Padri\Agostino\SpirLet\SpirLet.txt Lo spirito e la lettera 1.1 - Non tutto quello che è possibile, è anche reale Vedo che hai letto, carissimo figlio Marcellino, i libri che ho compilato recentemente per te, sul battesimo dei bambini e sulla perfezione della giustizia dell'uomo, che sembra che in questa vita non sia stata mai raggiunta o non sarà mai raggiunta da nessuno, eccettuato soltanto il Mediatore, il quale ha sofferto le condizioni umane nella somiglianza della carne del peccato senza nessun peccato. Ora mi scrivi di nuovo che ti ha sorpreso l'affermazione da me fatta nel secondo dei due libri ove dico che in teoria è possibile l'esistenza di un uomo senza peccato, se non manca la volontà umana aiutata dalla grazia divina, ma di fatto nego che sia esistito o sia per esistere qualcuno con tale perfezione in questa vita, eccettuato solo colui nel quale tutti risorgeranno. ( 1 Cor 15,22 ) Ti sembra assurdo che si dica possibile ciò che nella realtà è senza esempi, mentre non dubiti, come credo, che non sia mai accaduto a un cammello di passare per la cruna di un ago e tuttavia Gesù l'ha detto possibile a Dio. ( Mt 19, 24.26 ) Potresti leggere pure che dodicimila legioni di angeli avrebbero potuto combattere a favore del Cristo perché non patisse, ( Mt 26,53 ) e tuttavia non si è avverato. Potresti leggere che era possibile lo sterminio in una sola volta di tutte le genti della terra che veniva data ai figli d'Israele, ( Dt 31,3 ) e tuttavia Dio volle che avvenisse a poco a poco; ( Gdc 2,3 ) e altri infiniti esempi possono presentarsi di eventi che diciamo possibili nel passato o nel presente e di cui tuttavia non siamo in grado di addurre nessun esempio di realizzazione. La possibilità dunque che l'uomo sia senza peccato non la dobbiamo negare per il fatto che non esiste nessuno fra gli uomini, all'infuori di colui che non è uomo soltanto ma è per sua natura anche Dio, nel quale la possiamo dimostrare realizzata. 2.2 - Le buone opere dell'uomo sono insieme opere di Dio Ora forse mi risponderai che nel caso di questi eventi da me ricordati come non avvenuti, pur essendo stati possibili, si tratta di opere di Dio e che invece essere senza peccato è per l'uomo opera dell'uomo stesso ed è precisamente la sua opera migliore che lo mette in possesso della giustizia piena e perfetta e assoluta proprio sotto tutti gli aspetti, e che quindi non è credibile che nessuno o sia esistito o esista o sia per esistere in questa vita che abbia compiuto quest'opera, se può essere compiuta da un uomo. Devi però riflettere che tale risultato, sebbene sia opera dell'uomo, è altresì un dono di Dio e quindi non devi dubitare che sia insieme opera divina. L'Apostolo dice appunto: È Dio infatti che suscita in voi il volere e l'operare secondo i suoi benevoli disegni. ( Fil 2,13 ) 2.3 - È un errore di ottimismo, ma non un grave errore, credere alla esistenza di uomini esenti assolutamente da ogni peccato Perciò non sono persone che diano tanta noia quelle che affermano tale esistenza e bisogna insistere con loro che documentino, se possono, per il presente e per il passato l'esistenza qui di uomini senza peccati di nessuna specie. Infatti ci sono le testimonianze delle Scritture, come per esempio: Non chiamare in giudizio il tuo servo: nessun vivente davanti a te è giusto, ( Sal 143,2 ) e tutti gli altri testi simili che, mi sembra, dànno per definito che nessun uomo vivente quaggiù, benché abbia l'uso del libero arbitrio, si trova senza peccato. Ora se qualcuno riuscisse ad insegnare che si devono intendere diversamente da come suonano queste testimonianze, se dimostrasse che taluno o taluni sono vissuti qui senza peccato, la persona che, oltre a non opporsi minimamente a costui, non si congratulasse moltissimo con lui, sarebbe vittima di notevole malevolenza. Anzi, anche se, ed io ci credo di più, nessuno esiste o è esistito o esisterà con tale perfetta purezza e tuttavia qualcuno insiste a credere che esista o sia esistito o esisterà, in questo caso, per quanto ne posso giudicare io, non si sbaglia né grossolanamente né pericolosamente, quando ci si inganna per un certo ottimismo. Purché chi lo crede non lo creda di se stesso, a meno che non sia venuto a saperlo con tutta serietà e limpidità. 2.4 - Più grave è l'errore che nega nell'uomo la necessità della grazia divina per fare il bene Viceversa ci si deve opporre con la massima decisione ed energia a coloro che attribuiscono alla forza della volontà umana da sola senza l'aiuto di Dio la possibilità o di raggiungere la perfezione della giustizia o di tendere ad essa con profitto. Quando costoro sono incalzati a dire per quale ragione presumono che ciò avvenga senza l'aiuto di Dio, si tirano indietro e non sanno fare più tale affermazione, rendendosi conto quanto sia empia ed insopportabile. Quanto però alla ragione per cui tali risultati non si ottengono di fatto senza l'aiuto di Dio, affermano che è duplice: perché è Dio che ha creato l'uomo con il libero arbitrio della volontà e perché è Dio stesso che con i suoi precetti insegna all'uomo come deve vivere e certamente l'aiuta sottraendolo all'ignoranza con i suoi insegnamenti. In tal modo l'uomo nel suo operare saprà che cosa deve evitare e a che cosa deve mirare, e quindi per mezzo del libero arbitrio che gli è innato per natura, imboccando la strada indicatagli e vivendo nella continenza e nella giustizia e nella pietà, meriterà d'arrivare alla vita beata e insieme eterna. 3.5 - L'uomo non fa il bene senza la carità soprannaturale che gliene dà l'amore e il diletto Noi al contrario diciamo che la volontà umana viene aiutata da Dio a compiere le opere della giustizia nel modo seguente: oltre ad essere stato creato con il libero arbitrio [ della volontà ], oltre a ricevere la dottrina che gli comanda come deve vivere, l'uomo riceve fin d'ora, mentre cammina nello stato di fede e non di visione, lo Spirito Santo, il quale suscita nel suo animo il piacere e l'amore di quel sommo e immutabile bene che è Dio. ( 2 Cor 5,7 ) Egli allora in forza di questa specie di caparra che gli è stata data della gratuita munificenza divina arde dal desiderio d'obbedire al Creatore e s'infiamma nel proposito d'accedere alla partecipazione della vera luce di Dio, ( Gv 1,9 ) cosicché da dove gli viene l'essere gli viene anche il benessere. Infatti anche il libero arbitrio non vale che a peccare, se rimane nascosta la via della verità. E quando comincia a non rimanere più nascosto ciò che si deve fare e dove si deve tendere, anche allora, se tutto ciò non arriva altresì a dilettare e a farsi amare, non si agisce, non si esegue, non si vive bene. Ma perché tutto ciò sia amato, la carità di Dio si riversa nei nostri cuori non per mezzo del libero arbitrio che sorge da noi, bensì per mezzo dello Spirito Santo che è stato dato a noi. ( Rm 5,5 ) 4.6 - La lettera a volte è il senso materiale, a volte la legge senza la grazia La dottrina appunto dalla quale riceviamo il comandamento di vivere sobriamente e rettamente è lettera che uccide, se non ci assiste lo Spirito che vivifica. Infatti le parole: La lettera uccide, lo Spirito dà vita, ( 2 Cor 3,6 ) non si devono intendere soltanto come ammonizione a non prendere in senso letterale ciò che è stato scritto in senso figurato e di cui sarebbe assurdo il senso letterale; ma, intuendo il loro significato simbolico, cerchiamo di nutrire l'uomo interiore con una interpretazione spirituale, perché la sapienza della carne porta alla morte, mentre la sapienza dello Spirito porta alla vita e alla pace. ( Rm 8,6 ) Ad esempio, se uno prendesse materialmente molte delle cose che sono state scritte nel Cantico dei cantici, non per gli effetti prodotti dalla luminosa carità, ma per gli affetti illeciti di una libidinosa voluttà. Non dunque nel solo modo suddetto sono da intendersi le parole dell'Apostolo: La lettera uccide, lo Spirito dà vita, ma anche e principalmente nel senso in cui dice in un altro passo: Non avrei conosciuto la concupiscenza, se la legge non avesse detto: Non desiderare. ( Rm 7,7 ) E poco più sotto dice: Il peccato, prendendo occasione dal comandamento, mi ha sedotto e per mezzo di esso mi ha dato la morte. ( Rm 7,11 ) Ecco che cosa significa: La lettera uccide. E certamente quando si dice: Non desiderare, non si dice qualcosa di figurato da non prendere letteralmente, ma è un precetto apertissimo e salutarissimo, adempiendo il quale non si avrà più nessun peccato. Ecco perché l'Apostolo ha scelto il comandamento: Non desiderare a principio generale in cui abbraccia tutto, come se esso fosse la voce della legge che tiene lontani da ogni peccato, e di fatto nessun peccato si commette se non per concupiscenza: perciò è buona e lodevole la legge che comanda così. Ma quando non aiuta lo Spirito Santo, suscitando al posto della concupiscenza cattiva la concupiscenza buona, ossia riversando nei nostri cuori la carità, allora quella legge, per quanto buona, con la sua proibizione accresce il desiderio del male. Come l'impeto dell'acqua che non cessa di riversarsi in una direzione, se viene ostacolato, diventa più forte e, travolto l'ostacolo, precipita in basso con maggior massa e violenza. Non so infatti per quale ragione, ma ciò che si desidera, si fa con più piacere se è vietato. Ed è così che il peccato mediante il comandamento seduce e uccide, se al comandamento accede anche la trasgressione, che non c'è dove non c'è la legge. ( Rm 4,15 ) 5.7 - Prendo la lettera nel senso di pura legge Ma, se piace, esaminiamo tutto questo passo della Lettera dell'Apostolo e spieghiamolo con l'aiuto del Signore. Voglio dimostrare, se ci riuscirò, che le parole dell'Apostolo: La lettera uccide, lo Spirito dà vita, ( 2 Cor 3,6 ) non vanno riportate alle locuzioni figurate, benché anche a queste si possano ben adattare, ma vanno intese piuttosto della legge che espressamente proibisce il male. Quando l'avrò dimostrato, allora apparirà meglio che vivere bene è un dono di Dio: non solo perché Dio ha dato all'uomo il libero arbitrio senza il quale non si vive moralmente né male né bene, non solo perché Dio ha dato la legge con la quale c'insegna come si deve vivere, ( Rm 5,5 ) ma perché mediante lo Spirito Santo diffonde la carità nel cuore di coloro ( Rm 8,29-30 ) che ha preconosciuti per predestinarli, ha predestinati per chiamarli, ha chiamati per giustificarli, ha giustificati per glorificarli. Quando questo sarà chiaro, vedrai, come spero, la falsità di affermare che soltanto le opere di Dio sono possibili senza nessun esempio di realizzazione, come dicevamo del passaggio d'un cammello per la cruna d'un ago e di tutte quelle operazioni che per noi sono impossibili, ma facili a Dio; vedrai quindi la falsità di non annoverare tra queste opere di Dio la giustizia umana, perché non dovrebbe computarsi come opera di Dio, bensì come opera dell'uomo, e infine vedrai la falsità di dire che, se la perfezione della giustizia umana è possibile in questa vita, non c'è ragione di credere che essa sia senza nessun esempio di realizzazione. Che dunque tutto ciò sia detto senza verità risulterà sufficientemente chiaro, quando apparirà evidente da una parte che la stessa giustizia umana deve attribuirsi ad operazione di Dio, sebbene non si attui senza la volontà dell'uomo, e che d'altra parte non possiamo negare che la perfetta realizzazione della giustizia è possibile anche in questa vita, perché tutte le cose sono possibili a Dio, ( Mc 10,27 ) tanto quelle che fa con la sua sola volontà, quanto quelle che ha stabilito di fare con la cooperazione della volontà della sua creatura. Perciò ogni cosa che Dio non fa tra quelle che gli sono possibili, rimane certamente senza esempio tra le opere fatte, ma ha presso Dio la causa della sua possibilità nella potenza divina e la causa della sua mancata realizzazione nella sapienza divina. E anche se questa causa rimane nascosta all'uomo, egli non si dimentichi che è un uomo e non attribuisca a Dio mancanza di sapienza per il fatto che non comprende appieno la sua sapienza. 5.8 - La legge uccide Ascolta dunque attentamente l'Apostolo che nella Lettera ai Romani spiega ed evidenzia sufficientemente che le parole dette ai Corinzi: La lettera uccide, lo Spirito dà vita ( 2 Cor 3,6 ) vanno intese preferibilmente nel senso detto sopra, perché la lettera della legge che insegna a non peccare uccide, se manca lo Spirito che dà vita: essa in realtà fa conoscere il peccato invece di farlo evitare e quindi fa addizione di peccato invece che sottrazione, accedendo alla concupiscenza cattiva anche la trasgressione della legge. 6.9 - Le parole dove abbondò la colpa, ivi sovrabbondò la grazia non premiano il peccato L'Apostolo dunque volendo caldeggiare la grazia che è venuta a tutte le genti per mezzo di Gesù Cristo, perché i Giudei non si insuperbissero contro gli altri popoli d'aver ricevuto la legge, dopo aver detto che la colpa e la morte erano entrate nel genere umano a causa di un solo uomo e altresì la giustizia e la vita eterna per mezzo di un solo uomo, ( Rm 5, 12.21 ) indicando apertissimamente prima Adamo e poi il Cristo, scrive: La legge sopraggiunse, perché abbondasse la colpa, ma laddove è abbondato il peccato ha sovrabbondato la grazia, perché, come il peccato aveva regnato con la morte, così regni anche la grazia con la giustizia per la vita eterna per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore. ( Rm 5,20-21 ) Poi facendosi da sé un'obiezione scrive: Che diremo dunque? Continuiamo a restare nel peccato, perché abbondi la grazia? È assurdo. ( Rm 6,1-2 ) Si accorge infatti che in modo perverso poteva essere inteso da persone perverse quanto aveva detto con le parole: La legge sopraggiunse, perché abbondasse la colpa, ma laddove è abbondato il peccato ha sovrabbondato la grazia, ( Rm 5,20 ) come se avesse detto che il peccato giova alla sovrabbondanza della grazia. Per risolvere la difficoltà risponde: È assurdo! e soggiunge: Noi che già siamo morti al peccato, come potremo ancora vivere nel peccato? ( Rm 6,2 ) Cioè: "Avendoci la grazia fatto morire al peccato, se vivessimo in esso, che altro faremmo se non essere ingrati alla grazia?". Chi loda i benefici di una medicina non dice che giovano le malattie e le ferite che essa fa guarire nell'uomo, ma quanto più si esalta una medicina, tanto più si fa risaltare la gravità e l'orrore delle ferite che la medicina così lodata manda via. Ugualmente la lode e l'esaltazione della grazia sono biasimo e condanna dei peccati. Doveva essere mostrata la bruttezza del suo male all'uomo, al quale non giovò contro il suo peccato nemmeno la legge santa e buona, che invece di diminuire fece aumentare il peccato, essendo la legge sopraggiunta perché abbondasse la colpa. Convinto e confuso in tale maniera, l'uomo doveva sentire la necessità d'avere in Dio non solo un dottore, ma anche un soccorritore, che rendesse saldi i suoi passi, perché non prevalesse su di lui il male ( Sal 119,133 ) ed egli guarisse ricorrendo all'aiuto della misericordia [ divina ] e così laddove abbondò la colpa sovrabbondasse la grazia, non per merito del peccatore, ma per aiuto del soccorritore. 6.10 - Opere dello Spirito sono la morte e la risurrezione di Gesù Con logica conseguenza l'Apostolo indica la medesima medicina misticamente presente nella passione e risurrezione del Cristo, scrivendo subito dopo: O non sapete che quanti siamo stati battezzati nel Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte? Per mezzo del battesimo siamo dunque stati sepolti insieme a lui nella morte, perché, come il Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova. Se infatti siamo completamente uniti a lui con una morte simile alla sua, lo saremo anche con la sua risurrezione. Sappiamo bene che il nostro uomo vecchio è stato crocifisso con lui, perché fosse distrutto il corpo del peccato e noi non fossimo più schiavi del peccato. Infatti chi è morto, è ormai libero dal peccato. Ma se siamo morti con il Cristo, crediamo che anche vivremo con lui, sapendo che il Cristo risuscitato dai morti non muore più; la morte non ha più potere su di lui. Per quanto riguarda la sua morte, egli morì al peccato una volta per tutte; ora invece per il fatto che egli vive, vive per Dio. Così anche voi consideratevi morti al peccato, ma viventi per Dio, nel Cristo Gesù. ( Rm 6,3-11 ) Risalta bene che il mistero della morte e risurrezione del Signore simboleggia il tramonto della nostra vita vecchia e il sorgere della nostra vita nuova, e indica l'abolizione dell'iniquità e la rinnovazione della giustizia. Da dove se non solamente dalla fede in Gesù Cristo potrebbe venire all'uomo questo così grande beneficio attraverso la lettera della legge? 7.11 - Per fare il bene l'uomo non basta a se stesso Questo santo modo di pensare salva i figli degli uomini che sperano nella protezione delle ali di Dio ( Sal 36,8-11 ) per saziarsi dell'opulenza della sua casa e dissetarsi al torrente delle sue delizie: in lui c'è infatti la sorgente della vita e nella sua luce noi vedremo la luce; egli spande la sua misericordia su coloro che lo conoscono e la sua giustizia sui retti di cuore. Non spande la sua misericordia perché lo conoscono già, ma anche perché lo conoscano; non spande la sua giustizia con la quale giustifica l'empio ( Rm 4,5 ) perché sono retti di cuore, ma anche perché siano retti di cuore. Questo modo di pensare non leva in superbia. Il vizio della superbia nasce quando uno confida troppo in se stesso e crede d'essere da sé fonte della propria vita. Con il sentimento della superbia ci si allontana da quella fonte di vita alla quale soltanto si beve la giustizia, cioè la buona vita, e ci si allontana da quella luce immutabile della quale partecipa e in qualche modo si accende l'anima perché diventi anch'essa luce creata, come era Giovanni lampada che ardeva e splendeva. ( Gv 5,35 ) Egli tuttavia, riconoscendo chi lo faceva splendere, dice: Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto. ( Gv 1,16 ) Dalla pienezza di chi se non di colui a confronto del quale Giovanni non era la luce? Il Cristo infatti era la luce vera, quella che illumina ogni uomo, che viene in questo mondo. ( Gv 1,9 ) Perciò il salmista, dopo aver pregato nel medesimo salmo: spandi la tua misericordia su coloro che ti conoscono e la tua giustizia sui retti di cuore, dice: Non mi raggiunga il piede dei superbi, non mi disperda la mano degli empi. Ecco, sono caduti i malfattori, abbattuti, non possono rialzarsi. ( Sal 36,11-13 ) Per l'empietà appunto con la quale attribuisce a sé ciò che è di Dio ciascuno viene ricacciato nelle sue tenebre, che sono le opere cattive. Queste infatti è ben capace di fare e per farle basta a se stesso. Le opere della giustizia invece non le fa se non nella misura in cui riceve di farle da quella fonte e da quella luce dove c'è la vita che non ha bisogno di nulla e dove non c'è variazione né ombra di cambiamento. ( Gc 1,17 ) 7.12 - S. Paolo è il predicatore della grazia L'Apostolo cambiò il suo nome Saulo con cui si chiamava ( At 13,9 ) in Paolo, secondo me proprio per apparire piccolo, come l'infimo degli Apostoli. ( 1 Cor 15,9 ) Il motivo per cui battagliò lungamente e fortemente e fervorosamente a difesa ed esaltazione della grazia di Dio contro coloro che, superbi ed arroganti, presumevano delle proprie opere, fu che in lui la grazia apparve veramente più luminosa e più radiosa. Egli, quando perseguitava accanitamente la Chiesa di Dio, compiva tali opere che gli avrebbero dovuto far meritare il supremo castigo ed invece ricevette la misericordia al posto della condanna, conseguì la grazia al posto della pena. In difesa della grazia a ragione sopra ogni altro grida e combatte, né si cura d'incorrere nell'impopolarità presso persone che in un argomento tanto profondo e troppo misterioso non intendevano le sue parole veraci e le storcevano a sensi erronei. Tutto egli sopporta, pur di esaltare senza remore il dono di Dio, per il quale unicamente si salvano i figli della promessa, i figli della beneficenza divina, i figli della grazia e della misericordia, i figli del Testamento Nuovo. In primo luogo ogni suo saluto viene, espresso così: A voi grazia e pace da Dio Padre e dal Cristo Gesù Signore. ( Rm 1,7 ) Poi nella Lettera ai Romani la grazia è quasi l'unica questione e viene trattata con tanta combattività, con tanta varietà da affaticare, sì, l'attenzione di chi legge, ma tuttavia utilmente e salutarmente, di modo che piuttosto che fiaccare allena le membra dell'uomo interiore. 