Padri/Agostino/Predest/Predest.txt La predestinazione dei Santi A Prospero ed Ilario 1.1 - Approfondimento dei temi già trattati Sappiamo bene che l'Apostolo ha detto nell'Epistola ai Filippesi: Scrivere le stesse cose a voi, a me non è certo tedioso, per voi invece è motivo di sicurezza. ( Fil 3,1 ) Ma nello scrivere ai Galati, comprendendo di aver fatto adeguatamente presso di essi, con il ministero della sua parola, quel che vedeva esser loro necessario: Per il resto, dice, nessuno mi arrechi molestia ( Gal 6,17 ) o, come si legge in parecchi codici: Nessuno mi sia importuno. Le parole divine che predicano la grazia sono estremamente numerose e chiare; perciò io sopporto assai a malincuore che non ci si arrenda di fronte ad esse. Del resto la grazia assolutamente non è più tale, se viene data secondo i nostri meriti. Tuttavia, o figli carissimi Prospero ed Ilario, l'impegno e l'affetto fraterno per cui volete salvare dall'errore chi ha simili idee, io lo gradisco più di quanto possa esprimere, pur non osando dire di gradirlo tanto quanto dovrei. Voi arrivate al punto da desiderare che dopo tanti miei libri e lettere sull'argomento io ne scriva ancora. Ecco dunque che io vi scrivo di nuovo, e benché non più con voi, tratto ancora per mezzo di voi il medesimo argomento che credevo di aver svolto a sufficienza. 1.2 - La questione ancora oscura è la predestinazione dei santi La vostra pia preoccupazione è che questi fratelli si attengano all'espressione del poeta che raccomanda: Ciascuno abbia speranza in se stesso, incorrendo così nella maledizione espressa non dalla poesia, ma dalla parola profetica: Maledetto ognuno che ha speranza nell'uomo. ( Ger 17,5 ) Riflettendo sulle vostre lettere mi sembra di capire che devono essere trattati nella maniera in cui l'Apostolo trattò coloro ai quali dice: E se su qualche cosa la pensate diversamente, Iddio vi rivelerà anche questo. ( Fil 3,15 ) È evidente: sul problema della predestinazione dei santi essi vanno ancora a tentoni, ma hanno ragione di ritenere che, se in qualche punto della questione la pensano diversamente, Dio possa rivelare loro anche questo, a condizione che camminino nel punto a cui sono giunti. Perciò l'Apostolo, dopo aver detto: Se in qualche cosa la pensate diversamente, Iddio vi rivelerà anche questo; tuttavia, aggiunge, camminiamo nel punto a cui siamo giunti. ( Fil 3,15-16 ) Ma questi nostri fratelli, per i quali è in ansia la vostra pia carità, sono arrivati a credere con la Chiesa di Cristo che il genere umano nasce soggetto al peccato del primo uomo e che nessuno può essere liberato da questo male se non grazie alla giustizia del secondo Uomo. Sono anche arrivati ad ammettere che la volontà degli uomini è prevenuta dalla grazia di Dio, e a consentire che nessuno può essere all'altezza di cominciare o di portare a termine nessuna opera buona. La fermezza di queste convinzioni a cui sono giunti li differenzia fortemente dall'erronea teoria dei pelagiani. Dunque, a condizione che camminino in esse e preghino Colui che dona l'intelligenza, se sulla predestinazione la pensano diversamente, Egli rivelerà loro anche questo punto; noi a nostra volta dobbiamo dedicare ad essi il nostro sentimento d'amore e il ministero della nostra parola, secondo quanto ci dona Colui che abbiamo pregato affinché esprimessimo in questa lettera le cose che possono essere adatte ed utili per loro. Infatti che ne possiamo sapere se per caso Dio nostro non voglia realizzare questo scopo attraverso il servizio che noi siamo pronti a rendere loro nella libera carità di Cristo? 2.3 - Punto da dimostrare: la fede è un dono di Dio Dunque in primo luogo dobbiamo dimostrare che la fede che ci fa cristiani è un dono di Dio, sempre che riusciamo a dimostrarlo con precisione maggiore di quanto abbiamo già fatto in tanti e tanti volumi. Ecco la tesi che noi, a quanto vedo, dobbiamo controbattere: secondo i dissenzienti le testimonianze divine che abbiamo utilizzato su questo argomento servono a farci conoscere che la fede in sé e per sé dipende da noi stessi, ma il suo accrescimento lo riceviamo da Dio, come se la fede non ci fosse donata proprio da lui, ma Egli ce l'accrescesse semplicemente per questo merito: che l'inizio è partito da noi. In definitiva non ci si distacca da quell'opinione: "La grazia di Dio viene data secondo i nostri meriti" che Pelagio stesso nel sinodo episcopale di Palestina fu costretto a condannare, come attestano gli Atti. Non apparterrebbe cioè alla grazia di Dio il fatto che cominciamo a credere, ma piuttosto l'aggiunta di fede che per quel merito ci viene fornita, in modo che crediamo più pienamente e perfettamente. Quindi saremo noi a dare per primi a Dio l'inizio della fede, affinché ci sia reso in ricompensa anche l'accrescimento di essa e quanto altro con la fede possiamo chiedere. 2.4 - Le testimonianze divine Ma contro queste argomentazioni ascoltiamo piuttosto: Chi per primo ha donato a lui, perché a lui fosse reso in contraccambio? Perché da lui e per lui e in lui sono tutte le cose. ( Rm 11,35-36 ) E dunque lo stesso inizio della nostra fede da chi proviene se non da lui stesso? E infatti non può essere che tutte le altre cose derivino da lui eccettuata questa; ma da lui e per lui e in lui sono tutte le cose. Ma chi potrebbe affermare che colui che ha cominciato a credere non abbia nessun merito nei confronti di Colui in cui credette?. Ne consegue l'idea che uno acquisterebbe merito da sé e il resto sarebbe aggiunto per retribuzione divina; quindi la grazia di Dio verrebbe data secondo i nostri meriti. Quando questa tesi gli fu rinfacciata, Pelagio la condannò da se stesso per non essere condannato. Pertanto chiunque vuole evitare sotto ogni aspetto questa convinzione condannabile, comprenda che è stato detto secondo verità quanto l'Apostolo afferma: A voi è stato donato per favore di Cristo non solo di credere in lui, ma anche di soffrire per lui. ( Fil 1,29 ) Il passo indica come dono di Dio l'una e l'altra cosa, perché dichiara che l'una e l'altra cosa è stata donata. Non dice: di credere più pienamente e perfettamente in lui, ma: di credere in lui. E non ha detto che egli stesso ha ottenuto misericordia per essere più fedele, ma per essere fedele, ( 1 Cor 7,25 ) perché sapeva di non essere stato lui a dare per primo a Dio l'inizio della fede e che l'accrescimento di essa non gli era stato dato dal Signore come ricompensa; anzi dal Signore era stato reso fedele, perché dal Signore era anche stato scelto come apostolo. È narrato nella Scrittura come ebbe inizio la sua fede, ( At 9 ) e i passi relativi sono notissimi per la lettura solenne che se ne fa nella Chiesa. Alieno dalla fede che perseguitava e ad essa violentemente contrario, all'improvviso vi fu convertito dalla potenza superiore della grazia. Lo convertì Colui al quale il profeta Isaia, nella consapevolezza che così avrebbe fatto, rivolse le parole: Tu convertendoci ci vivificherai; ( Sal 85,7 ) in tal modo non solo chi non voleva credere divenne uno che lo voleva, ma addirittura il persecutore si trasformò in un essere che patì la persecuzione per la difesa di quella fede che aveva perseguitato. Evidentemente da Cristo gli era stato donato non solo di credere in lui, ma anche di soffrire per lui. 2.5 - Per dare inizio e perfezionamento alla fede la nostra sufficienza viene da Dio E perciò mettendo avanti questa grazia che non viene data secondo un qualche merito, ma produce tutti i buoni meriti, dice: Non siamo capaci di pensare qualcosa da soli, come venisse proprio da noi stessi, ma la nostra sufficienza viene da Dio. ( 2 Cor 3,5 ) Facciano attenzione qui e soppesino queste parole coloro che pensano che da noi proviene l'inizio della fede e da Dio il suo accrescimento. Chi infatti non vedrebbe che il pensare precede il credere? Nessuno certo crede alcunché se prima non ha pensato di doverlo credere. Infatti, per quanto repentinamente, per quanto velocemente alcuni pensieri precedano a volo la volontà di credere e immediatamente questa li segua e li accompagni quasi fosse strettamente congiunta, tuttavia è necessario che tutte le cose che si credono siano credute per il precedente intervento del pensiero. Del resto anche credere non è altro che pensare assentendo. Infatti non ognuno che pensa crede, dato che parecchi pensano proprio per non credere; ma ognuno che crede pensa, pensa con il credere e crede con il pensare. Per quanto dunque riguarda la pietà religiosa ( della quale parlava l'Apostolo ) se non siamo capaci di pensare qualcosa da soli, come venisse proprio da noi stessi, ma la nostra sufficienza viene da Dio, ( 2 Cor 3,5 ) ecco appunto che non siamo capaci di credere qualcosa da soli, perché non lo possiamo senza prima pensare; ma la nostra sufficienza, con la quale cominciamo a credere, viene da Dio. Ora, questi nostri fratelli, e lo dimostrano le vostre lettere, già ammettono essere vero che nessuno può da se stesso dare inizio o compimento a qualsiasi opera buona, sicché nell'iniziare e portare a termine qualunque opera buona la nostra sufficienza viene da Dio. Allo stesso modo nessuno può da se stesso dare inizio o completamento alla fede, ma la nostra sufficienza viene da Dio, perché la fede, se non è oggetto di pensiero, non è fede; e non siamo capaci di pensare qualcosa da soli, come venisse proprio da noi stessi, ma la nostra sufficienza viene da Dio. 2.6 - Dio, che può fare quello che ha promesso, produce la fede delle nazioni Bisogna badare, o fratelli diletti da Dio, che l'uomo non si inorgoglisca di fronte al Signore, quando sostiene di adempiere alle promesse di Dio. Non fu forse promessa ad Abramo la fede delle nazioni ed egli dando gloria al Signore non credette fermamente che Dio ha anche potere di operare ciò che ha promesso? ( Rm 4,20-21 ) Dunque a produrre la fede delle nazioni è lui, che ha anche il potere di fare ciò che ha promesso. Per cui se Dio opera la nostra fede, agendo in maniera mirabile nei nostri cuori perché crediamo, bisogna forse temere che Egli non possa portare a termine il tutto e che l'uomo debba rivendicare a sé l'inizio per meritare di ricevere da lui il compimento? Non vedete? Con questo ragionamento non si ottiene altra conclusione se non che la grazia di Dio viene data in qualche modo secondo i nostri meriti, e così la grazia non è più grazia. A questo modo essa viene corrisposta perché dovuta, non viene donata gratuitamente: è dovuto infatti al credente che la sua fede sia accresciuta dal Signore e che l'accrescimento della fede sia ricompensa dell'inizio di essa. Quando si dice così, non si fa attenzione che questa mercede viene corrisposta ai credenti non secondo la grazia, ma secondo un debito. Non vedo proprio perché non arrivino ad attribuire tutto all'uomo, con questa conclusione: l'uomo stesso, che ha avuto il potere di dare inizio in sé a quello che non aveva, accresce da sé quello a cui ha dato inizio. Non c'è altro impedimento a simile tesi se non il fatto che non ci si può opporre alle evidentissime testimonianze divine, le quali dimostrano che anche la fede, da cui trae inizio la pietà, è un dono di Dio. Tale significato ha il passo: Dio ha dispensato a ciascuno la misura della fede, ( Rm 12,3 ) e l'altro: Pace ai fratelli e carità con fede da Dio Padre e dal Signore Gesù Cristo, ( Ef 6,23 ) e altri simili. Dunque, non volendo ribellarsi a queste lampanti testimonianze e tuttavia volendo che la sua fede provenga da lui stesso, l'uomo quasi patteggia con Dio: rivendica a sé una parte della fede e ne lascia una parte a lui; ma la presunzione maggiore è che la prima parte la prende per sé, la successiva la dà a Dio e in ciò che dice essere di entrambi prima mette se stesso, poi Dio. 3.7 - L'errore di Ag.: anch'egli credette che la fede non fosse un dono di Dio Non era questo il pensiero di quel pio ed umile dottore, voglio dire il beatissimo Cipriano, il quale ha affermato: In niente ci dobbiamo gloriare, dal momento che nulla è nostro. E per dimostrarlo ha usato come teste l'Apostolo quando dice: Cosa possiedi che tu non abbia ricevuto? E se l'hai ricevuto, perché ti vanti come se non l'avessi ricevuto? ( 1 Cor 4,7 ) È soprattutto da questa testimonianza che anch'io personalmente sono stato persuaso, quando erravo in maniera analoga e ritenevo che la fede con la quale crediamo in Dio non fosse un suo dono, ma l'avessimo da noi stessi, e che fosse per essa che noi ottenevamo i doni di Dio con i quali vivere in questo mondo con temperanza, giustizia e pietà. ( Tt 2,12 ) Io non credevo che la fede fosse prevenuta dalla grazia di Dio, in modo che per mezzo di essa venisse concesso a noi ciò che chiediamo utilmente. Mi pareva che non avremmo potuto credere se prima non fosse venuto l'annuncio della verità; ma l'acconsentirvi dopo la predicazione del Vangelo pensavo che appartenesse a noi e che lo avessimo da noi stessi. Alcune mie operette, scritte prima del mio episcopato, rivelano piuttosto chiaramente questo mio errore; e fra di esse c'è quella che avete ricordato nella vostra lettera, in cui si spiegano alcune proposizioni dell'Epistola indirizzata ai Romani. Poi ho cominciato la revisione per iscritto di tutti i miei opuscoli. Avevo già portato a termine due libri di quest'opera prima di ricevere i vostri scritti più estesi. Arrivato a rivedere nel primo di questi volumi proprio il libro a cui facevate riferimento, così ne parlai: Trattai parimenti questo problema: perché Dio avesse riposto la sua scelta in uno non ancora nato, dicendogli che il maggiore gli avrebbe ubbidito, mentre nel maggiore ugualmente non ancora nato aveva riposto la sua riprovazione. Su di esso infatti si ricorda il passo della Scrittura, benché addotto molto tempo dopo: "Ho amato Giacobbe e ho odiato Esaù". ( Ml 1,3; Rm 9,13 ) Giunsi allora a questa conclusione: "Dio dunque non elesse nella sua prescienza le opere di qualcuno, opere che Egli stesso deve dare; ma nella sua prescienza scelse la fede, cosicché scelse l'uomo stesso che Egli sapeva fin da prima che avrebbe creduto, per dargli lo Spirito Santo, affinché operando opere buone ottenesse la vita eterna". Non avevo ancora scrupolosamente investigato né ancora scoperto di che natura sia l'elezione della grazia, della quale dice ancora l'Apostolo: "Un residuo fu salvato per elezione della grazia". ( Rm 11,5 ) Ma non è grazia se un qualche merito la precede: perché quello che è dato non secondo la grazia, ma secondo il dovuto, è retribuito ai meriti piuttosto che donato. Perciò ho proseguito:"Dice infatti il medesimo Apostolo: Dio opera ogni cosa in tutti, ( 1 Cor 12,6 ) ma in nessun luogo si dice: Dio crede ogni cosa in tutti". Poi ho aggiunto: "Dunque che noi crediamo è nostro; che però operiamo bene, è di Colui che dà lo Spirito Santo ai credenti". Ma non lo avrei certo detto, se avessi già saputo che la stessa fede si ritrova tra i doni di Dio, che sono dati nel medesimo Spirito. Dunque l'una e l'altra cosa è nostra grazie all'arbitrio della volontà, eppure l'una e l'altra è data attraverso lo spirito di fede e carità. E infatti non è la sola carità, ma, come è scritto: "La carità con la fede da Dio Padre e dal Signore Gesù Cristo". ( Ef 6,23 ) Dissi poco dopo:"A noi infatti appartiene di credere e di volere; ma a lui di dare, a chi crede e vuole, la facoltà di operare bene attraverso lo Spirito Santo, mediante il quale si diffonde la carità nei nostri cuori". Questo è certamente vero, ma con la stessa regola: entrambe le cose appartengono a lui, perché è lui che prepara la volontà; ed entrambe a noi, perché non avvengono a meno che noi non vogliamo. E perciò anche quello che ho detto poi: "Perché non possiamo neppure volere, a meno che non siamo chiamati; e se dopo la chiamata avremo voluto, non basta la volontà nostra e la nostra corsa, se non c'è Dio che offre le forze a chi corre e lo fa giungere là, dov'Egli chiama"; e quel che ho poi soggiunto: "È chiaro dunque che il fatto di bene operare non è né di colui che vuole né di colui che corre, ma di Dio che ha misericordia", ( Rm 9,16 ) sono tutte espressioni corrispondenti perfettamente a verità. Ma poco ho parlato della chiamata stessa che avviene secondo un decreto di Dio: infatti essa non è la medesima per tutti quelli che sono chiamati, ma solo per gli eletti. Ho soggiunto poco dopo: "Come infatti in quelli che Dio ha eletto non sono le opere, me è la fede che dà principio al merito, in modo che per dono di Dio si opera bene, così in quelli che Egli condanna, danno principio al meritato castigo la mancanza di fede e l'empietà; per conseguenza attraverso il castigo stesso si opera male". Tutte queste affermazioni sono assolute verità, però non ho creduto di dover investigare né ho dichiarato che anche lo stesso merito è un dono di Dio. In un altro passo affermo: "Fa operare bene quello di cui ha misericordia e abbandona quello che indurisce, ( Rm 9,18 ) cosicché questi opera male; ma quella misericordia è attribuita al merito precedente come questo indurimento alla precedente empietà". E questo è senz'altro vero; ma bisognava approfondire ancora: non poteva venire dalla misericordia di Dio anche il merito della fede? Cioè, questa misericordia si verifica nell'uomo soltanto perché è fedele, oppure si è già verificata perché fosse fedele? Leggiamo infatti nell'Apostolo: "Ho ottenuto la misericordia di essere fedele", ( 1 Cor 7,25 ) e non dice: perché ero fedele. Dunque al fedele sicuramente si dona la grazia, ma questa gli era anche già stata donata perché fosse fedele. Del tutto rettamente quindi ho detto in un altro passo dello stesso libro: "Perché se siamo chiamati a credere non in seguito alle opere, ma per la misericordia di Dio, e ai credenti è fornito il mezzo per operare bene, non si deve guardare di malocchio la misericordia concessa ai pagani". Ma, lo ammetto, in quel passo non ho approfondito abbastanza accuratamente il problema di quella chiamata che avviene attraverso il decreto di Dio. 4.8 - Ma fu illuminato dal Signore Voi vedete quale fosse allora la mia opinione sulla fede e sulle opere, benché già fosse presente da parte mia la preoccupazione di dar rilievo alla grazia: ma ora mi accorgo che questi nostri fratelli sono rimasti a quella opinione; evidentemente si sono curati di leggere i miei libri, ma non di progredire insieme con me. Infatti se si fossero presi questa cura, avrebbero trovato tale questione risolta secondo la verità delle divine Scritture nel primo dei due libri che proprio al principio del mio episcopato ho indirizzato a Simpliciano di beata memoria, vescovo della Chiesa milanese, successore di Sant'Ambrogio. A meno che per caso questo libro sia loro sfuggito: se è così, fate che lo conoscano. Di questo primo libro ho parlato al principio del secondo volume delle Ritrattazioni; e le mie parole sono queste: Dei libri che ho composto da vescovo, i primi due sono diretti a Simpliciano, vescovo della Chiesa di Milano, che successe al beatissimo Ambrogio. Vi si trattano diversi problemi; due li svolsi nel primo libro traendoli dalla Lettera dell'apostolo Paolo ai Romani. Il primo di essi è su questo passo della Scrittura: "Dunque che diremo? Che la legge è peccato? Guardiamocene", fino al punto in cui dice: "Chi mi libererà da questo corpo di morte? La grazia di Dio attraverso Gesù Cristo, Signore nostro". ( Rm 7,7-25 ) A proposito di tale questione le parole dell'Apostolo: "La legge è spirituale, invece sono carnale" ( Rm 7,14 ) e le altre intese a dimostrare che la carne lotta con lo spirito, le ho spiegate presupponendo che lì si descriva l'uomo ancora posto sotto la legge e non ancora sotto la grazia. Solo molto più tardi ho riconosciuto che quelle parole possono riguardare anche l'uomo spirituale ( e ciò con più verosimiglianza ). Il secondo problema in questo libro parte dal passo ove si dice: "Non solo, ma anche Rebecca concependo da una sola unione con Isacco nostro padre", fino al punto: "Se il Signore degli eserciti non ci avesse lasciato la discendenza, sarebbe avvenuto di noi come di Sodoma e saremmo stati simili a Gomorra". ( Rm 9,10-29 ) Cercando di risolvere questo problema ci si è sforzati di sostenere il libero arbitrio della volontà umana, ma ha vinto la grazia di Dio; l'unica conclusione possibile consiste nel riconoscere la limpidissima verità di ciò che ha detto l'Apostolo: "Chi infatti ti distingue? Cosa possiedi che tu non abbia ricevuto? E se l'hai ricevuto, perché ti vanti come se non l'avessi ricevuto?". ( 1 Cor 4,7 ) E volendo mettere in rilievo proprio ciò, anche il martire Cipriano comprese tutto questo concetto sotto il titolo che dice: "In nulla bisogna gloriarci perché nulla ci appartiene". Ecco perché ho detto sopra che anche io stesso fui convinto principalmente da questa testimonianza apostolica, quando avevo un'opinione diversa su questo argomento; ma Dio mi rivelò la verità per risolvere questo problema mentre scrivevo, come ho detto, al vescovo Simpliciano. Questa testimonianza dell'Apostolo dunque, che per raffrenare l'orgoglio dell'uomo ammonisce: Che cosa possiedi che tu non abbia ricevuto?, non permette ad alcuno dei fedeli di dire: Ho una fede che non ho ricevuto. Tutta la superbia di una tale risposta è completamente abbattuta da quelle parole. Ma neppure così si può dire: Benché non abbia una fede perfetta, è mio però l'inizio di essa, per cui primamente ho creduto in Cristo; infatti anche qui si può rispondere: Che cosa possiedi che tu non abbia ricevuto? E se l'hai ricevuto, perché ti vanti come se non l'avessi ricevuto? 5.9 - Cos'hai che tu non abbia ricevuto? La convinzione dei nostri fratelli è che di questa fede non si può dire: "Che cosa possiedi che tu non abbia ricevuto?", perché la fede continua ad avere sede nella medesima natura, sia pure viziata, che all'origine ci fu donata sana e perfetta; ma si comprende che questa affermazione non ha alcun valore per dimostrare ciò che sta loro a cuore, se si riflette al motivo che ha ispirato all'Apostolo quella frase. Egli voleva ottenere che nessuno riponesse la sua gloria nell'uomo, perché erano sorti dissensi tra i Cristiani di Corinto, e qualcuno diceva: Io sono di Paolo; e un altro: Io di Apollo; e un altro ancora: E io di Cefa. In seguito a tutto ciò si arrivò al punto che si dovette dire: Dio ha scelto le cose stolte del mondo per confondere i sapienti; e le cose deboli del mondo ha scelto Dio, per confondere quelle forti; e le cose umili e disprezzate del mondo scelse Dio e quelle che non sono come se fossero qualcosa per annullare quelle che sono; affinché nessuna carne si glori davanti a Dio. ( 1 Cor 1,12.27-29 ) Qui l'intenzione dell'Apostolo contro la superbia umana è piuttosto chiara: nessuno si glori nell'uomo, e quindi neppure in se stesso. Così, dopo aver detto: affinché nessuna carne si glori davanti a Dio, per mostrare in chi l'uomo si deve gloriare, ha aggiunto: e per lui voi siete in Gesù Cristo, che da Dio fu reso per noi sapienza e giustizia, santificazione e redenzione, affinché, come sta scritto: Chi si gloria, si glori nel Signore. ( 1 Cor 1,30-31 ) La sua intenzione arriva a fargli poi esprimere questo rimprovero: Infatti voi siete ancora carnali: dal momento che ci sono tra di voi emulazione e contesa, non siete forse carnali e camminate secondo l'uomo? Se infatti qualcuno dice: Io sono di Paolo, mentre un altro: Io di Apollo, non siete forse uomini? Che cosa è dunque Apollo? Che cosa è Paolo? I ministri per mezzo dei quali avete creduto, e ciascuno nella misura che il Signore ha concesso. Io ho piantato, Apollo ha irrigato, ma Dio ha donato la crescita. Pertanto né chi pianta è qualcosa né chi irriga, ma Dio che dà la crescita. ( 1 Cor 3,2-7 ) Non vedete che nulla vuole ottenere l'Apostolo se non che l'uomo sia umiliato per esaltare Dio solo? Difatti egli dice che anche nei confronti di coloro che sono piantati ed irrigati, il piantatore e l'irrigatore non sono qualcosa, ma Dio che dà la crescita. Anzi anche il fatto che uno pianta e l'altro irriga, egli lo attribuisce non a loro, ma al Signore, dicendo: Così come a ciascuno il Signore concesse. Io ho piantato, Apollo ha irrigato. Dunque, persistendo nel medesimo rimprovero, giunge a dire: Pertanto nessuno si glori nell'uomo. ( 1 Cor 3,21 ) Infatti aveva già detto: Chi si gloria, si glori nel Signore. ( 1 Cor 1,31 ) Dopo queste espressioni e alcune altre che si connettono a queste, sempre la medesima intenzione lo conduce a dire: A causa vostra, fratelli, ho rappresentato queste cose sotto l'esempio della mia persona e di quella di Apollo, affinché voi impariate da noi a non andare oltre quanto sta scritto e a non insolentire contro uno a favore di un altro. Chi infatti ti distingue? Che cosa hai che tu non abbia ricevuto? E se l'hai ricevuto, perché ti vanti come se non lo avessi ricevuto?. ( 1 Cor 4,6-7 ) I doni che distinguono gli uomini fra di loro. 5.10 - La fede è uno dei beni donati da Dio che distinguono uomo da uomo Qui l'intenzione dell'Apostolo è rivolta in maniera evidentissima contro la superbia umana: nessuno si glori nell'uomo, ma nel Signore; ora sarebbe proprio assurdo, a quanto io penso, voler ravvisare nelle parole dell'Apostolo i doni naturali di Dio, sia la stessa natura integra e perfetta quale ci fu donata nella condizione primitiva, sia i residui, quali che essi siano, di questa natura ormai viziata. Forse è per mezzo di questi doni, comuni a tutti gli uomini, che si distingue uomo da uomo? Ma nel passo prima ha detto: Chi infatti ti distingue? e poi ha aggiunto: Che cosa hai che tu non abbia ricevuto? Evidentemente un uomo pieno di orgoglio di fronte ad un altro potrebbe dire: La mia fede mi distingue, la mia giustizia, oppure altre cose ancora. Ma prevenendo tali riflessioni il buon Dottore dice: Che cosa hai che tu non abbia ricevuto? E da chi l'hai ricevuto, se non da Colui che ti distingue da un altro a cui non ha donato ciò che ha donato a te? E se l'hai ricevuto, perché ti vanti come se non l'avessi ricevuto? Allora, scusate, egli che altro vuole ottenere se non che chi si gloria si glori nel Signore? Ma nulla è tanto contrario a questo sentimento quanto il gloriarsi dei propri meriti come se uno se li fosse procurati da sé, non per la grazia di Dio; ma qui s'intende la grazia che distingue i buoni dai cattivi, non quella che è comune ai buoni e ai cattivi. Ammettiamo pure che esista una grazia insita nella natura che ci fa esseri viventi razionali e distinti dalle bestie; ammettiamo anche che ci sia una grazia insita nella natura che ci permetta di distinguere fra gli uomini stessi i belli dai brutti, gli intelligenti dai tardi, e così via per tutte le altre differenziazioni analoghe. Ma l'individuo che l'Apostolo contestava non si inorgogliva contro gli animali né contro un altro uomo per qualche dono naturale che anche un abietto potesse possedere; anzi, si inorgogliva attribuendo non a Dio ma a se stesso un bene appartenente alla vita moralmente buona. E si è meritato di sentire: Chi infatti ti distingue? Cosa hai tu che non abbia ricevuto? Ammesso che è proprio della natura umana poter avere la fede, forse le sarà proprio anche averla? Non tutti hanno la fede, ( 2 Ts 3,2 ) anche se tutti possono averla. Ma l'Apostolo non dice: Che cosa puoi avere senza che tu abbia ricevuto la possibilità di averlo? ma dice: Che cosa hai tu che non abbia ricevuto? In conclusione poter avere la fede, come poter avere la carità, appartiene alla natura degli uomini; ma avere la fede, come avere la carità, appartiene alla grazia dei fedeli. Pertanto quella natura che ci dà la possibilità di avere la fede, non distingue uomo da uomo; la fede invece distingue il credente dal non credente. E poiché è detto: Chi infatti ti distingue? Che cosa hai che tu non abbia ricevuto? chiunque osi affermare: Ho la fede da me stesso, dunque non l'ho ricevuta, contraddice in pieno quella lampante verità: non perché credere o non credere non sia nell'arbitrio della volontà umana, ma perché negli eletti la volontà è preparata dal Signore. ( Pr 8,35 sec. LXX ) Perciò s'intendono riferite anche alla fede, che è riposta nella volontà, le parole: Chi infatti ti distingue? Che cosa hai che tu non abbia ricevuto? 