 1,8 ) benché il Signore dica che egli era una lampada, ( Gv 5,35 ) non meno dei discepoli ai quali dichiarò: Voi siete la luce del mondo; non si può accendere una lucerna per metterla sotto il moggio. ( Mt 5,14-15 ) Ma a confronto con quella luce che è la vera luce che illumina ogni uomo che viene in questo mondo, ( Gv 1,9 ) Giovanni non era la luce. Un'altra spiegazione è la seguente. Anche i figli di Dio confrontati con loro stessi quali sono destinati ad essere nella perfezione eterna, sono attualmente buoni in maniera da essere insieme anche cattivi. Io non oserei affermarlo di essi - chi ardirebbe chiamare cattivi coloro di cui è padre Dio? -, se il Signore stesso non dicesse: Se voi dunque che siete cattivi sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro che è nei cieli darà cose buone a quelli che gliele domandano! ( Mt 7,11 ) Proprio dicendo: Il Padre vostro indica che sono già figli di Dio, eppure non tace che sono ancora cattivi. Costui tuttavia non spiega come per un verso gli uomini siano buoni e come per un altro nessuno sia buono all'infuori dell'unico Dio. Perciò colui che aveva interrogato Gesù sul bene da fare fu esortato a cercare Dio per essere buono con la grazia di colui per il quale essere buono è lo stesso suo essere, perché è buono immutabilmente e non può essere cattivo in nessun modo. 15.33 - Chi si vanterà dinanzi a Dio di avere un cuore puro? Scrive costui: Dicono altresì: "Chi può dire d'avere un cuore puro? ". ( Pr 20,9 ) E a questa difficoltà risponde con molti altri testi, volendo dimostrare la possibilità nell'uomo di un cuore puro. Però non dice come si deve intendere il testo che riporta quale obiezione contro di sé: Chi può dire d'avere un cuore puro? in modo che la Scrittura divina non apparisca contraria a se stessa in questo testo e negli altri con i quali risponde. Noi invece per rispondere a costui diciamo che le parole: Chi può dire d'avere un cuore puro? sono giustificate da quelle che precedono: Quando il giusto re si sarà assiso sul trono. ( Pr 20,8 ) Per quanto infatti sia grande la giustizia di cui è ricco un uomo, egli deve temere che senza accorgersene si trovi in lui qualcosa di colpevole, quando si sarà assiso sul suo trono il giusto Re al cui sguardo non possono sfuggire le colpe, nemmeno quelle delle quali si legge: Le inavvertenze chi le discerne? ( Sal 19,13 ) Quando dunque il giusto re si sarà assiso sul trono, chi può dire di avere un cuore puro? O chi potrà dire d'essere mondo dal peccato? ( Pr 20,8-9 ) Nessuno, all'infuori forse di costoro che vogliono gloriarsi della propria giustizia e non della misericordia dello stesso giudice. 15.34 - Con la grazia di Dio diventa puro il cuore umano Sono tuttavia esatte anche le testimonianze che costui oppone in risposta. Quello che il Salvatore dice nel Vangelo: "Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio". ( Mt 5,8 ) Quello che afferma Davide: "Chi salirà il monte del Signore: Chi starà nel suo luogo santo? Chi ha mani innocenti e cuore puro". ( Sal 24,3-4 ) Quello che si legge altrove: "La tua bontà, Signore, sia con i buoni e con i retti di cuore". ( Sal 125,4 ) Quello ancora che si trova presso Salomone: "Buona è la sostanza della ricchezza per chi non ha peccato sulla coscienza", ( Sir 13,24 ) e anche: "Fuggi l'ingiustizia, opera con mani caste e monda il tuo cuore da ogni peccato". ( Sir 38,10 ) Quello che si trova in una lettera di Giovanni: "Se il nostro cuore non ci rimprovera nulla, noi abbiamo fiducia in Dio e qualunque cosa chiediamo la riceviamo da lui". ( 1 Gv 3,21-22 ) Tutto ciò si compie appunto con la volontà: credendo, sperando, amando, castigando il nostro corpo, donando elemosine, perdonando le offese, pregando perseverantemente, chiedendo la forza di progredire, affermando sinceramente: Rimetti a noi, come noi rimettiamo, e: Non c'indurre in tentazione, ma liberaci dal male. ( Mt 6,12-13 ) È questo precisamente che si compie: che il cuore si purifichi, che sparisca ogni peccato, che quanto il giusto Re assiso sul suo trono ( Pr 20,8 ) trovi d'occulto e di meno bello venga rimesso dalla sua misericordia, che il cuore sia reso tutto sano e puro per vedere Dio. Il giudizio sarà senza misericordia, ma contro chi non avrà usato misericordia; la misericordia invece ha sempre la meglio nel giudizio. ( Gc 2,13 ) Se non fosse cosi, quale speranza ci sarebbe? Perché, quando il giusto re si sarà assiso sul trono, chi può dire d'avere un cuore puro? O chi può dire d'esser mondo dal peccato? ( Pr 20,8-9 ) Allora dunque i giusti, pienamente e perfettamente mondati dalla sua misericordia, splenderanno come il sole nel regno del Padre loro. ( Mt 13,43 ) 15.35 - La Chiesa gloriosa Allora la Chiesa sarà in modo pieno e assoluto senza macchia, senza ruga, senza alcun altro difetto, ( Ef 5,27 ) perché allora sarà anche veramente gloriosa; Dicendo infatti non soltanto: Per farsi comparire davanti la sua Chiesa senza macchia né ruga, ma in aggiunta pure gloriosa, ( Ef 5,27 ) ha fatto ben capire quando la Chiesa sarà senza macchia né ruga o alcunché di simile: lo sarà al momento di essere gloriosa. Presentemente in mezzo a così grandi mali, a così grandi scandali, a tanta mescolanza di pessima gente, a tante insolenze da parte degli empi, non si può dire che la Chiesa sia gloriosa per il semplice fatto che i re le prestano i loro servizi: c'è anzi in questo una tentazione ancora più pericolosa e grave. Ma sarà invece gloriosa all'avverarsi di quello che dice il medesimo Apostolo: Quando si manifesterà il Cristo, la vostra vita, allora anche voi sarete manifestati con lui nella gloria. ( Col 3,4 ) Se infatti il Signore stesso, secondo la natura di servo ( Fil 2,6 ) mediante la quale si è unito alla Chiesa per fare da mediatore, non fu glorificato se non con la gloria della risurrezione - tanto che si legge: Non era stato dato ancora lo Spirito, perché Gesù non era stato ancora glorificato ( Gv 7,39 ) -, come potrebbe la sua Chiesa dirsi gloriosa prima della propria risurrezione? Il Signore dunque la purifica presentemente per mezzo del lavacro dell'acqua accompagnato dalla parola, ( Ef 5,26 ) lavando i suoi peccati trascorsi e fugando da essa la prepotenza degli angeli cattivi; poi, portando alla perfezione tutte le sue guarigioni, la fa sfociare in quella Chiesa gloriosa senza macchia né ruga. Infatti quelli che ha predestinati li ha anche chiamati, quelli che ha chiamati li ha anche giustificati, quelli che ha giustificati li ha anche glorificati. ( Rm 8,30 ) In relazione a tale mistero io credo che abbia detto: Ecco, io scaccio i demoni e compio guarigioni oggi e domani, e il terzo giorno ho finito, ( Lc 13,32 ) cioè raggiungo la perfezione. Lo dice infatti in nome del suo corpo che è la Chiesa, usando i giorni al posto di epoche distinte e ordinate, che già nella sua risurrezione ha rappresentate in un triduo. 