L'Esicasmo e la controversia Palamitica

L'esicasmo è un movimento monastico cristiano le cui origini risalgono ai Padri del deserto ( Egitto, Mesopotamia, Siria, Palestina … ), che nel III-IV secolo iniziarono da un lato a ripararsi, secondo le forme dell'anacoretismo ( singoli asceti o eremiti ), dalle ondate devastatrici delle popolazioni cosiddette "barbariche"; e dall'altro a protestare contro la chiesa costantiniana e soprattutto teodosiana: la chiesa protetta e spesso strumentalizzata dal potere politico imperiale.

E questo anche nella forma del cenobitismo ( asceti associati in comunità ).

Uno dei primi e più famoso monaco è l'egiziano Antonio ( 251-356 ).

La prima regola di vita cenobitica, scritta da Pacomio, discepolo di Antonio, è del 320.

Il primo vero ordine monastico è quello di Basilio ( 330-379 ), alla cui regola più tardi in occidente si ispirerà la regola di Benedetto ( 480-547 ).

Le disposizioni basiliane applicate variamente nei monasteri, furono precisate nei particolari da Teodoro Studita ( 759-826 ) per il monastero di Studion a Costantinopoli.

Nel X sec. Atanasio, nella sua fondazione detta "Grande Lavra", sull'Athos, imitò da vicino la regola di Teodoro, non sopprimendo tuttavia la forma eremitica e il tipo di lavra che già esisteva sulla Santa Montagna.

La chiesa istituzionale cercò di tenere sotto controllo il fenomeno, integrando i monaci ai vescovi locali, rurali o urbani, e invitandoli a non considerare le pratiche ascetiche individuali come un modo per acquisire la salvezza personale, che doveva continuare a essere considerata "un dono della grazia divina".

A queste condizioni i monaci si lasciarono fare, potendo così continuare a vivere le loro esperienze lontani dal "mondo".

Il deserto del Sinai veniva concepito come luogo privilegiato per controllare le "passioni", gli "istinti primordiali" e soprattutto per stare lontani dalle "tentazioni" di una chiesa compromessa col potere.

Contraddicendo la prassi della primitiva comunità cristiana e ricollegandosi direttamente all'esperienza ebraica della comunità di Qumran, ai gruppi del culto ellenizzato di Serapide, ai pitagorici della Magna Grecia, il monachesimo veniva concepito come una forma di vita permanente.

Anche se poi col tempo subì forti mutazioni ( p.es. si affermò la tendenza a prendere proprio dai monasteri le persone che dovevano ricoprire cariche ecclesiastiche di prestigio ).

I monaci del IV secolo erano convinti di poter anticipare, col loro stile di vita isolato, la condizione interiore della beatitudine eterna.

In tal senso molti di loro rifiutavano la soluzione benedettina che andava affermandosi nell'area occidentale dell'impero: i monaci orientali volevano restare poveri anche materialmente, e in solitudine ( esichia ), praticando soprattutto la cosiddetta "preghiera del cuore", cioè una tecnica psico-somatica simile alla Yoga indù e al Dhikr musulmano, in cui attraverso la respirazione, la concentrazione della mente ( che doveva liberarsi di ogni immagine ) e la ripetizione costante delle parole "Signore Gesù Cristo, figlio di Dio, abbi pietà di me", si cercava di controllare i battiti del cuore, ritenuto sede dell'anima e della ragione umana.

Il potere politico e la stessa chiesa cristiana non tardarono a rendersi conto che, impostato così, il monachesimo non avrebbe potuto rappresentare una fonte di preoccupazioni, anzi, al contrario, esso poteva diventare un'opportunità in più per la vita religiosa, per quanto esigente fosse.

Non pochi fedeli, di qualunque ceto, si avvalevano delle pratiche ascetiche di questi monaci, ritirandosi per un certo periodo di tempo nelle loro strutture, allo scopo di rigenerarsi spiritualmente.

Già nel VI sec. infatti l'imperatore Giustiniano fece fondare sul monte Sinai un monastero destinato a diventare il centro di diffusione più importante dell'esicasmo.

Col tempo venne sempre meglio definita la loro teologia, del tutto apofatica e mistica, priva di qualunque rappresentazione di Dio.