8.13 - Non basta la legge né la sua osservanza esteriore Da questa lettera vengono i testi che ho già riferito. Da qui viene il rimprovero al giudeo che si chiama giudeo e non pratica ciò che professa. Scrive: Se tu ti vanti di portare il nome di Giudeo e ti riposi sicuro sulla legge, e ti glori di Dio, del quale conosci la volontà, e, istruito come sei dalla legge, sai discernere ciò che è meglio, e sei convinto di essere guida dei ciechi, luce di coloro che sono nelle tenebre, educatore degli ignoranti, maestro dei semplici, perché possiedi nella legge l'espressione della sapienza e della verità, ebbene come mai tu, che insegni agli altri, non insegni a te stesso? Tu che predichi di non rubare, rubi? Tu che proibisci l'adulterio, sei adultero? Tu che detesti gli idoli, ne derubi i templi? Tu che ti glori della legge, offendi Dio trasgredendo la legge? Infatti: Il nome di Dio è bestemmiato per causa vostra tra i pagani, ( Is 52,5; Ez 36,20 ) come sta scritto. La circoncisione è utile, sì, se osservi la legge; ma se trasgredisci la legge, con la tua circoncisione sei come uno non circonciso. Se dunque chi non è circonciso osserva le prescrizioni della legge, la sua non circoncisione non gli verrà forse contata come circoncisione? E così chi non è circonciso fisicamente, ma osserva la legge, giudicherà te, che, nonostante la lettera della legge e la circoncisione, sei un trasgressore della legge. Infatti giudeo non è chi appare tale all'esterno e la circoncisione non è quella visibile della carne, ma giudeo è colui che lo è interiormente e la circoncisione è quella del cuore, nello spirito e non nella lettera; la sua gloria non viene dagli uomini, ma da Dio. ( Rm 2,17-29 ) Qui fa vedere manifestamente in che senso dice: Ti glori di Dio. Perché, se un vero giudeo si gloriasse di Dio come vuole la grazia, che non viene data per i meriti delle opere, ma gratuitamente, la sua gloria verrebbe da Dio e non dagli uomini. Al contrario costoro si gloriavano di Dio come se avessero meritato, essi soli, di ricevere la sua legge, secondo le parole del salmo: Così non ha fatto con nessun altro popolo, non ha manifestato ad altri i suoi precetti. ( Sal 147,20 ) E credevano d'essere con la propria giustizia fedeli esecutori di questa legge di Dio, benché in realtà ne fossero piuttosto trasgressori. Perciò la legge provocava su di essi l'ira di Dio ( Rm 4,15 ) abbondando il peccato, che veniva commesso scientemente da loro. Perché anche quelli che si attenevano ai precetti della legge, ma senza l'aiuto dello Spirito della grazia, agivano per timore di pena e non per amore di giustizia. Perciò agli occhi di Dio non c'era nella loro volontà quello che agli occhi degli uomini appariva nella loro attività, ed erano invece ritenuti colpevoli di ciò che Dio li sapeva più disposti a fare, se l'avessero potuto fare impunemente. Dice poi circoncisione del cuore, cioè volontà pura da ogni concupiscenza illecita, e questa si ha non dalla lettera che insegna e minaccia, ma dallo Spirito che aiuta e risana. Perciò la gloria di costoro non viene dagli uomini, ma da Dio, che mediante la sua grazia dona di che possano gloriarsi. Di Dio si dice: Nel Signore si glorierà la mia anima. ( Sal 34,3 ) A Dio si dice: Sei tu la mia lode. ( Sal 22,26 ) Non così coloro che a Dio vogliono dare la lode di essere uomini, ma a se stessi la lode di essere giusti. 8.14 - Dio non va lodato solo per la sua legge morale Dicono: "Ma noi lodiamo anche Dio come autore della nostra giustificazione per aver egli dato la legge, guardando alla quale sappiamo come dobbiamo vivere". E costoro leggono senza ascoltare: In virtù delle opere della legge nessun uomo sarà giustificato davanti a Dio. ( Rm 3,20 ) Può giustificarsi davanti agli uomini, ma non davanti a colui che fa l'ispezione del cuore stesso e della volontà intima, ( Pr 24,12 ) dove vede che chi osserva la legge per paura della legge, diversamente preferirebbe fare, se fosse lecito. E perché non nasca in alcuno il sospetto che la legge da cui l'Apostolo dice che nessuno viene giustificato sia quella che contiene negli antichi sacramenti molti precetti simbolici e dalla quale è imposta la stessa circoncisione della carne, comandata ai bambini nell'ottavo giorno, ( Lv 12,3 ) subito soggiunge quale legge abbia inteso e dice: Per mezzo della legge si ha la conoscenza del peccato. Si tratta dunque di quella legge di cui dirà dopo: Io non ho conosciuto il peccato se non per la legge, né avrei conosciuto la concupiscenza, se la legge non avesse detto: Non desiderare. ( Rm 7,7 ) Che altro significano le parole: Per mezzo della legge si ha la conoscenza del peccato? 9.15 - La giustizia di Dio si attua senza la legge, ma si manifesta con la legge Qui forse quell'umana presunzione che ignora la giustizia di Dio e ne vuole stabilire una propria ( Rm 10,3 ) dirà che giustamente l'Apostolo dichiara: In virtù della legge nessuno sarà giustificato, ( Rm 3,20 ) perché la legge mostra soltanto che cosa fare o evitare e spetta poi alla volontà eseguire quello che la legge ha indicato: così l'uomo non si giustifica per imperio di legge, ma per libero arbitrio. Osserva però, o uomo, quello che segue: Ora invece, indipendentemente dalla legge si è manifestata la giustizia di Dio, testimoniata dalla legge e dai profeti. ( Rm 3,21 ) È poco per i sordi? Dice: La giustizia di Dio si è manifestata. Questa ignorano coloro che ne vogliono stabilire una propria ( Rm 10,3 ) e a questa non si vogliono sottomettere. Dice: La giustizia di Dio si è manifestata. Non dice: "la giustizia dell'uomo o la giustizia della propria volontà", ma la giustizia di Dio, non quella di cui è giusto Dio, ma quella di cui Dio riveste l'uomo quando lo giustifica dal peccato. Questa viene testimoniata dalla legge e dai profeti: a questa cioè rendono testimonianza la Legge e i Profeti. La prima infatti, poiché si limita solo al comando e alla minaccia senza giustificare nessuno, chiaramente indica che l'uomo viene giustificato dalla gratuità di Dio mediante lo Spirito. I Profeti poi rendono testimonianza, perché ciò che essi predissero l'ha compiuto la venuta del Cristo. Seguita infatti dicendo: Giustizia di Dio per mezzo della fede di Gesù Cristo, ( Rm 3,22 ) cioè mediante la fede con la quale si crede nel Cristo. Come questa fede detta del Cristo non è quella con la quale crede il Cristo, così pure la giustizia detta di Dio non è quella di cui è giusto Dio. L'una e l'altra è nostra, ma si dice di Dio e del Cristo, perché ci viene donata dalla liberalità divina. La giustizia dunque di Dio, indipendente dalla legge, non si è manifestata indipendentemente dalla legge. Come infatti sarebbe stata testimoniata dalla legge, se si fosse manifestata indipendentemente dalla legge? Ma la giustizia di Dio indipendente dalla legge è quella che Dio conferisce al credente mediante lo Spirito della grazia senza l'aiuto della legge, cioè senza che il credente sia aiutato dalla legge. Mediante la legge Dio ha mostrato all'uomo la sua infermità, perché con la fede ricorresse alla sua misericordia e guarisse. Della sapienza di Dio è scritto che legge e misericordia ha sulla lingua: ( Pr 3,16 ) cioè la legge della quale fa rei i superbi, la misericordia con la quale giustifica coloro che si sono umiliati. Dunque giustizia di Dio per mezzo della fede in Gesù Cristo, per tutti quelli che credono. E non c'è distinzione: tutti hanno peccato e hanno bisogno della gloria di Dio, ( Rm 3,22-23 ) non della gloria propria. Che cosa hanno infatti senza averlo ricevuto? ( 1 Cor 4,7 ) E se lo hanno ricevuto, perché si gloriano come se non l'avessero ricevuto? Hanno dunque bisogno della gloria di Dio. E osserva quello che segue: Giustificati gratuitamente per la sua grazia. ( Rm 3,24 ) Dunque non giustificati per la legge, non giustificati per la propria volontà, ma giustificati gratuitamente per la sua grazia. Non che ciò avvenga senza la nostra volontà, ma la nostra volontà si dimostra inferma davanti alla legge, perché la grazia guarisca la volontà, e la volontà guarita osservi la legge, non più soggetta alla legge, né bisognosa della legge. 10.16 - Diversa funzione della legge: pedagogo alla giustizia per chi non è ancora giusto, esercizio di giustizia per chi è già giusto La legge non è fatta per il giusto e tuttavia è buona, se uno ne usa legalmente. ( 1 Tm 1,8-9 ) Mettendo insieme queste due affermazioni quasi opposte tra loro l'Apostolo avverte il lettore e lo avvia ad esaminare e risolvere la questione. Come può essere vero che la legge è buona se uno ne usa legalmente, ammessa come vera anche l'affermazione successiva: Sono convinto che la legge non è fatta per il giusto? Chi usa legalmente della legge è il giusto. Eppure la legge non è fatta per lui, ma per l'ingiusto. L'ingiusto però per giustificarsi, cioè per diventare giusto, deve anche lui usare legalmente della legge per essere condotto da essa come da un pedagogo alla grazia, che sola gli dà di poter osservare i precetti della legge. ( Gal 3,24 ) La grazia lo giustifica gratuitamente, cioè senza meriti precedenti da parte delle sue opere, altrimenti la grazia non sarebbe più grazia. ( Rm 11,6 ) La grazia non ci viene data, perché abbiamo già fatto opere buone, ma perché le possiamo fare: cioè non perché abbiamo già osservato la legge, ma perché la possiamo osservare. Dice infatti: Non sono venuto per abolire la legge, ma per darle compimento; ( Mt 5,17 ) di lui è stato detto: Vedemmo la sua gloria, gloria come di Unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità. ( Gv 1,14 ) È la gloria della quale è detto: Tutti hanno peccato e hanno bisogno della gloria di Dio. ( Rm 3,23 ) È la grazia della quale dice di seguito: Giustificati gratuitamente per la sua grazia. ( Rm 3,24 ) Chi non è giusto usa dunque legalmente della legge per diventare giusto. Quando lo è diventato, non usi più della legge come d'un veicolo, ( Gal 3,24 ) essendo già arrivato, o meglio, per adottare la similitudine dell'Apostolo, non usi più della legge come d'un pedagogo, essendo già stato educato. Quanto poi al giusto, come può essere vero che la legge non è fatta per lui, se anche a lui la legge è necessaria non per essere condotto alla grazia giustificante, ( 1 Tm 1,8 ) quasi fosse ingiusto, ma per usarne legalmente da giusto? Non è forse vero? Anzi senza forse è certamente vero che il giusto fa uso legittimo della legge, e lo dimostro. Infatti essa è imposta agli ingiusti per atterrirli, perché, quando anche in essi il morbo dell'arrogante concupiscenza abbia cominciato a crescere per l'incentivo della proibizione e per l'accumularsi delle trasgressione, ricorrano per mezzo della fede alla grazia che giustifica e mediante il dono dello Spirito trovando dilettevole la soavità della giustizia, evitino la pena della lettera che minaccia. Così non saranno contrarie e contrastanti tra loro le due affermazioni: anche il giusto può usare legalmente della legge, e tuttavia la legge non è fatta per il giusto. Egli infatti non è stato giustificato dalla legge delle opere, ma dalla legge della fede, per la quale ha creduto che solamente dalla grazia divina poteva essere soccorsa la sua infermità per osservare i precetti della legge delle opere. 10.17 - Non c'è posto per la superbia Perciò dice: Dove sta dunque il vanto? Esso è stato escluso! Da quale legge? Da quella delle opere? No, ma dalla legge della fede. ( Rm 3,27 ) Una delle due. O ha inteso il lodevole gloriarsi in Dio e non l'ha detto escluso nel senso di sbalzato via, ma nel senso di sbalzato ad arte, come si dicono sbalzatori certi cesellatori dell'argento. Per questo si legge anche nei Salmi: Siano esclusi coloro che sono stati provati dall'argento, ( Sal 68,31 ) cioè risaltino coloro che sono stati approvati dalla parola di Dio. Infatti in un altro salmo si legge: I detti del Signore sono puri, argento raffinato nel crogiolo. ( Sal 12,7 ) Oppure ha voluto alludere al gloriarsi vituperevole che proviene dalla superbia, cioè di coloro che, credendo di vivere secondo giustizia, se ne gloriano come se ciò non l'avessero ricevuto. ( 1 Cor 4,7 ) Un simile gloriarsi lo dice escluso non dalla legge delle opere, ma dalla legge della fede, come cosa reietta e abietta. Perché, dalla legge della fede ognuno sa che, se vive anche solo un tantino bene, lo ha dalla grazia di Dio e d'arrivare alla perfezione nell'amore della giustizia non gli verrà se non dalla grazia. 11.18 - La superbia dei buoni sarebbe la peggiore ingratitudine verso Dio Questo modo di pensare fa pio l'uomo, perché la pietà è la vera sapienza. Dico la pietà che i greci chiamano qeosevbeia. Essa appunto è stata raccomandata, quando all'uomo fu detto ciò che si legge nel libro di Giobbe: Ecco, la pietà è sapienza. ( Gb 28,28 ) In latino, rendendo la parola qeosevbeia secondo l'etimologia, poteva dirsi culto di Dio, ed esso consiste prima di tutto in questo: che l'anima non sia ingrata verso Dio. Tanto che anche nel verissimo ed unico sacrificio noi siamo esortati a rendere grazie al Signore nostro Dio. Ma l'anima si dimostrerà ingrata verso Dio se attribuirà a sé quello che le viene da Dio e massimamente la giustizia. Quando l'anima si gloria delle opere di giustizia come di cose procurate a sé da se stessa, non si gonfia banalmente come quando ci si vanta della ricchezza, della bellezza fisica, dell'eloquenza e di tutti gli altri beni, sia esterni, sia del corpo che dell'animo, in possesso di solito anche degli scellerati, ma si gonfia quasi raffinatamente come di beni che sono propri dei buoni. Per questo vizio, perdendo la stabilità dell'appoggio di Dio, anche alcuni grandi personaggi sono discesi fino alla vergogna dell'idolatria. Perciò il medesimo Apostolo nella medesima lettera, in cui si fa veramente difensore della grazia, dopo aver detto di sentirsi debitore verso i greci e verso i barbari, verso i dotti e verso gli ignoranti, e d'essere quindi pronto, per quanto lo riguardava, ad evangelizzare anche i romani, ( Rm 1,14 ) dice: Io infatti non mi vergogno del vangelo, poiché esso è potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede, del giudeo prima e poi del greco. È in esso che si rivela la giustizia di Dio di fede in fede, come sta scritto: Il giusto vivrà mediante la fede. ( Rm 1,16-17 ) Questa è la giustizia di Dio che, velata nel Vecchio Testamento, viene svelata nel Nuovo Testamento. ( Rm 2,4 ) Ed essa si dice giustizia di Dio, perché è Dio che impartendola ci fa giusti, come si dice salvezza del Signore ( Sal 3,9 ) quella con cui ci fa salvi. E la fede di cui si dice che la giustizia di Dio si rivela di fede in fede è questa: dalla fede degli annunziatori alla fede degli accoglitori. Per questa fede di Gesù Cristo, che cioè il Cristo ha conferito a noi, crediamo che ci viene da Dio il dono di vivere nella giustizia e che in futuro tale dono ci sarà dato con ancora maggiore pienezza, e di ciò gli rendiamo grazie con quella pietà che nel culto è riservata a lui soltanto. 