De poenitentia

Traduzione di Gino Mazzoni, 1934

Capitolo I - Come i Gentili intendano male la Penitenza; in quanto talvolta provano rammarico d'avere agito bene

Questa sorta d'uomini alla quale appartenemmo anche noi in passato; ciechi, in quanto privi della luce che proviene da Dio, conoscono e intendono che cosa sia la Penitenza, ma solo in quanto può suggerire la natura circa il fatto in sé e la considerano quindi come un sentimento dell'animo che nasce dal rincrescimento di una decisione presa anteriormente.

Del resto sono essi tanto lontani dall'averne una nozione ragionevole, quanto lo sono da Colui che è fonte e lume di ogni principio razionale: la ragione è cosa di Dio: questi è creatore del tutto e nulla provvide, nulla dispose se non seguendo ragione: e a tutto dette ordine secondo i dettami di essa e non volle che ci fosse cosa che non fosse governata e retta dalla ragione, suprema moderatrice dell'umano intelletto.

Chi non riconosce Dio, deve necessariamente essere all'oscuro di quanto sia fulgore d'opera sua: non c'è tesoro che sia aperto ed esposto a persone estranee ed inesperte; ed è così che coloro che s'azzardano a traversare l'immenso oceano della vita, senza guida e il freno della ragione, non possono saper evitare la tempesta che sempre incombe minacciosa sul mondo.

Quanto poi, lungi da ogni linea razionale, i Gentili si comportino nella dottrina della penitenza, sarà sufficiente dimostrarlo anche con una osservazione sola: essi applicano in principio della penitenza, anche qualora si tratti di azioni buone e lodevoli: della lealtà si pentono: e così pure dell'amore, dell'umiltà, della semplicità di vita, della tolleranza, della pietà e misericordia, secondo che talvolta tali virtù si possano imbattere nell'ingratitudine: sono capaci di maledire sé stessi per aver fatto del bene ed è sopratutto questa la forma di penitenza che essi cercano di fissare e d'imprimere bene nel loro spirito: proprio quella che si riattacca alle opere buone: e cercano di ricordarsene bene per non dover affatto fare più un briciolo di bene ad alcuno.

Al contrario il rincrescimento d'aver commesso delle colpe, da loro ragione assai minore di preoccupazione.

Insomma, in nome della penitenza è più facile che commettano opere meritevoli di riprovazione, che piuttosto seguano nelle loro azioni una linea di rettitudine e di onestà.

Capitolo II - Non si può chiamare Penitenza se non quella che si rivolge ai peccati

Se chi segue tale linea di condotta, agisse nella piena conoscenza di Dio e se per mezzo di esso avesse chiaro il concetto e intero il possesso della ragione; questi tali, dico, comincerebbero anzitutto a calcolare e a valutare giustamente la grandezza del principio della penitenza; e non ricorrerebbero mai ad essa per sostenere e coonestare procedimenti errati; eppoi finalmente porrebbero un limite a questo continuo pentirsi, perché, evidentemente, avendo timore di Dio, saprebbero anche tenersi lontani dalle occasioni di mal fare.

Ma dove non è affatto timore del Signore, non vi può neppure essere modo di rinascita morale; e là dove questa possibilità di resurrezione dello spirito non c'è, la penitenza necessariamente cade nel vuoto, perché viene a mancare di quello che è il frutto e la luce sua più bella e per cui Iddio l'ha seminata e largita all'uomo; intendo dire, la sua salvezza.

Poiché Iddio, dopo tante e così grandi colpe commesse dall'umana superbia e che risalgono ad Adamo, primo di questa nostra terrena stirpe; dopo aver pronunziata solenne condanna sull'uomo, col peccato che è il triste retaggio delle umane genti, dopo averlo scacciato dall'eterno giardino ed averlo assoggettato alla trista necessità della morte; essendosi poi egli nuovamente volto a sensi di misericordia, fin d'allora istituì e consacrò in sé stesso la penitenza, stracciando la sentenza che aveva lanciata nello scoppio del suo primo sdegno; e venne a patti, che avrebbe perdonato all'uomo che era stato creato da lui a sua stessa immagine.

E infatti, si scelse e fece suo un popolo e lo colmò dei doni infiniti della bontà sua, ma avendolo pure riscontrato tante volte ingrato in sommo grado, l'esortò e lo richiamò sempre a penitenza; fece che la bocca di tutti i profeti s'aprisse alla luce della profezia e promise tosto fulgore di grazia, della quale negli ultimi tempi per opera dello Spirito Santo doveva spargere per tutto l'inesausto tesoro; e volle che il sacro lavacro della penitenza, precedesse l'altro, perché con tale segno sacro si trovassero già in stato di grazia, coloro che Egli chiamava alle promesse fatte alla stirpe di Adamo.

Giovanni esclama; fate penitenza; e già infatti stava per apparire alle genti una via di salvezza; era il Signore che la portava secondo la promessa di Dio; e Giovanni, intendendo intimamente il volere divino, e volendolo eseguire bandisce il principio della penitenza, perché, quanto un antico errore avesse potuto nell'animo falsare e guastare; quello che nel cuore dell'uomo potesse essere stato dall'ignoranza contaminato e corrotto, tutto questo la penitenza facesse scomparire e ricoprendo con un manto di innocenza e di purità, apprestasse allo Spirito Santo che doveva discendere, integra la sede dell'animo nostro, dove potesse fermarsi in letizia, con tutti i suoi doni celesti: in uno solo si riassumono tutti questi beni: la salvezza dell'uomo, premesso l'annullamento d'ogni colpa precedentemente commessa: il punto essenziale della penitenza è appunto questo; che mentre essa è in servigio dell'uomo, mantiene integro il suo divino principio ed è parte sostanziale della misericordia del Signore.

Del resto la strada che segue la penitenza ha una linea ben determinata e precisa e di essa non possiamo aver conoscenza esatta se non possediamo prima quella di Dio: la penitenza non può forzare la mano su qualche cosa che si sia fatto e pensato di bene.

Non può approvare il Signore che noi in qualche modo rinneghiamo quello che talvolta si può aver fatto di buono: tutto ciò che è bontà, è di lui, da lui muove: le opere buone egli le difende e protegge e rappresentano quindi quello che egli gradisca maggiormente e se Iddio le accetta, saprà anche ricompensarle a dovere.

Considera e rifletti ora dunque, se quella che sia l'ingratitudine umana debba minimamente suscitare un senso di pentimento per avere agito bene e si consideri pure, d'altro lato, se l'idea d'esser fatto segno a manifestazioni di gratitudine, possa in sé stessa, essere d'incitamento ad ogni bene: l'una e l'altra sono povere cose della terra, hanno una breve vita esse; sarà ben piccolo il vantaggio che ricaverai dal ben fare a persona che poi te ne sarà grata; come sarà piccolo il danno, se agirai bene all'indirizzo di chi invece ti ricambierà coll'ingratitudine; il beneficio chiama Dio a suo debitore ed anche chi agisce male deve attendere quel che gli spetta da Dio: egli è giudice e compensa l'una e l'altra partita.

E dal momento che c'è Iddio, che regge e guida in un principio di giustizia, che egli vuole, perché è figlia sua prediletta; dal momento che, conformemente alla sua natura, appunto, egli tempera e governa l'insieme della sua dottrina, si può forse dubitare che come in tutte le altre azioni della nostra vita, non sia da rendere a Dio il più grande tributo di giustizia, anche in materia di penitenza?

E si potrà soddisfare a questo principio di equità, se in noi, solo per cattive azioni, sentiamo nascere nel nostro spirito un senso di pentimento; e invero non si può chiamare peccato che quanto è male e colpevolmente compiuto: non v'è nessuno che possa divenir peccatore col far benefizio.