6.11 - Tuttavia crede chi vuole "Molti", si obietta, "odono la parola della verità, ma alcuni la credono, altri la contraddicono. Dunque gli uni vogliono credere, mentre gli altri no". E chi non lo sa? Chi potrebbe negarlo? Ma poiché per alcuni la volontà è preparata dal Signore, per altri no, bisogna senz'altro distinguere che cosa provenga dalla sua misericordia, che cosa dal suo giudizio. ( Sal 101,1 ) Quello che Israele cercava, dice l'Apostolo, non l'ha ottenuto: gli eletti l'hanno ottenuto; tutti gli altri invece sono stati accecati, come sta scritto: Dio diede loro uno spirito di ottundimento, occhi per non vedere e orecchie per non sentire, fino al giorno di oggi. E David dice: La loro mensa diventi un laccio, un castigo e un ostacolo per loro; si oscurino i loro occhi perché non vedano e incurva per sempre le loro schiene. Ecco la misericordia e il giudizio: la misericordia per gli eletti che ottennero la giustizia di Dio; il giudizio invece contro gli altri che furono accecati. Tuttavia i primi credettero perché lo vollero; gli altri non credettero perché non lo vollero. Dunque la misericordia e il giudizio si realizzarono nelle loro stesse volontà. L'elezione perciò è dovuta alla grazia, non certo ai meriti. Sopra infatti aveva detto: Così dunque anche in questo tempo un residuo fu salvato per elezione della grazia. Ma se è per grazia, non è per le opere: altrimenti la grazia non è più grazia. ( Rm 11,5-10 ) Allora gli eletti hanno ottenuto gratuitamente quello che hanno ottenuto; non ci fu in precedenza un qualche loro apporto che essi donarono per primi e che fu loro ricompensato: Dio li salvò senza alcun contributo. Ma per gli altri, che furono accecati, come è detto nel passo, il loro accecamento fu per castigo. Tutte le vie del Signore sono misericordia e verità. ( Sal 25,10 ) Ma imperscrutabili sono le sue vie 47. ( Rm 11,33 ) Imperscrutabili sono pertanto sia la misericordia per la quale libera gratuitamente, sia la verità per la quale giudica giustamente. 7.12 - L'Apostolo dice che l'uomo è giustificato dalla fede e non dalle opere, perché la fede è data per prima Ma forse potrebbero dire: "L'Apostolo distingue la fede dalle opere; dice che la grazia non deriva dalle opere, però non dice che non derivi dalla fede". Sì, è così, ma è Gesù a dire che anche la fede è opera di Dio e ad ordinarci di praticarla. Gli chiesero infatti i Giudei: Che cosa dovremo fare per compiere l'opera di Dio? Gesù rispose e disse loro: Questa è l'opera di Dio, che crediate in Colui che Egli ha inviato. ( Gv 6,28-29 ) Dunque l'Apostolo distingue la fede dalle opere al modo in cui nei due regni degli Ebrei si distingue Giuda e Israele, benché anche Giuda sia Israele. Perciò dice che l'uomo è giustificato in seguito alla fede, non in seguito alle opere, ( Gal 2,16 ) perché la fede è data per prima e da essa si ottengono tutti gli altri beni che in senso stretto sono chiamati "opere", in grazia delle quali si vive da giusti. Infatti dice ancora: Per la grazia voi siete stati salvati mediante la fede, e ciò non proviene da voi, ma è dono di Dio; cioè, anche se ho detto mediante la fede, la fede non proviene da voi, ma è anch'essa un dono di Dio. Non mediante le opere, continua, affinché per caso qualcuno non si glori. ( Ef 2,8-9 ) Infatti si è soliti dire: Certo che ha meritato di credere; era un uomo buono anche prima di credere. Lo si potrà dire di Cornelio, ( At 10,4 ) del quale furono accettate le elemosine ed esaudite le preghiere prima che credesse in Cristo. Eppure, ribatto, donava e pregava non senza una qualche fede. Infatti come poteva invocare quello in cui non credeva? ( Rm 10,14 ) Se avesse potuto essere salvo senza la fede in Cristo, non sarebbe stato inviato come architetto della sua edificazione l'apostolo Pietro. Tuttavia se non è il Signore ad edificare la casa, invano i muratori si affaticano ad edificarla. ( Sal 127,1 ) Ci si obietta: La fede proviene da noi, tutte le altre cose riguardanti la pratica della giustizia dal Signore; come se la fede non riguardasse quell'edificio. Come se le fondamenta, ripeto, non riguardassero l'edificio! Se invece esse gli appartengono prima e più di ogni altro elemento architettonico, invano uno si affatica ad edificare la fede predicando, se il Signore non edifica nell'intimo donando la sua misericordia. Dunque qualsiasi opera buona abbia compiuto Cornelio, sia prima di credere in Cristo sia credendo in Cristo sia dopo avervi creduto, tutto dev'essere attribuito a Dio affinché non ci si glori.8.13 - È il Padre che concede di credere Quindi lo stesso unico Maestro e Signore, dopo aver detto quello che ho ricordato sopra: Questa è l'opera di Dio, che crediate in Colui che Egli inviò, ( Gv 6,29 ) nel medesimo suo discorso poco dopo dice: Io ve l'ho detto: mi avete visto e non mi avete creduto. Tutto ciò che il Padre dà a me, verrà a me. ( Gv 6,36.37 ) Che significa: verrà a me, se non: crederà in me? Ma che ciò avvenga lo concede il Padre. Egualmente poco dopo: Non mormorate, dice, fra di voi; nessuno può venire a me se non lo avrà attratto il Padre che mi mandò; e io lo risusciterò nell'ultimo giorno. Sta scritto nei Profeti: Saranno tutti istruiti da Dio. Chiunque ha udito dal Padre e ha imparato, viene a me. ( Gv 6,43-46 ) Che significa: Chiunque ha udito dal Padre e ha imparato, viene a me? Significa solo: Non c'è nessuno che oda il Padre e impari e non venga a me. Se infatti chiunque ha udito dal Padre e ha imparato viene, evidentemente chiunque non viene, non ha udito dal Padre e non ha imparato, poiché se avesse udito e imparato verrebbe. E infatti nessuno ha udito e imparato e non è venuto, ma chiunque, dice la Verità, ha udito dal Padre e imparato viene. Molto lontana da ogni senso fisico è questa scuola nella quale il Padre è udito e insegna affinché si venga al Figlio. Là c'è anche lo stesso Figlio, perché Egli è il Verbo per mezzo del quale il Padre insegna così; e non insegna all'orecchio della carne, ma a quello del cuore. E insieme qui è anche lo Spirito del Padre e del Figlio; Egli pure insegna, e non insegna separatamente; abbiamo appreso senza possibilità di dubbio che inseparabile è l'agire della Trinità. E veramente è lo Spirito Santo quello di cui l'Apostolo dice: Avendo il medesimo Spirito di fede. ( 2 Cor 4,13 ) Ma l'insegnamento è attribuito specialmente al Padre perché da lui è stato generato l'Unigenito e da lui procede lo Spirito Santo. Sarebbe lungo disputare più distintamente. Penso che ormai il mio lavoro in quindici libri su La Trinità, che è il nostro Dio, sia arrivato a voi. Molto lontana, ripeto, da ogni senso fisico è questa scuola nella quale Dio è udito ed insegna. Vediamo che molti vengono al Figlio perché vediamo che molti credono in Cristo; ma non vediamo dove e quando abbiano udito ed appreso quell'insegnamento dal Padre. Troppo questa grazia è occulta: ma che è grazia, chi lo può mettere in dubbio? E questa grazia, che occultamente viene concessa ai cuori umani dalla generosità divina, non viene rigettata dalla durezza di nessun cuore. Essa è donata appunto affinché per prima cosa sia tolta la durezza del cuore. Quando dunque il Padre interiormente è udito e insegna di venire al Figlio, strappa il cuore di pietra e dà un cuore di carne, come promise con le parole del Profeta. ( Ez 11,19 ) Così certo forma i figli della promessa e i vasi di misericordia che ha preparato per la gloria. ( Rm 9,23 ) 8.14 - Perché Dio non insegna a tutti a venire a Cristo? Perché allora il Signore non dà a tutti l'insegnamento di venire a Cristo? Perché a tutti quelli a cui insegna, insegna per misericordia, ma a quelli a cui non insegna, non insegna per il giudizio. Ha misericordia di chi vuole e chi vuole indurisce ( Rm 9,18 ), ma ha misericordia quando attribuisce beni; indurisce quando corrisponde pene meritate. Ma certuni preferiscono intendere queste parole come pronunciate dall'ascoltatore cui l'Apostolo si rivolge con l'espressione: Ma tu mi dici; allora anche i passi: ha misericordia di chi vuole e chi vuole indurisce e il resto della frase vanno attribuiti all'ascoltatore, cioè: Di che si rammarica ancora? Infatti chi resiste alla sua volontà? ( Rm 9,19 ) Che differenza c'è? L'Apostolo non ha risposto: O uomo, è falso quello che tu hai detto. Ha risposto invece: O uomo, chi sei tu per rispondere a Dio? Forse l'oggetto plasmato dice a chi l'ha plasmato: Perché mi hai fatto così? O non è forse il vasaio che ha potere sull'argilla, dalla medesima massa …? ( Rm 9,20-21 ) con quel che segue, che voi conoscete benissimo. E tuttavia in un certo senso il Padre insegna a tutti a venire al Figlio suo. Infatti non invano è scritto nei Profeti: Tutti saranno istruiti da Dio. ( Is 54,13 ) E dopo aver premesso questa testimonianza, Gesù aggiunge: Chiunque ha udito dal Padre e ha imparato, viene a me. ( Gv 6,45 ) Ci esprimiamo correttamente quando di un maestro di lettere che sia unico in una città, diciamo: Costui qui insegna lettere a tutti, non perché tutti le imparino, ma perché chiunque impari le lettere in quel posto, non le impara se non da lui; e così possiamo ben dire: Dio insegna a tutti a venire a Cristo, non perché tutti vengano a lui, ma perché nessuno viene a lui altrimenti. Perché poi non insegna a tutti, lo spiega l'Apostolo per quanto gli è sembrato di dover spiegare, dicendo: Volendo manifestare la sua ira e far conoscere la sua potenza, sopportò con molta pazienza i vasi d'ira apparecchiati per la perdizione, anche per rendere note le ricchezze della sua gloria verso i vasi di misericordia che preparò per la gloria. ( Rm 9,18-23 ) Ecco perché il linguaggio della croce è stoltezza per chi perisce; ma per quelli che si salvano, è potenza di Dio. ( 1 Cor 1,18 ) Dio insegna a questi ultimi, nessuno escluso, a venire a Cristo; tutti questi infatti vuole che siano salvi e vengano nella conoscenza della verità. ( 1 Tm 2,4 ) Infatti se avesse voluto insegnare a venire a Cristo anche a quelli per i quali è stoltezza il linguaggio della croce, fuor d'ogni dubbio sarebbero venuti anch'essi. Non inganna o s'inganna Colui che dice: Chiunque ha udito dal Padre e ha appreso, viene a me. Non dobbiamo pensare nemmeno lontanamente che qualcuno, dopo aver udito ed appreso, non venga. 8.15 - Dio non insegna a chi non vuole imparare? "Perché", dicono, "non insegna a tutti?". Se diremo che è perché quelli a cui non insegna non vogliono imparare, ci si risponderà: E dove va a finire quello che gli si dice: O Dio, tu convertendoci ci vivificherai? ( Sal 85,7 ) E poi se Dio non trasforma quelli che non vogliono in gente che invece vuole, perché mai la Chiesa prega secondo il precetto del Signore per i suoi persecutori? ( Mt 5,44 ) Infatti anche il santo Cipriano volle che s'intendesse così la nostra invocazione: Sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra; ( Mt 6,10 ) cioè, sia fatta in coloro che gli hanno creduto e che sono come il cielo, così come anche in quelli che non credono e quindi sono ancora terra. Che cosa dunque preghiamo per coloro che non vogliono credere se non che Dio operi in essi anche il volere? ( Fil 2,13 ) È dei Giudei certo che l'Apostolo dice: Fratelli, la brama del mio cuore e la mia preghiera a Dio è per la loro salvezza. ( Rm 10,1 ) Egli prega per i non credenti, e che cosa prega se non che credano? Infatti essi non potranno conseguire la salvezza in altra maniera. Se dunque la fede di chi prega previene la grazia di Dio, sarà forse vero che la fede previene la grazia anche in coloro per cui si prega che credano? Ma è proprio questo che si prega per essi, affinché a chi non crede, cioè non ha la fede, la fede sia donata. Quando infatti si predica il Vangelo, alcuni credono, altri non credono; ma quelli che credono, mentre la voce del predicatore risuona dal di fuori, dal di dentro odono l'insegnamento del Padre ed imparano; mentre quelli che non credono, dal di fuori odono, dal di dentro non odono né imparano; cioè a quelli è dato di credere, a questi non è dato. Perché nessuno, dice, viene a me, se non l'ha tratto il Padre che mi ha mandato. ( Gv 6,44 ) E più apertamente lo dice in seguito. Infatti un po' sotto afferma che bisogna mangiare la sua carne e bere il suo sangue, e alcuni dei suoi discepoli gli obiettano: È duro questo discorso, chi lo può udire? Sapendo Gesù in se stesso che i suoi discepoli mormoravano di ciò, disse loro: Questo vi scandalizza? E ancora appresso: Le parole, dice, che io ho detto a voi, sono spirito e vita; ma ci sono certuni tra di voi che non credono. E subito dopo l'Evangelista aggiunge: Gesù infatti sapeva fin dall'inizio chi fossero quelli che credevano e chi lo avrebbe tradito e diceva: Perciò ho detto a voi che nessuno può venire a me se non gli sarà dato dal Padre mio. ( Gv 6,60-66 ) Dunque da un lato essere attratto dal Padre a Cristo, dall'altro udire e essere istruito dal Padre per venire a Cristo, altro non è che ricevere dal Padre un dono che ci fa credere in Cristo. Infatti chi diceva: Nessuno viene a me se non gli è stato dato dal Padre mio, non distingueva quelli che udivano il Vangelo da quelli che non lo udivano, ma quelli che credevano da quelli che non credevano. 