Racconti di un pellegrino russo

Indice

Quarto Racconto

Nel Signore ho riposto la mia speranza

Il proverbio russo ha ragione – dissi tornando dal mio padre spirituale – l'uomo propone e Dio dispone.

Credevo di partire oggi stesso per la città santa di Gerusalemme, ma invece le cose sono andate in altro modo: un avvenimento assolutamente imprevisto mi trattiene qui ancora due o tre giorni.

Non ho potuto fare a meno di venire a vedervi per annunciarvelo e chiedervi consiglio in merito.

Ecco cosa è accaduto.

Avevo ormai detto addio a tutti, e con l'aiuto di Dio avevo ripreso la mia strada; stavo per valicare la frontiera, quando sulla porta dell'ultima casa scorsi un vecchio pellegrino che non rivedevo da tre anni.

Ci augurammo il buongiorno ed egli mi chiese dove andassi.

Gli risposi: – Se Dio vuole, fino all'antica Gerusalemme.

– Bene – riprese lui – c'è qui un ottimo compagno per te.

– Mille grazie! – gli dissi – Non sai che no prendo mai un compagno e che cammino sempre da solo?

– Lo so, ma stammi a sentire: so che quello è proprio il compagno che ci vuole per te.

Tutto per lui andrà bene se sarà con te, e per te se sarai con lui.

Il padre del proprietario di questa fabbrica, nella quale io lavoro ora come operaio, ha fatto un voto di andare a Gerusalemme; non avrai alcun fastidio a prenderlo con te.

È un mercante di qua, un buon vecchio, e per di più è completamente sordo.

Puoi urlare fin che ti pare, egli non sente nulla di nulla; quando gli si vuol chiedere qualcosa, bisogna scriverlo su un pezzo di carta.

Sta sempre zitto e non ti darà noia durante il cammino.

Ma tu gli sarai indispensabile nel tragitto.

Suo figlio gli darà un cavallo e una carrozza che potrà vendere poi a Odessa.

Il vecchio vuol camminare a piedi, ma si potrà mettere nella carrozza il suo bagaglio e i doni per il sepolcro di nostro Signore.

Potrai posare il tuo sacco … Ora, pensaci bene.

Credi proprio che si possa lasciar andare così da solo un vecchio completamente sordo?

Abbiamo cercato da per tutto una guida, ma tutti chiedono troppo, e poi è pericoloso lasciarlo partire con uno sconosciuto, perché il vecchio ha denaro e oggetti preziosi.

Quanto a me, mi sento di garantire per te e i padroni ne saranno felici: sono brava gente e mi vogliono molto bene.

Sono due anni ormai che lavoro da loro.

Dopo aver così parlato davanti all'uscio, mi fece entrare dal padrone e mi resi conto che era una famiglia perbene: così accettai la loro proposta.

Si decise di partire due giorni dopo Natale, se Dio vorrà, dopo aver sentito la divina liturgia.

Ecco gli avvenimenti inattesi che avvengono sul cammino della vita!

Ma è sempre Dio e la sua divina Provvidenza che agiscono attraverso le nostre azioni e le nostre intenzioni, com'è scritto: Perché è Dio che opera in voi il volere e il fare ( Fil 2,13 ).

Il mio padre spirituale mi disse: – Mi rallegro cordialmente, fratello carissimo, che il Signore mi abbia permesso così di rivederti.

E visto che sei libero, ti tratterrò un poco e tu mi racconterai alcuni degli incontri che hai fatto durante la tua vita errante.

Mi è piaciuto molto sentirti narrare gli altri tuoi racconti.

– Lo farò con gioia – gli risposi – e mi misi a parlare.

C'è stato del buono e del cattivo; non si può raccontare ogni cosa, e molte sono uscite dalla mia memoria, perché ho sempre cercato di serbare il ricordo di quello che induceva l'anima mia alla preghiera; tutto il resto l'ho rievocato ben di rado o, per meglio dire, ho cercato piuttosto di dimenticare il passato, secondo l'insegnamento dell'Apostolo Paolo che ha detto: Dimenticando quello che sta dietro a me e portandomi con tutto me stesso verso quello che sta davanti, io corro diritto alla meta.

E il mio beato starets mi diceva che gli ostacoli alla preghiera possono venire da destra e da sinistra o, in altre parole, se il nemico non può distogliere l'anima preghiera con vani pensieri o immagini colpevoli, egli fa rivivere nella sua memoria ricordi edificanti o belle idee, onde strappar via la mente alla preghiera che egli non riesce a sopportare.

Questo si chiama il distogliere da destra; l'anima, disprezzando la conversazione con Dio, entra in delizioso colloquio con se stessa o con le creature.

Così egli mi ha insegnato che, nel tempo della preghiera, non bisognava ammettere nello spirito nemmeno il pensiero più bello e più elevato; e se alla fine di una giornata ci si accorge di aver passato più tempo in meditazione o in conversari edificanti anziché nella preghiera pura e assoluta, bisogna considerarla un'imprudenza o un'avidità spirituale egoistica, specie nei principianti, per i quali il tempo impiegato in preghiera deve essere superiore al tempo dedicato alle altre attività di pietà.

Ma non si può dimenticare proprio tutto.

Certi ricordi si imprimono così profondamente nella memoria che essi rimangono vivi senza che si debbano evocare, come per esempio quello della santa famiglia nella quale Dio mi ha permesso di trascorrere alcuni giorni.

Una famiglia ortodossa.

Stavo attraversando il governatorato di Toblosk e mi trovai un giorno in una piccola città.

Non avevo più pane e così entrai in una casa per chiederne un poco.

Il padrone di casa mi disse: – Capiti al momento buono.

Mia moglie ha appena ritirato il pane dal forno, prendo questo pane caldo e prega Dio per noi.

Lo ringraziai calorosamente e, mentre parlavo, infilavo il pane nel sacco; la padrona mi vide e disse: – Che povero sacco hai, tutto strappato e liso! Te ne darò un altro.

E mi diede un bel sacco nuovo.

Li ringraziai dal profondo del cuore e partii.

Nell'uscir di città, chiesi un po' di sale in un negozio e il negoziante me ne diede un sacchetto.

Ne fui felice e ringraziai Dio di avermi fatto incontrare persone così buone.

– Posso star tranquillo una settimana – mi dicevo – potrò dormire senza inquietudini.

Anima mia, benedici il Signore! ( Sal 103 e 104,1 ).

Avevo fatto circa cinque verste dalla città quando vidi un modesto paesino con una modestissima chiesa di legno, dalla facciata dipinta e decorata con garbo.

La strada passava lì accanto e io ebbi voglia di inginocchiarmi davanti al tempio di Dio.

Salii la scalinata e recitai una preghiera.

In un prato poco discosto dalla chiesa c'erano due ragazzini che giocavano; potevamo avere cinque o sei anni.

Mi dissi che, malgrado il loro aspetto curato, dovevano essere i figliolini del prete.

Finita la preghiera me ne andai.

Non avevo fatto dieci passi che sentii una voce gridare dietro a me: – Signor mendicante, signor mendicante! Aspetta!

Erano i ragazzini che gridavano e correvano verso di me: un bambino e una bimbetta.

Mi fermai e, accorrendo, essi mi presero per mano.

– Andiamo dalla mamma, lei vuol bene ai mendicanti.

– Non sono un mendicante, ma un passante, cari.

– E che cosa hai nel sacco? – Il pane per il mio viaggio.

– Non fa nulla, vieni con noi, la mamma ti darà il denaro per il viaggio.

– E dov'è la vostra mamma? – chiesi .

– Laggiù, dietro la chiesa, dopo gli alberi.

Mi fecero entrare in un magnifico giardino, i mezzo al quale vidi una grande casa di ricchi; entrammo nel vestibolo.

Tutto era pulito, in ordine, curato.

La signora ci venne incontro.

– Sono proprio contenta! Da che parte il Signore ti ha mandato a noi? Siedi, siedi, caro.

Mi levò lei stessa il sacco, lo posò su una tavola e mi fece sedere su una comoda poltrona.

– Vuoi mangiare? Vuoi prendere del tè? Hai bisogno di qualcosa?

– Vi ringrazio umilmente – risposi – ho di che mangiare nel mio sacco e il tè lo posso bere, ma sono un contadino e non ne ho l'abitudine; la vostra gentilezza e la vostra cortesia mi sono più preziose di un pranzo: pregherò Dio che vi benedica per la vostra evangelica ospitalità.

Dicendo queste parole sentivo un gran desiderio di rientrare in me.