15.36 - Cuore retto e cuore mondo Penso poi che ci sia differenza tra retto di cuore e mondo di cuore. Infatti anche il retto di cuore si protende verso il futuro, dimentico del passato, ( Fil 3,14 ) per poter giungere con un cammino diritto, cioè con la dirittura della fede e della perseveranza, là dove egli possa abitare mondo di cuore. Ugualmente si deve dare a ciascuno il suo nel testo che dice: Chi salirà il monte del Signore? Chi starà nel suo luogo santo? Chi ha mani innocenti e cuore puro. ( Sal 24,3-4 ) Chi ha mani innocenti salirà, chi ha cuore puro starà: l'innocenza delle mani è durante il lavoro, la purezza del cuore è nella ricompensa. Ed è piuttosto in riferimento a quella ricompensa che bisogna intendere la frase: Buona è la sostanza della ricchezza per chi non ha peccato sulla coscienza. ( Sir 13,24 ) Allora infatti la sostanza sarà veramente buona, cioè sarà vera ricchezza, quando sarà sparita tutta la povertà, cioè quando sarà distrutta ogni infermità. Per adesso invece l'uomo fugga l'ingiustizia: la fugge progredendo e rinnovandosi di giorno in giorno; ( 2 Cor 4,16 ) operi con mani caste: volgendole alle opere di misericordia; mondi il suo cuore da ogni peccato: ( Sir 38,10 ) sia misericordioso, perché gli si rimetta con un facile perdono quanto ancora gli resta. Questo è il senso giusto che salutarmente, senza vana e inutile iattanza, si coglie in ciò che dice S. Giovanni: Se il nostro cuore non ci rimprovera nulla, noi abbiamo fiducia in Dio e qualunque cosa chiediamo la riceviamo da lui. ( 1 Gv 3,21-22 ) Sembra che in questo passo abbia voluto ammonirci che il nostro cuore non ci rimproveri qualcosa proprio nella stessa orazione e petizione, cioè che eventualmente sul punto di dire: Rimetti a noi, come noi rimettiamo ( Mt 6,12 ) ci sentiamo colpevoli di non fare quello che diciamo o ci manchi il coraggio di chiedere quello che non facciamo e perdiamo la fiducia di chiedere. 16.37 - Non c'è nessuno sulla terra che faccia il bene? Oppone a se stesso anche la testimonianza delle Scritture che ordinariamente viene citata contro costoro: Non c'è sulla terra un uomo così giusto che faccia solo il bene e non pecchi. ( Qo 7,27 ) E fa le viste di rispondere con altre testimonianze: Il Signore dice del santo Giobbe: "Hai posto attenzione al mio servo Giobbe? Nessuno è come lui sulla terra: uomo integro, teme Dio ed è alieno dal male". ( Gb 1,8 ) Ne abbiamo già discusso precedentemente. E tuttavia costui non ci spiega come per un verso Giobbe sia stato sulla terra senza nessun peccato, ammesso che quelle parole vadano intese così, e come per un altro verso sia vero quanto costui ha detto che sta scritto: Non c'è sulla terra un uomo così giusto che faccia solo il bene e non pecchi. ( Qo 7,21 ) 17.38 - Nessun vivente è giusto al cospetto di Dio? Scrive costui: Dicono pure: "Nessun vivente davanti a te è giusto". ( Sal 143,2 ) Anche a questa testimonianza fa vista di rispondere, con nessun altro risultato che di far apparire le Scritture sante in litigio tra loro, mentre noi ne dobbiamo mostrare la concordia; Dice infatti costui: Ad essi si deve rispondere quello che l'Evangelista attesta del santo sacerdote Zaccaria e di Elisabetta: "Zaccaria e la sua moglie Elisabetta erano ambedue giusti davanti al Signore, osservavano irreprensibili tutte le leggi e le prescrizioni del Signore". ( Lc 1,6 ) Questi due giusti avevano letto sicuramente tra gli stessi comandamenti quali mezzi usare per mondare i propri peccati. Zaccaria infatti, come nella Lettera agli Ebrei si legge d'ogni sacerdote preso tra gli uomini, immolava certamente delle vittime anche per i propri peccati. ( Eb 5,1-3 ) In che modo poi si debba intendere quella parola irreprensibili penso che l'abbiamo già spiegato a sufficienza più sopra. Scrive costui: Anche il beato Apostolo dice: "Dobbiamo essere santi e immacolati al suo cospetto". ( Ef 1,4 ) Il problema è di riuscire ad esserlo, se immacolati si devono intendere coloro che sono assolutamente esenti