12.19 - Gli effetti della superbia Non a torto l'Apostolo a questo punto si volge a ricordare con orrore coloro che per il vizio già detto, leggeri e gonfi, quasi innalzatisi da se stessi nel vuoto, non potendosi ivi fermare, sono precipitati in basso senza più forze e sono andati a sbattere come su pietre negli idoli falsi. Poiché aveva lodato la pietà della fede, dalla quale dobbiamo rendere grazie a Dio d'essere stati giustificati, dice, introducendo ciò che si deve detestare come contrario: In realtà l'ira di Dio si è rivelata dal cielo contro ogni empietà e ogni ingiustizia di uomini che soffocano la verità nell'iniquità, poiché ciò che di Dio si può conoscere è loro manifesto, Dio stesso lo ha manifestato. Infatti dalla creazione del mondo in poi, le sue perfezioni invisibili possono essere contemplate con l'intelletto nelle opere da lui compiute, come la sua eterna potenza e divinità; essi sono dunque inescusabili, perché, pur conoscendo Dio, non gli hanno dato gloria né gli hanno reso grazie come a Dio, ma hanno vaneggiato nei loro ragionamenti e si è ottenebrata la loro mente ottusa. Mentre si dichiaravano sapienti, sono diventati stolti e hanno cambiato la gloria dell'incorruttibile Dio con l'immagine e la figura dell'uomo corruttibile, di uccelli, di quadrupedi e di rettili. ( Rm 1,18-23 ) Nota che non li dice ignari della verità, ma colpevoli d'aver soffocato la verità nell'ingiustizia. E poiché si affacciava all'animo la domanda donde potesse esser venuta la conoscenza della verità a coloro ai quali Dio non aveva dato la legge, non tace nemmeno donde poterono averla dicendo che attraverso gli aspetti visibili della creazione erano giunti all'intelligenza delle proprietà invisibili del Creatore. In realtà i grandi ingegni, se hanno persistito nel cercare, sono riusciti pure a trovare. Dove sta dunque l'empietà? Eccola: Pur conoscendo Dio, non gli hanno dato gloria né gli hanno reso grazie come a Dio, ma hanno vaneggiato nei loro ragionamenti. ( Rm 1,21 ) Vaneggiare è propriamente la malattia di coloro che ingannano se stessi credendosi qualcosa, mentre non sono nulla. ( Gal 6,3 ) Poi, ottenebrando se stessi con il tumore della superbia, dal cui piede pregava non esser toccato il santo cantore dei Salmi che disse: Nella tua luce vedremo la luce, si sono allontanati da quella luce dell'immutabile verità e si è ottenebrata la loro mente ottusa. ( Sal 36,10 ) Non una mente saggia, benché avessero conosciuto Dio, ma invece una mente ottusa, perché non lo glorificarono né lo ringraziarono come Dio. Infatti disse all'uomo: Ecco, temere Dio, questo è sapienza. ( Gb 28,28 ) Pertanto, mentre si dichiaravano sapienti, e ciò non si deve intendere se non nel senso che "ne attribuivano a se stessi il merito", sono diventati stolti. ( Rm 1,22 ) 12.20 - Oltre che con la legge, Dio aiuta direttamente con la grazia la volontà umana nel bene Che bisogno c'è ormai di dire il seguito? Poiché Dio resiste ai superbi, dove siano precipitati e affondati per la loro empietà quegli uomini, dico quegli uomini che attraverso le creature avevano potuto conoscere il Creatore, lo insegna successivamente la stessa lettera ( Rm 1,26-27; Gc 4,6; 1 Pt 5,5 ) meglio di quanto lo possiamo ricordare noi. In questo libro infatti noi non ci siamo proposti di spiegare la Lettera ai Romani ma ci sforziamo di dimostrare per quanto possiamo, massimamente con la sua testimonianza, che nell'operare la giustizia l'aiuto che Dio dona a noi non sta nella legge che ci ha dato, piena di buoni e santi precetti, bensì nel fatto che la nostra stessa volontà, senza la quale non possiamo operare il bene, viene aiutata e sorretta dallo Spirito della grazia che ci viene impartito. Senza questo aiuto la dottrina della legge è lettera che uccide, perché invece di giustificare i peccatori li coinvolge come rei di trasgressione. Infatti come a quei conoscitori del Creatore attraverso le creature la conoscenza stessa non giovò nulla per la salvezza, perché, pur conoscendo Dio, non gli hanno dato gloria né reso grazie come a Dio, mentre si dichiaravano sapienti, ( Rm 1,21 ) così coloro che tramite la legge di Dio conoscono in che modo deve vivere l'uomo non vengono giustificati dalla conoscenza stessa, perché cercando di stabilire la propria giustizia non si sono sottomessi alla giustizia di Dio. ( Rm 10,3 ) 13.21 - La legge delle opere e la legge della fede non differiscono tra loro per il contenuto morale In che differiscano tra loro la legge dei fatti, cioè delle opere, che non esclude quel vanto e la legge della fede che l'esclude, vale la pena di esaminarlo, se pur riusciremo a coglierlo e a precisarlo. Ognuno è pronto a dire che la legge delle opere è nel giudaismo e la legge della fede nel cristianesimo, perché la circoncisione e le altre opere simili sono proprie della legge mosaica che ormai la disciplina cristiana non osserva più. Ma quanto sia sbagliato questo criterio già da molto tentiamo di mostrarlo e forse l'abbiamo già mostrato a coloro che sono svelti d'intelligenza, soprattutto a te e a quanti somigliano a te. Ma poiché è un punto di grande interesse, merita che ci ritorniamo sopra a più riprese e ci fermiamo a chiarirlo con testimonianze ancora più numerose. La legge infatti a cui Paolo nega la forza di giustificare è la stessa legge che egli dice sopraggiunta perché abbondasse la colpa. ( Rm 3,20; Rm 5,20 ) Ma tuttavia, perché nessuno ignorantemente e sacrilegamente criticasse e accusasse per questo la legge, egli la prende a difendere scrivendo: Che diremo dunque? La legge è peccato? No certamente. Ma io non ho conosciuto il peccato se non per la legge, né avrei conosciuto la concupiscenza, se la legge non avesse detto: Non desiderare. Prendendo pertanto occasione da questo comandamento, il peccato scatenò in me ogni sorta di desideri. ( Rm 7,7-8 ) Dice pure: La legge è santa e santo e giusto e buono è il comandamento. Ma il peccato, per rivelarsi peccato, mi ha dato la morte servendosi di ciò che è bene. ( Rm 7,12-13 ) La lettera che uccide ( 2 Cor 3,6 ) è dunque la stessa legge che dice: Non desiderare ( Rm 7,7 ) e della quale Paolo scrive anche quello che ho già riferito poco fa: Per mezzo della legge si ha solo la conoscenza del peccato. Ora invece, indipendentemente dalla legge, si è manifestata la giustizia di Dio, testimoniata dalla legge e dai profeti: giustizia di Dio per mezzo della fede in Gesù Cristo, per tutti quelli che credono. E non c'è distinzione: tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio, ma sono giustificati gratuitamente per la sua grazia, in virtù della redenzione realizzata, dal Cristo Gesù. Dio lo ha prestabilito a servire come strumento di espiazione per mezzo della fede, nel suo sangue, al fine di manifestare la sua giustizia, dopo la tolleranza usata verso i peccati passati nel tempo della divina pazienza. Egli manifesta la sua giustizia nel tempo presente, per essere giusto e giustificare chi ha fede in Gesù. ( Rm 3,20-26 ) Poi scrive quello di cui ci occupiamo attualmente: Dove sta dunque il vanto? Esso è stato escluso! Da quale legge? Da quella delle opere? No, ma dalla legge della fede. ( Rm 3,27 ) La legge dunque delle opere è quella che dice: Non desiderare, ( Rm 7,7 ) perché essa fa conoscere il peccato. Vorrei allora sapere se qualcuno oserà dirmi che la legge della fede non dice: Non desiderare. Se non lo dice, che ragione abbiamo di non peccare tranquillamente e impunemente sotto di essa? Di dire ciò accusavano l'Apostolo coloro dei quali egli scrive: Perché non dovremmo fare il male, affinché venga il bene, come alcuni la cui condanna è ben giusta, ci calunniano dicendo che noi lo affermiamo? ( Rm 3,8 ) Ma se anch'essa dice: Non desiderare, come non cessano d'attestarlo e conclamarlo molti precetti evangelici e apostolici, perché mai non si chiama anch'essa legge delle opere? Se non ha le opere degli antichi sacramenti, cioè della circoncisione e delle altre prescrizioni, non per questo non sono opere quelle che essa ha nei sacramenti appropriati al suo tempo. Non è forse vero invece che erano in questione le opere dei sacramenti quando il motivo di far menzione della legge era che da essa viene la conoscenza del peccato e perciò da essa nessuno viene giustificato? ( Rm 3,20 ) Non esclude quindi il vanto, che viene escluso invece dalla legge della fede, mediante la quale vive il giusto. ( Rm 3,27; Rm 1,17 ) Ma forse non viene la conoscenza del peccato anche dalla legge della fede, ( Rm 2, 4ss ) dicendo essa pure: Non desiderare? 13.22 - Con la legge Dio comanda a noi, con la fede Dio realizza in noi quello che comanda Dirò dunque in breve la differenza che c'è. Dove la legge delle opere impera minacciando, la legge della fede impetra credendo. La prima dice: Non desiderare, ( Es 20,17 ) la seconda dice: Sapendo che nessuno può essere continente, se Dio non glielo concede, e sapere da chi viene questo dono è già effetto di sapienza, mi rivolsi al Signore e lo pregai. ( Sap 8,21 ) È la stessa sapienza, chiamata pietà, con la quale si rende culto al Padre della luce, da cui viene ogni buon regalo e ogni dono perfetto. ( Gc 1,17 ) Gli si rende culto però con il sacrificio di lode e di ringraziamento, perché chi gli rende culto non si glori in se stesso, ma in lui. ( 2 Cor 10,17 ) Perciò con la legge delle opere Dio dice: "Fa' quello che comando", con la legge della fede si dice a Dio: "Da' quello che comandi". Infatti proprio per indicare quello che deve fare la fede interviene a comandare la legge, ossia perché colui che riceve il comando, se non lo può ancora fare, sappia cosa chiedere, se invece lo può fare subito e lo fa obbedientemente sappia altresì per grazia di chi lo può. Ora, noi non abbiamo ricevuto lo spirito del mondo, ma lo Spirito di Dio per conoscere tutto ciò che Dio ci ha donato, ( 1 Cor 2,12 ) dice il medesimo tenacissimo predicatore della grazia. Ma lo spirito di questo mondo che altro è se non lo spirito di superbia? Da esso è stata ottenebrata la mente ottusa di coloro ( Rm 1,21 ) che non glorificarono con il rendimento di grazie quel Dio che pur avevano conosciuto. Né da altro spirito vengono ingannati anche coloro che, ignorando la giustizia di Dio e pretendendo di stabilirne una propria, non si sottomettono alla giustizia di Dio. ( Rm 10,3 ) A me dunque sembra più figlio della fede chi sa da chi sperare quanto non possiede ancora che non chi attribuisce a sé quello che possiede già. Ad ambedue è da preferirsi tuttavia chi ha e insieme sa donde ha, purché non creda d'essere già quello che non è ancora, per non cadere altrimenti nel vizio di quel fariseo che, sebbene ringraziasse Dio delle qualità che aveva, non chiedeva però nulla che gli venisse dato ancora, come se nulla gli occorresse per accrescere e perfezionare la sua giustizia. ( Lc 18,11-12 ) Fatte dunque queste considerazioni e riflessioni con le forze che il Signore si degna donarci, concludiamo che i precetti della buona vita non giustificano l'uomo se non mediante la fede del Cristo Gesù, cioè non mediante la legge delle opere, ma la legge della fede, non mediante la lettera, ma mediante lo Spirito, non per i meriti delle azioni, ma per grazia gratuita. 14.23 - Tutta la legge divina è lettera che uccide, se manca la grazia Benché dunque l'Apostolo, nel rimproverare e correggere quelli che si lasciavano persuadere alla circoncisione, ( Rm 2,17-29 ) sembri intendere con il nome di legge la circoncisione stessa e le altre osservanze della medesima legge che adesso i cristiani respingono come ombre delle cose future, ( Col 2,17 ) possedendo essi ormai ciò che veniva promesso simbolicamente attraverso quelle ombre, tuttavia la legge da cui dice non essere giustificato nessuno non vuole che si veda solo in quei sacramenti che contenevano delle figure promissive, ma anche in quelle opere che a farle si vive secondo giustizia, tra le quali pure il precetto: Non desiderare. ( Es 20,17 ) Perché ciò che diciamo diventi più chiaro, vediamo il Decalogo stesso. È certo che Mosè ricevette sul monte, scritta dal dito di Dio in tavole di pietra, la legge da portare a conoscenza del popolo. ( Es 31,18; Dt 9,10 ) Essa si compendia nei dieci comandamenti, ( Es 20 ) dove non è prescritto nulla riguardo alla circoncisione, nulla riguardo agli animali da offrire come vittime e che adesso non vengono immolati dai cristiani. Di questi dieci comandamenti dunque, eccettuata l'osservanza del sabato, mi si dica che cosa un cristiano non deve osservare: sia di non farsi idoli o altri dèi e non adorarli all'infuori dell'unico vero Dio, sia di non nominare il nome di Dio invano, sia di onorare i genitori, sia di guardarsi dalle fornicazioni, dagli omicidi, dai furti, dalle false testimonianze, dagli adultèri, dal desiderare le cose d'altri. Di queste norme quale non dovrebbe osservare un cristiano? O forse l'Apostolo chiama lettera che uccide non questa legge scritta nelle due tavole, ma la legge della circoncisione e degli altri sacramenti antichi e già aboliti? Ma come lo possiamo pensare dal momento che nella legge c'è il precetto: Non desiderare, che egli dice è un comandamento santo e giusto e buono, per mezzo del quale però il peccato mi ha sedotto e ucciso? ( Rm 7,11-12 ) Che altro significa: La lettera uccide? 14.24 - S. Paolo considera come lettera che uccide tutto il decalogo Comunque con più evidenza nello stesso passo della Lettera ai Corinzi dove dice: La lettera uccide, lo Spirito dà vita, ( 2 Cor 3,6 ) Paolo vuole che non altro s'intenda come lettera se non lo stesso Decalogo scritto in quelle due tavole. Scrive infatti: Voi siete una lettera del Cristo, composta da noi, scritta non con inchiostro, ma con lo Spirito del Dio vivente, non su tavole di pietra, ma sulle tavole di carne dei vostri cuori. Questa è la fiducia che abbiamo per mezzo del Cristo davanti a Dio. Non però che [ da noi stessi ] siamo capaci di pensare qualcosa come proveniente da noi, ma la nostra capacità viene da Dio, che ci ha resi ministri adatti di una nuova alleanza, non della lettera, ma dello Spirito; perché la lettera uccide, lo Spirito dà vita. Se il ministero della morte, inciso in lettere su pietra, fu circonfuso di gloria, al punto che i figli d'Israele non potevano fissare il volto di Mosè a causa dello splendore pur effimero del suo volto, quanto più sarà glorioso il ministero dello Spirito? Se già il ministero della condanna fu glorioso, molto di più abbonda di gloria il ministero della giustizia. ( 2 Cor 3,3-9 ) Tante cose si possono dire su questo testo, ma forse più opportunamente in seguito. Per ora avverti quale sia secondo le parole di lui la lettera che uccide ( 2 Cor 3,6 ) e alla quale contrappone lo Spirito che vivifica. È certamente il ministero della morte inciso in lettere su pietra e il ministero della condanna, ( 2 Cor 3, 7.9 ) essendo sopraggiunta la legge perché abbondasse la colpa. ( Rm 5,20 ) Eppure le prescrizioni sono in se stesse tanto utili e salutari per chi le mette in pratica che non può avere la vita se non chi le mette in pratica. Oppure il Decalogo è stato chiamato lettera che uccide solo per il precetto che vi è stato emanato riguardo al sabato in quanto chi osserva fino ad oggi quel giorno come suona il senso letterale, segue la sapienza della carne, e la sapienza della carne porta poi alla morte, ( Rm 8,6 ) e degli altri nove comandamenti che si fa bene ad osservare come sono scritti, non si deve ritenere che appartengano alla legge delle opere, da cui nessuno è giustificato, ( Rm 3,20 ) bensì alla legge della fede, mediante la quale vive il giusto? ( Rm 1,17; Gal 3,11; Eb 10,38; Ab 2,4 ) Chi può pensare tanto assurdamente che il ministero della morte inciso in lettere su pietra non abbracci tutti e dieci i comandamenti, ma quello solo che si riferisce al sabato? Dove mettiamo allora le parole: La legge provoca l'ira; al contrario dove non c'è legge, non c'è nemmeno trasgressione, ( Rm 4,15 ) e le altre parole: Fino alla legge c'era il peccato nel mondo; ma il peccato non può essere imputato quando manca la legge, ( Rm 5,13 ) e le parole già tante volte riportate: Dalla legge si ha solo la conoscenza del peccato, ( Rm 3,20 ) e soprattutto quelle che esprimono meglio il concetto che ora c'interessa: Non avrei conosciuto la concupiscenza, se la legge non avesse detto: Non desiderare? ( Rm 7,7 ) 14.25 - Per S. Paolo tutta la legge morale è lettera che uccide senza la grazia Esamina tutto questo passo e vedi se dica alcunché per la circoncisione o per il sabato o per qualche altro sacramento simbolico e non dica tutto in riferimento a questo concetto: la lettera che proibisce il peccato non dà la vita all'uomo, ma piuttosto la morte, aumentando la concupiscenza e aggravando la colpa con la prevaricazione della legge, se a liberarlo non interviene la grazia mediante la legge della fede nel Cristo Gesù, ( Rm 7,25 ) quando nei nostri cuori si diffonde la carità per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato. ( Rm 5,5 ) Infatti dopo aver detto: Per servire nel regime nuovo dello Spirito e non nel regime vecchio della lettera, scrive: Che diremo dunque? Che la legge è peccato? No certamente! Però io non ho conosciuto il peccato se non per la legge, né avrei conosciuto la concupiscenza, se la legge non avesse detto: Non desiderare. Prendendo pertanto occasione da questo comandamento, il peccato scatenò in me ogni sorta di desideri. Senza la legge infatti il peccato è morto e io un tempo vivevo senza la legge. Ma, sopraggiunto quel comandamento, il peccato ha preso vita e io sono morto; la legge che doveva servire per la vita è divenuta per me motivo di morte. Il peccato infatti, prendendo occasione dal comandamento, mi ha sedotto e per mezzo di esso mi ha dato la morte. Così la legge è santa e santo e giusto e buono è il comandamento. Ciò che è bene è allora diventato morte per me? Non davvero! È invece il peccato: esso per rivelarsi peccato mi ha dato la morte servendosi di ciò che è bene, perché il peccato apparisse oltre misura peccaminoso per mezzo del comandamento. Sappiamo infatti che la legge è spirituale, mentre io sono di carne, venduto come schiavo del peccato. Io non riesco a capire neppure ciò che faccio: infatti non quello che voglio io faccio, ma quello che detesto. Ora, se faccio quello che non voglio, io riconosco che la legge è buona; quindi non sono più io a farlo, ma il peccato che abita in me. Io so infatti che in me, cioè nella mia carne, non abita il bene; c'è in me il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo; infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio. Ora, se faccio quello che non voglio, non sono più io a farlo, ma il peccato che abita in me. Io trovo dunque in me questa legge: quando voglio fare il bene, il male è accanto a me. Infatti acconsento nel mio intimo alla legge di Dio, ma nelle mie membra vedo un'altra legge, che muove guerra alla legge della mia mente e mi rende schiavo della legge del peccato, che è nelle mie membra. Sono uno sventurato! Chi mi libererà dal corpo di questa morte? La grazia di Dio per Gesù Cristo nostro Signore. Io dunque con la mente servo la legge di Dio, con la carne invece la legge del peccato. ( Rm 7,6-25 ) 14.26 - La vetustà della lettera e la novità dello spirito in opposizione tra loro come legge e grazia È chiaro dunque che se manca il regime nuovo dello Spirito, invece di liberarci dal peccato il regime vecchio della lettera ci rende piuttosto colpevoli con la conoscenza del peccato. Per questo si legge altrove: Chi aumenta il sapere aumenta il dolore. ( Qo 1,18 ) Non che la legge sia per se stessa un male, ma il precetto ha il bene solo nella lettera che indica la strada, non nello Spirito che aiuta. Ora, se il precetto della legge si mette in pratica per paura della pena e non per amore della giustizia, si agisce servilmente, non liberamente, e quindi non si mette nemmeno in pratica. Non è buono infatti il frutto che non sorge dalla radice della carità. Quando invece c'è la fede che opera per mezzo dell'amore, ( Gal 5,6 ) allora questa comincia a suscitare il piacere della legge di Dio nell'intimo dell'uomo ( Rm 7,22 ) e tale piacere non è dono della lettera, bensì dello Spirito, per quanto continui nelle membra la lotta di un'altra legge contro la legge della mente, ( Rm 7,23 ) fino a quando tutto il regime vecchio muti e passi nel regime nuovo che va crescendo di giorno in giorno nell'intimo dell'uomo, ( 2 Cor 4,16 ) liberandoci dal corpo di questa morte la grazia di Dio per Gesù Cristo nostro Signore. ( Rm 7,25 ) 15.27 - Il precetto dell'osservanza del sabato prefigurava la grazia del Nuovo Testamento Questa grazia nel Vecchio Testamento se ne stava nascosta e velata ed è stata rivelata nel Vangelo del Cristo secondo un'ordinatissima distribuzione dei tempi fatta da Dio, che sa disporre bene tutti gli eventi. E forse rientra nella sua latitanza il fatto che nel Decalogo dato sul monte Sinai ( Es 24,12 ) soltanto il precetto del sabato fu occultato in un comandamento allegorico. Ma il sabato è il giorno della santificazione. ( Es 20,11 ) E non è senza importanza che tra tutte le opere fatte da Dio la santificazione sia comparsa per la prima volta quando Dio cessò da ogni lavoro. ( Gen 2,3 ) Non è questo il momento di discuterne. Credo tuttavia assai pertinente al tema osservare che non per altro motivo in quel giorno si obbligava il popolo ad astenersi da ogni opera servile, ( Es 20,10 ) che indica il peccato, se non perché astenersi dal peccare è proprio della santificazione, ossia è dono di Dio per mezzo dello Spirito Santo. E il precetto del sabato nella legge scritta sulle due tavole di pietra ( Es 24,12 ) fu il solo tra tutti gli altri ad essere proposto sotto l'ombra dell'allegoria, secondo la quale gli ebrei