La preghiera ferveva nel mio cuore e avevo bisogno di calma e di silenzio per lasciare che quella fiamma salisse liberamente e per nascondere un poco i segni esteriori della preghiera: lacrime, sospiri, moti del viso o delle labbra.

Così mi alzai e dissi: – Vi chiedo perdono, ma devo andarmene.

Che il Signore Gesù Cristo sia con voi e i vostri cari figliolini.

– Ah no! Che Dio ti guardi dal partire, non ti lascerò partire.

Mio marito deve tornare questa sera dalla città, dove fa il giudice al tribunale del distretto.

Sarà felice di vederti: egli considera ogni pellegrino come inviato da Dio.

Per di più, domani è domenica, tu pregherai con noi all'Ufficio, e quel che Dio ci manderà lo mangeremo insieme.

Da noi, per le feste, riceviamo almeno trenta poveri mendicanti, fratelli di Cristo.

E tu non mi hai ancora detto tutto di te, da dove vieni, dove vai ora!

Raccontami di te, mi piace sentir parlare coloro che venerano il Signore.

Bambini, portate il sacco del pellegrino nella camera delle immagini, passerà la notte in quella.

A queste parole mi stupii e mi dissi: – È un essere umano o un'apparizione?

Così rimasi per aspettare il padrone.

Raccontai in breve il mio viaggio e dissi che andavo a Irkutsk.

– Bene! – disse la signora – Tu devi dunque passare per Tobolsk, mia madre vive in un convento di clausura; noi ti daremo una lettera e lei ti riceverà.

Si va spesso a chiederle dei consigli spirituali; d'altro canto, tu potrai portarle anche un libro di Giovanni Climaco che abbiamo ordinato per lei a Mosca.

Tutto va a meraviglia! Infine giunse l'ora di cenare e ci mettemmo a tavola.

Vennero altre quattro signore e sedettero a tavola con noi.

Dopo il primo piatto, una di loro si alzò, si inchinò davanti all'icona, poi davanti a noi, e andò a cercare il secondo; per il terzo piatto, un'altra volta si alzò nella stessa maniera.

Vedendo questo, mi rivolsi alla padrona: – Posso chiedere se queste signore sono della vostra famiglia?

– Sì, sono le mie sorelle, la cuoca, la moglie del cocchiere, la donna di servizio e la mia cameriera.

Sono tutte sposate, non c'è una sola ragazza in tutta la casa.

Al vedere e al sentire questo, ne fui ancora più stupito e ringraziai il Signore che mi aveva guidato verso persone così pie.

Sentivo la preghiera salire nel cuore con forza; così, per trovare la solitudine, mi alzai e dissi alla signora: – Voi dovete riposare dopo il pranzo, io invece ho l'abitudine di camminare, così vorrei passeggiare un po' in giardino.

– No, non mi riposo mai – disse la signora –.

Verrò con te in giardino e tu mi racconterai qualcosa di edificante.

Se ci vai da solo, i bambini non ti lasceranno in pace; essi non ti lasceranno perché amano molto i mendicanti, fratelli di Cristo, e i pellegrini.

Non c'era nulla da fare e andammo insieme in giardino.

Per poter conservare con maggiore agio il silenzio, mi inchinai davanti alla signora e le dissi: – Vi prego, madre mia, in nome di Dio, è molto tempo che conducete una vita così santa?

Raccontatemi come siete giunta a questo grado di bontà.

– È molto facile – disse lei –.

Mia madre è pronipote di san Giosafat di cui sono onorate le reliquie a Belgorod.

Avevamo là una grande casa e un'ala era stata affittata a un signore di pochi mezzi.

Egli morì, e sua moglie morì a sua volta, dopo aver messo al mondo un bambino.

Il neonato era completamente orfano.

Mia madre lo raccolse in casa sua, e io nacqui l'anno dopo.

Crescemmo insieme, avevamo gli stessi maestri ed eravamo come fratello e sorella.

Quando mio padre morì, la mamma lasciò il villaggio e venne a stabilirsi con noi in questo paese.

Quando fummo in età adatta, mia madre mi maritò con il suo protetto, ci donò questa borgata e si ritirò in convento.

Dopo averci impartito la sua benedizione, ci raccomandò di vivere da cristiani, di pregare Dio con tutto il cuore e di osservare prima di tutto il comandamento più importante, quello dell'amore per il prossimo, aiutando i poveri, fratelli di Cristo, educando i nostri figli nel timor di Dio e trattando i nostri servi come fratelli.

È così che noi viviamo da dieci anni in questa solitudine, cercando di obbedire ai consigli di nostra madre.

Abbiamo un asilo per i mendicanti; ve ne sono più di dieci in questo momento, infermi o malati; se vuoi, andremo a visitarli domani.

Alla fine del suo racconto le chiesi: – E dov'è il libro di Giovanni Climaco che volete mandare a vostra madre?

– Rientriamo, te lo farò vedere.

Avevamo appena cominciato a leggere che arrivò il padrone.

Ci abbracciammo cristianamente come fratelli, poi egli mi condusse in camera sua, dicendo: – Vieni, fratello, nel mio studio, benedici la mia cella.

Forse lei ti ha infastidito ( indicava sua moglie ).

Quando trova un pellegrino o un malato, è così felice che non lo lascia più né la notte né il giorno, è una vecchia consuetudine della sua famiglia.

Entrammo nello studio. Quanti libri!

Che splendide icone, e la croce, in grandezza naturale, davanti a cui stava un Vangelo!

Mi segnai e dissi: – Voi avete qui, piccolo padre, il paradiso di Dio.

Ci sono il Signore Gesù Cristo, la sua purissima Madre e i suoi santi servi; ed ecco qui le loro parole e i loro insegnamenti vivi e immortali; penso che dovete trovare un gran gusto a intrattenervi con loro.

– Eh sì – disse il signore – mi piace molto leggere.

– Che genere di libri avete? – chiesi.

– Ho molti libri spirituali. Ho qui il Menologio, le opere di Giovanni Crisostomo, di Basilio il Grande, molte opere filosofiche e teologiche e moltissimi sermoni di predicatori contemporanei.

Questa biblioteca mi è costata cinquemila rubli.

– Non avete per caso un lavoro sulla preghiera? – chiesi.

– Mi piacciono molto i libri sulla preghiera.

Ecco qui un opuscolo recente, opera di un prete di Pietroburgo.

Il signore trasse fuori un commento sul Padrenostro e cominciammo a leggerlo.

Poco dopo arrivò la signora che portava il tè: i bambini reggevano un cestino d'argento pieno di pasticcini, come non ne avevo mai assaggiati.

Il signore mi prese il libro, lo passò alla moglie e disse: – Ce lo leggerà, legge molto bene, e intanto noi ci rifocilliamo un po'.

La signora si mise a leggere.

Sempre ascoltando, io sentivo la preghiera che saliva nel mio cuore; più essa leggeva e più la preghiera si sviluppava e mi riconfortava.

A un tratto vidi una forma passare rapidamente nell'aria, come se fosse il mio starets defunto.

Feci un gesto, ma per nasconderlo dissi: – Scusatemi, mi ero distratto.

In quel momento, ebbi l'impressione che lo spirito dello starets penetrasse nel mio e lo illuminasse, e sentii in me come una grande chiarezza e molte idee sulla preghiera.

Mi segnai e mi sforzai di respingere quelle idee, mentre la signora terminava la lettura e il signore mi chiese se mi era piaciuta.

La conversazione si svolse su questo argomento.

– Mi piace molto – dissi –.

D'altra parte il Padrenostro è più elevato e più prezioso di tutte le preghiere scritte che noi abbiamo; perché è il Signore Gesù che ce l'ha insegnato.

Il commento che voi avete letto è molto buono, ma è completamente rivolto verso la vita attiva del cristiano, mentre io ho letto nei santi Padri una spiegazione che è soprattutto mistica e orientata verso la contemplazione.

– In quali Padri l'hai trovato?

– Oh, in Massimo il Confessore per esempio, e nella Filocalia di Pietro Damasceno.

– Te ne ricordi? Puoi ripetercene qualche passo?

– Certo. Inizio della preghiera: Padre nostro che sei nei cieli: nel libro che avete letto si afferma che queste parole significano che bisogna amare fraternamente il nostro prossimo, perché siamo tutti figli di uno stesso Padre.

È giusto, sì, ma i Padri aggiungono un commento più spirituale.

Dicono che, pronunciando quelle parole, bisogna elevare lo spirito verso il Padre celeste e ricordarsi l'obbligo di essere in ogni istante alla presenza di Dio.