8.16 - Conclusione: la fede, all'inizio o al perfezionamento, è sempre un dono di Dio Dunque chi non vuole dissentire dai chiarissimi testi della Sacra Scrittura, non deve assolutamente dubitare che la fede, sia al principio sia al perfezionamento, è un dono di Dio, e che questo dono ad alcuni viene dato, ad altri no. Ma il fatto che non sia concessa a tutti non deve scuotere il fedele, il quale crede questa verità: per uno solo tutti sono piombati nella condanna, e questa è indubitabilmente tanto giusta che non ci sarebbe nessuna possibilità di biasimare Dio anche se nessuno ne venisse liberato. Da ciò risulta che grande è la grazia se permette di liberare un numero tanto grande di fedeli e questi ultimi possono scorgere in coloro che non ricevono la liberazione la fine che sarebbe dovuta toccare anche a loro. Ne consegue che chi si gloria, non lo faccia nei propri meriti, che vede uguali a quelli dei condannati, ma si glori nel Signore. ( 1 Cor 1,31 ) Perché poi Egli liberi un individuo piuttosto che un altro, imperscrutabili sono i suoi giudizi e ininvestigabili le sue vie. ( Rm 11,33 ) Faremmo meglio ad ascoltare anche questo passo e a dire: O uomo, chi sei tu per rispondere a Dio? ( Rm 9,20 ) piuttosto che osare di spiegare, come se lo potessimo, ciò che volle occulto Colui che non può volere niente d'ingiusto. 9.17 - Obiezione dei pagani: perché Cristo venne dopo un tempo tanto lungo? Voi richiamate anche ciò che io ho espresso in un mio opuscolo contro Porfirio il cui titolo è: Il tempo della religione cristiana. Ho parlato in maniera da non affrontare una discussione più accurata e laboriosa sulla grazia, pur senza omettere di additarla, dato che in quel luogo non avevo voluto chiarire una dottrina che poteva essere spiegata in altro momento o da altri. Infatti tra le altre questioni così parlai rispondendo all'interrogativo postomi sul perché Cristo sia venuto dopo un tempo tanto lungo: Dunque, scrivevo, essi non obiettano a Cristo il fatto che non tutti seguono la sua dottrina ( comprendono infatti da sé che simile obiezione è vana anche rivolta alla sapienza dei filosofi o alla potenza dei loro dèi ). Non consideriamo l'altezza della sapienza e della scienza di Dio, dove forse si nasconde un disegno divino di gran lunga più segreto; lasciamo impregiudicate anche altre eventuali spiegazioni che possono essere investigate dai sapienti; ma che cosa risponderanno quando noi, per trattare la questione in breve, diremo questo solo: Cristo volle manifestarsi agli uomini e predicare ad essi la sua dottrina quando sapeva e dove sapeva che c'era chi avrebbe creduto in lui? Infatti in quei tempi e in quei luoghi nei quali il suo Vangelo non era ancora stato predicato, Egli sapeva in precedenza che di fronte alla sua predicazione tutti sarebbero stati come quelli che, in gran numero se non nella totalità, di fronte alla sua presenza corporale non vollero credere in lui nemmeno dopo che ebbe risuscitato i morti. Anche oggi ne conosciamo molti che, sebbene la predizione dei Profeti abbia trovato in lui l'adempimento più perfetto, ancora non vogliono credere e preferiscono resistere con l'astuzia umana, mentre invece di fronte all'autorità di Dio tanto lampante ed evidente, tanto sublime e sublimemente divulgata, dovrebbero cedere, finché l'intelletto umano nella sua debolezza è incapace di accedere alla verità divina. Che c'è dunque di strano in ciò? Conoscendo che nei secoli precedenti il mondo era pieno di uomini tanto infedeli, Cristo giustamente non voleva manifestarsi o predicare ad essi, perché Egli sapeva da prima che non avrebbero creduto né alle sue parole né ai suoi miracoli. E infatti non è incredibile, benché ci meravigli, che gli uomini allora fossero come molti sono stati e sono dal suo avvento fino al nostro tempo. E tuttavia dall'inizio del genere umano, ora più copertamente, ora più chiaramente, come parve opportuno al volere divino in accordo con i tempi, non si cessò di profetare né mancarono quelli che credettero in lui prima che venisse nella carne, da Adamo fino a Mosè, sia nello stesso popolo d'Israele, che fu una nazione profetica per un particolare piano divino, sia anche in altre nazioni. Come ci ricordano i Libri santi degli Ebrei, fin dal tempo di Abramo uomini che pure non erano della sua stirpe carnale, né appartenevano al popolo d'Israele, né vi erano stati introdotti per proselitismo, tuttavia furono partecipi del mistero della salvezza. Allora perché non dovremmo credere che anche nelle altre nazioni in un luogo o nell'altro ve ne furono diversi in diversi tempi, benché non possiamo leggere menzione di loro nell'autorità dei Libri santi? Così la salvezza che apporta questa nostra religione, che unica vera promette la salvezza vera e secondo verità, mai mancò a chi ne fu degno. E dall'inizio fino alla fine della propagazione umana, essa sarà predicata ad alcuni perché siano premiati, ad altri perché siano giudicati. Quindi, se ci sono uomini ai quali la salvezza non fu affatto annunziata, è perché era previsto che non avrebbero creduto; ad altri fu annunziata pur nella consapevolezza che non avrebbero creduto, perché fornissero l'esempio della sorte riservata ai primi; quelli invece ai quali è stata annunziata e che crederanno, sono preparati per il regno dei cieli e per la società degli angeli santi. 9.18 - Perché non fu fatto riferimento ai predestinati Vedete? Senza pregiudizio dell'occulto disegno di Dio e senza pregiudizio di altre motivazioni, ho voluto dire della prescienza di Cristo solo quanto mi sembrava sufficiente a confutare la mancanza di fede dei pagani che avevano avanzato questa obiezione. Che c'è infatti di più vero del fatto che Cristo sapeva in precedenza chi, quando e dove avrebbero creduto in lui? Ma dopo che Cristo era stato loro predicato, avrebbero avuto la fede da se stessi, oppure l'avrebbero ricevuta per dono di Dio? Cioè, Dio semplicemente li conobbe in precedenza, oppure li predestinò anche? Questo allora non ritenni necessario di metterlo in discussione. Dissi inoltre che Cristo volle apparire agli uomini e far predicare la sua dottrina presso di essi, quando sapeva e dove sapeva che c'era chi avrebbe creduto in lui. Ma il pensiero si può esprimere anche così: Cristo volle apparire agli uomini e far predicare presso di essi la sua dottrina, quando sapeva e dove sapeva che c'era chi era stato eletto in lui prima della creazione del mondo. ( Ef 1,4 ) Ma se si fosse detto così, l'attenzione del lettore sarebbe stata rivolta ad approfondire quelle argomentazioni che adesso, in seguito alla condanna dell'eresia pelagiana, è necessario trattare con più estensione e accuratezza. Mi parve quindi bene di dire in breve quello che allora era sufficiente, non volendo considerare, come ho detto, l'altezza della sapienza e della scienza di Dio, e senza pregiudizio di altre spiegazioni delle quali ritenni di dover trattare non allora, ma più opportunamente in altro momento. 10.19 - Distinzione fra grazia e predestinazione Ho detto pure: La salvezza di questa religione non mancò mai a nessuno che ne fosse degno, e quello a cui mancò non ne era degno. Ma se si discute e si ricerca cosa sia che ne rende l'uomo degno, non mancherà chi verrà a dire: la volontà umana; noi invece diciamo: la grazia o la predestinazione divina. Tra la grazia e la predestinazione questa sola è la differenza: che la predestinazione è la preparazione alla grazia, la grazia invece è il dono realizzato. Pertanto quel che dice l'Apostolo: Non in seguito alle opere, affinché nessuno si glori; infatti siamo opera sua, prodotti in Cristo Gesù in vista delle opere buone, indica la grazia; e quello che segue: che Dio approntò affinché noi camminiamo in esse, ( Ef 2,9-10 ) indica la predestinazione, che non può esistere senza la prescienza; invece la prescienza può esistere senza predestinazione. Per la predestinazione Dio seppe in precedenza le cose che Egli avrebbe fatto; e perciò è detto: Fece le cose che saranno. ( Is 45,11 sec. LXX ) Ma Egli ha potere di sapere in precedenza anche quelle cose che non compie egli stesso, come ogni sorta di peccato. È vero che vi sono azioni che sono peccati e nello stesso tempo anche castighi di altri peccati. È stato detto appunto: Dio li ha abbandonati ai loro sentimenti perversi perché facessero azioni immorali. ( Rm 1,28 ) Anche in questo caso però non si ha un peccato di Dio, ma un giudizio. Per tutto questo la predestinazione di Dio che si esplica nel bene è, come ho detto, preparazione della grazia; la grazia a sua volta è effetto della predestinazione. Dio fece quindi la sua promessa basandosi non su quello che può la nostra volontà, ma sulla sua predestinazione, quando promise ad Abramo che le genti avrebbero creduto in Colui che doveva nascere dal suo seme, pronunciando queste parole: Ti ho creato padre di molte nazioni, ( Gen 17,4-5 ) che l'Apostolo chiarisce così: Perciò la promessa viene dalla fede, così che secondo la grazia sia sicura la promessa a tutta la posterità. ( Rm 4,16 ) Con ciò promise quello che Egli stesso aveva compiuto, non quello che avrebbero compiuto gli uomini. Sono gli uomini a compiere le azioni buone che servono a venerare Dio, ma Egli stesso fa sì che essi compiano quello che ha ordinato, e non sono essi a far sì che Egli compia quello che ha promesso; altrimenti che si adempiano le promesse di Dio non è in potere di Dio, ma in potere degli uomini, e quello che è stato promesso da Dio lo mantengono ad Abramo essi stessi. Non così credette Abramo, ma credette, dando gloria a Dio, che Egli ha potere anche di fare ciò che ha promesso. ( Rm 4,20-21 ) Non dice: predire; non dice: prevedere; infatti Egli può predire e prevedere anche le cose che fanno gli altri; ma dice: ha potere anche di fare; e perciò quello che è fatto non appartiene ad altri, ma a lui. 10.20 - Non si può essere figli di Abramo senza la fede; quindi Dio dona anche la fede O sarà per caso così: Dio promise ad Abramo le opere buone che le nazioni avrebbero compiuto in Colui che doveva nascere dal suo seme, per promettere quello che Egli stesso fa; non promise la conversione delle nazioni, che gli uomini mettono in pratica da sé, ma previde la fede che gli uomini avrebbero messo in pratica di loro iniziativa, affinché potesse promettere quello che compie Egli stesso? Non parla certo così l'Apostolo; Dio promise figli ad Abramo che seguissero le orme della sua fede, e lo dice in maniera chiarissima. D'altronde se Dio promise le opere delle nazioni, non la fede, allora, dato che non ci sono opere buone se non provengono dalla fede ( Il giusto infatti vive di fede; ( Ab 2,4 ) e: Tutto ciò che non deriva dalla fede è peccato; ( Rm 14,23 ) Senza la fede è impossibile piacere ( Eb 11,6 ) ), ricadiamo nel concetto che è in potestà dell'uomo di dare compimento a ciò che Dio ha promesso. Se infatti l'uomo non facesse ciò che gli spetta di fare senza doni da parte di Dio, Dio stesso non darebbe adempimento a ciò che dona; cioè, se l'uomo non ha la fede da se stesso, Dio non adempie la sua promessa di donare le opere di giustizia. E perciò non è in potere di Dio, ma dell'uomo, che Dio adempia le sue promesse. Ma se la verità e la pietà ci impediscono di credere ciò, crediamo con Abramo che Dio è anche capace di fare quello che ha promesso. Ma ha promesso figli ad Abramo; poiché essi non possono esserlo se non hanno la fede, allora è proprio lui che dona anche la fede. 11.21 - L'uomo confidi nella ferma promessa del Signore piuttosto che nella sua debole volontà Veramente, se l'Apostolo dice: Perciò la promessa viene dalla fede, così che secondo la grazia sia sicura la promessa a tutta la posterità, ( Rm 4,16 ) mi meraviglio che gli uomini preferiscano affidarsi alla loro debolezza piuttosto che alla sicurezza della promessa divina. Ma, si obietta, è incerta la volontà di Dio nei miei riguardi. E che dunque? È forse certa per te la tua volontà riguardo a te stesso? E non hai paura? Quello che sembra stare in piedi, badi di non cadere. ( 1 Cor 10,12 ) Se dunque sono incerte entrambe le volontà, perché l'uomo non affida la sua fede, speranza e carità a quella più salda invece che a quella più debole? 11.22 - Come vadano intese le parole: se crederai, sarai salvato "Ma quando viene detto: Se crederai sarai salvo, ( Rm 10,9 ) una di queste due cose", essi dicono, "si esige, l'altra si offre. Quella che si esige è in potere dell'uomo; quella che si offre, di Dio". Ma perché non dovrebbero essere tutte e due in potere di Dio, sia quella che Egli ordina, sia quella che Egli offre? Preghiamo infatti perché Egli dia quello che comanda; i credenti pregano perché ad essi sia accresciuta la fede; pregano per i non credenti, perché la fede sia loro donata; dunque sia nei suoi accrescimenti sia nei suoi inizi la fede è dono di Dio. Ma è detto: Se crederai sarai salvo, come pure: Se farete morire le azioni della carne attraverso lo spirito, vivrete. ( Rm 8,13 ) Pertanto anche qui, dei due elementi uno viene richiesto, l'altro offerto. Infatti dice: Se farete morire le azioni della carne attraverso lo spirito, vivrete. Dunque da una parte si richiede che attraverso lo Spirito facciamo morire le azioni della carne; dall'altra ci si offre la vita. Per tale motivo si giudica forse giusto non considerare dono di Dio il mortificare le azioni della carne né come tale riconoscerlo, perché ascoltiamo che esso lo si esige da noi e ci si offre la vita come premio, se obbediremo? Chi partecipa della grazia e la difende si guardi bene dall'approvare simile convinzione! Questo è l'errore che bisogna condannare nei pelagiani; ma subito l'Apostolo chiude loro la bocca aggiungendo: Quanti infatti sono guidati dallo Spirito di Dio, questi sono figli di Dio, ( Rm 8,14 ) affinché noi non credessimo che siamo noi a far morire le opere della carne mediante il nostro spirito e non mediante lo Spirito di Dio. E di questo Spirito di Dio l'Apostolo parla nel passo seguente: Tutte queste cose le compie il solo e medesimo Spirito, distribuendo i doni a ciascuno come vuole. ( 1 Cor 12,11.98; Ez 36,27 ) E tra tutti questi doni, come sapete, ha nominato anche la fede. Dunque benché sia dono di Dio far morire le azioni della carne, tuttavia questa azione si esige da noi, e il premio che ci si presenta è la vita; allo stesso modo dono di Dio è anche la fede, benché essa pure, quando si dice: Se crederai sarai salvo, si esiga da noi, e il premio offerto per essa è la salvezza. Perciò queste cose nello stesso tempo sono ordinate a noi e sono indicate come doni di Dio, perché si comprenda che da una parte siamo noi a farle, dall'altra è Dio a far sì che le facciamo, come dice in modo assai chiaro per bocca del profeta Ezechiele. Che c'è di più chiaro del passo ove afferma: Io farò sì che voi facciate? ( Ez 36,27 ) Riflettete su questo passo della Scrittura e vedrete che Dio promette di fare in modo che essi facciano quelle cose che Egli ordina di fare. Certo lì non tace ciò che essi hanno meritato, ma il loro merito è tutto nel male; ( Ez 36,31 ) eppure Egli mostra di cambiare nel bene il loro merito che era nel male, perché in seguito li fa entrare in possesso di opere buone, concedendo loro di mettere in pratica i precetti divini. 