osservano il sabato, per indicare con questo stesso espediente che allora era il tempo d'occultare la grazia, che si sarebbe dovuta rivelare nel Nuovo Testamento mediante la passione del Cristo, come per lo squarciarsi del velo. ( Mt 27,51 ) Scrive l'Apostolo: Quando infatti Israele si convertirà al Cristo, quel velo sarà tolto. ( 2 Cor 3,16 ) 16.28 - La legge e la grazia sono opere dello stesso Spirito di Dio Il Signore è lo Spirito e dove c'è lo Spirito del Signore, c'è libertà. ( 2 Cor 3,17 ) Ma reciprocamente lo Spirito di Dio, che ci fa giusti con il dono di sé e ci fa piacevole non peccare, è dove c'è la libertà, come senza questo Spirito è piacevole peccare e c'è la schiavitù, dalle cui opere ci si deve astenere, cioè si deve santificare il sabato. Questo Spirito Santo, mediante il quale si riversa nei nostri cuori la carità ( Rm 5,5 ) che è il pieno compimento della legge, viene chiamato nel Vangelo anche Dito di Dio. ( Rm 13,10; Lc 11,20 ) Poiché dunque dal Dito di Dio furono scritte quelle tavole ( Dt 9,10 ) e il Dito di Dio è lo Spirito di Dio che ci santifica, perché vivendo di fede operiamo il bene mediante la carità, ( Gal 5,6 ) chi non rimarrebbe colpito da questa coincidenza e insieme da questa differenza? Cinquanta giorni si contano dalla celebrazione della Pasqua che Mosè comandò di fare con l'uccisione dell'agnello simbolicamente ( Es 12 ) a indicazione della futura passione del Signore fino al giorno in cui Mosè ricevette la legge in tavole scritte dal Dito di Dio. Similmente, compiuti cinquanta giorni dall'uccisione e risurrezione di colui che fu condotto all'immolazione come una pecora, ( Is 53,7 ) il Dito di Dio, cioè lo Spirito Santo, riempì di sé i fedeli tutti radunati insieme. ( At 2,1-4 ) 17.29 - Anche la legge antica si riduce alla legge della carità, ma altra cosa è il dono della carità In tale mirabile coincidenza c'è questa grande differenza: là si impedisce al popolo con orrendo terrore d'accostarsi al luogo dove la legge veniva data, ( Es 19 ) qui invece lo Spirito Santo discende su coloro ai quali era stato promesso e che per aspettarlo si erano riuniti insieme in un sol luogo. ( At 2,1 ) Là il Dito di Dio operò in tavole di pietra, qui nei cuori degli uomini. Là dunque la legge fu proposta esternamente perché fossero da essa spaventati gli ingiusti, qui fu data interiormente perché gli ingiusti fossero da essa giustificati. Infatti tutto ciò che fu scritto su quelle tavole: Non commettere adulterio, non uccidere, non desiderare, e qualsiasi altro comandamento, si riassume in queste parole: Amerai il prossimo tuo come te stesso. L'amore non fa nessun male al prossimo: pieno compimento della legge è l'amore. ( Rm 13,9-10 ) L'amore non fu scritto nelle tavole di pietra, ma è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato. ( Rm 5,5 ) Legge di Dio è dunque la carità. Alla carità non si sottomette la sapienza della carne e neanche lo potrebbe. ( Rm 8,7 ) Ma quando per spaventare questa sapienza della carne si scrivono nelle tavole le opere della carità, allora si ha la legge delle opere e la lettera che uccide il trasgressore; quando invece la carità stessa si diffonde nel cuore dei credenti, ( Rm 5,5 ) allora si ha la legge della fede e lo Spirito che dà vita al fedele esecutore della carità. 17.30 - Lo scopo della legge divina è di farci sperimentare la nostra insufficienza e di provocare il nostro ricorso alla grazia divina Osserva adesso come questa differenza corrisponda a quelle parole dell'Apostolo che ho ricordate poco più sopra per un altro motivo e che avevo rimandate ad un esame più attento. Scrive: È noto che voi siete una lettera del Cristo, composta da noi, scritta non con inchiostro, ma con lo Spirito del Dio vivente, non su tavole di pietra, ma sulle tavole di carne dei vostri cuori. ( 2 Cor 3,3 ) Ecco come indica che nel primo caso si scrive fuori dell'uomo per spaventarlo esternamente, nel secondo caso dentro l'uomo stesso per giustificarlo interiormente. Dice poi tavole di carne quelle del cuore non nel senso della sapienza della carne, ma quasi ad indicare esseri viventi e senzienti in opposizione alla pietra che non è senziente. E quello che dice poco dopo dei figli d'Israele, che non potevano guardare il volto di Mosè e che quindi egli parlava a loro attraverso un velo, ( 2 Cor 3, 7.13 ) significa che la lettera della legge non giustifica nessuno, ma un velo è frapposto nella lettura del Vecchio Testamento, finché non si passi al Cristo e non si tolga il velo, ( 2 Cor 3,16 ) cioè non si passi alla grazia e non si comprenda che dal Cristo ci viene la giustificazione la quale ci consente di fare ciò che ci comanda. Proprio per questo egli ci comanda: perché, non bastando noi a noi stessi, ci rivolgiamo a lui. Perciò, dopo aver detto oculatissimamente: Questa è la fiducia che noi abbiamo per mezzo del Cristo, davanti a Dio, affinché questo non si attribuisse alle nostre forze, precisò subito donde viene: Non però che [ da noi stessi ] siamo capaci di pensare qualcosa come proveniente da noi, ma la nostra capacità viene da Dio, che ci ha resi ministri adatti di una nuova alleanza, non della lettera, ma dello Spirito, perché la lettera uccide, lo Spirito dà vita. ( 2 Cor 3,4-6 ) 18.31 - Il Vecchio Testamento è cessato per un dono più grande da parte di Dio Poiché dunque, come dice altrove, fu aggiunta per le trasgressioni la legge, ( Gal 3,19 ) ossia la lettera scritta fuori dell'uomo, per questo la chiama ministero di morte, ministero di condanna, ( 2 Cor 3, 7.9 ) mentre il ministero della nuova alleanza lo dice ministero dello Spirito e ministero di giustizia, giacché mediante il dono dello Spirito operiamo la giustizia, e veniamo liberati dalla condanna della prevaricazione. Il vecchio patto quindi viene a cessare, il nuovo rimane, perché il pedagogo minaccioso sarà tolto quando al timore succederà la carità. Infatti dove c'è lo Spirito del Signore c'è libertà. ( 2 Cor 3,17; Gal 3,24 ) Che questo ministero non viene dai nostri meriti, ma dalla misericordia di Dio, lo dice nelle parole seguenti: Perciò, investiti di questo ministero per la misericordia che ci è stata usata, non ci perdiamo d'animo; al contrario, rifiutiamo le dissimulazioni vergognose, senza comportarci con astuzia né falsificando la parola di Dio. ( 2 Cor 4,1-2 ) Per "astuzia" e "inganno" intende l'ipocrisia con la quale i superbi vogliono apparire giusti. Perciò nel salmo che lo stesso Apostolo ricorda per attestare la grazia si legge: Beato l'uomo a cui il Signore non imputa alcun male e nella cui bocca non c'è inganno. ( Rm 4,8; Sal 32,8 ) Questa è la confessione delle persone sante che sono umili e non si vantano d'essere quello che non sono. E poco dopo scrive: Noi infatti non predichiamo noi stessi, ma Gesù Cristo Signore; quanto a noi, siamo i vostri servi per amore di Gesù. E Dio che disse: - Rifulga la luce dalle tenebre - rifulse nei nostri cuori, per far risplendere la conoscenza della gloria divina che rifulge sul volto del Cristo Gesù. ( 2 Cor 4,5-6 ) Questa è la conoscenza della gloria di Dio: sapere che egli stesso è la luce che illumina le nostre tenebre. ( Gv 1,5 ) E osserva come inculchi la stessa verità dicendo: Però noi abbiamo questo tesoro in vasi di creta, perché appaia che questa potenza straordinaria viene da Dio e non da noi. ( 2 Cor 4,7 ) E poco dopo, quando nell'esaltare ancora più eloquentemente la grazia nel Signore Gesù Cristo arriva fino all'abito della giustizia della fede, ( 2 Cor 5,2-4 ) abito del quale dobbiamo vestirci per non essere trovati nudi, e per questo, sotto il peso della mortalità, sospiriamo dal desiderio d'indossare il nostro corpo celeste come un soprabito, perché ciò che è mortale venga assorbito dalla vita, sta' attento a che cosa aggiunge: È Dio che ci ha fatti per questo e ci ha dato la caparra dello Spirito. ( 2 Cor 5,5 ) E dopo poche altre righe conclude: Perché noi potessimo diventare per mezzo di lui giustizia di Dio. ( 2 Cor 5,21 ) Questa non è la giustizia di cui Dio stesso è giusto, ma la giustizia con la quale Dio ha fatto giusti noi. 19.32 - La vera fede cristiana ammette la grazia, oltre la legge Nessun cristiano dunque devii da questa fede, che è la sola ad essere la vera fede cristiana. E quando uno si vergognerà di dire che noi diventiamo giusti da noi stessi senza che la grazia di Dio l'operi in noi, vedendo che i cristiani fedeli e pii non sopportano che lo si dica, non venga a dire che noi non possiamo essere giusti senza l'operazione della grazia di Dio solo nel senso che Dio ha dato la legge, nel senso che ha stabilito la dottrina, nel senso che ha emanato buoni precetti. Tutto questo infatti senza lo Spirito che aiuta è indubbiamente lettera che dà morte. Quando al contrario c'è lo Spirito che dà vita, allora egli ci fa amare come iscritta dentro di noi la norma stessa che la legge ci faceva temere come scritta fuori di noi. 19.33 - La differenza tra l'Antico e il Nuovo Testamento descritta dal profeta Geremia Esamina ciò brevemente anche nella testimonianza che ha reso il profeta scrivendo: Ecco verranno giorni, dice il Signore, nei quali con la casa d'Israele e con la casa di Giuda io concluderò un Testamento Nuovo. Non come il Testamento che ho concluso con i loro padri, quando li presi per mano per farli uscire dal paese d'Egitto. Essi non perseverarono nel mio Testamento e io allora li respinsi. Parola del Signore. Questo è il Testamento che io concluderò con la casa d'Israele: dopo quei giorni, dice il Signore, io porrò le mie leggi nel loro cuore e le scriverò nella loro mente; io sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo. E nessuno istruirà più il suo concittadino né il suo fratello dicendo: Riconosci il Signore, perché tutti mi conosceranno dal più piccolo al più grande, poiché io perdonerò la loro iniquità e non mi ricorderò più dei loro peccati. ( Ger 31,31-34 ) Cosa aggiungere a queste parole? Nei Libri antichi al di fuori di questo passo profetico non si trova menzionato mai, o raramente, il Nuovo Testamento proprio con il suo nome stesso. In molti testi infatti si indica e si annunzia come futuro, ma senza che si legga esplicitamente il suo nome. Considera dunque diligentemente quanta differenza Dio attesti esistere tra i due Testamenti, Vecchio e Nuovo. 19.34 - L'osservanza della lettera è opera dello Spirito Dopo che ha detto: Non come il Testamento che ho concluso con i loro padri, quando li presi per mano per farli uscire dal paese d'Egitto, vedi quello che soggiunge: Essi non perseverarono nel mio Testamento. ( Ger 31,32 ) A loro vizio ascrive di non aver perseverato nel testamento di Dio, perché non sembrasse colpevole la legge che ricevettero allora. È quella stessa che il Cristo non venne ad annullare ma a completare. ( Mt 5,17 ) Senza tuttavia che i peccatori siano stati giustificati mediante quella medesima legge, ma mediante la grazia: in realtà è lo Spirito vivificante che giustifica e senza di lui la lettera uccide. Se infatti fosse stata data una legge capace di conferire la vita, la giustificazione scaturirebbe davvero dalla legge; la Scrittura invece ha rinchiuso ogni cosa sotto il peccato, perché ai credenti la promessa venisse data in virtù della fede in Gesù Cristo. ( Gal 3,21-22 ) Per questa promessa, cioè per un beneficio divino, si osserva la stessa legge, che senza quella promessa rende prevaricatori: o fino al fatto di una cattiva azione, se la fiamma della concupiscenza oltrepassa anche il riparo del timore o almeno dentro la sola volontà, se il timore della pena vince la soavità della libidine. Dicendo: La Scrittura ha rinchiuso ogni cosa sotto il peccato, perché ai credenti la promessa venisse data in virtù della fede in Gesù Cristo ha detto l'utilità della stessa inclusione. Quale inclusione se non quella che descrive con le parole: Prima però che venisse la fede, noi eravamo rinchiusi sotto la custodia della legge, in attesa della fede che doveva essere rivelata? ( Gal 3,23 ) Dunque è stata data la legge perché si cercasse la grazia, è stata data la grazia perché si osservasse la legge. Infatti non per vizio della legge non si osservava la legge, ma per vizio della sapienza della carne, vizio che la legge ebbe il compito di manifestare e la grazia il compito di sanare. Infatti ciò che era impossibile alla legge, perché la carne la rendeva impotente, Dio lo ha reso possibile: mandando il proprio Figlio in una carne simile a quella del peccato e in vista del peccato, egli ha condannato il peccato nella carne, perché la giustizia della legge si adempisse in noi, che non camminiamo secondo la carne, ma secondo lo spirito. ( Rm 8, 3-4 ) Perciò anche nella testimonianza di Geremia: Con la casa d'Israele e con la casa di Giuda io concluderò un Testamento nuovo, che significa concluderò se non "adempirò"? Non come il Testamento che ho concluso con i loro padri, quando li presi per mano per farli uscire dal paese d'Egitto. ( Ger 31,31-32 ) 20.35 - La novità dello Spirito che ci fa perseverare nell'osservanza della legge di Dio, caratterizza il Nuovo Testamento Quello era dunque Vecchio, perché questo è Nuovo. Ma cos'è che rende vecchio quello e nuovo questo, se mediante il Testamento Nuovo si adempie la medesima legge che nel Vecchio diceva: Non desiderare? Ecco la ragione: Essi non perseverarono nel mio Testamento e io allora li respinsi. Parola del Signore. ( Es 20,17 ) Quello dunque si dice Testamento Vecchio per la malattia antica che la lettera imperiosa e minacciosa non sanava minimamente nell'uomo, questo si dice viceversa Testamento Nuovo perché la novità dello Spirito sana l'uomo dal vizio antico e lo fa nuovo. Osserva poi il seguito e ammira di quanta luce si faccia luminoso ciò che le persone troppo fiduciose di sé rifiutano di vedere. Scrive: Questo è il Testamento che io concluderò con la casa d'Israele: dopo quei giorni, dice il Signore, io porrò le mie leggi nei loro cuori e le scriverò nella loro mente. ( Ger 31,33 ) Ecco ritorna quello che diceva già l'Apostolo: Non su tavole di pietra, ma sulle tavole del cuore, perché non con inchiostro, ma con lo Spirito del Dio vivente. ( 2 Cor 3,3 ) Né per altro motivo credo che l'Apostolo in questo passo abbia voluto ricordare il Nuovo Testamento - dice infatti: Ci ha resi ministri adatti di un Nuovo Testamento, non della lettera, ma dello Spirito ( 2 Cor 3,6 ) - se non perché, dicendo: Non su tavole di pietra, ma sulle tavole carnali del cuore, ( 2 Cor 3,3 ) aveva di mira il vaticinio di Geremia dove è detto: Le scriverò nel loro cuore, ( Ger 31,33 ) e dove è stato promesso esplicitamente il Testamento Nuovo. 21.36 - La legge di Dio scritta nel cuore umano è la forza della carità fatta presente dallo Spirito Santo nell'uomo Che sono dunque le leggi di Dio scritte da lui stesso nei cuori se non la presenza stessa dello Spirito Santo che è il Dito di Dio, ( Lc 11,20 ) e che con la sua presenza riversa nei nostri cuori la carità, ( Rm 5,5 ) la quale è il pieno compimento della legge ( Rm 13,10 ) e il suo termine? ( 1 Tm 1,5 ) Le promesse del Vecchio Testamento sono terrene. Tuttavia, eccettuati i sacramenti che erano ombre delle cose future, ( Col 2,17 ) come la circoncisione, il sabato, le altre osservanze legate ai giorni, le prescrizioni riguardanti alcuni cibi, i molteplici riti dei sacrifici e delle celebrazioni sacre, che si addicevano all'antica legge carnale e al giogo servile, il Vecchio Testamento contiene precetti di giustizia tali e quali siamo obbligati ad osservare anche noi adesso, espressi soprattutto in quelle due tavole senza forma alcuna di simbolismo tipico, come i comandamenti: Non commettere adulterio, non uccidere, non desiderare, e gli altri, tutti ricapitolati in questa norma: Amerai il tuo prossimo come te stesso. ( Rm 13,9 ) Poiché dunque, dicevo, nel Vecchio Testamento si fanno promesse terrene e temporali, consistenti nei beni di questa carne corruttibile, pur rappresentando essi i beni eterni e celesti spettanti al Nuovo Testamento, adesso si promette il bene del cuore stesso, il bene della mente, il bene dello spirito, cioè un bene non materiale, quando si dice: Io porrò le mie leggi nella loro mente e le scriverò nei loro cuori. ( Ger 38,33 ) Con questo ha fatto capire che non sarebbero stati soggiogati dalla paura di una legge che li atterrisse dall'esterno, ma dall'amore della stessa giustizia della legge che abita nell'interno. 22.37 - La carità prepara l'uomo alla somiglianza finale con Dio Poi soggiunge anche il premio: Io sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo. ( Ger 38,33 ) È quanto il salmista dice a Dio: Il mio bene è stare vicino a Dio. ( Sal 73,28 ) Io sarò il loro Dio, dice, ed essi saranno il mio popolo. ( Ger 38,33 ) Che c'è di meglio di questo bene, che c'è di più felice di questa felicità: vivere per Dio e vivere di Dio ( Rm 6,11 ) nel quale c'è la sorgente della vita e alla cui luce noi vedremo la luce? ( Sal 36,10 ) Di questa vita dice il Signore stesso: Questa è la vita eterna: che conoscano te, l'unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo, ( Gv 17,3 ) cioè te e Gesù Cristo mandato da te, che siete l'unico vero Dio. Questo anch'egli promette a coloro che lo amano dicendo: Chi mi ama osserva i miei comandamenti, e chi mi ama viene amato dal Padre mio e anch' io lo amerò e mi manifesterò a lui: ( Gv 14,21 ) s'intende nella natura divina nella quale è uguale al Padre, non nella natura di servo ( Fil 2,6-7 ) con la quale si manifesta anche agli empi. Allora infatti si avvererà quello che è scritto: Sia rimosso l'empio, perché non contempli la maestà del Signore, ( Is 26,10 ) quando quelli di sinistra andranno nel fuoco eterno e i giusti nella vita eterna. ( Mt 25,46 ) E questa vita eterna, come ho detto, consiste nel conoscere l'unico vero Dio. ( Gv 17,3 ) Per questo anche Giovanni dice: Carissimi, noi fin da ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo che, quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è. ( 1 Gv 3,2 ) Questa somiglianza comincia a ricostituirsi adesso, via via che l'uomo si rinnova interiormente di giorno in giorno ( 2 Cor 4,16 ) secondo l'immagine del suo Creatore. ( Col 3,10 ) 23.38 - La perfezione dello stato finale nelle parole di S. Paolo Ma cos'è questo o quant'è a confronto della perfezione sublime che ci sarà allora? Tant'è vero che l'Apostolo, prendendo un esempio qualunque da ciò che è noto per descrivere quelle realtà ineffabili, ricorre al confronto tra l'età infantile e l'età virile dicendo: Quand'ero bambino, parlavo da bambino, pensavo da bambino, ragionavo da bambino. Ma, divenuto uomo, ciò che era da bambino l'ho abbandonato. ( 1 Cor 3,11 ) E per mostrare la ragione di queste sue parole scrive: Ora vediamo come in uno specchio in maniera confusa, ma allora vedremo faccia a faccia. Ora conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente come anch'io sono conosciuto. ( 1 Cor 3,12 ) 24.39 - La perfezione dello stato finale nelle parole del profeta Geremia Perciò anche il profeta [ Geremia ] nel testo che stiamo esaminando aggiunge che in Dio sta il premio, in Dio il fine, in Dio la perfezione della felicità, in Dio la pienezza della vita beata ed eterna. Infatti dopo l'affermazione: Io sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo dice immediatamente: E nessuno istruirà più il suo concittadino né il suo fratello dicendo: Riconosci il Signore, perché tutti mi conosceranno dal più piccolo al più grande. ( Ger 38,33-34 ) Adesso siamo certamente già nel tempo del Nuovo Testamento che il profeta ha promesso con queste parole del suo vaticinio. Perché dunque ciascuno dice ancora al suo concittadino e al suo fratello: Riconosci il Signore? Non è forse questo che si dice predicando il Vangelo e la stessa predicazione di esso non si riduce a dire questo dappertutto? Cos'è che dà motivo all'Apostolo di chiamarsi dottore delle genti ( 1 Tm 2,7 ) se non l'avverarsi di ciò che egli appunto dice nel testo: Ora, come potranno invocarlo senza aver prima creduto in lui? E come possono credere, senza averne sentito parlare? E come potranno sentirne parlare senza uno che lo annunzi? ( Rm 10,14 ) Dal momento dunque che questa predicazione va adesso crescendo dappertutto, in che modo noi siamo nel tempo del Nuovo Testamento del quale il Profeta ha detto: E nessuno istruirà più il suo concittadino né il suo fratello dicendo: Riconosci il Signore, perché tutti mi conosceranno dal più piccolo al più grande ( Ger 38,34 ) se non in quanto del medesimo Nuovo Testamento Geremia ha pure aggiunto, promettendolo per l'avvenire, il premio eterno, ossia la beatissima contemplazione di Dio stesso? 