dal peccato. Se invece immacolati sono coloro che non hanno nessun delitto, non possiamo negare che ne siano esistiti pure in questa vita e che ne esisteranno, perché, se uno non ha la macchia di nessun delitto, non per questo è senza nessun peccato. Perciò l'Apostolo nello scegliere i ministri da ordinare non dice: Se qualcuno è senza peccato, perché non avrebbe potuto trovarlo; ma dice: Se qualcuno è senza delitto, ( Tt 1,6 ) e certamente poteva trovarlo. Costui tuttavia non spiega in che modo secondo la sua tesi dobbiamo intendere l'affermazione scritturistica: Nessun vivente davanti a te è giusto. ( Sal 143,2 ) È una frase chiara, perché resa ancora più esplicita dal versetto precedente. Dice la Scrittura: Non chiamare in giudizio il tuo servo, perché nessun vivente davanti a te è giusto. ( Sal 143,2 ) Teme il giudizio, perché desidera la misericordia che ha sempre la meglio nel giudizio. ( Gc 2,13 ) Le parole: Non chiamare in giudizio il tuo servo significano questo: non mi voler giudicare a confronto con te che sei senza peccato. Perché nessun vivente davanti a te è giusto, e s'intende senza difficoltà di chi vive nella vita presente. Le parole: Nessuno è giusto le riferisce alla giustizia perfetta di allora che non esiste nella vita di ora. 18.39 - Testi scritturistici da concordare tra loro sulla santità dell'uomo Scrive costui: Obiettano ancora il testo: "Se diciamo che siamo senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi". ( 1 Gv 1,8 ) Anche a questo testo evidentissimo tenta di rispondere con testi apparentemente contrari. Scrive: Il medesimo Giovanni dice nella medesima lettera: "Fratelli, vi scrivo queste cose perché non pecchiate. Chiunque è nato da Dio, non commette peccato, perché un germe divino dimora in lui e non può peccare". ( 1 Gv 2,1; 1 Gv 3,9 ) Ancora nella stessa lettera: "Chiunque è nato da Dio, non pecca, perché la generazione divina lo preserva e il maligno non lo tocca". ( 1 Gv 5,18 ) Sempre nella stessa lettera, parlando del Salvatore: "Egli è apparso per togliere i peccati. Chiunque rimane in lui, non pecca; chiunque pecca, non l'ha visto né l'ha conosciuto. ( 1 Gv 3,5-6 ) Un altro passo della medesima lettera: "Carissimi, noi fin d'ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che, quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è. Chiunque ha questa speranza in lui, purifica se stesso, come egli è puro". ( 1 Gv 3,2-3 ) Per quanto siano vere queste testimonianze, tuttavia è vero altresì quello che costui ha posto come obiezione, senza risolverla: Se diciamo che siamo senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi. ( 1 Gv 1,8 ) Eccone la spiegazione. In forza di ciò che abbiamo perché nati da Dio noi rimaniamo in colui che è apparso per togliere i peccati, ossia nel Cristo, e non pecchiamo: ciò poi significa che l'uomo interiore si rinnova di giorno in giorno. ( 2 Cor 4,16 ) Viceversa in dipendenza della nostra nascita da quell'uomo che ha fatto entrare il peccato nel mondo e con il peccato la morte, cosicché raggiunse tutti gli uomini, ( Rm 5,12 ) noi non siamo senza peccato, perché non siamo ancora senza l'infermità che il peccato ha causata, finché da quel rinnovamento che si attua di giorno in giorno ( 2 Cor 4,16 ) e secondo il quale siamo nati da Dio non è risanata tutta l'infermità nella quale siamo nati dal primo uomo e nella quale non siamo senza peccato. Rimanendo le tracce del peccato nell'intimo dell'uomo, per quanto in coloro che progrediscono si attenuino ogni giorno di più, se diciamo che siamo senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi. ( 1 Gv 1,8 ) Ma in