12.23 - Nei bambini e nel nostro Mediatore non si possono ritrovare meriti precedenti Con tutta questa argomentazione noi sosteniamo che la grazia di Dio attraverso Gesù Cristo nostro Signore è veramente grazia, cioè non viene data secondo i nostri meriti. E benché questa dottrina sia affermata nella maniera più evidente dalle testimonianze delle parole divine, incontra qualche difficoltà presso gli adulti che già usano l'arbitrio della volontà e pensano di essere frustrati in ogni loro sforzo religioso se non si attribuiscono qualche cosa da poter dare per primi affinché ne siano retribuiti. Ma quando si viene ai bambini e al Mediatore stesso di Dio e degli uomini, l'uomo Gesù Cristo, ( 1 Tm 2,5 ) ogni possibile rivendicazione di meriti umani precedenti alla grazia di Dio viene meno: non si può sostenere né che alcuni bimbi siano distinti dagli altri per qualche merito precedente, in modo da appartenere al Liberatore degli uomini, né che essendo Egli pure uomo, Cristo divenne liberatore degli uomini per un qualche merito umano. 12.24 - Se i bambini vengono giudicati secondo i meriti che avrebbero avuto, se fossero vissuti … Non si può infatti accettare quanto dicono, e cioè che alcuni bambini escono da questa vita battezzati appunto in età infantile grazie ai loro meriti futuri, invece altri muoiono non battezzati nella stessa età perché anche di essi sono conosciuti in precedenza i meriti futuri, che saranno però nel male. Così Dio non premia o condanna in loro una vita buona o cattiva, ma una vita che non c'è mai stata. L'Apostolo però pose un limite che l'imprudente supposizione dell'uomo, se con alquanta indulgenza vogliamo chiamarla così, non deve oltrepassare. Dice: Tutti staremo di fronte al tribunale di Cristo, affinché ciascuno riceva la ricompensa secondo quanto compì con il suo corpo, sia di buono, sia di cattivo; ( 2 Cor 5,10 ) compì dice; non aggiunse: o avrebbe compiuto. Io non so come a tali uomini sia potuto venire in mente che nei fanciulli siano puniti o premiati meriti futuri che non ci saranno mai. Ma perché è detto che l'uomo dev'essere giudicato secondo quanto compì attraverso il corpo, mentre si può agire anche con l'animo soltanto, non interponendo il corpo o alcun suo membro? Anzi, tali pensieri sono sovente così gravi che spetta loro un giustissimo castigo; uno di questi pensieri, per tacere di tutto il resto, è quello che disse lo stolto in cuor suo: Dio non c'è. ( Sal 14,1 ) Secondo quanto compì con il suo corpo significa solo questo: secondo quanto compì nel tempo in cui fu nel corpo, e l'espressione con il corpo si deve intendere: durante la vita del corpo. Ma dopo la morte del corpo nessuno sarà più rivestito di esso se non nel giorno estremo della resurrezione; e allora non sarà per procacciarci altri meriti, ma per ricevere il premio di quelli che abbiamo nel bene e per pagare la pena di quelli che abbiamo nel male. Ma durante questo tempo intermedio tra la deposizione e la riassunzione del corpo le anime o vengono tormentate o trovano pace secondo quanto compirono durante la vita del corpo. E al periodo della vita materiale appartiene anche ciò che i pelagiani negano, ma la Chiesa di Cristo riconosce: il peccato originale. Esso può essere eliminato per la grazia di Dio o non eliminato per il giudizio di Dio, e i bambini, quando muoiono, o per merito della rigenerazione passano dal male al bene, o per colpa dell'origine passano dal male al male. Questo sa la fede cattolica; in questo anche alcuni eretici sono d'accordo senza aver nulla da contraddire. Ma io resto meravigliato e stupito e non riesco a capire da dove uomini il cui ingegno non è trascurabile, come indicano le vostre lettere, abbiano potuto dedurre che qualcuno possa essere giudicato non secondo i meriti che ha avuto finché fu nel corpo, ma secondo i meriti che avrebbe riportato se fosse vissuto più a lungo nel corpo. E non lo crederei, se avessi l'ardire di non credere a voi. Ma spero che Dio li assisterà, e dopo averli ammoniti li indurrà ad aprire gli occhi sulla questione; se quei peccati che secondo loro saranno commessi si possono giustamente punire nei non battezzati attraverso il giudizio di Dio, allora si possono anche perdonare ai battezzati attraverso la grazia di Dio. Chiunque infatti dice che i peccati futuri possono soltanto essere puniti dal giudizio di Dio, mentre non possono essere perdonati dalla sua misericordia, deve pensare quanto torto fa a Dio e alla sua grazia; come se di un peccato futuro fosse possibile la prescienza, ma non il perdono! Ma se una simile ipotesi è assurda, a maggior ragione Dio dovrebbe prestare soccorso, concedendo il lavacro che purifica i peccati, ai bambini che muoiono in tenera età, ma che sarebbero divenuti peccatori se fossero vissuti più a lungo. 13.25 - … oppure se sono privati del Battesimo perché Dio prevede che se vivessero non si pentirebbero Ma potrebbero dire che i peccati sono rimessi a chi si pente; perciò alcuni morendo in età infantile non sono battezzati perché Dio già sa che se vivessero non si pentirebbero; al contrario quelli che vengono battezzati ed escono dal corpo da bambini, Dio già sapeva che se fossero vissuti si sarebbero pentiti. Facciano attenzione allora e si rendano conto: se fosse così, nei bambini che muoiono senza battesimo non sarebbero puniti i peccati originali, ma quelli che avrebbero commesso se fossero vissuti. Allo stesso modo ai battezzati non verrebbero rimessi i peccati originali, ma quelli che commetterebbero se vivessero. Essi non potrebbero peccare se non in età adulta, ma poiché era previsto che alcuni avrebbero fatto penitenza, altri no, alcuni escono battezzati da questa vita, altri senza battesimo. Se i pelagiani osassero sostenere ciò, non si affaticherebbero più a negare il peccato originale e a cercare quindi per i bambini un luogo di non so quale felicità al di fuori del regno di Dio, specialmente quando noi dimostriamo che i bambini non possono avere la vita eterna perché non hanno mangiato la carne e non hanno bevuto il sangue di Cristo. ( Gv 6,54 ) E poi, secondo quanto sostengono loro, in essi che non hanno assolutamente alcun peccato, il battesimo che si conferisce per la remissione dei peccati sarebbe falso. I pelagiani senz'altro hanno pronte le risposte: non c'è alcun peccato originale, ma quelli che vengono liberati dal corpo ancora infanti sono battezzati o no a seconda dei meriti che acquisterebbero se vivessero; a seconda dei loro futuri meriti essi ricevono o non ricevono il corpo e il sangue di Cristo, senza il quale non possono avere la vita; sono battezzati per una remissione autentica di peccati, benché essi non ne traggano alcuno da Adamo, perché sono rimessi loro i peccati dei quali Dio ha avuto prescienza che essi si sarebbero pentiti. Così con estrema facilità difenderebbero e vincerebbero la loro causa, fondata sulla negazione del peccato originale e sulla pretesa che la grazia di Dio viene assegnata unicamente secondo i nostri meriti. Ma i meriti futuri dell'uomo che non sono destinati a realizzarsi sono meriti che non esistono ed è estremamente facile capirlo. Perciò né i pelagiani hanno potuto dire una cosa simile, né a maggior ragione lo debbono dire questi nostri fratelli. Non si può esprimere quanto mi sia fastidioso da sopportare che costoro non abbiano saputo scorgere quello che i pelagiani hanno riconosciuto di una falsità e assurdità estreme. Eppure insieme con noi condannano in base all'autorità cattolica l'errore di quegli eretici. 14.26 - Cipriano e il libro della Sapienza non concordano con simili convinzioni Cipriano scrisse un libro Sulla mortalità, lodevolmente noto a molti e a quasi tutti quelli che prediligono la letteratura religiosa; in esso dice appunto che la morte non solo non è inutile ai fedeli, ma si può anche riconoscere utile perché sottrae l'uomo ai pericoli del peccato e lo mette nella sicurezza di non peccare. Ma a che gioverebbe la morte, se fossero puniti perfino i peccati futuri, che non saranno commessi? Invece egli sviluppa con grande ampiezza ed eccellenza di pensiero la dimostrazione che i pericoli di peccare non mancano in questa vita, ma non esistono più dopo di essa. E lì inserisce anche quella testimonianza tratta dal libro della Sapienza: Fu strappato affinché la malizia non cambiasse la sua mente. ( Sap 4,11 ) E anch'io ho addotto questo passo, ma voi mi avete fatto sapere che codesti monaci l'hanno rifiutato in quanto non era tratto da un libro canonico; come se anche tolta di mezzo l'attestazione di questo libro, la verità che con quel passo ho voluto inculcare non fosse chiara di per se stessa! Infatti quale cristiano oserebbe negare che se un giusto viene colto in anticipo dalla morte, entrerà nel refrigerio? ( Sap 4,7 ) Chiunque sia ad aver detto questa verità, quale uomo di fede sana penserà di rifiutarla? E mettiamo che uno dica: Se il giusto si allontana dalla giustizia nella quale ha vissuto a lungo e muore proprio nell'empietà nella quale è magari vissuto non dico un anno, ma un giorno solo, passando di qui alle pene dovute ai malvagi, a nulla gli gioverà la sua passata giustizia; ( Ez 18,24 ) quale fedele vorrà contraddire questa lampante verità? Per di più, se ci venisse chiesto: Se egli fosse morto allora, quando era giusto, avrebbe trovato il castigo o il riposo? Forse esiteremmo a rispondere che avrebbe trovato il riposo? Questa è tutta la ragione per cui fu detto, chiunque sia stato a dirlo: Fu strappato affinché la malizia non mutasse la sua mente. Ciò è stato detto pensando ai pericoli di questa vita, e non c'entra la prescienza di Dio, che sapeva in precedenza quello che sarebbe stato, non quello che non sarebbe stato: cioè Egli sapeva che gli avrebbe fatto dono di una morte prematura perché il giusto fosse sottratto all'incertezza delle tentazioni, non che il giusto avrebbe peccato, dato che questi non doveva restare esposto alla tentazione. E che questa vita è una tentazione si legge nel libro di Giobbe: Forse che la vita umana sulla terra non è una tentazione? ( Gb 7,1 sec. LXX ) Ma riguardo al motivo per cui ad alcuni è concesso di essere strappati ai pericoli di questa vita finché sono giusti, mentre altri sono mantenuti attraverso una vita più lunga nei medesimi pericoli finché decadano dalla loro giustizia, chi comprese il pensiero del Signore? ( Rm 11,34 ) E tuttavia da qui è concesso capire che anche quei giusti che conservano costumi buoni e pii fino alla tarda vecchiaia e all'ultimo giorno di questa vita non si devono gloriare dei propri meriti, ma nel Signore, perché Colui che ha rapito il giusto dopo una vita breve, affinché la malizia non cambiasse la sua mente, è il medesimo che attraverso una vita lunga quanto si vuole salvaguarda il giusto affinché la malizia non muti la sua mente. Ma chi si chiede perché abbia mantenuto sulla terra un giusto che sarebbe caduto, mentre poteva portarlo via prima che cadesse, rammenti che i suoi giudizi sono assolutamente giusti, ma imperscrutabili. 