24.40 - Il mistero della grazia fa parte del mistero della predestinazione o della libertà divina Tutti dal più piccolo al più grande che vuol dire se non tutti coloro che appartengono spiritualmente alla casa d'Israele e alla casa di Giuda, cioè ai figli d'Isacco e al seme di Abramo? Questa è la promessa per cui gli fu detto: In Isacco ti sarà data una discendenza, cioè: non sono considerati figli di Dio i figli della carne, ma come discendenza sono considerati solo i figli della promessa. Queste infatti sono le parole della promessa: Io verrò in questo tempo e Sara avrà un figlio. E non è tutto: c'è anche Rebecca, che ebbe figli da un solo uomo, Isacco, nostro padre: quando essi ancora non erano nati e nulla avevano fatto di bene o di male, perché rimanesse fermo il disegno divino fondato sull'elezione non in base alle opere, ma alla volontà di colui che chiama, le fu dichiarato: Il maggiore sarà sottomesso al minore. ( Rm 9,7-13 ) Questa è la casa d'Israele o la casa di Giuda a causa del Cristo che venne dalla tribù di Giuda. Questa è la casa dei figli della promessa, non delle opere proprie dell'uomo, ma della beneficenza di Dio. Dio infatti promette quello che fa da sé: non è lui a promettere e un altro a fare, perché altrimenti non sarebbe promettere, ma predire. Ecco perché dice: Non in base alle opere, ma alla volontà di colui che chiama: ( Rm 9,12 ) per impedire che passi come opera degli uomini e non di Dio, per impedire che la mercede non sia retribuita per grazia, ma per debito, ( Rm 4,4 ) e così non sia più grazia la grazia ( Rm 11,6 ) di cui è veemente difensore e assertore l'infimo degli Apostoli, che ha faticato più di tutti gli altri, non da sé però, ma la grazia di Dio con lui. ( 1 Cor 15,9-10 ) Dice: Tutti mi conosceranno. ( Ger 38,34 ) Tutti, della casa d'Israele e della casa di Giuda. Infatti non tutti i discendenti d'Israele sono Israele, ma tutti coloro ai quali nel salmo Per il soccorso del mattino, cioè per la luce nuova, ossia per la luce del Nuovo Testamento, si rivolge l'invito: Gli dia gloria la stirpe di Giacobbe, lo tema la stirpe d'Israele. ( Sal 22, 1.24 ) Proprio l'intera stirpe, proprio tutta la stirpe promessa e chiamata, ma di coloro che sono stati chiamati secondo il disegno di Dio. ( Rm 8,28 ) Quelli infatti che ha predestinati li ha anche chiamati, quelli che ha chiamati li ha anche giustificati, quelli che ha giustificati li ha anche glorificati. ( Rm 8,30 ) Eredi quindi si diventa per la fede, perché ciò sia per grazia e così la promessa sia sicura per tutta la discendenza, non soltanto per quella che deriva dalla legge, cioè, per quella che dal Vecchio Testamento è venuta al Nuovo, ma anche per quella che deriva dalla fede, ( Rm 4,16 ) senza aver prima ricevuto la legge. E precisamente dalla fede di Abramo: cioè gli imitatori della fede di Abramo, il quale è il padre di tutti noi. Infatti sta scritto: Ti ho costituito padre di molti popoli. ( Rm 4,17 ) Dunque tutti questi predestinati, chiamati, giustificati, glorificati conosceranno Dio mediante la grazia del Nuovo Testamento, dal più piccolo al più grande di essi. 24.41 - L'ora della contemplazione scoccherà simultanea per tutta l'umanità insieme Come dunque appartiene al Vecchio Testamento la legge delle opere scritte su tavole di pietra e per sua mercede quella terra promessa che la casa dell'Israele carnale ricevette dopo esser stata liberata dall'Egitto, così appartiene al Nuovo Testamento la legge della fede scritta nei cuori e per sua mercede la visione della contemplazione che la casa dell'Israele spirituale riceverà dopo che sarà stata liberata da questo mondo. Allora si avvererà quello che dice l'Apostolo: Le profezie scompariranno, il dono delle lingue cesserà e la scienza svanirà: ( 1 Cor 13,8 ) cioè la scienza da bambini nella quale viviamo qui adesso e che è imperfetta, come in uno specchio, in maniera confusa. ( 1 Cor 13, 9.12 ) Per essa è necessaria la profezia, mentre il futuro sta ancora succedendo al passato; per essa sono necessarie le lingue, ossia il pluralismo dei modi di esprimersi, perché sono molti e diversi i modi di far intendere molte e diverse verità a chi non contempla ancora con mente purissima l'eterna luce della verità evidente. Quando verrà ciò che è perfetto ( 1 Cor 13,10 ) e scomparirà tutto quello che è imperfetto, ( 1 Cor 13,8-9 ) allora il Verbo che apparve alla carne nella carne assunta mostrerà se stesso ai suoi amici così com'è. Quella di allora sarà la vita eterna che ci farà conoscere l'unico vero Dio. ( Gv 17,3 ) Allora saremo simili a lui, ( 1 Gv 3,2 ) perché allora conosceremo come anche noi siamo conosciuti. ( 1 Cor 13,2 ) Allora nessuno istruirà più il suo concittadino né il suo fratello dicendo: Riconosci il Signore, perché tutti lo conosceranno, dal più piccolo al più grande di essi. ( Ger 38,34; Eb 8,11 ) Quest'ultima espressione si può intendere in modi diversi. O nel senso che anche là ognuno dei santi è come stella che differisce da stella nello splendore. ( 1 Cor 15,41 ) E non ha nessuna importanza che si dica dal più piccolo al più grande, come viene detto, o dal più grande al più piccolo. Ugualmente è indifferente che per più piccoli intendiamo quelli che poterono credere soltanto e per più grandi quelli che poterono anche capire, nella misura che è possibile in questa vita, la luce incorporea ed immutabile. Oppure volle indicare nei più piccoli quelli posteriori nel tempo, nei più grandi quelli anteriori nel tempo. Tutti insieme infatti riceveranno la promessa contemplazione di Dio, perché anche i primi ebbero in vista il meglio per noi così da non raggiungere la perfezione senza di noi. ( Eb 11,40 ) E quindi primi risulterebbero i posteriori, nel senso che sono stati tenuti meno in attesa, come si dice di quel denaro evangelico nella parabola: lo ricevono prima quelli che si sono recati nella vigna dopo gli altri. ( Mt 20,8-12 ) Oppure i più piccoli e i più grandi devono intendersi in un qualsiasi altro modo che forse sul momento mi sfugge. 25.42 - L'aiuto interiore della grazia costituisce la differenza specifica tra l'Antico e il Nuovo Testamento Sta' attento per quanto puoi a quello che cerco di dimostrare con tanto impegno. Quando il Profeta prometteva il Testamento Nuovo, di tipo diverso dal Testamento che era stato fatto prima con il popolo d'Israele liberato dall'Egitto, non disse nulla del cambiamento dei sacrifici e di tutti quei sacramenti che pur sarebbe avvenuto senza dubbio, come lo vediamo avvenuto e come in molti altri luoghi lo attesta la stessa Scrittura profetica, ma sottolineò unicamente questa differenza: Dio avrebbe posto le sue leggi nella mente di coloro che fossero appartenuti al Nuovo Testamento e le avrebbe scritte nei loro cuori. Di qui l'Apostolo prese lo spunto per dire: Non con inchiostro, ma con lo Spirito del Dio vivente, non su tavole di pietra, ma sulle tavole di carne dei vostri cuori. ( 2 Cor 3,3 ) E la mercede eterna della giustificazione non sarebbe stata la terra da cui furono cacciati gli Amorrei, i Cettei e gli altri popoli ivi ricordati, ( Gs 12 ) ma lo stesso Dio, aderire al quale è il bene degli uomini, ( Sal 73,28 ) cosicché il bene che amano di ricevere da Dio è lo stesso Dio che amano. Tra Dio e gli uomini fanno da separazione soltanto i peccati, ( Is 59,2 ) che si rimettono soltanto mediante la medesima grazia. Perciò dopo aver detto: Tutti mi conosceranno dal più piccolo al più grande di essi, aggiunge subito: Io perdonerò la loro iniquità e non mi ricorderò più dei loro peccati. ( Ger 38,34 ) Con la legge delle opere dunque il Signore dice: Non desiderare. ( Es 20,17 ) Con la legge della fede il Signore dice: Senza di me non potete far nulla, ( Gv 15,5 ) e parlava lì delle opere buone, cioè dei frutti da parte dei tralci. ( Gv 15,1-5 ) La distanza che appare tra il Vecchio e il Nuovo Testamento è questa: che lì la legge si scrive su pietre, qui nei cuori, di modo che ciò che prima spaventa l'uomo all'esterno ora gli piace nel suo interno, e chi diventa allora trasgressore per la lettera che dà morte diventa ora amatore per lo Spirito che dà vita. Perciò non si deve dire che Dio in tanto ci aiuta nell'operare la giustizia e in tanto suscita in noi il volere e l'operare secondo i suoi benevoli disegni ( Fil 2,13 ) in quanto fa risuonare all'esterno ai nostri sensi i precetti della giustizia, ma in quanto fa crescere la giustizia all'interno di noi, diffondendo la carità nei nostri cuori mediante lo Spirito Santo che ci è stato dato. ( 1 Cor 3,7; Rm 5,5 ) 26.43 - La legge divina scritta per natura nel cuore dei gentili Ma dobbiamo vedere perché l'Apostolo dice: Quando i pagani, che non hanno la legge, per natura agiscono secondo la legge, essi, pur non avendo legge, sono legge a se stessi; essi dimostrano che quanto la legge esige è scritto nei loro cuori. ( Rm 2,14-15 ) Può sembrare incerta la differenza del Nuovo Testamento consistente nella promessa del Signore di scrivere le sue leggi nei cuori del suo popolo, dal momento che i pagani hanno già questo per natura. Dobbiamo dunque affrontare tale problema che non è di poco interesse. Si obietterà infatti: "Se Dio differenzia il Nuovo Testamento dal Vecchio per il fatto che nel Vecchio scrisse la sua legge sulle tavole, nel Nuovo invece l'ha scritta nei cuori, come si distinguono i fedeli nel Nuovo Testamento dai gentili che hanno il dettame della legge scritto nei loro cuori? Seguendo questo dettame i gentili fanno per natura ciò che la legge prescrive, e sembrano migliori di quell'antico popolo che ricevette la legge nelle tavole e anteriori al nuovo popolo al quale mediante il Testamento Nuovo si dona ciò che ad essi la natura ha già donato". 26.44 - Sono da intendersi i gentili che credono nell'Evangelo Che hanno la legge scritta nei loro cuori l'apostolo non l'ha detto forse delle genti che appartengono al Nuovo Testamento? Bisogna infatti vedere da dove è partito per arrivare a questo argomento. Prima dice a lode del Vangelo: Esso è potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede, del giudeo prima e poi del greco. È in esso che si rivela la giustizia di Dio di fede in fede, come sta scritto: Il giusto vivrà mediante la fede. ( Rm 1,16-17 ) Dopo viene a parlare di quegli empi ai quali per la loro superbia non giovò nemmeno la conoscenza di Dio, perché non lo glorificarono o non lo ringraziarono come Dio. ( Rm 1,21 ) Successivamente passa a coloro che giudicano gli altri e pur commettono le medesime azioni che condannano negli altri, riferendosi evidentemente ai giudei che si gloriavano della legge di Dio, sebbene non li indichi ancora nominativamente, e così dice: Sdegno ed ira, tribolazione e angoscia per ogni uomo che opera il male, per il giudeo prima e poi per il greco; gloria invece, onore e pace per chi opera il bene, per il giudeo prima e poi per il greco, perché presso Dio non c'è parzialità. Tutti quelli che hanno peccato senza la legge, periranno anche senza la legge; quanti invece hanno peccato sotto la legge, saranno giudicati con la legge. Perché non sono giusti davanti a Dio gli uditori della legge, ma saranno giustificati gli operatori della legge. ( Rm 2,8-13 ) Dopo queste parole soggiunge le altre di cui stiamo trattando: Quando i pagani, che non hanno la legge, per natura agiscono secondo la legge, ( Rm 2,14 ) con il seguito che ho già riferito sopra. Non sembra dunque che abbia inteso qui, sotto il nome di gentili, altre persone diverse da quelle che indicava sopra, con il nome di greco, dicendo: Per il giudeo prima e poi per il greco. ( Rm 1,16 ) Ora, se il Vangelo è potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede, del giudeo prima e poi del greco; se sdegno ed ira, tribolazione e angoscia per ogni uomo che opera il male, per il giudeo prima e poi per il greco; gloria invece, onore e pace per chi opera il bene, per il giudeo prima e poi per il greco; ( Rm 2,8-10 ) se questo greco è indicato con il nome dei gentili, che fanno per natura ciò che prescrive la legge e che hanno il dettame della legge scritto nei loro cuori, sicuramente appartengono al Vangelo i gentili che hanno la legge scritta nei loro cuori: appunto per essi che credono il Vangelo è potenza di Dio per la salvezza. Del resto, a quali gentili che operino rettamente potrebbe promettere gloria, onore e pace al di fuori della grazia del Vangelo? Poiché infatti non c'è parzialità presso Dio e non sono giustificati gli uditori della legge, ma i suoi operatori, per questo tanto il giudeo quanto il greco, cioè chiunque crede tra le genti avrà ugualmente la salvezza nel Vangelo. Non c'è infatti distinzione, come dirà in seguito: Tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio; ma sono giustificati gratuitamente per la sua grazia. ( Rm 3,22-24 ) In virtù di che cosa potrebbe dire giustificato il greco operatore della legge se non in virtù della grazia del Salvatore? 26.45 - Il senso della frase: Gli operatori della legge sono giustificati All'affermazione: Gli operatori della legge saranno giustificati, ( Rm 2,13 ) l'Apostolo non potrebbe dare un senso che vada contro di lui stesso, intendendo che sono giustificati dalle loro opere e non dalla grazia, perché egli dichiara che l'uomo viene giustificato gratuitamente per la fede indipendentemente dalle opere della legge, ( Rm 3, 24.28 ) e null'altro vuole intendere con quel "gratuitamente" se non che le opere non precedono la giustificazione. Altrove lo dice appunto apertamente: Se è per grazia, non è per le opere, altrimenti la grazia non sarebbe più grazia. ( Rm 6,11 ) Ma la dichiarazione: Gli operatori della legge saranno giustificati la dobbiamo intendere così da presupporre che essi non possono essere operatori della legge altrimenti che con l'essere stati già prima giustificati, di modo che la giustificazione non accede agli operatori, ma la giustificazione precede gli operatori. Che altro infatti significa "giustificati", se non "resi giusti", da colui evidentemente che giustifica l'empio ( Rm 3,24; Rm 4,5 ) perché da empio diventi giusto? Se per esempio parlassimo così da dire: "Gli uomini saranno liberati", certo si capirebbe una liberazione che accede ad uomini già esistenti. Se invece dicessimo: "Gli uomini saranno creati", senza dubbio non si intenderebbe la creazione di uomini già esistenti, ma che la creazione stessa faccia esistere quegli uomini. Ugualmente se fosse stato detto: "Gli operatori della legge saranno onorati", non lo intenderemmo in modo giusto se non nel senso che l'onore accederebbe a individui che sono già operatori della legge. Poiché invece è stato detto: Gli operatori della legge saranno giustificati, che altro è stato detto se non che "i giusti saranno giustificati"? Infatti gli operatori della legge sono già indubbiamente giusti. E quindi sarebbe lo stesso che dire: "Gli operatori della legge saranno creati": non che erano già, ma perché siano; di modo che similmente anche i giudei uditori della legge capissero d'aver bisogno della grazia del giustificatore per essere operatori della legge. La frase: Saranno giustificati, può certo avere anche questo significato: "Saranno ritenuti giusti", "saranno reputati giusti", nel senso stesso in cui di quel tale è stato scritto: Egli, volendosi giustificare, ( Lc 10,29 ) cioè volendo apparire ed essere reputato giusto. Ad esempio, altro è il senso in cui diciamo: "Dio santifica i suoi santi", e altro il senso in cui diciamo: Sia santificato il tuo nome. ( Mt 6,9 ) Nel primo caso infatti lo diciamo perché è Dio stesso che fa santi coloro che non erano santi, nel secondo caso perché il nome di Dio che è sempre santo in se stesso sia ritenuto santo anche dagli uomini, cioè sia santamente temuto. 