Le parole: Sia santificato il tuo nome si spiegano nel libro con la necessità di far attenzione a non invocare invano il nome di Dio; ma i commentatori mistici vi vedono la domanda della preghiera interiore del cuore, ossia, perché il nome di Dio sia santificato, bisogna che sia inciso nell'intimo del cuore e che con la preghiera perpetua santifichi e illumini tutti i sentimenti, tutte le forze dell'anima.

Le parole Venga il tuo regno sono spiegate così dai Padri: vengano nel nostro cuore la pace interiore, il riposo e la gioia spirituale.

Nel libro si spiega che le parole Dacci oggi il nostro pane quotidiano riguardano i bisogni della nostra vita corporale e quel che è necessario per venire in aiuto al prossimo.

Ma Massimo il Confessore intende per pane quotidiano, il pane celeste che nutre l'anima, ossia la parola di Dio, e l'unione dell'anima con Dio nella contemplazione e nella preghiera perpetua nel profondo del cuore.

– Ah, la preghiera interiore è un'impresa difficile, quasi impossibile a coloro che vivono nel mondo – esclamò il padrone di casa – occorre tutto l'aiuto del Signore anche per poter compiere senza pigrizia la preghiera ordinaria.

– Non dite questo, piccolo padre. Se fosse un'impresa superiore alle forze umane, Dio non l'avrebbe imposte a tutti.

La sua forza si compie nella debolezza ( 2 Cor 13,9 ) e i Padri ci offrono mezzi che facilitano molto la via verso la preghiera interiore.

– Non ho mai letto nulla di preciso su questo argomento – disse il signore.

– Se volete, vi leggerò qualche passo della Filocalia.

Presi la Filocalia, cercai un brano di Pietro Damasceno nella terza parte, a pagina 48, e lessi quanto segue: Bisogna lasciarsi indurre a invocare in nome del Signore più spesso ancora del respiro, in ogni tempo, in ogni luogo e in ogni circostanza.

L'Apostolo dice: Pregate senza posa; egli insegna con questo monito che bisogna ricordarsi di Dio in ogni momento, in ogni luogo e in ogni cosa.

Se tu costruisci qualcosa, devi pensare al Creatore di tutto quello che esiste; se vedi la luce, ricordati di colui che te la data; se guardi il cielo, la terra, il mare e tutto quello che essi contengono, ammira e glorifica colui che li ha creati, se ti copri con una veste, pensa a colui dal quale l'hai ricevuta e ringrazialo, lui che provvede alla tua esistenza.

Insomma, che ogni gesto ti sia motivo di celebrare il Signore, così tu pregherai senza posa e l'anima tua sarà sempre nella gioia.

Vedete com'è facile il sistema e accessibile a tutti coloro che abbiano anche un barlume di sentimento umano.

Quel brano piacque molto ai due sposi.

Il marito mi abbracciò con entusiasmo, mi ringraziò, sfogliò la Filocalia e disse: – Bisogna proprio che comperi questo libro; lo ordinerò a Pietroburgo; ma per ricordarmene meglio, voglio copiare subito il paso che hai detto.

Dettamelo, ti prego. Lo trascrisse subito in bella scrittura, poi esclamò: – Mio Dio! Ho appunto un'icona di Damasceno! ( era probabilmente san Giovanni Damasceno ).

Aprì l'immagine e fissò sotto l'icona il foglio che aveva appena trascritto dicendo: – La parola viva di un servo di Dio, messa sotto la sua immagine, mi stimolerà spesso a mettere in pratica questo consiglio salutare.

Poi andammo a cena. Tutti erano di nuovo a tavola insieme con noi, uomini e donne.

Quale silenzio raccolto e quale calma durante la cena!

Dopo aver finito, tutti dicemmo la preghiera, compresi i bambini, e mi pregarono di leggere l'inno a Gesù dolcissimo.

I servi andarono a dormire e noi rimanemmo, tutti e tre, nella stanza.

La signora allora mi portò una camicia bianca e delle calze.

Mi inchinai profondamente e dissi: – Piccola madre, non posso prendere le calze, no ne ho portate mai, noi portiamo sempre delle fasce.

Tornò dopo un poco con una vecchia casacca di panno che tagliò a strisce larghe.

E il padrone di casa, dopo aver dichiarato che le mie scarpe non servivano più a nulla, me ne portò un paio di nuove che egli calzava al di sopra degli stivali.

– Va' in quella camera – mi disse – Non c'è nessuno, potrai cambiarti di biancheria.

Andai a cambiarmi e tornai verso di loro.

Mi fecero sedere su una sedia e si misero a calzarmi, il marito arrotolava le fasce, la moglie mi calzava le scarpe.

Dal principio non volevo lasciarli fare, ma essi mi fecero sedere dicendo: – Siedi e taci, Cristo ha lavato i piedi ai suoi discepoli.

Non riuscii a resistere e mi misi a piangere; e anch'essi piangevano con me.

Allora la signora si diresse verso la camera dei suoi figli per la notte, mente il signore e io andammo in giardino per intrattenerci un poco nel padiglione.

Rimanemmo a lungo, sdraiati per terra e si conversava.

A un tratto egli mi si avvicinò e mi disse: – Rispondimi in coscienza e in verità. Chi sei?

Devi essere di famiglia nobile e fingi di essere un semplice.

Leggi e scrivi benissimo, pensi e parli con correttezza; certo non hai ricevuto l'educazione di un contadino.

– Ho parlato con cuore aperto tanto a voi che a vostra moglie; ho raccontato le mie origini con tutta sincerità e non ho mai pensato di mentire o di ingannarvi.

E a quale scopo? Quello che dico non viene da me, ma dal mio saggio starets defunto, o dai Padri che ho letto; e la preghiera interiore, che più di tutto illumina la mia ignoranza, non l'ho acquistata da me; è nata nel mio cuore per misericordia divina e grazie all'insegnamento dello starets.

Ognuno può altrettanto; basta immergersi più silenziosamente nel proprio cuore e invocare un po' di più il nome di Gesù Cristo, si scopre ben presto la luce interiore, tutto diventa chiaro, e in questa chiarità appaiono certi misteri del Regno di Dio.

Ed è già un grande mistero, quando l'uomo scopre questa capacità di rientrare in sé, di conoscersi veramente e di piangere dolcemente sulla propria caduta e sulla sua volontà pervertita.

Non è molto difficile pensare in modo sano e parlare con le persone, è una cosa possibile perché la mente e il cuore esistevano prima della scienza e della saggezza umana.

Si può sempre coltivare la mente con la scienza o l'esperienza; ma dove non c'è intelligenza, l'educazione non giova a nulla.

Quello che c'è è che noi siamo lontani da noi stessi e che non desideriamo ravvicinarci, anzi fuggiamo sempre per non trovarci faccia a faccia con noi stessi, preferiamo cose da poco conto alla verità, e pensiamo: mi piacerebbe avere una vita spirituale, occuparmi della preghiera, ma non ne ho il tempo, gli affari e le preoccupazioni mi impediscono di dedicarmi veramente.

Ma che cosa è più importante e più necessario: la vita terrena dell'anima santificata o la vita passeggera del corpo per il quale noi ci diamo tanta pena?

Così la gente arriva o alla saggezza o alla stupidità.

–Scusa, fratello caro, non ho parlato per semplice curiosità, ma per benevolenza e per sentimento cristiano, perché due anni fa ho incontrato un caso che era proprio curioso.

Venne un giorno da noi un vecchio mendicante che non si reggeva più in piedi; aveva il passaporto di un soldato liberato ed era così povero che andava in giro quasi nudo; parlava poco e proprio come un contadino.

Lo accogliemmo nell'asilo; dopo cinque giorni cadde malato, lo trasportammo nel padiglione e mia moglie ed io ci occupammo esclusivamente di lui.

Quando ci rendemmo conto che stava per morire, facemmo venire il nostro prete che lo confessò, gli diede la comunione e gli ultimi sacramenti.

Il giorno prima di morire si alzò, mi chiese un foglio di carta e una penna, e insistette perché la porta rimanesse chiusa e nessuno entrasse mentre egli scriveva il suo testamento, che avrei dovuto poi recapitare a suo figlio, a Pietroburgo.

Rimasi stupito, quando vidi che scriveva benissimo e le sue frasi erano veramente corrette, eleganti e piene di affetto.

Ti mostrerò domani quel testamento, ne ho serbato una copia.

Tutto questo mi meravigliò moltissimo e, spinto dalla curiosità, gli chiesi di raccontarmi la sua origine e la sua vita.