14.27 - L'affermazione del libro della Sapienza equivale alle interpretazioni degli antichi commentatori cattolici Se così sta la questione, non avrebbero dovuto essere ripudiate le parole del libro della Sapienza; questo libro ha meritato di essere recitato solennemente nella Chiesa di Cristo dai lettori della Chiesa di Cristo ormai da tanti anni che tutti i cristiani, dai vescovi fino agli ultimi fedeli laici, penitenti, catecumeni, lo ascoltano venerandone la divina autorità. Ma supponiamo che io traessi dai commentatori della Scrittura vissuti prima di noi la difesa di questa dottrina che ora con più rigore ed ampiezza del solito siamo costretti a sostenere contro il nuovo errore dei pelagiani; e riassumiamo qual è il nostro pensiero: la grazia di Dio non viene data secondo i nostri meriti e a chi viene data viene data gratuitamente, perché non sta né a chi vuole né a chi corre, ma a Dio che ha misericordia; e a chi non viene data, non viene data per un giusto giudizio, perché non c'è ingiustizia in Dio. ( Rm 9,14.16 ) Se dunque io derivassi la difesa di questa dottrina dai commentatori cattolici della Scrittura che sono venuti prima di noi, certo questi monaci, a vantaggio dei quali ora discutiamo, starebbero tranquilli, e me lo avete fatto capire con le vostre lettere. Ma quale bisogno c'è che noi andiamo a frugare le loro opere, dato che prima che sorgesse l'eresia pelagiana non avevano la necessità di sprofondarsi in questa difficile questione per risolverla? Però naturalmente l'avrebbero fatto se fossero stati costretti a rispondere a simili individui. Il risultato è che in alcuni punti dei loro scritti accennano brevemente e di passaggio alla loro opinione sulla grazia di Dio; si dilungano invece sugli argomenti intorno ai quali si svolgeva allora la lotta contro i nemici della Chiesa e sulle esortazioni a tutte le virtù con le quali gli uomini servono Dio vivo e vero per ottenere la vita eterna e la vera felicità. Quale fosse la forza della grazia di Dio era indicato semplicemente nel continuo ricorso alle preghiere; infatti non s'implorerebbe da Dio di adempiere le cose che Egli ordina di fare, se l'adempierle non fosse un suo dono. 14.28 - La testimonianza di Cipriano Ma quelli che vogliono essere istruiti sulle opinioni dei trattatisti bisogna che antepongano a tutti costoro proprio il libro della Sapienza, dove si legge: Fu strappato, affinché la malizia non cambiasse la sua mente, ( Sap 4,11 ) e il motivo di ciò è che lo anteposero all'autorità propria i più illustri commentatori già dell'epoca più vicina agli Apostoli. Essi lo usavano come una prova, persuasi di addurre un'autentica testimonianza divina. E risulta con certezza che San Cipriano, per dimostrare il beneficio di una morte precoce, sostenne che si è ormai sottratti ai pericoli del peccato quando si giunge al termine di questa vita nella quale si può peccare. Nel medesimo libro, già citato, dice fra l'altro: Perché tu, che sei destinato ad essere con Cristo e sei sicuro della promessa del Signore, non accogli a braccia aperte di essere chiamato a Cristo e non ti rallegri di essere allontanato dal diavolo? E in un altro passo dice: I bambini sfuggono al pericolo di un'età malsicura; e in un altro ancora: Perché non ci affrettiamo correndo per poter vedere la nostra patria, salutare i padri nostri? Lì un gran numero di nostri cari ci aspetta, genitori, fratelli, figli; una folla numerosa e folta ci desidera, sicura ormai della sua incolumità, ancora in ansia per la nostra salvezza. Con queste ed altre espressioni dello stesso genere quel famoso Dottore nella luce sfolgorante della fede cattolica testimonia in maniera adeguata e chiara che bisogna temere i pericoli e le tentazioni del peccato fino alla deposizione di questo corpo; da allora in poi nessuno rischierà più simili pericoli. Ma anche se questa testimonianza non bastasse, quale cristiano, chiunque esso sia, potrebbe dubitare di questa verità? Se un individuo cade e nella caduta conclude miseramente questa vita e va verso le pene dovute agli uomini come lui, come si potrà sostenere, dico io, che non sarebbe stato per lui un enorme, incommensurabile vantaggio, se fosse stato strappato con la morte da questo luogo di tentazioni prima che cadesse? 14.29 - Conclusione E con questo, a condizione che ci si astenga da una discussione per partito preso, si pone termine totalmente alla questione relativa a chi fu strappato affinché la malizia non mutasse la sua mente. ( Ez 36,27 ) E il libro della Sapienza, che per un così lungo numero di anni ha meritato d'essere letto nella Chiesa di Cristo, compreso questo passo, non dev'essere riprovato perché si oppone a quelli che cadono nell'inganno di sostenere i meriti dell'uomo e quindi finiscono per andare contro l'evidenza somma della grazia di Dio. Eppure essa si manifesta con tutta chiarezza nei bambini. Nel fatto che alcuni di essi muoiono battezzati, altri senza battesimo, si dimostrano adeguatamente la misericordia e il giudizio: la misericordia gratuita, il giudizio dovuto. Se infatti gli uomini fossero giudicati in base ai meriti della loro vita che non ebbero perché prevenuti dalla morte, ma che avrebbero avuto se fossero vissuti, niente gioverebbe a colui che fu strappato affinché la malizia non mutasse la sua mente; niente gioverebbe a coloro che muoiono dopo la caduta, se potessero morire prima. a questo nessun cristiano oserà dirlo. Di conseguenza i nostri fratelli che insieme con noi combattono il pericolo dell'eresia pelagiana a vantaggio della fede cattolica, non devono condividere la convinzione di Pelagio che la grazia di Dio viene data secondo i nostri meriti. In questa maniera essi si adoperano a demolire la convinzione assolutamente vera e accettata da sempre dai cristiani: Fu strappato affinché la malizia non mutasse la sua mente, mentre gli eretici stessi non osano tanto. Finirebbero col sostenere una teoria che secondo noi nessuno potrebbe, non dico credere, ma nemmeno sognare, cioè che chiunque muore viene giudicato in base a ciò che avrebbe fatto se fosse vissuto più a lungo. Così la verità da noi sostenuta, che la grazia di Dio non viene data secondo i nostri meriti, è evidente a tal punto che uomini d'ingegno nel contraddirla sono stati costretti a fare delle affermazioni che sono rifiutate sia dalle orecchie, sia dal senno di tutti. 15.30 - Il Salvatore, luminoso esempio di predestinazione e di grazia C'è anche quel lume splendidissimo di predestinazione e di grazia che è il Salvatore stesso, il Mediatore di Dio e degli uomini, l'uomo Cristo Gesù. ( 1 Tm 2,5 ) Ma per conseguire quel risultato, quali sono i meriti nelle opere o nella fede che la natura umana che è in lui si era procurata precedentemente? Si risponda, per favore: quell'uomo da dove trasse il merito per essere assunto dal Verbo coeterno al Padre in unità di persona e diventare Figlio unigenito di Dio? Quale bene, qualunque esso fosse, c'era stato in lui in precedenza? Che cosa aveva fatto prima, che cosa aveva creduto, che cosa aveva chiesto, per arrivare a questa inesprimibile sublimità? Non fu forse perché il Verbo lo creò e lo assunse, che quest'uomo cominciò ad essere Figlio unico di Dio dal momento stesso che cominciò ad esistere? Quella donna piena di grazia non lo concepì forse come Figlio unico di Dio? Non fu forse dallo Spirito Santo e dalla vergine Maria che nacque il Figlio unico di Dio, non per brama carnale, ma per singolare dono di Dio? C'era forse da temere che col progredire dell'età quell'uomo peccasse attraverso il libero arbitrio? O invece in lui la volontà non era libera? O non piuttosto egli era tanto più libero quanto meno poteva sottomettersi al peccato? Certamente la natura umana, cioè la nostra, accolse singolarmente in lui tutte queste qualità singolarmente mirabili, e quante altre in assoluta verità si possono dichiarare sue proprie, senza alcun merito precedente. Qui l'uomo risponda a Dio, se ne ha il coraggio, e dica: Perché non avviene lo stesso anche per me? E si sentirà rispondere: O uomo, chi sei tu per rispondere a Dio? ( Rm 9,20 ) A questo punto accresca l'impudenza invece di frenarla ed aggiunga: Come dovrei intendere: Chi sei tu, o uomo? Se io sono quello che mi sento dire, cioè uomo, e uomo è anche Colui di cui sto parlando, perché non dovrei essere quello che è lui? È in virtù della grazia che Egli ha tanta dignità e grandezza. Perché la grazia è diversa, quando la natura è comune? Certo non vi è parzialità per le persone presso Dio. ( Gen 3,24 ) Via, discorsi del genere non li farebbe mai non dico un cristiano, ma neppure un folle. Nel nostro Capo la fonte stessa della grazia. 15.31 - Grazia e predestinazione sia di Cristo che di noi sono doni gratuiti di Dio Ci sia manifesta dunque nel nostro Capo la fonte stessa della grazia, da cui secondo la misura assegnata a ciascuno essa si diffonde per tutte le sue membra. Fin dall'inizio della sua fede ogni uomo diviene cristiano per la medesima grazia, per la quale quell'uomo fin dall'inizio del suo esistere divenne Cristo; dal medesimo Spirito quegli è rinato e Questi è nato; per il medesimo Spirito avviene che a noi siano rimessi i peccati e che Egli non abbia alcun peccato. Dio certamente conobbe per prescienza che avrebbe compiuto queste cose. Dunque questa è la predestinazione dei santi, che si manifestò al grado più alto nel Santo dei santi. E chi potrà confutarla fra coloro che rettamente intendono le parole della verità? Infatti noi abbiamo appreso che fu predestinato lo stesso Signore della gloria, in quanto essendo uomo divenne Figlio di Dio. Proclama il Dottore delle Genti al principio delle sue epistole: Paolo servo di Gesù Cristo, chiamato ad essere Apostolo, riservato al Vangelo di Dio, che già era stato promesso per mezzo dei Profeti nelle Sante Scritture riguardanti il Figlio suo, che nacque secondo la carne dal seme di David, che fu predestinato Figlio di Dio nella sua potenza, secondo lo Spirito di santità, con la resurrezione dai morti. ( Rm 1,1-4 ) Dunque questa fu la predestinazione di Gesù: Colui che doveva essere figlio di David secondo la carne, sarebbe stato tuttavia nella sua potenza Figlio di Dio secondo lo Spirito di santità, perché nacque dallo Spirito Santo e dalla vergine Maria. Il Dio Verbo agendo in maniera ineffabile e singolare assunse l'uomo; per questo fatto con verità e precisione Egli fu detto Figlio di Dio e figlio dell'uomo insieme, figlio dell'uomo perché l'uomo veniva assunto, e Figlio di Dio perché era Dio l'Unigenito che assumeva l'uomo; altrimenti si dovrebbe credere non ad una trinità, ma ad una quaternità. E fu predestinata questa assunzione della natura umana, questa assunzione così grande, elevata e sublime che l'umanità non poteva innalzarsi a mete più alte, mentre la divinità non poteva discendere a maggiore umiltà, accogliendo la natura dell'uomo insieme all'infermità della carne fino alla morte sulla croce. Come dunque fu predestinato quell'Unico ad essere il nostro capo, così noi nella nostra moltitudine siamo predestinati ad essere le sue membra. E allora tàcciano i meriti umani che si sono dissolti in Adamo; regni, come regna, la grazia di Dio attraverso Gesù Cristo Signore nostro, unico Figlio di Dio, solo Signore. Chiunque troverà nel nostro Capo dei meriti che abbiano preceduto la sua singolare generazione, questi ricerchi anche in noi, sue membra, dei meriti che abbiano preceduto il moltiplicarsi in noi della rigenerazione. E infatti a Cristo non fu data in ricompensa ma in dono quella generazione che, estraneo ad ogni vincolo di peccato, lo fece nascere dallo Spirito e dalla Vergine. Allo stesso modo anche a noi la rinascita dall'acqua e dallo Spirito non fu data in ricompensa di qualche merito, ma concessa gratuitamente; e se la fede ci ha condotto al lavacro della rigenerazione, non per questo dobbiamo pensare che per primi noi abbiamo dato qualcosa per ricevere in cambio questa rigenerazione salutare. Certamente a farci credere in Cristo fu Colui che fece nascere per noi il Cristo in cui crediamo; a creare negli uomini il principio della fede e il suo perfezionamento in Gesù è Colui che ha fatto l'uomo Gesù autore e perfezionatore della fede. ( Eb 12,2 ) Così Egli è chiamato, come sapete, nell'Epistola agli Ebrei. 16.32 - Quelli che sono chiamati secondo il decreto Infatti Dio chiama i suoi molti figli predestinati per renderli membra del suo unico Figlio predestinato, ma non con quella vocazione che ricevettero anche coloro che non vollero venire alle nozze. ( Lc 14,16-20 ) Questo secondo genere di chiamata fu rivolto anche ai Giudei, per i quali Gesù crocifisso è scandalo, e ai Gentili, per i quali il crocifisso è stoltezza; al contrario la chiamata dei predestinati è quella che l'Apostolo distinse dicendo che egli predicava ai chiamati, Giudei e Greci, Cristo potenza e sapienza di Dio. Le parole: Appunto per i chiamati, ( 1 Cor 1,23-24 ) servono a contraddistinguere i non chiamati. Sapeva che c'è un tipo di appello sicuro per quelli che sono stati chiamati secondo il decreto, perché Dio ne ebbe prescienza e li predestinò ad essere conformi all'immagine del Figlio suo. ( Rm 8, 28.29 ) Riferendosi a questa chiamata dice: Non dalle opere, ma dal volere di Colui che chiama le fu detto: Il maggiore servirà il minore. ( Rm 9,12.13 ) Disse forse: Non dalle opere, ma da chi ha la fede? niente affatto; anche questo lo tolse all'uomo per darlo a Dio. Disse dunque: dal volere di Colui che chiama, non con qualsiasi chiamata, ma con quella che rende credenti. 