26.46 - Il nuovo Israele secondo lo spirito L'Apostolo dunque, quando accennò ai pagani che osservano per natura quello che prescrive la legge e portano scritto nel cuore il dettame della legge, ( Rm 2,14-15 ) volle far intendere quelli che credono nel Cristo. Il fatto che essi non arrivano alla fede preceduti dalla legge come i giudei, non ci deve dare il pretesto di distinguerli da coloro nel cui cuore ( Ger 38,33 ) il Signore, promettendo per mezzo del Profeta il Testamento Nuovo, disse che avrebbe scritto le sue leggi. Infatti, come dice l'Apostolo, per l'innesto praticato all'oleastro, essi pure appartengono al medesimo olivo, cioè al medesimo popolo di Dio. ( Rm 11,24 ) Piuttosto anche questa testimonianza dell'Apostolo concorda con la testimonianza del profeta: appartenere al Testamento Nuovo vuol dire avere la legge di Dio scritta non su tavole, ma nel cuore, cioè abbracciare la giustizia della legge negli affetti intimi, dove la fede diventa operosa mediante l'amore. ( Gal 5,6 ) E la Scrittura, prevedendo che Dio avrebbe giustificati i pagani per la fede, preannunziò ad Abramo questo lieto annunzio: Nel tuo nome saranno benedette tutte le genti, ( Gen 22,18 ) perché per la grazia di questa promessa l'oleastro si innestasse nell'olivo e i pagani credenti divenissero figli di Abramo nel seme di Abramo che è il Cristo, ( Gal 3, 8.16 ) imitando la fede di uno che senza aver ricevuto la legge nelle tavole e senza aver nemmeno ancora la circoncisione ebbe fede in Dio e ciò gli fu accreditato come giustizia. ( Gen 15,6; Rm 4,3 ) Così quello che l'Apostolo dice di questi gentili, cioè che hanno il dettame della legge scritto nei loro cuori, ( Rm 2,15 ) coincide con quanto scrive ai Corinzi: Non su tavole di pietra, ma sulle tavole di carne dei vostri cuori. ( 2 Cor 3,3 ) In tal modo infatti diventano membri della casa d'Israele, perché la loro incirconcisione viene ad equivalere alla circoncisione e invece di mostrare la giustizia della legge con la circoncisione della carne la custodiscono con la carità del cuore, poiché, come scrive l'Apostolo, se chi non è circonciso osserva le prescrizioni della legge, la sua non circoncisione non gli verrà forse contata come circoncisione? ( Rm 2,26 ) E conseguentemente nella casa del vero Israele, dove non c'è falsità, ( Gv 1,47 ) sono partecipi del Testamento Nuovo, perché Dio pone le sue leggi nella loro mente e le scrive nei loro cuori con il suo Dito, ( Ger 38,33; Eb 10,16 ) con lo Spirito Santo, il quale vi diffonde la carità, ( Rm 5,5 ) che è il pieno compimento della legge. ( Rm 13,10 ) 27.47 - La grazia ripara la natura e la rende capace di osservare la legge di Dio Né t'impressioni il modo di dire dell'Apostolo: Per natura agiscono secondo la legge, non per lo Spirito di Dio, non per la fede, non per la grazia. Questa è infatti l'opera dello Spirito di grazia: restaurare in noi l'immagine di Dio nella quale fummo fatti per natura. Il vizio è contro la natura e da esso ci guarisce appunto la grazia, per la quale si dice a Dio: Pietà di me, risanami, contro di te ho peccato. ( Sal 41,5 ) Per questo è vero che gli uomini agiscono per natura secondo la legge: coloro infatti che non agiscono così è per loro vizio che non agiscono così. E tale vizio ha cancellato la legge di Dio dai cuori, e conseguentemente quando essa, sanato il vizio, si scrive nei cuori, gli uomini agiscono per natura secondo la legge: non che per la natura sia stata negata la grazia, ma al contrario per la grazia è stata riparata la natura. Ecco: A causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e con il peccato la morte e così ha raggiunto tutti gli uomini, che tutti hanno peccato in lui, ( Rm 5,12 ) e quindi, perché non c'è distinzione, tutti sono privi della gloria di Dio, ma sono giustificati gratuitamente per la sua grazia. ( Rm 3,22-24 ) Nell'intimo dell'uomo rinnovato dalla grazia si scrive la giustizia che la colpa aveva cancellata, e questa misericordia scende sul genere umano per il Cristo Gesù nostro Signore. Uno solo infatti è Dio e uno solo il mediatore fra Dio e gli uomini, l'uomo Cristo Gesù. ( 1 Tm 2,5 ) 27.48 - Un'altra accezione relativa a coloro che osservano per natura la legge di Dio Poniamo viceversa l'ipotesi che coloro che agiscono per natura secondo la legge non siano ancora da contarsi nel numero di quelli che la grazia del Cristo giustifica, ma invece nel numero di coloro che sono ancora empi e non adoratori veri e giusti del vero Dio. Su costoro abbiamo letto o saputo o udito fatti che secondo la regola della giustizia non solo non possiamo biasimare, ma altresì lodiamo meritamente e giustamente. Quantunque, ad esaminare per quale fine siano compiute quelle azioni, sarebbe difficile trovarne che meritino la lode e la difesa dovute alla giustizia. 28 - Nondimeno, nell'anima umana il disordine delle passioni terrene non ha danneggiato l'immagine di Dio fino a tal punto da non lasciarvene quasi nemmeno i più piccoli lineamenti. Perciò si può dire a ragione che gli uomini anche nell'empietà della loro vita sentono e osservano alcune prescrizioni della legge. Ammesso che questo sia il senso delle parole: I pagani, che non hanno la legge, ossia la legge di Dio, per natura agiscono secondo la legge, e delle altre parole: Sono legge a se stessi e dimostrano che quanto la legge esige è scritto nei loro cuori, ( Rm 2,14-15 ) ossia non è stato completamente distrutto quanto ci fu impresso con l'immagine di Dio quando gli uomini furono creati: anche in tale interpretazione rimane intatta la differenza tra il Nuovo e il Vecchio Testamento riposta nel fatto che nel Nuovo viene scritta nel cuore dei fedeli la legge di Dio, nel Vecchio sulle tavole. Per il rinnovamento del patto si scrive nel cuore proprio ciò che non si cancellò completamente per il vecchio peccato. Come infatti per il Nuovo Testamento si rinnova nella mente dei credenti la stessa immagine di Dio che l'empietà non aveva completamente distrutta, essendosi l'anima dell'uomo conservata necessariamente ragionevole, così anche la legge di Dio, non completamente cancellata nell'anima umana per il peccato, certamente si scrive rinnovata per la grazia. Né di tale iscrizione, che è giustificazione, era capace nei giudei la legge scritta sulle tavole, ma era capace soltanto di favorire la prevaricazione. Infatti essi pure erano uomini ed era innata in loro la forza della natura, per la quale l'animale ragionevole giudica e opera su alcuni punti secondo la legge. Ma la pietà, che conduce ad un'altra vita beata ed eterna, ha una legge immacolata che converte le anime ( Sal 19,8 ) e le inonda di luce nuova, attuando in esse quello che è scritto nel salmo: Risplenda su di noi, Signore, la luce del tuo volto. ( Sal 4,7 ) Gli uomini, voltate le spalle a questa luce, hanno meritato d'invecchiare e non possono essere ringiovaniti se non dalla grazia cristiana, cioè solamente dall'intercessione del Mediatore. Uno solo infatti è Dio e uno solo il Mediatore fra Dio e gli uomini, l'uomo Cristo Gesù, che ha dato se stesso in riscatto per tutti. ( 1 Tm 2,5 ) Ritorniamo su coloro di cui stiamo parlando. Se compiono le opere della legge seguendo la natura, nel modo già sopra spiegato sufficientemente, ma sono privi della grazia del Cristo, che mai gioveranno a loro le scuse della coscienza nel giorno in cui Dio giudicherà i segreti degli uomini ( Rm 2,14-16 ) se non forse a farli punire con più mitezza? Come infatti non escludono il giusto dalla vita eterna certi peccati veniali senza dei quali non si vive questa vita, così non giovano nulla all'empio per la vita eterna certe buone azioni che mancano assai difficilmente nella vita anche degli uomini peggiori. Tuttavia, come nel regno di Dio i santi differiscono nello splendore quasi stella da stella, ( 1 Cor 15,41 ) così anche nella condanna della pena eterna Sodoma sarà trattata meno duramente di altre città ( Lc 10,12 ) ed alcuni saranno figli della geenna il doppio di altri. ( Mt 23,15 ) Così nel giudizio di Dio si terrà conto se uno avrà peccato di più o di meno di altri nella stessa empietà destinata alla condanna. 28.49 - Dio non fa parzialità Che cosa dunque ha inteso qui indicare l'Apostolo quando, per reprimere l'orgoglio dei giudei, alle parole: Non coloro che ascoltano la legge sono giusti davanti a Dio, ma quelli che mettono in pratica la legge saranno giustificati ( Rm 2,13 ) ha subito aggiunto il riferimento a coloro che non hanno la legge e per natura agiscono secondo la legge? ( Rm 2,14 ) Cioè, accennando ai pagani, ha inteso coloro che partecipano della grazia del Mediatore, o non piuttosto coloro che, pur non adorando con la religione vera il vero Dio, tuttavia nella loro vita empia fanno alcune opere buone? Oppure ha creduto di dover provare che presso Dio non c'è parzialità, come ha detto prima, e che Dio non è soltanto dei giudei, ma anche delle genti, ( Rm 3,29 ) come ha detto dopo? Infatti ha portato come argomento il fatto stesso che in quanti non hanno ricevuto la legge non si riscontrerebbero insite per natura le opere della legge, nemmeno le più piccole, se non in forza dei residui dell'immagine di Dio, che Dio non disprezza quando gli uomini credono in lui, presso il quale non c'è parzialità. ( Col 3,25 ) Ma qualunque sia l'ipotesi che si accetta tra queste, è certo che la grazia di Dio è stata promessa al Nuovo Testamento anche per mezzo del profeta [ Geremia ] e che la medesima grazia sta in questo: le leggi di Dio vengono scritte nei cuori degli uomini ( Ger 38,33 ) ed essi giungono a tale conoscenza di Dio che nessuno istruirà il suo concittadino né il suo fratello dicendo: Riconosci Dio, perché tutti lo conosceranno dal più piccolo al più grande di essi. ( Ger 38,34 ) Questo è dono dello Spirito Santo, che diffonde la carità nei nostri cuori, ( Rm 5,5 ) non una carità qualsiasi, ma la carità di Dio che sgorga da un cuore puro, da una buona coscienza e da una fede sincera. ( 1 Tm 1,5 ) Il giusto che in questo pellegrinaggio vive di tale fede viene pure condotto alla visione dopo la conoscenza come in uno specchio, in maniera confusa, e dopo tutto ciò che è imperfetto, perché conosca faccia a faccia, come è conosciuto. ( 1 Cor 13,12 ) Questo solo infatti ha chiesto al Signore, questo solo egli brama: abitare nella casa del Signore tutti i giorni della sua vita, per gustare la dolcezza del Signore. ( Sal 27,4 ) 29.50 - Tutti ricevono da Dio la grazia, oltre alla legge Nessuno dunque si glori di quello che gli sembra di possedere come se non l'avesse ricevuto, ( 1 Cor 4,7 ) né creda d'averlo ricevuto solo per via della lettera, che esternamente o si è manifestata per essere letta o è risuonata per essere udita. Infatti, se la giustificazione viene dalla legge, il Cristo è morto invano. ( Gal 2,21 ) Ma se non è morto invano, allora è asceso al cielo, ha portato con sé i prigionieri, ha distribuito doni agli uomini. ( Sal 68,19; Ef 4,8 ) Da lui ha chiunque ha. Chi poi nega d'avere da lui, o non ha o perderà quello che ha. ( Lc 9,18; Lc 19,26 ) Poiché, non c'è che un solo Dio, il quale giustifica con la fede i circoncisi e per la fede anche i non circoncisi. ( Rm 3,30 ) Non c'è differenza tra le espressioni con la fede e per la fede, che hanno solo lo scopo di variare il discorso. Infatti in un altro testo parlando dei gentili, cioè degli incirconcisi, dice: La Scrittura prevedendo che Dio avrebbe giustificato i pagani con la fede. ( Gal 3,8 ) E parlando dei circoncisi, tra cui era anche lui, dice: Noi che per nascita siamo giudei e non pagani peccatori, sapendo tuttavia che l'uomo non è giustificato per le opere della legge, ma per la fede in Gesù Cristo, abbiamo creduto anche noi nel Cristo Gesù. ( Gal 2,15-16 ) Ecco, dice che gli incirconcisi vengono giustificati con la fede e i circoncisi per la fede, purché i circoncisi abbiano la giustizia della fede. Così anche i pagani che non ricercavano la giustizia, hanno raggiunto la giustizia: la giustizia però che deriva dalla fede, impetrandola da Dio, non presumendola da se stessi. Al contrario Israele, che ricercava una legge che gli desse la giustizia, non è giunto alla pratica della legge. E perché mai? Perché non la ricercava dalla fede, ma come se derivasse dalle opere, ( Rm 9,30-32 ) cioè come se l'operassero da se stessi e credessero che non era Dio a operarla in loro. È Dio infatti che suscita in noi il volere e l'operare secondo i suoi benevoli disegni. ( Fil 2,13 ) E per questo urtarono contro la pietra d'inciampo. ( Rm 9,32 ) Il senso da lui inteso nelle parole: Non dalla fede, ma dalle opere viene spiegato esplicitissimamente da lui con le altre parole: Ignorando la giustizia di Dio e cercando di stabilire la propria, non si sono sottomessi alla giustizia di Dio. Ora, il termine della legge è il Cristo, perché sia data la giustizia a chiunque crede. ( Rm 10,3-4 ) E dubitiamo ancora quali siano le opere della legge che non giustificano l'uomo, se egli le ritiene sue senza che gli sia necessario l'aiuto e il dono di Dio, che viene dalla fede in Gesù Cristo? E sospettiamo che siano la circoncisione e le altre pratiche simili, perché anche di questi sacramenti in altri testi si leggono certe affermazioni di ugual tenore? Ma nell'ultimo testo non volevano certamente stabilire come loro propria giustizia la circoncisione, perché anch'essa la stabilì Dio con un precetto. Né il testo si può intendere di quelle opere di cui il Signore dice loro: Voi trasgredite il comandamento di Dio per stabilire le vostre tradizioni. ( Mt 15,3; Mc 7,9 ) Ciò è escluso dall'altro testo: Israele, che ricercava una legge che gli desse la giustizia, non è giunto alla pratica della legge; ( Rm 9,31 ) non dice: "che ricercava, cioè seguiva, le sue proprie tradizioni". Questa sola dunque è la distanza: attribuivano a sé di poter osservare la stessa norma di non desiderare ( Es 20,17 ) e gli altri comandamenti santi e giusti [ della legge ], mentre a renderne possibile all'uomo la pratica Dio opera nell'uomo mediante la fede in Gesù Cristo, che è il termine della legge, perché sia data la giustizia a chiunque crede. ( Rm 7,12 ) Cioè ogni credente, incorporato al Cristo per mezzo dello Spirito e fatto suo membro, può operare la giustizia in quanto il Cristo gli dà l'incremento interiore. ( 1 Cor 3,7 ) Delle opere della giustizia anche Gesù stesso ha detto: Senza di me non potete far nulla. ( Gv 15,5 ) 29.51 - La grandiosità della dolcezza di Dio Per questo appunto viene proposta la giustizia della legge che fa vivere chi la mette in pratica: ( Lv 18,5 ) perché chi conosce la propria infermità giunga alla giustizia, la pratichi e viva in essa non per le sue forze, né per la lettera della stessa legge, perché è impossibile, ma conciliandosi il Giustificatore per mezzo della fede. Compiere infatti un'opera che fa vivere chi la compie è proprio soltanto di un giustificato. La giustificazione poi s'impetra per mezzo della fede, della quale è scritto: Non dire nel tuo cuore: - Chi salirà al cielo? -. Questo significa farne discendere il Cristo; oppure: - Chi discenderà nell'abisso? -. Questo significa far risalire il Cristo dai morti. Che dice dunque? - Vicina a te è la parola, sulla tua bocca e nel tuo cuore -: cioè la parola della fede che noi predichiamo. Perché, se confesserai con la tua bocca che Gesù è il Signore e crederai con il tuo cuore che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo. ( Rm 10,6-9 ) In tanto giusto in quanto salvo. Per questa fede infatti noi crediamo che Dio risusciti dai morti anche noi: per ora nello spirito, affinché viviamo in questo secolo nella novità della sua grazia con temperanza, giustizia e pietà; ( Tt 2,12 ) dopo anche nella nostra carne che risorgerà all'immortalità per merito dello spirito, il quale precede la carne nella risurrezione spirituale appropriata allo spirito, cioè nella giustificazione. Per mezzo del battesimo siamo dunque stati sepolti insieme al Cristo nella morte, perché, come il Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova. ( Rm 6,4 ) Con la fede in Gesù Cristo impetriamo dunque la salvezza: quel poco che di essa s'inizia per noi nella realtà, quanto la sua perfezione che si attende nella speranza. Infatti chiunque invocherà il nome del Signore, sarà salvato. ( Gv 2,32; Rm 10,13; At 2,21 ) E il salmo esclama: Quanto è grandiosa, Signore, la grandiosità della tua dolcezza, che nascondi a coloro che ti temono e di cui ricolmi coloro che sperano in te. ( Sal 31,20 ) Per la legge temiamo Dio, per la fede speriamo in Dio: ma a coloro che temono la pena si nasconde la grazia. L'anima che soffre sotto questo timore, finché non avrà vinto la concupiscenza cattiva e non se ne sarà andato via il timore che è come un custode severo, ricorra per la fede alla misericordia di Dio, perché le doni ciò che comanda e ispirandole la soavità della grazia per mezzo dello Spirito Santo le faccia trovare ciò che la legge comanda più dilettevole di ciò che la legge proibisce. Così la grandiosità della dolcezza di Dio, cioè la legge della fede, la sua carità, iscritta e diffusa nei cuori, si fa colma in coloro che sperano in lui, perché l'anima guarita non faccia il bene per timore di pena, ma per amore di giustizia. ( Rm 5,5 ) 30.52 - La grazia divina non esclude, ma attua la libertà umana Eliminiamo dunque per la grazia il libero arbitrio? Non sia mai, ma piuttosto lo confermiamo. Come infatti la legge non si elimina per la fede, ( Rm 3,31 ) così il libero arbitrio non si elimina, ma si conferma per la grazia. La legge si osserva solo con il libero arbitrio. Ma per la legge si ha la cognizione del peccato, ( Rm 3,20 ) per la fede l'impetrazione della grazia contro il peccato, per la grazia la sanazione dell'anima dal vizio del peccato, per la sanazione dell'anima la libertà dell'arbitrio, per il libero arbitrio l'amore della giustizia, per l'amore della giustizia l'osservanza della legge. Come dunque la legge non si elimina, ma si conferma per la fede, perché la fede impetra la grazia di poter praticare la legge, così il libero arbitrio non si elimina per la grazia, ma si conferma, perché la grazia risana la volontà con la quale si ami liberamente la giustizia. Tutti questi fattori che ho concatenato hanno nelle Scritture sante la loro voce. La legge dice: Non desiderare. ( Es 20,17 ) La fede dice: Risanami, contro di te ho peccato. ( Sal 41,5 ) La grazia dice: Ecco che sei guarito; non peccare più, perché non ti abbia ad accadere qualcosa di peggio. ( Gv 5,14 ) La salute dice: Signore Dio mio, a te ho gridato e mi hai guarito. ( Sal 30,3 ) Il libero arbitrio dice: Di tutto cuore ti offrirò un sacrificio. ( Sal 54,8 ) L'amore della giustizia dice: Gli empi mi hanno raccontato le loro delizie; ma non sono come la tua legge, Signore. ( Sal 119,85 ) Perché dunque i poveri uomini osano insuperbirsi del libero arbitrio prima d'esser liberati, o delle proprie forze dopo che sono già stati liberati? Né avvertono che nella stessa denominazione libero arbitrio si fa sentire la voce della libertà. Ma dove c'è lo Spirito del Signore c'è libertà. ( 2 Cor 3,17 ) Se dunque sono schiavi del peccato, perché si vantano del libero arbitrio? Uno infatti è schiavo di ciò che l'ha vinto. ( 2 Pt 2,19; Gv 8,34 ) Se poi sono stati liberati, perché se ne vantano come di operazione propria e se ne gloriano come se non fosse un dono ricevuto? ( 1 Cor 4,7 ) Oppure sono liberi in tal modo da non volere avere per padrone nemmeno colui che dice ad essi: Senza di me non potete far nulla, ( Gv 15,5 ) e: Se dunque il Figlio vi farà liberi, sarete davvero liberi? ( Gv 8,36 ) 31.53 - Che cosa è il potere dell'uomo? Qualcuno chiederà se la fede stessa, da cui sembra iniziarsi la salvezza o la scala della salvezza che ho tracciata, sia in nostro potere. Lo vedremo più facilmente, se prima indagheremo con un po' più di diligenza cosa sia il potere. Sono due cose diverse volere e potere, tanto che chi vuole non sempre immediatamente può e chi può non sempre immediatamente vuole: alle volte vogliamo e non possiamo, altre volte possiamo e non vogliamo. È chiaro abbastanza e risuona anche con gli stessi termini che la volontà ha preso il suo nome dal verbo volere e la potestà dal verbo potere. Perciò come chi vuole ha la volontà, così chi può ha la potestà. Ma perché la potestà si applichi occorrerà la volontà. Infatti non si suole dire che uno abbia fatto per suo potere ciò che ha fatto contro il suo volere. Benché, ad esaminare il caso con più sottigliezza, anche ciò che ciascuno è costretto a fare contro la propria volontà, se lo fa, lo fa con la sua volontà; ma siccome preferirebbe altro, per questo si dice che è forzato a fare, cioè nolente. Infatti costui fa ciò a cui è costretto proprio per evitare o allontanare da sé quel male che ce lo costringe. Infatti, se la sua volontà è tanta da preferire di non fare quello piuttosto che non soffrire questo, resiste indubbianiente alla costrizione e non lo fa. E quindi, se lo fa, non lo fa certo con piena e libera volontà, ma comunque lo fa con la sua volontà, e poiché a questa volontà segue l'effetto, non possiamo dire che all'operatore è mancato il potere. Se infatti, arrendendosi alla costrizione, uno volesse fare e non potesse, diremmo che costui ne ebbe il volere, per quanto estorto, ma non il potere. Viceversa se non lo fece perché non lo volle, ne ebbe, sì, il potere, ma gli mancò il volere per tutto il tempo che ha resistito alla costrizione. Per questo anche coloro che costringono o cercano di convincere dicono di solito: "Perché non fai ciò che è in tuo potere per sfuggire a questo male?". E coloro che non possono fare in nessun modo, quando uno li vuol costringere a fare ciò che crede loro possibile, sono soliti scusarsi rispondendo: "Lo farei, se fosse in mio potere". Che dunque cerchiamo ancora? Questo, noi diciamo, è il potere: quando alla volontà è congiunta la facoltà di fare. Per cui si dice che ciascuno ha in potere ciò che fa se vuole e non fa se non vuole. 