Gregorio di Nissa, p.es., stabilisce una precisa distinzione tra "essenza divina", che resta inaccessibile all'uomo, ed "energie divine", accessibili all'uomo tramite appunto una vita contemplativa, in cui si attende una manifestazione libera e gratuita del soprannaturale.

Sulla stessa linea di Gregorio saranno i maggiori teologi ortodossi: Massimo Confessore, Pseudo-Dionigi, Simeone il Nuovo Teologo ecc.

La dottrina del monaco Massimo Confessore trionfò nettamente al VI concilio ecumenico, a Costantinopoli, nel 681.

Si precisò che in Cristo vi erano due nature, umana e divina, ciascuna con una propria esistenza e volontà, unite in un'unica persona, in cui la volontà umana era sempre conforme a quella divina.

Quanto a Simeone, era noto quanto egli fosse legato al carattere non sacerdotale dell'esperienza monastica, cosa per cui ebbe non poche difficoltà con le autorità ecclesiastiche.

Nel XIV sec. la grande esperienza esicasta, maturata soprattutto sul Sinai, trovò, grazie a Gregorio il Sinaita, la possibilità di mettere radici anche sulla Montagna Santa ( Aghion Oros ) o Monte Athos, in Grecia.

Ma già verso il 1325 i monaci dell'Athos cominciavano a subire le prime incursioni dei pirati turchi.

Gregorio fu obbligato a lasciare l'Aghion Oros e a rifugiarsi sulle montagne della Tracia, ove beneficiava della protezione dello zar bulgaro Giovanni Alessandro.

Da qui l'esicasmo si diffonderà in tutti i paesi slavi.

Il teologo più importante dell'esicasmo, uno dei massimi di tutta la teologia ortodossa, fu Gregorio Palamas ( 1296-1359 ).

Nacque da genitori nobili che dall'Asia Minore s'erano trasferiti a Costantinopoli, presso la cui corte imperiale fu appunto educato, studiando bene Aristotele e per nulla Platone.

Rimasto orfano di padre sin dall'infanzia, con a carico la madre, due sorelle, due fratelli e un numero notevole di servi, decise di farsi monaco, convincendo tutti gli altri a fare la stessa cosa.

Era il 1316.

Per vent'anni, sull'Aghion Oros, il giovane Gregorio condurrà una vita monastica molto rigorosa.

Nel XIV sec. l'Athos era diventato il centro del monachesimo ortodosso, avendo acquisito un carattere transnazionale, soprattutto dopo l'invasione turca dell'Asia Minore.

Bisogna tuttavia dire che la tradizione cenobitica o comunitaria, qui introdotta da Atanasio, non trovava molti consensi in quella eremitica o anacoretica.

Il cenobitismo infatti prevede che i classici voti di povertà, castità, obbedienza siano regolamentati in un'organizzazione molto rigida, che definisce con precisione i dettagli della vita del monaco.

Viceversa, l'eremitismo lasciava una certa libertà al monaco di seguire la sua via verso la perfezione.

Il maestro spirituale non poteva essere d'ufficio l'abate, ma doveva essere un monaco sperimentato e liberamente scelto.

Quanto ai beni materiali, era impensabile per gli eremiti che una comunità potesse essere molto ricca, avvalendosi per giunta di lavoro servile, pur nell'assenza di proprietà privata da parte dei singoli monaci.

La povertà doveva essere radicale.

Poiché comunque era necessario convivere in un medesimo luogo, le due tradizioni giunsero a vari tipi di compromesso, mediante i quali si cercava di valorizzare di ognuna gli aspetti più significativi.

Così, i monaci cenobiti appresero la spiritualità esicasta e gli eremiti si adattarono a vivere un'esistenza semicomunitaria.

Palamas praticò soprattutto la fusione di queste due tradizioni.

Anche lui però fu costretto ad andarsene dall'Athos in seguito alle sortite dei pirati turchi ( allora i monasteri non avevano le imponenti mura di difesa che vediamo ancora oggi ).

L'intenzione era quella di recarsi presso qualche monastero del Sinai, ma per un certo tempo si trattenne a Tessalonica, dove si lasciò convincere a diventare sacerdote ( 1326 ), da alcuni teologi intenzionati a diffondere l'esicasmo fuori dei chiostri.