Egli mi fece giurare che non ne avrei parlato con alcuno prima della sua morte, e per la gloria di Dio mi fece questo racconto.

– Ero un principe e ricchissimo; conducevo la vita più dissipata, brillante e lussuosa che si possa immaginare.

Mia moglie era morta e vivevo con mio figlio, che era capitano della Guardia.

Una sera, mentre mi preparavo per andare a un ballo di gala, persi la calma contro il mio cameriere; nella mia impazienza lo colpii alla testa e ordinai che lo si rimandasse a casa sua.

Questo avveniva la sera, e l'indomani il domestico morì di una infiammazione al cervello.

Ma non si diede molta importanza alla cosa e, pur rimproverandomi la mia violenza, finii per dimenticare l'accaduto.

Dopo sei settimane, il cavaliere cominciò a comparire ne miei sogni; ogni notte egli veniva a tormentarmi e a muovermi rimproveri, ripetendo continuamente: – Uomo senza coscienza, tu mi hai ucciso!

–. Poi lo vidi anche mentre ero sveglio.

L'apparizione divenne sempre più frequente, fino a diventare l'assillo di ogni istante.

A un certo momento, oltre a lui cominciai a vedere anche altri morti, uomini che avevo offeso in modo grossolano, donne che avevo sedotte.

Tutti mi rivolgevano dei rimproveri e non mi lasciavano più pace, tanto che non potevo più dormire né mangiare o fare qualsiasi altra cosa; ero ormai all'estremo delle mie forze e la pelle si attaccava alle ossa.

Gli sforzi dei migliori medici non ottennero alcun risultato.

Partii allora per l'estero, ma dopo sei mesi di assidue cure, non solo non avevo migliorato in nulla, ma le terribili apparizioni continuavano a intensificarsi.

Mi ricondussero a casa più morto che vivo; l'anima mia, prima di venir separata dal corpo, ha conosciuto in pieno le torture dell'inferno; da allora ho creduto all'inferno e ho saputo che cosa sia.

In mezzo a quei tormenti compresi finalmente la mia infamia, mi pentii, mi confessai, liberai tutti i miei servi e feci voto di passare il resto della mia vita nei lavori più duri e di nascondermi sotto le vesti di un mendicante per essere il più umile servo della gente di infima condizione.

Avevo appena preso con fermezza questa decisione che le apparizioni cessarono di ossessionarmi.

La mia Riconciliazione con Dio mi dava una gioia tale, un tale sentimento di conforto che non posso esprimerlo degnamente.

Ho capito allora per esperienza che cosa è il paradiso e che il regno di Dio si realizza all'interno dei nostri cuori.

In breve tempo mi rimisi completamente, misi in esecuzione il mio progetto e, fornito del passaporto di un ex-soldato, lasciai segretamente il luogo della mia nascita.

Sono ormai quindici anni che vado errando per la Siberia.

A volte mi sono fatto assumere da contadini per dei lavori secondo le mie forze, altre volte ho mendicato in nome di Cristo.

Ah, in mezzo a tante privazioni, quale felicità ho goduto!

Quale beatitudine, quale pace della coscienza!

Può comprenderla solo colui che la misericordia divina ha tratto da un inferno di dolore, per trasportarlo al paradiso di Dio.

Con queste parole mi consegnò il testamento, perché lo spedissi a suo figlio, e il giorno dopo morì.

– Ecco, ne ho una copia nella Bibbia che si trova nel mio sacco.

Se lo volete leggere ve lo mostrerò. Eccolo qua.

Spiegai il foglio e lessi: "In nome di Dio glorificato nella Trinità, Padre, Figlio e Spirito Santo.

Carissimo figliolo, Da quindici anni tu non rivedi tuo padre, ma nella sua oscurità egli riceveva ogni tanto notizie di te e nutriva per te un amore paterno.

È questo amore che lo spinge ora a inviarti queste ultime parole perché ti siano guida nella vita.

Tu sai quanto ho sofferto per riscattare la mia vita colpevole e leggera; ma tu non sai la felicità che mi hanno data, durante questa vita oscura ed errante, i frutti del pentimento.

Muoio in pace presso il mio benefattore che è anche il tuo perché i benefici fatti al padre devono raggiungere anche il figlio affezionato.

Esprimigli la mia riconoscenza con tutti i mezzi che sono in tuo potere.

Lasciandoti la mia paterna benedizione, ti esorto a ricordarti di Dio e ad obbedire alla tua coscienza; sii buono, prudente e ragionevole; tratta con benevolenza tutti i tuoi dipendenti, non disprezzare i mendicanti o i pellegrini, memore che solo lo spogliamento di tutto e la vita errante hanno permesso a tuo padre di trovare il riposo dell'anima.

Pregando Dio che ti accordi la sua grazia, chiudo gli occhi serenamente nella tua speranza della vita eterna, grazie alla misericordia del Redentore degli uomini, Gesù Cristo".

È così che noi parlavamo con quel buon signore.

A un tratto gli dissi: – Penso, piccolo padre, che dovete spesso avere delle noie con il vostro asilo.

Vi sono tanti fratelli nostri che diventano pellegrini per indifferenza o per pigrizia, e che ne combinano di tutti i colori per la strada, come ho dovuto spesso constatare.

– No, quelli sono molto rari – rispose il signore – .

Non abbiamo visto mai che veri pellegrini.

Ma quando non hanno l'aria molto raccomandabile, noi siamo ancora più gentili con loro e li tratteniamo un po' di tempo nell'ospizio.

A contatto con i nostri poveri, fratelli di Cristo, spesso essi si correggono e se ne vanno con cuore umile e dolce.

Non molto tempo fa ne ho avuto un altro esempio.

Un commerciante della nostra città era caduto così in basso che veniva cacciato a bastonate e nessuno voleva dargli nemmeno un tozzo di pane.

Era ubriacone, violento, attaccabrighe, e per di più rubacchiava quando poteva.

Un giorno egli capitò da noi spinto dalla fame; chiese pane e acquavite, perché bere gli piaceva.

Lo ricevemmo affabilmente e gli dicemmo: rimani da noi avrai acquavite finché ne vuoi, ma a un patto: dopo aver bevuto andrai a dormire, e se darai il minimo scandalo, non solo ti cacciamo via per sempre, ma chiederemo al commissario di polizia di farti incarcerare per vagabondaggio.

Accettò e rimase da noi.

Per una settimana e più, egli bevve veramente finché poté; ma ogni volta, secondo la sua promessa e perché aveva paura di rimanere senza alcool, andava a coricarsi nel suo letto o a sdraiarsi zitto zitto in fondo al giardino.

Quando riprendeva i sensi i nostri fratelli dell'asilo gli parlavano e lo esortavano a dominarsi almeno un po'.

Così egli cominciò a bere meno e in capo a tre mesi era diventato assolutamente sobrio.

Ora lavora non so più in che posto e non mangia più il pane degli altri.

È venuto a salutarmi proprio l'altro ieri.

– Quale saggezza in questa disciplina guidata dalla carità!

– Pensai tra me ed esclamai: – Sia benedetto Dio, la cui misericordia agisce dentro le mura della vostra casa!

Dopo tutti questi discorsi, ci assopimmo, e sentendo la campana suonare l'Ufficio del mattino, andammo i chiesa, dove già si trovavano la signora e i bambini.

Ascoltammo l'Ufficio, poi la divina liturgia.

Eravamo nel coro con il signore e il suo figliuolo, la signora e la fanciullina erano invece all'apertura dell'iconostasi per vedere l'elevazione dei sacri doni.

Mio Dio, come pregavano tutti e quali lacrime di gioia versavano!

I loro volti erano così illuminati che, a forza di guardarli, mi misi a piangere anch'io!

Alla fine dell'Ufficio, i padroni, il prete, i servi e tutti i mendicanti si misero insieme a tavola; c'erano una quarantina di mendicanti, infermi, malati e bambini.

Quale silenzio e quale pace intorno a quella tavola!

Facendomi coraggio, dissi sottovoce al signore: – Nei monasteri si leggono le vite dei santi durante il pasto; potreste fare altrettanto perché avete il Menologio al completo.

Il signore si rivolse alla moglie e disse: – Ascoltare è un vero piacere per me, ma a quanto a leggere, per carità! Non ho un minuto libero.

Appena metto piede in casa mia non so più dove sbattere il capo, tante son le brighe e i pensieri, ci vuol questo, occorre quest'altro; un sacco di bambini; il bestiame per i campi: tutto il giorno passa in queste miserie e non rimane un minimo per leggere e per istruirsi.

Tutto quello che ho imparato in seminario l'ho dimenticato da un bel pezzo.