31.54 - La fede a Dio è in nostro potere, è un atto libero. Non ogni volere viene da Dio Attento ora alla questione che ci siamo proposta di esaminare: se la fede sia in nostro potere. Parliamo adesso della fede che prestiamo nel credere qualcosa, non della fede che diamo nel promettere qualcosa: anche questa si chiama fede. Ma altro è dire: "Non mi prestò fede", altro: "Non mi serbò fede". Nel primo caso significa: "Non credette a ciò che gli dissi", nel secondo: "Non fece ciò che mi disse". Per la fede nel credere noi siamo fedeli a Dio, per la fede nel mantenere anche Dio stesso è fedele a noi. Lo dice l'Apostolo: Dio è fedele e non permetterà che siate tentati oltre le vostre forze. ( 1 Cor 10,13 ) Domandiamo dunque se sia in nostro potere la fede con la quale crediamo a Dio o crediamo in Dio. Ambedue le espressioni si trovano nella Scrittura: Abramo credette a Dio e ciò gli fu accreditato come giustizia, e: A chi crede in colui che giustifica l'empio, la sua fede gli viene accreditata come giustizia. ( Gen 15,6; Rm 4, 3.5 ) Vedi ora se uno creda senza voler credere o se non creda pur volendo credere. Se questo è assurdo - che cos'è infatti credere se non assentire ritenendo vero quello che viene detto? E assentire è un atto della volontà -, la fede è certamente in nostra potestà. Ma, come dice l'Apostolo, non c'è potestà se non da Dio. ( Rm 13,1 ) Perché dunque non dovremmo applicare anche a questo potere le parole dell'Apostolo: Che cosa mai possiedi,che tu non abbia ricevuto? ( 1 Cor 4,7 ) Anche di poter credere ce l'ha dato Dio. Viceversa non leggiamo in nessun luogo delle Scritture sante: "Non c'è volontà se non da Dio". E giustamente non è scritto, perché non è vero. Altrimenti Dio sarebbe autore anche dei peccati, se non ci fosse volontà che da lui. Un assurdo! Poiché la volontà cattiva è già peccato da sola, anche se manca l'effetto, cioè se non ha la potestà. Quando poi la volontà cattiva riceve la potestà di realizzare le proprie intenzioni, ciò proviene da un giudizio di Dio, da parte del quale non c'è ingiustizia. ( Rm 9,14 ) Egli punisce pure in tale maniera e perché occultamente non per questo ingiustamente. Del resto chi è cattivo ignora d'essere punito, finché un castigo evidente non gli fa sentire contro la sua volontà quanto sia grande il male perpetrato da lui con la sua volontà. L'Apostolo l'afferma di quelli di cui dice: Dio li ha abbandonati all'impurità secondo i desideri del loro cuore, sicché commettono ciò che è indegno. ( Rm 1,24 ) E il Signore a Pilato: Tu non avresti nessun potere su di me, se non ti fosse stato dato dall'alto. ( Gv 19,11 ) Ma quando si dà una potestà non s'impone certo una necessità. Davide per esempio, pur avendo ricevuto la potestà d'uccidere Saul, preferì risparmiarlo piuttosto che ferirlo. ( 1 Sam 24,26 ) Comprendiamo da ciò che i cattivi ricevono la potestà per la condanna della loro cattiva volontà e i buoni viceversa per il premio della loro buona volontà. 32.55 - La nostra fede a Dio elogiata da S. Paolo Poiché dunque la fede è in nostro potere, tanto che ciascuno crede quando vuole, e quando crede, crede perché vuole, dobbiamo ora chiederci o meglio ricordarci quale sia la fede che l'Apostolo esalta con tanto puntiglio. Non è infatti bene credere qualunque cosa. Qual è infatti il motivo per cui Giovanni raccomanda: Fratelli, non prestate fede ad ogni ispirazione, ma mettete alla prova le ispirazioni, per saggiare se provengono veramente da Dio? ( 1 Gv 4,1 ) Né tra le lodi della carità la lode che essa crede tutto ( 1 Cor 13,7 ) si deve intendere così da accusare di scarsa carità chi non crede subito a ciò che ascolta. Che anzi la medesima carità ci avverte che non si deve credere facilmente il male di un fratello e quando ne sente parlare considera piuttosto suo dovere non crederci. Infine la stessa carità che crede tutto, non presta fede ad ogni ispirazione. Perciò crede, sì, tutto, ma a Dio. Non è detto infatti: "Crede a tutti". Non c'è dubbio quindi per nessuno che l'Apostolo esalta la fede con la quale si crede a Dio. 32.56 - Le doti della fede salvifica Ma c'è ancora qualcosa da precisare. Credono a Dio anche quelli che sono sotto la legge e per timore della pena cercano d'attuare la propria giustizia, senza attuare quindi la giustizia di Dio. ( Rm 6,14 ) Questa si attua mediante la carità, alla quale non piace se non ciò che è lecito, e non mediante il timore, che nell'agire è costretto a seguire il lecito, mentre ben altro ha nel volere con il quale preferirebbe, se possibile, che fosse lecito ciò che non è lecito. Anch'essi dunque credono a Dio, perché infatti, se non credessero in modo assoluto, non avrebbero nemmeno paura del castigo della legge. Ma non è questa la fede che l'Apostolo elogia quando dice: E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto uno spirito da figli adottivi per mezzo del quale gridiamo: Abbà, Padre. ( Rm 8,15 ) Quello dunque è timore servile e quindi, benché in esso si creda al Signore, tuttavia non si ama la giustizia, ma si teme la condanna. Al contrario i figli gridano Abbà, Padre. Di queste due parole, una proviene dai circoncisi e l'altra dagli incirconcisi, prima i giudei e poi i greci, poiché non c'è che un solo Dio, il quale giustificherà i circoncisi con la fede e per la fede anche i non circoncisi. ( Rm 3,30 ) Gridando chiedono qualcosa. Che chiedono se non ciò di cui hanno fame e sete? E questo cos'è se non la giustizia, secondo le parole: Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati? ( Mt 5,6 ) Qua dunque passino coloro che sono sotto la legge, perché da servi diventino figli, né tuttavia in tal modo da cessare d'essere servi, ma da servire in libertà come figli a Dio qual Padrone e Padre, poiché anche questo potere hanno ricevuto: infatti l'Unico ha dato il potere di diventare figli di Dio a quelli che credono nel suo nome. ( Gv 1,12 ) E li ha avvertiti di chiedere, cercare, bussare, perché ricevano e trovino e si apra ad essi, ( Mt 7,7 ) aggiungendo in tono di rimprovero: Se voi che siete cattivi sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro che è nei cieli darà cose buone a quelli che gliele domandano! ( Mt 7,11 ) Poiché dunque la legge come forza del peccato ha infiammato il pungiglione della morte ( 1 Cor 15,56 ) cosicché il peccato, prendendo occasione dal comandamento scatena ogni sorta di concupiscenza, ( Rm 7,8 ) a chi si deve chiedere la continenza se non a colui che sa dare cose buone ai suoi figli? O forse l'uomo, insipiente com'è, non sa che nessuno può essere continente se non glielo dà Dio? ( Sap 8,21 ) Per saperlo dunque ha bisogno della stessa sapienza. Perché allora non ascolta lo Spirito di suo Padre che parla per mezzo dell'Apostolo del Cristo, o perché non ascolta lo stesso Cristo che nel suo Vangelo dice: Chiedete e vi sarà dato? ( Mt 7,7; Lc 11,9 ) Parla pure in un altro suo apostolo e dice: Se qualcuno di voi manca di sapienza, la domandi a Dio, che dona a tutti generosamente e senza rinfacciare, e gli sarà data. La domandi però con fede, senza, esitare. ( Gc 1,5-6 ) Questa è la fede di cui vive il giusto. ( Rm 1,17 ) Questa è la fede con la quale si crede in colui che giustifica l'empio. ( Rm 4,5 ) Questa è la fede che esclude il vanto, ( Rm 3,27 ) tanto nel senso che sparisca l'orgoglio che ci gonfia, quanto nel senso che apparisca ancora di più il vanto per cui ci vantiamo nel Signore. ( 1 Cor 1,31 ) Questa è la fede con la quale s'impetra l'abbondanza dello Spirito di cui si dice: Noi infatti per virtù dello Spirito attendiamo dalla fede la speranza della giustizia. ( Gal 5,5 ) E qui si può evidentemente cercare ancora se nella frase: La speranza della giustizia, la giustizia sia posta come soggetto che spera o come oggetto che si spera, poiché il giusto che vive mediante la fede spera senz'altro la vita eterna ( Rm 1,17 ) e ugualmente la fede che ha fame e sete della giustizia, con il rinnovamento sempre progrediente dell'uomo interiore, ( Mt 5,6; 2 Cor 4,16 ) avanza nella giustizia e spera di saziarsi di essa nella vita eterna, dove si avvererà ciò che di Dio si dice nel salmo: Egli sazia di beni i tuoi desideri. ( Sal 103,5 ) Questa è la fede per cui si salvano coloro ai quali si dice: Per questa grazia siete salvi mediante la fede; e ciò non viene da voi, ma è dono di Dio; né viene dalle opere, perché nessuno possa vantarsene. Siamo infatti opera sua, creati nel Cristo Gesù per le opere buone, che Dio ha predisposte, perché noi le praticassimo. ( Ef 2,8-10 ) Questa è infine la fede che opera per mezzo dell'amore, ( Gal 5,6 ) non del timore, non spaventata dalla pena, ma innamorata della giustizia. Da dove viene dunque cotesto amore, cioè la carità per la quale la fede si fa operosa, se non da Dio da cui la fede stessa l'ha impetrata? Infatti non ci sarebbe in noi, per quanta poca ce ne sia, se non venisse riversata nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato. ( Rm 5,5 ) Si dice proprio che è stata riversata nei nostri cuori la carità di Dio: non quella con la quale Dio stesso ama noi, ma quella con la quale Dio si fa amare da noi. Allo stesso modo in cui la giustizia di Dio è quella per la quale diventiamo giusti noi per sua grazia, ( Rm 3,24 ) e la salvezza del Signore è quella con la quale egli salva noi, ( Sal 3,9 ) e la fede di Gesù Cristo è quella con la quale Gesù fa fedeli noi. ( Gal 2,16 ) Questa è la giustizia di Dio, che egli non solo ci insegna con i precetti della sua legge, ma ci elargisce altresì con il dono del suo Spirito. 33.57 - Donde viene la volontà che si esprime nella fede? Ma la logica ci porta ad indagare per un poco se il volere che impegnamo nel credere sia anch'esso dono di Dio o se l'esercitiamo in forza del libero arbitrio insito in noi per natura. Se diciamo che non è dono di Dio, c'è da temere che pensiamo d'aver trovato alcunché per cui al rimprovero dell'Apostolo: Che cosa mai possiedi che tu non abbia ricevuto? E se l'hai ricevuto, perché te ne vanti come se non l'avessi ricevuto? ( 1 Cor 4,7 ) possiamo rispondere: Ecco, abbiamo il voler credere che non abbiamo ricevuto, ecco dove ci vantiamo di non aver ricevuto. Viceversa se diciamo che anche tale volere non è che dono di Dio, c'è ancora da temere che gli infedeli e gli empi abbiano diritto in apparenza di scusarsi: non hanno creduto, perché Dio non ha voluto dare ad essi cotesta volontà. Quello infatti che è attestato dalle parole: È Dio che suscita in noi il volere e l'operare secondo i suoi benevoli disegni, ( Fil 2,13 ) è già effetto della grazia, che la fede impetra perché possano essere buone le opere dell'uomo. Esse vengono compiute dalla fede mediante l'amore riversato nel nostro cuore dallo Spirito Santo che ci è stato dato. ( Gal 5,6; Rm 5,5 ) Ma per impetrare questa grazia crediamo, ed è evidente che crediamo con la nostra volontà; di questa vogliamo sapere da dove ci venga. Se dalla natura, perché non a tutti, essendo creatore di tutti lo stesso Dio? Se da un dono di Dio, anche questo perché non a tutti, volendo egli che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità? ( 1 Tm 2,4 ) 33.58 - Anche nel buon uso che della mia volontà faccio credendo, entra la misericordia di Dio Prima di tutto bisogna dire questo, e vedere se basta a rispondere alla nostra questione: il libero arbitrio dato per natura dal Creatore all'anima razionale è una forza ambivalente che può tendersi a credere o inclinarsi a non credere. Perciò nemmeno di questa volontà con la quale crede a Dio può l'uomo dire di possederla senza averla ricevuta, poiché è per vocazione di Dio che il volere sorge dal libero arbitrio ricevuto dall'uomo in dote di natura al momento della sua creazione. Dio poi vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità, ( 1 Tm 2,4 ) ma senza togliere tuttavia ad essi il libero arbitrio, del cui uso buono o cattivo saranno giudicati con assoluta giustizia. Usando male del libero arbitrio, gli infedeli che non credono al Vangelo agiscono certo contro la volontà di Dio, ma non per questo vincono contro di essa: piuttosto privano se stessi di un grande e sommo bene e si condannano a mali punitivi, destinati come sono a sperimentare nei castighi la potenza di colui del quale hanno disprezzato la misericordia nei doni. Così la volontà di Dio rimane sempre invitta. Sarebbe vinta invece, se Dio non trovasse che fare dei suoi disprezzatori o se questi potessero sfuggire in qualche modo a ciò che Dio ha stabilito per essi. Immagina che uno per esempio dica: "Voglio che tutti questi miei servi lavorino nella vigna e che dopo il lavoro si riposino e banchettino, chi si ribella giri per sempre la mola nel molino". Chi non obbedisce mostra evidentemente di agire contro la volontà del suo padrone, ma la vincerebbe se nel disprezzarla sfuggisse anche al molino. Ciò non può in nessun modo avverarsi sotto il potere di Dio. Perciò è scritto: Una volta sola ha parlato Dio, cioè immutabilmente, sebbene si possa intendere anche dell'unico Verbo. Poi soggiunge che cosa abbia detto immutabilmente: Queste due cose ho udite: il potere appartiene a Dio e tua, Signore, è la misericordia; secondo le sue opere tu ripaghi ogni uomo. ( Sal 62,12-13 ) Sarà dunque reo e destinato alla condanna sotto il potere di Dio chi avrà disprezzato la sua misericordia che lo chiamava a credere. Chi invece avrà creduto e si sarà rimesso a Dio per essere assolto da tutti i peccati e guarito da tutti i mali e acceso del suo calore e illuminato dalla sua luce, costui avrà dalla sua grazia le opere buone per poter essere redento anche nel corpo dalla corruzione della morte, sarà incoronato e saziato di beni non temporali, ma eterni, al di sopra di quello che possiamo domandare e immaginare. ( Ef 3,20 ) 33.59 - L'elogio della misericordia o grazia di Dio nella nostra fede Questo è l'ordine che segue il salmo dove si legge: Benedici il Signore, anima mia, non dimenticare tante sue retribuzioni. Egli perdona tutte le tue colpe, guarisce tutte le tue malattie, salva dalla fossa la tua vita, ti corona di grazia e di misericordia, egli sazia di beni i tuoi desideri. ( Sal 103,2-5 ) E perché, la deformità della presente condizione di questo vecchio regime, cioè della mortalità, non disperasse di beni così grandi, dice: Tu rinnovi come aquila la tua giovinezza. ( Sal 103,5 ) Quasi dicesse: "I benefici che hai uditi appartengono all'uomo nuovo e al testamento nuovo". Ripassali con me un poco, ti prego, e vedi con piacere l'elogio della misericordia, cioè della grazia di Dio. Dice: Benedici il Signore, anima mia, non dimenticare tante sue retribuzioni. ( Sal 103,2 ) Non dice: "attribuzioni", ma retribuzioni, perché Dio retribuisce beni per mali. Perdona tutte le tue colpe: ciò avviene nel sacramento del battesimo. Guarisce tutte le tue malattie: ( Sal 103,3 ) sono i malanni dell'uomo fedele durante la vita presente, perché la carne ha desideri contrari allo spirito e lo spirito desideri contrari alla carne, sicché non facciamo quello che vorremmo; ( Gal 5,17 ) perché nelle membra un'altra legge muove guerra alla legge della mente; perché c'è il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo: ( Rm 7,23 ) e questi malanni del vecchio regime, se progrediamo con perseverante proposito, guariscono, crescendo di giorno in giorno il nuovo regime, in virtù della fede che opera per mezzo dell'amore. ( Gal 5,6 ) Libera dalla fossa la tua vita: ( Sal 103,4 ) ciò avviene nell'ultima risurrezione dei morti. Ti corona di grazia e di misericordia: ( Sal 104,4 ) ciò avviene nel giudizio dove, quando il giusto Re si sarà assiso sul trono per rendere a ciascuno secondo le sue opere, chi si glorierà d'avere il cuore puro o chi si glorierà d'essere mondo dal peccato? ( Pr 20,8-9; Mt 16,27 ) Per questo fu necessario ricordare la grazia e la misericordia del Signore qui dove poteva ormai sembrare che l'esazione dei debiti e la retribuzione dei meriti non lasciasse nessun posto alla misericordia. Dunque corona di grazia e di misericordia, ma pur sempre secondo le opere. ( Sal 62,13 ) Sarà infatti collocato alla destra colui al quale sarà detto: Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare; ( Mt 25,35 ) perché il giudizio sarà senza misericordia, ma contro chi non avrà usato misericordia; ( Gc 2,13 ) invece beati i misericordiosi, perché Dio avrà misericordia di loro. ( Mt 5,7 ) Quando poi quelli di sinistra saranno andati nella combustione eterna, ( Mt 25,46 ) e i giusti alla vita eterna, poiché, dice, questa è la vita eterna: che conoscano te, l'unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo, ( Gv 17,3 ) in quella conoscenza, in quella visione, in quella contemplazione si sazierà di beni il desiderio dell'anima. ( Sal 103,5 ) Ciò infatti le basta da solo e non ha che desiderare, che ambire, che cercare oltre a ciò. Ardeva infatti del desiderio di questa sazietà colui che disse al Cristo Signore: Mostraci il Padre e ci basta. Gli fu risposto: Chi ha visto me ha visto il Padre. Perché, questa è la vita eterna: che conoscano te, l'unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo. ( Gv 14,8-9 ) Ma se chi vede il Figlio vede anche il Padre, certamente chi vede il Padre e il Figlio vede anche lo Spirito Santo del Padre e del Figlio. Così da una parte non togliamo il libero arbitrio e dall'altra l'anima nostra benedice il Signore ( Sal 103,2 ) senza dimenticare nessuno dei suoi benefici, né ignorando la giustizia di Dio pretende di stabilire la propria, ( Rm 10,3 ) ma crede in colui che giustifica l'empio e, finché non sia ammessa alla visione, vive mediante la fede ( Rm 1,17; Rm 4,5 ), cioè vive mediante quella fede che opera per mezzo dell'amore. ( Gal 5,6 ) E questo amore non viene riversato nei nostri cuori né dalla sufficienza della nostra volontà, né dalla lettera della legge, ma, dallo Spirito Santo che ci è stato dato. ( Rm 5,5 ) 34.60 - Dio opera misteriosamente in noi anche la volontà di credere Basti fino a questo punto questa discussione, se basta a risolvere tale questione. Ma qualcuno potrebbe rispondere che occorre