Così fondò a Berrea un eremitaggio, dove per cinque anni praticò un'ascesi molto rigorosa, accettando di condividere con altri monaci tutti i sacramenti e le feste liturgiche.

Tuttavia verso il 1331 è costretto ad andarsene anche da qui, a causa di alcune incursioni serbe; sicché decise di ritornare sull'Athos, presso l'eremitaggio di San Sabba.

La sua vita ebbe una svolta decisiva quando un greco di Calabria, Barlaam di Seminara, arrivò verso il 1330 a Costantinopoli, acquisendo subito grande reputazione come filosofo.

I suoi scritti di astronomia e di logica apparvero così importanti che Giovanni Cantacuzeno, il primo uomo di fiducia dell'imperatore Andronico III, gli affidò una cattedra all'Università Imperiale, da cui Barlaam cominciò a commentare gli scritti dello Pseudo-Dionigi l'Aeropagita, che sicuramente era il teologo ortodosso più letto dai filosofi latini medievali.

Nel 1333-34 il filosofo calabrese diventa anche il portavoce della chiesa greca di fronte ai due teologi domenicani che il papa aveva inviato in Oriente per preparare l'unione delle chiese, cattolica e ortodossa, separatesi nel 1054.

Barlaam dagli ambienti imperiali veniva considerato fidato, in quanto criticava duramente la teologia razionalista di Tommaso d'Aquino, il primato del papa e della sede romana, nonché la pretesa di dimostrare la validità del Filioque.

Tuttavia ad un certo punto egli cominciò a giungere a conclusioni del tutto agnostiche, nei cui confronti Palamas si vide costretto a intervenire.

Influenzato dalla mentalità umanistica che s'era andata sviluppando in occidente e che tendeva a emancipare il pensiero umano dalle autorità ecclesiastiche, Barlaam cominciò a sostenere che se dio è inconoscibile, serviva ben poco continuare a parlare di "processione dello spirito", per cui l'unione delle chiese andava posta su altre basi.

Palamas l'attaccò a più riprese, mostrando che con la filosofia non si possono trattare questioni di tipo teologico, essendo due discipline completamente diverse.

Incuriosito da questo attacco, Barlaam chiese di conoscere da vicino gli eremitaggi esicastici presenti a Tessalonica e a Costantinopoli.

Osservando le pratiche ascetiche dall'esterno, in nome del proprio umanesimo nominalistico e del proprio spiritualismo neoplatonico, Barlaam non poté che darne un giudizio molto negativo.

Dopo aver paragonato gli esicasti agli eretici messaliani e ai bogomili, su un aspetto soprattutto si concentrano le sue critiche: "la pretesa di vedere l'essenza divina con gli occhi del corpo", com'egli diceva.

Barlaam negava la differenza tra "essenza" ed "energia" nell'ambito della divinità, poiché a suo giudizio un'essenza inconoscibile rende impossibile farne esperienza diretta coi sensi, anche se questa essenza si manifesta come energia.

L'esicasta, in altre parole, non può essere sicuro che le energie che vede e sperimenta fisicamente, siano proprio quelle di Dio e non quelle di lui stesso, di cui ha appunto consapevolezza tramite l'ascesi.

La posizione di Barlaam si fondava su due postulati di tipo naturalistico, escludenti un'esperienza di tipo mistico:

1. un postulato aristotelico, secondo cui ogni conoscenza, compresa quella di Dio, ha per origine la percezione dei sensi;

2. un postulato neoplatonico, secondo cui Dio è al di là dell'esperienza sensibile, essendo del tutto inconoscibile, per cui la sua conoscenza può essere solo indiretta o simbolica.

Palamas risponde a queste osservazioni con le Triadi per la difesa dei santi esicasti, un'opera che per la prima volta offre una sintesi teologica della spiritualità dei monaci orientali.

Sulla base di quest'opera viene pubblicato, nel 1340-41, il primo documento ufficiale contro Barlaam, sottoscritto da tutti gli igumeni e i monaci dell'Athos: il Tomo Agioritico.

Palamas in sostanza paragona gli esicasti ai profeti veterotestamentari, i quali - a suo parere - furono gli unici, nel mondo ebraico, ad avvicinarsi di più all'essenza del messaggio evangelico del Cristo.

Egli non nega valore alle scienze profane, ma nega che queste siano in grado di comprendere i misteri divini e di permettere l'esperienza del sovrannaturale.