16.33 - I doni e la chiamata di Dio sono senza ripensamenti E sempre a questa guardava l'Apostolo quando diceva: I doni e la chiamata di Dio sono senza ripensamenti. Prestate un po' di attenzione al contenuto di questo passo. Dopo aver detto: Non voglio che ignoriate, fratelli, questo mistero, perché non presumiate la sapienza da voi stessi; l'accecamento si è provocato su una parte di Israele, finché entrino tutte le nazioni, e così Israele tutto sia salvo; come è scritto: Verrà da Sion il Liberatore e distoglierà l'empietà da Giacobbe, e questa sarà l'alleanza da parte mia con loro, quando avrò tolto i loro peccati, ha aggiunto una frase su cui si deve riflettere attentamente: Secondo il Vangelo sono nemici [ di Dio ] a causa di voi, secondo l'elezione sono amati a causa dei padri. ( Rm 11,25-29 ) Che vuol dire: Secondo il Vangelo sono nemici a causa di voi, se non che la loro inimicizia che li spinse ad uccidere Cristo, come vediamo, giovò sicuramente al Vangelo? L'Apostolo dimostra che ciò è provenuto da una disposizione di Dio, che sa usare bene anche dei cattivi, non affinché i vasi d'ira giovino a lui stesso, ma affinché, dato che egli li usa bene, giovino ai vasi di misericordia. Come si poteva parlare più chiaramente di così: Secondo il Vangelo sono nemici [ di Dio ] a causa di voi? Dunque peccare è in potestà dei malvagi; ma che peccando con la loro malizia provochino questo o quell'effetto, non è in loro potestà, ma di Dio che divide le tenebre e le dirige al fine. Ne consegue che pur agendo essi contro la volontà di Dio, non si adempie che la volontà di Dio. Leggiamo negli Atti degli Apostoli che gli Apostoli messi in libertà dai Giudei tornarono dai propri fratelli e raccontarono loro tutto ciò che i sacerdoti e gli anziani avevano detto loro. Ed essi tutti concordi levarono la voce al Signore e dissero: Signore, sei tu che hai fatto il cielo e la terra e il mare e tutte le cose che sono in essi, tu che hai detto per bocca del padre nostro David, santo servo tuo: Perché fremono le nazioni e i popoli hanno macchinato disegni vani? Si sono sollevati i re della terra e i principi si sono raccolti contro il Signore e contro il Cristo suo. Infatti si sono trovati insieme in questa città contro il santo tuo servo Gesù che tu hai unto, Erode e Pilato e il popolo di Israele a fare tutto ciò che la tua mano e il tuo consiglio avevano predestinato che si facesse. ( At 4,24-28 ) Ecco, che significa la frase: Secondo il Vangelo sono nemici [ di Dio ] a causa di voi? Certamente la mano e il disegno di Dio predestinarono che i Giudei suoi nemici facessero tutto quanto era necessario per noi di fronte alla prospettiva del Vangelo. Ma che vuol dire quello che segue: Secondo l'elezione però sono amati a causa dei padri? Forse quei nemici che andarono in perdizione nelle loro inimicizie e che tra quella gente ancora oggi vanno in perdizione perché sono ostili a Cristo, questi stessi sarebbero gli eletti e gli amati? Assurdo: chi mai, anche il più stolto, potrebbe affermarlo? Ma entrambe le cose, per quanto tra loro contrarie, cioè essere nemici ed essere amati, se non si adattano ai medesimi individui, si adattano però alla medesima nazione dei Giudei e alla medesima discendenza carnale di Israele, perché alcuni appartengono allo zoppicamento, altri alla benedizione dello stesso Israele. ( Gen 32,25-32 ) E infatti ha chiarito questo significato più apertamente in precedenza, quando ha detto: Quello che Israele cercava non l'ottenne; invece la parte eletta l'ha ottenuto, mentre gli altri sono stati accecati. ( Rm 11,7 ) Ma tanto i primi quanto i secondi sono sempre Israele. Dunque quando ascoltiamo: Israele non l'ottenne, oppure: gli altri sono stati accecati, bisogna intendere che questi siano i nemici a causa di voi; e quando udiamo: Invece la parte eletta l'ha ottenuto, bisogna intendere che questi sono gli amati a causa dei padri, quei padri cioè ai quali erano state fatte le promesse. Appunto ad Abramo furono rivolte le promesse e alla sua discendenza. ( Gal 3,16 ) E poi in questo olivo fu innestato l'oleastro delle Genti. ( Rm 11,17 ) Ma l'elezione di cui parla l'Apostolo ci deve subito venire in mente che è secondo la grazia, non secondo il debito; difatti un residuo fu salvato per elezione della grazia. ( Rm 11,5 ) Questa è l'elezione che ottenne quello che cercava, mentre gli altri furono accecati. È secondo questa elezione che gli Israeliti sono amati a causa dei padri. Infatti non furono chiamati secondo quella vocazione della quale è detto: Molti sono i chiamati, ( Mt 20,16 ) ma secondo quella che si rivolge agli eletti. Per cui anche in quel passo, dopo aver detto: Secondo l'elezione però sono amati a causa dei padri, subito l'Apostolo aggiunge le parole di cui trattiamo: I doni e la chiamata di Dio sono senza ripensamenti, cioè fissati stabilmente senza possibilità di mutazione. Quelli che fanno parte di questa chiamata ricevono tutti il loro insegnamento da Dio e nessuno di essi può dire: Ho creduto affinché fossi chiamato in questa maniera; no, è stata la misericordia di Dio che lo ha prevenuto; egli è stato chiamato perché credesse. Infatti tutti quelli che ricevono l'insegnamento da Dio vengono al Figlio, perché hanno udito ed appreso dal Padre per mezzo del Figlio, che dice con tanta evidenza: Chiunque ha udito dal Padre ed ha appreso, viene a me. ( Gv 6,45 ) Di questi nessuno si perde, perché di tutto ciò che il Padre gli diede nulla perderà. ( Gv 6,39 ) Chiunque fa parte di quel numero, assolutamente non si perde; e chi si perde non ne faceva parte. Perciò è detto: Sono usciti di fra noi, ma non erano dei nostri, perché se fossero stati dei nostri, sarebbero restati senz'altro con noi. ( 1 Gv 2,19 ) 17.34 - La chiamata degli eletti Cerchiamo di capire dunque in che consista la chiamata che crea gli eletti, i quali non sono eletti perché hanno creduto, ma sono eletti perché credano. Il Signore stesso ne svela assai bene la natura con le parole: Non siete voi che avete scelto me, ma io ho scelto voi. ( Gv 15,16 ) Infatti se fossero stati scelti perché avevano creduto, evidentemente sarebbero stati loro per primi a sceglierlo con il credere in lui, e così avrebbero meritato di essere scelti. Ma esclude completamente questa ipotesi chi dice: Non siete stati voi che avete scelto me, ma io ho scelto voi. Fuor d'ogni dubbio anch'essi lo hanno scelto, quando hanno creduto in lui. Quando dice: Non siete stati voi che avete scelto me, ma io ho scelto voi, questo solo ne è il significato: non sono stati loro a sceglierlo in modo da farsi scegliere da lui, ma fu lui che li scelse in maniera da farsi scegliere da loro. La sua misericordia infatti li prevenne, ( Sal 59,11 ) secondo la grazia, non secondo il debito. Egli li scelse dal mondo quando quaggiù viveva nella carne, ma già erano stati eletti in lui stesso prima della creazione del mondo. Questa è l'immutabile verità della predestinazione e della grazia. Infatti che significa quello che dice l'Apostolo: Ci elesse in lui prima della creazione del mondo? ( Ef 1,4 ) Se fosse stato detto perché Dio aveva prescienza che avrebbero creduto, non perché Egli stesso li voleva rendere credenti, contro questa prescienza parlerebbe il Figlio, dicendo: Non siete voi che avete scelto me, ma io ho scelto voi. Sarebbe come dire: Dio ha avuto prescienza che essi stessi avrebbero scelto Cristo, meritando così di essere scelti da lui. In realtà essi furono scelti prima della creazione del mondo attraverso quella predestinazione per cui Dio ha prescienza di ciò che farà in futuro, e furono scelti dal mondo con quella chiamata con la quale Dio dà compimento a ciò che ha predestinato. Infatti quelli che ha predestinato, li ha anche chiamati: s'intende, con quella chiamata che è secondo il decreto; dunque non altri, ma quelli che ha predestinato, Egli ha anche chiamato; né altri, ma quelli che ha chiamato così, ha anche giustificato; né altri, ma quelli che ha predestinato, chiamato, giustificato, ha anche glorificato, ( Rm 8,30 ) con quella finalità che non ha fine. Dunque Dio ha scelto i fedeli, ma affinché lo siano, non perché già lo erano. L'apostolo Giacomo dice: Dio non ha scelto forse i poveri in questo mondo per farli ricchi nella fede ed eredi del regno che Dio ha promesso a coloro che lo amano? ( Gc 2,5 ) Con lo sceglierli dunque li fa ricchi nella fede, come pure eredi del regno. Giustamente si può dire che sceglie in essi la fede, perché li ha scelti per farla nascere in essi. Scusate, nessuno potrebbe udire Dio che dice: Non siete voi che avete scelto me, ma io ho scelto voi, e avere il coraggio di affermare che gli uomini credono per essere scelti, quando al contrario sono scelti per credere. Altrimenti contro le parole della verità risulterebbe che essi hanno scelto Cristo per primi, mentre ad essi Cristo dice: Non siete voi che mi avete scelto, ma io ho scelto voi. 18.35 - Dio predestinò i suoi eletti prima della creazione del mondo Mettiamo che uno ascolti le parole dell'Apostolo: Benedetto sia Dio e Padre del Signore nostro Gesù Cristo che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale dall'alto dei cieli in Cristo, così come ci ha eletti in lui prima della creazione del mondo, perché fossimo santi e immacolati al suo cospetto in carità. Egli ci ha predestinati ad essere figli adottivi con la mediazione di Gesù Cristo, per lui stesso, secondo quanto piacque alla sua volontà, attraverso la quale ci ha gratificati nel Figlio suo diletto. In lui abbiamo la redenzione grazie al suo sangue stesso, la remissione dei peccati secondo la ricchezza della sua grazia, che fece ricadere in abbondanza su di noi con ogni sapienza e prudenza, per mostrarci il mistero della sua volontà, secondo la bontà del suo volere, per cui aveva prestabilito in lui, quando si fosse realizzata la pienezza dei tempi, di riunire tutte le cose in Cristo, quelle che sono nei cieli e quelle che sono sulla terra. In lui abbiamo anche ottenuto l'eredità, predestinati secondo il divisamento di Colui che opera tutte le cose secondo il decreto della sua volontà, affinché serviamo di lode alla sua gloria. ( Ef 1,3-12 ) Potrebbe costui, io dico, udire con attenzione ed intelligenza queste parole e dubitare della verità tanto chiara che difendiamo? Dio elesse in Cristo le sue membra prima della creazione del mondo; e come avrebbe potuto scegliere quelli che ancora non esistevano se non predestinandoli? Dunque ci ha scelto attraverso la predestinazione. Forse avrebbe scelto degli empi e degli immondi? Se si ponesse questo problema: Egli sceglie esseri simili o piuttosto i santi e immacolati? Chi si soffermerebbe a cercare una risposta invece di esprimersi subito in favore dei santi e degli immacolati? 18.36 - Dio ci scelse non perché saremmo stati santi, ma perché lo fossimo "Dunque egli aveva prescienza - dice il seguace di Pelagio - di quelli che sarebbero stati santi e immacolati attraverso l'arbitrio della libera volontà; per questo li scelse prima della creazione del mondo nella sua prescienza per la quale già sapeva che sarebbero stati tali. Li scelse dunque - egli dice - prima che esistessero, predestinando ad essere figli quelli che prevedeva che sarebbero stati santi e immacolati; allora non fu lui a farli tali, né previde che li avrebbe fatti tali, ma che essi lo sarebbero stati". Allora esaminiamo le parole dell'Apostolo e vediamo se Egli ci ha eletto prima della creazione del mondo perché saremmo stati santi e immacolati, oppure affinché lo diventassimo. Benedetto sia Dio e Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale dall'alto dei cieli in Cristo, così come ci ha eletti in lui stesso prima della creazione del mondo, perché fossimo santi e immacolati. ( Ef 1,3-4 ) Dunque ci scelse non perché noi lo saremmo stati, ma perché lo fossimo. Sì, è certo; sì, è manifesto: saremmo stati tali perché Egli ci aveva scelto, predestinando che fossimo santi e immacolati per la sua grazia. Così dunque ci benedisse con ogni benedizione spirituale dall'alto dei cieli in Cristo Gesù, così come ci ha eletti in lui stesso prima della creazione del mondo, perché fossimo santi e immacolati al suo cospetto per la carità, predestinandoci ad essere figli adottivi per la mediazione di Gesù Cristo per lui stesso. Fate bene attenzione a quello che aggiunge: secondo quanto piacque alla sua volontà: perché nell'immenso beneficio della grazia non ci gloriassimo come se ciò fosse piaciuto alla volontà nostra. Nella quale ci ha gratificati, dice, nel Figlio suo diletto: ( Ef 1,5-6 ) dunque è nella sua volontà che ci ha gratificati. "Ha gratificato" è parola che viene da grazia, così come "ha giustificato" viene da giustizia. In lui abbiamo, dice, la redenzione grazie al suo sangue stesso, la remissione dei peccati secondo la ricchezza della sua grazia, che fece ricadere in abbondanza su di noi con ogni sapienza e prudenza, per mostrarci il mistero della sua volontà, secondo il disegno della sua buona volontà. ( Ef 1,7-9 ) In questo mistero della sua volontà ha posto la ricchezza della sua grazia, secondo la buona volontà sua, non secondo la nostra, che non potrebbe essere buona, se Egli secondo la sua buona volontà non le prestasse il soccorso per farla diventare tale. E dopo aver detto: Secondo il disegno della sua buona volontà, aggiunge: che Egli aveva prestabilito in lui, cioè nel suo diletto Figlio, e per cui aveva deciso, alla realizzazione della pienezza dei tempi, di riunire tutte le cose in Cristo, quelle che sono nei cieli e quelle che sono sulla terra. In lui abbiamo anche ottenuto l'eredità, predestinati secondo il decreto di Colui che opera tutte le cose secondo il consiglio della sua volontà, affinché serviamo di lode alla sua gloria. ( Ef 1,11-12 ) 18.37 - Errore dei pelagiani che fanno precedere la grazia dai meriti umani Sarebbe troppo lungo discutere sulle singole espressioni. Ma potete senza dubbio distinguere con quanta chiarezza le parole dell'Apostolo sostengano questa grazia contro la quale si vogliono esaltare i meriti umani, come se fosse l'uomo a dare qualcosa per primo perché gli sia dato qualcosa in ricompensa. Dio ci ha eletti in Cristo prima della creazione del mondo, predestinandoci ad essere figli adottivi, non perché saremmo stati santi e immacolati per noi stessi, ma ci scelse e ci predestinò affinché lo fossimo. E fece ciò secondo quanto piacque alla sua volontà, perché nessuno si glori della propria, ma della volontà di Dio nei suoi confronti. Egli ha fatto ciò secondo la ricchezza della sua grazia, secondo il disegno della sua buona volontà, che Egli aveva prestabilito nel Figlio suo diletto, nel quale abbiamo ottenuto l'eredità, predestinati secondo il decreto, non nostro, ma suo, di Colui che opera tutte le cose a tal punto che Egli opera in noi anche il volere. ( Fil 2,13 ) E opera secondo il consiglio della sua volontà, affinché serviamo di lode alla sua gloria. Ecco la ragione per cui proclamiamo: Nessuno si glori nell'uomo, ( 1 Cor 3,21 ) e quindi neppure in se stesso; ma chi si gloria, si glori nel Signore, ( 1 Cor 1,31 ) affinché serviamo di lode alla sua gloria. Certo, Egli opera secondo il decreto suo, affinché serviamo di lode alla sua gloria con la nostra santità e purezza, ed è per questo che ci ha chiamati, predestinandoci prima della creazione del mondo. Da questo decreto deriva la chiamata propria degli eletti, per i quali Egli coopera in ogni cosa al bene, dato che sono stati chiamati secondo il decreto, ( Rm 8,28 ) e i doni e la chiamata di Dio sono senza ripensamenti. 