guardarsi dal lasciare il sospetto che si deve attribuire a Dio il peccato commesso con il libero arbitrio quando, in forza delle parole: Che cosa mai possiedi che tu non abbia ricevuto? ( 1 Cor 4,7 ) si riduce a un dono di Dio anche la volontà con la quale crediamo, per la ragione appunto che il volere sorge dal libero arbitrio ricevuto da noi al momento della creazione. Noti con attenzione l'obiettante che questa nostra volontà non va attribuita a dono di Dio soltanto perché sorge dal libero arbitrio creato insieme a noi per natura, ma anche perché Dio con le suggestioni da noi avvertite fa sì che noi vogliamo e crediamo. Dio infatti ci spinge sia dall'esterno con le esortazioni evangeliche, dove anche i precetti della legge influiscono in qualche modo ricordando all'uomo la sua infermità allo scopo preciso che pieno di fede ricorra alla grazia giustificante; sia dall'interno dove non è in potere di nessuno scegliere che cosa gli deve sorgere in mente, ma è in potere della propria volontà di ciascuno consentire o dissentire. Quando Dio dunque agisce in questi modi con l'anima razionale perché essa gli creda ( e non può infatti l'anima credere a nulla con il libero arbitrio senza un'azione suasiva o una vocazione che le presenti qualcosa a cui credere ), certamente Dio produce nell'uomo anche la stessa volontà di credere, ( Fil 2,13 ) e la sua misericordia ci previene in tutto. ( Sal 59,11 ) Consentire invece alla vocazione di Dio o dissentire da essa, come ho detto, è in potere della volontà propria di ciascuno. E ciò non solo non infirma le parole: Che cosa mai possiedi che tu non abbia ricevuto? ( 1 Cor 4,7 ) ma anzi le conferma. L'anima appunto non può ricevere e possedere i doni rispetto ai quali ascolta quelle parole dell'Apostolo se non consentendo, e quindi che cosa l'anima possieda e che cosa essa riceva dipende da Dio, ma ricevere di fatto e possedere dipende senza dubbio dall'anima che riceve e possiede. Se poi qualcuno a questo punto vuole costringerci a scrutare il profondo arcano per cui con uno l'azione suasiva riesce ad essere persuasiva e con un altro no, due sole verità mi si presentano adesso con le quali mi piace rispondere: O profondità della ricchezza! ( Rm 11,33 ) e: C'è forse ingiustizia da parte di Dio? ( Rm 9,14 ) Se questa risposta a qualcuno dispiace, cerchi persone che ne sappiano di più, ma stia ben attento a non incappare in persone che solo presumano di saperne di più. 35.61 - La dottrina qui esposta è la dottrina di S. Paolo Concludiamo dunque una buona volta questo libro. Con tutta la sua lunghezza non so se abbiamo combinato qualcosa, non dico nei riguardi di te di cui conosco la fede, ma nei riguardi degli animi di coloro per i quali hai voluto che lo scrivessi. Costoro si oppongono non tanto alla nostra sentenza, né ad una sola sentenza di S. Paolo - e qui voglio parlare con benevolenza per non dire che essi vanno contro la sentenza di colui che ha parlato nei suoi Apostoli -, ma si oppongono a tutta la battaglia fervida, attenta, vigile di un così grande apostolo come Paolo. Preferiscono difendere la propria sentenza piuttosto che ascoltare lui, il quale per la misericordia di Dio scongiura e raccomanda per la grazia che gli è stata concessa: ( Rm 12, 1.3 ) Non sopravvalutatevi più di quanto è conveniente valutarsi, ma valutatevi in maniera da avere di voi giusta valutazione, ciascuno secondo la misura di fede che Dio gli ha dato. ( Rm 12,3 ) 35.62 - Possibilità e irrealtà di una vita umana senza alcun peccato Per quanto poi riguarda te, considera quale questione mi avevi proposta, e quale soluzione abbiamo trovata con il lavoro così lungo di questa trattazione. Il dubbio che ti colpì è precisamente questo: come si sia potuta affermare la possibilità che un uomo, se non viene meno la sua volontà, viva senza peccato con l'aiuto di Dio, sebbene nessuno sia mai esistito in questa vita con tanta perfezione di giustizia o esista o sia per esistere. In questi termini infatti io proposi tale questione nei libri scritti a te precedentemente: "Se mi si interpella sulla possibilità che l'uomo in questa vita sia senza peccato, confesserò che può esserlo con la grazia di Dio e con il suo libero arbitrio. Non esiterò ad affermare che anche il libero arbitrio appartiene alla grazia di Dio, cioè ai doni di Dio, e non solo perché sia, ma perché sia buono, cioè si converta ad osservare i comandamenti del Signore, e in tal modo la grazia di Dio non solo indichi cosa si deve fare, ma aiuti altresì a poter fare quanto ha indicato". A te però è sembrato assurdo che sia senza un esempio ciò che è possibile. Di qui è nata la discussione di questo libro e quindi mi toccava dimostrare che in teoria qualcosa è possibile anche se in pratica non ci sono esempi. Ho riferito nell'esordio di questo libro alcuni casi dal Vangelo e dalla Legge, come il passaggio d'un cammello per la cruna d'un ago, ( Mt 19,24 ) le dodicimila legioni di angeli che avrebbero potuto combattere a favore del Cristo se egli l'avesse voluto, ( Mt 26,53 ) le genti che Dio dice di poter sterminare in una sola volta davanti al suo popolo: ( Dt 31,3; Gdc 2,3 ) tutte possibilità che non si sono avverate. A queste si può aggiungere quanto si legge nel libro della Sapienza sul numero e sulla novità delle punizioni che Dio potrebbe sperimentare sugli empi, obbedendo la creazione al cenno del suo Creatore ( Sap 16,24 ) e che tuttavia non ha mai sperimentate. Si può aggiungere anche il monte che la fede potrebbe spostare in mare ( Mc 11,23 ) e che nondimeno non abbiamo mai letto o udito che sia accaduto da nessuna parte. Chiunque infatti dice impossibile a Dio qualcuno di questi eventi, tu vedi bene quanto sragioni e come parli contro l'autorità della Scrittura stessa di Dio. Molti altri eventi simili possono offrirsi a chi legge o riflette, eventi che non possiamo dire impossibili a Dio, benché di essi manchi un qualsiasi esempio. 35.63 - La perfetta giustizia rimane senza esempio tra gli uomini e pur non è impossibile Ma poiché si potrebbe dire che tutte queste possibilità riguardano l'operare di Dio, mentre vivere nella giustizia da parte dell'uomo riguarda l'operare nostro, mi sono sobbarcato a dimostrare che anche il nostro vivere nella giustizia è opera di Dio e l'ho fatto in questo libro più abbondantemente di quanto forse poteva bastare. Ma contro i nemici della grazia di Dio mi sembra d'aver detto perfino poco. Niente mi diletta dilungarmi tanto nel dire come e quando trovo nella Scrittura di Dio il più forte sostegno e insieme quando si tratta di far gloriare in Dio chi vuol gloriarsi ( 2 Cor 10,17 ) e di rendere da parte nostra grazie in tutto al Signore Dio nostro con il cuore volto all'alto da dove il Padre della luce dona ogni buon regalo e ogni dono perfetto. ( Gc 1,17 ) Poiché, se il nostro vivere nella giustizia non è opera di Dio per la ragione che siamo noi a farlo o per la ragione che siamo noi a farlo dopo che Dio ce ne ha fatto dono, allora non sarebbe opera di Dio nemmeno il trasferimento di quel monte in mare, perché il Signore lo disse possibile alla fede degli uomini e l'attribuì al loro stesso operare dicendo: Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo monte: Lèvati e gettati in mare, e ciò avverrebbe. Nulla sarà impossibile a voi. ( Mt 17,19; Lc 17,6; Mc 11,23 ) Ha detto precisamente: A voi, non "a me" o "al Padre", e tuttavia in nessun modo un uomo lo fa se non perché è Dio a donare di farlo e a farlo. Ecco la ragione per cui la perfetta giustizia rimane senza esempio tra gli uomini, pur non essendo impossibile. Esisterebbe, se si usasse tanta volontà quanta ne occorre a tanto risultato. La volontà poi sarebbe tanta, se per un verso non rimanesse nascosta a noi nessuna delle verità che riguardano la giustizia e se per l'altro verso tali conoscenze fossero per il nostro animo così piacevoli che il loro piacere superasse quanto di dolore o di gioia vi si opponesse: e che ciò non sia non dipende da impossibilità, ma da un giudizio di Dio. Chi non sa infatti che non è in potere dell'uomo sapere a suo piacere e che non è necessariamente oggetto d'amorosa ricerca ciò che si sa degno d'amorosa ricerca, se non suscita tanto piacere quanto è l'amore che merita? Tutto questo poi è un problema di sanità dell'anima. 36.64 - Il precetto della carità perfetta, presentemente impraticabile, ha lo scopo di stimolarci alla preghiera, nella fede e nella speranza Ma forse qualcuno crederà che non manchi a noi nulla per conoscere la giustizia, perché il Signore, che sopra la terra portò a compimento con pienezza e rapidità la parola di Dio, ( Is 10,23; Rm 9,28 ) disse che tutta la Legge e i Profeti dipendono da due precetti. E non li tacque, ma li presentò con parole esplicitissime: Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Amerai il prossimo tuo come te stesso. ( Mt 22, 37.39 ) Che cosa più vera di questo, che adempiendo tali precetti si adempie tutta la giustizia? Chi tuttavia è attento a questo, lo sia anche al fatto che noi tutti quanti manchiamo in molte cose, ( Gc 3,2 ) proprio mentre pensiamo che a Dio, da noi amato, piaccia o non dispiaccia ciò che facciamo, e poi, messi sull'avviso dalla sua Scrittura o da un qualche ragionamento certo e chiaro, quando siamo venuti a sapere che non gli piace, ce ne pentiamo e lo preghiamo di perdonarci. La vita umana è piena di queste esperienze. Ma da che dipende conoscere male che cosa piaccia a Dio se non dal conoscere male Dio stesso? Infatti ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa, ma allora vedremo faccia a faccia. ( 1 Cor 13,12 ) Chi oserà credere che al momento in cui si avvererà quello che dice Paolo: Allora conoscerò perfettamente come anch'io sono conosciuto, i contemplatori di Dio avranno tanto amore di lui quanto ne hanno ora i fedeli? O chi crederà che l'amore di ora sia in qualche modo da paragonarsi quasi da vicino all'amore di allora? Ebbene, se quanto maggiore è la cognizione tanto maggiore sarà l'amore, senza dubbio quanto ora manca all'amore altrettanto si deve credere che manca alla perfezione della giustizia. Infatti si può sapere o credere qualcosa e tuttavia non amarla, ma è impossibile amare ciò che non si sa né si crede. Ora, se pur credendo, i santi sono potuti giungere a quell'amore così grande di cui lo stesso Signore ha testimoniato non potercene essere un altro più grande in questa vita, cioè all'amore per cui hanno dato la loro vita per la fede o per i fratelli, ( Gv 15,13 ) quando da questo pellegrinaggio in cui adesso camminiamo nella fede ( 2 Cor 5,7 ) si arriverà alla visione che speriamo senza vederla ancora e attendiamo con perseveranza, ( Rm 8,25 ) indubbiamente anche lo stesso amore non solo sarà superiore a quello che abbiamo presentemente, ma di gran lunga superiore a quanto possiamo domandare e immaginare, ( Ef 3,20 ) né tuttavia potrà per questo essercene di più che amare con tutto il cuore, con tutta l'anima, con tutta la mente. ( Mt 22, 37.39 ) Infatti non resta nulla in noi da aggiungere al tutto, perché, se restasse qualcosa, quello non sarebbe il tutto. Perciò questo primo precetto della giustizia che ci comanda di amare Dio con tutto il cuore e con tutta l'anima e con tutta la mente e a cui tiene dietro il secondo precetto di amare il prossimo, lo adempiremo esattamente in quella vita dove vedremo faccia a faccia. ( 1 Cor 13,12 ) Ma per questo il precetto della giustizia ci è stato imposto anche nella vita attuale: perché fossimo avvertiti da esso che cosa domandare con la nostra fede, dove lanciare la nostra speranza e come dobbiamo protenderci verso il futuro dimenticando il passato. ( Fil 3,13 ) E pertanto, a mio avviso, ha progredito molto nel perfezionare la sua giustizia in questa vita chi per l'esperienza del suo progredire sa quanto resti lontano ancora dalla perfezione della giustizia. 36.65 - La giustizia minore dell'attuale vita di fede Ma, se si può dire che sia una specie di giustizia minore quella che compete a questa vita e per la quale il giusto vive mediante la fede, ( Rm 1,17; Gal 3,11 ) sebbene pellegrino dal Signore e quindi in cammino nella fede e non ancora nella visione, non è uno sproposito dire che anche a questa giustizia minore spetta di non peccare. ( 2 Cor 5,6-7 ) Né infatti deve già ascriversi a colpa se non ci può essere ancora tanto amore di Dio quanto n'è dovuto alla cognizione piena e perfetta. Altro è infatti non possedere ancora tutta intera la carità, altro è non correre dietro a nessuna cupidità. Perciò l'uomo, sebbene ami Dio meno di quanto lo può amare nella visione, non deve tuttavia bramare nulla d'illecito: come anche l'occhio può dilettarsi, se non c'è il buio, in mezzo agli oggetti che sono alla portata dei sensi del corpo, benché non possa fissarsi in una luce che per il suo splendore lo abbagli. Ecco, come noi concepiamo l'anima che si trova in questo corpo corruttibile: sebbene non abbia ancora smaltito ed eliminato tutti gli istinti della libidine terrena con la supereminentissima perfezione della carità di Dio, ( 1 Gv 4,16 ) tuttavia in questa giustizia minore deve comportarsi così da non consentire per nessuna inclinazione alla libidine di compiere nulla d'illecito. In questa maniera spicca quanto compete a quella vita già immortale e a questa vita terrena. A quella vita si riferiscono le parole: Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima e con tutta la tua forza, ( Dt 6,5 ) a questa vita alludono quest'altre: Non regni più il peccato nel vostro corpo mortale, sì da sottomettervi ai suoi desideri ( Rm 6,12 ); a quella vita: Non desiderare, ( Es 20,17 ) a questa: Non andare dietro alle tue concupiscenze; ( Sir 18,30 ) a quella vita spetta di non cercare più nient'altro che di rimanere in tale perfezione, a questa vita spetta di considerare come giornate di lavoro quello che sta facendo e di sperare come paga la perfezione dell'altra vita: cosicché per la vita di allora il giusto viva senza termine nella visione che ha desiderata nella vita di ora e viceversa per tutta la vita di ora il giusto viva di quella fede ( Rm 1,17 ) nella quale desidera la visione di allora come suo termine certo. Stabilite queste verità, sarà peccato per le persone che vivono mediante la fede consentire eventualmente a qualche piacere illecito: non solo nel commettere i famigerati e orrendi fatti e misfatti, ma anche in peccati più lievi, come per esempio o prestare l'orecchio ad una voce che non sarebbe da udire o prestare la lingua ad una parola che non sarebbe da dire o accarezzare nell'intimo del cuore un pensiero così da preferire che fosse lecito ciò che ci diletta malamente e dalla legge conosciamo illecito: anche tutto questo è appunto consentire al peccato e si attuerebbe, se non ci atterrisse la pena. Cotesti giusti che vivono mediante la fede, non hanno forse bisogno di dire: Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori? ( Mt 6,12 ) Smentiscono forse essi ciò che sta scritto: Nessun vivente davanti a te è giusto? ( Sal 143,2 ) E pure l'altro testo: Se diciamo che siamo senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi? ( 1 Gv 1,8 ) E l'altro: Non c'è nessuno che non peccherà? ( 1 Re 8,46 ) E l'altro: Non c'è sulla terra un uomo così giusto che faccia solo il bene e che non peccherà? ( Sir 7,21 ) Ambedue queste testimonianze parlano non al passato, cioè: "Non abbia peccato", ma al futuro: Non peccherà. E smentiscono costoro altri testi che la santa Scrittura porta nel senso di questa sentenza? Ma poiché questi testi non possono essere falsi, vedo logico affermare: quale e quanta sia la giustizia da noi determinabile per questa vita, nessuno si trova qui che non abbia assolutamente nessun peccato, e ognuno deve dare perché gli sia dato, deve perdonare perché gli sia perdonato ( Lc 6,37-38 ); e se ha qualche giustizia, non presuma d'averla da se stesso, ma dalla grazia di Dio che giustifica, e tuttavia abbia ancora fame e sete di giustizia ( Mt 5,6 ) davanti a colui che è il pane vivo ( Gv 6,51 ) e nel quale c'è la sorgente della vita. ( Sal 36,10 ) Egli nei suoi santi che soffrono nella tentazione di questa esistenza opera la giustificazione in tal modo che per un verso ha sempre di che donare generosamente in soprappiù a coloro che chiedono e per un altro verso ha sempre di che perdonare con clemenza a coloro che si riconoscono peccatori. 36.66 - A Dio sarebbe possibile realizzare nell'uomo attuale una perfezione assoluta. Perché Non la realizzi è un mistero insondabile Ma trovino costoro, se lo possono, tra quelli che vivono sotto il gravame della presente corruzione, una sola persona a cui Dio non abbia da perdonare più nulla. Ad ogni modo se costoro non riconosceranno che costui è stato aiutato per essere tale non solo dal dono esterno della legge, ma anche dall'infusione interna dello Spirito di grazia, incorreranno non nella colpa di un peccato qualsiasi, ma in una colpa d'empietà. Tuttavia è sicuro che non potranno trovare affatto un tale individuo, se intendono fedelmente quelle testimonianze divine. In nessun modo però dobbiamo negare a Dio la possibilità d'aiutare così tanto la volontà umana da far sì che l'uomo possa raggiungere quaggiù la perfezione completa non solo della giustizia proveniente ora dalla fede ( Rm 10,6 ), ma altresì di quella in cui si dovrà vivere in avvenire per sempre nella stessa contemplazione di Dio. Infatti, se ora Dio volesse che in qualcuno anche questo corpo corruttibile si vestisse d'incorruttibilità ( 1 Cor 15,53 ) e se facesse vivere costui qui immortale tra uomini morituri e volesse che, eliminato totalmente il vecchio regime, nessuna legge muovesse guerra nelle sue membra alla legge della mente ( Rm 7,23 ) e conoscesse Dio dovunque presente così bene come lo conosceranno in avvenire i santi, quale pazzo oserebbe affermare che Dio non lo può? Ma certe creature umane vanno cercando perché mai Dio non lo faccia e coloro che lo vanno cercando non si rendono conto d'essere uomini. Quanto a me, io so che in Dio, come non c'è impossibilità, così non c'è ingiustizia. ( Rm 9,14 ) Io so che Dio resiste ai superbi, agli umili invece dà la sua grazia. ( Gc 4,6 ) Io so che a un tale, perché non montasse in superbia, fu messa una spina nella carne, ( 2 Cor 12,7 ) un messo di satana incaricato di schiaffeggiarlo; dopo aver pregato per una e due e tre volte, gli fu detto: Ti basta la mia grazia; la mia potenza infatti si manifesta pienamente nella debolezza. ( 2 Cor 12,9 ) C'è dunque negli arcani e profondi giudizi di Dio qualcosa che tappa la bocca anche ai giusti per la lode di se stessi e non le consente d'aprirsi se non alla lode di Dio. ( Rm 3,19 ) Ma questo qualcosa chi è capace di scrutarlo, d'investigarlo, di conoscerlo? Tanto sono imperscrutabili i suoi giudizi e inaccessibili le sue vie! Infatti, chi mai ha potuto conoscere il pensiero del Signore? O chi mai è stato suo consigliere? O chi gli ha dato qualcosa per primo, sì che abbia a riceverne il contraccambio? Poiché da lui, grazie a lui e per lui sono tutte le cose. A lui la gloria nei secoli dei secoli. Amen. ( Rm 11,33-36 )