La Scala del Paradiso Qui comincia il prolago di questo libro In nomine sanctae et individuae Trinitatis. Amen Questo libro compuose uno delli santi padri antichi, il cui nome fu Jovanni abate del monasterio del monte Sinai, il quale libro scrisse ad istanzia ed a petizione di santo Jovanni abate del monasterio di Raytu e de' suoi monacis; e questo libro santo sì à due nomi: l'uno de' suoi nomi è Le Tavole Spirituali, però che in esso si contengono abreviate e compendiosamente quasi tutte dottrine necessarie alla vita spirituale; l'altro nome si è La Santa Scala, però che in esso si dimostrano tutti gli gradi, per li quali l'anima sale per pervenire alla sommità ed all'altezza della perfezione spirituale, ordinatamente componendo uno grado sopra l'altro a modo di scala, cominciando dalle cose più basse, e seguitando sempre le cose più alte, infino che pervenga alla perfezione della carità divina; onde contiene questo libro trenta gradi, ed il primo si è del renunziamento del mondo, ed il trentesimo si è della fede e della speranza e della carità divina; e da questo nome Scala questo santo che scrisse questo libro, è chiamato e detto Santo loanni Climaco, ed è tanto a dire, quanto Santo lovanni della Scala, perciò che Climas in lingua greca nella nostra lingua latina è a dire Scala. L'altro prolago di questo libro Io frate, che abbo preso a translatare questo libro di latino in volgare, confidandomi dell'aiutorio divino, per sadisfare alle petizioni de' servi di Cristo, gli quali non intendono lo parlare litterato, in prima dichiareremo lo mio intendimento a voi leggenti; e dico che in questa opera non intendo seguitare al tutto l'ordine delle parole del libro scritte in gramatica, però che in questo modo non si dichiarirebbe bene, perciò che ci è grande differenza dal parlare volgare al parlare per gramatica; ma intendo di porre le sentenzie delle parti e delli paragrifi del libro, quanto Iddio mi farà intendere, quanto più chiaro potrò; ed alcune parole, ch'io ci porrò delle chiose de' Santi per più dichiaramento e compimento del testo, per non impacciare le margini del libro, scrivo fra 'l testo sognato di rosso, cioè con filo di cinabro. E del non potere nè sapere ben dichiarare le cose, sì m'accuso, però che de' vocaboli volgari sono molto ignorante, perciò ch'io gli ò poco usati, anche però che le cose spirituali ed alte non si possono sì propiamente spriemere per parole volgari, e però che ogni contrada ed ogni terra ae suoi proprii volgari vocabili, diversi da quelli dell'altre terre e contrade. Ma la gramatica ed il latino non è così, perciò ch'è una apo tutti i latini; però vi priego che mi perdoniate, s'io non vi dichiaro perfettamente le sentenzie e le veritadi di questo libro. Non è difetto del libro e del santo che scrisse, ma è il difetto dello ignorante translatore. Prendete del povero quello che potete, e per carità vi piaccia pregare Iddio per me. Deo gratias. Grado I Il primo capitolo del libro de santo Joanni Olimaco, e lo primo grado della Santa Scala si è della fuga del mondo, e dello rinunziamento delle cose terrene Dal buono e sopra buono e tutto buono Iddio re nostro facciamo il principio del nostro parlare, perciò che è cosa bella e convenevole, vogliendo parlare agli servi di Dio, fare cominciamento e principio da esso Iddio. Di tutte le criature razionali, le quali Iddio ae onorate della degnità dello albitrio, alcuni sono chiamati suoi amici, alcuni sono strani ed alieni da lui, alcuni sono avversarti, pogniamo che sieno impotenti, alcuni sono chiamati suoi nobili servidori, alcuni sono servi inutili. E gli amici sono li santi angeli, secondo che disse lo nostro Signore Gesù Cristo nel santo Vangelio, quando parla dell'uomo che aveva ritrovata la pecora perduta, che disse, che ragunò gli amici e vicini ad allegrarsi con esso, e dispuose che erano li santi angeli questi amici e vicini. Alieni cioè strani e peregrini da Dio sono quelli che non sono battezzati, ovvero che non ànno la fede pura e diritta. Nemici ed avversarti di Dio sono quelli, li quali non solamente si cessano d'obbedire agli comandamenti di Dio, o non operano la volontà divina, ma quanto possono, la pugnano. Li nobili servi sono tutti quelli, li quali la sua santissima volontà sanza pigrizia e negligenzia fanno e faranno. Li servi inutili sono tutti quelli, li quali Iddio gli à fatti degni del santo battesimo; ma quello che nel battesimo promisono, nollo osservarono amorevolmente. E quantunque ognuno di questi stati richiedesse propio e speziale parlamento e trattato, a noi, li quali non siamo savi, non s'appartiene di tutti questi stati special trattato e parlamento fare; ma solamente volemo parlare del secondo stato, cioè delli diletti e nobili servidori, li quali santamente ci sforzano per lo loro comandamento, e per la lor fede ci fanno violenzia a parlare di queste cose. E però noi estendendo la nostra mano per la obedienzia, la quale non discerne se quello che è comandato, è possibile o no, prenderemo la penna della parola, cioè l'audacia del parlare, dallo sforzo che ci fanno, intignendo questa audacia del parlare, come s'intigne la penna nella tinta, nella piagnente e resplendiente umilitài; ed appressando e posando questa penna del parlamento sopra li puliti e candidi loro coraggi, come in carte e maggiormente come in tavole spirituali, dipigneremo parlamenti divini anche maggiormente sementi, cioè piccioli principii, ed immagini, cioè figure ed esempli di cose divine. E volendo di questo stato parlare, cominciamo così: Di tutti quelli, li quali per la diliberazione del loro libero albitrio eleggono di volere Iddio, esso Iddio è la loro vita e la loro salute, o fedeli o infedeli che sieno, giusti o ingiusti, santi o impii, viziosi o non viziosi, monaci o secolari, savi o idioti, sani infermi, giovani o vecchi. Come è uno lume ed uno specchio del sole comune a tutti, ed una successione o mutazione dell'aire comune a tutti, così è Iddio comune a tutti quelli, che vogliono lui, e non è accettatore di persone, l'uno che voglia, e l'altro non voglia. Empio è quegli, che per natura è razionale e mortale, e volontariamente fugge la vita e 'l proprio suo fattore, il quale essendo sempiternale, estima non essere. Iniquo è quegli, il quale abbiendo la legge di Dio e credendola, vive malignamente, e cognoscendo e volendo il contradio di quello che Dio vuole, si pensa di credere a Dio. Cristiano è quegli, che è seguitatore di Gesù Cristo, quanto è possibile a uomo, in parlare e in opere e intenzioni, credendo perfettamente in Dio e nella Trinità Santa. Amatore di Dio è quegli, che tutte le cose naturali usa e participa sanza peccato, e secondo la sua virtù non è negligente a niuno bene. Astinente e continente è quegli, che stando nel mezzo delle tentazioni e de' lacci della tempesta del mondo, si studia e combatte con tutta sua forza d'avere li modi e li costumi liberi dalla tempesta del mondo. Monaco è uno stato e uno ordine di sustanzia sanza corpo, cioè d'angeli, operato e mantenuto nel corpo materiale e sozzo. Monaco è quegli, che solamente le cose che sono di Dio, opera e pensa e parla, ed è unito a Cristo in ogni tempo e in ogni luogo e in ogni fatto. Monaco è quegli, che fa continua violenza alla sua natura, e continua guardia a' sensi suoi. Monaco è quegli, che à il corpo santificato e la bocca purgata e la mente alluminata. Monaco è quegli, che sempre sta in dolore e in pianto, e sempre s'esercita nella memoria della morte, vegghiando o dormendo. Lo dispregiamento e lo lasciamento del mondo si è avere in odio ogni laude umana, ed annegare ogni diletto naturale per acquistare le cose, che sono sopra natura. Tutti quelli che lasciano le cose del mondo e di questa presente vita, lo debbono fare per una di queste tre cose: o per acquistare lo regno del cielo, e per paura delle pene che ànno meritate per li loro molti peccati, o per la carità di Dio, che aggia loro toccato il cuore. Ma quegli che sanza alcune di queste intenzioni si parte dal mondo, lo partimento loro non è ragionevole; ma qual sarà lo termine della vita loro, saprallo Gesù Cristo, il quale è datore di tutti li buoni stati, e non dispregia neuno bene. Tu che se' uscito del mondo per fare penitenzia de' tuoi peccati, prendi esempio da quelli, che stanno alle sepulture a piangere li morti loro, e non cessare di spargere le caldo e infocate lagrime, e dagli pianti e damori di cuore sanza voce, infino a tanto che tu veggi venire a te Gesù Cristo, che tolga la pietra della ciechità del cuor tuo; e come suscitò Lazzero, così liberi dagli peccati la mente tua, e comandi agli angeli suoi ministri, e dica: « Scioglietelo da' vizii e da le passioni, e lasciatelo ire alla beata impassibilità; » e se non fai così, non andrà innanzi il fatto tuo. Tutti noi, che vogliamo uscire d'Egitto e fuggire delle mani di Faraone, al postutto abbisogniamo d'avere alcuno Moisè, cioè mezzatore tra Dio e noi, che stenda le mani a Dio per noi, acciò che sotto la guida sua trapassiamo il mare de' peccati, ed abbiamo vittoria di Amalech, cioè delle nostre tentazioni. E però furono ingannati quelli, che si confidorono in lor medesimi, non credendo abisognare d'alcun guidatore, che lo dirizzasse per la via di Dio. Ricordianci come quelli che uscirono d'Egitto, ebbero Moisè; quelli che uscirono di Soddoma, ebbero l'angelo per guidatore. Li primi sono assimigliati a quelli, che sono liberati dalle passioni spirituali, cioè superbia, vanagloria, invidia, elazione, tristizia, per lo studio e per l'opera delli medici; li secondi sono assimigliati a quelli, che desiderano e sforzansi d'uscire de' vizii carnali, cioè gola, lussuria ed avarizia, e perciò abisognano d'uno aiutatore, che sia quasi uno angelo, cioè che li metta a molta stretta dieta; imperciò che secondo che le piaghe sono più fracide, così abisognano di medico più savio. Veramente abisognano di violenza e di continua fatica e dolori di penitenzia coloro, che col corpo vogliono intrare in cielo, cioè che vogliono il corpo lussurioso e goloso conducere a castità e a scienzia, e massimamente nel principio dell'uscimento del mondo, infimo a tanto, che la mente e 'l cuore sia posto nel divino amore e nella santificazione per lo pianto efficace. Molta angoscia veramente e molta visibile amaritudine sarà a quelli, che conversano e muoiono negligentemente insino a tanto che 'l cane, cioè la nostra mente viziosa, la qual permane nelle cogitazioni della gola e della lussuria ( come che 'l cane ama il macello e li cibi immondi ), per la simplicitade e per la profonda umilitade e per lo sollecito studio avremo fatta amatrice di castità e di visitazione, cioè d'astinenzia e d'ogni pena. Ma pertanto confidianci noi viziosi e sanza virtù, e con ferma fede e sanza dubitazione la nostra infermità ed impotenzia confessiamo, e colla nostra mano la pogniamo dinanzi a Gesù Cristo, abbassando sempre mai noi medesimi nel profondo dell'umilità, ed al postutto ricevereno il suo aiutorio più che non è la nostra dignità. Tutti quelli che vogliono andare a questa battaglia bella e stretta e dura e leggiere, sappiano ch'eglino vanno a combattere col fuoco, cioè colle tentazioni del demonio e della carne e del mondo; però si conviene sempre avere lo fuoco immateriale in sè medesimo, cioè il fervore della buona volontade. E quelli che vogliono venire a questa battaglia contro alla propia natura e contro alle potenzie invisibili, pruovino sè medesimi, e mangino questo pane colle lattughe agreste, cioè colla mortificazione della carne e della propia volontà, e beano di questo calice de' vituperi e delle vergogne con lagrime, acciò che non piglino la battaglia in loro giudicio, però che sarebbe con loro iudicio e pericolo entrare nella battaglia, e non combattere ferventemente con tutta la forza loro, e con l'armi della confidenza perfetta della virtù di Gesù Cristo. Siccome ogni uomo che si battezza, non si salva, che forse non osserva li comandamenti di Dio ( quello che seguita, tacerò ), così ogn'uomo che prende abito di monaco, non è monaco forse, se non osserva quelle cose, che si appartengono alla loro professione. Quelli che desiderano di fare buono fondamento nel servigio di Dio, dal principio ogni cosa disprezzeranno, ed ogni cosa removeranno da sè, ed enterranno in questa casa, cioè in questo stato bello e buono di tre abitazioni e di tre cantoni, fondato sopra tre colonne, la qua' sono innocenzia, umile digiuno e castità. Tutti quelli che sono piccioli in Cristo, con queste tre cose comincino, prendendo per esempio li parvoli sensibili, li quali queste tre cose ànno in loro, però che in essi non è crudeltade, nè durizia, nè fraude; non c'è sazietà insaziabile nè 'l ventre insaziabile, nè 'l corpo infiammato di lussuria, ma secondo che vengono prendendo più del cibo, lo corpo cresce e prende calore di lussuria. Conviensi al postutto stare fermo in questo fondamento chi vuole intrare nella battaglia, che è nella via di Dio, però ch'è molto cosa pericolosa e dispiacevole, quando l'uomo è entrato nella battaglia, spogliarsi l'armi, però che dare' a intendere che voglia essere morto. Anche avere fatto un buon fondamento e un fermo principio è molto utile all'anima, eziandìo poi ch'ella s'è attepidita, imperò che l'anima che comincia ferventemente e poi viene in negligenzia, sempre sarà punta e stimolata dalla memoria della sua prima sollecitudine, per la qual cosa alcuni si sono rinnovati e ritornati nella prima sollecitudine, come l'aquila che rinnuova le penne. Quando l'anima tradendo sè medesima, perde il calore beato e sopra amabile, cerchi diligentemente la cagione per la quale l'à perduto, e contra quella cagione prenda tutto il desiderio e la punga e la sollicitudine sua, però che non potrà rientrare per altra porta, che per quella ond'egli uscie. Quegli che rinunzia al mondo per paura delle pene, è assimigliato allo 'ncenso odorifero, il quale allo principio dà buono odore, finalmente in fummo si risolve, perciò che questi cotali cominciano ferventemente, e poi si lasciano venire in fummo di negligenzia; ma quelli che rinunziano per speranza di premio, sono come il mulino, che volge la bestia, andando sempre a un modo; ma quelli che rinunzia per la carità divina, incontanente dal principio riceve lo fuoco, e sempre cresce in fervore, come il fuoco ch'è messo nella selva. Sono alcuni, che sopra la pietra edificano gli mattoni, e sono alcuni che rizzano le colonne sopra la terra; e sono alcuni che vanno un poco appiede, ed essendo confortati e riscaldati li nervi loro, andarono più velocemente. Essendo noi vocali dallo Iddio e re nostro Gesù Cristo, corriamo prontamente, non aspettando tempo, chè se li dì nostri fossono pochi, usciremmo di questa vita sanza frutto di buone operazioni. Sforzianci di piacere a Dio, come il cavaliere allo re, combattendo vigorosamente, imperò che da poi che ànno bene combattuto, dà gran doni loro. Temiamo Iddio come temiamo le bestie, però ch'i' ò veduto uomini che andarono a rubare, li quali non temevano Iddio, ed udendo la voce de' cani, incontanente tomaro adietro; il timore delle bestie fece loro quello, che non fece il timore di Dio. Amiamo Iddio, come noi amiamo gli amici nostri e gl'onoriamo. Vidi alcune fiate alcuni che offesono Iddio, e non si curavano di conciarsi con lui; e vidi che questi medesimi offesono gli loro amici in minima parola, e sottomisero sè con ogni sollicitudine, con molta tribulazione rendendosi in colpa ad essi per sè e per amici e parenti e con doni, per rivocarli alla prima amistade. Nel principio dell'uscimento del mondo al postutto con fatica e con violenza e con amaritudine operiamo le virtù, però che l'usanza è quasi convertita in natura; ma da poi che per alcun tempo averno fatto violenza a noi a queste opere virtuose, l'anima ovvero la volontà non ci à tristizia, quantunque la sensualità non sia al tutto sanza pena insieme coll'anima. Ma quando la volontà e 'l nostro mortale sapere, cioè il sentimento della nostra mortalità, è vinto ed assorto e potestativamente subiugato dalla virtù donata all'anima, la quale gli dà perfetta prontezza, da indi innanzi operiamo le virtudi con ogni gaudio e sollicitudine e desiderio e fuoco di cuore e fiamma divina, in quanto sono laudabili quelli, che da principio con gaudio e prontezza operano le virtù, ed obediscono li comandamenti, tanto sono miserabili quelli, che dimorando lungo tempo nell'esercizio del servigio di Dio, pur con fatica adoperano le virtudi, ed obediscono gli comandamenti. Non dispregiamo e non abbiamo in abominazione gli renunziamenti del mondo, li quali alcuna fiata son fatti non con proponimento dinanzi pensato, ma per uno santo tradimento, il quale Iddio fa all'anima per somma benignità; imperò che molte fiate questi cosi fatti rinunziamenti ànno miglior fine, che quelli che furono fatti con grande studio; siccome il seme che cade di mano all'uomo ove non vole, molte fiate fa più bello frutto, che quello che fu seminato con grande studio. Vidi alcuni, che si scontrarono col re che venia, non per loro voglia, anzi fuggiano per non trovarsi con lui, e poi s'armarono ed entrarono nel palazzo con esso lui, e furono nel suo convito. Vidi alcuno che andò al monasterio non per santa intenzione, ma per alcuna necessità temporale, ed essendo preso dalla molta sapienzia dell'abate, e dalla piacevole e santa conversazione de' monaci, ricevette da Dio lume di grazia e pervenne ad alto stato. Neuno prenda scusa a non uscire del mondo e prendere stato monastico per la moltitudine e gravezza de' suoi peccati, però che questa non è umilità, anzi è amore di delettazione viziosa, per la quale non vole uscire del peccato; anzi si conviene fare il contrario, però che dove sono molte e grandi piaghe, ivi maggiormente sono necessarie le medicine per curare. Se chiamandoci noi uno re terreno, che andassimo a lui prontamente, lasciando ogni altra cosa ed ogni altro affare, gli anderessimo. Attendiamo a noi medesimi, che quando ci chiama a questo ordine ecclesiasticale il re delli re e Signore de' signori e lo Dio delli Iddii, per pigrizia e negligenzia non renunziamo la sua vocazione, imperò che non aremo scusa dinanzi al suo giudicio. L'uomo che non è legato a matrimonio, ma solamente è legato alla cura delle cose mondane, e vuole andare a vita monastica, è assimigliato a quegli, che vuol correre, abbiendo le mani legate; ma quegli ch'è legato al matrimonio, è assimigliato a colui, che ae legate le mani e piedi. Alcuni uomini mondani vivendo negligentemente, mi domandaro e disson così: « Come potremo noi seguitare vita monastica, vivendo colle mogli e colla cura delle cose mondane? » A' quali rispuosi: « Ogni bene che potete fare, sì fate; non dite male d'altrui, non mentite, non furate, non vogliate soprastare altrui, non abiate odio al prossimo; siate solliciti al divino ufficio e alle sante compagnie, abiate compassione a' prossimi e a' poveri, non vogliate l'altrui cose, siate contenti delle vostre mogli, non vogliate altre femine. Se così farete, non sarete di lunge dal regno di Dio. » Corriamo lietamente alla battaglia lieta e buona del servigio di Dio, non dubitando nè temendo li nostri nemici, però ch'egli risguardano nella faccia dell'anima, avvegnadio che non la veggino chiaramente, se non per dimostramenti di segni per loro sottile intendimento e per lunga esperienzia; e se veggono l'anima cambiata per paura, allora fermano più la battaglia, e più crudelmente combattono, conoscendo li fraudulenti inimici, che noi avemo paura; e imperò noi lietamente ci armiamo centra loro, però che contra l'ardito combattitore niuno combatte volentieri. Lo Signore dispensativamente agevola le battaglie agli cominciatori, acciò che non sbigottiscano per le forti battaglie dal principio, e ritornino al mondo, e però s'allegrino in Dio tutti li servi suoi, conoscendo in sè medesimi questo primo segno della carità del re loro; e per la vocazione che ae fatta di noi, e per questa sollecita cura che ha di noi, spesse fiate Iddio ci si fa conoscere, ma io vidi alcune anime forti e virili, alle quali incontanente dal principio Dio permise loro forti battaglie, vogliendole tosto coronare. Lo nostro Signore Iddio non permette a quelli, li quali stanno nel mondo, che sappiano le battaglie che sono nella via di Dio, le quali battaglie quelli che poco conoscono, le reputano importune; ma veramente sono opportune, però che se le sapessono, neuno uscirebbe del mondo. Dà prontamente a Gesù Cristo le fatiche della tua gioventudine, e rallegraratti nella vecchiezza delle ricchezze delle virtudi perfette; imperò che quando gli uomini sono vecchi, si nutricano di quello, che ànno guadagnato nel tempo della gioventudine; e però noi giovani affatichiamci ferventemente, e coniamo sollicitamente, però che la morte è incerta. Veramente noi avemo nimici maligni e crudeli, sagaci e potenti e non dormenti, immateriali e invisibili, li quali tengono il fuoco in mano per ardere il tempio del nostro Signore Gesù Cristo, il quale è in noi; e però niuno giovane consenta e creda alli suoi nimici demonia, li quali dicono così: « Non consumare nè affliggere lo corpo tuo e la carne tua, acciò che non caggi in infermità; » e per questo consiglio appena si truova neuno di questa presente generazione, che voglia un poco mortificare la carne sua, nè privarla di cibi dilettevoli. E la intenzione di questo demonio, che dà questo consiglio, è questa, di farci fare il principio della nostra conversione pieno di negligenzia, acciò che 'l fine nostro sia ancora peggiore. Quelli che saviamente vogliono servire a Gesù Cristo, nel principio si commettono al consiglio ed alla obedienzia de' santi padri spirituali, li quali cognoscono le coso utili all'anime per la famigliarità che ànno con Dio; e per lo consiglio e per la obedienzia loro prendono luogo e modo e stato convenevole a sè, però che li monasteri non sono utili ad ogni uomo, e massimamente a chi è troppo lieto vanamente e goloso, nè li remitorii utoli a chi è tristo o furioso o iroso. Però si conviene considerare a quale di queste passioni l'uomo è più inchinevole. Tutto lo stato e la conversazione monastica si contiene in tre stati generali; e l'uno si è stare l'uomo solitario e partito corporalmente dalla gente; l'altro si è stare ad obidienzia sotto il padre spirituale con uno o con due compagni; l'altro è dimorare nel monasterio con pazienzia. Lo stato di mezzo è più convenevole a molti, e il primo è più pericoloso, come dice la santa Scrittura: Guai al solo, imperò che se cade in accidia in sonnolenzia o in negligenzia o in lascivia disperazione, non ae neuno uomo che l'aiuti rilevare; ma ove saranno due o tre ragunati nel mio nome, dice il Signore, io sarò nel mezzo di loro. Chi è quel monaco savio e fedele, il quale sotto obedienzia e subiezione, e sotto la fatica e 'l dolore conservi il suo fervore sanza raffreddamento, e infino alla morte sua non cessi di crescere continuamente fuoco a fuoco, e fervore a fervore, e desiderio a desiderio, ed amore ad amore, e sollecitudine a sollecitudine? Questo cotale colli Serafini sarà computato. Questo è il primo grado della santa Scala; tu che ci se' salito, non ti volgere alle cose di dietro. Grado II Di non avere affetto a niuna cosa viziosamente Quegli che in verità ama il nostro Signore Gesù Cristo, portandolo nel cuore e nel corpo suo, e quegli che in verità cerca di participare lo regno del Cielo, e quegli che in verità à dolore de' peccati e dell'offese sue, e quegli che in verità possiede memoria del giudicio e delli tormenti eternali, e quegli che in verità porta in cuore la memoria della morte sua, questi da indi innanzi non amerà più, nè si curerà, nè si solliciterà non di pecunia, non di possessioni, non di parenti, non d'amici, non dell'onore di questa vita, non di niuna cosa terrena; ma tutto il suo affetto e la inclinazione e la sollecitudine di queste cose rimuoverà da sè e avralle in odio, ed ancora la carne sua; e così ignudo d'ogni cosa sanza niuna dubitazione, sanza pigrizia seguiterà Cristo, e sempre avrà la 'ntenzione a cielo, e da cielo chiamerà il suo aiuto, secondo che disse il santo profeta a Dio: L'anima mia si accosta a te; e secondo l'altro profeta, cioè Jeremia, che disse: Signore, a me non fu fatica di seguitare te, pastore, e non desiderai consolazioni nè riposo umano. Grandissima confusione è a coloro, che lasciano tutte le cose di sopra dopo la vocazione, a la quale gli à chiamati Iddio e non uomo, e sollicitarsi e curarsi più di neuna altra cosa, la quale non sia utile nell'ora della nostra necessità, cioè della morte; chè questo è quello, che disse il Signore nel Vangelio: Rivolgersi a dietro è non esser atto al regno del cielo. Lo Signore conoscendo che il viaggio di quelli, che cominciano ad andare per la via spirituale, è molto sdrucciolente, e che dimorando e conversando cogli secolari, leggiermente ricaggiono nel mondo, così disse a quel giovane, che domandò licenzia di ritornare a seppellire suo padre: Lascia li morti seppellire gli morti loro. Le demonia, poi che siamo usciti dal mondo, ci fanno vedere che li secolari sieno beati in ciò, che fanno l'opere della misericordia e della compassione, e che noi siamo miseri a rispetto di loro, però che siamo privati di tutte le virtudi loro. Ma la intenzione de' nimici nostri si è per questa adulterina e falsa umilità o riducerci al mondo, o rimanendo monaci, farci cadere in desperazione. Lo disprezzamento de' mondani e di coloro che vivono secolarescamente, si può fare in due modi: l'uno modo si è per arroganzia e per nostra propia reputazione; l'altro modo si è, stando noi di lungi da essi, dispregiare lo stato loro per acquistare a noi la speranza, e fuggire la disperazione. Udiamo quello che 'l nostro Signore Gesù Cristo disse a quel giovane, che avea adoperate quasi tutte le comandamenta di Dio, quando disse: Una cosa ai meno: se vuogli esser perfetto, va e vendi tutte le tue cose, e dalle ai poveri e fatti povero. Anche a confermazione del cuor nostro, attendiamo come il nostro Signore Gesù Cristo tutti quelli che vivono e conversano mondanamente, gli giudicò per morti, quando disse a quel giovane: Lascia li morti soppellire li morti loro. E non è vero che 'l Signore dicesse quello, perchè gli fosse mestiere di vendere le cose sue per ricevere il battesimo; ben dee bastare ad avere certezza della perfezione dello stato nostro queste parole di Gesù Cristo. Quelli che vivono nel mondo, e colle vigilie e co' digiuni e colle fatiche e con mal patire affriggono sè medesimi, e vogliono andare a vita monastica, quasi ad esaminazione e probazione della bontà verace, guardino che quello primo modo di vivere nol seguitino più, perciò ch'è pigro e corrotto a rispetto della vita monastica, sì per le laude e sì per la vanagloria che riceve la vita secolaresca, sì per uso della propia volontà, sì per le tempestadi e turbazioni che à, sì per l'uso e la propietà delle cose. Io vidi alcune piante di virtudi piantate da quelli che stavano nel mondo, le quali erano irrigate del limo lotoso de' condotti, cioè della vana gloria, e quasi fossero sarchiate, così ramificavano per la veduta delle genti, ed erano letaminate dalle laude; ed essendo questi passati alla solitudine, ove non era chi vedesse e laudasse queste loro piante, cioè l'opere virtuose, incontanente furono secche, imperò che le piante usate all'acque non ànno natura di fruttificare ne' luoghi sanza acqua. Quegli che à in odio il mondo, è liberato dalla tristizia mondana; ma chi è inchinato nell'amore d'alcuna cosa visibile, questi non può essere liberato dalla tristizia. Ma come potrà essere che non si contristi, quando sarà privato delle cose ch'elli amava? In tutte le cose che ci