che modo è vera l'affermazione: Chiunque pecca, non l'ha visto né l'ha conosciuto, ( 1 Gv 3,6 ) dal momento che secondo la visione e la cognizione che si avrà faccia a faccia nessuno lo vede e lo conosce in questa vita e dal momento che viceversa secondo la visione e la cognizione che si ha nello stato di fede molti sono coloro che peccano, per lo meno gli apostati, e che tuttavia un tempo hanno creduto in lui, cosicché di nessuno di essi si può dire secondo la visione e la cognizione che si ha nello stato di fede: Non l'ha visto né l'ha conosciuto? Quanto a me, penso che si debba risolvere così: lo vede e lo conosce il rinnovamento che ha da perfezionarsi, non lo vede né lo conosce invece l'infermità che ha da eliminarsi. E finché rimarranno interiormente in noi le tracce di tale infermità, quelle che siano, se diciamo che siamo senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi. ( 1 Gv 1,8 ) Benché dunque per la grazia del rinnovamento siamo figli di Dio, tuttavia per le tracce dell'infermità non è stato ancora rivelato ciò che saremo. Sappiamo però che, quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è. ( 1 Gv 3,2 ) Allora non esisterà più nessun peccato, perché non rimarrà più nessuna infermità, né interiore né esteriore. E chiunque ha questa speranza in lui, purifica se stesso, com'egli è puro. ( 1 Gv 3,3 ) Non si purifica da se stesso, ma credendo in colui e invocando colui che purifica i suoi santi. La perfezione di tale purificazione, che va presentemente progredendo e crescendo ogni giorno di più, è destinata a togliere tutte le tracce della nostra infermità. 19.40 - La misericordia divina non disimpegna la volontà umana Scrive costui: Obiettano pure il testo: "Non dipende dalla volontà né dagli sforzi dell'uomo, ma da Dio che usa misericordia". ( Rm 9,16 ) Ad essi bisogna rispondere quello che il medesimo Apostolo dice altrove d'una certa persona: "Faccia ciò che vuole". ( 1 Cor 7,36 ) E di Onesimo scrive a Filemone: "Avrei voluto trattenerlo presso di me, perché mi servisse in vece tua. Ma non ho voluto fare nulla senza il tuo parere, perché il bene che farai non sapesse di costrizione, ma fosse volontario". ( Fm 13-14 ) Nel Deuteronomio si legge: "Ha posto davanti a te la vita e la morte, il bene e il male: scegli la vita, perché tu viva". ( Dt 30, 15.19 ) In Salomone è scritto: "Dio da principio creò l'uomo e lo lasciò in balia del suo proprio volere. Gli diede comandamenti e precetti. Essi ti salveranno, se vorrai osservare i precetti e se vorrai per il futuro fare ciò che piace al Signore. Ti ha posto davanti l'acqua e il fuoco: stendi la mano a quello che preferisci. All'uomo da parte del Signore Dio sono presentati il bene e il male, la vita e la morte, la povertà e la ricchezza". ( Sir 15,14-17 ) E presso Isaia sta scritto: "Se sarete docili e ascolterete, mangerete i frutti della terra. Ma se vi ostinate e vi ribellate, sarete divorati dalla spada, perché la bocca del Signore ha parlato". ( Is 1,19-20 ) Ma qui costoro, per quanto cerchino di coprirsi, scoprono il proprio pensiero. Mettono infatti in luce che si oppongono alla grazia o misericordia di Dio, mentre noi la vogliamo impetrare quando diciamo: Sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra, ( Mt 6,10 ) oppure: Non c'indurre in tentazione, ma liberaci dal male. ( Mt 6,13 ) Perché infatti chiederemmo noi questi benefici pregando con tanto grande gemito, se dipendesse dalla volontà e dagli sforzi dell'uomo e non invece dalla misericordia di Dio? ( Rm 9,16 ) Non perché tutto ciò si fa senza la nostra volontà, ma perché la volontà non compie appieno quello