A queste parole mi sentii fremere, ma la signora mi prese il braccio e mi disse:– Il padre parla così per umiltà, tende sempre a umiliarsi, ma è un uomo eccellente e molto pio; è vedovo da tanti anni, educa lui tutti i suoi nipotini, e per di più recita spesso gli uffici.

Queste parole mi richiamarono un passo di Niceta Stethatos 13 nella Filocalia: "È secondo la disposizione interiore dell'anima che si apprezza la natura degli oggetti", ossia ciascuno si forma un'idea degli altri secondo quello che egli stesso è; e più avanti si legge ancora: "Colui che giunge alla preghiera e all'amore vero non distingue più gli oggetti, non distingue i gusti del peccatore, ma ama ugualmente tutti gli uomini e non li condanna, come Dio fa brillare il sole e cadere la pioggia sui buoni e sui cattivi".

Si rifece il silenzio; davanti a me stava seduto un accattone dell'asilo, completamente cieco.

Il signore lo aiutava a mangiare, gli divideva il pesce, gli porgeva il cucchiaio e gli versava da bere.

Lo guardai con attenzione e mi accorsi, che nella sua bocca sempre socchiusa, la sua lingua si muoveva continuamente.

Mi chiesi se non stesse recitando la preghiera e lo guardai con maggiore attenzione.

Alla fine del pasto, una vecchina si sentì male ; soffocava ed emetteva dei gemiti.

Il signore e la consorte la condussero nella loro camera e la stesero sul letto; la signora rimase con lei a curarla, il prete andò a cercare a ogni buon conto i santi doni e il signore ordinò la carrozza per correre in città a cercare un medico.

Tutti si sparpagliarono. Avevo in me come una fame di preghiera; provavo un bisogno violento di lasciarla sgorgare, da due giorni ormai ero tranquillità né silenzio.

Sentivo nel mio cuore come un'onda traboccare ed espandersi in tutte le membra, e poiché la trattenevo, ebbi un acuto male al cuore, ma un male benefico che mi spingeva soltanto alla preghiera e al silenzio.

Compresi allora perché i veri adepti della preghiera perpetua fuggivano il mondo e si nascondevano lontani da tutti; compresi anche perché il beato Esichio disse che il colloquio più elevato non è che una chiacchierata se si protrae troppo, e mi ricordai le parole di sant'Efrem il Siro 15: "Un buon discorso è d'argento, ma il silenzio è d'oro puro".

Pensando a tutto questo, arrivai all'ospizio: tutti dormivano dopo il pasto.

Salii nel granaio, mi calmai, riposai e pregai un poco.

Quando i poveri si svegliarono, andai a trovare il cieco e lo condussi in giardino; ci sedemmo in un angolo appartato e cominciammo a parlare.

– Dimmi, in nome di Dio e per il bene della mia anima, tu reciti la preghiera di Gesù?

– È molto tempo ormai che la ripeto senza posa.

– Che effetto ne ricavi? – Solo che non ne posso più fare a meno, né di giorno né di notte.

– Come ti ha rivelato Dio questa attività? Raccontamelo, fratello, in ogni particolare.

– Ebbene, io sono un artigiano di qua, mi guadagnavo il pane facendo il sarto, andavo negli altri governatori, nei villaggi e cucivo i vestiti dei contadini.

In un villaggio mi capitò di rimanere un po' di tempo in casa di un contadino per vestire tutta la famiglia.

Un giorno di festa che non c'era nulla da fare, scorsi tre vecchi libri sulla mensola che stava sotto le icone.

Chiesi a quella gente: – C'è qualcuno tra voi che sa leggere?

Mi risposero: – Nessuno; questi libri sono di uno zio che sapeva leggere e scrivere.

Presi uno di quei libri, l'aprii a caso e lessi queste parole che ancor oggi ricordo a memoria: La preghiera perpetua consiste nell'invocare senza posa il nome del Signore; seduto o in piedi, a tavola o al lavoro, in ogni occasione, in ogni luogo e in ogni tempo, bisogna invocare il nome del Signore.

Riflettei a quel che avevo letto e trovai che andava bene per me; così mentre cucivo mi misi a ripetere sottovoce la preghiera e me ne sentivo felice.

Le persone che vivevano con me nell'izba se ne accorsero e mi presero in giro:– Sei uno stregone, che borbotti senza posa? O che fai l'incantesimo?

Per non farmi capire, smisi di muovere le labbra e mi provai a dire la preghiera muovendo soltanto la lingua.

Alla fine, mi ci sono così abituato che la lingua recita la preghiera giorno e notte, e questo mi fa bene.

Continuai a lavorare per parecchi anni finché, quasi all'improvviso, divenni completamente cieco.

Da noi, in famiglia, abbiamo quasi tutti l'acqua oscura in fondo agli occhi.

Poiché sono molto povero, il comune mi ha trovato un posto nell'asilo di Tobolsk.

È là che vado, ma i signori di qua mi hanno trattenuto, perché vogliono darmi una carrozza per arrivare fin là.

– Come si chiamava il libro che tu hai letto? Non era la Filocalia per caso?

– Parola mia, non lo so. Non ho guardato il titolo.

Andai a prendere la mia Filocalia. Ritrovai nella quarta parte le parole del patriarca Callisto che il cieco mi aveva detto a memoria e cominciai a leggere.

– È proprio questo – gridò il cieco –. Leggi, leggi fratello, perchè è veramente magnifico.

Quando giunsi al passo in cui si dice: bisogna pregare con il cuore, mi chiese che cosa questo voleva dire e come lo si praticava.

Gli dissi che tutto l'insegnamento della preghiera del cuore era esposto in modo dettagliato in questo libro, la Filocalia, ed egli mi chiese con insistenza di leggergli tutto quello che la riguardava.

– Vediamo un po' come si può fare – gli dissi –.

Quando conti di partire per Tobolsk? – Anche subito, se vuoi – rispose il cieco.

– Benone. Vorrei partire di qua domani, non ci rimane che partire insieme e durante il cammino io ti leggerò tutto quello che riguarda la preghiera del cuore e ti indicherò come scoprire il tuo cuore e penetrarvi.

– E la carrozza? – disse lui.– Lascia perdere la carrozza.

Da qui a Tobolsk non ci sono che centocinquanta verste, andremo adagio; in due nella solitudine è bello camminare; e camminando si va bene leggendo e parlando della preghiera.

Ci mettemmo così d'accordo; la sera il signore venne a chiamarci per la cena e, dopo aver mangiato, gli spiegammo che desideravamo andarcene e non avevamo bisogno di carrozza, perché volevamo leggere la Filocalia.

Il signore ci disse con calore: – La Filocalia è piaciuta molto anche a me; ho già scritto la lettera e preparato il denaro e domani, quando vado in tribunale, manderò il tutto a Pietroburgo per ricevere la Filocalia con il prossimo corriere.

L'indomani dunque ci mettemmo in cammino, dopo aver molto ringraziato quei buoni signori per la loro carità e la loro dolcezza; ci accompagnarono tutti e due per una versta e infine ci salutammo per sempre.

Andavamo pian piano con il cieco, percorrendo in media da dieci a quindici verste al giorno, e tutto il resto del tempo ce ne stavamo seduti nei luoghi appartati e leggevamo la Filocalia.

Lessi tutto quello che riguardava la preghiera del cuore, seguendo l'ordine indicato dal mio starets, ossia cominciando dai libri di Niceforo il Monaco, di Gregorio il Sinaita, e via di seguito.

Quale attenzione e quale ardore metteva nell'ascoltare quelle cose!

Cominciò poi a pormi delle domande tali sulla preghiera che la mia mente non bastava per rispondergli.

Dopo aver ascoltato la mia lettura, il cieco mi chiese di insegnargli un mezzo pratico di trovare il suo cuore con la mente, di introdurvi il nome divino di Gesù Cristo e di pregare così interiormente con il cuore.

Gli dissi: – Tu certamente non vedi, ma con l'intelligenza ti puoi rappresentare quel che hai veduto un tempo, un uomo, un oggetto o le tue membra, il braccio o la gamba: puoi immaginarlo nitidamente come se tu lo vedessi e puoi, benché cieco, dirigere il tuo sguardo verso di esso?

– Lo posso sì – rispose il cieco. – Fa' così, allora.

Immagina il tuo cuore, volgi gli occhi come se tu lo vedessi attraverso il petto, e ascolta con l'orecchio teso come esso batte un colpo dopo l'altro.

Quando ti sarai abituato, cerca di adattare a ogni battito del cuore, senza perderlo di vista, le parole della preghiera.