Nella sua teologia, che poi era condivisa da tutto il mondo monastico, il credente può sentirsi "deificato" grazie alla "preghiera del cuore" e ad altre pratiche ascetiche, che portano a una "luce interiore", visibile anche fisicamente, come nel caso della trasfigurazione del Cristo sul Tabor.

Due concili convocati dall'imperatore nell'estate del 1341 a Costantinopoli pronunciarono la condanna del filosofo calabrese, che preferì ritornare in Italia, dove fu nominato vescovo cattolico di Gerace e dove passò la sua vecchiaia a dar lezioni di greco al Petrarca e al Boccaccio.

Le sue argomentazioni antilatine furono comunque talmente efficaci che vennero sfruttate abbondantemente dai greci anche dopo la sua condanna.

Le questioni teologiche tuttavia, come spesso succedeva a Bisanzio, s'intrecciarono con quelle politiche, determinando uno svolgimento dei fatti molto tortuoso.

Anzitutto va detto che l'imperatore Andronico III Paleologo, che aveva presieduto il primo concilio, morì pochi giorni dopo la chiusura dei dibattiti, senza aver firmato la decisione finale.

A causa della minorità di suo figlio, Giovanni V, la reggenza era stata affidata alla madre Anna di Savoia, che a sua volta affidò la conclusione dei concili a Giovanni Cantacuzeno, braccio destro di Andronico.

Senonché, subito dopo la fine del secondo concilio ( agosto 1341 ), un colpo di stato diretto dal patriarca Calecas e dal megaduca Apocauco ( rivale di Cantacuzeno alla co-reggenza dell'impero ), con l'appoggio dell'imperatrice, depose Cantacuzeno dalle sue funzioni.

La reazione di quest'ultimo fu immediata, al punto che scoppiò una guerra civile che si sarebbe trascinata per un quinquennio.

Le cause di tutto ciò non sono mai state definitivamente chiarite dagli storici.

È probabile che il patriarca vedesse l'esicasmo come una sorta di potere autonomo difficilmente controllabile dalle istituzioni ecclesiastiche.

Neanche 30 anni dopo le vicende in oggetto, i monaci dell'Athos andarono direttamente dal sultano turco, offrendo la loro sottomissione politica in cambio della conferma dei loro diritti di proprietà terriera ( cfr C. Mango, La civiltà bizantina, ed. Laterza, p. 145 ).

Non dimentichiamo che se c'è stata un'istituzione che è sopravvissuta all'impero bizantino, questa è proprio il monachesimo.

Contro Cantacuzeno, ch'era appoggiato dall'aristocrazia antimperiale, Alessio Apocauco aveva sobillato le masse popolari più povere a Tessalonica e Adrianopoli.

A quel tempo le lotte sociali non erano tra borghesia e proletariato ( come in Italia ), ma tra latifondisti e contadini poveri.

A Tessalonica il partito degli zeloti era riuscito a instaurare un governo democratico, che permetteva di sequestrare i beni urbani degli aristocratici, senza confiscarne però le proprietà terriere.

Gli zeloti venivano considerati seguaci di Barlaam e di Akindynos, anche se molti dei loro capi riconoscevano come imperatore legittimo Giovanni Paleologo.

Quanto a Palamas, pur restando egli leale nei confronti dell'imperatrice Anna, rifiutò di appoggiare la politica di rottura del patriarca, sicché quest'ultimo nel 1343 lo fece arrestare coll'intenzione di processarlo per eresia.

Il patriarca si servì di un certo Akindynos, un monaco d'origine bulgara, un tempo discepolo di Palamas, anche lui condannato nel secondo concilio contro Barlaam, senza però far menzione del suo nome, poiché aveva accettato di firmare una vaga formula di compromesso tra le posizioni dei due contendenti.

Dietro richiesta del patriarca, Akindynos, che intanto era stato ordinato sacerdote, cominciò a diffondere delle confutazioni di Palamas, e nel 1344 il patriarca arrivò persino a scomunicare quest'ultimo.

L'imperatrice però non lo sostenne in questa azione demolitrice del grande teologo, per cui nel 1347 riunì un concilio che depose il patriarca, sostituendolo con Isidoro, e liberò dal carcere Palamas.