che fa se non è aiutata da Dio. Questa è la sanità della fede che ci fa pregare: cercare perché troviamo, chiedere perché riceviamo, bussare perché ci sia aperto. ( Lc 11,9 ) Chi si oppone ad essa, si chiude in faccia da sé la porta della misericordia di Dio. Non voglio dire di più sopra un argomento tanto importante, perché faccio meglio ad affidarlo ai gemiti dei fedeli che al mio discutere; 19.41 - La volontà umana è sempre sotto l'azione della grazia divina Giudicate tuttavia, per favore, che senso abbia credere che alla volontà e agli sforzi dell'uomo non sia necessaria la misericordia di Dio, la quale ha pure prevenuto l'uomo perché si sforzasse, semplicemente a causa della frase che l'Apostolo dice di un tale: Faccia ciò che vuole in quel passo dove, mi pare, seguita a dire: Non pecca, se la fa sposare. ( 1 Cor 7,36 ) Come se la volontà di far sposare una figlia debba contare molto nella discussione tanto faticosa concernente l'aiuto della misericordia divina. O quasi che anche in quel caso giovi qualcosa il nostro volere, se Dio mediante la sua provvidenza con la quale governa tutte le cose non congiunge l'uomo e la donna. O come se, avendo scritto l'Apostolo a Filemone: Perché il bene che farai non sapesse di costrizione, ma fosse volontario, ( Fm 14 ) il bene possa esser volontario altrimenti che quando Dio suscita in noi il volere e l'operare secondo i suoi benevoli disegni. ( Fil 2,13 ) O come se, essendo stato scritto nel Deuteronomio: Ha posto davanti all'uomo la vita e la morte, il bene e il male, ( Dt 30,15 ) con l'avvertimento di scegliere la vita, non venga anche questo stesso avvertimento dalla misericordia divina, oppure giovi a qualcosa scegliere la vita, se Dio non c'infonde la carità di scegliere la vita e se dopo averla scelta non ce ne concede il possesso Dio stesso del quale è stato detto: C'è ira nella sua collera, ma c'è vita nella sua volontà. ( Sal 30,6 ) O quasi che, essendo scritto: Se vorrai osservare i precetti, essi ti salveranno, ( Sir 15,15 ) non debba rendere grazie a Dio chi li vuole osservare, dal momento che non lo potrebbe volere, se tutta la luce della verità l'abbandonasse a se stesso. L'uomo, posti davanti a lui il fuoco e l'acqua, stende, sì, la mano dove vuole, ma più alto è colui che chiama da un'altezza superiore ad ogni immaginazione umana, dato che l'inizio per la conversione del cuore è la fede, com'è scritto: Verrai partendo dalla fede, ( Ct 4, 8 sec. LXX ) e ciascuno sceglie il bene così come glielo consente la misura di fede che Dio gli ha data, ( Rm 12,3 ) e nessuno può, dice il Principe della fede, venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato. ( Gv 6,44 ) Che lo dica della fede con la quale si crede in lui lo spiega abbastanza evidentemente un po' dopo dove afferma: "Le parole che vi ho dette sono spirito e vita. Ma vi sono alcuni tra voi che non credono". Gesù infatti sapeva fin da principio chi erano quelli che credevano e chi era colui che l'avrebbe tradito. E diceva: "Per questo vi ho detto che nessuno può venire a me, se non gli è concesso dal Padre mio". ( Gv 6,63-65 ) 19.42 - Il profeta Isaia non aiuta Celestio Ha creduto però costui d'aver trovato un forte appoggio alla sua causa da parte del profeta Isaia, perché Dio ha detto: Se sarete docili e ascolterete, mangerete i frutti della terra. Ma se vi ostinate e vi ribellate, sarete divorati dalla spada, perché la bocca del Signore ha parlato. ( Is 1,19-20 ) Quasi che tutta la legge non sia piena di condizioni simili o quasi che cotesti precetti non siano stati dati a quella gente superba se non perché la legge fu aggiunta per