E se non commetti peccato, perché lasciar sorgere in noi questo senso della penitenza che è invece proprio di coloro che agiscono colposamente? perché dare alla bontà certi caratteri e certi elementi che sono propri soltanto della malvagità?

E avviene così appunto che mentre qualche cosa si fa quando non bisognerebbe, si trascuri invece, allorché giunga il momento giusto o la circostanza opportuna.

Capitolo III - Ci sono peccati materiali e spirituali

È questo il punto nel quale si vuole fissare, stabilire, quello, che per altro potrebbe sembrare anche superfluo, cioè gli atti per i quali il pentirsi può apparire un procedimento giusto e doveroso; cioè quelle azioni che rientrano nell'ambito delle vere colpe.

Conosciuto che sia una volta il Signore, l'anima nostra, con moto spontaneo, l'anima sulla quale s'è volto l'occhio di Dio, acquista nozione di quella che sia la verità ed è iniziata ai comandamenti del Signore: da essi subito conosce che quanto Iddio tiene lontano da sé, è da reputarsi colpevole, peccaminoso.

Iddio è bene grandissimo, infinito e come chi ha attributo di somma bontà, non può riuscire non gradito, se non a tutto ciò che è male; perché fra principî diametralmente opposti non vi può essere relazione, né intesa di sorta, mai.

Tuttavia non ci rincresca dire brevemente come, fra i peccati, ve ne siano alcuni carnali, a cui va soggetta la nostra fragile materia corporea; altri riguardino invece il nostro spirito.

L'uomo è infatti composto dall'unione di due principî sostanziali e non può quindi incorrere in colpa, se non per opera di uno di questi due.

Ma i peccati non si differenziano in tal modo, perché diversi e separati sono lo spirito e il corpo; anzi se ci si basasse su tal principio, a maggior ragione sarebbero da considerarsi uguali, giacché i due elementi formano sostanzialmente un'unità; e non vi sia chi possa basare un criterio di differenziazione delle colpe sul fatto della diversità delle sostanze corporea o spirituale, da cui esse possono essere ingenerate; così che un dato peccato debba avere, per questo, un carattere di maggiore o minor gravita di un altro.

Carne e spirito sono opera di Dio, infatti; dalla mano sua riuscì ad esprimere la materia e, col suo respiro, immise in noi l'elemento spirituale e divino; essi, dunque, provengono da Dio e sono ugualmente di Dio e in qualunque cosa o l'uno o l'altro possa venir meno al suo principio divino ed errare, esso offende ugualmente il Signore.

Saresti tu in grado dunque di discernere esattamente gli atti della carne e dello spirito, dal momento che fra loro esiste, nella vita, nella morte, nella resurrezione, un'unione così intima, che essi sono così strettamente associati, da dover rinascere un giorno insieme o per godere la loro vita eterna o per ascoltare la parola della loro condanna, poiché, appunto, ugualmente, nella medesima intima comunione furono colpevoli od agirono piamente, lungi da ogni ombra di peccato?

Abbiamo posto tali premesse per questo … per intender bene che tanto alla carne che allo spirito, incombe la necessità della penitenza, qualora sotto qualche riguardo siano incappati in colpa: il peccato è di entrambi, comune all'una e all'altro; perciò anche il rimedio della penitenza deve essere tanto dell'uno che dell'altro.

Si chiamano le colpe, spirituali, dunque, o materiali, come il corpo: ogni azione cattiva infatti o si compie o si pensa; così, che corporale si chiamerà ciò che risulterà di un fatto, come il corpo è qualcosa che si può vedere e toccare: spirituale è il peccato che resta dentro l'animo nostro e non è soggetto ai nostri sensi, come infatti anche lo spirito non si vede né si tocca in alcun modo.

Onde risulta chiaro che non solo le colpe che derivano da vere e proprie azioni materiali, ma anche quelle che implicano un segreto desiderio o un principio di volontà di peccare devono evitarsi e in ogni modo applicare ad esse il principio della penitenza.

E non può essere ragione sufficiente che la facoltà umana di giudicare, nella sua mediocrità e nella sua deficienza, si limiti al solo esame dei fatti materiali, come incapace di penetrare nei più intimi recessi della volontà, perché noi non dobbiamo tenere in nessun conto nei riguardi di Dio le mancanze del nostro spirito.

Iddio arriva a vedere, scoprire, a giudicare tutto e non c'è nulla che possa sfuggire al suo sguardo, di quanto, in qualche modo, costituisce atto colpevole: nulla vi è che ignori, niente che trascuri di quello che debba cadere sotto il suo giudizio e la sua sanzione.

Egli non lascia che qualcosa passi inosservata e non tralascia di usare in ogni momento la sua oculatezza, la sua perspicacia.

Eppoi noi dobbiamo riconoscere nella volontà il movente di ogni nostra azione: si potrà tuttavia vedere se alcuni atti possano trovare i loro moventi nel caso, nella necessità, nell'ignoranza: ma, eccettuati pochi casi di questa natura, è per volontà nostra che cadiamo nell'errore.

E dovendosi riconoscere nella volontà, la causa prima dell'azione nostra, è logico che sia sottoposta alla dovuta pena, appunto che questo, che essa rappresenta il motivo maggiore di peccare e da questo motivo di colpa non viene ad essere esonerata la volontà nostra, allorché, per qualche circostanza contraria, essa non riesca a condurre a termine quello che avrebbe voluto pur compiere.

Essa è considerata in ogni modo responsabile di fronte a sé stessa e a giustificazione non potrà addursi il fatto di non aver compiuto, per sfavorevole circostanza, quello che stava in lei e giudicava compito suo.

E infine, com'è che il Signore ha voluto darci la prova di aggiungere alla vecchia legge, qualcosa di nuovo e di diverso, se non col fissare una proibizione, e collo stabilire una condanna assoluta per tutte le colpe della volontà nostra? adultero infatti non sarà soltanto colui che fa violenza e contamina il legame matrimoniale di altri, ma anche chi viola, chi macchia la santità di quella unione col solo sguardo, ardente di insano desiderio; ed è così che infatti anche quello che ci troviamo nella impossibilità materiale di compiere, l'animo nostro ama nella sua immagine e nel fervore del pensiero e con un atto di volontà, audacemente, ne considera come avvenuto l'effetto: e dal momento che la forza di questo voler nostro è tale che, di per sé, senza attendere la piena realizzazione dei suoi desideri, può quasi tener luogo dell'azione stessa, nei suoi effetti, ne viene che questa nostra facoltà volitiva debba essere giustamente riconosciuta colpevole.

È inutile assolutamente dire: io avrei voluto far questo, ma però non lo feci: tu devi invece, se lo vuoi, portare a compimento quella data cosa.

Se non intendi invece di portarla al suo completo svolgimento, non degnarla neppure della tua attenzione: altrimenti pronunzi un giudizio con la confessione che fai: se quello che è l'oggetto del tuo desiderio fosse vero bene, vivo avrebbe dovuto essere il volere tuo di condurlo a fine, e, d'altra parte, poiché non porti al suo termine il male, non avresti dovuto neppure desiderarlo: da qualunque parte tu ti metta, sarai stretto dalla colpa, o perché hai voluto il male, o perché non hai operato bene.

Capitolo IV - Esortazione alla penitenza

A tutte le colpe, adunque, compiute o col corpo o collo spirito nostro, sia colla materialità di un atto, sia colla forza della volontà, Colui che decise e prescrisse che sarebbero state stabilite, per via di giudizio, sanzioni penali, promise anche che il perdono sarebbe venuto attraverso il Sacramento della penitenza.

Disse infatti alle genti: Pentitevi ed io vi farò salve.