Intanto Cantacuzeno s'era rifugiato in Serbia, la quale però, quando vide che lo riconoscevano imperatore la Tessaglia, l'Epiro, l'Acarnania, l'Etolia, gli ritirò la fiducia, non volendo creare un incidente diplomatico con Bisanzio.

A questo punto Cantacuzeno cercò l'aiuto turco dei Selgiuchidi.

Tessalonica in un primo momento resistette all'attacco turco, ma Cantacuzeno provvide a conquistare la Tracia.

In quello stesso anno ( 1345 ) morì assassinato da alcuni detenuti del carcere del palazzo imperiale, Alessio Apocauco, il che provocò le prime defezioni interne agli zeloti di Tessalonica.

Il figlio di Apocauco, Giovanni, cercò di favorire in tutti i modi il partito degli zeloti di Tessalonica, ma si scontrò col nuovo leader Michele Paleologo.

Giovanni fece uccidere quest'ultimo e improvvisamente passò dalla parte di Cantacuzeno, ma il figlio di Michele, Andrea, reagì uccidendo Giovanni.

Il dominio degli zeloti poté così mantenersi per ancora vari anni nella città.

Tradito dai Selgiuchidi, nel 1344 Cantacuzeno decise di rivolgersi agli Ottomani, al cui sultano Orkhan concesse addirittura la mano della propria figlia Teodora ( era la prima volta che una principessa bizantina entrava nell'harem di un sultano turco ).

Due anni dopo si fece incoronare imperatore ad Adrianopoli dal patriarca di Gerusalemme.

Anche l'imperatrice Anna si rivolse all'aiuto militare dei Selgiuchidi, ma questi non fecero altro che devastare selvaggiamente la Bulgaria e i dintorni di Costantinopoli.

Quando nel 1347 Cantacuzeno si presentò alle porte della città, la guarnigione gliele aprì senza esitare.

Egli dichiarò di voler reggere da solo l'impero per una decina d'anni, dopodiché gli si sarebbe affiancato il sovrano legittimo Giovanni Paleologo, cui lo stesso Cantacuzeno offrì la mano della propria figlia Elena.

Cantacuzeno ricevette la corona imperiale dalle mani del patriarca Isidoro e presiedette alcuni concili favorevoli a Palamas.

Ma a Tessalonica rifiutarono sistematicamente gli ordini provenienti dalla capitale.

Temendo l'attacco delle truppe imperiali, gli abitanti della città cominciarono a intavolare trattative con la Serbia, per consegnare a questi sovrani le chiavi della loro città.

Tuttavia, nel 1349 il dominio degli zeloti crollò: il loro capo, Andrea Paleologo, fuggì in Serbia.

Palamas poté essere nominato metropolita della città, senza particolari entusiasmi da parte dei tessalonicesi, che temevano forme di controlli imperiali anche sul piano ecclesiastico.

Capo del partito antiesicasta divenne il filosofo Niceforo Gregora, che in passato però era stato contro Barlaam.

Ma in un concilio del 1351 fu definitivamente riconosciuta l'ortodossia esicasta.

Nonostante la diffidenza iniziale della popolazione, Palamas seppe conciliare le esigenze di giustizia sociale della città con quelle unitarie dell'impero.

Durante un viaggio per mare fu catturato dai turchi, ma la prigionia in Asia Minore, durata un anno, gli servì per stabilire relazioni molto amichevoli con personalità in vista del nuovo impero.

Morì nel 1359 nella stessa città episcopale, con tutti gli onori, al punto che venne santificato.

Suoi principali discepoli furono Nicola Cabasilas, Simeone di Tessalonica e Marco Eugenico, irriducibile avversario dell'unione con Roma nel XIV secolo.

Considerazioni

Come mai, visto che anche tra l'élite intellettuale di Bisanzio esisteva l'esigenza di restaurare le tradizioni filosofiche del neoplatonismo, conferendogli la più ampia autonomia possibile dal dogma cristiano, non fu possibile alcuna possibilità di mediazione tra l'umanesimo nominalistico di Barlaam e lo spiritualismo esicasta di Palamas, ma anzi si decise di chiudere definitivamente le porte alle tendenze razionaliste che venivano emergendo nell'area occidentale dell'impero?