Ossia, con il primo battito dirai o penserai: Signore; con il secondo: Gesù; con il terzo: Cristo; con il quarto: abbi pietà; con il quinto: di me; e ripeti spesso l'esercizio.

Ti riuscirà facile perché sei già abituato alla preghiera del cuore.

Poi, quando ti sarai abituato a questa attività, comincia a introdurre nel tuo cuore la preghiera di Gesù e a farla uscire insieme con il ritmo del respiro.

Ossia inspirando l'aria, di' o pensa: Signore Gesù Cristo; ed espirando: abbi pietà di me!

Se tu farai in questo modo abbastanza spesso e per un certo tempo, proverai un lieve dolore al cuore, poi a poco a poco sentirai sorgere un benefico calore.

Con l'aiuto di Dio, giungerai così all'azione costante della preghiera all'interno del cuore.

Ma guardati specialmente da ogni rappresentazione, da ogni immagine che nasca nel tuo spirito mentre preghi.

Respingi ogni fantasia, perché i Padri ci raccomandano, per non cadere nell'illusione, di serbare vuoto lo spirito da ogni immagine durante la preghiera.

Il cieco, che mi aveva ascoltato attentamente, si applicò con zelo a fare quanto gli avevo suggerito, e la notte, nelle soste, vi trascorreva lunghi tratti di tempo.

Dopo cinque giorni, sentì nel cuore un calore intenso e una indicibile felicità; per di più aveva un desiderio vivissimo di dedicarsi senza posa alla preghiera, che gli rivelava l'amore che egli portava a Gesù Cristo.

A volte vedeva una luce, ma non gli appariva davanti oggetto alcuno; quando entrava nel suo cuore, gli sembrava di vedere sfavillare la fiamma luminosa di un gran cero che sfuggendo all'esterno, lo illuminava interamente; e questa fiamma gli permetteva anche di vedere oggetti lontani, come capitò una volta.

Stavamo attraversando un bosco ed egli era immerso nella preghiera, quando a un tratto mi disse: – Che disastro! La chiesa brucia e il campanile è caduto.

– Non evocare queste immagini vuote – gli dissi – è una tentazione questa.

Devi respingere ogni fantasticheria. Come puoi vedere quello che avviene in città? Siamo ancora lontani dodici verste.

Egli mi obbedì e si rimise a pregare in silenzio.

Verso sera arrivammo in quella città e vidi infatti, parecchie case incendiate e un campanile crollato ( era costruito su travi di legno ), e tutt'intorno la gente discuteva, meravigliandosi che il campanile nel crollo non avesse schiacciato qualcuno.

A quanto potei capire, la sciagura era avvenuta proprio nel momento in cui il cieco aveva parlato nel bosco.

In quell'istante lo sentii dire: – Secondo te, la mia visione era vana, e pure è andata così.

Come non ringraziare il Signore Gesù Cristo che rivela la sua grazia ai peccatori, ai ciechi e agli sciocchi?

Grazie a te, anche, che mi hai insegnato l'attività del cuore!

– Se vuoi amare Gesù Cristo, amalo pure, e se lo vuoi ringraziare, ringrazialo; ma prendere visioni qualsiasi per rivelazioni dirette della grazia, questo no, perché è una cosa che avviene spesso naturalmente, secondo l'ordine delle cose.

L'anima umana non è completamente legata alla materia.

Può vedere nell'oscurità, e gli oggetti lontani quanto quelli vicini.

Ma noi non coltiviamo questa facoltà dell'anima, anzi la soffochiamo con il peso del nostro corpo opaco e con la confusione dei nostri pensieri distratti e leggeri.

Quando ci concentriamo in noi stessi e astraiamo da tutto quel che ci circonda e aguzziamo l'ingegno, allora l'anima ritorna completamente a se stessa, agisce con tutta la sua potenza, ed è questa un'azione naturale.

Il mio starets defunto m'ha detto che non solo gli uomini di preghiera, ma anche persone malate o particolarmente dotate, quando si trovano in una stanza buia, vedono la luce che emana da ogni oggetto e penetrano gli altrui pensieri.

Ma gli effetti diretti della grazia di Dio, durante la preghiera del cuore, sono così alti che non c'è lingua capace di descriverli; è impossibile paragonarli ad alcunché di materiale; il mondo sensibile è basso in paragone alle sensazioni che la grazia ridesta nel cuore.

Il mio amico ascoltò queste parole con estrema attenzione e divenne anche più umile; la preghiera si sviluppava senza posa nel cuore e lo confortava in modo indicibile.

La mia anima era felice e io ringraziavo il Signore che mi aveva fatto conoscere tanta pietà in uno dei suoi servi.

Infine Giungemmo a Tobolsk; lo condussi all'ospizio e, dopo avergli detto affettuosamente addio, ripresi la mia strada solitaria.

Per un mese me ne andai tranquillo e lieto, sentendo quanto siano utili ed efficaci gli esempi vivi.

Leggevo spesso la Filocalia e vi verificavo tutto quello che avevo detto al cieco.

Il suo esempio infiammava di zelo, la mia dedizione e l'amore per il Signore.

La preghiera del cuore mi rendeva così felice quanto non avrei creduto lo si potesse essere sulla terra, e mi chiedevo come le delizie del regno dei cieli avrebbero potuto essere più grandi di queste.

La felicità non soltanto illuminava l'intimo dell'anima mia: anche il mondo esterno mi appariva sotto un aspetto stupendo, tutto mi chiamava ad amare e a lodare Dio; gli uomini, gli alberi, le piante, le bestie, ogni cosa mi era familiare, e dovunque io trovavo l'immagine del nome di Gesù Cristo.

A volte mi sentivo così leggero che credevo di non avere più un corpo e di fluttuare dolcemente nell'aria; a volte rientravo completamente in me stesso.

Vedevo in modo chiaro il mio intimo e ammiravo il magnifico edificio del corpo umano; a volte sentivo una gioia grande come se fossi diventato re, e in mezzo a tutte queste consolazioni mi auguravo che Dio mi concedesse di morire al più presto e di far traboccare la mia riconoscenza ai suoi piedi nel mondo degli spiriti.

Certo io presi troppo piacere in queste sensazioni, oppure forse Dio decise così, ma dopo un po' di tempo sentii nel mio cuore una specie di timore e un tremito continuo.

– Non sarà mica una nuova disgrazia – mi dissi – o una tribolazione come quella che ho dovuto affrontare per quella ragazza alla quale avevo insegnato la preghiera di Gesù nella cappella?

–. I pensieri mi opprimevano come le nuvole, e io ricordavo le parole del beato Giovanni di Karpathos, il quale disse che il maestro è spesso lasciato al disonore e sopporta tentazioni e tribolazioni per coloro che ha spiritualmente aiutati.

Dopo aver lottato contro tali pensieri, mi immersi nella preghiera che li dissipò completamente.

Mi sentii più forte e dissi: – Sia fatta la volontà di Dio! Sono pronto a sopportare tutto quello che Gesù Cristo mi manderà per espiare il mio indurimento e il mio orgoglio.

D'altro canto, coloro a cui ho rivelato in questi tempi il mistero della preghiera interiore vi erano stati preparati dall'azione misteriosa di Dio prima di incontrarmi –.

Questo pensiero mi calmò del tutto e camminai nella preghiera e nella gioia, più felice di prima.

Per due giorni il tempo rimase alla pioggia, e la strada era così fangosa che no si poteva uscire dal pantano.

Passai per la steppa e per quindici verste non trovai un luogo abitato; infine, verso sera, scorsi una locanda sul ciglio della strada e mi rallegrai tutto al pensiero che avrei potuto riposare in un letto e trascorrere la notte al riparo.

E l'indomani, a Dio piacendo, il tempo sarebbe stato forse un po' migliore.

La stazione di posta

Avvicinandomi, scorsi un vecchio, vestito con un cappotto militare; era seduto sulla scarpata davanti alla locanda e aveva l'aria di essere ubriaco.

Lo salutai e dissi: – Posso chiedere a qualcuno il permesso di dormire qui, stanotte?

– E chi altri se non io può farti entrare? – esclamò il vecchio

– Il padrone, qui, sono io! Sono mastro di posta e qui è la posta dei cavalli.

– Bene, lasciatemi passare la notte da voi, padre mio.

– Ma … hai un passaporto? Fammi vedere i tuoi documenti!

– Gli mostrai il mio passaporto, e mentre lo teneva in mano, il vecchio gridava: – Dov'è il tuo passaporto?