possono avvenire ovvero occorrere, sì n'è mestiere d'avere molto attendimento, e spezialmente in questo, che io vidi molti che stando nel mondo, per le molte sollicitudini e vigilie di questa vita erano liberati dalla tentazione della carne, ed essendo venuti a vita monastica, essendo in molta tranquillità, furono sozzati miserabilmente da' movimenti della carne; la qual cosa adiviene per la negligenzia e per la iniverenzia e per la ingratitudine e per la propia reputazione e per la inobedienzia. Attendiamo a noi medesimi, che noi non siamo ingannati in questo, che dicendo e credendo noi andare per la via stretta ed angosciosa che mena alla vita, non andiamo errando per la via ampia e spaziosa, la quale mena alla morte. La via stretta è questa, patire fame, stare in vegghiare tutta notte in orazione, bere acqua a misura e mangiare poco pane, ricevere il beveraggio delle vergogne e de' vituperii, il quale purga l'anima, patire in pace le dirisioni e beffe e lo mozzamento delle propie volontadi, sofferire le persecuzioni e le oppressioni; quando se' disprezzato, non mormorare; patire le violenti ingiurie; quando se' offeso, sostenere fortemente; quando se' straziato e detto male di te, non indegnarti; quando se' disprezzato e tenuto vile, non adirarti; quando se' iudicato, umiliarti. Beati coloro che vanno per questa via, però che loro è il regno del cielo. Niuno entra nel regno del cielo dinanzi allo sposo portando corona, se non dopo 'l primo e secondo e terzo rinunziamento: il primo si è di tutte le cose e fatti del secolo e del mondo e dell'uomini e de' parenti; lo secondo si è del propio senno e della propia volontà; lo terzo si è della vanagloria, che conseguita alli sopradetti renunziamenti. Disse il Signore per lo profeta alli servi suoi: Uscite del mezzo della gente perversa, e non vi contaminate col mondo della immundizia; chè quale di loro fu che facesse le meraviglie giamai? Quale di loro suscitò li morti? Qual cacciò le demonia? Neuno, imperò che queste sono le corone e le dignitadi, che Dio dà alli santi e perfetti monaci dispregiatori del mondo. Quando le demonia dopo il rinunziamento del mondo ci fanno bollire il cuore, infocandolo per la memoria de' parenti e della propia contrada, a quell'ora conviene che noi ci armiamo colla orazione, infocando noi medesimi per la memoria del fuoco eternale, per ispengere quel mal fuoco che consuma l'anime. Qualunque persona si pensa e credesi esser inchinato ad amore d'alcuna cosa sanza vizio, ed essendo privato di quella cosa, il suo cuore se ne contrista, questo perfettamente inganna sè medesimo. Qualunque giovani persone sono fortemente inchinati alle concupiscenzie ed alli amori carnali o alle delizie della gola, e vogliono andare a vita monastica, debbono con ogni sollicitudine ed attenzione esercitare sè medesimi sotto le fatiche, e dolori ed ogni austerità, astenendosi da tutte le dilizie e da ogni malignità, acciò che non siano fatti peggiori poi nel monasterio, che non erano in prima, cioè nel secolo, e 'l porto della salute sì non sia ad essi accrescimento di pericoli; la qual cosa conoscono quelli che navicano il mare intellettuale, cioè quelli che ànno discernimento della vita spirituale. Ed è questa cosa molto miserabile, vedere la gente scampata del pelago essere annegata nel porto. Questo è il secondo grado della Scala: o tu che corri, fuggi, seguitando Lotto e non la moglie. Grado III Della vera peregrinazione La peregrinazione è uno lasciamento senza rivolgersi adrieto di tutte quelle cose che ci sono contrarie, e danno a noi impedimento a la via della salute. Le cose e gli modi che sono bisogno a questa peregrinazione, sono queste: discacciare da sè la propia confidenza e lo costume non reverente e lo modo vergognoso; nascondere la sapienzia e non dimostrare il sapere suo; nascondere la vita e lo stato suo e la intenzione sua e la sua cogitazione, l'appetito della viltà e 'l desiderio della tribulazione, la multitudine dei santi desiderii e l'amore di Gesù Cristo, lo renunziamento della vanagloria e l'odio del nome della santità e della scienzia e la profondità del silenzio. Questa cogitazione della peregrinazione à natura di molestare da esso principio gli servi di Dio, ed è sopra ordinata, cioè da Dio, a stimolare gli amatori per lo fuoco divino, che non lascia posare, inducendo gli amatori a quello bello bene, cioè dilungarsi da' parenti e dagli amici per patire viltà e tribulazione. Ma quanto questa cogitazione è grande e degna di laude, tanto à bisogno di molta discrezione chi la vuole seguitare, però che ogni peregrinazione non è perfettamente bella, perchè sì come Gesù Cristo disse: Il profeta è senza onore nella patria sua, guardianci che la nostra peregrinazione non sia per cagione di vanità, cioè d'essere onorati nella patria aliena. La peregrinazione verace fa l'anima lasciare tutte le cose, per fare la mente e la cogitazione inseparabile da Dio. La peregrinazione è amatrice ed operatrice di continuo pianto. Peregrino verace è quelli, il quale ogni affezione sensuale delle sue cose e dell'altrui fugge e discaccia da sè. Tu che vuogli essere peregrino ed abitare in solitudine, non sofferire di stare con teco l'anime amatrici del mondo, imperò che 'l furo viene quando no 'l ti pensi, e quando nollo aspetti. Molti vollero tenere seco li pigri e li negligenti per salvarli, li quali si perderono insiememente con loro, però che 'l fuoco ch'era in loro, si spense a poco a poco. Tu che ài ricevuta la fiamma, cioè l'accendimento della grazia, corri operando con essa, non attepidando per condiscendere alli negligenti, però che non sai quanto questo accendimento ti debbia durare; e partendosi da te per la tua negligenzia, rimarrai poi nelle tenebre. Non è richiesto ad ogni uomo di salvare altrui, onde dice il divino apostolo: Ogni uomo renderà ragione a Dio per sè medesimo; ancora disse: Perchè ammaestri altrui, e non ammaestri te medesimo? Quasi dica: De' fatti altrui non sappiamo, ma al postutto de' nostri n'è bisogno di sapere. Tu che se' fatto peregrino, àrmati sì bene, che certamente ed al postutto discacci da te il demonio de' vagabondi e girovagi, e quello ch'è amatore de' diletti sensuali. Bella e buona cosa è di non avere affetto vizioso a neuna cosa, e questa bella e buona cosa dalla vera peregrinazione procede, per ciò che colui che per amore del nostro Signore Gesù Cristo è fatto peregrino, non ligherà più l'affetto suo a neuna cosa, acciò che non paia rappressato alle passioni ed a' vizii, dai quali era ritratto. Quelli che è fatto peregrino dal mondo, non si rappressi più al mondo, però che le vizia ànno questa natura, che amano di ritornare a coloro, i quali già contaminarono. Eva prima femina non volontariamente fu sbandita di paradiso, ma il monaco volontariamente si sbandisce dalla patria; e quella anche desiderò il pomo della inobedienzia, per la quale fu discacciata, ma quelli, cioè il monaco, che desiderasse di tornare alla patria, continuamente patirebbe danno spirituale da' suoi secondo la carne. Fuggi come dal flagello le luogora, nelle quali sono le cagioni di cadere in peccato, imperò che pomo che non è presente, nono tanto desiderato; e non ti sia celato questo modo e questo inganno delli ladroni, cioè delle demonia, che ci amoniscono che non ci partiamo da' secolari, dicendo che averemo grande merito, se vedendo le femine, serveremo la castità, alli quali non si conviene obbedire, anzi fare il contrario. Quando noi per alcuni tempi essendo stati di lungi da' parenti, avemo acquistata alcuna religione o compunzione o continenzia, allora vengono le demonia colle cogitazioni della vanità, mettendone a vedere che torniamo alla patria ad edificazione e a utilità ed esempio di molti, li quali sapeano le prime nostre male operazioni; e se aremo alcuna scienzia o parlamento spirituale, allora ci mettono a vedere che torniamo al mondo come maestri e salvatori delle anime, a questo intendimento che quel bene che aremo acquistato nel porto, lo spargiamo nel pelago. Studianci di seguitare Lot e non la moglie, per ciò che l'anima che ritorna d'onde uscì, come il sale si distrugge, e da indi innanzi rimane immobile. Fuggi d'Egitto sanza rivolgerti, per ciò che li coraggi, li quali ci ritornano, la terra della impassibilità nostra non furono degni di vedere. Alcuna fiata adiviene alli cominciatori per la picciolezza dello spirito, abbiendo lasciate le cose loro, si volgono a rivolerle e ritornano alla patria; ed è alcuna fiata, che quelli che sono perfettamente purgati, ritornano alla patria con santa intenzione ed utilmente a salvare altri colla salute loro. Così ritornoe in Egitto quel contemplatore di Dio Moisè per la salute della gente sua mandato da Dio, nel quale Egitto molti pericoli ed angoscie di mente sostenne. Buona cosa è contristare li parenti e non il nostro Signore Gesù Cristo, però ch'egli ci creò e salvoe; ma gli parenti spesse volte coloro i quali amarono, feceno dannare ed andare alle pene eternali. Peregrino è colui, che sta scientemente infra quelli della lingua sua sanza parlare, siccom'egli non sapesse parlare quel linguaggio. Lo partimento della patria e dalli nostri prossimi e parenti non si dè fare per odio, ma per lo nocimento dell'anima, la qual procede dallo appressamento loro; e di questa cosa il nostro Signore Gesù Cristo ce ne diede il magisterio in sè medesimo, come di tutti gli altri beni, in quanto egli alcuna fiata lascioe li parenti secondo la carne; onde a quegli che disse a lui: Ecco la madre tua e li fratelli tuoi, che t'adimandano, incontanente il buono maestro dimostrò l'odio a noi sanza vizio, dicendo: Chi è la madre mia, e chi sono li miei fratelli? E disse: La madre mia e li fratelli mei sono quelli, che fanno la volontà del Padre mio di Cielo. Lo tuo padre sia quegli, lo quale insieme teco si vuole affaticare per levare da te il peso de' tuoi peccati; la tua madre sia la santa compunzione, la quale ti può lavare dalle sozzure; il tuo fratello sia quegli, il quale s'affatica teco ed ammonisceti per menarti alla vita spirituale; la moglie tua sia la memoria della morte, colla quale ti corichi e giaci e lievi. Li tuo' fipliuoli carissimi sieno li pianti e li sospiri del cuore; lo servo tuo sia il corpo tuo; li amici tuoi sieno le sante virtudi, le quali se ti saranno amiche, ti potranno essere utili nel tempo della morte. Questo è il parentado di coloro, che vogliono andare a Dio. L'amore e 'l desiderio di Dio spegne nell'anima l'affetto de' parenti; ma chi pensa avere l'uno e l'altro, inganna sè medesimo, udendo colui che disse: Niuno può servire a dui signori; e quello che seguita, cioè: Io non venni a mettere pace in terra, cioè amore di parenti a' figliuoli, e di figliuoli a' padri in quelli che eleggono di servire a me; anzi venni a mettere battaglia e coltello, imperò che, venni a partire gli amatori di Dio dagli amatori del mondo, e quelli che sono immateriali da' materiali, e gli umili dagli amatori degli onori; onde il Signore si rallegra del dipartimento e separazione fatta per la carità sua. Guardati che non ti para tutto il mondo pieno d'acqua di tribulazioni d'intorno alli tuoi parenti, acciò che tu quasi ragionevolmente ti debbi muovere ad andare a soccorsegli, però che questo ti fa parere Satanas coll'amore vizioso che tu ài a loro, per farti annegare nel diluvio del mondo insieme con essi. Non avere misericordia alle lagrime de' tuoi parenti, acciò che non sii constretto di piagnere etemalmente. Quando li tuoi parenti ti circondano come l'api, anzi come vespe, facendo lamento di te, a quell'ora ti reca dinanzi dagli occhi della mente tua li tuoi peccati e la morte tua, e da questo pensiero non cessare, acciò che possi vincere il dolore col dolore. Promettono a noi malignamente li nostri e non nostri, di fare tutte quelle cose che noi amiamo, cioè opere spirituali, se non ci partiamo da essi; ma la intenzione loro è d'impedire la nostra via spirituale e virtuosa, acciò che rimanendo con loro, finalmente ne ritraggano alla loro intenzione. Se noi ci partiamo dalli luoghi nostri, sempre andiamo alli luoghi più vili e più poveri, e privati di delizie e di consolazioni del secolo e delle dilettazioni di questa vita, e massimamente delle laude e della vanagloria e de' romori del mondo, e se non facciamo così, noi voliamo colle vizia e colle passioni. Nascondi la tua nobilità, e non publicare la tua buona fama pomposamente, acciò che non sii trovato d'essere altro in parole ed altro in opere. Niuno fu che in opera tanto si desse alla peregrinazione, quanto quel grande patriarca Abraam, al quale Iddio disse: Esci della terra tua e del parentado tuo e della casa del padre tuo, però ch'elli fu chiamato ad altro linguaggio e ad altra terra de' barbari; ed è stato alcuna fiata, che Dio à glorificato alcuno peregrino a simiglianza di quel santo Abraam ed anche più, ma quantunque Iddio abbia data questa gloria ad alcuno, buona cosa è di celarla e di velarla collo scudo della viltà. Quando le demonia o gli uomini ci lodano della nostra peregrinazione, come d'una gran perfezione, a quell'ora ci ricordiamo attentamente di colui, che per noi discese di cielo in terra, e cognosceremo che giamai non potremo adimpiere verace peregrinazione. Ma molto è crudele ed infetto e vizioso questo affetto ed amore, che avemo ai parenti ed amici e domestici o qualunque altra persona, che ae potenzia di ritrarci al mondo, e spegnere finalmente il fuoco della nostra compunzione; come è impossibile insieme riguardare con uno occhio in cielo e coll'altro in terra, così è impossibile di non perire secondo l'anima quegli, che da' suoi dimestichi e dagli altri non si fa perfettamente peregrino colla cogitazione e col corpo quanto può. Con molta fatica e con molta battaglia s'acquistano in noi li boni ed ordinati costumi; ed essendo in questo modo acquistati, si possono perdere in uno momento di tempo, imperò che non solamente l'altre cose, ma solo le ree parole, come dice san Paulo, corrompono gli buoni costumi; e non solamente le parole disordinate e lascive e viziose, ma eziandio le parole ornate di sapienzia e prudenzia umana per lo fasto della eloquenzia enfiano di vanità e levano in superbia, le qua' cose non si convengono a' servi di Dio. Quelli che da poi che à renunziato al mondo, conversa co' mondani o sta presso a loro, al postutto è mestiero che caggia in uno di questi tre lacci, che o egli cadrà nell'opere loro difettuose, o sarà contaminato in cuore, pensando diliberatamente il male che è in loro, o non essendo contaminato in questo modo, sarà contaminato di superbia, indicando quelli che sono contaminati. Delli sogni che adivengono a coloro, che sono introdutti La imperfezione della scienzia del nostro intelletto e la nostra ignoranzia non si può occultare, però che siccome per lo gusto si discernono li cibi, così per l'audito degli orecchi si comprendono le cose, che sono nella mente. La infermità degli occhi la manifesta il sole, e la insipienzia dell'anima si dimostra per le parole; ma impertanto la legge della carità ci sforza a quelle cose, che sono sopra la potenzia, e però io estimo e determino essere convenevole in fra 'l trattato della peregrinazione interponere alcuna cosa delli sogni, acciò che non siamo al tutto ignoranti dell'inganni del demonio. Il sogno si è movimento di mente non mutato il corpo; fantasia si è delusione degli occhi nella mente dormente; fantasia si è eccesso o levamento di mente nel corpo vegghiante; fantasia si è contemplazione non stante. La cagione di questo trattare de' sogni in questo capitolo è quasi manifesta, però che quando lasciando noi medesimi con tutte le cose mondane e li parenti e la patria, siamo fatti peregrini per la carità divina, allora le demonia si sforzano di conturbarci per li sogni, dimostrandoci come li nostri parenti e domestici sono uccisi e morti, o tenuti in molta amaritudine ed angoscia per noi; però chi a' sogni crede, è siccome l'omo che corre dopo l'ombra sua e pensala prendere. Le demonia della vanagloria nelli sogni dimostrano profezie, però che essendo molto astuti, comprendono le cose che debbon venire, e sì le fanno venire in sogno, acciò che vedendole venire in effetto, ci ammiriamo e leviamo il nostro cuore in altura di superbia, pensando noi essere appressati alla grazia de' profeti. In quelli che l'obediscono, spesse volte lo demonio diventa profeta, ma in coloro che lo spregiano, sempre mente; e lo modo per lo quale il demonio cognosce molte cose che debbono adivenire, è questo, però che essendo egli spirito, vede le cose corporali e le loro cagioni, onde cognoscendo che alcuno debbia morire, per sogno il fa vedere a quelli che più sono lievi e più vani, e profeta a loro; non che egli in altro modo cognosca le cose che debbono venire, se non comprendendo per le cagioni che vede, ed in questo modo li medici e gli uomini esperti e d'incantatori molte fiate predicono le cose che avvengono. Spesse fiate le demonia si trasmutano in angeli di luce ed in forma di santi martiri, e dimostranci per sogno che vengono a noi, acciò che svegliandoci ci facciano cadere per la propia reputazione e per lo superbo gaudio; e questo ti fia segno dell'inganno, però che gli angeli dimostrano a noi pur pene e iudicii, acciò che svegliandoci piangiamo e temiamo. Quando noi cominciamo a credere alle demonia ne' sogni, sì e' ingannano e fannone scherno e beffe, essendo noi svegliati. Chi crede a' sogni, al tutto è vano e matto, ma chi è incredulo, è amatore di sapienzia. A soli quelli spiriti, li quali ti mostrano pene e iudicii, crede, ma se per queste pene e iudicii la disperazione t'assalisce e molesta, sii certo che questo è dalle demonia. Questo è il terzo grado e via e corso di pervenire alla beata Trinità. Tu che se' salito, non dichinare nè a mano diritta nè a sinistra. Grado IV Della beata e sempre da memorare santa obedienzia Dopo le cose preditte con ordine di ragione dee seguitare il trattato a noi combattitori di Gesù Cristo, imperò che come ad ogni frutto va dinanzi il fiore, così ad ogni obedienzia vae dinanzi la peregrinazione del corpo e della volontà, e con queste due vìrtudi come con due ale d'oro ritorna a cielo l'anima santa obediente; onde quasi di quella lo profeta per Spirito Santo parlò, quando disse: Chi mi darà le penne come a colomba, e volerò per l'attiva vita, e riposeròmi per la contemplazione ed umilitade? E però non dispregiamo di parlare dello stato e dell'arme di quelli, che combattono sotto questa santa obedienzia; ma pensiamo come tengono lo scudo della fede fermo verso Dio e verso il loro pastore, per lo quale scudo ogni pensiero d'infidelità e di prevaricazione da sè discacciano, e sempre tengono sguainato il coltello dello spirito a uccidere ogni propia volontà, che a loro s'appressasse, essendo vestiti della panziera e della mansuetudine, a portare in pace ogni fedita e puntura d'ingiurie e di parole, ed ànno in capo l'elmo della salute, la defensione per l'orazione del padre spirituale; ed essendo così armati, uno delli piedi estendono in servizio e ministrazione de' frati, l'altro tengono fermo all'orazione. Obedienzia si è perfetta negazione della propia anima, mostrata manifestamente per opere corporali; obedienzia si è perfetta abnegazione del propio corpo per l'anima e per la volontà ferventemente mostrata; obedienzia si è mortificazione delle membra nella viva mente e deliberazione; obedienzia è movimento non innanzi cercato, morte volontaria e vita sanza cura e pericolo sanza dubitazione, escusazione dinanzi a Dio non innanzi pensata, non avendo paura di morte, navigazione sanza danno, uno andamento di via dormendo. obedienzia è sepultura di volontà e resurrezione d'umilità, non contradice nè discerne, morta nelli beni e nelli mali apparenti. Quegli che l'ae a reggere santamente, mortifica la sua anima, e di tutte le cose rende ragione a Dio. Obedienzia è lasciamento di dubitazione e di discrezione infra le ricchezze della discrezione. Lo principio di questa mortificazione della obedienzia del corpo e dell'anima e della volontà si è fatica e dolore; il mezzo alcuna fiata è con dolore, alcuna fiata è sanza dolore; il fine poi è in perfetta tranquillità di mente e senza sentimento di dolore. Anche allora si duole e contrista questo beato obediente, vivo e morto, quando si vederà fare la propia volontà, temendo il peso del propio iudicio. Tutti voi che vi volete spogliare a correre nel campo della confessione intellettuale, e tutti voi che vi volete armare per entrare alla battaglia del martirio spirituale, e tutti voi che volete prendere il iugo di Cristo sopra il collo vostro, e tutti voi che volete ponere il peso vostro sopra il collo altrui, e tutti voi che volete vendere voi medesimi per comprar libertade, e tutti voi che volete notare sopra le navi altrui, ed esser sostenuti sopra per trapassare questo grande pelago di questa vita sanza pericolo, conoscete che voi volete prendere una via breve ed aspra, la qual via ae uno solo inganno, ed è questo, il movimento e l'ordine e regola e forma e amore e piacimento della propia volontà, la quale chi l'ae perfettamente ed al tutto annegata, innanzi che cominci ad andare, sì è giunto. Obedienzia si è insino alla morte già mai non credere a sè medesimo di niuno bene. Se noi ci poniamo in cuore di mettere il capo sotto il giogo della obedienzia per venire a l'umilità ed alla salvazione, se avemo senno e discrezione, innanzi che entriamo a questa obedienzia, cerchiamo ed esaminiamo diligentemente il nostro adducitore, acciò che non siamo ingannati, commendandoci ad uno marinaro come ad uno governatore, e ad uno infermo credendo avere un medico, e ad uno vizioso, credendo avere uno uomo virtuoso, però che essendo noi entrati poi nel pelago, volendo esser condotti a buon porto, non siamo condotti al pericolo. Ma poi che sareno entrati nello stato della santa obedienzia, il buono nostro conducitore ed ordinatore della nostra battaglia al postutto più non giudichiamo, nè vogliamo cognoscere i suoi difetti, quantunque veggiamo in lui alcuni piccioli difetti, li quali lo stato umano non può fuggire, però che dello stato della subiezione non aremo nulla utilità, se noi giudicassimo li nostri prelati; e vogliendo noi conservare sempre la fede e la devozione ferma agli nostri pastori, enne mestiere al postutto di tenere sempre nella nostra memoria li buoni conducimenti e l'utilitade spirituale, che avemo ricevuto da loro, acciò che quando le demonia si sforzano di seminare la infedelità contra di loro ne' nostri cuori, noi per questi buoni ricordamenti che sono in noi, pogniamo silenzio a quelle demonia, che quanto sarà più nel cuore vigorosa la fede, tanto il corpo più prontamente obedisce; ma chi offende e cade in questa infidelità, che giudichi il suo padre e pastore, cade nel vizio della superbia, ed ogni sua opera è corrotta di peccato. Quando la tua cogitazione t'induce a giudicare lo tuo pastore, pàrtiti da essa come dalla cogitazione della fornicazione, e al postutto a questo serpente non dare in te nè requie nè luogo nè entrata nè principio, e di' a questo dragone che ti reca questo pensiero: O ingannatore, io non sono fatto giudice del mio priore, anzi egli è fatto giudice di me. Gli santi padri dissono e determinarono, che l'armatura dell'anima erano gli salmi, e l'orazione era il muro, ed il dono delle lagrime immaculato era lo lavatorio; ma la santa obedienzia era verace e perfetto martirio, sanza la quale neuno vizioso vedrà il nostro Signore Gesù Cristo. Quelli che perfettamente è suddito, questi à data la sentenzia contra sè medesimo, e quantunque non sia manifesto, perfettamente s'è spogliato del peccato e del iudicio suo; ma quello suddito che d'alcune cose vuol fare la sua volontà, quantunque mostri d'ubidire, porterà la pena del giudicio del suo peccato; ma se quelli ch'è suo prelato, lo corregge, e quelli riceve e porta la penitenzia, starà bene l'anima sua; ma se lo prelato tace, non aggio che ci dica. Coloro che con simplicità di cuore sono sudditi, questi corrono per buona via e vengono a perfezione; ma guardinsi questi cotali, che la malizia delle demonia non gli parta da questo stato nè per dubitazionen, nè per discrezione, nè per nascondimento delle cogitazioni; ma imprimamente confessino tutti li loro difetti, al buono suo giudice, e s'egli lo comanda, confessigli a tutta gente, però che quelli che scuoprono le piaghe, non ne possono peggiorare, anzi saranno sanate tosto. E di questa cosa abiam certezza, imperò che essendo io in uno monasterio, vidici una spaventosa giudiciaria sentenzia d'uno buono giudice e pastore, che vegnendo uno ladrone a quello monasterio per essere monaco, quello abate, ch'era perfetto pastore e medico dell'anime, il fece stare sette dì in tutta quiete solamente a vedere lo stato ed il modo del monasterio, poi segretamente il dimandò se gli piacea di rimanere con loro; e vedendo che veramente era compunto e contento di dimorare con loro, sì 'l dimandò che volea sapere qual cosa disonesta avea fatta nel mondo; e vedendo che chiaramente e prontamente tutti gli suoi difetti gli avea confessati, tentando, disse a lui: « Io voglio che tutti questi difetti tu manifesti a tutti gli frati; » e quegli che veramente avea in odio tutto il suo peccato, disprezzando ogni vergogna, sanza dubitazione gli promise e disse: « Se tu vuogli, io lo manifesterò in mezzo della città d'Alessandria ». Poi il pastore fece tutti i monaci ragunare nella chiesa, li quali erano dugentotrenta, e compiuto lo capitolo della domenica, poi che fu detto il vangelio, essendo tutti li monaci schierati dinanzi alla porta della chiesa, l'abate stando nella porta della chiesa, fece quel peccatore sanza peccato in questo modo menare, che 'l fece venire colle mani legate di dietro, vestito di cilicio, scapigliato, col capo impolverato, ed altri lo tirava dinanzi colla fune, colla quale era legato, altri lo venia temperatamente battendo di dietro; e per l'aspetto di queste cose tutti li frati incontanente furono commossi a pianto, però che niuno sapea perchè si facea questa cosa. Ed appressandosi alla porta della chiesa, quello santo padre e benigno giudice gridò con gran voce a lui, dicendo: « Sta fermo, che non se' degno d'entrare in questo luogo santo; » e quegli essendo sbigottito per quella voce dell'abate ( però che com'egli poi affermava con giuramenti, non pensò d'avere udita voce umana, ma d'un tuono ), cadde incontanente in terra con grande tremore e paura e contrizione; e giacendo in terra così boccone, tutto lo spazzo bagnò di lagrime, e permise quello maraviglioso medico, il quale in tutte queste cose procurava la sua salute, e dava forma della salute e della manifesta ed efficace umilità a tutti gli suoi monaci, che dicesse specificatamente tutti gli suoi peccati dinanzi a tutti gli frati; e quegli con paura ogni cosa confessava, cose orribili ad audire, non solamente di peccati carnali secondo natura e contro natura, con creature ragionevoli e non ragionevoli, ma ogni altra maniera di peccato ed omicidii, e cose che non sono da dire; ed essendo confessato in questo modo, incontanente l'abate il fece vestire e miselo in fra' monaci. Ed ammirandomi io della sapienzia di quel santo, lo domandai da parte, per qual cosa aveva tenuto questo modo così nuovo; ed egli ch'era verace medico delle anime, disse che per due cose l'avea fatto: la prima che per questa vergogna fu liberato dalla vergogna finale, però che innanzi che si partisse di quello luogo, ricevette la remissione di tutti li suoi peccati; e non ti para forte a credere, però che uno de' frati che vi fu presente, mi disse che quando quegli si confessava, vide stare appresso di lui uno uomo terribile colla carta e colla