E di nuovo il Signore disse: Io sono Iddio vivente, voglio piuttosto la penitenza che la morte: è vita dunque la penitenza, che viene preferita alla morte: tu, peccatore simile a me, anzi meno di me, poiché io riconosco d'esser più peccatore e colpevole di te, gettati su quella, abbraccia il principio della penitenza, come il naufrago s'attacca ad una tavola, unica àncora di salvezza per lui: sarà essa che riuscirà a sollevarti, quasi sebbene ormai travolto dalle onde minacciose della colpa e ti trasporterà nel porto della clemenza di Dio.

Afferra l'occasione che ti pone dinanzi una fortuna insperata, così che tu, che una volta null'altro eri, di fronte a Dio, che una stilla d'acqua che gocciola da un'anfora capace, che un granello di polvere in un'aia, o un vaso di terraglia ordinaria e vile, divenga invece quell'albero piantato presso scorrer di fiume, che nel verde delle sue frondi, attesta la continua vitalità sua; l'albero che a suo tempo darà bellezza e squisitezza di frutti, che non conoscerà furia di fuoco, o violenza ed offesa di ferro.

Trovata che sia la verità, ci si penta degli errori, ci si penta d'aver posto l'amor nostro in quel che Dio non predilige; poiché neppur noi lasciamo che i nostri servi non sentano disprezzo ed odio per quanto a noi possa dispiacere.

Il principio, la base dell'ossequio e della deferenza sono dati da una certa conformità di sentimenti.

A materia troppo ampia e copiosa e che richiederebbe d'essere affidata a forza e a magnificenza di parola, andremmo incontro, se noi volessimo ricordare punto per punto i beni della Penitenza, ma noi non insistiamo che su un punto solo, data la nostra piccolezza e i limiti che c'imponiamo; e questo è, che ciò che Iddio comanda, ha in sé l'attributo della maggiore e della più assoluta bontà.

Io penso che sia presunzione il voler discutere sulla bontà di un precetto divino.

Noi non dobbiamo prestare orecchio ad una cosa, perché soltanto riconosciuta buona, ma perché ci è stata comandata da Dio.

Volete voi dare una dimostrazione chiara e lampante d'ossequio e di venerazione?

Primo punto, essa sia prestata alla maestà della potenza divina e prima si consideri quindi l'autorità di colui dal quale parte il comando che l'utilità e il vantaggio di chi presta l'opera sua.

È un bene pentirsi o no? ma che cosa stai pensando e rimuginando?

È Iddio che lo comanda; ma poi non è che Egli l'ordini solamente, ma compie opera anche di consiglio e di persuasione: Egli ci invita, facendoci splendere la speranza di una ricompensa; quella della salvezza e quando afferma colla solennità di un giuramento: io sono Iddio vivente, Egli vuole che gli si presti fede.

Felici, noi; il Signore giura in nostro servigio; ma infelicissime creature saremo qualora non prestiamo fede ai giuramenti del Signore.

Quello che pertanto Iddio raccomanda con tanto fervore di passione e che anche consacra colla solennità di un giuramento, secondo la nostra usanza, noi lo dobbiamo accogliere e mantenere con un rispetto profondo, perché noi, rimanendo saldi nella sicurezza della grazia divina, possiamo raggiungere il frutto di essa e continuare a godere dei vantaggi che da essa derivano.

Capitolo V - Dopo la Penitenza, si guardi a non ricadere nella colpa

Sostengo poi anche questo, che una volta che abbiamo conosciuto e seguito quel principio di penitenza che indicataci per grazia del Signore, ci riconduce appunto in seno a questa stessa grazia divina, non dobbiamo poi, da quel momento, renderla vana e rinnegarla in certo modo, tornando a commettere la colpa: tu non puoi ormai addurre a pretesto e cercare una difesa, nel fatto d'ignorare, quando, conosciuto che tu abbia nel tuo spirito, il Signore, ammessi i principi della sua religione, dopo esserti già rivolto a penitenza per le colpe da te commesse e riconosciute, di nuovo poi tu ti restituisca al peccato.

È proprio in quanto tu ti allontani maggiormente dall'ignoranza, che tu invece ti avvicini, ti leghi a quella che sia contumacia; tu hai cominciato ad avere quello che si chiama timor di Dio, ed hai provato un senso di pentimento per quanto operasti di colpevole; perché dunque hai poi preferito di spezzare, d'infrangere quello che tu pur facesti sotto l'impressione del timore e rinnegare quel principio di penitenza, se non perché appunto hai cessato di sentire quel timore da cui prima era occupato il tuo spirito?

Non v'è altra cosa che possa implicitamente distruggere, annientare questo senso di timor di Dio, se non proprio il ritorno alla colpa.

Ora, considera, che neppur coloro che sono ancora nell'ignoranza del Signore, possono sperare eccezione alcuna, che in certo modo li difenda e li salvaguardi dalla meritata pena, perché non è concesso ignorare Iddio che in tanto fulgore di luce si manifesta, che si comprende, che si sente dagli stessi beni divini che Egli ci prodiga; ebbene, quanto più pericoloso sarà il disconoscerlo, il disprezzarlo, quando Egli sia comparso già dinanzi all'intelletto nostro?

E non v'è dubbio che questo disprezzo lo dimostri colui che dopo avere dal Signore avuta chiara la cognizione di quanto sia bene o male, seguendo poi, nuovamente, quello che una volta, già, capì, come meritevole d'esser fuggito e da cui già una volta s'allontanò come da male, fece offesa alla sua facoltà intellettiva che è appunto dono di Dio: disprezza il donatore, chi non considera o trascura ciò che gli viene donato; nega il beneficio, chi non tributa onore a chi deve questo atto benefico.

E in che modo egli può piacere a colui del quale dimostra di non gradire ed apprezzare i doni?

E sarà così, che agli occhi del Signore egli apparirà non solo in contumacia; ma sarà colpa d'ingratitudine che peserà su di lui.

E del resto non è lieve il peccato verso il Signore, che commette colui il quale, pur avendo una volta, rinnegato, allontanato con atto di penitenza ogni tentazione diabolica, e, sotto questo titolo, avendo al Signore sottomesso ogni forza satanica, col ritorno poi, alla colpa risolleva e nobilita questa stessa potenza del male e fa quasi sé stesso sostenitore ed esaltatore di essa, così che di nuovo la forza della colpa e del peccato si risollevi contro il Signore, e, recuperata che abbia la preda, esulti fiera e baldanzosa.

E non è forse vero che in tal modo si viene a preporre Satana a Dio? ( è pericoloso anche solo il pronunziare simili parole, ma pur bisogna dir tutto questo per altrui edificazione ): sembra che sia come successo una comparazione fra le due potenze, da parte di chi abbia conosciuta l'una e l'altra e che, a ragion veduta, sia stata proclamata, riconosciuta migliore quella, naturalmente, sotto la giurisdizione della quale si preferisce nuovamente di essere.

Colui che aveva in certo modo deciso, e risoluto di rispondere a quanto Iddio vuole e suggerisce, col pentirsi delle colpe commesse, in un secondo momento, trovandosi in uno stato di rammarico per aver fatto azione di penitenza del male compiuto, seguirà i suggerimenti del demonio e sarà quindi oggetto di sdegno tanto più, da parte del Signore, quanto più invece sarà gradito ed accetto all'avversano di Dio.

Alcuni dicono che per Iddio è sufficiente che s'onori col cuore, coll'animo nostro, anche se poi i fatti non siano rispondenti a tali pensieri: così pensano, di peccare, sì, potendo mantenere per altro integro il principio di fede e di timor di Dio: ciò è perfettamente lo stesso che se uno pretendesse di mantenere un principio di castità, violando e corrompendo la santità e l'integrità del vincolo matrimoniale, oppure affermare un principio di pietà filiale, eppoi preparare il veleno ai propri genitori; anche costoro dunque potranno bensì essere perdonati; ma questo non toglierà che intanto siano cacciati fra le fiamme infernali, dal momento che essi commettono colpa, pure intendendo di mantenere integro il principio del timor di Dio! …

La prima prova della loro colpevole stravaganza è questa: temono costoro Iddio, e seguono la vita del peccato: io penso dunque, che, se non avessero questo senso di timore, non dovrebbero cadere in colpe; e quindi sarebbe da concludere che colui che voglia non fare offesa a Dio, non dovrà avere verso di Lui sentimento di venerazione e di timore; dal momento che è proprio questo senso di rispetto e di onore, che, pare, autorizzi all'offesa.

Ma tali idee e sottigliezze di simili disquisizioni sorgono solo dal seme della gente falsa e cattiva che hanno relazione stretta colle potenze del male.

La penitenza di costoro è atto di cui è bene non fidarsi affatto.

Capitolo VI - Chi sono quelli tenuti a far Penitenza: anche i catecumeni devono seguire questo principio

Tutto quello che la nostra povera parola s'è sforzata di suggerire e di fermare sulla necessità di fare penitenza una volta, e di mantenere poi questo elemento di fede, in un modo sicuro ed inviolabile per sempre, si rivolge a quanti si sono dedicati e seguono le orme del Signore; in quanto tutti guardano alla propria salvezza nel rendersi meritevoli di Lui; ma sopratutto riguarda i catecumeni, i quali specialmente cominciano ora a fecondare i loro orecchi colla parola di Dio e che si potrebbero rassomigliare a tanti cucciolini: sono ancora ai primi giorni di vita e i loro occhi ancora non riescono a percepire la vera luce, fanno passi dubbiosi ed incerti, essi dicono bensì di rinunziare al passato e che s'iniziano per la strada della penitenza; ma trascurano di riportare la cosa ad una decisione: il fatto stesso che essi intendono di por fine al desiderio, richiama essi a desiderare qualcosa delle cose di un tempo: la stessa cosa avviene nei frutti che, quando anche cominciano ad inacidirsi, in parte a marcire per essere arrivati a soverchia maturazione, tuttavia in qualche piccola parte mantengono qualcosa della loro bellezza e della loro bontà.

 È la soverchia fiducia nella potenza del battesimo che spiega questo difetto di lentezza, di tergiversazione nei riguardi della penitenza, dal momento che essi si reputano sicuri della remissione delle loro colpe; costoro vengono in certo modo a sottrarre al perdono di Dio quel periodo di tempo che essi frappongono, prima di scendere a penitenza, e si procurano in tal modo quasi una presunta libertà di peccare, piuttosto che stabilire a sé un principio di tenersi sempre lontani dalla colpa.

Ed è davvero cosa sciocca non seguire la dottrina della penitenza e tenere così in sospeso il vero perdono delle nostre colpe.

Agire così è lo stesso che non intendere di pagare il prezzo di una data mercé e allungare nello stesso tempo la mano per prenderla, perché è proprio a prezzo della penitenza che il Signore ha posto il principio del perdono e l'impunità appunto si può raggiungere, ma solo a patto che noi ci pentiamo.

Quelli che vendono, osservano prima il denaro per il quale hanno contrattato e stabilito, ché, in qualche modo, non sia alterato, né guasto, né falso; ebbene, nello stesso modo reputiamo che Iddio guardi, anzi tutto, alla sincerità della penitenza nostra e che in seguito a tale esame egli ci vorrà concedere l'immenso premio che consiste appunto nella vita eterna.

Ma indugiamo, si supponga, a seguire il principio della penitenza sincera e vera: sarà forse chiaro ed evidente io mi chiedo, che quando riceviamo l'assoluzione delle nostre colpe, noi ci siamo davvero pentiti ed emendati di quelle?1

No affatto; ma invece, dimostreremo il nostro intimo pentimento, quando la pena sta presente al nostro sguardo e il perdono è ancora sospeso; quando ancora non ci troviamo nel caso d'esser degni della liberazione dalla colpa, così che possiamo meritare poi il perdono; quando insomma Iddio può far sentire ancora il peso della sua minaccia, non solamente abbagliarci colla luce del perdono.

Quale servo mai, una volta che sia giunto alla condizione d'uomo libero, si rimprovera i suoi furti e le sue fughe? qual'è il soldato che, ottenuto il congedo, penserà più alle ferite ricevute e vorrà preoccuparsi di esse?

Chi pecca deve piangere sé stesso, prima che giunga il momento del perdono, ed infatti abbiamo che il periodo della penitenza ammette che vi possa essere ancora eventualità di pericolo e di timore.

Ma io, del resto, non nego che il divino beneficio del perdono, della remissione quindi di ogni colpa, sussista integralmente anche per quelli che riescono a giungere solo sul punto di ricevere il sacramento del battesimo,2 ma perché si possa arrivare fino a questo punto, bisogna non risparmiare fatiche e sofferenze.

Chi sarà colui che vorrà aspergere di uno spruzzo d'acqua, anche se non consacrata, te, uomo che non dai garanzia alcuna sulla sincerità della Penitenza tua?

Carpirlo il battesimo, furtivamente ed ingannevolmente, ed indurre in errore chi a tal sacramento è preposto, con tue affermazioni false, può essere anche facile; ma Dio tiene bene gli occhi aperti su quello che è il suo tesoro, né lascia che ci possano insidiosamente giungere gli indegni.

Che dice infine il Signore?3 niente vi è di occulto che non risplenderà in piena luce; per quante tenebre tu possa addensare sulle tue azioni, Iddio è luce.

Alcuni poi sono di questo pensiero che Iddio sia costretto da necessità a dare anche agli indegni quel che ha promesso e trasformano quella che è sua liberalità e generosità, in costrizione: se dunque egli, spinto da necessità concedesse a noi il simbolo della morte,4 ciò verrebbe a significare che Iddio opera contro la sua volontà: ma chi è che permetterebbe che permanesse in sé stesso quello che uno è costretto a dare suo malgrado? e infatti non si vede forse, si potrebbe dire, che questo dono divino, per molti si viene a perdere? non sono molti che decadono da questo stato di purificazione? ma ciò riguarda coloro che vi si sono avvicinati di soppiatto, insidiosamente e che essendosi fatto scudo prima del principio della Penitenza, hanno preteso di costruire sulla rena una casa, che non poteva non essere destinata alla rovina.

Che nessuno dunque abbia una certa presunzione o stia nell'errore perché ancora è annoverato nello stuolo dei novizi, come se, per questo, fosse loro lecito il vivere in colpa: abbi del Signore, appena l'avrai conosciuto, timore e venerazione; quando Egli ti si sarà mostrato nel suo fulgore, prestagli la tua adorazione, il tuo rispetto profondo.

Ed invero che t'importerebbe allora di conoscere Iddio, se tu dovessi insistere negli stessi errori e nelle stesse colpe delle quali eri macchiato allorché ancora non avevi la nozione di Dio? o che forse c'è un Cristo per chi ha avuto già battesimo, e un altro per i Catecumeni? è diversa la speranza loro, forse? differente la ricompensa che attendono, o il timore del giudizio? non è uguale l'obbligo che incombe loro di far penitenza?

Il lavacro battesimale è il sigillo della fede, ma questa fede prende il suo punto di partenza e si basa e si raccomanda alla sincerità della penitenza: non è questa la ragione per la quale noi facciamo la santa abluzione battesimale, l'uscire cioè da una condizione e da uno stato di colpa; noi abbiamo già posto fine a un tale stato, da quando ci siamo sentiti moralmente purificati: il battesimo primo del catecumeno è un senso di religioso ossequio e di timorosa venerazione: da quel momento finché avrai in te stesso sentito il Signore, la tua fede sarà salda e pura, e il tuo proprio spirito nella sua integrità e rettitudine, avrà una volta per tutte abbracciata la penitenza.

Del resto, qualora noi ci allontanassimo dal peccato, solo dopo avere avuto il sacramento battesimale, noi ci rivestiremmo di un abito di incolpabilità sotto la forza della necessità, non per nostro libero volere; chi però, si può dire che possegga l'attributo della bontà in maggior grado? colui al quale non è permesso esser cattivo o chi invece sente il dispiacere d'esser tale? chi sta lontano dal peccato, perché così gli è ingiunto o chi prova gioia e soddisfazione di star lungi da quanto può rappresentar colpa?

È lo stesso che non tener lontane le mani dal commetter furto, almeno che la solidità delle sbarre non ce l'impedisca; è lo stesso che non tener lontani gli occhi dalle concupiscenze più volgari del piacere, almeno che non ne siamo impediti da chi difende e protegge i corpi desiderati; qualora si riconosca che ognuno possa continuare a commettere atti colpevoli, per quanto si sia dedicato a Dio, se proprio non è legato e costretto ad astenersene per la forza del sacramento battesimale.

Se poi ci fosse qualcuno che potesse pensarla così, non so se una volta che abbia ricevuto il battesimo, sia maggiore il suo rammarico per essere stato allontanato dal peccato o la gioia perché ne sia stato liberato.

I catecumeni possono desiderare il battesimo, non bisogna però che lo pretendano: chi lo desidera, lo tiene nel debito onore; chi lo pretende, cade in colpa di superbia; nell'uno appare un senso di rispetto e di verecondia; nell'altro si rende manifesta una certa pretensione superba; l'uno dimostra attività e buon volere; l'altro, negligenza ed abbandono; il primo desidera di rendersene meritevole; l'altro l'attende e se lo ripromette, come qualcosa che gli sia dovuta; l'uno lo accoglie, l'altro, se ne impadronisce quasi colla violenza.

Chi è che tu stimi più meritevole del battesimo, se non chi presenta una linea di maggior correttezza e purezza?  e chi riveste tale abito, se non il più timorato e che ha seguito un principio di penitenza vera e profonda?

Questi ebbe infatti timore d'incappare nella colpa, e perdere così il merito di ricevere il battesimo; ma colui invece il quale lo presume come un diritto e se ne vive sicuro e in stolta superbia, non può provare questo senso di religioso timor di Dio e quindi non adempie al santo obbligo della penitenza, perché non ha il senso di quel timore che è appunto lo strumento della penitenza stessa.

La presunzione è in certo modo figlia della sfrontatezza: essa solleva vanamente ed inorgoglisce chi ha la sfacciataggine di chiedere e non fa alcun conto di chi dà; ma talvolta può darsi che cada in inganni e in delusioni: essa fa sì che uno pretenda alcunché, prima che ciò sia a lui veramente dovuto; e da questo fatto colui che deve accordare qualcosa, è naturale che concepisca una specie di giusto risentimento.

Capitolo VII - Sarebbe bene, non incorrendo in colpe, non aver bisogno della seconda penitenza, dopo aver ricevuto il lavacro battesimale

Possano così, o nostro Signor Gesù Cristo, fino a questo punto, i tuoi seguaci fedeli, avere la sorte d'imparare e ascoltare quanto si può dire e sostenere della disciplina della penitenza ed abbiano chiara l'idea di quanto sia necessario tenersi lontano dal peccato; ma al di là di questo grado sarebbe preferibile quasi che non avessero cognizione esatta della Penitenza e non vadano affatto su di essa riponendo il loro pensiero.

Rincresce e provo proprio un senso di disagio nel dover far ricordo ora della penitenza in un secondo momento, in quanto cioè essa può rappresentare la speranza ultima di un peccatore: io temo che noi tornando a trattare di questo mezzo d'aiuto che rimane e che è appunto la penitenza, non si debba sembrare di lasciare in certo modo una via aperta al peccato.

Iddio guardi che non vi sia alcuno il quale interpreti le mie parole come se la facoltà che egli ha di ricoverarsi sotto le ali della penitenza, gli donasse anche piena licenza di peccare; e la grandezza e la liberalità della grazia divina non dovesse favorire davvero il capriccio di ogni maggiore umana temerità.

Che non vi sia nessuno che pensi di poter essere peggiore … dal momento che Iddio è bontà tanto più grande di quel che dovrebbe e commetta colpa tante volte, pensando che altrettante Iddio possa scendere a lui col perdono.

Del resto, una fine evidentemente vi sarà a chi pur riesce di sfuggire alla giusta sanzione, qualora egli non ponga termine al suo stato di colpa: c'è riuscito una volta d'uscirne salvo? ebbene, fino a qual momento noi ci vorremo esporre al pericolo, nonostante che possiamo sperare di ottenere una seconda volta perdono?

I più, quando hanno fatto tanto di sfuggire ad un naufragio, dicono addio, d'allora, alla nave e al mare e il beneficio che il Signore ha voluto concedere col far loro ottenere salvezza, lo ricordano e l'onorano col tener sempre dinanzi al loro pensiero il pericolo da cui hanno potuto scampare.

Io lodo il loro timoroso ossequio, la loro moderazione e la prudenza per l'avvenire: essi non vogliono certamente, una seconda volta, rappresentare un carico per la divina misericordia: essi temono evidentemente di sembrar d'insistere soverchiamente sulla grazia una volta loro concessa; e con un senso di misura e di equità, che non può altro che riscuotere la nostra lode, evitano di mettere alla prova e di voler sperimentare quello di cui una volta già sentirono il dovuto timoroso rispetto.

Testimonianza chiara di questo senso di rispettoso timore è porre un freno alla temerità e all'imprudenza nostra e il timore dell'uomo è appunto segno dell'onore che viene tributato alla divinità.

Ma l'avversario nostro fierissimo, non lascia tregua mai al suo mal volere; ed anzi è proprio allora che maggiormente attacca ed infierisce quando appunto può aver sentore che l'uomo si trovi in uno stato di libertà e di sicurezza dal peccato; è quando si crede che la sua forza si estingua, che la fiamma del male si solleva più minacciosa e più fiera.

Ed è del resto pur necessario che si volga ed esprima il suo rammarico vivo, quando venga concessa all'uomo, col perdono, la remissione delle colpe; egli vede infatti annientati, annullati, nella creatura tanti atti che l'avrebbero potuta condurre alla morte dello spirito; tante ragioni di legittima condanna da parte sua, egli le vede distrutte: si addolora, perché quello che fu un peccatore, in Cristo, s'erigerà a giudice di lui, potenza del male, e dei suoi spiriti cattivi.

Ed è così appunto che costui non allontana mai gli occhi dalla preda; l'assale e la circonda, se in qualche modo, per qualche via, potesse penetrare attraverso gli occhi suoi colle inquietudini della carnale concupiscenza o avvolgere l'animo, colle insidie, negli adescamenti del mondo, o scalzare la fermezza di fede collo spavento che può incutere la potenza terrena, o rivolgere da detto cammino con tradizioni false e bugiarde; e non rinunzia la forza del male, né retrocede di fronte a scandali o a tentazioni di ogni genere.

Ma Iddio previde che tanti pericoli potessero verificarsi, che tante sottili vene di tossico s'infiltrassero e per quanto la via del perdono fosse chiusa ormai, serrata di fronte alla istituzione battesimale, pur tuttavia ancora permise che una strada di salvezza rimanesse aperta.

E nel vestibolo pose la seconda penitenza perché essa apra a quelli che picchieranno; ma per questa volta soltanto, che è già la seconda; non più ormai dopo, dal momento che l'ultimo appello è stato vano.

E non era del resto, sufficiente una volta sola?

Tu hai quello che certamente, ti sei meritato, dal momento che lasciasti perdere quello che avevi già ricevuto.

Se l'indulgente liberalità del Signore ti ha offerto il modo di riprendere quello che avevi perduto, dovrai esser grato di un beneficio che ti è stato ripetutamente concesso e che quindi puoi ritenere accresciuto.

È molto più invero donare una seconda volta, che il semplice dare; ed è, nello stesso modo, più grave e doloroso l'aver perduto, piuttosto che il non aver ricevuto affatto.

Ma in ogni modo non bisogna abbandonarsi e lasciarsi prendere dalla disperazione, quando taluno si trovi obbligato ad un secondo atto di penitenza.

Ti rincresca d'esser caduto nuovamente nel peccato, ma non hai ragione di rammarico nel pentirti una seconda volta: ti rincresca di trovarti di nuovo nella rischiosa incertezza sulla via della colpa, ma nessuna vergogna dovrai provare se ti riuscirà di uscirne una seconda volta integro e puro: se la malattia si rinnova, bisogna ripetere la medicina.

È la gratitudine tua che mostrerai al Signore, se non ricuserai quanto il Signore ti offre: tu l'hai offeso, ma puoi ancora riconciliarti con Lui: tu hai ancora chi di buon grado accetta il tuo atto di contrizione, e di fronte al quale tu possa liberamente aprire l'animo tuo.

Capitolo VIII - Come il Signore sia disposto ad accogliere il pentimento del peccatore

Se tu ne potessi dubitare, ritorna un po' a considerare quello che lo Spirito Santo disse alle sacre adunanze di fedeli:5 a quei di Efeso rimprovera d'avere abbandonato ogni senso di carità; rinfaccia a quei di Tiatira la violenza carnale e di mangiare gli avanzi delle vivande consacrate agli Idoli; per la chiesa di Sardi usa parole gravi perché non ha portato a termine opera alcuna, quei di Pergamo, sentono la sua voce di rimprovero, per i perversi insegnamenti che essi impartiscono; rampogna i Laodiceni, che fanno conto delle ricchezze; ma tuttavia la sua parola è di esortazione ad ognuno nello stesso tempo, perché tutti seguano linea di penitenza, e non manca però nella sua parola, gravita di minaccia.

E perché dunque minacciare chi non si volge a pentimento, se non ne conseguisse il perdono, per chi tale principio segue ed onora? potrebbe ancora essere cosa dubbia, magari, se non avesse dimostrato, già in altri casi, la larghezza e la liberalità della clemenza sua; ma non è il Signore che dice; chi cadrà, si solleverà di nuovo; chi si sarà allontanato da me, a me farà ritorno?

Evidentemente egli è quello che preferisce la misericordia, al sacrificio; i cieli e gli angeli, che in esso hanno dimora, si rallegrano della penitenza dell'uomo.

O tu, che sei peccatore, solleva l'animo tuo, guarda dove ci si rallegra e si gioisce per il tuo ritorno ad un principio di bontà.

Che ci vogliono dire, a che mirano le parabole del Vangelo?

Una donna perse una dramma,6 ed ella la ricerca e la trova ed invita le amiche perché con lei si rallegrino; ebbene non è questo l'esempio di un peccatore restituito alla grazia del Signore?

Una pecorella di un povero pastore si smarrisce;7 ebbene; l'intero gregge non era per il pastore, più caro, di quella sola pecorella: è proprio lei, unicamente che egli va cercando, quella egli vuole a preferenza di tutte le altre ed infine la ritrova e sulle sue spalle la riporta all'ovile: ella era molto stanca infatti, dal lungo errare.

E farò parola anche di quel padre buono e mansueto che richiama il figliuol suo, prodigo e con tanto amore l'accoglie, dopo che egli per la sua prodigalità era divenuto povero; ma si era pentito; ed egli sacrifica un vitello florido e grasso e manifesta la sua gioia coll'allegria di un convito.

Perché ciò, dunque? perché il padre aveva infatti ritrovato un figlio che aveva perduto; e l'aveva sentito in sé, come qualcosa di più caro, perché era stato appunto in certo modo riguadagnato.

E quel padre per noi chi rappresenta?

È Iddio stesso; nessuno ci è tanto padre come lui, nessuno ha tanta pietà di noi come lui.

Egli accoglierà dunque te, figlio suo, sebbene tu abbia gettato via a piene mani quanto avevi da lui ricevuto; per quanto tu sia tornato nudo, egli ti accoglierà, perché ritornasti; e proverà letizia maggiore del tuo ritorno, che di tutta la saggezza di un altro figlio suo: ma a condizione che il tuo pentimento sia sincero, che venga dall'intimo del tuo cuore, che tu voglia confrontare la tua fame, con l'abbondanza di cui godono e s'allietano i servi del padre tuo; a condizione che tu abbandoni il gregge immondo dei porci, che tu ritorni al padre tuo e gli dica, per quanto egli possa essere mosso a sdegno: ho sbagliato padre mio, né io sono ormai più meritevole d'esser chiamato figliuol tuo.

Tanto innalza e nobilita il riconoscimento delle proprie colpe, quanto invece le aggrava il volerle dissimulare: nella confessione dei peccati è implicito il riconoscimento e l'intima contrizione; se tu li dissimuli, ciò è segno di colpevole ostinazione.

Capitolo IX - Per i peccatori la confessione è necessaria: suo carattere e procedimento esteriore

Di questa seconda forma di penitenza ed ultima ormai, il procedimento è più difficile ed aspro e la prova che uno deve dare, è, senza dubbio, più laboriosa, così che, non solamente debba esser offerta da un intimo esame della coscienza nostra, quanto da qualche nostro atto aperto e manifesto.

Questo atto nostro viene chiamato, con parola Greca, di solito, esattamente, exomologesis, ed invero consiste nel confessare sinceramente al Signore la colpa da noi commessa; evidentemente, non perché Egli la ignori, ma perché colla confessione si procura una certa soddisfazione alla divina giustizia e dalla confessione nasce la penitenza e il Signore viene dalla penitenza mitigato nel suo giusto sdegno verso il peccatore.

La exomologesis, comprende in certo modo tutto un processo per cui l'uomo s'abbassa e s'umilia alla maestà del Signore; così da prefiggersi tutto un sistema di vita adatto a fermare su di lui la divina pietà e misericordia.

Riguardo anche al modo di vestire e di mangiare, raccomanda che il luogo del nostro riposo sia coperto di ruvido sacco e di cenere, vuole che si nasconda quasi la nostra persona sotto vesti squallide e rozze, vuole prostrare, abbassare l'animo nostro sotto gli assalti della tristezza e del dolore, correggere, in certo modo, il mal fatto, con atti di rigore e di costrizione dolorosa su noi stessi; richiede semplicità massima e assoluta nei cibi e nelle bevande, mirando quindi, evidentemente, non al nostro corpo, ma esclusivamente in servigio dello spirito nostro; vuole alimentare il valore delle preghiere che noi rivolgiamo al Signore, coll'asprezza dei digiuni, cibarsi di lagrime e giorno e notte, invocare il Signor nostro e con tutto l'ardore e la nostra fede, gettarsi ai piedi dei sacerdoti, inginocchiarsi davanti a quelli che sono cari a Dio, incaricare quasi, tutti i fratelli di fede, d'essere suoi intercessori per ottenere il suo perdono.

Tutto questo comprende e vuole, ciò che abbiamo chiamato exomologesis, per dar valore alla Penitenza, per onorare il Signore nel timore del pericolo; perché, in qualche maniera, agendo essa stessa direttamente sul peccatore, acquieti la collera divina e, con una sofferenza terrena, non dico che riesca a frustare e a sottrarsi ingannevolmente, ma soddisfaccia e allevi la legge della pena eterna.

La Penitenza solleva l'uomo proprio quando l'abbatte e lo prostra a terra; è proprio quando lo fa povero e squallido, che l'illumina di una luce più fulgida e lo rende terso e splendido; quando l'accusa, lo giustifica; quando lo condanna l'assolve; quante più sarai severo con te stesso, tanto più Iddio, credimi, ti perdonerà e scuserà le tue colpe.

Capitolo X - Nessuna ragione hanno i peccatori di provar vergogna, nel confessarsi

Ma tuttavia io ho ragione di credere che i più evitano o differiscono di giorno in giorno questo atto della penitenza, come qualcosa che li metta troppo allo scoperto, direi quasi, alla berlina, dimostrando così di essere preoccupati maggiormente di un certo loro senso di vergogna, che della propria salvezza: mi sembrano davvero costoro da paragonare a chi, avendo contratto malattia in parti segrete e vergognose della propria persona, cercano di non mettere il loro stato a cognizione del medico e così se ne muoiono, per un malinteso pudore.

Evidentemente può essere anche cosa difficilmente tollerabile per un nostro senso di vergogna il dovere, in certo modo, dare soddisfazione a chi s'è offeso; ed è proprio il Signore questi; e riaccostarsi poi alla via della salvezza, che non era stata da noi curata per l'avanti.

Ma dimmi dunque, tu, che mostri ora senso di pudore e di vergogna: quando si trattava di peccare, la tua fronte tenevi alta e superba, ed ora tu l'abbassi, invece, quando si tratta di acquietare il giusto sdegno del Signore?

Per me, non riconosco, al rossore, alla vergogna, nessun merito, quando, da esso è maggiore il danno che ricevo, di quello che sia il vantaggio; in quanto è proprio questo senso di falso pudore che suggerisce all'uomo di dire: non aver pensiero di me; vai meglio che io, pudore, mi perda, piuttosto che tu.

Certamente il rischio a cui uno si espone, nel riconoscimento delle proprie colpe, potrebbe esser grave, nel caso, che s'avesse da fare con chi, deridendoci, mosse, pronto ad insultarci; quando ci fosse chi attende la rovina dell'altro, per sollevarsi sull'altrui sciagura e chi è anelante di calpestare quello che resta abbattuto; ma ciò non può avvenire fra fratelli, fra compagni, fra i quali brilla un raggio di speranza comune e comuni sono il timore, la gioia, il dolore, la passione; ( e non hanno essi infatti una stessa anima, venuta loro dallo stesso Iddio, da un medesimo padre? ) perché tu credi diversi i tuoi da te? perché fuggi quelli che sono, come te, soggetti alle tue cadute e ai tuoi errori, come fossero spettatori, che dovessero esser pronti all'applauso, e non invece qualcosa di vicino a te, di comune, di intimo con te?

Il corpo non può rimanere impassibile e non risentire della condizione infelice di una parte; tutto se ne duole necessariamente, e richiede quindi, il rimedio.

Là, dove vi sono uno o due fedeli, là è la Chiesa, ma la Chiesa s'identifica col Signore.

Dunque, quando tu tendi le mani verso i ginocchi dei tuoi fratelli, è il Cristo che tu tocchi, è il Cristo che tu abbracci, che tu implori.

E quando, per parte loro, i tuoi fratelli versano lagrime su di te, è Cristo che soffre, è il Cristo che per te supplica il padre suo e s'ottiene facilmente quello che il figlio domanda.

Ma, diciamo francamente, se tu terrai nascosta la tua colpa, sarà forse grandissimo il vantaggio che ne potrai ritrarre e molto avrà da acquistare il tuo senso di rossore?

Invero, anche se qualche cosa riusciremo a tener nascosto, per quanto è possibile, all'uomo; per questo, lo potremo celare anche a Dio?

E si potrebbe mai stabilire in ogni modo un paragone fra il giudizio e la stima degli uomini, e quello che può rappresentare la consapevolezza che Iddio avrà dei nostri colpevoli?

Forse è meglio cadere nella condanna, ma rimanere occulto, che apertamente affrontare il riconoscimento esplicito della propria colpa?

Ma quale triste cosa, si potrà dire, giungere al riconoscimento aperto delle proprie colpe, alla confessione di esse? ebbene, è dal male che si arriva alla guarigione; d'altra parte, quando si tratta di sentir pentimento, non bisogna più parlare di pena, perché quell'atto che noi compiamo, da luce e salvezza al nostro spirito.

Cosa ben dolorosa è l'esser bruciato ed essere, in vario modo, tormentato sotto l'azione di polveri corroditrici; tuttavia quei rimedi che s'adoprano pure con tanta sofferenza del nostro misero corpo, trovano la giustificazione della loro azione dolorosa, nel vantaggio che essi portano dopo, nello svolgimento della malattia e fanno accettare di buon grado il male presente, colla visione di un bene di cui noi godremo in un momento avvenire.

Capitolo XI - Usa parole di fiera ironia contro quei peccatori che temono le mortificazioni del corpo

C'è un senso di vergogna nel riconoscersi colpevoli, ed è giusto, ma, a cui danno maggiore importanza i peccatori, se ci fosse anche il timore, lo sgomento per quanto debbono soffrire materialmente sulla propria persona, che cosa mai dovrei dire allora? intendo riferirmi al fatto che essi debbano fare a meno del conforto dei bagni, che siano nel vestire, rozzi e squallidi, che ben lungi da ogni gioia e da ogni condizione di letizia, vivano nella tristezza di un abito di sacco; che in un senso di negazione e di rinunzia si lascino cospargere di cenere; che infine vedano la loro faccia squallida per le sofferenze del digiuno: ma, intendiamoci converrebbe proprio, sarebbe forse opportuno che noi che siamo stati pur peccatori, ci rivolgessimo supplicanti a Dio, in abiti di lusso, in magnificenza di porpora?

Ebbene, per dividere elegantemente i tuoi capelli, ecco qui, proprio all'uopo, una specie di pettine particolare; perché i tuoi denti siano bianchi e pulitissimi, eccoti la polvere adatta; c'è poi qua un paio di forbici di ferro o di altro metallo, perché le unghie ti siano d'una perfezione inattaccabile; vantati pure di spandere sulle tue labbra o sulle tue gote qualche rossetto o qualche altra insidia di varia bellezza; vai in cerca di bagni lussuosi e deliziosi, per tuo godimento spendi pure in villeggiature eleganti e in parchi suntuosi sulla riva del mare; cerca pure d'avere il modo d'alimentare una quantità grande di volatili; bevi pure del vino vecchio e bene spogliato; e se qualcuno vi domanderà perché così, a vostro agio, con tanta magnificenza, voi vi mantenete; non avrete altro da rispondere che: ho commesso colpa, ho peccato contro il Signore, e corro il rischio d'esser condannato in eterno ed è per questo che io ora debbo pagare, e mi macero e mi tormento, perché Iddio possa riconciliarsi con me, dal momento che io gli ho recato offesa col commettere peccato!

Ma anche quelli che brigano e intrigano per arrivare ad occupare una carica pubblica, guardate un po' come si comportano: non c'è vergogna che essi provino, non c'è rincrescimento che essi abbiano, non ci sono sofferenze né fisiche né morali che essi riconoscano, e neppure offese di qualunque genere essi calcolano: pur di arrivare al soddisfacimento delle loro ambizioni, sono capaci di portare abiti della maggiore modestia: se ne fanno forse, essi, caso alcuno? anzi, se ne fanno un vanto, all'occorrenza: in qual casa poi essi sono capaci di recarsi per portare il loro saluto la sera e la mattina? basta che incontrino una persona d'alta condizione perché s'inchinino vilmente a costoro; non prendono parte a nessuna riunione, a nessun convito, a nessun ritrovo allegro e spensierato; si tengono insomma ben lontani da ogni libera manifestazione di gaudio: ma tutto ciò si fa in fondo per avere la soddisfazione di ottenere per un anno, che pur passa veloce, l'onore di una carica pubblica.

E noi dubitiamo forse di sopportare di fronte alla visione della vita eterna, quello che invece si trova legittimo di soffrire per una semplice richiesta ambiziosa?

E noi, dopo avere offeso il Signore, guarderemo a certe mortificazioni nel vitto e nell'abito nostro, mentre i gentili, senza aver recato affatto offesa, non fanno di ciò considerazione alcuna?

Questi sono coloro dei quali la scrittura così fa ricordo: guai a quelli che legano le colpe loro come con una lunga fune.8

Capitolo XII - Le pene che patiremo nell'Inferno e i castighi di Dio ci esortano alla penitenza

Se tu vai ripensando al fatto della exomologesis, rifletti anche però, nell'animo tuo, al fuoco eterno infernale che la penitenza saprà, in vantaggio tuo, estinguere; e quando, in un primo momento, tu abbia calcolato bene la grandezza della pena, non potrai avere dubbio alcuno ad abbracciare quanto ti si presenta possibile per il rimedio.

Quale pensiero ci deve agitare; quale idea dobbiamo farsi noi di quel fuoco eterno, nel suo terribile insieme, se certe piccole parti di fuoco, certi lembi di fiamma che da quello si sollevano, sono capaci di suscitare incendi tali che le città che si sono trovate vicine al loro divampare sono rimaste distrutte, e quelle che ancora sopravanzano, temono di subire la medesima fine?

Monti altissimi e superbi s'infrangono e precipitano paurosamente, perché in sé stessi hanno la forza di questo fuoco; e ciò che, d'altra parte, è indice per noi di un castigo che non avrà fine, è che, per quanto essi siano sconvolti ed infranti, nonostante che siano consumati e divorati dal loro interno fuoco, pure non finiscono mai.

Chi non riconoscerà che questi sconvolgimenti interni delle montagne non diano a noi l'esempio di quello che possa essere di noi in seguito ad un giudizio che sempre è a noi imminente e ci minaccia inesorabile?

Chi non vorrà riconoscere che tali ignee scintille, non rappresentino quasi i dardi, i colpi impetuosi che contro di noi lancerà un giorno la furia di un fuoco inestinguibile e tremendo?

Pertanto, dal momento che sai che dopo la prima difesa che Dio ti ha dato nel battesimo, contro l'eterna fiamma infernale, ti resta ancora nella Penitenza una seconda risorsa, perché tu vorresti abbandonare la salvezza dell'anima tua? perché tu ritardi a ricorrere a un rimedio che, sai, deve guarirti?

Anche gli animali, che pur non hanno parola, né sono forniti di ragione, sanno tuttavia conoscere i rimedi loro adatti, che, per la bontà divina, la natura ha loro apprestato.

Ecco qui un cervo ferito da un colpo di saetta: ebbene, per poter cacciare dalla ferita la punta mortale che se ne sta infitta terribilmente, esso sceglie l'erba del dittamo, per medicarsi; e la rondine, se ha disgraziatamente offeso nella vista i suoi piccoli, saprà restituire loro la facoltà visiva integralmente, curandoli coll'erba chelidonia.

E proprio il peccatore, pur sapendo che Iddio ha istituito la penitenza per riportarlo ad uno stato di grazia, vorrà trascurare quella che fu capace di restituire alla potenza sovrana il re di Babilonia sul trono?

Per lungo tempo egli aveva offerto al Signore i segni del suo pentimento più intimo: ed aveva compiuto opera di penitenza, in uno stato di squallida umiliazione da ben sette anni: le sue unghie cresciute spaventosamente, erano simili agli artigli di un uccello di rapina; i suoi capelli, in disordine, potevano apparire come la criniera arruffata di un leoncello: trista condizione la sua; ma era proprio quello di cui gli uomini avevano orrore e da cui torcevano lo sguardo, che invece era accetto al Signore. Il contrario è accaduto al re di Egitto che, perseguitando il popolo di Dio già colpito ed oppresso e da lungo tempo negato al suo Signore, corse alla violenza delle armi contro di esso; ma dopo tanti evidenti esempi di sventure e di calamità, perì nei vortici delle onde che avevano saputo dividersi per lasciar passare attraverso il loro seno, soltanto il popolo eletto da Dio; egli aveva evidentemente trascurato di seguir penitenza e d'avvicinarsi a confessione che di essa è il necessario strumento.

Ma perché parlare di di questi due mezzi di salvezza dell'uomo, e curare magari maggiormente una questione diciamo formale, di stile, piuttosto che sentir ciò come un dovere della coscienza mia? poiché appunto anche io sono un peccatore, gravato d'ogni colpa e d'ogni debolezza dell'umana natura e che quindi non sono nato che a far penitenza: è perciò che non posso tacere affatto su di essa, dal momento che Adamo stesso, il primo autore della razza umana e dell'offesa contro il Signore, una volta riportato per il riconoscimento e la confessione delle proprie colpe nel suo Paradiso, non mancò implicitamente di dire la sua parola sulla penitenza.


1 Intendi: si deve non attendere il battesimo quasi lavacro di ogni nostra colpa, ma seguir prima penitenza di quanto possiamo aver prima commesso, perché il fatto di ricevere la santa abluzione battesimale, non indica che noi ci siamo emendati, ma che speriamo da quella la remissione di ogni nostro peccato, nella infinita misericordia di Dio
2 Intendi: può esservi chi venga a mancare prima di ricevere il battesimo: ebbene costui avrà ugualmente possibilità di remissione e di perdono da parte di Dio, ma è pur necessario che chi si venga a trovare in tale condizione, si sia reso anteriormente degno di questo immenso dono, di tanta misericordia divina
3 Lc 8,17: Conciossiacché nulla sia nascosto che non abbia a farsi manifesto, né segreto che
non abbia a sapersi e a venire in palese
4 Chiamò simbolo della morte il battesimo, perché S. Paolo dice, che nel battezzarsi si muore e siamo sepolti con Cristo e con lui risuscitiamo a nuova vita
5 Ap 2,4: All'Angelo della chiesa di Efeso scrivi… Ma io ho contro a te questo, che tu hai lasciata la tua primiera carità …

Ap 2,18: ( alla chiesa di Tiatira ) ma ho contro a te alcune poche cose: che tu lasci che la donna Iezabel, la quale si dice esser profetessa, insegni e seduca i miei servitori, per fornicare e mangiar dei sacrifici degli idoli … 

Ap 3,2: ( alla chiesa di Sardi ) Sii vigilante e rafferma il rimanente che sta per morire: conciossiaché io non abbia trovate le opere tue compiute nel cospetto dell'Iddio mio …

Ap,14: ( alla chiesa di Pergamo ) Ma io ho alcune poche cose contro a te, cioè: che tu hai quivi di quelli che tengono la dottrina di Balaam, il quale insegnò a Balac di porre intoppo davanti ai figliuoli d'Israele, accioché mangiassero delle cose sacrificate agli idoli e fornicassero …

Ap,17-18: Perciocché tu dici: io sono ricco e sono arricchito e non ho bisogno di nulla e non sai che sei quel calamitoso e miserabile e povero e cieco e nudo; io ti consiglio di comperar da me dell'oro affinato col fuoco, acciocché tu arricchisca: e dei vestimenti bianchi a ciò che tu sii vestito e non apparisca la vergogna della tua nudità, e d'ungere con un collirio gli occhi tuoi, acciocché tu vegga.
6 Lc 15,8: Ovvero, qual'è la donna che avendo dieci dramme, se ne perde una, non accende la lampada e non spazzi la casa e non cerchi studiosamente, finché l'abbia trovata?
7 Mt 18,12-14: Che vi par egli? se un uomo ha cento pecore ed una di esse si smarrisse, non lascerà egli le novantanove e non andrà su per i monti, cercando la smarrita? e se pure avviene che egli la trovi, io vi dico in verità che egli più si rallegra di quella, che delle novantanove, che non si erano smarrite; così la volontà del Padre vostro che è nei cieli, è che neppur uno di questi piccoli perisca
8 Is 5,18: Guai a coloro che tirano l'iniquità con funi di vanità e il peccato come con corde di carro