– Lo avete in mano – gli risposi. – Bene, entriamo in casa.

Il maestro di posta inforcò gli occhiali, guardò il passaporto e disse: – Mi ha l'aria di essere in regola; puoi rimanere qua; vedi, sono un galantuomo; prendi, ti porterò un bicchierino.

– Non bevo – gli risposi. – Non fa nulla! Beh, almeno cena con noi.

Sedette a tavola con la cuoca, una giovane donna che aveva bevuto anche lei la sua parte, e mi sedetti accanto a loro.

Per tutta la cena essi continuarono a discutere e a muoversi aspri rimproveri, e infine ne nacque un vero e proprio litigio.

Il mastro se ne andò a dormire nella dispensa e la cuoca rimase a lavare tazze e cucchiai, imprecando contro il vecchio.

Io stavo seduto e, vedendo che non accennava a calmarsi, le dissi: – Dove potrei coricarmi, io, piccola madre, sono stanco morto per tutta la strada che ho fatto.

Ti preparo subito un letto, piccolo padre.

Collocò una panca accanto a quella che era fissa sotto la finestra dirimpetto e vi stese una coperta di lana e un guanciale.

Io mi distesi, chiusi gli occhi e feci finta di dormire.

Per un bel po' la cuoca continuò ad agitarsi per la stanza; infine, terminato il suo lavoro, spense la luce e si avvicinò a me.

In quell'istante la finestra d'angolo che dava sulla strada crollò con un fracasso assordante; intelaiatura, vetri e imposte volarono in pezzi; contemporaneamente si intesero dalla strada gemiti, urla e rumore di lotta.

La donna, atterrita, balzò in mezzo alla stanza e cadde a terra.

Io saltai giù dal pancone, credendo che la terra si aprisse sotto i miei piedi.

A un tratto vidi due postiglioni che portavano nell'izba un uomo insanguinato, tanto che non si distingueva più nemmeno la faccia.

Questa scena accrebbe la mia angoscia.

Era un corriere dello zar che doveva cambiare i cavalli a quella stazione.

Il postiglione aveva preso male la curva per entrare e il timone aveva centrato in pieno la finestra; ma, poiché davanti all'izba c'era un fosso, la carrozza si era ribaltata e il corriere si era ferito il capo su un palo aguzzo che puntellava la scarpata.

Il corriere chiese acqua e alcool per lavare la ferita.

La disinfettò con acquavite, ne tracannò un bicchiere e gridò: – I cavalli, svelti!

Mi avvicinai a lui e gli dissi: – Come fate a viaggiare con una ferita simile, padre mio?

– Un corriere non ha tempo di essere ammalato – rispose e scomparve.

I postiglioni trascinarono la donna in un canto presso il focolare e la coprirono con una stuoia dicendo:– È stato lo spavento che ha preso.

Il mastro di posta, dal canto suo, si versò un bicchierino e torno a dormire. Io rimasi solo.

Poco dopo, la donna si alzò e si mise a camminare per la stanza come una sonnambula; infine uscì di casa.

Feci una preghiera e, sentendomi debolissimo, mi addormentai poco prima dell'alba.

Il mattino dissi addio al mastro di posta e, camminando per la strada, innalzai la mia preghiera con fede, speranza e riconoscenza al Padre di misericordia e di ogni consolazione, che aveva allontanato da me un'imminente disgrazia.

Sei anni dopo questo fatto, passando davanti a un convento di monache, entrai in chiesa per pregare.

La priora mi accolse affabilmente in parlatorio dopo l'ufficio e mi fece portare del tè.

A un tratto furono annunciati ospiti di passaggio; essa andò loro incontro a mi lasciò con le monachine che la servivano.

Vedendo una di loro versare timidamente il tè, mi venne la curiosità di chiederle: – Siete qui da molto tempo, sorella?

– Cinque anni – rispose –; quando mi hanno portato qui non avevo più la testa a posto, ma Dio ha avuto pietà di me.

La madre superiora mi ha presa con sé nella sua cella e mi ha fatto pronunciare i voti.

– E come avete perso la ragione? – chiesi ancora.

– Per lo spavento. Lavoravo in una stazione di posta.

Una notte, mentre dormivo, un tiro di cavalli irruppe dalla finestra demolendo tutto, e io per lo spavento diventai pazza.

Per un anno intero i miei genitori mi hanno condotta in pellegrinaggio nei luoghi santi.

Bene, solo qui ho potuto guarire.

A queste parole mi rallegrai in cuor mio e glorificai Dio, la cui sapienza fa rivolgere a nostro bene tutte le cose.

– Ho avuto molte altre avventure – dissi rivolgendomi al mio padre spirituale –.

Se volessi raccontarle tutte, non basterebbero tre giorni.

Se volete, vene racconterò ancora una.

In una limpida giornata d'estate vidi a qualche distanza dal sentiero un cimitero, o meglio doveva trattarsi di una comunità parrocchiale con la chiesa, le case dei servi del culto e il cimitero.

Le campane suonavano per l'ufficio; mi affrettai verso la chiesa.

Anche le persone di là vi si stavano dirigendo; ma molti sedevano sull'erba prima di entrare in chiesa e, vedendo che io mi affrettavo, mi dicevano: – Cosa vuoi correre?

Hai tempo, hai tempo; il servizio è lentissimo, il prete è malato e poi è un posapiano di quelli …

In realtà la liturgia non si svolgeva molto in fretta; il prete, giovane ma pallido e secco, celebrava lentamente, con pietà e sentimento; alla fine della Messa pronunciò un'ottima predica sui mezzi per acquistare l'amore di Dio.

Il prete mi invitò a mangiare con lui.

Durante il pasto gli dissi: – Voi dite l'ufficio con grande pietà, padre mio, ma anche tanto adagio!

– Sì – rispose lui – questo non va troppo a genio ai miei parrocchiani, e quelli brontolano, ma non c'è niente da fare; perché a me piace meditare e pesare ogni parola prima di cantarla; le parole, se manca questo sentimento interiore, non hanno più valore né per me, né per gli altri.

Tutto consiste nella vita interiore e nella preghiera attenta!

Ah – aggiunse – quanto poco ci si occupa dell'attività interiore!

Non la si vuole, e allora non si ha cura dell'illuminazione spirituale interiore.

Gli chiesi ancora: – Ma come si può fare per arrivarci? È una cosa molto difficile!

– Affatto; per ricevere l'illuminazione spirituale e diventare un uomo interiore, si deve prendere un testo qualsiasi della Sacra Scrittura e concentrarvi il più a lungo possibile tutta l'attenzione.

Con questo sistema si scopre la luce dell'intelligenza.

Per pregare bisogna agire nello stesso modo; se vuoi che la tua preghiera sia dritta, pura ed efficace, devi scegliere una preghiera breve, e ripeterla a lungo e spesso: si prende gusto alla preghiera.

L'insegnamento del prete mi piacque, perché era pratico e semplice e insieme profondo e saggio.

Ringraziai Dio in spirito per avermi fatto conoscere un vero pastore della sua Chiesa.

Alla fine del pasto il prete mi disse: – Va' a riposarti un poco, devo leggere la parola di Dio e preparare la mia predica per domani.

Mi recai in cucina. Non c'era altri che una vecchia cuoca seduta in un angolo, tutta curva, che tossiva.

Mi sedetti sotto una lucerna, presi dal sacco la Filocalia e mi misi a leggere per me, a bassa voce; dopo un certo tempo mi resi conto che la vecchia seduta nell'angolo recitava senza posa la preghiera di Gesù.

Fui felice di sentire invocare in tal modo il nome santo del Signore e le dissi: – È proprio bello, madre mia, recitare così la preghiera!

È l'opera migliore e più cristiana! – Sì, piccolo padre – rispose lei – al tramonto della mia vita questa è la mia gioia, che il Signore mi perdoni!

– Da molto tempo preghi così? – Dalla mia giovinezza, piccolo padre; senza questo, io non potrei vivere, perché la preghiera di Gesù mi ha salvata dalla sventura e dalla morte.

– Come? Ti prego, raccontamelo per la gloria di Dio e in onore della potente preghiera di Gesù.

Rimisi la Filocalia nel suo sacco, mi sedetti accanto a lei ed essa cominciò il suo racconto: – Ero una bella ragazza; i miei genitori mi fidanzarono; alla vigilia del matrimonio il fidanzato stava per entrare in casa nostra quando all'improvviso ( e gli mancavano pochi passi ) vacillò, e lo vedemmo cadere come colpito dal fulmine!

La cosa mi lasciò un'impressione così forte che decisi di rimanere vergine e di andare a visitare i santi luoghi pregando Dio.