le trasgressioni, fino alla venuta della discendenza per la quale era stata fatta la promessa. ( Gal 3,19 ) Perciò la legge sopraggiunse perché abbondasse il peccato, e dove abbondò il peccato sovrabbondò la grazia. ( Rm 5,20 ) Cioè si voleva: che l'uomo, superbamente fiducioso nelle proprie forze, ricevesse i precetti; che, tradito dalle sue forze e divenuto anche prevaricatore, cercasse il Liberatore e il Salvatore; ( Gal 3,24 ) che, divenuto umile, fosse condotto alla fede e alla grazia dal timore della legge come suo pedagogo. Così, dopo che le loro infermità si furono moltiplicate, essi si affrettarono ( Sal 16,4 ) e a guarirli arrivò provvidenzialmente il Cristo. Nella sua grazia credettero anche i giusti dell'antichità, aiutati dalla medesima sua grazia perché gioiosamente lo preconoscessero e alcuni ne preannunziassero pure la venuta, o in mezzo al popolo d'Israele come Mosè, Gesù di Nave, Samuele, Davide e tutti gli altri pari a loro, o al di fuori dello stesso popolo d'Israele come Giobbe, o prima che apparisse lo stesso popolo, come Abramo, Noè e altri dei quali la Scrittura divina parla o tace. Uno è infatti Dio e uno è il Mediatore tra Dio e gli uomini, l'uomo Cristo Gesù, ( 1 Tm 2,5 ) senza la cui grazia nessuno è liberato dalla condanna, sia da quella che ha contratta dal primo uomo in cui tutti hanno peccato, sia da quella che ha meritata per giunta con le colpe sue proprie; 20.43 - Aiutati, che Dio ti aiuta Che cos'è poi quello che costui ha messo alla fine del suo libro? Scrive: Se uno chiedesse: È possibile che un uomo non pecchi nemmeno con una parola?, si deve rispondere: Se Dio lo vuole è possibile. Ma Dio lo vuole, dunque è possibile. Allo stesso modo dice: Se uno chiedesse: È possibile che un uomo non pecchi nel pensiero?, bisogna rispondere: Se Dio lo vuole è possibile. Ma Dio lo vuole, dunque è possibile. Osservate come non abbia voluto dire: È possibile se l'aiuta Dio, al quale si rivolge la preghiera: Sii tu il mio aiuto, non mi abbandonare, ( Sal 27,9 ) non certamente per ottenere beni materiali o per sfuggire a mali materiali, ma per praticare la giustizia e portarla alla sua perfezione, cioè il medesimo scopo per cui diciamo: Non c'indurre in tentazione, ma liberaci dal male. ( Mt 6,13 ) Né viene aiutato se non chi fa anche per proprio conto qualcosa: ma è aiutato se invoca, se crede, se è stato chiamato secondo il beneplacito di Dio, poiché quelli che egli da sempre ha conosciuti li ha anche predestinati ad essere conformi all'immagine del Figlio suo, perché egli sia il primogenito tra molti fratelli; quelli poi che ha predestinati li ha anche chiamati, quelli che ha chiamati li ha anche giustificati, quelli che ha giustificati li ha anche glorificati. ( Rm 8,29-30 ) Noi dunque corriamo se progrediamo, correndo con il nostro progredire la nostra sanità - come anche una cicatrice si dice che corre, quando una ferita si cura bene e diligentemente -, perché, raggiunta la perfezione sotto tutti gli aspetti, siamo senza più assolutamente nessuna infermità di peccato: ciò che Dio non solo vuole, ma anche fa che si compia aiutandoci. E questo fa con noi la grazia di Dio per Gesù Cristo nostro Signore, ( Rm 7,25 ) non soltanto con i precetti, i sacramenti, gli esempi, ma anche con lo Spirito Santo, per mezzo del quale si riversa segretamente nei nostri cuori la carità, ( Rm 5,5 ) che con gemiti inesprimibili continua a supplicare ( Rm 8,26 ) finché la sanità in noi raggiunga la sua perfezione e Dio nella verità eterna si mostri per farsi vedere così com'è. ( 1 Gv 3,2 ) 21.44 - Conclusioni Chiunque pertanto ritiene che in questa