1. La tesi della distinzione tra "essenza" ed "energia", propugnata dagli esicasti e dal loro principale esponente, Palamas, era indubbiamente in linea con tutta la teologia ortodossa, per cui fu un errore degli antiesicasti contraddirla sul terreno della teologia.

2. La stessa teologia latina ( tomismo ), quando condannò l'esicasmo, lo fece in nome di una certa laicizzazione della stessa teologia, ovvero di una sua progressiva trasformazione in filosofia della religione, sotto l'influenza dell'aristotelismo.

Non si uscì dal terreno della teologia, e su questo terreno le posizioni ortodosse sono sempre state più rigorose, più dialettiche di quelle latine.

3. Il neoplatonismo o l'ellenismo profano attirava sì gli intellettuali di Bisanzio, ma esso stesso era essenzialmente un sistema religioso, non in grado di competere con le grandi riflessioni teologiche dei padri greci e degli intellettuali della chiesa ortodossa.

Quest'ultimi avevano creato un sistema di pensiero che non poteva lasciare alcuna attività umana e intellettuale al di fuori dell'esperienza propriamente cristiana.

4. L'impero bizantino è stato caratterizzato da una cultura religiosa tenacemente ancorata ai fondamenti del Nuovo Testamento.

Tutta la teologia ortodossa non è stata altro che un gigantesco sforzo per confermare i valori espressi nei testi canonici della fede cristiana.

E questo anche a prezzo di clamorose rotture ecclesiali che indebolirono di molto l'impero sul piano politicoterritoriale, anche se lo hanno conservato integro su quello ideologico.

Negli ultimi 500 anni infatti le posizioni teologiche della chiesa e dei monaci ortodossi sono rimaste sostanzialmente immutate.

5. La forte caratterizzazione ideale della cultura dominante ha impedito, in un certo senso, ai bizantini di vivere quelle forme ibride, ambigue di esperienza religiosa, in cui il soggetto è solo formalmente "cristiano", in quanto nella sostanza vive un'esistenza del tutto "borghese".

Difficilmente un ortodosso avrebbe potuto accettare un comportamento "profano" ( come p.es. quello dei cattolici veneziani a Costantinopoli, esclusivamente dediti agli affari ), in cui il carattere "laico" fosse apertamente in contrasto con quello "religioso".

6. Sul piano pratico le posizioni esicaste difendevano quelle istituzionali del potere politico contro quelle sociali delle classi più deboli.

L'esicasmo era una forma di autoestraneazione, che a un certo punto cominciò a essere supportata da un considerevole potere economico ( il monachesimo istituzionalizzato diventò una sorta di feudo agrario ).

L'esicasmo era il tentativo di risolvere in maniera individualistica o comunque isolata contraddizioni irrisolte sul terreno sociale.

7. La spiritualità bizantina, con la teologia palamitica, era arrivata al capolinea: infatti non era più possibile procedere oltre restando nell'ambito dell'ortodossia religiosa.

Da un lato si era ribadito, una volta per tutte, che "su Dio" non si poteva dir nulla, in quanto la sua essenza restava del tutto inconoscibile ( una rivelazione dell'essenza divina avrebbe messo Dio al livello delle creature e avrebbe fatto dell'uomo un "dio per natura" ); dall'altro si affermava che una piena esperienza delle "manifestazioni divine" o "energie" era possibile solo a livello monacale, nella fatica dell'isolamento e della preghiera psico-fisica: il che in sostanza voleva dire che l'esperienza pienamente cristiana era ormai diventata una sorta di eccezione riservata a pochi eletti.

8. I cristiani ortodossi non riuscirono a compiere il passo successivo, quello di trasformare l'esperienza cristiana in un'esperienza di lotta per il superamento delle contraddizioni sociali, e quella di trasformare la teologia apofatica in una concezione umanistica dell'esistenza.

9. Era d'altronde impossibile rompere con la tradizione ortodossa senza un'esperienza di eguale forza spirituale e di eguale capacità dialettica, da viversi in maniera totalmente laica.

Ciò è stato possibile solo con la nascita del socialismo democratico e dell'umanesimo laico che gli è correlato, cioè, rispetto al dibattito sull'esicasmo, mezzo millennio dopo.

L'umanesimo socialista ha il compito di superare qualunque forma di antagonismo sociale e qualunque forma di ideologia, sia essa religiosa o laica, che ne giustifichi l'esistenza.