19.38 - Confutazione della tesi pelagiana secondo cui Dio ebbe prescienza unicamente della nostra fede e in base a questa ci predestinò Ma forse questi nostri fratelli riguardo ai quali e per i quali discutiamo ora, dicono che i pelagiani sono confutati da questa testimonianza apostolica, dove si dice che noi siamo stati eletti in Cristo e predestinati prima della creazione del mondo perché fossimo santi e immacolati al suo cospetto per la carità. Essi infatti pensano: "Accolti i comandamenti attraverso l'arbitrio della libera volontà, diveniamo santi e immacolati al suo cospetto per la carità; e poiché Dio ebbe prescienza che ciò sarebbe accaduto, ci elesse prima della creazione del mondo e ci predestinò in Cristo". Ma non così dice l'Apostolo: Dio ci elesse non perché ebbe prescienza che noi saremmo stati tali, ma perché fossimo tali attraverso l'elezione della sua grazia, nella quale ci gratificò nel Figlio suo diletto. Dunque quando ci predestinò, ebbe prescienza del suo operato con il quale ci fa santi e immacolati. Per cui questa testimonianza mette giustamente sotto accusa l'errore dei pelagiani. "Ma noi diciamo - continuano a replicare - che Dio non ebbe prescienza se non della nostra fede, con la quale cominciamo a credere, e perciò ci scelse prima della creazione del mondo e ci predestinò affinché fossimo anche santi e immacolati per grazia e opera di lui". Ma prestino orecchio a loro volta a questa testimonianza, nel punto in cui dice: Abbiamo ottenuto l'eredità, predestinati secondo il decreto di Colui che opera tutte le cose. Dunque è lui che opera affinché cominciamo a credere, lui che opera tutte le cose. Infatti neanche la fede precede la chiamata della quale è detto: Senza ripensamenti sono i doni e la chiamata di Dio; ( Rm 11,29 ) ed anche: Non dalle opere, ma da Colui che chiama, ( Rm 9,12 ) dove avrebbe potuto dire: Da colui che crede. Così pure la fede non precede la scelta che il Signore ha indicato con le parole: Non siete voi che avete scelto me, ma io ho scelto voi. ( Gv 15,16 ) Infatti non ci ha scelti perché abbiamo creduto, ma affinché crediamo; e non si dica che noi prima l'abbiamo scelto, altrimenti diventa falsa, e questo non sia mai, l'asserzione: Non siete stati voi a scegliere me, ma io ho scelto voi. Non siamo chiamati perché abbiamo creduto, ma affinché crediamo: quella chiamata che è senza ripensamento suscita e completa la nostra fede. E non è il caso di ripetere su questo argomento i tanti ragionamenti che abbiamo già sviluppato. 19.39 - Se non si giudica falso il ringraziamento dell'Apostolo, Dio dona l'inizio della fede Anche nei passi che seguono di questa testimonianza, l'Apostolo rende grazie a Dio per quelli che hanno creduto; il suo ringraziamento non è rivolto al fatto che sia stato loro annunciato il Vangelo, ma al fatto che vi hanno creduto. Infatti dice: In lui anche voi udendo il verbo della verità, il Vangelo della vostra salvezza, e credendovi, siete stati segnati con il sigillo dello Spirito della promessa, lo Spirito Santo che è pegno della nostra eredità, per la redenzione del popolo che si è acquistato a lode della sua gloria; per questo anch'io, udita la vostra fede in Cristo Gesù e [ la vostra carità ] verso tutti i santi, non cesso di rendere grazie per voi. ( Ef 1,13-16 ) Era nuova e recente la loro fede dopo che avevano udito la predicazione del Vangelo, ma avendo saputo di questa fede, l'Apostolo rende grazie a Dio per loro. Se si ringraziasse una persona per una cosa che si pensa o si sa che costui non ha compiuto, si dovrebbe parlare di adulazione o irrisione più propriamente che di ringraziamento. Non ingannatevi: Dio non si può dileggiare; ( Gal 6,7 ) è un dono suo anche l'inizio della fede, a meno che non si voglia giudicare falso o ingannatore il ringraziamento dell'Apostolo. E ancora, non è chiaro forse che anche per i Tessalonicesi si tratta dell'inizio della fede? E anche di ciò l'Apostolo rende grazie a Dio, dicendo: Noi rendiamo grazie a Dio senza intermissione, perché avendo udito da noi la parola di Dio, l'avete accettata non come parola di uomini, ma come è veramente, parola di Dio che opera in voi che vi avete creduto. ( 1 Ts 2,13 ) Che motivo c'è in tutto questo di rendere grazie a Dio? È assolutamente vano ed inutile, se colui che si ringrazia non ha fatto nulla. Ma poiché il ringraziamento non è né vano né inutile, fu certo Dio, a cui per questa opera egli rende grazie, a fare sì che, avendo essi udito dall'Apostolo la parola di Dio, l'accettassero non come parola di uomini, ma come è veramente, parola di Dio. Dio dunque opera nei cuori degli uomini con quella chiamata secondo il suo decreto, della quale molto abbiamo parlato; e la sua chiamata fa sì che non odano inutilmente il Vangelo, ma dopo averlo udito si convertano e credano, ricevendolo non come parola di uomini, ma, com'è veramente, parola di Dio. 20.40 - È Dio che apre la porta del cuore alla fede Che l'inizio della fede negli uomini sia anch'esso un dono di Dio ce lo ricorda l'Apostolo, facendolo capire con le parole dell'Epistola ai Colossesi: Insistete nella preghiera, vigilanti in essa e nel rendimento di grazie, pregando contemporaneamente anche per noi, perché Dio ci apra la porta della sua parola per annunziare il mistero di Cristo, per il quale io sono stato incatenato, perché io lo manifesti com'è mio dovere. ( Col 4,2-4 ) Quando si può aprire la porta della parola, se non quando l'intelletto di chi ode si apre per credere e per accogliere dopo l'inizio della fede la predicazione e la chiarificazione delle cose che servono ad edificare la dottrina della salvezza? Chi ode non deve disapprovare e rifiutare quello che viene detto, serrando il cuore per la mancanza della fede. Perciò anche ai Corinzi l'Apostolo si rivolge così: Rimarrò ad Efeso fino alla Pentecoste; infatti mi si è spalancata una porta grande e promettente, e gli avversari sono molti. ( 1 Cor 16, 8.9 ) Cos'altro può voler dire qui se non che dopo aver predicato per la prima volta il Vangelo in quel luogo, molti credettero, ma si levarono anche molti avversari della fede, secondo la frase del Signore: Nessuno viene a me se non gli è stato concesso dal Padre mio; ( Gv 6,66 ) e l'altra: A voi è stato concesso di conoscere il mistero del regno dei cieli; ma a loro non è stato concesso? ( Mt 13,11 ) Dunque la porta si è aperta per quelli ai quali è stato concesso; ma molti tra coloro ai quali non è stato concesso sono diventati nemici. 20.41 - Chiarissima dimostrazione di questa verità E nella seconda Epistola ai Corinzi dice ancora l'Apostolo: Venuto a Troade per predicare il Vangelo di Cristo, pur essendomisi aperta una porta nel Signore, non ebbi requie nel mio spirito per il fatto che non vi trovai Tito, il fratello mio; perciò li salutai e mi recai in Macedonia. ( 2 Cor 2,12-13 ) Chi sono quelli che salutò se non quelli che avevano creduto, nel cuore dei quali evidentemente si era aperta una porta all'evangelizzazione? E badate a quello che aggiunge: Si rendano grazie a Dio che sempre ci fa trionfare in Cristo, e in ogni luogo diffonde attraverso di noi la fragranza della sua conoscenza; perché noi siamo per Dio il soave odore di Cristo, sia in quelli che si salvano, sia in quelli che si perdono; per alcuni odore che conduce di morte in morte, ma per alcuni odore che conduce di vita in vita. ( 2 Cor 2,14-16 ) Ecco il motivo per cui rende grazie quel combattente fervidissimo e difensore invincibile della grazia; ecco il motivo per cui rende grazie, perché gli Apostoli sono per Dio il buon odore di Cristo, sia in quelli che si salvano per la sua grazia, sia in quelli che si perdono per il suo giudizio. Ma per non provocare troppo risentimento in quelli che non capiscono bene queste parole, egli aggiunge l'avvertimento: E chi è all'altezza di simile compito? ( 2 Cor 2,16 ) Ma torniamo all'apertura della porta, immagine con la quale l'Apostolo vuole significare l'inizio della fede in chi ode. Infatti una simile frase: Pregando contemporaneamente anche per noi, perché Dio ci apra la porta della sua parola, ( Col 4,3 ) che altro è se non la chiarissima dimostrazione che anche lo stesso inizio della fede è dono di Dio? Infatti nelle preghiere non gli si rivolgerebbe quella richiesta se non si credesse che la concessione viene da lui. Questo dono della grazia celeste era disceso in quella venditrice di porpora a cui, come dice la Scrittura negli Atti degli Apostoli: Dio aveva aperto il cuore, e prestava attenzione a ciò che Paolo diceva. ( At 16,14 ) Infatti ella era chiamata con quell'appello che ci rende credenti. Dio compie nel cuore degli uomini ciò che vuole, sia soccorrendo, sia giudicando, affinché anche per mezzo loro si compia ciò che la sua mano e il suo consiglio ha predestinato. ( At 4,28 ) 20.42 - Il fatto che Dio piega le volontà degli uomini riguarda o no la presente questione? Abbiamo provato, traendo dai Libri dei Re e dai Paralipomeni le testimonianze scritturali, che quando Dio vuole far avvenire quello che necessariamente non avviene se non con la partecipazione della volontà umana, i cuori degli uomini si piegano a volerlo. ( 1 Sam 10,26; 1 Cr 12,18 ) Ma naturalmente è sempre lui a piegarli, lui che in modo mirabile ed ineffabile opera in noi anche il volere. Hanno obiettato invano che questo non appartiene alla questione che qui interessa. Che cos'è questo se non voler contraddire pur non avendo nulla da dire? A meno che non abbiano fornito a voi le ragioni del loro convincimento e voi nelle vostre lettere abbiate invece preferito tacerle. Ma io non so quali esse possano essere. Sarà forse perché abbiamo dimostrato che Dio ha influito sul cuore degli uomini e ha mosso la volontà di quelli che a lui piacque muovere, affinché fosse eletto re Saul oppure David. Pensano perciò che questi esempi non si adattano all'argomento perché regnare temporalmente in questo mondo non è la stessa cosa che regnare in eterno con Dio; e perciò pensano che Dio si riserva di piegare la volontà di chi vuole per creare i regni terreni, ma non lo fa quando si deve ottenere il regno celeste. Ma io penso che siano dette per il regno dei cieli, non per il regno terreno tutte le espressioni che seguono: Piega il mio cuore verso i tuoi precetti; ( Sal 119,36 ) I passi dell'uomo sono diretti dal Signore e le sue vie saranno approvate da lui ; ( Sal 37,23 ) La volontà è preparata dal Signore; ( Pr 8, 35 sec. LXX ) Sia con noi il nostro Signore, come era con i nostri padri; non ci abbandoni né ci allontani da sé; pieghi a sé i nostri cuori affinché avanziamo in tutte le sue vie; ( 1 Re 8,57-58 ) Darò ad essi un cuore per conoscermi e orecchie che intendano; ( Bar 2,31 ) Darò ad essi un cuore diverso e uno spirito nuovo darò ad essi. ( Ez 11,19 ) E ascoltino anche quest'altro passo: Metterò il mio spirito in voi e farò sì che camminiate nei miei giusti precetti e osserviate e applichiate le mie decisioni; ( Ez 36,27 ) e questo ancora: Dal Signore sono diretti i passi dell'uomo; un mortale come può intendere le sue vie? ( Pr 20,24 ) e ancora: Ogni uomo sembra giusto a se stesso, ma è il Signore che dirige i cuori; ( Pr 21,2 ) e ancora: Credettero tutti quelli che erano preordinati per la vita eterna. ( At 13,48 ) Facciano attenzione a queste testimonianze e a tutte le altre che non ho voluto citare, le quali dimostrano che Dio prepara e rivolge la volontà degli uomini anche quando il fine è il regno dei cieli e la vita eterna. E riflettete che assurdità sarebbe, se credessimo che Dio opera la volontà degli uomini per stabilire i regni terreni, mentre per conquistare il regno dei cieli sarebbero gli uomini stessi a mettere in opera il proprio volere. 21.43 - Conclusione Abbiamo esposto molti argomenti e forse ormai da tempo siamo riusciti a persuadere di ciò che volevamo i nostri fratelli; pure insistiamo a parlare ad ingegni tanto pronti come se fossero intelletti ottusi per i quali non è sufficiente nemmeno ciò che è troppo. Ma siano indulgenti: è la novità del problema che ci ha spinto a tanto. Nei nostri opuscoli precedenti abbiamo esposto con testimonianze abbastanza adeguate che anche la fede è un dono di Dio, ma ci è stata escogitata un'obiezione: che quelle testimonianze sono valide per dimostrare che è un dono di Dio l'accrescimento della fede, ma l'inizio della fede, con cui in principio si crede in Cristo, parte dall'uomo stesso; non è quindi un dono di Dio, anzi Dio lo esige; quando l'inizio c'è stato, tutti gli altri beni, che sono effettivamente doni di Dio, seguono secondo loro per questo merito; e nessuno di essi è dato gratuitamente. Eppure tra questi avversari si continua a sostenere la grazia, che non può essere se non gratuita. Vedete bene quanto ciò sia assurdo; per questa ragione abbiamo preso il partito di dimostrare, per quanto potevamo, che anche l'inizio della fede è un dono di Dio. Forse l'abbiamo fatto più prolissamente di quanto avrebbero voluto questi fratelli ai quali abbiamo dedicato la nostra opera; e su questo punto siamo pronti a ricevere i loro rimproveri, a una condizione però: benché ci siamo dilungati molto più di quanto avrebbero voluto, benché abbiamo inflitto fastidio e noia a chi comprende facilmente, noi abbiamo raggiunto il nostro scopo. Lo ammettano. Abbiamo cioè dimostrato che è un dono di Dio anche l'inizio della fede, come la continenza, la pazienza, la giustizia, la pietà e tutte le altre virtù riguardo alle quali non abbiamo nessuna controversia con costoro. E qui abbia termine questo volume, perché anche un libro solo finisce per urtare se è eccessivamente lungo.