penna in mano, e com'egli confessava, così colla penna cancellava, secondo la parola del santo profeta, che disse a Dio: Io confesserò la mia iniquità, e tu, Signore, rimetterai la impietà del mio peccato. La seconda cagione è imperò chio abbo frati, che ànno peccati non confessati, e per questa confessione tutti sono confortati a confessarsi, sanza la qual confessione niuno riceverà remissione. Vidi in quello monasterio ne' monaci e nell'abate molte cose degne d'ammirazione ed utili a ricordare, delle quali alcune mi studierò di manifestare, però ch'io dimorai con loro non poco tempo per vedere la loro conversazione, maravigliandomi grandemente, come quegli uomini terreni seguitavano stato angelico, però che tra loro era uno legame d'amore e di carità insolubile; e cosa che era ancora più ammirabile, che amandosi così perfettamente, erano liberi da ogni speziale parlare e confidenza ed affetti singulari, e sopra ogni cosa si studiavano di non offendere in niuna cosa la coscienzia de' loro compagni. E quando fosse alcuno veduta avere odio inverso l'altro frate, l'abate lo cacciava fuori del monasterio, e mandavalo alla carcere; ed una fiata uno frate, che disse all'abate male del prossimo suo, incontanente comandò che fosse cacciato fuori del monasterio, e disse che tanto si doveva permettere, che 'l diavolo visibile dimorasse nel monasterio, quanto lo invisibile. Vidi a poco a poco in quelli santi cose veramente utili e degne d'essere manifestate, cioè fraternitade secondo Iddio adunata e legata in carità, nelli quali era mirabile operazione, e contemplazione, li quali così aveano cura l'uno dell'altro nelli esercizii e profitti spirituali, che quasi non abbisognavano d'essere sollicitati dal prelato, ma spontaneamente alla vigilia divina erano sollicitati l'uno dall'altro; ed era fra loro alcuni modi ed ordinamenti pensati e fermati da loro medesimi, molto a Dio piacevoli; che se fosse avvenuto che non essendo presente il prelato, alcuno di loro avesse cominciato a dire male d'altrui, giudicare, o condannare, o fare parlari oziosi, l'altro frate gli facea segno celato col volto, e facealo cessare da quello difetto, reducendolo alla memoria per quel segno; e se per quel segno non si risentiva, quel frate che gl'avea fatto quel segno, andava ed inginocchiavasi dinanzi a lui, dicendo sua colpa, e partivasi, acciò che per questo altro segno s'avvedesse del suo difetto. Ed anco aveano questa usanza, che sempre parlavano di cose utili, e di cose per le quali si ricordassono della morte e del giudizio eternale. E non tacerò della chiara perfezione del cuoco di quel monasterio, chè io viddi, che facendo egli il servigio che a lui s'appartenea, avea continui pianti e compunzione di cuore; ed io lo pregai che mi dicesse, come questa grazia avesse ricevuta da Dio, ed essendo sforzato da me, rispose così: « Io giammai non pensai di servire ad uomini, ma a Dio, e sempre mi sono chiamato e reputato indegno della quiete e del riposo; e questa visione del fuoco sempre mi fa avere memoria della fiamma dello inferno ». Veggiamo un'altra perfezione di quelli santi, che sedendo a mensa, non cessavano dall'operazioni mentali ma con certi modi e segni ed atti ammonivano sè medesimi secondo l'anima, riducendosi a memoria la morte; e questo non solamente faceano alla mensa, ma dovunque si scontravano o s'adunavano. Anche più: se alcuno di que' frati avesse fallato in alcuna cosa, alcuni frati lo pregavano che la sollecitudine di satisfare all'abate di quello difetto lasciasse a loro, ed eglino ne voleano ricevere la correzione dall'abate, e cosi si facea: e però l'abate, sapiendo questo modo de' suoi discepoli, faceva più leggieri riprensioni, sapendo che colui, il quale riprendea, non avea colpa, e non si curava di sapere il principale, che avea commessa l'offesa. Quando tra loro fosse stato parlare ozioso, o memoria d'alcuna cosa da fare ridere, o che alcuno avesse cominciato a litigare col prossimo, veniva l'altro frate ed intrava tra loro, ed inginocchiandosi in terra, dicea sua colpa, ed in questo modo dissipava l'ira e la lite; ma se alcuno v'era, 'che volesse pur litigare o vendicarsi delle parole ricevute, incontanente si dinunziava a colui ch'era in vece dell'abate, ed egli gli facea riconciliare insieme anzi che 'l sole tramontasse; e se alcuno si fosse indurato, ricevea questa correzione, che egli non mangiava, se prima non era riconciliato, o elli era cacciato del monasterio; e questo modo non era vano ed inutile, anzi faceva molto frutto appo quelli santi manifestamente. Molti attivi e contemplativi ci furono trovati, e conoscitori dello stato dell'anime ed umili; ed era cosa mirabile e degna d'essere contemplata dagli angeli, vedere uomini canuti e degni d'avere in reverenzia, belli per santità, a modo di parvoli correre a fare l'obedienzia, li quali si riputavano a grande gloria la propria umilitade, cioè di fare li vili servigi. Vidi in quello monasterio di quelli, ch'erano stati da cinquanta anni nella obedienzia, li quali pregai che mi dicesseno, che consolazioni aveano ricevute di tante fatiche; de' quali alcuni mi dissono ch'erano entrati nell'abisso della umilità, per la quale ogni battaglia potentemente discacciavano da sè. Alcuni altri mi dissono ch'erano posti in tanta tranquillità, che non sentivano nè pena nè dolore di male che a loro fosse ditto, nè di contumelia che a loro fatta fosse. Vidi alcuni di quelli santi, degni d'essere sempre avuti in memoria, che dopo quella conversazione quasi angelica e quella canutezza venerabile, furono condutti a profondissima sapienzia e simplicità ed innocenzia e deliberazione, drittamente a Dio volontaria e non infingarda, i quali non erano come li vecchi del mondo, i quali sono chiamati ritrosi e scimoniti, che avessono neuno parlamento nè costume non ragionevole, nè men che savio, nè infinto, nè pigro; ma tutti di fuori erano mansueti ed allegri, la qual cosa leggiermente non si trova in molti, e dentro nell'anima a Gesù Cristo Iddio loro ed al pastore loro quasi simplici ed innocenti parvoli ragguardanti, e contra alle demonia ed alli vizii aveano l'occhio della mente non confuso, ma fermo e terribile. Verrebbe meno il tempo della mia vita, o santo capo e diletta di Dio congregazione, a narrare le virtù di quelli beati, e la loro vita celestiale degna d'essere seguitata; ma più utile cosa è adornare lo nostro parlamento delle fatiche e de' dolori e de' sudori di quelli dolenti, ed incitar noi al zelo della santità, che delle proprie e vili ammonizioni mie; imperò che questo è vero sanza contradizione, che la cosa men buona s'adorna per la migliore; ma di questo vi prego, che non mi abbiate a sospetto ch'io scriva niuna cosa composta, però ch'egli è costume ed opera d'infidelità nelle cose che sono sante e veraci, guastare l'utilità perversamente, cioè colle menzogne e colle falsitadi; ma seguiteremo il parlamento cominciato. Uno de' principi della città d'Alessandria, lo cui nome è Isidero, innanzi a questi anni rinunziò il mondo nel predetto monasterio, il quale io ci trovai. Questo Isidero quando quello santissimo pastore lo ricevette, udendo ch'egli era uomo crudele e forte ed arrogante, pensò per umana spirazione saviamente come sagacissimo l'astuzia delle demonia, e disse ad Isidero: « Se tu veramente ài eletto di prendere sopra te il giogo di Cristo, conviensi che tu sii provato ed esercitato nella obedienzia; » ed Isidero disse così: « Come il ferro si mette nelle mani del fabbro, che faccia quello che a lui piaccia, così, padre santissimo, mi do io a te; » e quello grande pastore, essendo satisfatto di questa bella parola, incontanente il mise alla pruova come il ferro, e disse così a lui: « Io voglio che tu permanghi alla porta del monasterio, e ad ogni uno ch'entra ed esce, tu t'inginocchi e dica: Priega Iddio per me, però chio sono peccatore; » ed obbedì così perfettamente, come l'angelo obedisce a Dio. E perseverando in quella obedienzia sette anni, e venendo in profondissima umilità e compunzione, voleva quello santo padre dopo li sette anni e dopo la sua inestimabile pazienzia, ordinarlo e farlo essere dispensatore del monasterio de' frati, come persona di ciò molto degna; ed egli fece fare molti preghieri all'abate per me e per gli altri, che gli lasciasse compire il corso della vita sua in quello stato, dando quasi ad intendere che 'l fine della vita sua e la sua vocazione s' appressava. E così fu fatto, però che lasciandolo rimanere in quello stato, il decimo dì questo glorioso Isidero si riposò in pace, e lo settimo dì della sua dormizione, prese a sè lo portinaio del monasterio, però che gl'avea innanzi detto: « Se io averò confidanza in Dio, in breve tempo sarai giunto con meco; » e questo fu fatto per dare perfetta certezza della sua beatitudine, la quale acquistoe per la perfetta umilità ed obedienzia sua. Domandai io questo grande Isidero innanzi la sua morte, che mi dicesse che operazioni avea la sua mente stando alla porta, e non me lo celò per fare utilità ad altrui; questo santo sempre da ricordare disse così: « Nel principio io pensava d'esser venduto per li miei peccati, e però facea quella operazione; onde con molta amaritudine e violenza facea quella penitenzia. Compiuto il primo anno, vivea senza tristizia di cuore, aspettando da Dio alcuna mercede della penitenzia e della obedienzia. Compiuto il secondo anno, con sentimento di cuore mi reputava indegno di stare nel monasterio, e di vedere e di parlare con quelli padri, e di ricevere li sacramenti divini, e di vedere la faccia di niuno; per ciò raguardava pure in terra, e con subietta prudenzia dimandava l'orazione di quelli ch'entravano ed uscivano. » Una fiata sedendo noi a mensa, quello grande prelato e dottore inchinando la sua santa bocca agli orecchi miei, disse; « Vuogli ch'io ti dimostri nella profonda canutezza la divina prudenzia? » E pregandolo io di ciò, chiamoe il giusto pastore uno della seconda mensa, che avea nome Laurenzio, stato quarantotto anni nel monasterio, ed era il secondo prete della chiesa; e venendogli e inginocchiandosi umilmente dinanzi all'abate, ricevette la benedizione; ed essendo levato di terra, l'abate non li disse nulla, ma lasciollo stare dinanzi alla mensa sanza mangiare, ed era al principio della refezione; e così stette quasi per due ore, sì ch'io mi vergognava di riguardallo in faccia, però ch'era tutto canuto, vecchio d'ottanta anni. Ed essendo stato senza parlare insino al compimento della refezione, levandosi da mensa l'abate il mandò al predetto Isidero, che li dicesse il principio del salmo trigesimo; ed io come uomo malizioso, non fui negligente a dimandare quel vecchio, che avea pensato, stando a quel modo innanzi all'abate, ed egli rispuose così: « Io attribuì' all'abate la imagine di Cristo, cioè feci ragione che l'abate fosse Cristo, e però non pensava al postutto, che da lui mi si comandasse alcuna cosa, ma da Cristo solamente. Onde, o padre Iohanni, io non stava come chi sta dinanzi alla mensa degli uomini, anzi stava come chi sta dinanzi all'altare di Dio ad adorare, non avendo al postutto niuna rea intenzione nè cogitazione inverso del pastore per la fede e per la carità ch'io porto a lui, come dice santo Paolo, che la carità non pensa male. E questo sappi, padre, che quando alcuno con innocenzia e con simplicitade si mette nelle mani altrui, da indi innanzi non darà luogo nè ora al maligno in sè medesimo contra di lui ». E veramente quel giusto pastore delle pecore razionali e salvatore per Gesù Cristo Dio e Signore nostro cotale dispensatore avea delle cose del monasterio, casto e mansueto come molti pochi se ne truovano. Contro a questo dispensatore questo grande padre per utilità degl'altri si mosse ad ira sanza cagione, e comandò molto aspramente che fosse cacciato dell'oratorio; e conoscendo io ch'era sanza offesa di quello che l'abate lo incolpava, facea la scusa per lui all'abate segretamente; ed egli savio sì disse: « Saccio che non à colpa, ma come è cosa miserabile ed ingiusta rapire il pane delle mani del fanciullo affamato, così quegli che ae a reggere l'anime, offende sè ed il discepolo suo, se non gli fa acquistare a tutte l'ore corone per ingiurie e per vergogne e per disprezzamenti, quando conosce che ne possa portare. Ed in tre cose massimamente l'offende: primamente che 'l priva della mercede della reprensione; il secondo danno è che priva gli altri dell'esempio che riceverebbono della virtù altrui; il terzo male è gravissimo, però che spesse volte quelli che sono estimati d'essere portatori di pene e pazienti, non essendo toccati per tempo, e quasi uomini virtuosi non essendo dagli prelati ripresi, furono privati di quella mansuetudine e pazienzia, che prima era stata in loro ». E però san Paolo comandò al suo discepolo Timoteo così: Riprendi, priega, fa le vergogne, non cessare, o che piaccia o che dispiaccia, e questo è a dire opportune et importune; e litigando me di questa cosa contro quello abate, e allegando la infermità dello spirito di questa presente generazione, come spesse fiate per le reprensioni che son fatte quasi sanza cagione, si turbano e partonsi dalla greggia, quegli che era casa di sapienzia, rispose e disse questa bella e notabil parola: « L'anima che per Gesù Cristo s'è offerta e legata dalla carità e dalla fede del pastore infino al sangue, non si partirà, massimamente se à ricevuto da esso beneficii spirituali sopra le piaghe de' suoi peccati, ricordandosi delle parole di san Paulo, quando disse che nè angeli nè arcangeli, nè principati, nè virtuti e neun'altra creatura partirà noi dalla carità di Cristo e dal pastore; ma l'anima che non è così legata, fissa e congiunta, se in quel luogo non dimora vanamente cioè inutilmente, al postutto me ne maraviglio, perciò che alla persona infinta non l'è bastevole la subiezione, che è pure in apparenzia »; ed imperò quello grande santo non mentie a sè medesimo, ma guidoe l'anime e condussele a perfezione, ed offersele a Cristo ostie immaculate. Udiamo la divina sapienzia, e maraviglianci come si truova in vasi di terra. Essendo io in quello monasterio, mi maravigliava della pazienzia e della fede di quelli che venivano novellamente, e della smisurata sofferenza delle reprensioni e delle ingiurie che facevano gli prelati, ed alcuna fiata riceveano persecuzioni non solamente dalli prelati, ma da' minori; onde per cagione d'edificazione una fiata domandai io uno, ch'era istato quindici anni nel monasterio, il quale avea nome Abachiro, il quale io vedea singularmente esser offeso da tutti quanti, ed alcuna fiata dalli servidori era cacciato dalla mensa ( però che quel frate era un poco sfrenato della lingua, e questo avea per natura ), e dissi a lui: « Frate Abachiro, perchè è questo, ch'io ti veggio quasi per continuo esser cacciato dalla mensa, ed ire a dormire sanza refezione? » Ed egli rispose così: « Padre, credimi che questi miei padri mi pruovano se io son degno d'esser fatto monaco, e nol fanno in verità per iniquità; e però io conoscendo la 'ntenzione loro e dell'abate, ogni cosa sostegno sanza pena, e pensando questo, abbo portato quindici anni, però che dal principio quando c'entrai, sì mi dissono che trenta anni si debbono provare quelli, che renunziano al mondo; e giustamente è fatto questo, padre Ioanni, però che colui che non sta alla pruova, non è perfetto ». E sostenendo anche questo nobile Abachiro per tempo di due anni, da poi ch'io fui in quel monasterio, si riposò in pace; e disse questa parola alli padri del monasterio, quando venne a morte: « Grazie rendo a Gesù Cristo nostro Signore ed a voi, che, però che voi m'avete tentato per la mia salute, sono stato diecisette anni non tentato dalle demonia; » e morto egli, quel pastore del giusto giudicio, come confessore il fece degnamente collocare colli santi, che si riposano in quel monasterio. Offendo tutti gli amatori del bene, s'io tengo silenzio, ch'io non dica la perfezione e lo stato di Macidonico archidiacono di quello monasterio. Questi essendo molto sollicito nelle cose di Dio, una fiata venendo la solennità della Epifania, due dì dinanzi pregò il pastore, che volea ire nella città d'Alessandria per cose necessarie alla casa, promettendo d' uscire della città incontanente per l'apparecchiamento della solennità. Ma il demonio che à in odio il bene, fece che l'archidiacono ebbe impedimento, per lo quale non ritornò al monasterio in quella solennità, secondo il termine che avea ricevuto dall'abate, ma tornò uno dì poi; e ritornato egli, il pastore il rimosse dallo stato suo, e sì 'l puose nel luogo degli ultimi novizii; e lo buono ministro archidiacono della pazienzia e della sofferenzia ricevette la parola e la sentenzia dall'abate così sanza tristizia, come la reprensione fosse fatta ad un'altro e non a lui. E stando egli in questo stato quaranta dì, l'abate il rimenò al proprio stato suo, ed essendo stato nel proprio grado uno dì, sì pregò l'abate che lo riponesse in quella penitenzia ed in quella vergogna, imperò che disse: « Io commisi nella città cosa da non perdonare; » e sappiendo quel santo che questo dicea per umilità, non che fosse vero, in pertanto consentìe pur al suo buono desiderio; ed era cosa mirabile vedere una canutezza venerabile stare nel grado delli cominciatori, e pregare tutti gli frati con pieno cuore e perfetta umilità, che pregassono Iddio per lui, però che dicea: « Io caddi nella fornicazione della inobedienzia »; ma a me vile sì manifestò la cagione questo Macedonico, per la quale ricercoe d'essere riposto in quello basso stato, però che disse: « Già mai non senti' in me tanta liberazione d'ogni battaglia e tanta dolcezza di lume divino, quanta io sento aguale ». Propietà è degli angeli di non cadere, però che non possono, ma propio degl'uomini è dopo il cadimento potersi rilevare a tutte fiate, e solo le demonia cadendo una volta, non si possono rilevarne. Quegli a cui era commessa la dispensazione delle cose del monasterio, confidandosi di me, disse a me questa cosa: « Quando era giovane ed avea cura degli animali, cioè che portava al monasterio le vettuaglia colle bestie, fui ingannato dal nimico, come è usato, in uno gravissimo cadimento d'anima; ma avea questa usanza di non nascondere mai il serpente nel nido del cuore, però che incontanente manifestai al medico questo difetto, tenendo mano all'opera, cioè non andando più innanzi coll'opera. E questo medico spirituale percotendomi leggiermente la mascella, con lieta faccia disse a me: « Va, figliuolo, e fa il tuo servigio come prima, e non temere »; ed io credendo con ferma fede, in pochi dì mi senti' sanato di quel difetto, e poi facea l'ufficio mio con letizia e timore ». Ogni stato di creatura ae molta differenzia e diversità in sè; così nelle congregazioni de' frati si è differenzia degli profetti e delle deliberazioni delle volontadi e de' conoscimenti, sicchè tutti li frati di quello monasterio non erano egualmente disposti; imperò il medico loro notava quelli che volentieri si dimostravano agli mondani, quando alcuni ne venivano al monasterio, e tenea con essi questo modo, che in presenzia di quelli mondani comandava loro li più vili servigi, e faceva loro le vergogne e non li lasciava posare, tante cose comandava loro; per la qual cosa eglino medesimi sanza altro comandamento si partivano e cessavano da' mondani, quando alcuni n'andavano al monasterio. Ed era cosa sopramirabile vedere la vanagloria perseguitare sè medesima e fuggire dagli uomini. Il nostro Signore Gesù Cristo non vogliendomi privare dell'orazione d'uno santo padre, una settimana anzi ch'io mi partissi di quello monasterio, chiamò a sè uno uomo mirabile, il cui nome era Mina, il quale dopo l'abate guidava tutti i fatti del monasterio, ed essendo stato cinquantotto anni nel monasterio, sollicitamente tutta la ministrazione del monasterio adempiva. Or che adivenne? Il terzo dì facendo noi l'ufficio del transito di quel santo, subitamente tutto il coro dove stavamo, si riempiette d'una fragranzia di buono e soavissimo odore; e permise l'abate che fosse scoperta la sepultura, dov' era messo quel corpo, e vedemmo noi tutti delle sue preziosissime piante de' piedi uscire due fonti d'unguento, del quale usciva quel soavissimo odore; e l'abate parlò e disse: « Ecco, vedete li sudori de' piedi e delle fatiche sue, che come unguenti furono offerte ed accette a Dio ». Molte altre perfezioni narravano a noi li padri di quello luogo di quello santissimo Mina, in fra le quali diceano questo di lui, che una fiata volendo l'abate provare la pazienzia sua che gli era data da Dio, essendo tornato al monasterio dalle faccende che avea di fuori fatte, andoe e gittossi dinanzi a' piedi dell'abate a dire sua, colpa ed a ricevere la benedizione, secondo l'usanza del monasterio. Ma l'abate non ricevette la sua penitenzia e non lo benedisse, ma lasciollo giacere in terra per grande spazio di tempo in fino a ora dell'officio; e poi benedicendolo, sì lo riprese come amatore di vanagloria e come impaziente, e fecelo levare di terra, che egli sapea bene come quel santo nobilemente sofferiva; e però fece questa pruova per edificazione di tutti gli altri. Anche il discepolo di questo Mina sì ne certificava della santitade sua di quel suo maestro, dicendo così: « Io di quel tempo curiosamente lo dimandai, se in quel tanto giacere in terra dinanzi a' piedi dell'abate, l'avea preso niente il sonno; ed egli m'affermò, che tutto il salterio avea ditto, stando giacendo dinanzi alli piedi dell'abate ». Non mi spiace d'ornare la corona di questo trattato di questo smeraldo. Una fiata mossi parola ad alcuni antichi di quel monasterio sommamente perfetti della quiete della solitaria vita, ed essi colla faccia e cogli costumi lieti dissono a me così: « Noi, padre Iovanni, però che siamo materiali, avemo preso stato pur materiale, volendo prendere quella battaglia, che sia secondo la misura della nostra infermità, e pensando che sia più utile a combattere cogli uomini, i quali alcuna fiata si turbano ed alcuna fiata si pacificano, che combattere colle demonia, i quali sempre sono furiosi ed armati contra noi ». Un'altro di quelli santi padri, che aveva in me molta confidanza e molta carità, benignamente mi parlò e disse così: « Se tu senti in te che sia l'operazione di colui, che disse savissimamente: Ogni cosa posso in Cristo, che mi conforta, e se lo Spirito Santo della rugiada della castità è venuto sopra te, come venne sopra la Vergine, e se la virtù della altissima pazienzia è donata alla mente tua, cìgniti, come lo nostro Signore Gesù Cristo, del cingolo della obedienzia, e liévati dalla cena della tua solitaria quiete, e lava gli piedi dei frati in ispirito; anzi maggiormente ti getta sotto gli piedi della congregazione col sapere umile e subietto, e poni li portinari duri e vigilanti nella porta del cuor tuo; contieni la mente invincibilmente, la quale è forte a contenere nel corpo occupato nelle molte faccende e nelle membra mosse e conturbate. Studia d'avere quiete intellettuale, la qual cosa è molto sopragloriosa; studia d'essere inconturbabile, stando in mezzo delle conturbazioni e de' romori, abbiendo l'anima pacifica; costrigni la lingua furiosa e pazza, la quale sempre si vuol gittare a contradicere alle parole altrui; combatti contra questa reina di molti mali settantasette volte per die; disponti a ficcare la croce nel legno dell'anima, cioè a non avere la mente conturbata, ma fissa come l'ancudine, che essendo percossa e straziata e maledetta, e fattole vituperii e vergogne, e schernita dalle confusioni e da' romori, che sono infra la congregazione, non si dissolva e non si lasci abbattere, ma tutta rimanga piana o pacifica sanza commozione. Spògliati della tua volontà, come di vestimento di confusione, ed essendo spogliato, entra nel campo della battaglia a combattere colli modi e colli costumi de' tuoi compagni congiunti, la qual cosa è forte e rade fiate si truova. Véstiti la panziera della fede inverso il tuo pastore, il quale ti ordina alla battaglia, la qual panziera non si possa smagliare nè trapassare da neuna infidelità. Tieni il toccamente col freno della temperanza, il quale vuole discorrere a toccare sanza vergogna; costrigni l'occhio colla memoria della morte, il quale ad ogni ora vuole raguardare curiosamente la grandezza e la bellezza delle corpora; fa ammutolire il tuo intelletto curioso infra la sollicitudine della famiglia, il quale intelletto vuole giudicare il frate che opera e lavora negligentemente, e dàgli a vedere ogni cosa che sia di carità e di compassione inverso del prossimo sanza errore ed in questo conoscerà ogni gente, che noi veramente siamo discepoli di Cristo, se nella congregazione avremo carità l'uno all'altro ». Anche disse quel buon amico: « Vieni, vieni, e béi a tutte l'ore le derisioni che saranno fatte di te, come acqua di vita, imperò che tutte le cose che sono sotto il cielo gioconde, cercando David, ultimamente disse: Che ci è in questo mondo che sia buono e giocondo, se non abitare li fratelli insieme, cioè congiunzione in amore? Ma se non siamo fatti degni ancora del bene di questa obedienzia e pazienzia, buona cosa è stare di lungo da questo campo della battaglia, e cognoscere la propia infermità, e singularmente beatificare coloro che ci stanno, e pregare Iddio che dea a loro pazienzia ». Ed io essendo vinto dalle parole di questo buon padre e virtuoso maestro, le quali parole mi provava amichevolmente per lo Vangelio e per lo profeta, senza nulla dubitazione mi volli botare alla beata obbedienza. Ricordandomi ancora di una virtù umile ed utile e fruttuosa di questi beati, vóiola presentare come s'io uscissi di paradiso e recassi uno de' frutti; e questo mio parlare non sarà ornato per eloquenza, nè utile a consolazione corporale, ma sarà aspro, secondo ch'è dura e aspra la regola della vita spirituale. Stando noi spesse fiate alla orazione, il pastore e padre si puose mente, e vide che alcuni in quel tempo parlavano insieme, per lo qual difetto gli fece stare tutta una settimana dinanzi alla porta della chiesa nel tempo dell'ufficio divino, e dire lor colpa, inchinandosi a tutti i frati che entravano ed uscivano. Puosimi mente d'uno frate di quello monasterio, che quando si dovea cominciare l'officio, tenea atti e modi colla faccia quasi parlasse con altrui; ed io il domandai a che intenzione teneva questo modo, ed egli non sappiendo negare le cose utili ad altrui, disse così: « Padre Iovanni, dal principio della orazione sono usato di raccogliere la mente e le cogitazioni insieme con l'anima; ed essendo ragunate, le invito e dico: Venite ed adoriamo, ed inginocchianci dinanzi a Cristo Gesù Iddio e nostro re. Di questo frate medesimo puosi mente, che portava una picciola tavoletta appiccata al cingolo, e seppi che in essa scrivea tutte le cogitazioni sue per manifestarle all'abate, e questo non solamente egli, ma più altri lo faceano, però che come io udie, era comandamento dell'abate. Uno de' frati una volta fece detrazione del prossimo all'abate, dicendo che quello frate era uno grande parlatore e menzognere, il qual frate detrattore fu cacciato dal monasterio; ed essendo quel frate pentuto ed umiliato, non si partì dalla porta del monasterio, anzi stette ivi tutta la settimana, pregando ch'egli fosse perdonato e rimesso nel monasterio; e quello abate amatore dell'anime, sappiendo ch'era stato sei dì alla porta sanza mangiare, la quale cosa sollecitamento cercava, mandolli a dire così, che s'egli veramente volea dimorare nel monasterio, conveniva che fosse messo in quel luogo, nel quale dimoravano quelli che stavano a piangere li loro cadimenti, e così fu fatto. Però che avemo fatto menzione del luogo da piangere li