vita siano esistiti o esistano alcuni o qualcuno, eccetto l'unico Mediatore tra Dio e gli uomini, che non abbiano avuto bisogno della remissione dei peccati, va contro la divina Scrittura dove l'Apostolo dice: A causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e con il peccato la morte e così ha raggiunto tutti gli uomini, che tutti hanno peccato in lui. ( Rm 5,12 ) Ed è inevitabile che il medesimo con empia opposizione ammetta la possibilità di uomini che senza la mediazione liberatrice e salvatrice del Cristo siano liberi e salvi dal peccato, nonostante che Gesù abbia detto: Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori. ( Mt 9,12-13 ) Chiunque poi dice che dopo aver ricevuto la remissione dei peccati qualcuno è vissuto o vive in questa carne con tanta giustizia da non avere nessun peccato, contraddice l'apostolo Giovanni, il quale dichiara: Se diciamo che siamo senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi. ( 1 Gv 1,8 ) Non dice: "Siamo stati", ma dice: Siamo. Qui qualcuno potrebbe porre questa distinzione: tale affermazione di Giovanni è stata fatta di quel peccato che abita nella nostra carne mortale ( Rm 6,12 ) sotto forma di vizio contratto per volontà del primo uomo quando peccò, peccato ai cui desideri l'apostolo Paolo ci comanda di non sottometterci; ( Rm 6,12 ) ma non riguarda i peccati attuali, perché non li ha chi al medesimo peccato, benché insito nella carne, non consente minimamente per nessun male o d'azione o di parola o di pensiero - per quanto in lui si muova la stessa concupiscenza che ha preso il nome di peccato in altro senso: ossia perché è peccato consentire ad essa e perché essa si muove contro la nostra volontà -. Chi si pronunzia così fa certamente in tutto questo delle sottili distinzioni, ma veda lui che ne sia dell'orazione domenicale dove diciamo: Rimetti a noi i nostri debiti, ( Mt 6,12 ) una petizione che, se non erro, non sarebbe più necessario fare, se noi non consentissimo mai nemmeno un poco ai desideri del medesimo peccato di concupiscenza o in una parola sbagliata o nell'accarezzare un pensiero; ma sarebbe necessario allora dire solamente: Non c'indurre in tentazione, ma liberaci dal male. ( Mt 6,13 ) Né in questo caso l'apostolo Giacomo direbbe: Tutti quanti manchiamo in molte cose. ( Gc 3,2 ) Non manca infatti se non chi dalla cattiva concupiscenza che lo raggiri o lo trascini, desiderando od evitando contro la norma della giustizia, si lascia persuadere a fare o dire o pensare qualcosa che non avrebbe dovuto. Infine, se, eccetto quel nostro Capo, Salvatore del suo corpo, si asserisce che o sono esistiti o esistono in questa vita alcuni uomini giusti senza nessun peccato, o per mancanza di consenso in essi ai desideri della concupiscenza o perché non si deve dare nessun peso ad un peccato tanto leggero che Dio non lo imputa alla loro pietà - sebbene altra sia la felicità dell'uomo che è senza peccato e altra la felicità dell'uomo a cui il Signore non imputa il peccato ( Sal 32,2 ) -, credo che a tale punto di vista non ci si debba opporre con troppa intransigenza; So infatti che tal punto di vista è parso vero ad alcuni dei quali io non oso disapprovare il modo di sentire su questo problema, per quanto non abbia nemmeno argomenti per difenderlo. Ma è pacifico: chiunque nega che noi dobbiamo pregare di non entrare in tentazione - e lo nega chi sostiene che per non peccare non è necessario all'uomo l'aiuto della grazia di Dio, ma basta la volontà umana con il solo dono della legge -, non dubito che meriti d'essere allontanato dagli orecchi di tutti e anatematizzato dalla bocca di tutti.