Avevo però paura di andarmene da sola in un viaggio tanto lungo, perché, attirati dalla mia giovinezza, i malintenzionati avrebbero potuto darmi noia.

Una vecchia signora, che da tempo conduceva una vita errante, mi insegnò che si doveva recitare senza posa la preghiera di Gesù e mi garantì che la preghiera mi avrebbe preservata da ogni pericolo lungo la strada.

Credetti alle sue parole, e infatti non mi è mai successo niente, anche nelle regioni più lontane; i miei genitori mi provvedevano il denaro per poter viaggiare.

Invecchiando, sono diventata inferma, e per fortuna il prete di qua mi fornisce il cibo e mi aiuta per bontà.

Ascoltai con gioia il suo racconto e non sapevo come ringraziare Dio per questa giornata che mi aveva rivelato esempi così edificanti.

Un po' più tardi chiesi a quel buon prete di benedirmi e ripresi la mia strada, pieno di gioia.

Sulla via di Kazan

Sentite: non molto tempo fa, quando attraversai il governatorato di Kazan per venire fin qui, potei un'altra volta conoscere gli effetti della preghiera di Gesù; anche per coloro che la praticano inconsciamente, essa è veramente il mezzo più sicuro e più rapido per ottenere i beni spirituali.

Una sera mi dovetti fermare in un villaggio tartaro.

Addentrandomi nella via principale, scorsi davanti a una casa una carrozza e un cocchiere russo; i cavalli erano staccati e pascolavano lì presso.

Tutto lieto, decisi di chiedere un letto in quella casa dove avrei trovato per lo meno dei cristiani.

Mi avvicinai e chiesi al cocchiere chi era la persona che egli conduceva in carrozza.

Rispose che il suo padrone andava da Kazan in Crimea.

Mentre noi due parlavamo insieme, il padrone scostò la tenda di cuoio della portiera, mi gettò un'occhiata e disse: – Vorrei passare la notte qui, ma non entro nella casa dei Tartari perché sono molto sporchi, e così dormirò nella carrozza.

Dopo qualche tempo, il signore uscì per fare quattro passi.

Era una bella serata, e ci mettemmo a parlare.

Ci rivolgemmo reciprocamente parecchie domande; infine egli mi raccontò questa storia: – Fino a sessantacinque anni ho prestato servizio nella flotta come capitano di marina.

Invecchiando mi son preso la gotta e così mi sono ritirato in Crimea nella proprietà di mia moglie; ero quasi sempre malato.

Mia moglie era lieta di poter dare ricevimenti e le piaceva molto giocare a carte.

Finì per non poterne più di quella vita con un malato e se ne andò a Kazan dalla nostra figliola che ha sposato un funzionario; portò con sé ogni cosa, anche i domestici e mi lasciò come servo un ragazzetto di otto anni, mio figlioccio.

Così rimasi tutto solo per tre anni.

Il mio ragazzetto era svelto, riassettava la stanza, accendeva il fuoco, cuoceva la mia zuppa di semolino e mi preparava il tè.

Ma era anche un vero discolo, correva, gridava, giocava, urtava da per tutto e mi disturbava parecchio; sia perché ero malato, sia perché mi annoiavo, leggevo molto volentieri gli autori spirituali.

Avevo un ottimo libro di Gregorio Palamas sulla preghiera di Gesù.

Leggevo quasi senza interruzione e recitavo a tratti la preghiera.

Il rumore del ragazzo mi riusciva sgradevole; né i rimproveri, né i castighi servivano a trattenerlo dal far delle sciocchezze.

Finii per escogitare un mezzo: lo costrinsi a sedere nella mia stanza su un panchettino e a ripetere senza posa la preghiera di Gesù.

All'inizio mi pareva poco persuaso, tanto che, per sottrarsi, stava zitto.

Ma per costringerlo a eseguire il mio ordine, presi le verghe e me le posi accanto.

Quando il ragazzo diceva la preghiera, io leggevo tranquillamente e stavo a sentire quello che diceva lui; ma appena stava zitto, gli mostravo le verghe e il ragazzo, intimorito, si rimetteva a pregare; il sistema stava producendo già i suoi benefici: in una casa cominciava a regnare la calma.

Dopo un po' di tempo, mi avvidi che le verghe non erano più necessarie; il ragazzo eseguiva il mio ordine con maggiore piacere e maggiore zelo; a poco a poco il suo carattere mutò completamente; divenne dolce e silenzioso e si mise a compiere con maggior impegno i lavori di casa.

Ne provai gran gioia e gli lasciai maggiore libertà.

E il risultato? Bene, il ragazzo si abituò tanto alla preghiera che la ripeteva senza posa e senza che io lo forzassi.

Quando gliene parlai, mi rispose che aveva un desiderio immenso di recitare la preghiera.

– E che cosa provi? – Niente di speciale, ma mi sento bene mentre recito la preghiera.

– Ma come, bene? – Non lo so spiegare. – Ti senti allegro? – Sì, mi sento allegro.

Aveva dodici anni quando scoppiò la guerra in Crimea.

Io partii per Kazan e lo portai con me da mia figlia.

Lo sistemammo in cucina con gli altri domestici, ma lui era sconsolato, perché essi passavano il tempo a divertirsi e a giocare tra loro, prendendo in giro il ragazzo e cercando di distrarlo dalla sua preghiera.

Erano passati tre mesi quando venne da me e mi disse: – Torno a casa; non posso sopportare la vita qui, con tanto rumore.

Gli dissi: – Come, vuoi andar così lontano da solo e in pieno inverno?

Aspetta che io riparta e tu verrai con me.

Il giorno dopo il ragazzetto era scomparso.

Lo si mandò a cercare dappertutto, ma fu impossibile trovarlo.

Un bel giorno finalmente ricevetti una lettera dalla Crimea; i custodi della mia vecchia casa mi annunciavano che, il 4 aprile, il giorno dopo Pasqua, era stato trovato nella casa deserta il corpo inanimato del ragazzo.

Giaceva sul pavimento della mia camera, le mani incrociate sul petto, il berretto sotto il capo e con quell'abitino da nulla che portava sempre e con cui era fuggito da Kazan.

Lo sotterrarono nel mio giardino.

Mi meravigliò molto, quando ricevetti la notizia, la rapidità con cui il ragazzo era arrivato fin là.

Era partito il 26 febbraio e fu trovato il 4 aprile.

Tremila verste in un mese si possono percorrere sì e no con un cavallo.

Significa fare cento verste al giorno.

E per di più con abiti leggeri, senza passaporto e senza un centesimo.

Ammesso pure che egli abbia trovato una carrozza per fare la strada, anche questo non poteva avvenire senza un intervento divino.

Così il mio piccolo domestico ha gustato il frutto della preghiera – disse il signore, terminando – e io alla fine della mia vita non sono arrivato in alto come lui.

Allora io dissi a quel signore: – Questo ottimo libro di san Gregorio Palamas che voi avete letto, lo conosco anch'io.

Ma vi si esamina soprattutto la preghiera orale; voi dovreste leggere questo libro che si chiama Filocalia.

Vi troverete l'insegnamento completo della preghiera di Gesù nello spirito e nel cuore.

E gli mostrai la Filocalia. Egli accolse il mio consiglio con visibile piacere e dichiarò che si sarebbe procurato il libro immediatamente.

– Mio Dio – dicevo a me stesso – quali meravigliosi effetti della potenza divina si rivelano con questa preghiera!

Come è edificante e profondo il racconto di quest'uomo; le verghe hanno insegnato la preghiera a quel ragazzo, gli hanno dato la felicità vera!

Le disgrazie e i mali che incontriamo sulla via della preghiera non sono le verghe di Dio?

E allora perché temere quando la mano del nostro Padre celeste ce la addita?

Egli è pieno di infinito amore per noi e queste verghe ci insegnano a pregare più attivamente, esse ci portano a indicibili gioie.

I miei racconti erano terminati, e dissi al mio padre spirituale: – Perdonatemi, in nome di Dio, ho chiacchierato molto e i Padri dichiarano che una conversazione sia pure spirituale non è che vanità se dura troppo tempo.

È tempo ormai che io vada a ritrovare quello che mi deve accompagnare a Gerusalemme.

Pregate per me, povero peccatore, che il Signore nella sua misericordia volga in bene la mia strada.

– Te lo auguro con tutta l'anima, fratello caro nel Signore, rispose lui.

Che la grazia sovrabbondante di Dio illumini i tuoi passi e compia la strada con te, come l'angelo Raffaele con Tobia.

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