cadimenti, alcuna cosa ne diciamo. Questo luogo era un miglio di lunge dal grande monasterio, e chiamavasi carcere, ed era privato d'ogni consolazione corporale, però che non vi appariva mai frumento nè vino nè olio in cibo nè cosa cotta niuna, se non solamente pane e poche erbe. In questo luogo si rinchiudeano quelli che prevaricavano dopo la loro vocazione, e non stavano insieme, ma partiti l'uno dall'altro o due al più, e non n'uscivano infino a tanto, che l'abate era certificato da Dio; ed avea posto sopra di loro e sopra il luogo uno che aveva nome Isaac, il quale voleva che continuamente quasi stessero in orazione coloro che gli erano commessi, ed aveaci grande copia di palme per lavorare contro allo 'mpedimento dell'accidia. Questa è la vita e questo è lo stato e questa è la conversazione di quelli, che cercano di vedere la faccia di Dio. Maravigliarsi delle fatiche e de' dolori de' santi è buona cosa, ma seguitare è acquistamento di salute; ma volere uno seguitare la conversazione di tutti, è cosa sconvenevole e impossibile. Quando nelle reprensioni che ci son fatte, sentiamo punture forti di pena e tristizia d'anima, in quel tempo ci ricordiamo de' nostri peccati, e confortianci infino a tanto, che 'l Signore vedendo lo sforzo che facciamo contro la violenza che ci è fatta, stragghi la pena nostra e il dolore che ci morde il cuore, e 'l pianto nostro converta in allegrezza per lo dono della carità sua, secondo che 'l santo profeta disse a Dio: Secondo la multitudine de' dolori ch'erano nel cuore mio, tanto le tue consolazioni letificarono l'anima mia. Nel tempo convenevole ci ricordiamo di colui che disse a Dio: Signore, mi dimostrasti tribulazioni molte e ree, e 'poi ti rivolgesti a me e vivificasti me, e dall'abisso della terra dopo il cedimento mi rimenasti a te. Beato quelli che per amore di Dio fa violenza a sè medesimo a patire in pace, essendogli continuamente ditto male, e disprezzato e fattogli vergogne e vituperii. Questi goderà colli santi e colli martiri, e colli santi angeli sarà la sua fiducia e speranza. Beato il monaco, che a tutte l'ore si reputa degno d'ogni vergogna e d'ogni disprezzamento. Beato colui, che la volontà sua insino alla morte mortifica, e la cura di sè medesimo à commessa a quegli che lo regge per la via di Dio; questi sarà collocato dalla mano dritta di Gesù Cristo crocifisso. Quelli che discaccia da sè la reprensione che gli è fatta, giusta o non giusta, questi ae renunziato alla sua salute; ma quegli che la riceve o con dolore o sanza dolore o con fatica, questi riceverà la remissione de' suoi peccati. La fede e carità che tu ài al tuo prelato, dimostrala a Dio mentalmente, e Dio lo certificherà secretamente e lo 'nchinerà a te, e farallo essere famigliare a te secondo il tuo affetto. Quegli che in tutte quante le cose manifesta il serpente, cioè le tentazioni e le cogitazioni viziose al suo prelato, questi dimostra la fede efficace; ma chi lo nasconde, questi erra nelle vie nascoste e dubbiose. Quegli che vuole conoscere s'egli à carità al prossimo suo, in questo se ne certifichi, cioè quando si vedrà piagnere delle sue offensioni, e quando si vedrà allegro delle grazie e delli suoi profitti ed accrescimenti. Quegli che contende con altrui per affermare e tenere la parola sua, quantunque vero sia quello che dice, conoscasi d'essere infermo della infermità del demonio, cioè della superbia; e se questo fa favellando co' suoi pari, forse che alcuna fiata riceverae sanità per la reprensione de' maggiori; ma se litiga con li maggiori e co' più savii, questi appo gli uomini è insanabile, che chi non è suddito della parola, manifesta cosa è che non è suddito dell'opera, e chi nel poco è infedele, maggiormente sarà infedele nel molto, e vanamente s'affatica, però che della santa obedienzia ch'egli mostra d'avere, non ne riporta che giudicio a sè medesimo; ma quegli che inverso della subiezione del padre possiede la conscienzia sommamente monda, questi da indi innanzi aspetti ogni dì la morte come il sonno, anzi come vita, e non si contristi, conoscendo certamente nel tempo della morte, che egli non renderà ragione di sè, ma renderalla colui, a cui egli è stato subietto e suddito. Quegli che riceve la cura dell'anime altrui dal padre spirituale sanza essere sforzato da lui, ed incorre in alcuna improvisa offensione, non sarà imputata a colui che gli diede l'ufficio, ma a quelli che lo ricevette, imperò che colui gli diede l'armi contra 'l nimico, ed egli percosse sè medesimo; ma quegli che ricevette sforzatamente la cura, non percosse sè, però che ne fu sforzato dalla parte dì Dio, e disse dinanzi la sua infermità ed insufficienza, confidisi, chè poniamo che sia caduto, non morrà. Non m'è stato ricordato, o amici, di ponervi innanzi questo suave pane delle virtù, come vidi in quello monasterio quelli veraci obbedienti di Dio, i quali sè medesimi abbatteano colle ingiurie, svergognandosi secondo Iddio, acciò che delle ingiurie e delle vergogne che loro fossono fatte da altrui, non se ne contristassono, essendone adusati. L'anima che pensa della confessione, e studievolmente la tiene nella memoria, è tenuta da essa quasi da uno freno che non pecchi; ma chi non cura di confessarsi, da indi innanzi quasi in tenebra e sanza timore adopera il male. Quando non essendo presente il nostro prelato, noi imaginiamo il volto suo, pensando che ci sia sempre presente, e guardiamci da ogni parola e dal cibo e dal sonno, e da ogni cosa che pensiamo che a lui dispiaccia, in questo conosciamo che noi seguitiamo vera obedienzia. Li pigri e negligenti discepoli si rallegrano quando il maestro non è presente, ma gli nobili discepoli se lo reputano in gran danno. Domandai alcuna fiata uno uomo probatissimo, e prega' lo mi dicesse in che modo l'obidienzia possiede l'umilità, ed egli mi disse così: « Se l'obidiente sia savio e bene intendente, pogniamo che risuscitasse i morti ed avesse il dono delle lagrime, e fosse liberato dalle battaglie, pensi al postutto, che l'orazione del padre spirituale li à fatta quella grazia, ed egli rimane libero della superbia e della vana gloria e propia reputazione, però che non si potrà esaltare di quello, ch'egli estima che gli sia dato per aiutorio del suo padre e non per sua sollicitudine. Ma il solitario che non sta sotto la guida del padre spirituale, non cognosce questa grazia, e però gli doni e le grazie ch'egli riceve, non sono libere dalla propia reputazione, la quale gli fa vedere che gli sieno venute per la propia sollicitudine. Quegli che sta nella subiezione della obedienzia, s'egli può vincere due inganni dell'avversario, permane e sta da indi innanzi etemalmente servo di Cristo. Combatte il demonio come campione contra gli obedienti di contaminarli di sozzura di carne, e di farli essere duri di cuore. Alcuna fiata combatte di fargli essere conturbabili, cioè apparecchiati a ricevere turbazioni, movendogli a ciò violentemente contro la loro usanza e costume, per fargli esser aridi senza frutto di devozione, e golosi e desiderosi di mangiare, pigri all'orazione e sonnolenti e tenebrosi di mente, acciò che para a loro di non avere nullo frutto della obedienzia e della subiezione, per trarli della battaglia e tornino, addietro e non li lascia intendere come spesse fiate la privazione di questi beni apparescenti, fatta per divina dispensazione, è a noi cagione di profondissima umilità. Questo preditto ingannatore molte volte è stato cacciato da alcuni per pazienzia. Ancora questo demonio parlando, ecco poco poi l'altro angelo di Satanas nell' altro modo pruova d'ingannare. Vidi gli obidienti ben contriti e mansueti e benigni e piacevoli sanza tentazione di carne, solliciti e non impugnati, caldi e ferventi fatti per la protezione del padre spirituale, alli quali le demonia seminaron nel cuore, e feceno loro vedere ch'erano pazienti e sufficienti d'andare alla solitaria quiete, ove è la perfetta battaglia, per potere pervenire alla impassibilità; ed essendo in questo modo ingannati, lasciarono il porto, della obedienzia, ed entrarono nel pelago della solitudine, e sopravenendo la tempesta, e non potendosi governare, patirono miserabile dolore dal mare salso e sozzo. Cosa necessaria è che 'l mare si conquassi e si conturbi, ed abbia le grandi tempestadi e faccia le grandi onde, acciò che 'l fieno ed ogni fracidume, che i fiumi ànno menato al mare, per la commozione e per l'onde cacci e getti fuori da sè. Sopra intendiamo, e troveremo dopo la grande tempestade esser fatta nel mare profonda tranquillità. Quegli che alcuna fiata è obediente al padre spirituale, ed alcuna fiata non è ubidiente, è assimigliato a colui che alcuna fiata si mette il collirio negli occhi, ed alcuna fiata ci mette la calcina. Se uno edifica ed un altro disfa, che utilità è, se non sola fatica? O figliuolo ubidiente di Dio, non ti lasciare ingannare dallo spirito della propia reputazione, che tu confessi al tuo maestro li tuoi peccati quasi in persona altrui; però che non poterne essere liberati dalla confusione etemale sanza confusione e vergogna temporale, però ti studia di scoprire al medico la piaga tua e dirla, e non ti confonda la vergogna; di': « Mia è la piaga, pur per mia negligenzia provenne e non per altrui colpa; non mi ci fu cagione nè uomo nè demonio nè corpo nè neuna altra cosa, se non solamente la mia miseria e la mia negligenzia ». Sta col modo e coll'aspetto e colla cogitazione, come se tu fossi posto in giudicio, risguardando in terra per la vergogna, e se può essere, lava i piedi del giudice e del medico tuo colle lagrime, come la Maddalena lavò i piedi a Cristo, che lo demonio ae questo costume spesse fiate d'ammonire noi, che non ci confessiamo, o che ci confessiamo quasi in persona altrui, che del peccato nostro imponiamo ad altri la cagione; e se tutte le cose si tolgono per usanza, e se tutte le cose seguitan per l'usanza, molto maggiormente le buone cose avendo sì buono aiutatore come Dio, non ti affaticherai, o figliuolo, molti anni a trovare in te la buona requie e tranquillità, se tu dal principio ti darai con tutta l'anima a ricevere le vergogne. Non ti disdegnare fare la confessione al pastore come a Dio con modo pieno di subiezione, però ch'io vidi uomini legati in molti peccati molto miserabili, li quali per la molta confessione ed umile subiezione ammorbidirono la durizia del giudice, e lo suo furore trasformarono in molta benignità; e però Ioanni Battista volea la confessione da coloro che andavano al suo battesimo, non che n'abbisognasse, ma facealo per la lor salute. E non ci sbigottiamo, essendo impugnati dopo la confessione, però che meglio è a noi di combattere colle contaminazioni carnali, che combattere con la superbia del cuore e con la propia reputazione. Non correre, figliuolo, e non ti levare in alto, cioè non volere volare, quando odi narrare gli fatti e gli stati de' padri solitari e degli anacoriti, cioè di quegli che ànno levato il cuore a Dio; imperò che tu sei eletto per la via della cavalleria del primo martire santo Stefano, a vivere nella compagnia de' discepoli di Cristo, ed essere lapidato dalle forti ed increscevoli parole; e poniamo che in questa battaglia ci caschi e vegni meno, in pertanto non ti partire del campo, imperò che allora maggiormente abbisogniamo del medico, che se quegli che à l'aiuto, inzoppica, non abbiendo l'aiutorio, sarebbe stato caduto e morto. Quando noi stando nel monasterio siamo vinti ed abbattuti, allora più tosto vengono le demonia, e quasi sotto specie d'una cagione molto ragionevole, anzi molto fuori di ragione sì ci impugnano ed ammoniscono che noi andiamo a stare solitari, e la loro intenzione si è di fare a noi fare cadimenti sopra cadimenti. Quando il medico allega la 'mpotenzia, allora è mestieri d'andare ad altro medico, però che sanza medico molti pochi ne sono curati. E chi potrà contradire a questa nostra determinazione? Che se la nave avendo savio ed esperto governatore, riceve pericolo e tempesta se non lo avesse avuto, sarebbe stata pericolate al tutto. Della obedienzia nasce la perfetta umilità, e della umilità la 'mpassibilità, secondo che dice il profeta, che 'l Signore nella nostra umilità si ricordò di noi, e ricomperocci delle mani de' nostri nemici; adunque sicuramente possiamo dire, che della obidienzia nasce la 'mpassibilità, per la quale obedienzia si fa la perfezione della umilità, però che l'umilità è principio della obedienzia, come Moisè fu principio della legge, e l'obedienzia che è figliuola dell'umilità, fa perfetta l'umilità che è sua madre, come santa Magia nata della Sinagoga, fece perfetta la Sinagoga. D'ogni punizione sono degni dinanzi da Dio quelli infermi, che ànno avuto sperienzia del medico e ricevuto utilità da esso, se lo lasciano anzi che abbiano perfetta sanità, pensando che un'altro sia migliore medico di lui. Non fuggire dalle mani di colui, che al principio ti offerse a Dio, però che nella vita tua non arai così fatta reverenzia ad un'altro come a lui. Quegli che non è sperto, non si potrà partire della schiera de' cavalieri con certa sicurtade per andare a combattere a solo a solo; così il monaco senza molto pericolo non potrà andare a la solitaria quiete, innanzi che abbia la sperienzia e l'esercizio di combattere contra gli vizii corporali e spirituali. Lo cavaliere riceve pericolo corporale, ma il monaco riceverà pericolo secondo l'anima, però che dice la Santa Scrittura: Meglio è stare due insieme che uno solo, cioè buona cosa è stare il figliuolo col padre suo, e per l'operazione dello Spirito Santo combattere colle sue usanze viziose. Quegli che priva il cieco della guida, e lo fanciullo piccolo del padre suo, e la greggia del pastore, e lo infermo del medico e la nave del governatore, a cadauno apparecchia pericolo; e colui che sanza aiuto vuole combattere contr'a' maligni spiriti, sarà morto da essi. Quegli che vanno al medico per la cura, dal principio pongono a mente le doglie loro, e quegli che si sono sottomessi in subiezione, si pongono a mente l'utilità ch'e' venuta in loro per quella obedienzia, però che sì come agl'infermi è segno di sanità lo scemamento de' dolori, così è segno di sanità ai sudditi la umilità, che è cresciuta loro nell'anima, per la quale umilità giudicano sè medesimi, e questo è segno sanza errore, e nullo altro segno è tale. Lo specchio nel quale puoi vedere la tua subiezione, si è la conscienzia tua, ed è bene sufficiente. Sono alcuni che stando nella quiete solitaria, sono subietti al padre spirituale, e non ànno a combattere se non colle demonia; alcuni altri sono subietti stando nella compagnia, e ànno a combattere colle demonia e cogli uomini; e li primi per lo continuo aspetto mentale del maestro, molto diligentemente osservano li suoi comandamenti, ma gli secondi spesse fiate per la sua partita offendono un poco in alcuna cosa. Ma se alcuni sono solliciti e portatori di dolori, questi per la pazienzia delle reprensioni sadisfanno i difetti ed acquistano doppie corone. Con ogni guardia e sollicitudine guardiamo noi medesimi, però che le navi che ritornano a porto leggiermente, sono usate di rompersi per alcuni vermini, che rodono i legni dentro segretamente; così l'anime. Sopra quegli che è nostro prelato, somma tacitumitade ci studiamo d'avere; l'uomo che è tacito, è amatore di sapienzia, e continuamente aquista molta scienzia. Vidi il suddito che toglieva la parola della bocca del suo prelato, e dispera' mi della suggezione, che non mi parea che di sua subiezione avesse ricevuta utilità, vedendo che ne avea acquistata superbia e non umilità. Con ogni studio attendiamo, onde e quando e come la ministrazione, cioè l'opere de' servigi del monasterio, si debbono anteponere a l'orazione, però che non sempre. Attendi a te medesimo ed alli frati, e non ti sollicitare d'apparere più giusto di loro in neuna cosa, istando insieme con essi, imperò che in questo modo facendo, commetti due mali: in prima per questa tua falsa e infinta operazione conturbi i frati tuoi, ed a te medesimo acquisti superbia ed altura di cuore; però ti studia d'esser virtuoso secondo l'anima, non mostrandolo nel corpo, non con figura, non con abito, non in parole, non in atti nè in segni, infino a tanto che tu sii liberato dal vizio di giudicare e dispregiare il prossimo; ma mentre che tu se' inchinevole a questo vizio, sii simigliante ai frati tuoi ne' costumi di fuori, e non sii dissimigliante da loro per la superbia del cuore e per la propia reputazione. Vidi lo reo discepolo che si gloriava delle perfezioni del suo maestro, e pensandosi d'acquistare onore della bontà altrui, maggiormente n'acquistava vergogna, però che la coscienzia di tutti gli uditori rispondea e dicea: E come l'arbore buono mena e produce rami sanza frutto? Non dovemo essere ditti pazienti e sofferenti, quando nobilmente sosteniamo le 'ngiurie dal nostro padre, ma quando da ogni uomo siamo dispregiati ed offesi, però che 'l padre sopportiamo tutti quanti per naturale reverenzia e per debito. Ricevi e béi le vergogne come acqua di vita da ogni persona, che te ne vuol dare a bere, però ch'elle sono purgazioni delle carnalitadi e della lussuria, però che allora nascerà nell'anima tua profonda castità, e lo lume divino non verrà meno nel tuo cuore. Non ti gloriare della deliberazione della mente tua, quando vedi che tutto il collegio della fraternità si riposa sopra te, imperò che i ladroni stanno sopra te e d'intorno a te da ogni parte. Ricordati delle parole del nostro Signore Gesù Cristo, quando disse a' discepoli suoi: Quando voi avete fatte tutte le cose che vi sono comandate, dite: Noi siamo servi inutili; avemo fatto quello ch'eravamo tenuti di fare; ma quali siano l'opere nostre, nel tempo della morte il sapremo. Il cenobio, cioè lo monasterio, è uno cielo terreno, e però quello affetto d'amore e di reverenzia, che ànno gli angeli in cielo ministrando a Dio, quello ci studiamo di fare avere al cuore nostro, servendo a Dio nel monasterio. Ma molti in questo cielo terreno stanno duri ed insensibili come la pietra in quello servigio che fanno; ma alcuna fiata il Signore gli consola colla compunzione, e questa varietà adiviene per questa cagione, acciò che siano liberi dalla superbia e dalla propia reputazione, e nelle fatiche loro per lagrime sieno consolati. Uno piccolo fuoco molto male fa alliquidire, ed una piccola vergogna che sopraviene, subitamente striga e distempera tutta la salvatichezza ed insensibilità e cechità del cuore, e convertela in dolcezza. Vidi alcuna fiata due, che stavano nascosti per udire e ponersi a mente gli sospiri e le penitenzie de' servi di Dio, ed uno di loro facea questo per prendere esempio e seguitare coll'opere, l'altro lo facea per farsene scherno, quando gli accadesse il tempo, e farlo cessare da quella buona opera. Non sii sconvenevole e fastidioso, volendo tenere silenzio, dando per tuo silenzio turbazione ed amaritudine ad altri, e non ti fare per tuo silenzio giudicatore e condannatore di quelli, che non tengono silenzio, però che così facendo, saresti ladro e peggio che li furiosi e tempestosi. Alcuni ànno questa apparenzia per infignimenti, alcuni per propietade e idoneitade, cioè per attitudine naturale, che sono dolenti ed accidiosi e tristi, e per queste cose tengono silenzio senza neuna virtù. Quegli che sta nel mezzo, cioè nello stato de' combattitori e de' proficienti, puote più guadagnare dell'orazione formata dall'anima secondo la necessità presente, e secondo la pugna che soffera, che non può guadagnare della salmodia, cioè a dire salmi, però che la confusione del salmo ( in quanto non seguita pur una materia, ma parla di più cose diverse ) si è per la mutazione della mente del profeta, fatta subitamente per Spirito Santo, la quale mutazione non può seguitare la mente e l'anima, ch'è posta nell'angoscie delle battaglie. Combatti nel tempo dell'orazione, pensando di raccogliere a te medesimo continuamente la mente e la 'ntenzione, e quando la mente e l'intenzione sono distratte da te e declinate in altre cose, che non sono utili a quello essere, non cessare di rivocarle a te, però che Dio richiede dallo obediente orazione non distratta e non redinata in altri pensieri; e però non ti contristare quando nell'orazione patissi furto di mente, ma sta pur con buono animo, e lo tuo intelletto sempre rivoca a te e sollevalo a Cristo, imperò che solo l'angelo è quello che non può ricevere furto di mente. Quegli che conferma il cuor suo nella confidenza di Dio, e di non partirsi del lougo infino alla morte, ancora di patire innanzi mille morti, non cade leggiermente in neuna delle predette cose, imperò che la infedelità e la dubitanza del cuore e la incostanzia de' luoghi sempre genera offensione e contrarii avvenimenti. Coloro che sono leggieri e pronti a transmutare luogo in tutte cose ed in tutti luoghi, saranno cattivi, imperò che neuna cosa è che tanto privi l'anima de' buoni frutti, quanto la insofferenza; e se tu se' pervenuto al luogo di medicamento d'anima, cioè al monasterio, ed ài trovato medico, cioè prelato, il quale non conosci, non ti ligare incontanente, ma stavi come peregrino, e segretamente prendi la sperienza di tutti quelli che vi dimorano; e se tu conoscerai e sentirai per li loro artificii e ministeri, cioè per li modi loro e reggimenti, utilità sopra le tue infirmitadi, spezialmente ad evacuare ed a votare l'enfiamento e la superbia del cuore tuo, da indi ti ferma a stare, e compera quello stato coll'oro della umilità e colla carta della obedienzia e colle lettere della ministrazione, cioè colle fatiche de' servigi, e colla testimonianza degli Angeli. Rompi e straccia in queste cose la carta della propia volontà, però che colui che si trasmuta di luogo a luogo per sua propia volontà, certa cosa è che egli rimette ed annichila quella ricomperazione, la quale Cristo fece di lui col sangue suo prezioso; imperò il tuo luogo sia a te monumento innanzi a monumento, cioè sia a te sepultura insino alla morte; della qual sepultura alcuni che ne sono usciti, non ànno fatta buona morte, della quale preghiamo il Signore Gesù Cristo che liberi noi. Li pigri e negligenti figliuoli, quando sentono essere gravi i comandamenti de' padri spirituali, allora eleggono di stare in orazione; ma quando i comandamenti sono leggieri a fare, fuggono dall'orazione come dal fuoco; ed alcuno è, che per consolazione del frate suo lascia l'opera che avea presa a fare, ed è alcuno che la lascia per oziositade e negligenzia, ed alcuno che la lascia per vanagloria, ed alcuno che la lascia per prontezza di spirito. Se tu se' innanzi preso e prevenuto di promissione e di professione d'alcuno monasterio o abbate, la qual cosa non esaminasti in prima con diligenzia, e vediti non avere utilità spirituale, non lasciare che non ti parti, e dividiti da quello stato; ma guarda che non sia per tuo difetto questo, cioè che non ti sia utile lo stare ivi, però che chi è cattivo, in ogni luogo sarà cattivo. Le ingiurie e lo male parlare nello stato mondano ànno messo molte dissensioni, e li mangiari nelle compagnie e nelli monasteri i fanno venire tutte le ruine, i cadimenti e le reprovazioni. Se tu potrai tenere lo principato di te medesimo e signoreggiare la gola, la quale è reina de' vizii, in ogni stato acquisterai mondizia ed impassibilità; ma s'ella signoreggerà te, in ogni luogo riceverai pericolo. Il Signore Iddio fa diventare li occhi dell'obediente savii e cognoscenti delle virtù del loro maestro, e nelli difetti suoi li fa essere ignoranti; ma il demonio, il quale ae in odio il bene, fa tutto il contrario. Figura ed esempio dell'obedienzia sia a noi lariento vivo, però che va sotto ad ogni cosa, e con esso non si mescola alcuna cosa di sozzura. Quelli obedienti che sono solliciti ed espediti, guardinsi di non giudicare coloro, che sono negligenti, acciò che per quello giudicare non sieno più fortemente giudicati essi; imperò estimo io che Loth fosse giustificato, che stando infra sì mala gente, non si truova che alcuna fiala li giudicasse. Continuamente ci conviene studiare d'avere la mente tranquilla sanza turbazione, spezialmente nel tempo del divino offizio e dell'orazione, però che 'l demonio si studia di combattere ed esterminare la nostra orazione per li romori e le conturbazioni. Li ministri del divino offizio col corpo stanno dinanzi alli uomini, ma colla mente debbono toccare il cielo. Le contumelie e li vituperii e li dispregiamenti nell'anima dell'obediente sono assomigliate alla amaritudine dell'assenzio, ma le laude e gli onori e la buona fama sono assomigliate al mele a coloro che si dilettano in esse; ma veggiamo come la loro natura è diversa, però che l'assenzio purga la collera e gli umori amari del corpo, ed il mele è usato di crescergli. Dovemo credere sanza dubitazione a quelli, che ànno presa cura di noi per l'amor di Dio, pognamo che ci comandino alcuna cosa, che abbia apparenzia d'essere contraria alla nostra salute secondo il senso nostro; però che allora si pruova la fede nostra inverso li padri quasi nella fornace della umilità, però che questa è la notificazione della fede, quando comandandoci cose contrarie a quelle che speravamo, sanza dubitazione ubidiamo. Dell'obedienzia nasce l'umilità, come detto è, e dell'umilità la discrezione, come da santo Giovanni Cassiano nel capitolo della Discrezione altissimamente è dichiarato, e della discrezione la visione, e della visione il provedimento. E chi renunzierà di venire a correre meco in questa battaglia e buon corso dell'obedienzia, nella quale vede tanti beni apparecchiati? Di questa gran virtù disse quel grande e buon salmista così: Tu, Iddio, nella tua dolcezza al povero tuo obediente apparecchiasti l'avvenimento tuo nel cuor suo. Non ti dimenticare in tutta la vita tua di quel grande combattitore, il quale in tutti diciotto anni, ch'elli servìe al suo maestro infermo, non udì da esso una parola piacevole ed amorevole, e pertanto non lasciò di fare ogni servigio che mestiere gli fosse. E pogniamo che non udisse da lui questa parola: « Dio ti salvi », o « Dio ti benedica », udivala da Dio più certamente dentro da sè, che gli dicea: « Tu se' salvo, tu se' benedetto ». Sono alcuni obedienti, i quali si nascondono a sè medesimi, e minuiscono il merito loro, però che sappiendo essi quello che piace ai loro prelati, rivolgonsi a seguitare le loro volontadi, e domandano agli prelati loro di fare quelle cose che piaciono a sè medesimi; ma sappiano e conoscano questi cotali sè essere caduti dello stato della vera obedienzia, la quale dà corona di martirio, però che l'obedienzia è fuggimento d'ipocresia e di propio desiderio. È alcuno obediente, il qual riceve il comandamento del suo prelato, lo qual comandamento sente che è contra la 'ntenzione del prelato, ed imperò non obedisce volentieri; ed è alcun altro che obbedisce prontamente, sentendo che 'l comandamento è contra al piacimento del comandatore. È da vedere qual di questi due fa più santamente. Non è da credere che 'l demonio resista, e sia contrario alla sua medesima volontà, la quale sempre è perversa, e sempre desidera e procura la nostra perdizione; e di questo te ne amaestrano quelli che vivono in negligenzia, e quelli che sopportano e perseverano nella quiete solitaria, e quelli che vivono nelli monasterii sotto la obedienzia. Quando siamo impugnati e tentati, che ci partiamo dagli nostri luoghi, ove dimoriamo, questa impugnazione che ne riceviamo, sia a noi segno che a Dio piace che ci dimoriamo, però che esser impugnati è segno che noi pugniamo. Non sarò nasconditore ingiusto, maligno ed avaro, tacendo a voi quella cosa, che non si vuole tenere celata. Uno uomo di somma perfezione, il cui nome era Ioanni Opanio, Sabaitis, narrò a me cose degne d'essere udite; e quanto egli fu uomo perfetto, mondo d'ogni menzogna e da ogni parola ed opera maligna, e singulare in santitade, tu, o santo padre, lo sapesti per la sperienza. Questi mi narrò e disse così: « Nel monasterio mio ch'era in Asia, però che di quella provincia era nato egli, era uno uomo antico, al postutto negligente ed incontinente (bnon dico giudicando, ma per dire la verità ). A costui, non so come, gli venne a mano uno discepolo giovanello, il cui nome era Innocenzio, semplice d'albitrio e di deliberazione di mente, e savio di pensieri e d'opera, il quale tanti mali patì da questo vecchio, quanti furono quasi incredibili a molti; imperò che non solamente lo faticava con ingiurie e vergogne, ma eziandio con battiture e con piaghe, e la sua pazienzia era ragionevole; ed io vedendolo continuamente posto in tanta afflizione, come fosse uno servo comperato, scontrandolo dicea a lui: Che fai, frate Innocenzio? Come se' stato oggi? Ed egli rispondea: Come a Dio piace. Ed alcuna volta mostrava l'occhio livido, alcuna fiata il collo, alcuna volta il capo piagato; ed io cognoscendo ch'egli era operatore di pazienzia, dicea a lui: Ben ben sostieni e sarai salvo; ed essendo stato nove anni sotto quel vecchio sanza misericordia, andossene a paradiso; ed essendo sotterrato nel cimiterio di quel monasterio, dopo cinque dì andò quel vecchio ad uno degli padri antichi, che dimoravano in quelle contrade, e disse: Frate Innocenzio è morto; e quegli udendolo rispose: Vecchio, questo non mi farai tu credere; e quello disse: Vieni e vedra'lo. Levossi colui ed andò incontinente con quel vecchio, comandatore di quello beato combattitore, e gridoe ad esso, quasi fosse vivo, però che veramente essendo morto, vivea; e disse a lui: Frate Innocenzio, se' tu morto? E quegli ben savio ed obediente, dimostrando da po' la morte l'obedienzia, rispose a quello grande padre: Padre, come è possibile di morire uomo, che sia operatore d'obedienzia? In quell'ora quel vecchio, ch' era stato comandatore d'Innocenzio, con tremore e paura cadde in terra sopra la faccia sua, e domandò licenzia dall'abbate di quello monasterio di fare una cella presso a quella sepoltura d'Innocenzio, ed ivi visse da indi innanzi costantemente, dicendo sempre agli padri: Io feci micidio ». Padre Ioanni, a me pare che fosse grande questo padre che parlò col morto. Ed alcuna altra cosa narrò a me quell'anima beata, quasi come dicesse d'altrui, ma era stato pur egli, secondo ch'io seppi poi, e disse così: « Un'altro monaco giovane stava in quello monasterio medesimo d'Asia ad essere ammaestrato da uno monaco molto quieto e mansueto, e vedendosi essere da questo monaco molto onorato e quietato, pensò ottimamente come questa cosa suole essere a molti danno; e pregò questo suo padre, che gli desse licenzia di partirsi da lui; e però che avea un'altro discepolo, non gli fu pena di dargli licenzia; e partendosi di quello monasterio andoe, e colla lettera del suo maestro fu ricevuto in un'altro monasterio nella provincia di Ponto. La prima notte che fue in quel monasterio, vide in visione sè esser constretto a render ragione; e renduta la ragione molto paurosamente a terribili esattori, rimase obbligato a dovere rendere e satisfare cento libre d'oro; e svegliandosi intese la visione, e disse a sè medesimo: Povero Antioco ( chè così avea nome ), grande debito ti resta a pagare; e stando sotto a quella obedienzia che non discerne, in quello monasterio tre anni, disse: Io era reputato vile, e però ch'era peregrino, patia tribulazione da tutti, però che non v'era niuno altro monaco peregrino. Ed io vidi un'altra volta in visione uno che venne a me, e diemmi una carta di remissione di dieci libre del debito mio, ed io svegliandomi, intesi il sogno e dissi: Se infino ad ora non è satisfatto se non dieci libre, quando compierò io di satisfare tanto debito? E dissi a me medesimo: Vile Antioco, di più grande fatica e di più vergogna ài bisogno; e da indi innanzi m'infinsi d'essere stolto e d'avere perduto il senno, ma non ch'io non compiessi diligentemente ogni servizio che a me era imposto; onde quelli padri sanza misericordia, vedendomi in quello stato ed in quella prontezza e sollicitudine, tutte l'opere gravi del monasterio a me comandavano; e perseverando tredici anni in quello stato, vidi venire a me quelli che in prima m'erano appariti in visione, e diedermi la scritta della perfetta diliberazione del debito. E quando costoro che stavano nel monasterio, mi tribulavano d'alcuna cosa, io mi ricordava del debito, e portava ogni cosa nobilmente ». Queste cose mi narrava questo sapientissimo Giovanni quasi come d'un'altra persona, però che mutandosi il nome, si dicea Antioco, ma esso veracemente era quello che per la obedienzia e per la pazienzia aveva nobilmente cancellata la carta del debito suo. E come questo santo fue fatto discreto e conoscitore per la sua somma obedienzia, udiamolo. Sedendo egli nel romitorio di santo Saba, andarono a lui tre giovani monaci, volendo essere ammaestrati e regolati da lui; e quegli ricevendogli con amore e lietamente e benignamente, avendogli ricreati per la fatica che aveano avuta per l'andare, parloe ad essi e disse: « Frati, perdonatemi, ch'io non posso tenere meco niuno di voi, però ch'io sono fomicatore »; e quelli per questa parola non furono scandalizati, però che conosceano la sua bontà, ed avendolo molto pregato, non poteron avere da lui ch'egli gli volesse tenere seco. Allora si gittarono a' piè suoi, pregandolo che gli amaestrasse di quello che dovessero fare, e che modo dovessero tenere, ed ove dovessero dimorare: ed egli conoscendo ch'eglino erano apparecchiati umilmente di ricevere la sua dottrina, disse a l'uno di loro: « Figliuolo, vuole Iddio che tu dimori in uno luogo tranquillo di solitudine col padre spirituale, al quale ubidisci ». Al secondo disse così: « Va e vendi le tue volontadi, e dàlle a Dio, e togli la croce tua, e sostieni perseverantemente nel monasterio de' frati, ed al postutto avrai il tesauro in Cielo ». Poi disse al terzo: « Prendi nel tuo cuore fermamente la parola che disse Cristo: Chi persevererà infimo alla morte, questo sarà salvo; e va, e s'è possibile, truova il più duro uomo che sia nella natura umana, ed il più grande riprenditore, e piglialo per tuo maestro, e perseverando con esso, le sue riprensioni e derisioni béi come mele e latte ». E questo frate rispuose e disse a questo grande Ioanni: « Padre, se questo uomo così santo verrà in negligenzia, che farò io? » E quello padre rispose: « Se tu vedessi ch'egli fosse fornicatore, non ti partire, ma di' a te medesimo: Amico a che venisti? » Ed a quell'ora vedrai la tua superbia esterminata da te ed infracidata. Tutti noi che volemo temere Iddio, con tutta la nostra forza ci conviene di combattere co' nostri vizii, acciò che nella scuola delle virtù non acquistiamo a noi medesimi malignità e malattia e crudeltà ed astuzia e versuzia più che virtude, però che molte frate questo adiviene, e non è maraviglia. Mentre che l'uomo è di vile stato e condizione, come sono quelli che non sono litterati, e marinari lavoratori de' campi, li nimici del re loro non prendono arme contra di essi; ma quando veggiono che prendono insegna ed arme di cavalieri, contra loro prendono l'armi, e combattono crudelmente per abbatterli e per ucciderli; e perciò non dormiamo noi. Io vidi i fanciulli parvoli semplici e belli andare alla scuola per imprendere dottrina buona e sapienzia, e per diventare buoni; ed in quella scuola non c'impresono altro che malizia ed iniquitade e rei costumi, e questo addivenne per mala compagnia che ebbono. Chi à intelletto, intenda. Impossibile cosa è, che chi dà tutto il cuore e l'anima ad imparare la buona arte, egli non ci cresca e megliori in essa continuamente; ma questo profitto ad alcuni è dato a conoscere, ad alcuni è occultato per divina dispensazione. Il perfetto banchiere e mercatante ogni sera computa il pro ed il danno del die; e questo non potrebbe fare sanza errare, se a tutte l'ore egli non scrivesse quello ch'egli dà, e quello che riceve. Il discepolo stolto, quando è improperato e colle parole concitato ad ira, si studia di contradire alle parole del maestro; ma quel discepolo, il quale continuamente dice sua colpa, questo noi fa per umilità, se non per cessare limproporii. Ma se tu in questo perfettamente ti vuogli portare, quando se' improperato dal maestro, taci e lascialo dire quanto vuole, e ricevi quelli improperii, però che sono le cotture dell' anima, onde si purga de' mali umori de' vizii; e ancora sono finestre, per le quali entra nell'anima il lume della castitade; e cessando il medico, a quell'ora dicerai tua colpa, che forse non riceverebbe la tua penitenzia, mentre ch'è turbato. Contra ogni vizio ci conviene combattere noi che siamo nelle congregazioni, ma specialmente a tutte l'ore dovemo combattere con due vizii, cioè contra la gola e contra la subita ed aguta turbazione del furore; imperò che questi due vizii nelle congregazioni leggiermente truovano le loro propie e dimestiche materie. Lo demonio a quelli che stanno sotto l'obedienzia, mette il desiderio delle virtù impossibili in quello stato, e similmente nella mente delli solitarii sconvenevoli desideri" Ricerca la deliberazione e la mente dello stolto obediente, e troverai in essa la cogitazione erronica e la intenzione ingannata, però che pensa ed intende di volere seguitare l'opere dello stato della quiete solitaria, cioè dello stretto estremo digiuno, della orazione non impedimentita, della perfetta privazione della vanagloria, della continua memoria della morte, della continua compunzione, della perfetta privazione dell'ira, del profondo silenzio, della sopraeccellente castità; le quali cose dal principio gli ubbidienti per divina dispensazione non le possono avere, ed imperò quelli che si sforzano di trapassare a quelle, furono ingannati, ed il loro sforzo fu vano, e l'avversario gl'induce e mena a cercare queste cose innanzi al tempo, acciò che non potendole avere, diventino impazienti, e non le possano avere in tempo convenevole. E similmente il demonio ingannatore alli solitarii beatifica e loda lo stato e l'opere degli obedienti, cioè l'amore e 'l servigio, che fanno agli ospiti e peregrini per amore della fraternità, la conversazione che ànno insieme, e la carità dell'uno all'altro, lo servigio e la cura degli infermi, per farli diventare impazienti e non sofferenti, come fece a quelli che stanno nella obedienzia. E veracemente seguitare lo stato della quiete solitaria a modo convenevole è di molti pochi, ed è solamente di quelli, li quali posseggono la divina consolazione per conforto delle fatiche e de' dolori, e per aiutorio contro le battaglie. Contro alle disposizioni ed operazioni de' vizii, che sono in noi, dovemo prontamente eleggere e discernere modi ed ordinazioni di vita e maestri, ai quali ci sottomettiamo. So noi ci sentiamo inchinati e scorrenti nel vizio della gola e della lussuria, cerchiamo d'uno maestro, il quale sia uomo di quiete solitaria, sanza consolazione, duro ed austero, di grandissima astinenza, e non cerchiamo di colui, che sia operatore di miracoli, apparecchiato a ricevere le persone, a fare loro consolazione di mangiare. A te, che se' cervicoso ed arrogante e superbo, è mestiere d'avere pastore subito e forte, e che non sia perdonatore e mansueto nè benigno. Non cerchiamo maestri che siano profeti, ma che sopra ogni cosa sieno umili ed abbiano il sapere mansueto, e che sieno atti e convenevoli per lo modo e per li costumi e per lo stato loro a curare le infermità ed i vizii che sono in noi. A potere portare con verace obedienzia le 'ngiurie de' maestri, lo modo bello e buono prendi da quel giusto Abachiro sopradetto, cioè sempre pensare che ti prova e tenta il prelato, e già mai non ci verrai meno e non ci potrai errare. Quando essendo ripreso e corretto dal padre spirituale, tu sempre prendi più fede ed amore inverso di lui, allora lo Spirito Santo invisibilmente abita nell'anima tua, e la virtù dell'Altissimo sta sopra di te; ma in pertanto non ti rallegrare nè gloriare, sofferendo nobilmente le 'ngiurie e le vergogne, anzi maggiormente ti dèi dolere e piangere, però che facesti cosa degna di vergogna, e turbasti il prossimo contra a te. Non ti maravigliare nè stupire di quello ch'io ti dirò, però che questo dice Moisè con meco insieme: Meglio sarebbe a noi peccare contra Dio, che peccare contro al padre nostro spirituale, imperciò che se Iddio è commosso ad ira contra noi, lo padre nostro lo può a noi riconciliare; ma se noi conturbiamo il padre nostro, non avemo poi neuno che prieghi Iddio per noi che ci perdoni. Pare a me che queste due offensioni sieno d'una gravezza. Intendiamo e discerniamo diligentemente, quando è che essendo noi incolpati dal pastore sanza cagione, dovemo sostenere tranquillamente ringraziando e non scusare, e quando è da scusare e da certificarlo della verità del fatto. A me pare, che di tutte le cose, le quali s'appartengono alla nostra vergogna, cioè non essendoci incolpato il prossimo, dovemo tacere e non scusarci, però che quella è ora di guadagno; ma di quella che tocca la persona del prossimo, dovemo fare la scusa per la cogitazione della carità e della insolubile pace. Quelli che sono fuggiti dalla obedienzia, eglino ci potranno manifestare l'utilità della obedienzia, però che allora conobbeno in che cielo stavano. Quegli il quale con fervente desiderio si studia d'andare a Dio ed alla perfezione delle virtudi, ogni dì che non gli è detto male, grande danno si pensa d'avere ricevuto. Come gli àlbori che son mossi dal vento, mettono le radici più a fondo, così quelli che permangono nella obedienzia, posseggono animi più forti e constanti. Quegli il quale sedendo nella quiete solitaria, cognoscette la sua infermità e trapassoe da questo stato, e rendè sè medesimo alla obedienzia, questi essendo in prima cieco, sanza fatica rasguardò e vide Gesù Cristo. State, state, vi dico, ed ancora state, frati, correnti e combattitori, udendo il savio che disse di voi, che come l'oro nella fornace del fuoco, ancora maggiormente nel monasterio il nostro Signore Iddio gli provoe, e quasi sacrificii ed animali offerti a lui in sagrificio, gli à accettati e ricevuti ne' luoghi della sua quiete. Grado V Della sollicita e veramente e manifestamente efficace penitenzia, la quale è figurata in S. Piero La penitenzia è rivocatrice della grazia ricevuta nel battesmo. La penitenzia è un patto, il quale fa l'anima con Dio di viver bene, siccom'è vivuta male; la penitenzia è comperatrice d'umilità; la penitenzia è una continua disperazione d'ogni consolazione corporale; la penitenzia è una cogitazione non sollicita di cose temporali, e per sè sollicita e per sè giudica. La penitenzia è figliuola della speranza ed annegamento della disperazione. Lo penitente è uno condennato di sè medesimo, ma non è confuso, perchè non è cacciato da Dio. La penitenzia è una reconciliazione con Dio per l'operazioni contrarie all'offensioni ed a' difetti; la penitenzia è una emundazione di conscienzia; la penitenzia è una volontaria pazienzia d'ogni tribulazione ed afflizione. Il penitente è uno trovatore di propii tormenti e pene. La penitenzia è una forte tribulazione del ventre, ed afflizione dell'anima fortemente sentita. Correte e venite, venite ed udite tutti voi che avete provocato Iddio ad ira, ragunatevi e vedete, e narrerò a voi tutte quelle cose, le quali sono mostrate all'anima mia, onde si possa edificare; ed in prima ordiniamo la narrazione dello stato e de' modi di quelli servi di Dio, onorabili disonorati; udiamo, attendiamo e facciamo tutti noi, che abiamo ricevuto e patito alcuno cadimento spiacevole a Dio; rilevatevi e sedete voi, che per li cadimenti a fondo giacete; attendete, frati miei, alle parole mie, ed inchinate gli orecchi vostri voi che per verace conversione vi volete riconciliare con Dio. Udendo io infermo, che in quel luogo remoto, dal monastorio, il quale si chiama carcere, il quale era sotto quello abate, quelli che vi stavano, teneano modi molto umili e novi, pregai quel giusto, che mi ci lasciasse andare; e quel grande padre, il quale non volle giammai niuna anima contristare, per consolarmi consentie alla mia petizione; ed essendo io andato alla magione de' penitenti nella contrada de' veraci piagnitori, verissimamente ( se non è presunzione a dire ) io vidi quello che occhio d'uomo negligente mai non vide, ed orecchio di uomo pusillanime non udìe, ed in cuore d'uomo ozioso non salìe, cose e parole da potere fare violenza a Dio, modi ed atti da inchinare tosto la benignità di Dio. Vidi alcuni di quelli peccatori sanza colpa stare tutte le notti all'aria scoperta infino alla mattina, fermi colli piedi immobili; e per questa violenza che faceano alla natura, erano tutti rotti dal sonno miserabilmente, i quali coll'improperii e colle vergogne confondeano sè medesimi, e al postutto non si davano neuno riposo. Altri di quelli vidi che risguardavano il cielo miserabilmente, e da cielo con pianti e con lamentevoli boci chiamavano l'aiutorio loro. Altri di loro vidi stare in orazione colle mani legate di dietro, al modo delli uomini condennati, e lo volto scuro e piagnente aveano volto alla terra, condennando sè medesimi di non essere degni di risguardare il cielo, essendo impoveriti dalle cogitazioni e dalla confusione della conscienzia loro, in tanto che non aveano covelle di dire a Dio, non trovando in sè come nè onde facesseno petizione nè supplicazione, ma solamente offeriano a Dio l'anima sanza voce, e la mente sanza ragione mutola, piena di tenebre e d'una suttile disperazione. Vidi alain'altri sedere in terra vestiti di sacco, i quali si coprivano la faccia colle ginocchia e la fronte percoteano in terra. Altri si percoteano sempre il petto, revocandosi a memoria l'anima e la vita loro, ed alcuni bagnavano lo spazzo di lagrime, ed alcuni che non poteano lagrimare, si batteano colle discipline. Alcuni di loro si lamentavano ed urlavano sopra l'anime loro, come è usato di fare sopra li morti, non potendo sofferire la fortezza e l'angoscia della conturbazione del cuore. Alcuni di loro strideano col cuore, e lo strepito della mente ritenevano colla bocca; ma alcuna fiata subitamente gridavano, non potendosi più contenere. Vidi alcuni, i quali col modo e col pianto e cogli forti pensieri erano quasi usciti di sè, e stupiti e mutoli per la molta tristizia, e diventati quasi insensibili a tutte le cose di questa vita, avendo già la mente loro profondata nell'abisso dell'umilità, e friggendo le lagrime degli occhi col fuoco delle vergogne, che faceano a lor medesimi. Altri di loro vidi, i quali essendo pieni di tristizia, sedeano guardando pur in terra, e continuamente movendo il capo a modo di leoni, del mezzo del cuore gittavano ruggiti, e strideano co' denti per l'angoscia. Alcuni altri di quelli perfetti con buona speranza dimandavano la remissione dei loro peccati, e si l'aveano. Altri di loro per la indicibile umilità condannavano sè medesimi di non esser degni di ricevere remissione, e di non poter sadisfare nè render ragione a Dio. Altri di loro essendo contriti sotto il peso della conscienzia, puramente diceano a Dio: « Padre e Signore, se è possibile cosa, non siamo cruciati nello 'nferno, non siamo fatti degni del regno, e bastaci ». Alcuni altri pregavano Iddio d'essere cruciati in questo mondo, e nell'altro trovare misericordia. Vidi anime umili e contrite ed inchinate sotto il peso della conscienzia, le quali arebbono potuto dare contrizione alle pietre per le voci e parole che diceano a Dio, però che risguardando in terra diceano così: « Sapemo, Signore, sapemo che noi siamo degni d'ogni pena e tormento giustamente, e non siamo sufficienti a rendere ragione e sadisfare alli molti nostri peccati, eziandio se tutto il mondo chiamassimo a piagner per noi. Ma solo questo ti dimandiamo, e di questo ti preghiamo, che tu non ci corregghi nel furore e nell'ira tua, e non ci cruciare secondo il tuo giusto giudicio, e bastici; e liberaci da quelli molti tormenti occulti sanza simiglianza e sanza nome, de' qual ài minacciato noi, però che non siamo arditi di dimandare perfetta remissione siccome uomini, i quali non abbiamo osservata la nostra professione; anzi la prima tua benignità e remissione, che a noi ài fatta, avemo rotta ». O amici, in quello luogo si poteano riconoscere manifestamente ed efficacemente le parole del profeta David, vedendo uomini fatti miseri ed inchinati insino alla fine loro; tutto il dì andare contristati ed avere tutto il corpo fracido di piaghe sanza veruna cura, li quali s'erano dimenticati di mangiare il pane loro, ed, il beveraggio dell'acqua con pianto mescolavano; e la cenere col pane e per pane mangiavano, avendo la pelle loro appiccata coll'ossa, e tutti secchi come fieno. Appo quelli non si potea udire parola, se non cotali: « Ah, ah, veh, veh, giusto, giusto, perdona, perdona, Signore ». Alcuni di loro diceano: « Misericordia, misericordia, se è possibile ». Vidi a loro tutte le lingue arse, e a modo de' cani tenerle fuori della bocca; ed alcuni di loro si cruciavano con molto caldo, alcuni con molto freddo; alcuni di loro assaggiavano un poco d'acqua per prendere alcuno refrigerio, solo per non morire di sete; alcuni di loro pigliavano un poco di pane, e poi lo gittavano di lunge da sè, dicendo sè essere indegni del cibo razionale, siccome uomini c'avesseno fatte opere d'animali non razionali. Or dove era appo loro apparenzia di riso? Ove parlamento ozioso? Ove furore? Ove ira? I quali non sapeano se era ira negli uomini, tanto perfettamente il pianto avea spenta in essi l'ira. Ove era in loro parole di lite o di contradizione? Ove dì di festa? Ove confidenzia, allegrezza e spassamento corporale? Ove cura di corpo? Ove segno di vanagloria? Ove speranza di delizie? Ove pensiero di vino? Ove assaggiamento di frutti? Ove pensiero di mangiare unto o grasso o cosa cotta? Ove dilettamento o dolcezza di gola? Però che la speranza di tutte queste cose era tolta appo loro. Ov'era appo loro sollicitudine o cura di cosa terrena? Ove giudicio fare di niuna persona giamai? Ma queste erano le cose, le quali continuamente si diceano da loro, gridando a Dio; alcuni fortemente si batteano il petto, e quasi stessero dinanzi alla porta del cielo, diceano a Dio: « Apri a noi, aprici, giudice e vendicatore, però che noi lo chiudemmo per lo nostro peccato ». Alcuni diceano: Dimostraci la faccia tua e saremo salvi; alcuni diceano: Illuminaci noi miseri, che sediamo in tenebre e nell'ombra della morte; ed alcuni diceano: Tosto ci soccorrano le tue misericordie, però che siamo perduti, siamo disperati e siamo venuti meno fortemente. Alcuni di loro diceano: Potremo credere che il Signore si degni giammai di dimostrare lo lume suo sopra di noi? Alcuni di loro diceano: Forse che ancora il Signore si consolerà sopra noi, forse che ancora udiremo la voce sua che dirà a noi: Voi che state ne' legami insolubili, uscitene; e voi che state nell'inferno della penitenzia, prendete l'assoluzione e la perdonanza. Forse che 'l nostro clamore e priego è entrato negli orecchi di Dio? » Tutti sedeano, avendo sempre la morte negli occhi, e diceano: « Che pensiamo che sia minuito del debito nostro? Sarebbe forse sadisfatto? E qual sarà il nostro fine? Saremo forse rivocati? Forse che sarà perdonato a questi, che stanno condennati in queste umili tenebre? Forse che la nostra orazione ebbe potenzia d'entrare nel conspetto di Dio? O vero il Signore giustamente non la ricevette, e fu discacciata, confusa e digettata? E poniamo ch'entrasse; quanto pensiamo che potesse ed operasse e riconciliasse Iddio, uscendo delle bocche delle corpora immonde, per la qual cosa non potè avere molta virtù e confidenza con Dio? Forse che à riconciliato il giudice in tutto, o forse in parte, o forse per la metade delle piaghe e delle colpe, però che sono molte e grandi, ed abbisognano di molti sudori e di molte fatiche? Potemo pensare che gli nostri guardiani angeli siano ancora rappressati a noi, o stanno ancora pur da lungi? Però che se quelli non ci s'appressano, ogni nostra fatica è sanza profitto e sanza utilità, però che la nostra orazione non à virtù di confidenzia nè penna di mondizia, che possa entrare a Dio, se gli angeli che ànno cura di noi, non si appressano e prendonla ed offerisconla a Dio ». E queste cose cercavano insieme e diceano: « Forse, forse che aremo la remissione? Forse che ancora il Signore ci riceverà ed aperiracci? » Alcuni altri rispondeano a queste parole, dicendo: « Chi lo sa ( come dissono quelli nostri fratelli della città di Ninive ), se 'l Signore si rivolgerà a noi, e libereracci dallo infinito tormento? Ma noi impertanto facciamo quello che dovemo dalla nostra parte; e s'egli si degnerà d'aprirci, bene sta, e se non, benedetto sia egli, però che giustamente ci à cacciati; ma pur noi perseveriamo infino alla fine nostra chiamando; forse che alla nostra molta improntitudine egli che è buono, aperirà ». E però sè medesimi confortavano e sollicitavano, dicendo: « Corriamo, frati, corriamo, però che abisogniamo di correre molto, però che abbiamo lasciata la nostra buona compagnia; corriamo, non perdonando alla nostra carne bestiale e sozza, ma uccidiamla com'ella ae ucciso noi »; e così facevano quelli beati peccatori. Vidi infra loro alcuni, i quali per la moltitudine delle genuflessioni, aveano le ginocchie secche e gli occhi tutti consumati e rientrati dentro a fondo, e privati de' capelli; e per la caldezza delle ferventi lagrime aveano le gote tutte arse e piagate, e le faccie tanto secche e palide, che non c'era differenzia da quelle alle faccie de' morti; e le pettora aveano piene di piaghe e di doglie e di lividore del sangue raccolto per le molte battiture, che s'aveano date e fatte. Ove era in quel luogo letto da posare? Ove era vestimento saldo e netto? Ma tutte le vestimenta erano rotte e sozze e piene di pidocchi e di pulici. Non era simiglianza dal male che patiscono coloro, che sono vessati dalle demonia, al male che patiano costoro; e non era simiglianza dalli dolori di quelli, che si lamentano degli morti loro molto cari ed amati, alli dolori che questi patiano, nè ancora li dolori di quegli che sono scacciati e sbanditi, e di quelli che per omicidii son condannati. Veramente sono niente quelli cruciati e quella pena non volontaria, a rispetto de' tormenti e della pena volontaria di quelli penitenti. Ma pregovi, frati, che queste cose non reputiate fabole. Spesse fiate questi pregavano quel grande giudice e pastore ed angelo ( dico infra gli uomini ), che gli facesse mettere i ferri nelle mani e nel collo, ed i piedi nel ceppo, e non gliene traesse infino nel monimento; ed ancora lo pregavano che le corpora loro dopo la morte non fossoro messe in sepultura. Ed ancora non vi nasconderaggio la miseranda umilità di questi veraci beati, e la contrita penitenzia e la carità loro inverso Dio, che dovendo quelli buoni cittadini della contrada della penitenzia andare a Dio per la morte, ed appresentarsi dinanzi al giustissimo giudice, il quale non ama più l'uno che l'altro, quando s'appressavano alla fine, pregavano colui ch'era posto sopra loro, che pregasse il grande abate, facendolsi promettere per giuramento, ch'egli non degnasse di fargli mettere in sepultura umana, ma come le bestie gli facesse gittare nel fiume o nel campo; e quello abate, lucerna di discrezione, spesse volte consentìa alle petizioni loro, comandando che fosson privati d'ogni onore e dell'ufficio divino, e seppelliti fuori del cimitero. Ed udite quale spaventoso e miserabile spettacolo era a vedere, quando s'appressava l'ora ultima della morte loro. Quando innanzi sentiano, che alcuno di loro dovea passare di questa vita, mentre che avea il cognoscimento e la mente intera e salda, gli si poneano intorno, e con pianto e con desiderio e con modi molto miserabili, con parole piene di tristizia, movendo por compassione le capita loro, dimandavano colui che moriva, e con ardore di pietà diceano: « Frate nostro, dannato insieme con noi, come stai tu? Come è e che dici? Che speranza ài e che pensi? Per la fatica che ài sofferta, ài avuto quello che domandasti, o no? Se' pervenuto ad esso o no? Ai ricevuto certezza o ài la speranza incerta? Ai ripresa la libertà della mente, o dubita ancora la cogitazione tua? Senti alcuna illuminazione nel cuore, o è ancora tenebroso e confuso di vergogna? È fatta in te alcuna voce che dica: Ecco che se' fatto sano, o senti perdonati i tuoi peccati? O la tua fede à fatto te salvo? Ovvero odi forse ancora quella voce che dice: Siano messi li peccatori nell'inferno, e tutte le genti che si dimenticano di Dio? E sia tolto il peccatore e 'l malvagio della faccia di Dio, acciò che non veggia la gloria sua; e legategli le mani ed i piedi, e gittatelo nelle tenebre di fuori? Che dici, frate? Preghiamotene, dilloci, acciò che cognosciamo in che dovemo essere noi, però che il tuo tempo è eschiuso, e non arai più tempo in eterno ». A queste parole alcuni di quelli che dovean morire, rispondeano: Benedetto sia il Signore, che la nostra orazione e la sua misericordia non rimosse da noi. Alcuni altri dicevano: Benedetto sia il Signore, che non ci lasciò essere prigioni in fra i denti delle demonia. Alcuni dolorosamente diceano: Forse che l'anima nostra quell'acqua intollerabile delli spiriti dell'aire passerae? non confidandosi, ma pensando che dovessero essere nel giudicio, dove si ricerca la ragione. Alcuni rispondeano altro più dolorosamente, e diceano: « Guai a te, anima mia, che non osservasti la tua professione; in questa ora sola cognoscerai quello che t'è riposto ». Ed io, o padre Iohanni, vedendo ed udendo queste cose appo loro, quasi mi disperai di me, risguardando la mia negligenzia, misurandola colla pazienza de' mali che pativano quelli veraci penitenti; e lo stallo e l'abitazione di quello luogo era tutto tenebroso e fetente e sozzo e caliginoso, e però ben era chiamato carcere e dannazione, sicchè l'aspetto dello loco era maestro di pianto e di tutta penitenzia. Ma quelle cose che ad altri sono contrarie e gravi ed importabili, a quelli che son caduti dalle virtudi e dalle ricchezze spirituali, sono assai agevili e leggieri a ricevere, però che l'anima che è privata della confidanza, che solea avere con Dio, ed è caduta della speranza della impassibilità, avendo rotto e aperto il segnacolo della castità, ed essendo derubata delle ricchezze delle grazie spirituali, ed alienata dalla divina consolazione, però che à disprezzato il patto che aveva fatto col Signore, ed ae perduta la bellezza del buon fuoco delle lagrime; ed essendo percossa e ferita dalla memoria di queste cose, non solamente le dette pene e dolori prontamente riceve, ma sè medesima si studia d'uccidere secondo Iddio santamente per esercizii d'opere virtuose, se ci è rimaso in essa favilla di carità o reliquia di timor di Dio, secondo che erano in queste veracemente beati; i quali ricordandosi di questi cose, e pensando l'altezza delle virtù, delle quali erano caduti, diceano: « Ricordiamci di quello fervore, che avevamo in quelli dì antichi della nostra sollicitudine ». Altri chiamavano a Dio, e diceano: Ove sono le tue misericordie antiche, le quali dimostrasti all'anima nostra nella tua verità? Ricorditi delle vergogne e delli obbrobrii e dell'angosce de' servi tuoi. Alcun altro dicea: Chi mi riponerà nello stato, nel quale io era in prima, quando Iddio mi guardava, quando risplendea la lucerna del lume suo sopra il capo del cuor mio? In questo modo si ricordavano delle prime virtudi loro, ed a modo di fanciulli piagnenti si lamentavano e diceano: « Ov'è la mundizia della nostra orazione? Ove la confidanza ch'avevamo in essa? Ove il dolce dono delle lagrime, che avevamo sopra l'amaritudine de' peccati? Ove la speranza della perfetta castità e mondizia? Ove l'aspettazione della beata impassibilità? Ove la fede che avevamo al pastore? Ove la efficace operazione della sua orazione sopra di noi? Tutte queste cose sono perite, e quasi giammai non fossono state, sono venute meno ». E dicendo queste cose e lamentandosi, alcuni desideravano che 'l diavolo venisse loro adosso, alcuni pregavano Iddio, che cadessono in grave infermità, alcuni pregavano che perdessono gli occhi e la faccia, acciò che fossono una cosa miserabile a vedere; altri pregavano d'esser paralitici ed attratti, purchè non fossero riservati a patire i mali dell'altra vita. Ed io, o carissimo, stando infra quelli che amavano di dimorare nella contrada del pianto, dimentica' mi di me, ed essendo tutto rapito ed alienato nella mente, non mi potea più contenere. Ma ritorniamo al principale parlare. Essendo io dimorato in quella carcere trenta di, con impazienza ritornai al monastero grande ed al grande abate, ed egli vedendomi tutto alienato e stupito, cognoscendo egli sapientissimo il modo della mia alienazione, disse a me: « Che è, padre Iohanni? Vedesti le battaglie di quelli che s'affaticano? » Ed io dissi: « Vidi, padre, e sommi maravigliato, e dissi che sono più beati quelli che sono caduti, e piangono li cadimenti loro, che quelli che non sono caduti e non piangono, imperò che per lo cadimento sono risuscitati d'una resurrezione non pericolosa ». Ed egli mi disse: « Così il vero è », e narravami la sua lingua verace: « Dinanzi a questi dieci anni io avea qui uno frate operatore della volontà di Dio molto sollecito; ed io vedendolo cotale e così fervente di spirito, tremava per lui, e molto temea della 'nvidia del demonio, che nel molto correre non cadesse, però che è usato d'addivenire, e così addivenne a lui. Da poi ritornò a me nella profonda notte, e dimostrommi la piaga ignuda, e dimandommi lo 'mpiastro e di volere esser cotto, e fortissimamente era conturbato del suo peccato; e vedendo che 'l medico non gli volea esser duro, anzi il volea trattare benignamente, però che era degno di compassione, egli si gittò in terra dinanzi a' pie miei, e sufficientemente gli bagnò di lagrime, e domandò d'essere condannato in quella carcere che vedesti, dicendo a me: « Impossibile cosa è che io non ci vada ». Ed in questo modo s'ingegnò la benignità del medico convertire in durizia, la qual cosa è soprachiarissima, e rade fiate si truova negrinfermi; ed incontanente fu accompagnato a quelli penitenti, e prontamente fu fatto partefice del pianto e de' loro dolori; ed avendo il cuore piagato d'uno coltello di tristizia, lo quale procedea dalla carità di Dio, l'ottavo dì passò di questa vita, dimandando di non partecipare sepultura; ma io lo feci recare qui al monasterio, e soppellire colli padri come persona degna, però che dopo la settimana servile l'ottavo dì fu fatto libero e sciolto. Ed è alcuno, il quale certamente il seppe, che innanzi ch'e' si levasse da' piedi miei vili e sozzi, fu riconciliato con Dio; e non n'è meraviglia, però che prendendo egli nel cuor suo la fede di quella fomicatrice, meritò quella medesima plenitudine di certezza, bagnando gli miei piè vili colle lagrime, però che 'l Signore disse, che ogni cosa era possibile al credente ». Vidi alcune anime immonde inchinate furiosamente e pazzamente alle concupiscenzie della carne, le quali prendendo cagione dalla esperienzia dello stolto amore, quello loro amore santamente trasmutarono e puosero in Dio, e subito trapassando ogni timore, insaziabilmente ed acconciamente furono innestate nella carità di Dio; e però il Signore di quella casta fornicatrice non disse: Però che à temuto, ma disse: Però che à molto amato, e potette agevolmente cacciare l'amore coll'amore. Ma io saccio, o padre ammirabile, che queste cose alcuni non le crederanno, ad alcuni altri saranno malagevoli a credere, ad alcuni parranno cose da fare desperare; ma quelli che aranno fervente volontà di queste battaglie di questi beati, ne prenderanno uno stimolo ed una saetta di fuoco, e sempre ne porteranno un zelo nel cuore loro. Quegli che à avuto fervore e prontezza di spirito, e cadde da quella, questi agevolmente cognosce la propia infermità, e possedendo umilitade nel cuore suo per l'accusazione della colpa sua, questi corre più poi che non correa in prima, alla impassibilità ed a Dio. E non sono di questo ignorante, anzi ne sono certo, che egli pervegnendo comprenda quello a che corre; ma l'uomo negligente non vegna a udire queste cose, acciò che quel poco che opera, non lo perda e dispensi, ed adempiasi in lui quella parola che disse il Signore: Da colui che non à prontezza, eziandio quello che à, gli sarà tolto, però che noi essendo caduti nel lago delle iniquitadi, non ne sogliamo esser tratti, se forse non siamo entrati nell'abisso della umilità degli penitenti; e infra l'umilitadi ae diversità e differenza. Imperò altra cosa è l'umilità de' piagnenti, che gli fa morire agli peccati, ed altra cosa è la condannazione della coscienzia di coloro, che ancora peccano, ed altra cosa è l'umilità, la quale è data alli perfetti per divina operazione, la quale umilità gli fa ricchi di grazie spirituali. Non ci sollicitiamo di trovare questa terza umilità per parole, però che in questo modo correremmo invano; ma il segno della prima, cioè di quella de' piagnenti, è la perfètta pazienzia delle vergogne e dell'improperii e vituperii. Spesse fiate la presunzione fa tirannia sopra il piagnitore, e non è maraviglia; lo parlare e 'l trattato de' giudizii di Dio e de' cadimenti dell'anime è oscuro e tenebroso, e ad ogni anima incomprensibile qua' son li cadimenti, li qua' vengono per negligenzia, e qua' son quelli che son permessi dalla divina dispensazione, e qua' son quelli che vengono da reprobazione divina. Ma io udii da uno questo che io dirò, cioè che dalli cadimenti, li quali avengono a noi secondo la divina dispensazione, tosto ci rileviamo, però che quello Iddio che ci permise il cadimento, non ci permette che siamo molto tenuti in quell'atto. Noi che siamo caduti, sopra tutte le cose combattiamo contra il demonio dell'accidia, però che nel tempo dell'orazione ci stae adesso, riducendoci a memoria la confidenzia e la consolazione che solevamo avere, e per questo ci vuole fare cessare dall'orazione. Non ti sbigottire cadendo cotidianamente, e non ti ritrarre adietro, ma sta fortemente pur con buon animo, ed al postutto l'angelo che ti guarda, farà reverenza alla tua sofferenza. Mentre che la piaga è calda e recente, si può bene e leggiermente medicare, ma quelle che alcun tempo sono state quasi a schifo e sanza cura, son forti a sanare ed a medicare, ed abbisognano di molta fatica e del rasoro e del fuoco, volendosi medicare; ma quelle che sono antiche di molto tempo, sono insanabili, ma apo Dio ogni cosa è possibile. Innanzi alla ruina ed al cadimento le demonia, per trarci a peccare, dicono che Dio è benigno e misericordioso; ma dopo il cadimento, per farci disperare, dicono che Dio è duro e sanza misericordia. Non ubidire nè credere al demonio che ti dice, quando se' caduto nelle piccole offensioni: « Tu non ài fatto tale e tal peccato grande, e non ti contristare; questi piccoli peccati che ài fatti, non son covelle; e questo dice il demonio per ispegnere in noi lo spirito della contrizione; ma dèi pensare che come spesse fiate li piccioli doni fanno cessare lo molto furore del giudice, cosi li piccioli peccati essendo molte volte fatti, insiememente ragunati, giustamente provocano ad ira contra di noi Gesù Cristo nostro benignissimo giudice. Quegli che veracemente mette in pena sè medesimo per fare vendetta de' suoi peccati, ogni die nel quale egli non piagne, si pensa e reputa d'avere perduto, quantunque in quel di abbia fatti alcuni altri beni. Neuna di quelli che si lamentano de' cadimenti e delle offensioni, riceverà nella morte piena certificazione, però che la cosa che è incerta, non è ferma. Disse il santo profeta a Dio: Perdona a me, acciò ch'io sia refrigerato per la certificazione, innanzi ch'io vada di questa vita, acciò chio non mi parta sanza piena certificazione. Ove è lo spirito del Signore, cioè la perfetta carità che discaccia il timore, quivi è lo legame disciolto; ove è l'umilità inestimabile ed invincibile, quivi è lo legame disciolto. Quegli che sanza queste due cose vivono e muoreno, non s'ingannino, credendosi essere disciolti, però ch'elli sono legati. Quelli a che vivono secolarescamente, sono alienati da queste certificazioni e spezialmente dalla prima. Alcuni corrono per la via delle misericordie e delle limosine, e lo frutto conosceranno nella morte. Quegli che sta in lamento ed in pianto di sè medesimo, non cognoscerà il pianto nè il lamento nè il cadimento nè il difetto altrui. Il cane che à ricevuto morso dalla fiera, diventa più furioso contro ad essa per lo dolore della piaga. Attendiamo che lo stimolo e lo rimordimento della conscienzia non sia cessato in noi per malizia più che per mondizia. Il segno dello scioglimento del nostro cadimento si è sempre te reputare debitore, eziandio se tanto bene facessi o tanto male patissi. Niuna cosa è maggiore o iguale alle misericordie di Dio; però colui che se ne dispera, uccide sè medesimo. Il segno della sollicita penitenzia e della studiosa mente è questo: reputare noi degni di tutte le tribulazioni che ci sopravengono, visibili ed invisibili, ed ancora di più. Moisè da poi che vide Iddio nel rubo, anche ritornò in Egitto, il quale è ditto tenebra, all'opera de' mattoni di Faraone ( intendi per lui il demonio ), e da poi ritornò al rubo, e non solo al rubo, ma sane nel monte. Chi cognosce questa parola, la quale è ben da contemplare, già mai non si dispererà. Il grande Iob diventò povero, e da poi diventò ricco a doppio. Li cadimenti dopo la vocazione in quelli che sono pusillanimi e negligenti, sono crudeli, però che tolgono a loro la speranza della impassibilità, e fa pensare che sia beato colui che è caduto, pur che possa uscire della fossa. Pensa e vedi che noi non ritorniamo a Dio per quella medesima via, per la quale errammo e fummo ingannati, ma ritorniamo per una via molto più brieve. Io vidi due ch'erano d'uno modo di vita e d'astinenza, in uno tempo andare per la via di Dio, ed uno di loro era più vecchio ed antico, ed avea portate più fatiche di penitenzia; l'altro era discepolo, e corse più che 'l vecchio, ed entrò prima nel monumento dell'umilità. Attendiamo tutti, ma maggiormente noi che siamo caduti, che non infermiamo nella nostra mente della infermità dell'empio Origene e sanza Dio, però che l'anima contaminata, allegando e pensando la benignità di Dio e non la sua giustizia, leggiermente si comprende dell'amore delle cose concupiscibili e dilettevoli. Udiamo il profeta che dice nel Salmo: Nella meditazione mia e maggiormente nella penitenzia mia s'accenderà il fuoco dell'orazione, il quale arde tutta la selva de' peccati. A te, che vuogli fare penitenzia, quelli santi condennati sopradetti ti saranno determinazione, forma ed esempio e figura, e non abbisognerai di libro in tutta la vita tua, infino a tanto che Gesù Cristo figliuolo di Dio, il quale è vita eterna, ti manderà da cielo la sua luce nella risurrezione della sollicita e studiosa penitenzia. Amen. O penitente, tu ài salito il quinto grado della Scala, e ài mondato le cinque sensora, fuggendo per la pena volontaria il cruciato e la punizione non volontaria. Grado VI Della memoria della morte Ad ogni parola va dinanzi la intenzione; così la memoria della morte e delle propie offensioni va innanzi al pianto e al lutto; imperò per servare il diritto ordine dopo la memoria dell'offensioni, poniamo la memoria della morte dinanzi al trattato del pianto e del lutto. La memoria della morte è una cotidiana morte; la memoria dell'uscimento dell'anima è uno sospiro a tutte l'ore; lo spaventamento della morte è propietà della natura, la quale procedette dalla prevaricazione della inobedienzia; ma il timore della morte è un segno di non avere fatta penitenzia delle offensioni, imperò Cristo spaventò della morte, ma non la temette, per dichiarare manifestamente la propietà delle due nature ch'erano in lui. Come il pane è necessario al corpo sopra tutti gli altri alimenti, così lo attento e sollicito pensiero di Dio e della morte sopra tutte le altre operazioni è necessario alla salute dell'anima. La memoria della morte a quelli che stanno nel mezzo, cioè nelle battaglie, genera fatiche e dolori ed esercitazioni, anzi maggiormente delettazione e desiderio di vergogne, la qual è cosa beata; ma apo quelli che son fuori delle tribulazioni e degli tumulti e de' romori, genera transcurazione delle cure del corpo e continua orazione e guardia di mente; e queste tre cose sono madri e figliuole della memoria della morte. Come è discernuto manifestamente lo stagno dall'ariento, quantunque abbiano simiglianza, così da coloro che ànno discrezione, chiaramente e manifestamente è discemuto il natural timore della morte, da quello che non è naturale. Questo è il verace segno di quelli, che ànno la memoria della morte in sentimento di cuore, avere volontariamente levato l'affetto e l'amore suo vizioso da ogni creatura, e perfetto renunziamento e lasciamento della propia volontà. Quegli che aspetta la morte continuamente, è provato al postutto; ma quegli che per umilità a tutte l'ore la desidera, questi è santo. Ogni desiderio di morte non è buono. Sono alcuni, che per la violenza della inchinazione naturale del continuo offendono, e però per umilità desiderano la morte; e sono alcuni, che non vogliono fare penitenzia, e per disperazione chiamano la morte; e son alcuni, i quali per lor propia reputazione si tengono perfetti, e però non temono la morte; e sono alcuni, i quali per l'operazione dello Spirito Santo, cioè per la perfetta carità di Dio, che à preso il cuore, desiderano d'uscire di questa peregrinazione per andare alla patria. Alcuni servi di Dio fanno quistione e dicono: « Da poi che la memoria della morte ci è tanto utile, perchè non vuole Iddio, che noi sappiamo dinanzi il tempo della morte nostra? » Non cognoscendo che per questo Iddio opera e procura mirabilmente la nostra salute, però che neuno che dinanzi avesse saputo la morte sua, sarebbe andato incontanente innanzi molti tempi al battesimo nè a vita monastica, anzi tutti i di suoi arebbe consumati nelle perversitadi e nelle male operazioni, e nel tempo della morte sarebbe andato al battesimo ed alla penitenzia, ed infra quel tempo per la mala e lunga consuetudine tanto diventerebbe pieno e contaminato di malizie e di vizii che sarebbe quasi impossibile di venire a perfezione di bene. Tu, a cui è dato dono di pianto, in quel tempo non ricevere quel demonio, che ti mette in considerazione della benignità di Dio, ma di quella benignità ti ricordi, quando ti senti essere sottratto nella profonda disperazione, però che la 'ntenzione del diavolo si è di sottrarre da te il pianto e il timore per quella considerazione della benignità di Dio. Colui che vuole tenere in sè la memoria della morte e del giudicio etemale e di Dio e del Signore Gesù Cristo, e dassi alle cure ed alle occupazioni materiali, è assimigliato all'uomo che nuota nell'acqua, e vuole ballare colle mani. La efficace memoria della morte ricide i cibi, ed essendo ricisi con umilità i cibi, insieme con essi si ricidono i vizii. La privazione del dolor del cuore accieca la mente, ma la moltitudine de' cibi disecca le fonti delle lagrime; la sete e le vigilie affriggono il cuore, ed essendo affitto il cuore, escono l'acque delle lagrime. Queste cose sono dure ed aspre alli golosi, e sono incredibili alli negligenti, ma chi à volontà di piacere a Dio, le prova prontamente. Colui che di queste cose à ricevuto esperienzia, sorriderà sopr'esse, ma chi va per provare, non sarà così lieto. Come la perfetta carità non cade mai, secondo che santo Paulo dice, così io affermo e dichiaro, che 'l perfetto sentimento della morte trae l'anima fuori, di timore. Molte cose sono, che muovono e sollicitano la mente, e dico che son queste: la 'ntenzione d'amare Iddio, la memoria di Cristo, la memoria del regno del cielo, la memoria del zelo e del fervore de' santi martiri, la memoria della presenzia di Dio, secondo che dice il profeta: Io avea sempre Iddio nel mio conspetto della mente; la memoria delle sante ed intellettuali virtù, cioè degli angioli, la memoria del partimento dell'anima, e della sentenzia etemale, e de' tormenti dell'altra vita. Dalle gran cose incominciammo, ed abiamo finito in quelle cose, che non lasciano cadere l'anima in peccato. Narrò a me uno monaco d' Egitto, che da poi che 'l sentimento della memoria della morte gli s'era fitto nel cuore, volendo alcuna fiata per necessità consolare un poco il corpo, da quella memoria della morte li fu vietato quasi da uno giudice sentenziatore; e cosa più mirabile, che volendo egli cacciare quella memoria, non potè. Un'altro monaco che abitò in quel luogo, ch'è chiamato Tholas, per questo attento e sollicito pensiero della morte spesse volte patia ratto di mente, e rimanendo quasi senza fiato, era riportato da' frati che 'l trovavano. Non voglio tacere la istoria del solitario, il quale abitava in Coreb. Costui non avendo al postutto cura di sua anima, sempre vivea in negligenzia. Ultimamente essendo gravemente infermato, quasi per spazio d'una ora l'anima perfettamente passò dal corpo, e poi ritornando in sè pregò noi tutti quanti, che incontanente uscissimo della cella, ed egli tostamente chiudendosi dietro, dentro dodici anni stette, non parlando a neuno nè poco nè molto, non mangiando altro che pane ed acqua, e stava tutto stupito e fuori di sè, intendendo solo a quello che avea veduto in quel ratto, e non mutò giamai modo nè costume; e così stava attento, intendendo con la mente levata e sempre fervente, e lacrimando sanza strepito e remore. E noi maravigliandoci stupivamo fortemente, vedendo uno in prima tanto negligente essere così subito mutato e transformato in così subita beata transformazione. E quando venne il tempo che dovea passare di questa vita, noi sconciando l'uscio della cella, entrammo a lui, e pregandol molto che ci parlasse, questa sola parola udimmo da lui: « Perdonatemi, io non vi parlo se non questa parola: Neuno che senta la memoria della morte, potrà mai peccare »; e noi seppellendolo con reverenzia nel monastero, ch'era ivi presso, chiamato Castri, l'altro dì seguente cercando delle sue sante reliquie, nolle trovamo, volendo il Signore in questo certificare tutti quelli, i quali dopo la lor molta negligenzia voglion ritornare a bene, della sua sollecita penitenzia, studiosa e degna di laude. Come alcuni determinano, che l'abisso è infinito e luogo sanza fondo, così l'attento e sollicito pensiero della morte possiede castità ed operazione inestimabile, e questo si conferma per l'esempio di questo santo detto dinanzi, però che questi cotali prendono sempre timore sopra timore, e non cessano, insino a tanto che si consumi la virtù dell'ossa loro. Rendiamo certi noi medesimi, che questa cosa è dono di Dio cogli altri suoi beni, altrimenti come sarebbe, che andando noi alli monumenti, stiamo duri e sanza lagrime; e non vedendo li monumenti e non pensandoci, spesse fiate diventiamo compunti? Colui il quale ae il suo affetto mortificato da tutte le cose, questi ae la memoria della morte; ma colui che ancora ae l'affetto e l'amore ad alcuna cosa, questi non può attendere a sè medesimo; perciò non volere con parole certificare ogni persona della carità che ài ad essa, ma domanda a Dio ch'egli secretamente sanza parole la faccia cognoscere a loro; e se non fai così, non ti basterà il tempo a dimostrare l'affetto dell'amore e d'avere compunzione. Non t'ingannare, o stolto operatore, volendo ristorare tempo per tempo, lasciando l'opera d'un tempo per adempierla nell'altro tempo, però che 'l dì non basta agli uomini per rendere a Dio il debito sanza mancamento e difetto; e come disse uno, non potemo passare questo dì virtuosamente e sanza difetto e negligenzia, se non estimiamo che e' sia l'ultimo dì della vita nostra; ed è cosa maravigliosa, che li savii greci si concordano in questo con noi, però che dissoro e determinarono, che la filosofia verace era il pensiero della morte. Finisce il sesto grado e salimento. Tu che ci se' salito, non peccherai mai, s'egli è vero quello che dice la Santa Scrittura: Ricorditi delle cose che ultimamente ti debbono venire, e non peccherai in eterno. Grado VII Del pianto che letifica l'anima Lo pianto e lutto, secondo Iddio, è una contristazione dell'anima con uno affetto e desiderio di dolore di cuore, il qual dolore l'anima il cerca sempiternalmente e ferventemente ed impetuosamente; e quando è privata di questo dolore che cerca, con fatica e con dolore il va seguitando, e va poi piangendo e lamentandosi. Ancora il pianto è uno stimolo d'oro dato all'anima, il quale la spoglia d'ogni accostamento ed affligimento ed affezione di cose terrene, lo quale stimolo si ficca nel cuore, quando è visitato dalla santa tristizia, e questo stimolo disfa ed umilia l'anima per timore. La compunzione è uno perpetuo cruciato e tormento, che fa la conscienzia all'anima per riconoscimento delle offensioni sue, per lo quale cruciato resuscita il fuoco del cuore. La confessione vera del cuore è uno dimenticamento della natura, quando per essa alcuno si dimentica di mangiare il pane suo, e di prendere l'altre necessità naturali. La penitenzia è continua privazione di ogni consolazione corporale sanza tristizia. Le propie operazioni di quelli, che sono entrati nel pianto, son queste: l'astinenzia ed il silenzio della bocca. Il primo segno di quelli che sono cresciuti nel pianto, è non adirarsi e lo dimenticamente della vendetta e della ingiuria ricevuta. Li segni propii di quelli che sono perfetti piagnitori, sono questi: l'umilità, la sete delle vergogne, la volontaria fame delle tribulazioni non piacevoli e non elette per volontade, non giudicare e non condennare li peccatori, e compassione sopra potenzia. Accettabili sono a Dio li primi, e degni sono di laude li secondi; ma beati quelli che ànno fame delle vergogne e delle tribulazioni, però che saranno saziati del cibo insaziabile. Tu che tieni il pianto, tiello con tutta la forza tua, però ch'egli à natura di potersi perdere leggiermente, innanzi che l'anima sia ben compresa da lui, e da queste cose, cioè da' romori e dalle conturbazioni e dalle cure corporali e dalle delizie, e massimamente dal molto parlare e dalle parole da far ridere, come cera si dissolve e si distempera leggiermente, quando sta dinanzi al fuoco. Il pianto ovvero fonte di lagrime dopo lo primo battesimo, è un altro maggiore battesimo dato da Dio all'anima, quantunque paia presunzione a dire, però che il primo battesimo lava dal peccato originale ed attuale, ma questo solo lava dalli peccati dopo il battesimo commessi; ma in tanto si può dire maggiore, imperò che avendo noi sozzato quello battesimo, lo quale ricevemmo in parvolezza, per questo altro battesimo ci ripurghiamo, lo qual battesimo se la benignità divina non avesse dato agli uomini, radi sarebbono stati; e forte sarebbe a trovare uomini che si fosseno salvati. Li sospiri e la tristizia della mente gridano a Dio, le lacrime che procedono dal timore, intercedono a Dio, ma le lagrime della santa carità fanno la nostra orazione accettevole nel conspetto di Dio. Come che neuna cosa si conviene tanto a l'umilità quanto il pianto, così niuna cosa tanto l'è contraria, quanto lo riso dissoluto. Tu a cui è data la beata e gaudente tristizia della santa compunzione, tienla bene e non lasciare infino a tanto, che perfettamente t'abbia sollevato dall'amore delle cose transitorie, ed abbiati offerto a Gesù Cristo tutto mondo. Studiati d'immaginare in te medesimo, e non cessare di cercare col cuore l'abisso del fuoco etemale, e li ministri crudeli e lo giudice sanza compassione e sanza perdonare, e lo infinito caos della fiamma infernale, e quel luogo sotterraneo terribile e spaventoso, e quelli discendimenti e viaggi stretti ed oscuri; e le imagini di queste così fatte cose sempre porta in te, acciò che la immondizia e la lussuria che è nell'anima, essendo percossa e rimossa per lo molto timore, l'anima s'accenda della incorruttibile castità, la qual fa l'anima che la riceve, essere più che ogni fuoco risplendiente. Sta nella tua orazione con tremore, come sta l'uomo condennato dinanzi al giudice che 'l condanna, acciò che colla vista di fuori e col modo dentro possa placare il furore del giusto giudice, però ch'egli non potrà patire di dispregiare e di non consolare l'anima, che gli sta innanzi come vedova ed abbattuta e soperchiata e dolente, anzi si lascerà sforzare e vincere. Colui che non si può vincere nè sforzare. Quegli che à lo pianto e le lagrime mentali e spirituali, a colui ogni luogo gli fra atto ed acconcio; ma colui che ae il pianto e le lagrime pur di fuori, questi cerchi di trovare luogo atto a sè però che come il tesoro nascosto è più sicuro da' ladroni che 'l palese e il publico, così è in queste cose spirituali. Non essere siccome quelli che seppelliscono i morti, i quali alcuna fiata fanno gli lamenti sopra essi, ed alcuna fiata s'inebriano per loro cagione, ma dèi essere come quelli, che sono incatenati nelle publiche prigioni, flagellati a tutte l'ore dalli guardiani, però che quegli che alcuna fiata piagne, ed alcuna fiata ride ed istà in dilizie, è assimigliato a colui, che lapida il cane col pane, il quale in apparenza il caccia, ma in verità e in effetto l'alletta. Tu che piagni, non amare di dimostrarti nè d'essere veduto, e di questa cosa fa la inquisizione nel cuore tuo però che le demonia temono il pianto, s'egli è semplice e puro e senza macula, come gli ladroni temono i cani. O amici, non ci à chiamati Iddio in questo tempo presente a nozze, anzi à chiamato Iddio noi al pianto di noi medesimi. Alcuni mentre c'ànno il pianto e le lagrime, non si studiano di pensare alcuna cosa nè di fare orazione a Dio in quel tempo beato, non pensando che lagrimare sanza intenzione e sanza pensieri è propietà d'animali non razionali, però che le lagrime nascono dalle intenzioni e dalle meditazioni, e la 'ntenzione e meditazione nascono dallo intelletto razionale; e però lo inchinare e lo coricare che tu fai nel letto tuo, sia a te rappresentazione di reclinare, quando sarai messo nella sepultura, e dormirai meno; e quando sederai a mensa a mangiare, ricorditi de' vermini che sono apparecchiati a mangiare te dolorosamente, e non arai tanto diletto; e non bere, che non ti ricordi della sete di quelli, che sono cruciati in quella fiamma infernale, e della terribile sete che patono, e non sarai tanto sollecito a bere, ed al postutto farai violenza alla natura. Nella disonorabile riprensione e vergogna e correzione che ci fa il nostro pastore, ricordiamci e pensiamo la spaventosa sentenzia, che ci sarà data alla nostra fine, ed uccideremo la tristizia e ramaritudine irrazionabile, che ci nasce nel cuore, con uno coltello da ogni parte tagliente di mansuetudine e di pazienzia, come dice santo Iob: Il mare per lungo tempo menomando a poco a poco verrebbe meno, e così la impazienzia nostra, e la pazienzia e gli altri beni che son detti, verranno a perfezione in noi. La memoria del fuoco eternale ogni sera dorma e mangi teco e teco si rilievi, e già mai la negligenzia ti potrà signoreggiare al tempo della salmodia. All'operazione del pianto ti muova ed induca il tuo vestimento nero, imperò tutti quelli che piangono i morti loro, si vestono di nero; e però se tu non ài il pianto, per questa cagione piagni; e se tu sanza questa cagione ài il pianto, eziandio per questa cagione ti lamenta e piagni più, perchè se' partito da l'ordine e dallo stato mondano, il quale è sanza dolore, e se' venuto allo stato monachile doloroso a piagnere le tue offensioni. Nello spargere delle lagrime il buono e giusto giudice nostro pensa e giudica la potenzia della nostra virtù come in tutti gli altri beni. Io vidi picciole gocciole di lagrime spargere con gran dolore, e vidi fonti di lagrime spargere sanza dolore; e giudicai più secondo il dolore che secondo le lagrime, e penso che cosi giudichi Iddio. Non si conviene che quelli che sono nello stato de' piagnenti, facciano parlamenti ad altri di teologia, cioè delle cose di Dio, però che questo parlare naturalmente dissolve il pianto. Sono diversi li stati de' parlatori di Dio e degli piagnitori: lo stato dei parlatori è di quelli, che seggono sopra la cattedra ad ammaestrare; lo stato de' piagnitori è di quelli, che seggono in terra vestiti di cilicio e di sacco, e questo è quello che disse il grande David, che quantunque fosse savio e dottore, stando in pianto, rispuose a quelli che 'l domandavano, e disse: Come canteremo il cantico del Signore nella terra altrui, cioè nello stato vizioso? Siccome è nelle creature, che alcuna si muove da sè, alcuna è mossa d'altrui, così è nella compunzione. Quando sanza suo studio l'anima diventa compunta e lagrimosa e devota e mansueta, corriamo, però, che 'l Signore è venuto, non essendo vocato da noi, ed acci data la spugna della tristizia a Dio piacevole, della quale esce l'aqua del refrigerio delle devote e sante lagrime, a distrigare le nostre offensioni, che sono scritte nella carta del libro del giudice Iddio. Guardiamla questa compunzione, che non la perdiamo, per nostra cagione, siccome guardiamo la pupilla dell'occhio, insino ch'ella si parta, però che questa compunzione ae più grande virtù e potenzia, che quella che proviene per nostra sollecitudine ed intenzione e pensiero. Non è pervenuto alla bellezza del pianto quegli che piagne sempre che vuole, nè quegli che piange di quello che vuole, ma quegli che piagne di quello che dee piagnere, ed in quel modo che vuole Iddio; e ancora spesse fiate il piagnere secondo Iddio, cioè di quello che dobbiamo piagnere, non è in quel modo che vuole Iddio. Spesse volte lo piagnere secondo Iddio fece abbracciare le ingratissime lagrime della vanagloria? e questo, cioè che le nostre lagrime sieno per vanagloria, conosceremlo bene e santamente, quando vedremo noi medesimi piagnenti e maligni. La propia e verace compunzione è uno dolore dell'anima bene umiliata, il quale non si dà niuna consolazione, imaginando solamente la morte sua a tutte l'ore, ed aspettando come aqua di refrigerio la divina consolazione, la qual consola gli umili monaci. Coloro che posseggono il pianto in sentimento di cuore, questi ànno in odio la lor vita, siccome operatrice di cosa dolorosa, degna di pianto e lamento, e dal corpo loro si guardano come dal nemico. Quando in quelli che pare che piangano secondo Iddio, vedemo ira e superbia, le loro lagrime reputiamo non essere secondo Iddio, però che non à convenienza la luce colle tenebre, però che la superbia del cuore e la propia reputazione sono figliuole della non diritta e non legittima compunzione; ma le figliuole della verace e laudabile compunzione sono l'umiliazione e la consolazione però che come il fuoco consuma la stoppa, così le lagrime caste e sante consumano ogni contaminazione ed ogni sozzura dell'anima visibile ed invisibile. Da molti padri fu fatto parlamento delle lagrime molto oscuro e forte a trovare, particolarmente e spezialmente in quelli che novellamente sono convertiti ed ànno lasciato il mondo, però che dissono che le lagrime nascono in molti e diversi modi; alcuna fiata dalla natura, cioè dalla complessione naturale, alcuna fiata da Dio, alcuna fiata dalla tribulazione che riceve l'anima per le cose contrarie, alcuna fiata dalle laude e dalle cose lodate, alcuna volta dalla vanagloria, alcuna volta dall'amore fornicario, alcuna fiata da ebrietà, alcuna fiata dalla carità, alcuna fiata dalla memoria della morte, e da molte altre cagioni. Ma noi gli modi di tutti questi piagnitori predetti con timore discernendo, e gli buoni estogliendo e levando in alto, principalmente ci studiamo d'acquistare le lagrime della memoria della morte nostra, le quali sono monde e sanza difetto di malizia, però che in esse non c'è furto nè superbia di propia reputazione, anzi c'è purgazione d'ogni superbia ed accrescimento di carità verso Dio, estrigazione e consumazione di peccato, e liberazione delle tentazioni che l'anima patisce. Che se li piagnitori cominciano alcuna fiata a lacrimare per buona intenzione e finiscono nel contrario, non è meraviglia, ma avendo incominciato a lagrimare con viziosa intenzione o per cosa naturale e transmutare lo pianto alle intenzioni spirituali, questa è cosa degna di laude. Questa parola chiaramente la 'ntendono quelli, i quali sono più inchinati al vizio della vanagloria. Non avere fede nel pianto tuo, e non ti confidare in esso innanzi che tu sii perfettamente purgato da' vizii, siccome non si può dar fede al mosto incontanente che si trae dal canale. Neuno contradice a questo, che tutte le lagrime che sono secondo Dio, cioè per intenzione di piacere a Dio, non sieno utili nè proficue; ma qual sia l'utilità, conosceremlo al tempo della morte. Coloro che non cessano di piagnere secondo Dio, questi non cessano di far festa ogni dì; ma quelli che non cessano di far festa corporale, questi fieno ricevuti dal pianto eternale nell'altro secolo. Non ànno tempo d'allegrezza quelli che stanno in carcere sentenziati, nè li veri monaci non ànno festa sopra la terra, però che 'l profeta ch'avea il bel pianto, sospirando dicea: Signore, trai di carcere l'anima mia, acciò che da quinci innanzi io mi goda nel segreto lume tuo. Sedendo te in umilità, sta come un alto re nel tuo cuore e comanda e di' allo riso: Va via, e vada via, e al dolce pianto: Vieni, e venga, ed al servo tuo tiranno corpo di': Fa questo, e faccialo. Quegli che s'è vestito del beato e grazioso pianto come di vestimento sponsale, questi ae conosciuto il riso spirituale dell'anima; e chi è quegli tanto sollecito, che tutto il suo tempo abbia speso nella conversazione monastica? Che in neuno dì ed in neuna ora ed in neuno punto abbia ricevuto danno, ma tutti li abbia offerti a Dio, pensando che quella ora e quel die in vita sua nol potrà mai più vedere nè ricomperare? Beato quel monaco, che può gli occhi dell'anima levare a vedere le virtù intellettuali, cioè gli spiriti beati; ma quegli è stabile a non potere cadere, che del continuo bagna le sue guance dell'acqua viva delle lagrime per la memoria della morte e delle sue offensioni. Non m'è fatica a credere, che 'l primo è passato per questo secondo stato. Io vidi poveri vergognosi mendicanti, li quali con be' parlamenti subitamente inchinarono a compassione gli cuori degli re; e vidi poveri di virtudi e bisognosi, li quali non con belli parlamenti, ma con parole oscure, umili e dubbiose chiamando ferventemente con piena fede al re sopracelestiale dal cuore profondo e quasi desperato, per la loro violenza fecioro violenza alla benigna natura di quegli, a cui non si può fare violenza. Colui che delle sue lagrime si leva in superbia, nella mente sua e dentro a sè giudica coloro che non lagrimano, questi è assimigliato a colui, che dimanda al re l'armi contra li suoi nimici, e con quelle armi uccide sè medesimo. O amici, non abbisogna Dio di nostre lagrime, e non vuole che l'uomo per dolore e per tristizia di cuore pianga, anzi vuole maggiormente che per la carità e' abbiamo a lui, si rallegri in riso dell'anima. Togli il peccato, e non sarà bisogno il dolore e la tristizia del pianto e delle lagrime agli occhi sensibili, però che non essendoci la piaga, non è mestieri rasoio per tagliarla. Non erano in Adamo lagrime innanzi che peccasse, siccome non saranno dopo la risurrezione, però che essendo distrutto il peccato, cessa il dolore e la tristizia e li sospiri. Vidi in alcuni il pianto, e vidi in alcuni altri il pianto della povertà del pianto i quali quantunque abbiano il pianto dentro per lo molto dolore, così sono afflitti, parendo loro essere vili ed abbandonati, quasi non avessero dolore e pianto, però che non aveano le lagrime, e per questa buona e bella ignoranza permangono non predabili; e questi son quelli, de' quali si dice, che 'l Signore gli savi fa diventare ciechi, però che spesse frate il dono delle lagrime quelli che sono voti di virtudi, suole levare in superbia, e però ad alcuni non è dato, acciò che per privazione di questo dono affligano sè medesimi con sospiri e con dolori e con tristizia mentale, e per la profonda conturbazione ed estenuazione della povertà del pianto siano angosciati; le quali cose adempiono il luogo delle lagrime sanza pericolo di vanagloria, quantunque eglino queste cose debbiano reputare neente a rispetto delle lagrime. Se noi attenderemo a noi medesimi, troveremo una amara derisione che le demonia fanno a noi, che quando saremo sazii e pieni di cibi, a quell'ora ci fanno diventare compunti e devoti e lagrimanti, e quando digiuniamo, ci fanno avere il cuore indevoto e duro, acciò che noi essendo ingannati per quelle non legittime lagrime, diamo per quelle noi medesimi a seguitare la gola, la quale è madre d'ogni vizio, imperò non si conviene d'obbedire a questi inganni, anzi si conviene fare il contrario; ed io conoscendo la virtù della compunzione, stupisco del predetto inganno, però che 'l pianto e la vera tristizia contengano in sè gaudio e letizia spirituale, quasi uno fiale di mele, e questo dobiamo conoscere che questa verace compunzione è propio uno dono di Dio, però che quando questa compunzione è nell'anima, non c'è se non delettazione spirituale, consolando Iddio segretamente coloro che son contriti di cuore. Per cagione del pianto manifestamente efficacissimo e del fruttifero ed utile dolore, udiamo una storia utile all'anima, la quale storia è molto mirabile. Uno chiamato Stefano, il quale abitoe in questo luogo di questo monte Sinai, amando la tranquillità e la solitaria vita e la quiete della remozione, essendo stato molti tempi a combattere nella conversazione monastica ben contrito, essendo ornato massimamente di digiuni e di lagrime e di molti altri beni, questi ebbe la cella alla discesa di Santo Elia, contemplatore di Dio in questo santo monte. Questi per intenzione di fare più efficace e più dolorosa penitenzia, prese uno luogo di anacoriti, il quale è chiamato Sidim; ed essendo stato in quel luogo in penitenzia fortissima, però che il luogo era sanza consolazione, che quasi non vi si potea andare, remoto dal monasterio chiamato Castri quasi settanta miglia, essendo presso alla fine della vita sua, ritornò questo vecchio alla sua prima cella in questo santo monte, e aveva due discepoli di Palestina di molta religiosa vita, i quali avevano guardia della sua prima cella, e stando pochi dì, infermoe, della quale infermità mori; ed un dì innanzi che morisse, fu rana la mente sua, e tenendo gli occhi aperti, quando si volgea dalla parte ritta del letto, e quando dalla sinistra, a rendere ragione a quelli che lo esaminavano, e parlava. Udendolo tutti noi ch'eravamo quivi presenti, ma non udendo quegli a cui rispondea, alcuna volta dicea: « Cosi è verità, ma io me ne confessai, e digiunai cotanto tempo per questo »; alcuna fiata dicea: « Non è vero, voi mentite, questo non feci »; alcuna fiata dicea così: « E vero, ma io piansi e patinne cotanta fatica »; alcuna fiata dicea: « Veramente m'accusate e calognate »; ed era alcuna fiata che dicea: « Così è e non so ch'io mi dica; in Dio è la misericordia ». Ed era quello invisibile ed irremissibile esecutorio della ragione, che a lui si ricercava orribile e tenibile; e cosa più terribile e spaventosa, che l'accusavano e domandavano di quelle cose, di che era ignorante e che non avea fatte; a che era condotto quello quieto anacorita, il quale di alcune offensioni dicea: « Non ó ch'io vi dica, e non so »; ed essendo stato quasi quarant'anni monaco, ed avendo avuto dono di lagrime, era condotto a questa stretta: Veh! Veh! cioè guai, guai. Ove era la parola del profeta Ezechiel, che dicea a quelli esecutori: In qualunque dì il peccatore sarà convertito a penitenzia, non mi ricorderò di tutte le sue iniquità, dice Iddio? E quell'altra parola: In quello stato ch'io ti troverò, in quello ti giudicherò, dice Iddio? Niuna di queste cotali parole potea rispondere in sua escusazione, della qual cosa abbiane gloria Iddio, il quale solo questa cosa conosce. Alcuni frati, li quali non mentirebbono, narravano a me di questo infermo, che colla sua mano pascea il leopardo, il quale andava a lui nel deserto; e questo così grande nel render della ragione si partì dal corpo, non lasciando a noi certezza in che fosse terminato, o qual sentenzia o giudicio avesse ricevuto. Come la vedova e la femina che non ae marito, ma ae uno figliuolo solo, questo suo solo figliuolo dopo Iddio tiene per sua consolazione, così l'anima caduta ne' peccati al tempo della morte non ae simile consolazione a quella dell'astinenzia e delle lagrime. Questi caduti piagnitori nel canto della ecclesia e nelle laude non cercano di ricevere in sè melodia nè giubilo, però che la melodia e 'l giubilo ànno questa natura d'esterminare il pianto; e se tu per queste cose cerchi di trovare il pianto, la sua operazione e la sua misericordia anco sta di lunge da te, però che 'l pianto è uno dolore, il quale infocatamente ae compresa l'anima. Lo pianto è fatto in molti precursore della beata impassibilitade, andando innanzi, ed espiantando e scopando e consumando la selva de' vizii; onde narroe a me uno probato operatore di questo bene del pianto, e disse così: « Quando alcuna fiata io fossi stato impugnato di opera di vanagloria o d'ira o di gola, incontanente l'operazione del pianto chiamava dentro, e protestava dicendo: « Non ti vanagloriare, imperò ch'io mi partirò da te »; così facea d'ogni altro vizio o passione; ed io dicea a lui: « Giammai non ti sarò inobediente, insino a tanto che tu mi rappresenti a Cristo ». Lo abisso del pianto, cioè il pianto profondo non superficiale, vide la consolazione, ma la mondizia del cuore ricevette la illuminazione. La illuminazione è una segreta operazione incognoscibilmente cognosciuta ed invisibilmente veduta; la consolazione è una refrigerazione nel dolore dell'anima, a modo del parvolo, il quale piangendo con singhiozzi, insieme col pianto chiaramente sorride. La opitulazione è una recreazione e una renovazione dell'anima, la quale per la tristizia è caduta a fondo, per la quale recreazione ed opitulazione l'anima è maravigliosamente transformata dal doloroso spargimento delle lagrime nello spargimento delle lagrime non doloroso. Lo spargimento delle lagrime partode il timore, e del timore procedendo la sicurtà, appairette il gaudio, e del continuo gaudio procedette il fiore della santa carità. Cessa e discaccia da te come indegno colla mano della umilità il gaudio peregrino non conosciuto da te, però che se tu fossi molto leggiere a riceverlo, forse die riceveresti il lupo, credendo ricevere il pastore. Non correre innanzi alla contemplazione nel tempo della non contemplazione, acciò ch'ella si giunga con teco, correndo e seguitando la bellezza della tua umilità, e sia poi congiunta teco in saeculum saeculi nelle castissime nozze. Il fanciullo picciolo, quando prima cognosce 'l padre, tutto si riempie di gaudio, ma quando il padre per dispensazione sottrae la presenzia sua per alcun tempo da lui, e poi ritorna, allora il parvolo si riempie di gaudio e di tristizia; di gaudio, però che vede colui che à desiderato, di tristizia però che teme che un'altra volta non si diparta da lui, e per la privazione della buona bellezza per tanto tempo. La madre si nasconde al suo figliuolo parvolo, ed allegrasi vedendo che 'l parvolo con dolore e con lamento la va cercando, per la qual cosa il fanciullo impara di non partirsi nè dilungarsi neente dalla sua madre; ed ancora per questa cosa l'affetto del parvolo s'infiamma d'amore verso la madre. Chi à orecchie da udire, oda, dice il Signore. Quegli che è sentenziato e condennato, non si cura di risguardare alle cose belle, le quali sono poste per mostra, acciò che le sguardi la gente; e quegli che sta in lamento ed in pianto efficace, non intenderà a delizie nè ad onore nè ad ira nè a indegnazione, imperò che 'l pianto è una tristizia fitta nell'anima del penitente e compresa con essa, la quale ogni di accresce tristizia sopra tristizia, e dolore sopra dolore, quasi di femina che partorisce, alla quale incresce di partorire. Lo giusto e santo Signore colui che ragionevolmente lo stato della quiete solitaria mantiene, ragionevolmente il fa essere compunto; e quegli che mantiene lo stato della subiezione come si conviene, continuamente lo letifica e fallo stare in delizie; ma qualunque di questi due stati serva l'uomo con negligenzia, del pianto sarà privato. Discaccia da te quello come demonio, lo quale viene a te nel profondissimo pianto, e vuoiti fare credere che Dio non abbia compassione nè pleiade; che se ben ti poni a mente, tu troverai che questo demonio innanzi al peccato ti predicava, che Dio era benigno e passionevole e perdonatore. La esercitazione del cuore nell'opere virtuose genera frequenzia ed insistenzia, la insistenzia finisce in sentimento. Quegli che è condotto a sentimento, ed è qualificato e confetto e compreso colla mente, è malagevole a tor via. Pognamo che noi abiamo alcune alte e grandi conversazioni ed operazioni: se noi non abiamo il cuore compunto e contrito, reputiamo quelle operazioni non essere legittime, però che quelli che dopo il battesimo si sono sozzati, abisognano che col fuoco continuo del cuore per la misericordia di Dio lavino le mani loro dalla contaminazione della pece. Io vidi in alcuni molto e sopra molto esterminato pianto, i quali per la grande copia del pianto e del fedito cuore vidi che sensibilmente gittavano il sangue per la bocca, e ricorda'mi del profeta che dice: Io sono percosso come il fieno, ed oe seccato il cuore mio. Le lagrime che procedono dal timore, ànno in sè medesime la guardia, che non si possono perdere dalla vanagloria, e questa guardia è il timore; ma quelle lagrime che procedono dalla caritade, innanzi la perfetta carità lievemente possono essere rubate ad alcuna anima, se al postutto il fuoco beato non ae acceso il cuore nel tempo della efficace orazione; ed è cosa mirabile, come la cosa minore è più certa nel tempo suo che la maggiore. Sono alcune materie, che seccano le fonti nostre, e sono alcune materie, le' quali nelle nostre fonti generano loto e vermini. Per le prime materie Lotto diventò prevaricatore colle sue figliuole, per le seconde il demonio cadde da cielo. Molta potenzia è apo li nostri nimici, che le madri delle virtù fanno occasionevolmente diventare madri delle malizie, e quelle cose che debbono conducere umilità, fanno diventare conducitrici di superbia. Le mansioni e le luogora delle nostre abitazioni e l'aspetto loro ànno usato spesse fiate e ànno natura di conducere la mente e lo 'ntelletto nostro a compunzione e devozione, imperò Gesù Cristo, Elia e Jovanni Battista elessero luogora diserte per orare o per dimorare, quando voleano attendere a sè medesimi, per dare a noi esempio di questa cosa. Vidi molte fiate uomini, i quali dentro infra le cittadi e ne' romori delle genti aveano le lagrime palesemente; e questo è inganno che fa il demonio a questo intendimento, acciò che pensando noi, che stare infra le genti non ci possa nuocere, amiamo di stare infra 'l mondo e d'approssimarci a lui; ed essendo, mescolati infra le genti del mondo, siamo poi contaminati dalli modi e dalle opere loro. Una parola mondana spesse fiate discioglie il pianto dell'anima, ed è miracolo se per una parola spirituale si racquista. O amici, nel tempo del partimento dell'anima non saremo incolpati, e non ci fia richiesta ragione, perché noi non abbiamo fatti miracoli, e perché non abbiamo fatti parlamenti di Dio, e perchè non siamo fatti contemplatori, ma al postutto, renderemo ragione a Dio, se non aremo fatta penitenzia, e se non saremo stati umili, e se non aremo pianto continuamente li nostri peccati. O tu, che se' fatto degno di salire a questo grado, aiuta me, però che tu ài già ricevuto l'aiutorio, lavando per lo pianto le contaminazioni e le macchie di questo secolo. Grado VIII Della inirascibilità, cioè del non adirarsi, la quale è grave cosa a trovarla ed a possederla Come l'acqua che si getta nella fiamma del fuoco, a poco a poco lo spegne e fallo morire, cosi lo spargimento delle lagrime del verace e legittimo pianto ae natura d'uccidere e di spegnere ogni fiamma d'indegnazione e di furore e d'ira; però dopo il pianto ordiniamo questo trattato. La inirascibilità è uno desiderio insaziabile di vergogna, come nelli vanagloriosi lo desiderio dell'onore infinito. La inirascibilità è una vittoria della natura in non sentire dolore delle ingiurie ricevute, la qual vittoria perviene all'anima per fatiche e per sudori, che in prima portò ricevendo le ingiurie sanza vendicarsi e sanza rispondere. L'umilità e la mansuetudine è uno stato immobile dell'animo, quando l'anima tale si truova nelle vergogne, quale che negli onori, e quando gli è data la buona fama. Lo principio della inirascibilità è lo silenzio della bocca, essendo il cuore conturbato; il mezzo è lo silenzio delle cogitazioni nelle sottili conturbazioni dell'anima, il fine è fissa e ferma tranquillità della mente nella insufflazione, che fanno li spiriti maligni contro quelli che ci ànno offeso. L'ira è una impazienzia ed uno aspettamento di odio nascosto, di ricordamento di vendetta e di rancore; l'ira è uno desiderio d'afflizione contra colui che ci à conturbati; la furia è una infiammazione del cuore fatta subitamente. L'amaritudine è uno movimento che dimora nell'anima sanza delettazione; il furore è uno movimento che rivolta gli modi e li costumi, ed è disonestà e laidezza dell'anima. Come le tenebre si partono quando il lume apparisce, così dalla fragranzia e dall'odore della umilità ogni amaritudine ed ogni furore è discacciato. Alcuni sono che essendo lievemente abbattuti dal furore, però che non dura molto tempo, non si sollecitano a curarsene di questo vizio, non attendendo questi miseri e miserabili alla parola della Scrittura che dice: Il momento del furore è ruina dell'anima, imperò che come uno aguto e forte movimento di macina trita più grano in uno momento di tempo, che non trita uno movimento lieve e lento tutto il die, così uno subito e forte furore disconcia più l'anima, che non disconcia un'ira leggiere e lenta per tutto il die. Però e' conviene attendere saviamente; e siccome uno grande accendimento di fiamma di fuoco mosso da uno gran vento subitamente farebbe più danno nel campo, che una fiamma piccola per gran tempo, così dobbiamo pensare che sia nell'anima, col furore. E non vi sia celato questo, o amici, che le demonia si sottraggono e cessansi di pugnare a tempo, acciò che noi li grandi vizii reputiamo piccoli, e siamo perciò negligenti a curarli e rimagniamo infermi insanabilmente. Come la pietra aguta e canteruta e aspra, essendo percossa coli'altre pietre, perde quella agutezza e quella durezza, e prende la forma ritonda, cosi l'anima aguta e dura ed isconvenevole, messa tra la multitudine delle persone dure e furiose, una delle due cose gli adiverrà, che o per la pazienzia sanerà la propria infermità, o partendosi cognoscerà al postutto la stia instabilità, dimostrandogli quella fuga paurosa e feminile la sua instabilità ed infermità quasi in uno specchio. Il furioso è preso volontariamente dal demonio, e per questo pigliamento non volontariamente cadendo, è distrutto. Neuria cosa è tanto disconvenevole a quegli che vuol far penitenzia, quanto è il conturbante furore, però che la conversione abisogna di molta umilità, ed il furore è segno di tutta superbia. Se questo è segno di tutta mansuetudine, che essendo presente quegli che ne conduce ad ira, per lo molto contrario che ne fa stare col cuore tranquillo, avendo l'affetto placato verso di lui, al postutto questa sarà la determinazione del furore, che stando infra sè medesimo, pugnare con parole ed atti, e furiosamente contra colui che l'à offeso, levarsi. Se lo Spirito Santo è detto ed è pace dell'anima, l'ira e conturbazione del cuore; adunque neuna cosa è tanto contraria all'avvenimento dello Spirito Santo in noi a non lasciarcelo partecipare, quanto che l'ira ed il furore. Conoscendo noi essere molti e crudeli figliuoli a questo furore, uno figliuolo li cognoscemo ch'è utile, pogniamo che non sia legittimo nè per sua voglia. Io vidi alcuni accesi di furia, i quali per la grande furia gittavano fuori colle parole quelle cose, per le quali lungo tempo aveano portato rancore ed odio nel cuore segretamente contra quel prossimo; ed in questo modo maravigliosamente per lo vizio furon liberati dal vizio, però che per lo furia furono liberati da l'odio in questo modo, che manifestando la cosa, per la quale avea portato l'odio, od egli ne disse sua colpa quegli c'avea data quella cagione dell'odio, ovvero che si scusoe e certificoe quegli, ch'era stato conturbato della sua innocenzia di quella cosa, e fu reconciliato; e vidi alcuni altri, i quali in apparenza erano benigni e mansueti, e dentro tenevano l'odio, e lo rancore, il quale celavano con silenzio, aspettando tempo di rendere male per male; e questi reputo essere peggiori che li furiosi, però che collo 'nchiostro, cioè col tenebroso odio, esterminano da sè la colomba, cioè la carità e la purità della mente. Molta sollicitudine è mestieri d'avere centra questo serpente, cioè il vizio dell'ira e della furia, però ch'egli à per suo aiuto la natura, che naturalmente siamo irascibili, come 'l serpente delle corpora e della carne. Vidi alcuni, li quali essendo irati per l'amaritudine che aveano, s'asteneano dal cibo, per la quale sconvenevole astinenzia prendeano tossico sopra tossico; e vidi alcuni altri, i quali essendo irati e furiosi, quasi con una cagione ragionevole si diedero a seguitar la gola, e questi pensando uscir della fossa, caddono nel profondo; e vidi alcuni altri avere prudenzia, i quali come buoni medici, temperando l'una e l'altra, acquistarono grandissima utilità per la temperata consolazione. Alcuna fiata il cantico delle laude divine colla melodia temperata virtuosamente e perfettamente discioglie il furore, ed alcuna fiata si diparte coll'amore delle delettazioni spirituali, come altresì colle delettazioni delle cose temporali entra, quando la delettazione è smisurata ed importuna; e imperò noi regolando gli tempi, conversiamo infra queste cose con discrezione. Alcuna fiata stando io per alcuna necessità appresso delle celle d'alcuni solitarii, vidi quelli solitarii, che per amaritudine che aveano in sè di cose contrarie, che a loro eran fatte, garrivano contro sè medesimi, come se le dicessero contra coloro, che gli aveano conturbati, quasi fossero stati presenti corporalmente, e così li minacciavano; agli quali io per pietà diedi per consiglio che non stessero solitarii, acciò che d'uomini non diventassero demonii. E vidi alcuni, i quali eran troppo inchinevoli a cadere in lussuria e golosità, i quali in apparenza eran mansueti e piacevoli e amatori de' frati e de' compagni, li quali io ammonii e consigliai, che andassero alla tranquillità della vita solitaria, la quale è quasi rasoio de' cibi, ed ae in odio la golosità e la sozza lussuria, acciò che essendo elli di natura razionale, non cadessero e fossero miserabilmente trasportati nella vita degli animali non razionali. Ma però che alcuni, lamentandosene, dissero a me, che ad ogniuno de' predetti vizii si sentissero essere inclinati e violentemente trasportati, a quelli vietai che per niuno modo andassero dopo il libero albitrio loro; e in neun modo e in neuna cosa si reggessero per la volontà loro; e con gli loro prelati amichevolmente ordinai, che parte del tempo gli facesseno stare solitari e parte in compagnia de' frati, sottomettendo essi il collo a tutte le cose, ed obbidendo perfettamente ai loro prelati e rettori. Quegli che ama le delettazioni, suole sconciare sè medesimo o forse alcun'altro, che imparoe questo da lui; ma quegli che è furioso, conturba ed affligge tutta la congregazione, come il lupo disperge tutta la gregge delle pecore. Crudel cosa è conturbare per lo furore l'occhio dell'anima, come disse il profeta: Turbato è dal furore l'occhio mio; ma ancora è cosa più crudele dimostrare con parole l'empito dell'anima, ma dimostrare la furia e l'empito dell'anima colle mani, questa è cosa aliena ed inimica in ogni luogo della conversazione monastica, la quale dee essere angelica e divina. Se vuogli o pensi di trarre la festuca degli occhi altrui, non gliela torre colla trave. La trave si è la parola grave ed irosa, e la faccia turbata e la maniera sconvenevole, però che in questo modo gli faresti peggio che non ae, ma abbi in ciò la modesta dottrina e la benigna ammonizione, come dice lo apostolo: Riprendi e priega e correggi con ogni pazienza e dottrina, e non dice; « percuoti »; e se il percuotere fosse mestiere a correggimento, nol fare per te medesimo, ma fallo fare per mano altrui. Intendiamo diligentemente, e vedremo che molti furiosi sì son pronti a digiunare ed a vegghiare ed a stare solitari, ed il demonio a ciò gli conforta a questa intenzione, acciò che sotto cagione di penitenzia e di pianto conduca loro alle cose, le quali accrescono le materie della passione e del vizio loro. Siccome detto è, se uno lupo, cioè il furioso, può conturbare la congregazione, abiendo il demonio in suo aiuto, al postutto uno sapientissimo frate, avendo l'angelo di Dio per suo aiutorio, tutte le turbazioni della congregazione puote placare, come uno otre d'olio sparto sopra 'l mare tempestoso fa riposare le tempestadi e l'onde del mare, e salva la nave; e come è grande il giudicio del primo che conturba, così riceverà grande merito lo secondo che pacifica, però che è cagione d'utilità e di salute a tutti. Lo principio di questo beato renunziamento della malizia e del sofferire il male si è questo, ricevere le vergogne con amaritudine e con dolore dell'anima; il mezzo è stare fra le vergogne sanza tristizia; la perfezione è questa: reputare le vergogne quasi laude di buona fama. Allegrati, o primo; godi, o secondo; beato se, o terzo, rallegrandoti in Dio. Vidi negli adirosi una miserabile mercanzia, la quale procedea segretamente dalla superbia della propia reputazione, che essendo irati s'adiravano ancora più, però ch'erano stati vinti dall'ira; e vedendo io che 'l cadimento vendicavano col cadimento, maraviglia' mi che 'l peccato si vendicava col peccato, ed isbigottii pensando lo 'nganno e l'astuzia delle demonia, come quelli cotali faceano quasi disperare della vita loro. Quegli che si vede essere vinto leggermente dalla superbia della propia reputazione e dalla indegnazione della furia e dalla malignità e dalla ipocresia, e per questo si dispone di sguainare contra sè il coltello da ogni parte aguto della mansuetudine e del renunziamento della malizia e della sofferenza del male, questi uscendo della sua libertà, vada ed entri nello imbiancatoio della salute, cioè nel collegio de' frati, di quelli massimamente che sieno austeri e duri, s'egli vuole perfettamente essere spogliato delle sue passioni, acciò che essendo dalle contumelie e dalle ingiurie e dalle vergogne ed ancora dalle reprensioni de' frati scosso ed intellettualmente percosso, quasi un panno in alcun luogo sensibilmente lavato e soppestato e conculcato, possa essere lavato dalle sozzure, che sozzano l'abito dell'anima sua; e questo ti faccia conoscere la comune voce del popolo, gli quali gl'improperii chiamano lavatoio de' vizii dell'anima, però che quando alcuni avranno detta molta vergogna in faccia altrui, gloriandosene cogli altri, dicono così: « Ben gli lavai il capo », e così è in verità. Altra cosa è la inirascibilità de' cominciatori e dei proficienti, ed altra la immobilità della mente de' perfetti. Li cominciatori e li proficienti tengono legato col pianto e con l'obedienzia il furore; ma i perfetti colla impassibilità l'ànno ucciso. Io vidi tre monaci ricevere vergogna ed ingiuria, ed uno di loro ricevette pena e conturbossi, ma tacette; l'altro s'allegrò per sè, ma tristossi per colui che l'offese, il terzo pensando solo il danno del prossimo, lagrimò fertilmente; ed era bella cosa vedere insieme operatori di timore e di mercè e di carità. Come la febbre corporale una essendo, ae molte cagioni, non sola una, così il bollimento e 'l movimento del furore, come che gli altri vizii, così ànno molte diverse cagioni, imperò non si può determinare in uno solo modo; ma chi vuole trovare la propia cagione, cerchi l'abito di ciascuno infermo studiosamente e sollicitamento ed avendo trovata la propia cagione, abbia sollicitudine di trovare la medicina contraria a curare quella infermità, imperò che la prima cura è conoscere la cagione della infermità; avendo trovato la cagione per la divina providenzia e per la sollicitudine de' medici spirituali, si comporrà lo 'mpiastro a curare quella infermità. Entriamo in una corte intellettuale a modo delle corti temporali, ove si danno le sentenzie ed esaminansi i mafattori, ed esaminando domandiamo delle passioni de' vizii e delle cagioni loro; ed in prima sia legato questo furore tiranno coi legami della mansuetudine, e sia percosso dalla lunga pazienzia, e sia tratto dalla santa carità, e sia presentato in questa corte spirituale, e sia domandato delle cose che a lui s'appartengono, e sia giudicato così: « Ohi stolto e disonesto, dicci il nome di quegli che ti ingenerò, e di quella che male ti partorie, e dimmi i nomi de' tuoi figliuoli e delle contaminate tue figliuole; e non solamente di queste, ma dicci li venerabili nomi di coloro che ti impugnano, e di coloro che ti uccidono ». Il quale tiranno furore rispondendo a noi, parve che così dicesse: « Le mie genitrici sono molte, e lo mio padre non è uno, le mie madri sono l'amore della pecunia o avarizia, la ingluvia del ventre ossia gola, ed alcuna fiata la fornicazione; e lo mio padre è chiamato enfiamento o vero superbia; le mie figliuole la memoria della malizia, vendetta, inimicizia, giustificazione nelle propie parole; li figliuoli miei sono livore ed odio; li miei avversarli sono questi, che mi tengono legato: la mansuetudine e l'umilità e la inirascibilità; lo mio insidiatore è chiamato umilità; ma chi sia colui che partorie lei, domandatene lei nel propio luogo suo ». Nel grado ottavo è ordinata la corona della inirascibilità, della quale chi n'è ornato naturalmente, non potrà avere più bello ornamento; ma quello che l'acquista per sudori, universalmente trapassa Lotto. Grado IX Della Memoria della malizia, o vero rancore Le sante virtudi sono assimigliate alla scala che vide Iacob, ma le immonde malizie sono assimigliate alla catena, che cadde delle mani a santo Piero, principe e guidatore del coro degli apostoli, però che le virtù l'una dopo l'altra menano e portano suso in cielo quegli, che sopr'ogni altra cosa questo ama e desidera, ma le malizie l'una nasce dell'altra, e l'una costrigne l'altra; onde udimmo lo stolto furore chiamare per suo propio figliuolo la memoria della malizia, imperò si conviene a tempo dicere di lei. La memoria della malizia è compimento del furore e guardiana degli peccati, odio della giustizia, saetta e ruggine e tossico dell'anima, perdimento delle virtudi, vermine della mente, confusione dell'orazione, mozzamento delle petizioni che si fanno a Dio, alienazione di carità, uno chiovo fitto nell'anima, uno sentimento non dilettevole amato per amore d'amaritudine, un peccato che non viene meno, una iniquità non dormente, uno trapassamento cotidiano ed una malizia continua. Questo è uno tenebroso e tristo vizio, cioè la memoria della malizia, fra tutte e sopra tutte le altre vizia, sì quelle che non generano, sia ancora quelle che sono generate. Quegli che fece cessare l'ira, uccise la memoria della malizia, ma vivendo il padre, fassi la generazione de' figliuoli. L'umilità è quella che fa cessare l'ira, della quale nasce lo rancore; chi possiede carità, discaccia come sua avversaria la vendetta, ma quegli che ritiene la nimistà, questi aggiugne fatica inutile a sè medesimo. La mensa della carità discioglie l'odio, e li mondi doni feciono diventare l'anima mansueta. La mensa studiosamente accurata è madre della confidenzia, e per la finestra della carità entrerae l'ingluvia del ventre. Vidi l'odio disciogliere e rompere uno legame d'amore fornicario, che era durato lungo tempo, e lo rancore fece i rei ed i malvagi rimanere liberi da quelli legami; ed era mirabile visione vedere il demonio cacciare il demonio, ma questa veramente fue divina dispensazione, non opera di demonii. Da lungo è la memoria della malizia dalla carità ferma e naturale, ma la fornicazione gli s'appressa lievemente, e segretamente vidi esser presa la colomba, però che sotto specie di carità entroe l'amore carnale. Tu che tieni la memoria della malizia, cioè del male che ài ricevuto da altrui, abbi memoria del male che ti fanno le demonia; e tu che vuogli servare nimistà, sii sempre nimico del corpo tuo, però che la sua amistà è troppo pericolosa. La carne è uno amico stolto, disconvenevole e traditore, però che quanto meglio la notricherai, più t'offenderà. Quegli che parla della Santa Scrittura, e tiene la memoria della malizia, e le parole dello Spirito Santo dispone secondo l'affetto suo, che vuole dimostrare per la Santa Scrittura, che gli sia licito di tenere nimistà e rancore, questi fia confuso dall'orazione di Gesù Cristo, quando oroe per li nimici, la quale non potemo dicere con esso, tenendo lo rancore e la malignità nel cuore. Quando combattendo molto, non puoi disciogliere da te lo stimolo e la malignità di questo vizio, almeno colla bocca di' tua colpa al nemico, acciò che per questa mostra che tu fai in sua presenza vergognandoti, finalmente l'ami in verità e ricevalo in amico, essendo punto dalla conscienzia quasi dal fuoco, ed allora cognoscerai te essere cambiato e commutato da quello fracidume del rancore. Non quando ori per lo tuo avversario, nè quando gli presenti e fagli doni, nè quando lo inviti e mangi con lui, ma quando udirai che sia caduto in tribulazione o corporale o spirituale, e dorratti e piagnerai come di te medesimo, allora sarai libero dal vizio del rancore. Il solitario che tiene in cuore rancore, è uno aspide nel nido, il quale ae dentro da sè il tossico mortale. La memoria di quelle passioni che patì Cristo, sana l'anima del vizio del rancore, facendola vergognare della sua impazienzia. Nelle legna fracide si generano i vermini, e nell'anime cogli costumi tranquilli e mansueti non legittimi spesse fiate ci è nascosto lo rancore. Chi discaccia da sè il rancore, truova la indulgenzia, ma chi lo ritiene, sarà privato della misericordia di Dio. Molti per avere la indulgenzia, si son dati a sostenere molte fatiche, ma colui che non si ricorda del male c'à sostenuto, questi ci perviene innanzi che quegli, se è vero quello che disse il Signore: Perdonate tosto, e saravvi perdonato largamente. Il segno della nobile e approvata penitenzia è il dimenticamento delle ingiurie, ma quegli che tiene in cuore lo rancore, e pare che faccia penitenzia, è assimigliato a quegli, che in sogno si pensa di correre. Vidi alcuni, che avendo essi rancore al prossimo, ammoniano altri che non avessero rancore; per la qual cosa ellino vergognandosi delle loro propie parole, si cessarono da quel vizio. Niuno estimi piccola o leggiera questa ottenebrante passione, però ch'ella ae natura di stendersi spesse volte insino alle persone spirituali. Chi possiede questo nono grado, addimandi con fidanza l'assoluzione delle sue offensioni al nostro Salvatore Dio nostro Gesù Cristo. Grado X Della Detrazione Niuno savio contradice che dall'odio e dal rancore non nascesse la detrazione, però si pone in questo ordine dopo gli suoi genitori. La detrazione è figliuola dell'odio ed è una infermità sottile, però che la detrazione non pare che sia peccato, ed è una sanguisciuga della carità grossa e nascosta, la quale rasciuga tutto il sangue della carità, nella quale sta la vita spirituale; ed è ipocrisia di carità, però che vuole dare a divedere, che per amore e per carità sia fatta. La detrazione è operatrice di gravezza e di sozzura di cuore e sterminazione di castità. Come sono alcune giovanelle, che lo male sanza vergogna fanno publicamente, ed alcun'altre fanno peggio di loro, ma fannolo segretamente e più vergognosamente, cosi è nelle passioni della ignominia. Io vidi alcuni che faceano detrazione d'altrui, i quali ripresi; e quelli mali operatori escusandosi rispuosono e dissero, che quel male diceano per cura e carità di quelli di cui diceano; ed io dissi a loro: « Cessate, frati, da cotal carità, acciò che non facciate essere mentitore Iddio in voi, il qual dice: Io perseguitava colui, che facea segretamente detrazioni ed irrisioni del prossimo ». Se tu dici d'amare il prossimo, ora per lui segretamente, e non lo vituperare nè maledicere, imperò che questo è il modo della carità accettevole dinanzi a Dio ed al nostro Signore Gesù Cristo. Non ti sia celato questo, anzi ci risguarda e pensaci, ed al postutto ti cesserai di giudicare il peccatore, che Giuda era nel coro degli apostoli di Cristo, ed il ladrone era nel coro de' micidiali; e vedi cosa maravigliosa, che in uno momento di tempo furono transmutati. Quegli che vuole vincere lo spirito della detrazione, cioè lo demonio che lo 'nduce a fare detrazione, non imputi al prossimo il difetto ch'e' fa, ma imputilo al demonio che ne lo induce, però che non è niuno che voglia peccare contra Dio, quantunque tutti pecchiamo non isforzati. Vidi quegli che peccoe, manifestamente e segretamente fece la penitenzia, e quegli ch'io giudicai come peccatore, trovai ch'era casto apo Dio, però che per la conversione puramente era riconciliato con Dio. Giammai non avere in reverenza colui, che apo te fa detrazione del prossimo, anzi maggiormente di' a lui: « Posati, frate, e dire queste parole: io cotidianamente offendo in pegiori cose; come posso giudicare lui? » E con questo uno empiastro fai due beni, che salvi te ed il prossimo. E questa è una delle vie brevi, che menano alla remissione delle offensioni, non giudicare, se è vera quella parola che dice: Non vogliate giudicare, e non sarete giudicati. Come è alieno e strano il fuoco dall'acqua, cosi dè essere alieno dal giudicare quegli che vuole far penitenzia; e pogniamo che vedessi la persona peccare, nol giudicare innanzi all'uscimento della morte, però che è incerto agli uomini il giudicio di Dio. Alcuni offesero in cose grandi manifestamente, ed occultamente operarono cose buone e maggiori che non furono quelle, nelle quali offesero; onde quelli che amano di cercare i fatti altrui, furono ingannati, ritenendo il fummo per lo sole, però che giudicarono secondo il male palese e non secondo lo maggior bene celato. Uditemi, uditemi, uditemi tutti voi, che mettete mala ragione de' fatti altrui, che s'egl'è vero, com'egl'è vero, quello che dice il Signore: In quello che voi giudicherete altrui, sarete giudicati, al postutto in quelli defetti, ne' quali vituper'amo il prossimo, corporali o spirituali, in quelli cadremo noi, ed altrimenti non sarà. Quelli che sono acuti e subiti e distretti cercatori e giudicatori delli fatti del prossimo, perciò cascano in questo difetto, però che non ànno ancora presa cura nè perfetta memoria delle loro offensioni; però che chi avesse presa cura de' propii peccati, non si sottometterebbe a prendere sopra di sè sì gran peso di giudicare gli peccati altrui, però che se alcuno li mali suoi, li quali sono velati e coperti del velo dell'amor propio e dell'arroganzia, volesse discoprire e diligentemente risguardare, giammai in tutti dì della vita sua non prenderebbe cura di pensare gli difetti altrui, estimando che tutto il suo tempo non gli bastasse a piagnere i peccati suoi, se cento anni vivesse, e se tanto lagrime gli uscissono degli occhi, quanta è l'acqua del fiume Giordano. Io mi puosi mente del pianto verace, e non trovai in esso segno nè vestigio di detrazione nè di condannazione; le demonia o ellino ci confortano e inducono a fare i peccati, o ellino c'inducono a giudicare quelli che peccano, acciò che per lo secondo ne 'nduchino nel primo, ed in questo ci macolino essi omicidiali. Questo è il segno di coloro, che ànno rancore e pensano male, che le dottrine e gli fatti e le cose e le discrezioni del prossimo volentieri e leggiermente vituperano, e trovanci le cagioni e li colori da potere vituperare, essendo a ciò tratti e miserabilmente sommersi dallo spirito dell'odio. Vidi alcuni che segretamente e non in pubblico operavano mali molto crudeli e pericolosi, ì quali per mostrarsi mondi e molto giusti aspramente riprendeano quelli, che publicamente in alcune minime cose offendeano. Lo giudicare è una irriverente rapina della dignità di Dio, però che solo a lui che è Signore, s'appartiene di giudicare, ma il condannare è morte della propia anima. Come la superbia della propia reputazione sanza altro vizio basta a perdere l'anima, così solo il giudicare essendo in noi compiutamente, ci può far perdere l'anima, se quel fariseo, del quale si legge nel Vangelio, per questo fu condennato. Il buono coglitore dell'uve coglierà pur le mature e non l'acerbe, e quegli che ae la mente savia e intendente, tutte le virtù che vedrà in altrui, sollicitamente le noterà e porrallesi a cura; ma lo stolto cercherà pur li difetti altrui, del quale è scritto nel salmo: Eglino cercarono le iniquitadi, ed in questo cercamento venner meno; e pognamo che cogl'occhi tuoi vedessi lo male, ancora non giudicare, però che gli occhi spesse fiate sono ingannati ed errano. Questo è il grado decimo, il quale chi l'à salito, è operatore di carità e di pianto. Grado XI Del molto parlare Detto è da noi compendiosamente, come lo giudicare è cosa molto pericolosa e crudele, ed è un vizio che entra in quelli che paiono spirituali; ma maggiormente lo giudicare è essere giudicato e dalle lingue tormentato. Ma ora è mestieri di dire della cagione e della porta, onde questo difetto entra nell'anima ed onde esce. Il molto parlare è cattedra della vanagloria, la quale per sè medesima à natura di manifestare sè pompaticamente. Il molto parlare è segno dinsipienzia o vero di stoltizia, ed è porta della detrazione, ed è conducitore del riso sconvenevole ed è ministro del mentire, ed è discioglimento della compunzione, ed è dispersione della sottiglianza dell'intelletto, ed è vocatore dell'accidia, ed è precursore del sonno, ed è dissipazione del pianto, ed è esterminazione della guardia dell'anima, ed è raffreddamento del calore e del fervore della devozione, ed è oscurazione dell'orazione. E per contrario il silenzio tenuto e fatto scientemente e con discrezione è madre dell'orazione, guardia del fuoco del cuore, ed è lo vescovo delle cogitazioni, ed è intenzione di quelli che sono impugnati, ed è colligazione del pianto, ed è amico delle lagrime, ed è operatore della memoria della morte, ed è contemplatore e piagnitore delle pene eternali, nelle quali l'anima tenendo silenzio può imaginare; ed è diligente inquisizione del giudicio eternale, ed è ministro della santa tristizia, ed è inimico della propia confidenza, ed è congiunto con la tranquillità della mente, come marito con moglie, ed è uno repugnatore dell'amore d'insegnare e d'amaestrare altrui, ed è accrescimento di scienzia ed ordinazione del parlamento delle cose di Dio, ed è uno profitto ed uno frutto non apparente, ed uno salimento nascosto. Quegli che conosce gli suoi difetti, ritiene la lingua, ma colui che parla molto, non si conosce come gli è mestieri. Colui che è amico del silenzio, s'appressa a Dio, e segretamente parlando con lui è illuminato. Lo silenzio che tenne Gesù Cristo dinanzi a Pilato, inchinò Pilato a compassione, e la modestia e la tranquillità della voce dell'uomo discaccia la vanagloria, però che la vanagloria sempre parla con altezza e con pompa d'ornato parlare. Piero apostolo per lo parlare che fece, pianse poi amaramente, ricordandosi del profeta David, che disse: Io dissi e posimi in cuore di guardare le vie mie, acciò ch'io non offenda colla lingua mia; e ricordandosi dell'altro, cioè Salomone, che disse: Meglio sarebbe cadere da una altura insino in terra, che cadere colla lingua, male parlando. Io di queste cose non voglio molto scrivere, quantunque l'astuzie de' vizii a ciò mi confortino; ma dicone questo, io udii da uno, il quale dimandai diligentemente ed amichevolmente della quietudine e della guardia della bocca, il quale mi disse che 'l molto parlare nasce al postutto da una di queste cose: che o egli nasce da mal nutricamento e da maligna usanza, la quale è forte a lasciare, però che la lingua è uno de' membri del corpo, e quello di che è ammaestrata, richiede per l'usanza; o egli viene da incitamento del demonio in quelli che sono combattitori, e massimamente dal demonio della vanagloria; ed alcuna fiata nasce dalla gola e dalla replezione e satollezza del ventre, però che spesse volte quelli che rifrenano il ventre, quasi per una forza e violenza e per una debilità richiudono la bocca e lo molto parlare, che da essa procede. Quegli che è sollicito a pensare della morte, taglia ed abbrevia le parole, e quegli che possiede pianto d'anima, fugge quasi dal fuoco il molto parlare. Quegli che ama la quiete della solitudine, richiude la bocca sua, ma quegli che si rallegra d'essere visitato e richiesto dalla gente, essendo perseguitato dalla passione di questo vizio, è cacciato fuori della cella. Quegli che sente l'odore del fuoco dell'Altissimo, fugge l'uomo come l'api fuggono il fummo, però che come l'api sono perseguitate e cacciate dal fummo, cosi questi è cacciato volontariamente dalla ragunanza de' gran parlatori; ma quegli che è gran parlatore, ama la compagnia di coloro, che sono simiglianti a sè. Molti pochi sono quegli, che possano tenere l'acqua, che non è rinchiusa, che non corra in giù; ancora sono più pochi quelli, che posson domare la lingua, che è isfrenata ed incontinente per l'usanza. Questo è il grado undecimo della santa Scala, lo quale chi l'ae acquistato, molti mali ricide in una cosa. Grado XII Del mentire Del ferro e della pietra nasce il fuoco, e del molto parlare nasce la scurrilità e la menzogna. La scurrilità è il parlamento che si fa per fare ridere gli uditori; la menzogna è sterminamento e cacciamento della carità, però che quegli che mente al prossimo, non lo ama. Il pergiuro è negamento di Dio. Neuno ben savio pensi che la menzogna, ovvero bugia sia uno minimo peccato, però che lo Spirito Santo dà contra essa la sentenzia più forte che possa essere, quando dice a Dio per lo profeta David: Signore, tu perderai e dannerai tutti quelli che parleranno la menzogna. Adunque che patiranno coloro, che alla bugia aggiungono lo spergiuro? