Spirit/Isecolari/NS01/NS01.txt Germana Sommaruga - Consacrazione secolare valori comuni e valori specifici Premessa Una sera, confrontando la giornata trascorsa con le esigenze della vita secolare consacrata, mi sono resa conto improvvisamente di quanto essa richiede di specifico. Come se non ci avessi mai pensato prima! Poi, alcuni mesi fa, mi sono chiesta: perché non condividere con altri queste mie riflessioni? Subito ho deciso per il sì. Ma mi sono sorte diverse incertezze, a cominciare dal titolo: " Vocazione secolare e ascesi "? No, mi sarei sentita in difficoltà nello scrivere. " Vocazione secolare e virtù "? Anche il termine " virtù " mi ha lasciata perplessa: si tratta di una forma di vita, quella secolare, che non mette in moto solamente virtù ma anche molteplici altri valori, atteggiamenti psicologici … Conclusi: Consacrazione secolare, valori comuni e valori specifici. Infatti molti di questi valori non possono dirsi " specifici " della consacrazione secolare di laici inseriti fra laici, impegnati o meno. Nell'accingermi a scrivere mi sono resa conto della possibilità di cadere nel banale, di non trovare un ordine logico, di omettere chissà quanti valori importanti. D'altra parte non avrei voluto davvero entrare nel difficile. Volevo evitare disquisizioni dotte, per raggiungere qualsiasi membro di Istituto secolare. Per questo ho voluto far riferimento ad alcuni documenti della Chiesa, soprattutto per essere certa della ortodossia delle cose che avrei scritte, pur nella loro incompiutezza di cui mi scuso. Mi conforta pensare che la creatività, su cui ho insistito, può giocare anche per chi leggerà queste pagine. Germana Sommaruga Avere dinanzi agli occhi la chiamata alla grande " missione " dell'uomo La grande " missione " dell'uomo ci è presentata dalla Genesi, là dove Dio si rivolge alla sua prima creatura umana, anzi alla prima coppia, e comanda di crescere e moltiplicarsi, di riempire la terra e soggiogarla, di dominare sui pesci del mare e sui volatili del cielo, sugli animali e sulle fiere, su ogni essere che striscia sulla terra. ( Gen 1,28 ) L'umanità è così chiamata a una " missione ": a continuare l'opera della creazione, a farsi con-creatore con Dio nel costruire la città terrena, nel cogliere tutte le forze e le potenzialità del creato, quale signore del cosmo: l'uomo a servizio dell'uomo per la sua crescita, per la crescita dell'umanità in ogni tempo e luogo. È la " missione " del laico a cui sono affidate tutte le realtà del mondo da orientare a Dio. Il Concilio Vaticano il ce lo ricorda e sottolinea, per esempio in Gaudium et spes e in Lumen gentium. " … l'attività individuale e collettiva, ossia quell'ingente sforzo col quale gli uomini nel corso dei secoli cercano di migliorare le proprie condizioni di vita ( … ), corrisponde al disegno di Dio. L'uomo, infatti, creato a immagine di Dio, ha ricevuto il comando di sottomettere a sé la terra con tutto quanto essa contiene per governare il mondo nella giustizia e nella santità, e così pure di riportare a Dio se stesso e l'universo intero, riconoscendo in lui il Creatore di tutte le cose, in modo che, nella subordinazione di tutte le realtà all'uomo, sia glorificato il nome di Dio su tutta la terra. Ciò vale anche per le realtà quotidiane. Gli uomini e le donne che ( … ) esercitano le proprie attività, così da portare anche conveniente servizio alla società, possono a buon diritto ritenere che col loro lavoro prolungano l'opera del Creatore, si rendono utili ai propri fratelli e danno un contributo personale alla realizzazione del piano provvidenziale di Dio ". " L'indole secolare è propria e peculiare dei laici ( … ). Per loro vocazione è proprio dei laici cercare il regno di Dio trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio. Vivono nel secolo, cioè implicati in tutti e singoli i doveri e affari del mondo ( … ) vi sono da Dio chiamati a contribuire, quasi dall'interno a modo di fermento, alla santificazione del mondo mediante l'esercizio del proprio ufficio e sotto la guida dello spirito evangelico… ". Non riporto altri pur interessanti brani ed affermazioni del Concilio. Ma vorrei sottolineare, in Lumen gentium, che si tratta di vocazione a trattare le cose temporali e a ordinarle secondo Dio. Vocazione dei laici: di tutti gli uomini. Dei battezzati, in forza del loro battesimo. Ma in modo particolarissimo di coloro che, nell'Istituto secolare, non sono per questo meno laici, come non sono più uomini o più cristiani, ma devono essere più impegnati nel realizzare questa " missione " nel mondo e per il mondo. Poiché, come ci ricorda il Codice di Diritto Canonico: " i membri degli Istituti secolari esprimono e realizzano la propria consacrazione nell'attività apostolica, e come un fermento si sforzano di permeare ogni realtà di spirito evangelico per consolidare e far crescere il corpo di Cristo. I membri laici, nel mondo e dal mondo, partecipano della funzione evangelizzatrice della Chiesa, sia mediante la testimonianza di vita cristiana e di fedeltà alla propria consacrazione, sia attraverso l'aiuto che danno perché le realtà temporali siano ordinate secondo Dio e il mondo sia vivificato dalla forza del Vangelo. Essi offrono inoltre la propria collaborazione per il servizio della comunità ecclesiale, secondo lo stile di vita secolare loro proprio ". Dobbiamo però avere dinanzi agli occhi anche ciò che la Chiesa, nella persona dei Pontefici, ha voluto dire proprio ai laici consacrati. Ricordiamo per brevità poche espressioni davvero significative di Paolo VI, che sottolineano la loro " missione ": " ( gli Istituti secolari ) devono oggi essere testimoni specializzati, esemplari, della disposizione e della missione della Chiesa nel mondo. Per l'aggiornamento della Chiesa oggi ( … ) sono richieste personalità e comunità responsabilmente consapevoli di incarnare e di trasmettere lo spirito voluto dal Concilio. A voi è affidata questa esaltante missione: essere modello di instancabile impulso alla nuova relazione che la Chiesa cerca di incarnare davanti al mondo e al servizio del mondo ( … ). La vostra secolarità vi spinge ad accentuare specialmente - a differenza dei religiosi - la relazione col mondo ( … ): essere presenti nel mondo; sapersi responsabili per servirlo, per configurarlo secondo Dio in un ordine più giusto e umano, per santificarlo dal di dentro ". E ancora, le parole di Giovanni Paolo II, nel suo primo discorso ai responsabili maggiori degli Istituti secolari: " È vocazione ( dei laici ) e loro missione specifica manifestare il Vangelo nella loro vita e inserirlo così come lievito nella realtà del mondo ove essi vivono e lavorano ( … ). Se le grandi forze che reggono il mondo sono dirette da persone che sono veri discepoli di Cristo e che, nello stesso tempo, per le loro conoscenze ed i loro talenti, sono competenti nel loro campo specifico, allora il mondo sarà certamente cambiato dal di dentro per la potenza redentrice di Cristo ". Non possiamo dunque dimenticare mai la " missione " specifica che Dio, tramite la Chiesa, ha affidato ai laici e in particolare, o a maggior ragione, ai laici consacrati nel mondo a servizio del mondo, per la sua crescita secondo Dio. Dobbiamo vederla quale realmente è, questa chiamata, perché è chiamata stupenda: " vocazione amorosa e mandato di Dio ", ha detto Giuseppe Lazzati. Chiamata che reclama conoscenza, rispetto, riconoscimento dell'autonomia delle realtà del mondo, rinuncia a qualunque capricciosa manipolazione. Chiamata stupenda: a costruire la città terrena nell'attesa della città celeste. Chiamata ad aprirsi a tutto e a tutti. A rendersi capaci di accettare il mondo nella sua realtà, così come è, come sono le cose e gli uomini: ciascuno coi suoi limiti e i suoi valori, i suoi talenti da valorizzare sempre più e la sua pochezza da comprendere, compatire, rispettare. Chiamata ad animare tutto ciò che, nel mondo e negli uomini, è suscettibile di animazione. Ad orientare verso l'alto tutto ciò che è umano. Tutto, escluso il peccato ( o compreso il peccato, visto, come Dio lo vede nella sua infinita misericordia di Padre, quale frutto della fragilità e della debolezza dell'uomo - dell'uomoche Dio capisce, compatisce, rispetta come figlio prodigo che il Figlio salvatore ha redento? cosa ne sappiamo, noi, del peccato e della grande pietà di Dio?! ). Chiamata a una " missione ". Poiché questo mondo, creato da Dio per amore come " cosa buona " in tutte le sue realtà, è l'ambiente in cui l'uomo vive, di cui è responsabile, in cui è chiamato ad essere sale, luce, fermento. Una chiamata che è un dono di Dio: un dono di gioia e di speranza, poiché siamo invitati a gioire e ringraziare Dio di tutto ciò che abbiamo e siamo, e di tutto ciò che anche gli altri hanno e sono. Invitati ad amare ogni uomo d'un amore soprannaturale e insieme umano, come fu l'amore di Cristo per noi: ad amare Dio nell'uomo e l'uomo in Dio e per Dio ed anche per se stesso, perché è " uomo " e la sua creazione è stata agli occhi di Dio una cosa " molto buona ". Una chiamata a cui rispondere momento per momento, molto umilmente, e da avere sotto gli occhi in ogni istante. " Io non voglio onori. Non aspiro a essere un capo. Io desidero solo farli partecipi delle mie scoperte, mostrar loro i magnifici orizzonti che ora si sono aperti per noi tutti ", pensa - nella magnifica favola di Richard Bach - il gabbiano Jonathan Livingston. L'attende la gogna da parte dello stormo, persuaso che l'unica cosa non imperscrutabile è che i gabbiani sono al mondo per mangiare e campare il più a lungo possibile. Alla chiamata può rispondere, anche per i laici consacrati di oggi, la gogna. L'importante è non perdere mai di vista la " missione ", non aver paura delle difficoltà, " imparare, scoprire cose nuove, essere liberi! ". E restare umilmente a servizio del mondo, dei fratelli, per la comune crescita: perché è questa la " missione " dei laici consacrati. Una vocazione specifica e una missione specifica, all'interno della vocazione e della missione dei laici, in genere. Ma non ci siamo ancora posti la domanda di fondo: questa vocazione, questa " missione " reclamano valori specifici o i soli valori ( che non sono pochi! ) del laicato in genere? Laici, certo. Ma consacrati. E la consacrazione non è poca cosa, coinvolge l'intera persona. E la consacrazione secolare richiede un coinvolgimento in tutte le realtà del mondo; è un mettersi allo sbaraglio per vocazione e per missione. Quali, dunque, ammesso che ci siano, i valori specifici della vita quotidiana d'un secolare consacrato? E mi chiedo: sapremo trovare una risposta? Missione che la Chiesa affida in modo specifico ai laici consacrati Ho detto che è una vocazione e una missione specifica, all'interno della comune vocazione e missione laicale. E nuovamente mi chiedo: è veramente la Chiesa che affida questa missione ai laici consacrati? È vera missione ecclesiale? La risposta ritengo che sia affermativa, se esamino quanto è stato detto e scritto proprio per gli Istituti secolari dal magistero della Chiesa in questi ultimi quasi quarant'anni, e su cui si sono fermati i Pontefici nei più recenti quindici anni; e, non ultimo, ciò che è scritto nei " lineamenta ", in preparazione all'apposito prossimo Sinodo dei Vescovi sulla vocazione e missione dei laici a venti anni dal Concilio. Dovremmo dire che ogni laico ha una missione ecclesiale per la salvezza del mondo; che ha il compito di manifestare Cristo al mondo, che ogni sua scelta deve essere ispirata dal Vangelo e per ciò stesso è ecclesiale. Ogni laico. Il laico non è un volontario che può e non può a seconda del momento - anche se riteniamo che il vero volontariato non è soggetto al capriccio o alla velleità, ma è una cosa seria -. Il laico battezzato è un chiamato: il battesimo ha impresso in lui il sigillo di Cristo, e il suo agire da battezzato ha il suo fondamento nella vita ecclesiale ed è un riflesso della vita della Chiesa. Quindi qualunque parola, atto, gesto, qualunque scelta, qualsiasi impegno del laico non può non avere ripercussioni sulla vita dell'intera Chiesa, sulla sua crescita, sulla sua santificazione, sulla sua fedeltà alla missione che Cristo le ha affidata. Ogni cristiano è un evangelizzatore, nel mondo e per il mondo. E ogni azione evangelizzatrice non può non avere un carattere eminentemente ecclesiale: nella storia quotidiana, nell'oggi, in ogni realtà grande o piccola o piccolissima. Perché, allora, possiamo chiederci, nei " lineamenta " offerti recentemente all'esame del clero e soprattutto dei laici, perché, ci chiediamo, c'è una domanda, l'ultima ( che sottolineo ), così formulata: " Quali elementi sono da sottolinearsi come essenziali e significativi nella spiritualità propria dei laici? Quali stimoli possono derivare dalla spiritualità degli Istituti secolari? ". Gli Istituti secolari possono sostanzialmente riconoscersi in ciò che, nell'intero testo, viene detto del laicato impegnato. Eppure i lineamenta parlano di " stimoli " che dalla spiritualità degli Istituti secolari possono derivare alla spiritualità dei laici nei suoi elementi " essenziali e significativi ". Dunque i lineamenta, l'intero documento, riconoscono ai secolari consacrati un compito di stimolo, che viene loro proprio in forza di quel legame che li unisce alla Chiesa pur nella dispersione dei loro compiti a servizio del mondo e dall'interno del mondo. La loro scelta di secolarità consacrata è stata una scelta ecclesiale che continuamente si rinnova nel quotidiano rinnovarsi della loro consacrazione e della loro disponibilità al servizio dell'uomo e della storia. Il secolare consacrato viene così ad avere una missione ( possiamo chiamarla specifica? ) di esprimere Cristo, di proclamarlo, di comunicarlo, di manifestarlo: e niente gli è precluso: non la parola, non l'attività apostolica a servizio immediato della comunità ecclesiale. Ma soprattutto ha quella " missione " di cui abbiamo già parlato e il cui soggetto è l'uomo, sono le creature: il mondo da cambiare dal di dentro. E l'uomo, le creature, si servono soprattutto mediante ciò che si è da cui scaturisce ciò che si fa: una vita nuova, una vita nella carità, nella Chiesa, dalla Chiesa, come partecipazione intima alla vocazione ecclesiale. Di questa partecipazione intima alla comunione ecclesiale parla a lungo Paolo VI nel primo discorso da lui rivolto ai laici consacrati. Tutto l'ultimo capoverso tratta appunto di loro e della Chiesa: può essere illuminante trascrivere grande parte di questo capoverso: " … la Chiesa … diventa il tema di una continua abituale meditazione, che possiamo chiamare il "sensus Ecclesiae", in voi presente come un'atmosfera di respiro interiore. Voi certamente avete già provato l'ebbrezza di questo respiro, la sua inesauribile ispirazione, nella quale i motivi della teologia e della spiritualità, dopo il Concilio specialmente, infondono il loro soffio tonificante. Uno di questi motivi sempre vi sia presente: voi appartenete alla Chiesa a titolo speciale, il vostro titolo di consacrati secolari; ebbene sappiate che la Chiesa ha fiducia in voi. La Chiesa vi segue, vi sostiene, vi considera suoi, quali figli di elezione, quali membra attive e consapevoli, fermamente aderenti per un verso, agilmente allenate all'apostolato per un altro, disposte alla silenziosa testimonianza, al servizio, e, se occorre, al sacrificio. Siete laici, che della professione cristiana fanno un'energia costruttrice, disposta a sostenere la missione e le strutture della Chiesa ( … ). Siete laici, che per diretta esperienza potete meglio conoscere i bisogni della Chiesa ( … ). Voi, Istituti secolari della Chiesa di oggi! ". Ho creduto opportuno sottolineare alcune affermazioni del Papa, che mi paiono segnalare nella consacrazione secolare alcuni valori ecclesiali specifici: ad esempio, il " titolo di consacrati secolari ", per cui appunto essi appartengono alla Chiesa a " titolo speciale ": il che non comporta gloria ma più seri oneri, impegni, dedizione di amore, servizio. In occasione dell'inizio di quel primo Convegno degli Istituti secolari del mondo intero, nella prolusione, l'alloera cardinale Prefetto della Sacra Congregazione per i Religiosi e gli Istituti secolari, il card. Antoniutti, così si pronunciò: " L'apparizione degli Istituti secolari è ( … ) un fenomeno che denota la forza e la vitalità della Chiesa, la quale si rinnova nella sua perpetua giovinezza e si irrobustisce con nuove forze ". Forze nuove, dunque, che devono irrobustire la Chiesa. Forze nuove che esprimono la perenne forza e vitalità della Chiesa. Forze di laici, sì, ma laici consacrati: una " piccola porzione " ( così ancora si esprime il cardinale Antoniutti ) che ha raccolto il messaggio di Cristo vergine, povero, obbediente; ma " piccola porzione " che costituisce il " fermento provvidenziale che conserva e moltiplica il dono di Dio ". Il cardinale Eduardo Pironio, a sua volta Prefetto della Sacra Congregazione cui fanno capo gli Istituti secolari, non ha esitato, alcuni anni dopo, ad affermare ai responsabili generali degli Istituti secolari: " È tutta la Chiesa che vi invia nel mondo per trasformarlo dal di dentro come fermento. Rappresentate per la Chiesa un modo nuovo di essere nel mondo "sacramento universale di salvezza": siete laici consacrati, incorporati pienamente nella storia degli uomini per mezzo della vostra professione e del vostro stile di vita uguale agli altri, radicalmente dedicati a Cristo attraverso i consigli evangelici, come testimoni del Regno ". Questa " radicalità ", auspicabile anche per ogni battezzato, è indubbia caratteristica della consacrazione secolare: e non esito a chiamarla valore specifico in questi uomini e donne che sono stati " segnati " dalla Chiesa in nome di Dio con una consacrazione speciale, " come appartenenti esclusivamente a Cristo e alla sua opera di salvezza ". Così si è espressa la SCRIS; e ha aggiunto che il laico consacrato ha consegnato totalmente a Cristo la propria esistenza libera: il laico che Dio chiama e " riserva a sé mediante il ministero della Chiesa ". Un valore! Valore specifico? Troviamo il termine " specifico " in un discorso di Paolo VI in cui interpella i responsabili generali degli Istituti secolari: " Qual è il vostro dono specifico, il vostro ruolo caratteristico, il "quid novum" da voi apportato alla Chiesa di oggi? ", spiegando loro, poi, come essere nel mondo, cioè impegnati nei valori secolari, è il ( loro ) modo di essere Chiesa e di renderla presente … " Un'ala avanzata della Chiesa nel mondo ": espressione della volontà della Chiesa di essere nel mondo per plasmarlo e santificarlo " quasi dall'interno ". " Siete una manifestazione particolarmente concreta ed efficace di quello che la Chiesa vuol fare per costruire il mondo descritto e auspicato dalla Gaudium et spes ". Paolo vi non esita ad affermare che gli Istituti secolari arricchiscono la Chiesa di una particolare esemplarità nella sua vita " secolare ", vivendola come consacrati, e di una particolare esemplarità nella sua vita " consacrata ", vivendola come " secolari " e, nel XXX anniversario della costituzione apostolica Provida Mater Ecclesia, dichiara che gli Istituti secolari in soli trent'anni sono già una presenza " significativa " nella Chiesa. Significativo non è sinonimo di specifico; ma è termine che ha di certo una non piccola importanza e valore … Prima di passare a qualche nuova considerazione nel tentativo di cogliere valori specifici della consacrazione secolare, vorrei presentare alcuni altri concetti di Paolo VI, che mi paiono particolarmente importanti, anche se non li trascrivo letteralmente: l'invito, per esempio, rivolto nel 1972 ai laici consacrati ad avere sempre e soprattutto a cuore la comunione ecclesiale, in quanto articolazioni vitali di questa comunione, proprio perché essi sono Chiesa: sono di Cristo e per Cristo nella sua Chiesa, operatori autentici dell'unica missione salvifica della Chiesa. Quello che il cardinale Pironio chiama " significato ecclesiale della vita e della missione evangelizzatrice " dei secolari consacrati potremmo ritenerlo un valore comune a tutti i laici in forza del battesimo, o un valore specifico dei secolari consacrati in forza della loro consacrazione nella Chiesa e per opera della Chiesa? E se interpellassimo la Bibbia? A. La Bibbia invita all'ascolto Vorremmo cercare nella Sacra Scrittura " come " interpretare l'esistenza di laici consacrati con una " missione " specifica nel mondo e per il mondo. Ma, mi chiedo, è possibile che la Bibbia ci dia a questo proposito una risposta esauriente? Vedo nel Deuteronomio un invito rivolto a ogni uomo ( e perché non al consacrato, sia esso o no laico? ): " Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo. Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutte le tue forze ". ( Dt 6,4-5 ) È l'ascolto di Dio. È l'invito all'amore per Dio. Potremmo dire che, così come l'invito di Dio è presentato nel Deuteronomio, non ci illumina circa la " missione " del laico consacrato nel mondo, dal di dentro del mondo, per il mondo. Ma se, in quest'invito del Signore, sentissimo la chiamata che egli rivolge al laico consacrato ad amare lui, il Signore, e in lui e per lui amare il mondo, il creato, le creature, ogni uomo, tutte le realtà terrene? La chiamata a restare in ascolto della sua voce attraverso alla voce di tali realtà e di ogni creatura? Di questa città terrena da costruire per amore del Signore, come suo regno? Se in quest'invito di allora a cercare lui, il Signore, sentissimo l'invito di oggi, inseriti come siamo nella storia di oggi, nelle realtà di oggi, nei problemi umani di oggi? E, oggi, lo stesso Signore da cercare, da ascoltare, da amare … ? Ascoltare il Signore: tendere l'orecchio, dunque, alla sua voce quando parla attraverso alle cose. Agli uomini. Ma in modo particolare attraverso al Figlio, alla Parola vivente, che appunto ci si rivolge nella Sacra Scrittura, e che ci parla anche nella vita quotidiana, lui che resta con gli uomini fino alla consumazione dei tempi: " Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo ". ( Mt 28,20 ) Cristo con i suoi: lui, la Parola che " opera " in chi crede ( 1 Ts 2,13 ). Se cerchiamo in un dizionario biblico il termine " mondo ", troviamo alcune risposte circa la sua origine, il suo significato ( segno della bontà di Dio, della sua potenza e divinità; o anche mezzo di castigo per il peccatore, stravolto dalle molteplici calamità; ma, in un modo o nell'altro, associato - il mondo - alla storia della salvezza ). Questo, nell'Antico Testamento. Ma se interroghiamo il Nuovo Testamento, accanto all'ambiguità del mondo, troviamo anche il rapporto di Gesù con esso: e per il laico consacrato nel mondo, dal di dentro del mondo, per il mondo, è, allora, fonte di conforto e di coraggio. Cristo ha vinto il mondo! Cristo l'ha rinnovato: morendo ha realizzato ciò per cui si è incarnato, ha strappato dal mondo il peccato, ( Gv 1,2.9 ) l'ha lavato da ogni sozzura. Dio ha posto ogni cosa sotto i piedi del Figlio, ( Ef 1,22ss ) ha riconciliato nel Figlio tutti gli esseri rifacendo l'unità nell'universo diviso. ( Col 1,20 ) Così ha chiamato l'uomo a diventare l'uomo nuovo in un mondo nuovo. ( Ap 21, 1-7 ) Ed ecco anche il laico consacrato, uomo come tutti gli altri, laico come ogni altro laico, eccolo chiamato ad essere testimone di Cristo dinanzi al mondo: eccolo inviato al mondo ( Gv 17,18 ) per portargli il messaggio del Cristo. ( 1 Gv 4,17 ) Ecco la sua " missione ": svelare agli uomini della città terrena il vero volto di Dio, mediante la testimonianza della Parola, ma soprattutto la testimonianza di una presenza pienamente cristiana. Sì, ma … ma il consacrato secolare si trova, nel suo cammino, nelle stesse difficoltà di Israele nel cammino suo. Oggi, fiducia. Poi, sgomento. Diffidenza. Ancora speranza. Sempre, la mèta dinanzi a lui. La terra promessa? O il mondo dei fratelli, quello per cui si è dato e immolato Cristo? E gli stessi stati d'animo attraverso i quali il Cristo, laico consacrato interamente a servizio del Padre e dei fratelli nel mondo, è voluto passare nel suo cammino tra le realtà della sua storia? D'altra parte non è lui, il laico consacrato, che ha scelto questa strada e questa missione. Un giorno - forse dopo un combattimento intimo, ci si è trovato dentro. Ha scoperto il suo cammino giorno per giorno; giorno per giorno la sua " missione "; giorno per giorno - in sé - un amore profondo per il mondo e i fratelli, un bisogno intimo di " incarnazione " nella storia: come uno qualsiasi. A servizio. Una scoperta quotidiana, nel silenzio o forse comunitariamente. Una passione. E, nell'ascolto di Dio ( la preghiera! ), la luce si è fatta. Così, in cammino. B. L'ascolto chiede una risposta " Ascolta, Israele … ". E l'uomo si pone in ascolto. Ciascuno in modo diverso, interpellando anche se stesso, per poter dare alla Parola ascoltata una risposta: la propria, personalissima. Il laico consacrato, come ogni altro laico ma anche per la forza della propria consacrazione, si situa di fronte al Creatore in un atteggiamento interiore: atteggiamento dell'anima. Conosce il Creatore attraverso alla creatura: " Dalla grandezza e bellezza delle creature per analogia si conosce l'autore ". ( Sap 13,5 ) Il più spontaneo atteggiamento è la riconoscenza, l'ammirazione, la lode: - " I cieli narrano la gloria di Dio, e l'opera delle sue mani annunzia il firmamento … "; ( Sal 19,2 ) anche l'umiltà profonda: " Comprendo che puoi tutto e che nessuna cosa è impossibile per te. Chi è colui che senza scienza può oscurare il tuo consiglio? Ho esposto dunque senza discernimento cose troppo superiori a me, che non comprendo ". ( Gb 42,2-3 ) Così parla Giobbe, ponendosi al suo vero posto di creatura. E su questo fondamento egli pone se stesso e prende coscienza della sua realtà dinanzi a Dio creatore. E così, penso, si pone davanti al Creatore, tramite le creature, il laico consacrato. Anzi, è un tutt'altro e ben più alto atteggiamento perché egli guarda al creato attraverso la Parola increata, la Parola vivente, l'Uomo per eccellenza, il Cristo. Perché se la Scrittura, nel Nuovo Testamento, gli dice che ogni cosa perirà, egli sa anche che una creazione nuova è già stata inaugurata in Cristo. Troviamo nell'Apocalisse - per limitarmi a rapide citazioni -: " Vidi poi un grande trono bianco e Colui che sedeva su di esso. Dalla sua presenza erano scomparsi la terra e il cielo senza lasciar traccia di sé ". ( Ap 20,11 ) ma anche troviamo in Paolo il richiamo preciso alla " nuova creatura " ( Gal 6,15 ) " Se uno è in Cristo, è una creatura nuova; le cose vecchie sono passate, ecco ne sono nate di nuove ". ( 2 Cor 5,17 ) Il laico consacrato sente come sua questa " missione ": di aiutare ( con ciò che è, che fa, che ha ) la crescita di questa nuova creatura: un mondo orientale decisamente a Dio, gli uomini rinnovati in Cristo: ogni cosa ricondotta sotto un unico capo: " il disegno di ricapitolare in Cristo tutte le cose, quelle del cielo come quelle della terra " ( Ef 1,10 ) riconciliandole con Cristo, in Cristo. Ovviamente, come logica conseguenza, il laico consacrato sente e crede che tutte le cose sono uscite dalla mano divina e in vista di Dio, ( Col 1,13 ) che ogni uomo in lui invoca il Padre, ( Mt 6,9 ) che ogni creatura, proprio perché tale, è in relazione stretta con Colui che l'ha voluta dall'eternità, che l'ha creata nel tempo e che vuole condurla nel cammino vero; la sequela di Cristo. È a servizio di questa " missione " che il secolare consacrato procede nella sua vita. È alla luce di quest'uomo-Cristo-Gesù che con occhio nuovo guarda ogni creatura, creatura lui stesso. È appoggiato a queste profonde certezze, sorretto da questa speranza, con la propria piccola mano nella grande mano di Dio - di Colui che ci ama con profonda tenerezza perché è un Padre per Israele -, ( Ger 31,20 ) che il secolare consacrato accoglie da Dio la chiamata alla stupenda " missione " nel mondo. Poiché il mondo è in attesa, in Cristo, della liberazione ( Rm 8,19 ) che sarebbe impossibile se il Padre si dimenticasse di lui: " Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se queste donne si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai. Ecco, ti ho disegnato sul palmo delle mie mani … ". ( Is 49,15.16 ) Rivolte a Sion, all'intero creato, a ogni uomo, al secolare consacrato, queste parole, questa confortante promessa … E allora, sorretto da questa certezza, da questa speranza, il secolare consacrato si apre a Cristo e si pone in ascolto: niente è più " ascolto " della preghiera! E, nella preghiera, nell'ascolto, trova la forza per la risposta, per il " sì " alla " missione ", con tutti i suoi pesi, i suoi rischi, le sue stanchezze e le sue gioie, le sue ansie e i suoi valori. In comunione con Dio dall'interno della storia Pregare con Cristo dall'interno della storia dovrebbe essere modo di preghiera comune a tutti: consacrati religiosi o secolari, o anche laici non consacrati. Eppure, forse penso che potremmo insistere su questa forma di preghiera proprio a proposito dei secolari consacrati. Ognuno si eleva a Dio nelle realtà del mondo, nell'ambiente in cui vive e soffre, nella professione che è il suo pane, nei contatti con gli uomini: cercare sempre il modo di mettersi in sintonia con Dio, insieme ai fratelli, inseriti nelle comuni realtà temporali. Mettersi in sintonia con Dio nel mondo, infatti, non è altro che pregare con e per gli uomini, rendendo gloria a Dio in questo stupendo creato in cui il secolare consacrato rimane per aiutare il mondo, dall'interno di esso, a crescere secondo Dio, in Cristo, l'uomo. Quando, anche a costo di sacrificio, il membro di un Istituto secolare riserva parte del suo tempo all'orazione, alla meditazione e riflessione sui valori che l'elevano a Dio - e si eleva sempre insieme ai fratelli -; quando è partecipe dell'Eucaristia; quando la liturgia lo afferra; quando parla con Dio o con lui balbetta e più ancora quando l'ascolta in silenzio, ecco che pur in modi vari si pone in sintonia con Dio e i fratelli sono con lui nella preghiera. È nella storia con Cristo. È in comunione. È vero che religioso, laico, secolare consacrato hanno una stessa chiamata alla comunione con Dio, sia pure con tempi diversi, con diverse chiamate: ed è la stessa preghiera, elevazione a Dio. Ma è anche vero che il secolare consacrato, ben più del religioso e del laico, deve portare con sé il mondo dinanzi a Dio. Egli entra in chiesa per pregare, ma non può lasciarsi alle spalle le realtà che ha vissute insieme ai fratelli: le sue e loro angosce, ansie, problemi, gioie e pene, attese e aspirazioni, delusioni, speranze. Egli le porta con sé dinanzi all'altare, insieme alle fatiche della giornata trascorsa o che si prepara a trascorrere. La sua realtà è inscindibile dalla realtà del mondo, degli uomini fratelli, del creato. I problemi umani che egli è chiamato a condividere e a illuminare secondo Cristo, egli li vede con Dio: Dio " mescolato " ad ogni realtà umana. Ogni realtà umana posta dinanzi a Dio, vista con lui, vagliata con lui, condivisa con lui. Si porta dinanzi all'altare il compagno ateo che non ha mai messo piede in chiesa; l'amico battezzato che oggi è bestemmiatore; la collega che ha abortito; i due sposi che stanno per separarsi; l'altra coppia disperata perché ha un bimbo handicappato o un ragazzo drogato; la gioia della nascita d'un primo bambino; l'angoscia per un'infermità inguaribile o per un lutto da lungo tempo previsto o improvviso; un'ingiustizia di cui un compagno è stato vittima; la cattiveria che un amico ha subita; un problema sindacale non risolto che suscita discussioni; la notizia appresa dal giornale, dalla radio, dalla televisione; la fame nel mondo; le tensioni della liberazione; i problemi all'interno della Chiesa stessa … Tutto questo può essere vissuto in sintonia con Dio? Può essere deposto sull'altare come offerta e sacrificio? È una fatica, a volte, ed è sempre un lavoro spirituale mettersi in comunione con Dio e trovare in Dio la parola da dire o da tacere, l'atteggiamento più opportuno, il gesto della carità vera, il modo di perdonare, di portare la pace e la speranza. Questo è un modo specifico di pregare del laico consacrato che, nella sua preghiera, porta il mondo con sé per portare Dio al mondo. È la sua vocazione e missione che lo richiedono. È anche un modo tutto suo di " vivere " l'Eucaristia. Il cardinale Pironio, allora prefetto della Sacra Congregazione per i Religiosi e gli Istituti Secolari, in un suo discorso, pone sul labbro dei secolari consacrati - tra le altre - questa domanda: " Come devo pregare Signore, senza sfuggire il problema degli uomini ne abbandonare le esigenze della mia vita quotidiana, ma senza perdere neppure di vista che Tu sei l'unico Dio? ( … ). Come devo pregare nel mondo e a partire dal mondo? ". E a questa domanda, lo stesso cardinale suggerisce una risposta: " Per leggere le cose di Dio che avvengono nel mondo, per scoprire le inquietudini degli uomini e le esigenze di Dio, è necessario essere contemplatevi. Essere, in altri termini, uomini e donne che si soffermano, nel ritmo delle loro attività, per ascoltare Dio nel deserto, per incontrarsi da soli con lui; che sanno, soprattutto, instaurare nel proprio intimo una zona profonda e inalterabile di silenzio attivo. Persone che sperimentano Dio nel lavoro e nel riposo, nella croce e nella gioia, nella preghiera e nell'attività temporale. Non è facile la "preghiera secolare" ma è imprescindibile. È l'unico modo di vivere, per un membro di Istituto secolare: respirare ininterrottamente Dio mentre si segue il ritmo dell'attività professionale e il dolore speranzoso dell'umanità. È difficile, ma si deve avere il coraggio di interrompere tutto, a volte ( per poi tornare al mondo ), e cercare un momento e uno spazio di preghiera. E soprattutto bisogna chiederlo a Dio con la semplicità dei poveri ". Vorrei sottolineare alcune espressioni nel brano precedente: - leggere le cose di Dio che avvengono nel mondo … - essere contemplativi … ascoltare Dio nel deserto … - una zona inalterabile di silenzio attivo … - persone che sperimentano Dio … - respirare ininterrottamente Dio … Dovrà spesso far acrobazie, il secolare consacrato, per trovare qualche suo tempo di deserto. Non gli sarà sempre facile, tutt'altro! Circostanze dovute spesso agli impegni familiari, professionali, sociali gli impediranno a volte anche di partecipare ai raduni comunitari, sempre arricchenti, propri del suo Istituto. E allora il deserto, lui, dovrà trovarselo dentro il mondo: dovrà leggere le cose di Dio che avvengono nel mondo, dovrà parlare con Dio mentre parla con gli uomini; soprattutto dovrà ascoltare Dio mentre ascolta gli uomini; e in loro, nelle loro realtà, nel suo ambiente, dovrà essere in sintonia con lui: dovrà " respirare ininterrottamente Dio ". E questo non è facile. È una meta mai raggiunta e a cui si deve tendere continuamente, progressivamente. Ma non è questo, mi chiedo, un valore specifico della vocazione secolare? Un valore di tutti i giorni! È, a volte, un lusso desideratissimo, una stupenda eccezione che bisogna non lasciarsi sfuggire, anche se non deve intralciare mai il mettersi in sintonia con Dio in mezzo al trambusto, alle cose, alle contraddizioni: coinvolti ( come non lasciarsi coinvolgere quando è proprio questa la vocazione e la missione del laico consacrato?! ), ma senza lasciarsi travolgere. Poiché già si è lasciato travolgere da Cristo, sedurre da Dio. Ma la professione non può impedire ne sospendere il respiro " ininterrotto " di Dio, la sintonia con lui; anzi deve essere sorgente di vera contemplazione, fonte di vita in comunione con lui e coi fratelli. Si tratta di imparare, giorno per giorno, a pregare attraverso le cose, e a pregare attraverso l'uomo. Sono valori specifici della vocazione secolare vissuta intensamente, senza mai perdere di vista la propria missione nel mondo, presi da un unico obiettivo, sempre alla ricerca dell'Assoluto. Poiché Dio solo è l'essenziale. Ma, con Dio, il mondo uscito dalle sue mani e affidato alle mani dell'uomo: Dio, trovato nell'intreccio delle vicende umane. È così che il secolare consacrato diventa testimone di un Dio vicino agli uomini, in Cristo; che con gli uomini percorre le stesse strade del mondo; che affronta le difficoltà e i rischi della vita secolare; che condivide attese e sofferenze e gioia e lavoro, sconfitte e vittorie, ansie e delusioni: ma sempre immerso in Cristo, ossia respirando ininterrottamente Dio. Anche la realizzazione personale del laico consacrato, anche il suo lavoro spirituale e la sua tensione verso la santità sono per lui un modo di sperimentare Dio. Non perfezionismo ma amore vero e profondamente umile: sempre in ascolto di Dio nell'uomo e nelle realtà del mondo. Anche il sacramento della riconciliazione assume per il secolare consacrato significato e dimensioni nuove. Recentemente Giovanni Paolo II, parlando di " riconciliazione e penitenza ", pur rivolgendosi a tutti i fedeli, pare abbia espressioni specificamente dirette ai secolari consacrati, inseriti per vocazione nel mondo e con una particolare missione: " ( l'uomo ) perdonato si riconcilia con se stesso nel fondo più intimo del proprio essere, in cui ricupera la propria verità interiore; ( ma insieme ) si riconcilia con i fratelli da lui in qualche modo aggrediti e lesi; si riconcilia con la Chiesa; si riconcilia con tutto il creato ". Questa affermazione del Pontefice il laico consacrato la sente rivolta a sé: per lui il sacramento della riconciliazione è sempre, per prima cosa, un riconciliare sé con se stesso, ricuperando dinanzi al Padre la propria verità interiore; ma in pari tempo egli comprende che si riconcilia coi fratelli, perché di loro si sa responsabile, e sa che, per quanto sia stato attento a ognuno, non lo è mai stato abbastanza, e nel suo amore e nella sua disponibilità c'è sempre stato qualcosa di manchevole; e si riconcilia con la Chiesa che non ha mai servita in modo perfetto; e anche col creato, di cui forse non ha saputo cogliere tutto ciò ch'è vero, buono, giusto. Sa che un albero cresce tanto quanto crescono i suoi rami: ed egli si chiede se ha fatto davvero tutto perché l'albero - la Chiesa, gli uomini, lui stesso - crescessero. Per riconoscersi in lealtà bisognosi di conversione continua, occorre far ricorso alla preghiera, perché essa aiuta ad accettare pazientemente ed umilmente se stessi e le proprie condizioni di vita, il proprio lavoro ed ambiente, i propri limiti ed incapacità, la sproporzione tra le proprie aspirazioni e le realizzazioni. Sapersi accettare con pazienza anche quando lui pure, il secolare consacrato, soccombe ai rischi di una vita coinvolta nelle realtà umane e si lascia travolgere. Sapersi accogliere nelle proprie condizioni reali. Saper trovare equilibrio e stabilità per crescere senza vane illusioni. E imparare ad amare sé, figlio prodigo. Tutto questo è via per raggiungere un atteggiamento di profonda umiltà; ed è indispensabile per essere coerente con la propria vita di consacrazione secolare. E quante responsabilità anche verso la Chiesa! Amarla a parole è facile. Può anche essere dolce sentirsene figli. Condividerne le non frequenti vittorie può riempire di fierezza. Ma accettare la Chiesa come è, senza giudicarla? Condividerne umilmente e nella speranza le sconfitte? Farsi portavoce presso la gerarchia di tante realtà che, come laico, vede nel mondo, realtà che, solo attraverso a chi appunto le vive, possono giungere a chi può, quando lo può, provvedere. Non ogni laico sa sentire questo dovere, ma il secolare consacrato, sì. Anche se talvolta parrebbe comodo non pensarci, non approfondire, non sentirsi corresponsabile. Questa corresponsabilità può richiedere prudenza e insieme audacia, umiltà, disponibilità, spirito di servizio. E il secolare consacrato deve rendersi pronto a prendere, insieme alla croce propria, la croce della Chiesa e del mondo. Anche questo reclama una vita che respiri ininterrottamente Dio, in preghiera: una preghiera profondamente umana, che potremmo chiamare cosmica, ossia orientata verso gli uomini, inserita nella storia. Una preghiera specifica del secolare consacrato. Conoscere, ho detto, la Chiesa. Non accontentarsi di sapere molto o poco della parola di Dio, ma aprirsi anche agli orientamenti della Chiesa e al suo approfondimento della parola di Dio. L'aggiornamento costa sempre soprattutto quando il tempo di cui si può disporre è poco e va rubato ad altre cose interessanti. Ma conoscere, conoscere a fondo, conoscere sempre più a fondo è compito specifico del secolare consacrato. È difficile amare e servire chi non si conosce, anche se amare e servire l'uomo in nome d'una vocazione e missione specifica è già, spesso anche se non sempre, un mezzo per conoscere Dio. Perciò il consacrato " ( si mette ) con grande regolarità all'ascolto della Sacra Scrittura, studiata con amore e accolta con animo purificato e disponibile, per creare in essa, così come nell'insegnamento del magistero della Chiesa, un'interpretazione esatta della propria esperienza quotidiana vissuta nel mondo ". La vita dello spirito, dunque, anche se racchiusa nei mille limiti dovuti appunto al coinvolgimento nel mondo, sa trovare - in forza di quel valore che è la creatività - mille modi per evadere da tali limiti, così che la vita del consacrato secolare diventi reale comunione con Dio, nel mondo, con gli uomini; diventi abbandono in Dio, accolto in pienezza: accolto per sé e per gli altri, per i fratelli, per il mondo: accolto come Creatore, il cui nome " è grande su tutta la terra ", ( Sal 8,1 ) ma anche come Salvatore che instaura con gli uomini un dialogo " per invitarli ed ammetterli alla comunione con sé ". E in questo abbandono l'anima si lascia " sedurre " da Dio, si lascia " afferrare " da lui: " si concede a Dio con un atto supremo di volontà e di abbandono di sé ". Forse quest'abbandono attivo è l'espressione più vera della preghiera del secolare consacrato: sempre attento alla missione che Dio stesso, chiamandolo, gli ha affidata: nel mondo, nelle realtà temporali, nella storia degli uomini. Con la prima donna consacrata che i Vangeli chiamano Maria È la donna che, nel mondo, ha vissuto nella più grande intimità con la Trinità santissima: la donna pensata da Dio come Madre del Verbo incarnato, chiamata alla più alta santità come creatura. Nel mondo. Nascosta agli occhi di tutti. Una donna qualunque in Betlemme, in Nazareth, a Cana, ai piedi della croce, in Gerusalemme. La donna che ha amato più di ognuna Dio e il mondo: che si è abbandonata pienamente allo Spirito per dare al mondo l'Emanuele, perché ogni uomo fosse raggiunto e avvolto dalla salvezza, in Cristo, e, assunta dal Verbo la carne umana, il Salvatore rigenerasse gli uomini e ognuno fosse salvo. Eppure … una donna qualunque, a cui nessuno ha fatto caso, come probabilmente al laico consacrato nessuno farà caso: la donna che " è stata " prima ancora di " agire "; la donna che ha agito proprio perché " era ". A Betlemme, in una grotta. Ma non era probabilmente una cosa speciale, quella notte, che una donna che attendeva un figlio non lo mettesse alla luce nella confusione del caravanserraglio. Meglio in una grotta o capanna o stalla: un modo di essere come sarebbe stata ogni altra donna, per un piccolo ebreo nascituro qualsiasi. Il grande valore di non essere speciale neanche in questo. E ancora prima a Nazareth, quando le viene annunciato il Figlio. Tutto è semplice in lei. Va bene, posta la prima saggia obiezione a Gabriele, dice il suo " sì " senza complicazioni, ( Lc 1,26-38 ) e si trova Madre. E tace. Il silenzio di cui si circonda anche con Giuseppe non è un mistero: è discrezione, è riserbo, come si custodisce il " segreto del Re ". Per me è il mio segreto, il mio segreto è per me! Ma un segreto che si traduce in un inno di ringraziamento: " Signore, tu sei il mio Dio; voglio esaltarti e lodare il tuo nome, perché hai eseguito progetti meravigliosi … ", ( Is 25,1 ) meglio, con le parole della stessa Vergine nell'incontro con Elisabetta: " L'anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio Salvatore, perché ha guardato l'umiltà della sua serva. D'ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata. Grandi cose ha fatto in me l'Onnipotente e Santo è il suo nome: di generazione in generazione la sua misericordia si stende su quelli che lo temono. Ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato a mani vuote i ricchi. Ha soccorso Israele, suo servo, ricordandosi della sua misericordia, come aveva promesso ai nostri padri, ad Abramo e alla sua discendenza, per sempre ". ( Lc 1,46ss ) È il cantico di Colei che ha mantenuto nel proprio cuore un segreto, nell'umiltà e nella riconoscenza. E non vorrei interpretare abusivamente questo cantico magnifico, e meno ancora rischiare di profanarlo, affermando che il consacrato secolare, con Maria, vive in sé quello che non esito a chiamare valore: saper custodire il segreto di una chiamata particolare, vissuta in mezzo agli altri, in silenzio, nella letizia di una scelta da parte di Dio a servizio degli uomini, per offrire Cristo - e in Cristo la salvezza - al mondo. Un segreto che, in letizia, si comunica ai più vicini, ai fratelli e sorelle di ideale, a chi condivide la chiamata: e lo si confida e lo si vive insieme, umilmente, fedeli alla misericordia di Dio e al suo amore ( poiché insieme si respira Dio! ). Dono di carità anche questo, adombrato nella Visitazione: oblio di se stessi, attenzione delicata a chi può aver bisogno, disponibilità cordiale, tensione sempre nuova, nell'aiuto reciproco fraterno, verso Dio che ha guardato l'umiltà dei suoi servi e li ha scelti per una missione di amore; li ha scelti nel mondo per inviarli al mondo; li ha scelti nella loro umiltà, nel loro niente, per poter in loro compiere cose grandi che tornino a gloria sua. Valore particolare nella vita di un laico qualsiasi chiamato da Dio alla consacrazione nel mondo? Ma sempre occorre essere alla ricerca del Cristo: anche quando pare nascondersi - e capita, altroché, anche nella vita del laico consacrato - e, sempre, conservare ogni sua parola nel proprio cuore, perché l'ascolto sia continuo e appaia il disegno divino sul consacrato, sul mondo, nella storia. ( Lc 2,51 ) Era l'atteggiamento di Maria, attenta al Figlio che le cresceva accanto. O Maria, discreta ma operante con iniziativa e responsabilità a Cana. Non per farsi innanzi. È il Figlio che dovrà iniziare la sua missione. Maria " sente " che l'ora del Figlio è giunta. Non lo esponeva a vanvera. Vive il valore specifico della discrezione più delicata, ma anche dell'audacia quando dice ai servi di fare quello che Gesù dirà. ( Gv 2,5ss ) Discrezione, iniziativa, senso di responsabilità personale, audacia: valori indubbiamente propri dei laici, e in particolare dei laici consacrati: essere in ascolto di ciò che egli dirà, e agire. E anche mettere in moto altri, perché facciano ciò che Dio dirà loro di fare. Non esita, Maria, ad accompagnare i parenti dal Figlio, quando egli affermerà che sua madre è chiunque compie la volontà del Padre: Maria, mescolata agli altri, lei che ha sempre compiuto fino in fondo la volontà di Dio. ( Mt 12,46-50 ) La vediamo poi per l'ultima volta accanto al Figlio ( Gv 19,26-27 ) ai piedi della croce. Una presenza dolorosa, mentre la spada preannunciatale dal vecchio Simeone ( Lc 2,35 ) le trapassa l'anima. Presenza dolorosa, ho detto, condivisione d'un supremo martirio … E penso alle parole del Proemio di Gaudium et spes, che ci ricorda come siamo chiamati a condividere gioie e speranza, tristezze e angosce degli uomini di oggi, e di tutti coloro che soffrono. Non è compito specifico dei consacrati nel mondo. È compito di ogni vero discepolo di Cristo. Ma credo che i laici consacrati siano chiamati a realizzare questa presenza fraterna e questa condivisione per una loro chiamata specifica: solidarietà intima col genere umano e con la sua storia, è ancora Gaudium et spes che lo dice. E Maria, ormai madre e amatissima ospite di Giovanni, condivide la vita della prima comunità cristiana: " Tutti assidui e concordi nella preghiera, insieme con Maria, la madre di Gesù. ( At 1,14 ) In comunità o, diciamo forse meglio, in comunione. Insieme. Quale ricchezza per tutti, questa comunione in preghiera respirando Dio insieme. Già gli apostoli avevano fatto comunità con Gesù per tutto il tempo della sua vita di Maestro itinerante. Ora la piccola comunità si accrescerà, prima di disperdersi in diaspora. ( At 6ss ) Anche i consacrati secolari possono, di solito, concedersi il lusso di qualche giorno insieme: giorni, di norma, di studio e preghiera. Poi si disperdono: in diaspora per portare nel mondo la Parola - forse mediante la presenza e la testimonianza: in silenzio, chissà? Dipende da tante cose! È così ricca di imprevisti la loro vita … Anche questo mi pare un valore specifico dei consacrati nel mondo: questo bisogno di ritrovarsi insieme per pregare, per sentirsi più forti nella solitudine inevitabile nel mondo: per ricevere lo Spirito Santo, per sentire Gesù presente: " dove due o tre sono riuniti nel mio nome, là sono io, in mezzo a loro ", ci ricorda Gesù. ( Mt 18,19 ) Fare comunità? o piuttosto essere comunione con Maria, umilmente silenziosa, in mezzo a loro … E questa comunità-comunione nel mondo non sarà un valore specifico dei laici consacrati? Sotto la guida permanente dello Spirito Dall'inizio della nostra vita cristiana abbiamo sentito parlare di virtù. Esse ci sono state proposte, man mano che cresceva in noi il senso del battesimo. Le varie virtù: un perfezionamento della nostra vita, del nostro essere uomini e del nostro essere battezzati. La " virtù " è un'abitudine buona, spesso è stato detto, e richiede un lavoro spirituale continuo, il più delle volte non facile, che metta in moto la nostra volontà, la nostra tensione verso il bene, verso veri valori umani e cristiani nella consapevolezza che l'intera vita dell'uomo deve essere protesa verso il sommo Bene. E il secolare consacrato? Proteso verso Dio in modo dinamico, per la sua opzione fondamentale della sequela di Cristo, il secolare consacrato mette arditamente in moto la sua volontà in vista d'una crescita spirituale che porrà poi a disposizione degli uomini fratelli; convinto, però, che non lui è capace di crescita, ma che gli è indispensabile la guida permanente dello Spirito. Una tensione, la sua, verso Cristo, così da diventare l'" uomo nuovo ": non in vista d'un perfezionismo, già ho detto, ma per essere " perfetto come il Padre ", nel cammino stesso di Cristo, del Figlio, uomo in mezzo agli uomini, ed essere testimone in mezzo alle realtà terrene da orientare verso l'alto. Appunto il termine latino virtus significa tra l'altro " valore ", come pure " coraggio ", " energia " …, e reclama non poca fortezza d'animo, costanza, sacrificio, un'ascesi ardita che trae tutta la sua forza dalla grazia, dall'azione potente di Dio nella coscienza dell'uomo. E il secolare consacrato guarda alla propria coscienza, illuminato dallo Spirito, resa più delicata dall'azione continua della grazia, resa più dinamica dall'operosità di Dio, che l'ha chiamato alla consacrazione nel mondo e a una missione tra gli uomini. Nel profondo della sua coscienza, il suo vincolo personale con Cristo, il suo rapporto con lui, e, in lui, con gli uomini e tutte le realtà del mondo. Perché è per il mondo la sua vita! Per lui, secolare consacrato, esiste tutto un modo particolare, specifico, di vivere le varie virtù. Prendo, per esempio, le cosiddette virtù soprannaturali: la fede, la speranza, la carità: " valori " indispensabili per realizzare la comunione con Dio, il respiro ininterrotto di Dio e la sintonia con gli uomini, nel mondo. Nel parlare agli Istituti secolari, Giovanni Paolo II ha loro ricordato che i laici consacrati assumono l'impegno di " far intervenire i valori della fede, che devono unirsi e integrarsi armoniosamente nella ( propria ) vita, costituendone l'orientamento di fondo e la sua costante ispirazione. In questo modo ( i laici consacrati potranno ) contribuire a cambiare il mondo dal di dentro, divenendone il fermento vivificante ". E ancora: " La fede ( … ) dona dei lumi sul destino superiore a cui questa storia è aperta, grazie all'iniziativa salvatrice di Cristo. È dovere ( dei laici consacrati ) di cercare, alla luce della fede, le soluzioni adeguate ai problemi pratici che emergono poco per volta ". Sono problemi risolvibili a condizione di una creatività pur essa specifica non scevra da rischi a cui, in forza della sua missione, il consacrato secolare deve farsi incontro con coraggio. Fede, dunque, vissuta nella forma specifica di chi ha risposto a una chiamata così particolare come è quella del laico consacrato, in una forma di vita mai dissociata dalle realtà del mondo. È appunto una visione di fede che deve aiutare a scoprire, momento per momento, il piano di Dio; a scoprire Cristo che passa nella storia degli uomini. A scoprire la presenza dello Spirito in questa storia. Ed anche la speranza! La speranza cristiana ha due significati che il secolare consacrato sa riconoscere, perché di entrambe queste speranze e lui e gli uomini tutti hanno bisogno: - della speranza che guarda al cielo, alla vita eterna futura in cui sarà realizzata la salvezza dell'uomo in modo pieno, la salvezza di ognuno; - e la speranza, chiamiamola pure, umana: che aiuta a guardare alle realtà terrene, alla storia, agli avvenimenti di ogni giorno. La speranza può essere ricchezza comune e può essere un valore specifico che illumina la vita quotidiana del secolare consacrato, gli fa cogliere le intime aspirazioni degli uomini, lo rende attento alle realtà visibili, e in esse gli fa cercare Cristo, il solo a cui l'uomo può guardare e andare perché è lui che lo chiama nelle ore più ardue e difficili e dolorose: " Venite a me voi tutti che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò ". ( Mt 11,28 ) La speranza impedirà al laico consacrato di lasciarsi paralizzare dall'avvilimento, dalla depressione, dalla tristezza, dall'insicurezza; ma l'appoggerà al Risorto, e con lui lo impegnerà in modo attivo nella costruzione della città terrena. La speranza non si fermerà, così, alla vita personale, ma andrà oltre, aiuterà il consacrato a guardare con occhio sereno e fiducioso il tragico quotidiano e le mille insicurezze di coloro che hanno tanto bisogno di Qualcuno in cui sperare. Ne verrà come conseguenza una particolare nuova attenzione a Cristo, speranza dell'uomo: a lui che non solo addita la vita eterna futura ma sa far assaporare i valori anche delle realtà d'ogni giorno, la vita eterna presente già oggi: a Cristo che conduce all'ottimismo, alla fiducia negli uomini e nelle loro capacità, come pure alla fiducia nelle cose, nei valori della scienza e della tecnica, nel significato positivo di ogni professione e lavoro umano. Appunto l'uomo-Cristo-Gesù insegnerà al suo consacrato come ogni realtà terrena può e deve essere orientata al Padre: come l'uomo può e deve essere con-creatore col Padre; come il creato intero presenti ed offra immensi valori in cui sperare, su cui contare, da valorizzare sempre più. Il cristiano - ha detto il cardinale Poupard - ( e a maggior ragione il cristiano consacrato nel mondo ) deve essere un " testimone della speranza ": " In un mondo che si rinchiude in orizzonti puramente terreni e per ciò stesso impoverisce la vita della sua dimensione essenziale, il cristiano è provocato a un aumento di fede e di speranza, a vivere più autenticamente, nella sua profondità, il mistero del tempo presente già illuminato dalla chiarezza dell'eternità ". Anche la carità, direi anzi soprattutto la carità, viene vissuta dal secolare consacrato in modo specifico: la carità non solo fa sì che si lasci " sedurre " da Dio per appartenere pienamente a lui nell'amore, ma è " capacità caritativa " che lo Spirito Santo gli dona per renderlo vera " comunità ", con gli altri uomini, corpo di Cristo, Chiesa, assemblea di Dio, attento in particolare a chi soffre - qualunque ne sia la sofferenza. Mi sono presenti - per comprendere il valore specifico della carità vissuta nella secolarità - alcune espressioni dirette appositamente ai secolari consacrati: " La consacrazione vostra ( … ) vi abiliterà a quel meraviglioso paradosso della carità: dare, dare agli altri, dare al prossimo per avere in Cristo ". " La carità vi porterà a vivere con gioia le esigenze radicali della consacrazione, a incentrare la vostra vita in Gesù Cristo e ad abbracciare la sua croce, a inserirvi serenamente nel mondo - senza superficialità e senza paura -, e a servire generosamente i fratelli ". Non una volta che venga dimenticato il mondo, i fratelli nelle realtà terrene in cui il secolare consacrato è inserito! Potrei dire che non c'è virtù che non abbia, per lui, una sua specificità, anche perché ciò che caratterizza la sua vita è appunto il suo " essere per Dio e per i fratelli " nel mondo sempre armonizzando consacrazione e secolarità. Fede, speranza, carità: le virtù soprannaturali, infuse, quelle che elevano le potenze dell'uomo a un livello più alto, così che diventi capace di fare un bene che supererebbe i suoi deboli sforzi umani. E anche per il laico consacrato ecco che queste virtù della fede, speranza e carità sono un aiuto per realizzare la sua vocazione secolare, per coglierne i valori e porre le sue migliori energie a servizio di Dio dal quale gli è venuta e continua a venirgli la chiamata. Dovrei qui accennare alle virtù morali che regolano l'agire umano e, nel caso del secolare consacrato, l'aiutano a tendere al fine a cui è particolarmente e specificamente vocato. Abbiamo presenti la prudenza che lo aiuta a dare del mondo una valutazione critica secondo Dio e gli suggerisce come agire. E la giustizia che lo orienta agli altri e ai loro diritti, cercando il bene non solamente proprio ma di ognuno, la crescita di tutti, cancellando tante e terribili sperequazioni e diversità. Così pure la fortezza che lo aiuta ad essere fedele all'impegno preso nella sua consacrazione nel mondo, col mondo, per il mondo; e la temperanza - che lo vuole padrone dei moti incomposti di fronte ai " rischi ", inevitabili della sua vita secolare. Ma, proprio perché queste virtù cardinali o morali si associano a molteplici altre virtù e valori - come, ad esempio, ai consigli evangelici e, in modo particolarissimo alla missione nel mondo e per il mondo -, potrà essere opportuno che qui io mi limiti a questo solo cenno e riprenda queste virtù e valori man mano che gli argomenti lo suggeriranno. I consigli evangelici vissuti nel mondo presentano valori specifici? In occasione del Congresso del 21 febbraio 1985, il cardinale Paul Poupard ha espresso questi concetti che mi paiono riferibili ai secolari consacrati, ancora più che ai cristiani in genere. L'incarnazione del cristiano nel mondo - così il cardinale afferma - reclama una testimonianza: e la testimonianza più efficace è quella delle beatitudini, dei consigli evangelici, della non-violenza, pur nell'opposizione a un mondo violento ed egoista in cui il materialismo è oppressore, in cui domina l'ateismo. Ma proprio dove la verità è ignorata o posta in discussione, dove non si sa a cosa essa serva, dove però la massa degli uomini, quasi inconsciamente, tende a una fede ed è affamata di Dio, ecco che il secolare consacrato vuole essere risposta con la sua vita. Mi chiedo ancora una volta se una vita così incarnata, una vita divenuta risposta a un battesimo ma anche all'appello particolarissimo a una consacrazione, non possa essere considerata un valore specifico, quale " sì " consapevole e per sempre a una specifica vocazione. Specifico è certo il modo con cui ogni singolo consiglio va vissuto dal secolare consacrato: specifici sono i valori spirituali che si allacciano a ciascuno dei tre consigli che la Chiesa definisce " evangelici " in qualunque forma di consacrazione. La professione di questi consigli, per i membri degli Istituti secolari, non è qualcosa di attenuato, ma è professione di una consacrazione vera e completa nel secolo: anche l'attività del laico consacrato nel mondo attinge dalla sua vita consacrata un orientamento particolare verso Dio: il dono di sé a lui coinvolge e trascina anche l'attività apostolica. Il mondo è, così, sempre presente nella sua vita consacrata. I consigli evangelici, da lui vissuti in forza della propria consacrazione a Dio e alla Chiesa, diventano testimonianza e modello. Non possiamo non cogliere il valore specifico della presenza nel mondo in due stupendi capoversi che, a distanza di pochi mesi nel 1972, Paolo VI ha inserito in due discorsi agli Istituti secolari. Li riporto entrambi perché sia più agevole cogliere appunto la presenza del mondo e nel mondo. Nel primo discorso leggiamo queste espressioni: " ( … ) i consigli evangelici acquistano ( per i consacrati nel mondo ) un significato nuovo, di speciale attualità nel tempo presente: - la castità si converte in esercizio ed in esempio vivo di dominio di sé e di vita nello spirito, tesa alle realtà celesti in un mondo che si ripiega su se stesso e libera incontrollatamente i propri istinti; - la povertà diventa modello della relazione che si deve avere con i beni creati e con il loro retto uso, con un atteggiamento che è valido sia nei Paesi sviluppati, ove l'ansia di possedere minaccia seriamente i valori evangelici, sia nei Paesi meno dotati, ove la povertà ( dei consacrati secolari ) è segno di solidarietà e di sofferenza con i fratelli provati; - l'obbedienza diventa testimonianza dell'umile accettazione della mediazione della Chiesa e, più in generale, della sapienza di Dio che governa il mondo attraverso le cause seconde, e, in questo momento di crisi d'autorità, la obbedienza ( dei laici consacrati ) si converte in testimonianza di ciò che è l'ordine cristiano dell'universo ". E, nel discorso successivo: " ( … ) ( nella vita del laico consacrato ) - la castità dice al mondo che si può amare con il disinteresse e l'inesauribilità che attinge al cuore di Dio e ci si può dedicare gioiosamente a tutti senza legarsi a nessuno, avendo cura soprattutto dei più abbandonati; - la povertà dice al mondo che si può vivere tra i beni materiali e si può usare dei mezzi della civiltà e del progresso, senza farsi schiavi di nessuno di essi; - l'obbedienza dice al mondo che si può essere felici pur senza fermarsi in una comoda scelta personale ma restando pienamente disponibili alla volontà di Dio come appare dalla vita quotidiana, dai segni dei tempi e dalle esigenze di salvezza del mondo di oggi ". Non può sfuggirci, ripeto, nei due brani citati la presenza nel mondo e del mondo a proposito dei consigli evangelici vissuti in piena secolarità, con lo scopo non solo della propria consacrazione personale, ma anche dell'esempio da offrire agli uomini: quasi per coinvolgere il mondo, ogni credente, in questa forma specifica di realizzare alcuni valori a cui il battesimo ha impegnato ognuno. E ciò mediante l'esempio vivo, semplice, gioioso, di questi secolari consacrati che in nulla vogliono distinguersi dagli uomini fratelli: nel comune ambiente e professione e nelle comuni difficoltà. Tutto questo reclama molti altri valori: e potrà essere più chiaro se esamineremo ognuno di questi consigli. Castità nel celibato Soltanto un 10% di chi vive nel celibato lo vive per motivi spirituali. E, se non c'è un abito religioso o una forma di vita comune che esprima una scelta specifica di vita, il celibato vissuto nel mondo in castità è il più delle volte incompreso. È ritenuto una stranezza o, più sovente, la conseguenza di altri motivi reconditi che ostacolano il matrimonio. Pare un assurdo, ma molto spesso il secolare consacrato deve farsi " perdonare " se è restato celibe ( per celibe intendo anche nubile ); e più ancora se appare chiaro che il suo celibato è una scelta ingiustificata e a cui è difficile dare ( ma occorre darla? ) una giustificazione. Come si fa a comprendere che un uomo ( o una donna ) inserito nel mondo ha " scelto " la verginità? Essa, ha detto Pio XII, è da se stessa espressione di fede nel regno dei cieli e prova di amore del divin Redentore ": cosa non facile da scoprire in un uomo o in una donna che in nulla vogliono apparire diversi dagli altri: uomini e donne " qualunque " ricchi di sentimento e alieni da ogni sentimentalismo. Il secolare consacrato deve far comprendere che la sua non è solamente un'espressione di fede nel regno dei cieli ma anche un'espressione di spontanea disponibilità agli uomini nelle realtà terrene e un'apertura alle esigenze del creato. Non è e non deve apparire una fuga dal matrimonio. Anzi, ci deve essere nel secolare consacrato un rispetto profondo e una schietta stima del matrimonio, soprattutto del matrimonio sacramento, tanto più che oggi " matrimonio e verginità sono meno visti come vocazioni opposte ma complementari, e, al contatto con l'esperienza della famiglia, la rinuncia nel celibato ha occasione di rinnovarsi con ulteriore consapevolezza ". Questo valore specifico - la stima per il matrimonio in chi ha rinunciato ad esso senza rimpianto - deve apparire dall'atteggiamento del laico consacrato nelle varie circostanze: sia che rimanga inserito nella propria famiglia, sia che la vita lo conduca altrove. Dalla sua consacrazione scaturisce anche un profondo rispetto per la donna e per l'uomo, per l'altro sesso: perché Cristo, l'Uomo per eccellenza, l'Uomo unico vero, percorre con lui il cammino fra gli uomini nel mondo. Anche Maria gli appare la donna per eccellenza, non donna speciale, ma che ha realizzato - come secolare consacrata - il dono pieno e silenzioso nel mondo: una donna qualunque tra le donne qualunque del suo tempo e del suo paese, ma consacrata a Dio e ai fratelli: ora con lo Sposo e il Figlio, poi sola con il Figlio, poi sola del tutto mentre gli anni passano, eppure sempre in comunione con il Figlio, sempre in Sintonia con lui, sempre attenta a lui nella sua vita di Maestro itinerante. Anche se non possiamo chiamarla " valore specifico della secolarità consacrata ", è certamente un valore che va coltivato l'amicizia offerta generosamente a tutti: un dono che non sempre trova reciprocità, talvolta è unilaterale, ma sempre vuole creare un rapporto costruttivo, fraterno, profondamente umano, una comunione sincera. Un rapporto di cui, di solito, gli altri captano il valore e di cui sono grati: anche perché è un dono raro, nel mondo! Quest'amicizia può tradursi in testimonianza non artificiosa di valori spirituali, di un'umanità ricca di sensibilità in ascolto delle pene e delle gioie altrui, degli altrui problemi e necessità. C'è, nell'amicizia offerta dal secolare consacrato, tutto un valore umano e spirituale che crea un rapporto diretto, aiuta a capire, a com-patire, a fare scaturire un'empatia dal profondo, una capacità di condivisione, un'attenzione all'altro in ogni ora e in ogni situazione: quello che io chiamo " coinvolgimento ". Non si tratta di un valore assoluto: l'unico Assoluto è Dio! Ma è un valore senz'altro grande nel secolare consacrato ancor più che in ogni altro laico: reclama sincerità, lealtà, fiducia nell'uomo, capacità di cogliere tutto ciò che in lui - chiunque egli sia, comunque si chiami, qualunque sia la sua storia - è buono, è vero, è onesto, è proteso verso l'alto - anche se lui non se ne avvede e anche se fa sfoggio di superiorità e noncuranza. Il celibato consacrato nel mondo dimostrerà allora che si può amare con il disinteresse e l'inesauribilità che attingono al cuore di Dio, e che ci si può dedicare gioiosamente a tutti, senza legarsi a nessuno, avendo cura soprattutto dei più abbandonati. Così, l'abbiamo visto, si è pronunciato Paolo VI. Cogliamo alcuni dei termini usati dal Pontefice: - amare con disinteresse, con inesauribilità, - interesse e inesauribilità che attingono al cuore di Dio! - dedicarsi gioiosamente a tutti, - nella libertà da ogni forma di schiavitù, - attenti soprattutto ai più abbandonati. Non è anche questo un modo di " respirare esclusivamente e ininterrottamente Dio "?! Di avere sempre dinanzi agli occhi la missione verso i fratelli nel mondo? E non è forse l'apertura del cuore a chi è solo, a chi non ha voce, a chi è considerato nessuno, a chi è abbandonato? Il cuore del secolare consacrato è insieme tutto in Dio e tutto dei fratelli. Il mondo è il " suo " mondo. E non crederà, lui, di essere un benefattore: sarà anzi convinto che l'amicizia che offre è un dono che riceve, un fattore integrante del proprio equilibrio, della propria maturità, della propria affettività. Un valore da coltivare, ma anche un valore specifico, mi pare, perché scaturisce appunto dalla libertà interiore propria della castità consacrata nel celibato: non è amore esclusivo offerto a un singolo, è amore più vasto donato a tutti, senza dispersione di sentimenti, senza interessi egoistici: amicizia schietta, libera, forte, gioiosa: inesauribile! Indubbiamente anche il secolare consacrato può trovare un arricchimento personale in quest'amicizia che sgorga da Dio, Amore primo. E a Dio ne rende grazie, e l'accoglie come un dono. Anche di un altro dono egli, nella sua consacrazione in un Istituto secolare, rende grazie a Dio: dono che cerca di coltivare con animo aperto, dono ch'egli vuole arricchire di tutti i valori di cui è capace: cioè l'amicizia in seno al suo Istituto. È una comunità. Anzi, una comunione. Una comunione, anche se spesso la comunità è " in diaspora ". Non è la vita insieme che, automaticamente, crea amicizia - anche se può essere un aiuto nella vita allo sbaraglio nel mondo; ed è forse per questo che molti Istituti secolari tendono ad avere gruppi in vita comune, oppure offrono la vita comune a tutti … dimenticando - e qui chiedo scusa a chi si sentisse offeso di questa affermazione - che la vita di tutti i laici non consacrati è allo sbaraglio, e che la consacrazione in un Istituto secolare non rende un secolare consacrato " meno-laico " degli altri laici, quindi, non gli offre di essere " meno allo sbaraglio " degli altri laici! L'amicizia in una comunità " in diaspora " è un valore molto grande: e reclama l'oblio di se stesso, l'apertura all'altro, l'attenzione per andare verso ognuno, anche e soprattutto quando la partecipazione a un incontro, la condivisione e lo scambio in un raduno, fossero ostacolati da impegni familiari, sociali, professionali o dalle distanze: realtà d'ogni giorno che non dovrebbero mai intaccare la carità fraterna che, anzi, ciascuno si sforza di creare: carità ch'è amicizia sincera, comprensione, compatimento dei limiti altrui, accettazione di ognuno, sforzo di comune crescita nel carisma dell'Istituto. Un dono che si offre e che si riceve. Ma, come dicevo, spesso è un dono che, nel mondo, si offre senza nulla ricevere in ricambio. Cosa importa? Non fa parte anche questo della libertà di chi, per amore dei fratelli nel mondo, si è consacrato a Dio solo? Ma quale austerità reclama questa libertà, in un mondo in cui la libertà diventa permissività in tutti i campi! Mi richiama a quell'atteggiamento di preghiera che è " respiro ininterrotto di Dio ", è unione intima con lui, divenuto sempre più il centro di tutta la vita, Colui da cui tutto deriva, la fonte a cui attingere per poi riversarne sugli altri la freschezza. Libertà nel condividere la vita altrui, rapporti di fraternità, stato permanente di comunione con Dio, austerità nel cercare lui solo, attenzione a offrire agli altri il dono di Dio: ecco dei valori specifici o almeno valori da coltivare con ogni cura nella vita consacrata nel mondo; e la centralità di Cristo in tutta la vita, l'audacia nell'affrontare ogni rischio, la prudenza e il riserbo compatibili con questa audacia, tutto questo reclama dal secolare consacrato un'ascetica costante, la temperanza e la padronanza di sé e dei propri istinti - domati ma non annientati - … tutti valori inscindibili dalla castità consacrata in vista del Regno. E valori che non si conquistano se non nella costanza dello sforzo, nella perseveranza, nella coerenza indispensabile nell'ambiguità del nostro tempo, nella serena valorizzazione del proprio essere uomo o donna nella linea del Creatore. E tutto ciò reclama un proprio stile di vita senza compromessi, senza complicazioni: quell'ottimismo, nell'apertura gioiosa, nella semplicità … valori che, se non sono del tutto specifici, restano tuttavia inseparabili da questa forma di vita consacrata nel mondo. Mentre penso a tutta la luce che emana da questa consacrazione secolare, da questa secolarità consacrata nel celibato il cui centro è Cristo, la cui mèta sono i fratelli, penso anche a ciò che questa forma di vita può chiedere di sacrificio in date località del nostro mondo, per esempio nel continente africano o asiatico. Penso alla donna già promessa sposa dai genitori quando ancora era bambina. O alla battezzata in età adulta, membro di una famiglia ancora pagana. Alla giovane che deve andare sposa, perché è sul marito che la famiglia di lei conta per il domani; e che, se si rifiuta, è a sua volta rifiutata o a carico dei fratelli fino alla morte. Alla donna che, se non si sposa, ha dinanzi a sé la sola via religiosa, che la libererà dalla schiavitù della famiglia, e costituirà un onore, anche, talvolta, per una famiglia pagana. Una tale vocazione potrebbe apparire una garanzia economica, una bocca di meno da sfamare; da invidiare da parte di altre meno fortunate, costrette a sgobbare tutto il giorno senza sganciarsi dalla schiavitù da parte dei familiari … Mentre la religiosa ha una casa, una comunità, il cibo e il vestito, l'avvenire assicurato … Come riuscire ad imporsi, per rimanere laica tra i laici per una libera scelta incompresa, incomprensibile, ingiustificata? Occorre allora una particolare virtù di fortezza: il coraggio di affrontare qualunque rischio pur di non rifiutarsi alla chiamata di Dio. E discernimento e creatività per inventare modi nuovi, mai pensati, che non possono essere importati dall'Europa; forme nuove di vita secolare che non faccia ricorso, come spesso accade, alla vita comune. E allora come potremmo dire che la creatività non è un valore specifico che scaturisce dalla secolarità consacrata?! Povertà evangelica secolare Buone sono le cose, le realtà temporali uscite dalla mano creatrice di Dio. " E Dio vide che era cosa buona ". ( Gen 1,10,12.18.21.25 ) Tutto è buono, se usato nella linea di Dio: beni, talenti, capacità umane, cose - uscite dalla mano non-creatrice dell'uomo -, denaro: valori da orientare al Padre per mezzo di Gesù Cristo e da usare a vantaggio di tutti. Tutto è nostro ma noi siamo di Cristo e Cristo è di Dio, ci ricorda Paolo VI. ( 1 Cor 3,22-23 ) E il Concilio Vaticano II dice: " I fedeli ( … ) devono riconoscere la natura intima di tutta la creazione, il suo valore e la sua ordinazione alla lode di Dio … ( I laici ) portino efficacemente l'opera loro perché i beni, creati secondo l'ordine del Creatore e la luce del suo Verbo, siano fatti progredire dal lavoro umano, dalla tecnica e dalla civile cultura per l'utilità di tutti assolutamente gli uomini, e siano tra loro più convenientemente distribuiti, e nella loro misura portino il progetto universale alla libertà umana e cristiana " Compito specifico dei laici. Anche dei consacrati, dunque. Una povertà, la loro, che deve diventare modello della relazione che si deve avere con i beni creati e col loro retto uso: così si è espresso Paolo VI. Vivere nel mondo e testimoniare e dire al mondo. Non è forse questa la " missione " dei laici consacrati?! Esiste dunque una " relazione coi beni creati ": una relazione che reclama un " retto uso "; una relazione che deve diventare " modello " per gli altri laici. Ma potremmo, per questo, dire che la povertà evangelica secolare è valore specifico dei secolari consacrati? O piuttosto è da mettere in programma da parte di qualunque laico? E anche da parte dei religiosi? Lo stesso Codice di Diritto Canonico ( 1983 ) ne parla - come, del resto, parla degli altri consigli evangelici - nelle Norme Comuni a tutti 'gli Istituti di vita consacrata. Ma possiamo affermare che questo vincolo, come quello dell'obbedienza, deve assumere nel mondo forme specifiche di realizzazione dovute appunto alla vita del secolare consacrato in pieno mondo e per il mondo, per la sua crescita e il suo progresso. In realtà, tutto ciò che Dio ha visto essere " cosa buona " - sia la natura con tutte le sue forze misteriose, sia l'uomo con le sue molteplici doti di creatività e di intelligenza -, ciò che, scaturito dalle mani di Dio, è andato evolvendosi con i millenni, tutto è diventato ricchezza. E i laici, che siano o no consacrati, ci vivono in mezzo e sono chiamati a un'ulteriore evoluzione di tali beni anche e in particolare in vista della condivisione: perché i beni, destinati da Dio a tutti, siano realmente di tutti. E ciò, sia che questi beni siano del secolare, sia che appartengano alla sua famiglia, al suo ambiente, alla sua gente, là dove ognuno esercita la propria professione, dove lavora e fatica e così collabora alla crescita di ogni bene. La povertà, dunque, del laico consacrato nel mondo e per il mondo, solo raramente, eccezionalmente, può consentirgli una fuga dai beni temporali - purché una povertà di fatto non dimentichi mai le esigenze fondamentali della secolarità, e quella che ho chiamata fuga sia invece una separazione, una privazione proporzionatamente motivata. Il secolare consacrato deve far crescere il mondo " dal di dentro "; ed è " dal di dentro " che deve quindi vivere anche la sua povertà. D'altra parte non ci sarebbe stata una ragione plausibile per dar vita nel 1947 agli Istituti secolari, se il loro compito fosse stato identico a quello dei religiosi o molto simile. Se il compito della secolarità consacrata è far crescere il mondo " dal di dentro ", è " dal di dentro " di esso che dev'essere realizzata anche la povertà secolare. L'esercizio quotidiano di questo consiglio deve portare i laici consacrati a conformarsi alla dimensione ascetica di Cristo il quale ha scelto per sé di farsi partecipe della povertà umana per rendere partecipi gli uomini dei valori e delle ricchezze del suo Vangelo. Certo, la povertà di Cristo nella sua Incarnazione ci resta mistero indecifrabile: nel mondo, dipendente dal Padre, distaccato e libero nei confronti dei beni della terra. Un uomo unico, eppure un uomo qualsiasi, come gli altri: a tavola con tutti, in rapporto di cordialità e di amicizia con tutti: molto meno povero, se ci riferiamo ai beni della terra, del suo stesso precursore Giovanni ( Mt 3,4 ) che si nutriva di locuste e miele selvatico e andava vestito di peli di cammello con una cintura ai fianchi; ma libero, attento esclusivamente alla missione che il Padre gli ha affidata in mezzo agli uomini. Per il secolare consacrato l'inserimento nei beni della terra - un inserimento sobrio, retto, giusto, leale, responsabile, attento agli altri - dev'essere l'atteggiamento e valore specifico della sua povertà. Quale sforzo di rettitudine reclama, quale ascesi comporta, quale attenzione e ascolto della voce di Dio riguardo agli uomini e alle cose; quale distacco, quale libertà interiore ed esteriore nell'usare appunto liberamente delle cose, anche di quelle di cui vorrebbe, se potesse, fare a meno, ma di cui magari non può fare a meno proprio in vista della " missione " nel mondo e per il mondo. Vuoi mostrare come l'uso dei beni non reclama necessariamente la privazione, ma piuttosto la condivisione, la vittoria sulla ingiustizia, sulla sperequazione, sulla prepotenza altrui, sulla divisione e lotta di classe. Ogni Istituto secolare, anche nelle norme per vivere la povertà da consacrato, ha e propone a ognuno un suo stile in base alla vocazione personale nel carisma comune dell'Istituto. I termini " limitazione e dipendenza " che troviamo nel canone 600, presentano modalità duttili, che possono trasformarsi, per uno stesso consacrato, man mano che si modifica la sua forma di vita, le circostanze del suo ambiente e della sua professione, il lavoro, l'età, l'ambiente familiare. Prudenza, lealtà, libertà, si rendono allora indispensabili. E, via via, ognuno cercherà lealmente la propria " misura ", valendosi anche - secondo gli Istituti - del dialogo con un responsabile o con la stessa comunità: letti da entrambe le parti i segni dei tempi e in un'incessante creatività di mezzi per vivere un'ascetica vera della povertà secolare, adeguata alle esigenze della consacrazione nel mondo. Non è sempre facile individuare questa " misura ", questo equilibrio tra le richieste di Cristo povero - insieme alle esigenze del proprio vincolo di povertà - e il rapporto con la società di oggi, società del benessere; e con le situazioni note del sottosviluppo, della miseria, della fame nel mondo. Vivere nel mondo come tutti gli altri laici nel proprio ambiente e professione? E insieme, come contestare contro il consumismo e contro il materialismo, quando proprio nel consumismo e materialismo della sua società si realizza la sua vita? Che cosa è il " superfluo "? Come verificarsi? Come trovare la via giusta d'una povertà consacrata ma secolare ed essere come gli altri e insieme diverso dagli altri? Come dare testimonianza di povertà senza rischiare di essere controproducente? Come tutelare la causa dei poveri senza abbandonare le non meno gravi necessità spirituali dei non-poveri? Come insegnare che cosa significa compartecipazione e condivisione, se ci si riduce a non aver niente da condividere e compartecipare, se si rischia di diventare estranei a quelli del proprio ambiente e professione? È una ricerca comunitaria, in seno all'Istituto; ma è anche una ricerca personale che richiede un'attenzione continua ad altri valori: lettura dei segni dei tempi - come ho detto sopra -, valutazione dei molteplici fattori individuali e ambientali, attenzione continua, serena, prudente per discernere il significato così mutevole del necessario, dell'utile, del comodo, del superfluo, in un confronto continuo, leale, aperto, pure esso sereno e oggettivo con la condizione degli altri uomini. Imparare la prudenza che viene da Dio. Non voler pesare ingiustamente - neanche in nome della povertà e della carità - sugli altri né per il presente né per l'avvenire; sapersi non tanto proprietario quanto umile amministratore di beni non suoi ma di cui è solo depositario e che dovrà imparare a condividere con chi è veramente nel bisogno, così da essere segno di giustizia e di amore fraterno. E andare al di là delle sole cose materiali, ma rendersi disponibili alla compartecipazione di ogni altro bene: bene spirituale, energie, tempo, capacità. Non è una ricerca da poco. Non si esaurisce in una ricerca iniziale. Reclama una tensione continua, progressiva di tutta la vita. Accade - ed è di norma - che gli altri ignorino che questo dato secolare è consacrato nel mondo. Ma, il più delle volte, anche quando di un secolare è ignorata da tutti la consacrazione ( mistero di Dio! ), non si ignora che egli è un battezzato: ed anche il battesimo reclama da ogni laico l'attenzione ai fratelli e una povertà capace di larga condivisione. E questa condivisione è spesso la pietra di paragone, da parte dei laici, circa la verità profonda del cristianesimo d'un battezzato - anche di un secolare consacrato -. L'attenzione agli ultimi, l'apertura ai poveri, la libertà dai beni non sono forse valori specifici della povertà secolare consacrata, ma sono certamente un grosso valore da coltivare: un valore progressivo. E lo sguardo dev'essere su Cristo. Anche per la povertà non possiamo dimenticare certe situazioni particolari in cui possono vivere e vivono molti secolari consacrati dei primi Istituti secolari in Paesi particolarmente poveri. Non potrà, molto spesso, essere possibile la condivisione di beni materiali, se non delle briciole che uno ha, ma egli potrà sempre condividere i beni dello spirito: basta che sia attento alla voce di Dio e ai bisogni dei fratelli. Di " più poveri " se ne incontrano sempre, se si è all'ascolto! Credo importante, poi, non dimenticare che esiste una povertà a cui tutti i secolari consacrati possono e devono mirare: prendere via via coscienza dei propri limiti, delle proprie incapacità nel dialogare con Dio e col prossimo; prendere coscienza della propria piccolezza e povertà spirituale, così da porsi ognuno a " servizio " dei fratelli come è sua " missione ", con profonda umiltà e dedizione, fedele alla legge d'amore appresa dal Cristo. Obbedienza filiale Gesù si è incarnato per compiere, uomo tra gli uomini, il disegno di amore del Padre, cercato in ogni circostanza ed anche sua Madre ci appare inserita nel mistero di salvezza del Figlio nella fede e nell'obbedienza. ( Gv 6,38-40 ) All'obbedienza di Gesù e di Maria deve ispirarsi l'obbedienza del secolare consacrato, inserito anche lui, come Cristo e come Maria, nella vita quotidiana della sua gente: perché non solo è uomo per la sua incarnazione in obbedienza al disegno di Dio, ma perché la sua è incarnazione d'amore verso gli altri uomini, verso tutti, verso il creato e le sue realtà. Anche il laico consacrato non rinuncia ad avere una sua personalità che anzi deve crescere con lui fino a raggiungere una vera pienezza d'identità. E questa identità abbraccia appunto la propria vocazione specifica di laico consacrato: spirito di iniziativa, senso di responsabilità si accompagnano in lui alla fiducia nell'uomo, allo sforzo per conciliare nelle più diverse situazioni la piena responsabilità personale, la capacità di assumere le proprie iniziative, l'intuizione delle diverse situazioni, e insieme le molteplici forme quotidiane di dipendenza, molto spesso impalpabili, mutevoli, instabili, imprecise: ma che sono dipendenza - che non deve comunque intaccare la sua personale responsabilità di fronte alle realtà -. È vero che anche nella vita religiosa il consacrato deve continuare ad essere se stesso, senza abdicare alla propria personalità; ma il contatto quotidiano con i legittimi superiori gli consente il più delle volte di configurare la propria dipendenza in modo preciso e stabile. Cosa che non è per il laico consacrato. Egli deve guardare innanzitutto all'obbedienza di Cristo, nel mondo e per il mondo come lui e prima di lui, in situazioni comunque non più facili, in ambienti non più agevoli. E sa, il consacrato secolare, che anche lui è tenuto a un'obbedienza al Padre quale via via gli è manifestata la sua volontà; a un'obbedienza da figlio, da uomo libero e consapevole, che mira all'identità tra l'obbedienza e la propria libertà: poiché è il Padre che, volendolo uomo, lo vuole libero. Ma questa obbedienza non è mai senza sofferenza. Culmina sempre sulla croce. E la croce, che fa paura e orrore a ogni uomo, il consacrato nel mondo sa che è la sua porzione, presto o tardi, o anche momento per momento. Forse c'è un termine che, sopra gli altri, va sottolineato: il termine " libertà ". Che non significa " io posso fare tutto ciò che mi pare e piace ", ma che è, come per Cristo " io faccio sempre ciò che è gradito al Padre ". ( Gv 8,29 ) Adesione d'amore al Padre. Obbedienza indotta dallo Spirito. Attenzione al come la volontà del Padre si esprime. E, insieme a Cristo, muovere verso il Calvario: croce e vita consacrata nel mondo sono inseparabili. Nel mondo è facile la tentazione - che potrei chiamare " rischio " per valermi di un termine ripetutamente usato dai Pontefici nel rivolgersi agli Istituti secolari - il rischio di trasformare in indipendenza la libertà, un'equilibrata autonomia ( libero chi è capace di libera adesione al pensiero di un responsabile, in dialogo ). Indipendenza, autonomia assoluta, autarchia: come siamo lontani dalla libertà! Così si esprime il Bogliolo: " Nessuna società può reggersi quando l'autonomia dei membri che la compongono si tramuta in isolamento autarchico e anarchico che è divisione, frammentarietà, disgregazione e morte del corpo sociale ". Entrano in gioco, allora, nell'obbedienza del secolare consacrato, valori della massima importanza, quali l'umiltà, la lealtà nella ricerca del piano di Dio, la fiducia nel responsabile, la sincerità con se stesso, la fede, la prudenza nell'esaminare quanto più è possibile da vicino le circostanze, le modalità della propria obbedienza: appunto per evitare ogni frammentarietà, ogni divisione, ogni disgregazione. Possiamo chiamare specifici, in modo assoluto, i valori di questa obbedienza del consacrato nel mondo? No. Ogni laico, potrei dire, deve sapere trovare in se stesso le capacità di una forma di accoglienza del pensiero altrui, che non consenta da parte sua autarchia, disgregazione, divisione. Ma, per quanto riguarda appunto i laici consacrati, è certo una forma di accoglienza degli altri, specie di chi ha autorità legittima, che va approfondita e curata. Si aggiunga la fedeltà allo statuto o costituzioni dell'Istituto a cui uno appartiene. E questa fedeltà, insieme alla fedeltà alla Parola e alla Chiesa, non è facile. Spesso è adesione alle grandi, e più spesso piccole, realtà del vivere quotidiano, che richiedono un eroismo senza luccichio, senza gloria né applauso. Più spesso il laico consacrato resta solo a " obbedire " a un cenno di Dio: è obbedienza anche questa, obbedienza a un segno, a una circostanza: solo, nello sforzo di cogliere ciò che Dio vuole per lo stesso consacrato e per gli uomini nella storia. E l'Istituto? sostiene, l'Istituto, il suo membro? come lo raggiunge se spesso in diaspora? L'Istituto è - o, in ogni caso, deve essere - presente; esso è la comunità ecclesiale in cui Dio ha inserito quel dato consacrato. C'è un legame reciproco, stabile, pieno, un carisma comune in cui vivere la vocazione propria. E l'obbedienza, allora, diventa anche ricerca comunitaria del disegno di Dio; e i responsabili diventano mediatori della Chiesa e della comunità. Il dialogo, lo scambio di pensiero, la ricerca insieme di criteri di discernimento soprannaturale: ecco dei valori grandi e non facili. Valori specifici, penso, o almeno valori estremamente importanti che meritano di essere coraggiosamente e fedelmente perseguiti. " Per scoprire, interpretare ed attuare il disegno di Dio in Cristo deve costituirsi un dialogo integrativo. Simile dialogo non è suggerito primariamente in rispetto della personalità ( di ognuno ) quanto per realizzare più pienamente la missione affidata alla comunità cristiana. Il superiore ha bisogno della collaborazione ( … ) per interpretare i segni dei tempi ( … ), per vedere al di là del suo orizzonte ". Sono considerazioni che, fatte per qualunque comunità a proposito dell'obbedienza, possono applicarsi senz'altro agli Istituti secolari: valori da vivere con particolare intensità. Appunto in tali Istituti urge la chiamata a cercare Dio e la sua volontà nella vita propria e altrui, in una continua attenzione a quanto accade nel proprio spirito, nella propria famiglia e ambiente, nel mondo. Ascolto attento e libero. Reazione dinamica. E questi sono indubbi valori, e valori rari. Ma se penso ai secolari consacrati come a laici ( e laici sono! ) come non essere tentata di definire specifici questi valori? Comunità che diventa comunione Può essere importante fermarci anche sui valori della " comunità ". Comunità: un termine che ha acquisito in questi ultimi anni un significato più vasto che negli anni precedenti; un termine oggi usato per indicare molteplici cose. E, non ultima, la Chiesa, grande comunità dei credenti, non solo, ma di tutti i figli di Dio, di tutti gli uomini. Nella Chiesa anche la piccola comunità formata, per ogni Istituto secolare, dai suoi membri. Già abbiamo sottolineato come gli Istituti secolari appartengano alla Chiesa a titolo speciale - per usare le parole del papa Paolo VI -, come, nella loro pluralità, costituiscano comunità diverse, segno della ricchezza spirituale della Chiesa in cui lo Spirito Santo chiama in molteplici modi, e non cessa di " inventare " modi nuovi rispondenti alle realtà dei tempi e ai bisogni degli uomini. Comunità: o piuttosto un rapporto che diventa comunione, anzi comunione universale. Appunto questo termine " universale " ci dice l'ampiezza, la grandezza, la ricchezza di questa grande famiglia umana, chiamata ad essere il regno del Padre, il regno del Cristo per l'azione meravigliosa santificatrice dello Spirito Santo. Di " fraternità universale " parla la costituzione conciliare Gaudium et spes. E di questa fraternità fanno parte gli Istituti secolari; a servizio di questa fraternità sono chiamati a porre le proprie migliori energie come singoli e come comunità-istituto in forza della comunione che in ogni Istituto regna. Non ogni comunità umana diventa comunione. Non ogni laico, anche sinceramente disponibile alla Chiesa, è disponibile a riconoscere tutto ciò che, nella comunità-mondo, è buono, è giusto, è degno; disponibile a promuovere l'unione e l'unità, la fraternità e la comunione. Non ogni laico è consapevole - nel pensiero e nella sua realizzazione - della chiamata a partecipare alla missione salvifica della Chiesa, in Cristo, il solo che può stabilire la nostra comunione e alleanza con Dio, suo e nostro Padre, col nostro Creatore e Salvatore. Comunione: ossia condivisione per amore. Partecipazione dell'uno alla vita dell'altro, e, insieme, alla vita di ogni uomo, alle realtà di tutti ( gioie e speranze, tristezze e angosce degli uomini di oggi, soprattutto dei poveri e di quanti soffrono, ci ricorda Gaudium et spes nel Proemio, devono essere gioie e speranze, tristezze ed angosce dei discepoli di Cristo: è un programma che mille volte abbiamo udito o letto ). Poiché la comunità umana si costruisce sugli uomini uniti in Cristo, guidati dallo Spirito verso il regno del Padre: disposti a portare a tutti il messaggio di salvezza. Solidarietà con l'intero genere umano e con la sua storia. Noi sappiamo che è questa la particolare opera affidata ai secolari consacrati. Questa finalità specifica ha dato motivo alla stessa loro consacrazione, ha detto Pio XII. L'amore per gli uomini, la comunione con loro, come potrebbero esprimersi se non fossero animati da un amore profondo e assoluto a Dio, espresso anche mediante i consigli evangelici? Come, in altro modo, essere sale, luce, fermento piccolo ma efficace e attivo, mescolato a tutti gli uomini: vero lievito che deve far fermentare e crescere il pane?! Questi, gli Istituti secolari. Non degli isolati. Una comunità, una famiglia, una comunione. Avere o non avere opere proprie non è piccola cosa per un Istituto secolare in cui ogni membro - è parola dei Papi - deve essere lievito nel proprio ambiente, mescolato ognuno ai propri colleghi, nella professione, nel lavoro, nella vita civica, socio-politica! La vera comunione, per i consacrati secolari, non sta nel mettere insieme guadagni o rendite o attività; ma è il vincolo della consacrazione secolare che trasforma ognuno in " membro " di una vera famiglia. Mansioni diverse, diritti e doveri differenti; ma la sostanza è che ognuno è chiamato ad amare e servire gli altri, e, in questa comunione, ad amare e servire il mondo. Un valore. E, senza dubbio, non è un valore a metà né un valore comune. La risposta di chi è entrato a far parte di un Istituto secolare è risposta totale. Il Vangelo a cui ognuno si è impegnato non reclama una dedizione sminuita. Totale significa totale. Dare tutto. E il rapporto con l'Istituto è pure totale. Si fa parte per sempre di una famiglia con cui, per sempre, ci si impegna a restare in comunione. Sarebbe auspicabile che nella comunità degli uomini fosse questo il rapporto di amore reciproco, di vera comunione. È un indubbio valore. Ma ci chiediamo: è possibile o è utopico? Eppure dev'essere un valore specifico della comunità di ogni Istituto secolare: rapporto del singolo col singolo e del singolo con la comunità, in forza della comunione che la consacrazione in uno stesso Istituto e secondo uno stesso carisma ha creato tra i membri. E allora collaborare, condividere, ascoltare, sostenere, intervenire, crescere non solo individualmente ma anche comunitariamente, cercando insieme di cogliere sempre più, oggi, l'" idea " del primo giorno di vita dell'Istituto, il suo carisma. E tutto ciò in comunione. Insieme cogliere sempre più la spiritualità dell'Istituto, cercare di capire ogni parola delle sue costituzioni, accogliere ogni briciola che può essere offerta da qualunque membro … perché nessuna briciola va dispersa e bisogna raccogliere ogni frammento. ( Gv 6,12 ) Raccoglierlo e metterlo a disposizione di tutti. Del mondo. Insieme, in ascolto della vita che corre: nell'Istituto e fuori di esso. Nell'Istituto, in vista del mondo. Tutte le realtà toccano il secolare consacrato: problemi, ideali, gioie … Anche gli incontri della comunità-Istituto sono incontri di comunione: non mirano alla sola propria crescita, ma alla crescita dell'intera comunità perché ogni sua realtà susciti una nuova volontà di servizio. Si offre amore, amicizia, stima, rispetto a ognuno, dentro e fuori dell'Istituto, con una " creatività " che insegni a ciascuno come essere coerente, autentico, attento all'essenziale, aperto a ognuno. Aperto agli uomini, al creato, al mondo. Ai più piccoli. Agli ultimi. Potremmo disconoscere la specificità di questi valori? O davvero possiamo affermare che, laici come i i laici e tra i laici, questi secolari consacrati trovano e vivono nella comunità-Istituto, nella comunione fraterna, uno dei più grandi valori che un uomo possa scoprire nella vita? È possibile una sintesi? Il cardinale Carlo Maria Martini in un rapido cenno agli Istituti secolari ha usato il termine " originalità ", e così ha proseguito: " essi testimoniano in un modo particolarmente intenso l'amore del Padre e di Cristo per il mondo, congiungendo la consacrazione speciale con una presenza operosa che si colloca dentro e anima dal di dentro le realtà del mondo ". È vero: questo è l'Istituto secolare. Il cardinale ha voluto sottolineare il significato, il valore, l'originalità di questa consacrazione ricca di valori specifici, comunque difficili da enucleare. Si tratta, infatti, di laici la cui missione è di essere " laici " fino alle estreme conseguenze del battesimo: a tal punto " laici " da risultare - come ho detto ripetutamente - laici " qualunque ", ma che hanno qualcosa - Dio e il suo amore! - da testimoniare al mondo, agli altri laici: da " dire " al mondo qualcosa di estremamente importante, e " dirlo " con la propria vita più che con le parole. Ma esiste, tra tanti valori, qualche valore davvero specifico su cui potrebbe fermarsi l'attenzione del laico consacrato? Se rileggiamo a fondo alcune pagine dei documenti conciliari, a proposito dei laici, come pure se cerchiamo di approfondire ciò che è stato recentemente proposto dalla Chiesa alla riflessione del clero e dei laici, dovremmo concludere che i valori dei laici consacrati non differiscono sostanzialmente dai valori di ogni laico impegnato non consacrato. Se però riflettiamo insieme e se al termine " specifico " diamo un significato relativo, forse possiamo così concludere: - È valore " specifico " l'impegno a leggere in preghiera i " segni dei tempi " e a leggerli proprio perché volutamente incarnati tra le realtà temporali, disposti a pagare in prima persona. Senza rifiutarsi, senza sottrarsi, anzi facendosi incontro alle situazioni più ardue e difficili: " frugando " - mi si perdoni il termine - tra i segni dei tempi come un astronomo " fruga " nella volta scura del cielo. Leggere i segni dei tempi significa viverli, significa cercare una soluzione rispondente alla dignità umana, alle umane aspirazioni. Studiarli alla luce dell'uomo-Cristo-Gesù, osservarli con ottimismo, nella fiducia e nella speranza. - E forse possiamo chiamare valore specifico il conseguente sforzo di inventiva per rispondere alle nuove esigenze, e quindi lo spirito di iniziativa che porta a non temere il rischio, senza farsi incontro ad esso imprudentemente, ma anche senza paura. Perché Dio " è "! Ed è Padre. Ed è vicino. Sempre. E ancora la creatività, che impedisce di cedere le armi dinanzi alle difficoltà, ma aiuta a scoprire, via via, il modo di farsi incontro al mondo per cambiarlo davvero " dal di dentro ". Penso anche, quale valore " specifico ", alla " simpatia critica " che apre al nuovo se questo " nuovo " è degno dell'uomo; e che dell'antico conserva ciò che è ancora un valore. E all'empatia verso il mondo, le sue cose, le sue realtà, i suoi uomini: empatia che porta il laico consacrato a condividere per amore gioie e pene, ansie e difficoltà, facendo propria l'espressione, già a noi nota, del Concilio Vaticano II: " Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d'oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore ". - Neppure possiamo dimenticare l'amore al lavoro, la competenza e l'aggiornamento nella professione, la conoscenza delle leggi degli uomini, l'attenzione e la partecipazione alla vita politica, sociale, civile, a tutto ciò che è il loro mondo e che al consacrato consente il contatto con ognuno, da persona a persona. La sua potrebbe essere la più vasta e moderna delle attività: benissimo! purché non si perda mai di vista l'" uomo ". L'uomo che vive accanto a lui, al consacrato. Nel comune ambiente. Nelle comuni situazioni e problemi. In un rapporto di vera solidarietà: " Tale solidarietà deve essere sempre presente là dove lo richiedono la degradazione sociale del soggetto del lavoro, lo sfruttamento dei lavoratori e le crescenti fasce di miseria e addirittura di fame ". Ripeto: non perder mai di vista l'uomo, nelle comuni situazioni e sofferenze: ed anche speranze e gioie. Saper condividere - e non per la sola povertà -. Allora, da questa vera empatia verso gli uomini - nata dal profondo proprio perché ispirata e suggerita da Dio - verrà la ricerca della giustizia ad ogni costo, l'attenzione ai più deboli, la partecipazione a ogni anche più ardua realtà umana. Verrà la rettitudine e l'umiltà anche nella carriera più invidiata e invidiabile, ma in cui ancora e sempre il consacrato cerca il disegno di Dio e il bene degli altri. Verrà lo sforzo di " capacità dialogica " a cui anche altrove ho fatto cenno: capacità che potrà permettere a chi lo avvicina di cogliere nel laico consacrato il dono " profetico " che è in lui. - Tutto questo reclamerà una personalità spiccata, coraggio nelle proprie idee senza coggiutaggine, fermezza di convinzioni che interpella Dio, radicalità nella vocazione, rifiuto di ogni compromesso, libertà interiore dall'esito del proprio operare, prontezza nel reagire agli imprevisti, immediatezza di riflessioni e decisioni conseguenti, senso della provvisorietà, duttilità nelle abitudini come negli orari e insieme fedeltà ed esattezza. In altre parole, freschezza interiore: la freschezza di chi vive integralmente, respirando incessantemente Dio in sintonia con lui e con gli uomini. E nella pace interiore di chi non si sente mai " a posto ", anche se si protende continuamente verso il meglio che Dio gli chiede. Senza perdere mai la fiducia in Dio e anche in se stesso, perché sa che Dio ha fiducia in lui e lo ama. Senza che mai gli venga meno la speranza né l'amore per il mondo né la capacità di dialogo con gli uomini e col creato. Poiché - come ho ripetuto - il dialogo è uno dei più grandi valori della secolarità consacrata! Concludo questa sintesi con alcune espressioni che richiamano i laici consacrati " allo sforzo del dialogo, perché ogni ricerca della verità sia partecipata agli altri e completata dagli altri; ( … ) allo spirito di servizio in ogni circostanza; al senso della serenità e dell'ottimismo nelle varie prove che la vita di ogni giorno presenta; all'onestà di attenersi, una volta accettate, alle disposizioni emanate da chi ne porta le responsabilità nel proprio ambiente di lavoro ( senso della disciplina ); a non essere mai elementi di disordine e di capriccio, pur mantenendo originalità di intervento e di comportamento ". Una vocazione non facile. Un programma. Una chiamata. Valori ardui: specifici, gli uni; da coltivare, tutti. Ma Colui che chiama è Dio. Colui che sorregge è Dio. Dio è Colui che " respira ininterrottamente " col laico consacrato. Da Dio gli viene la fortezza e da lui la speranza.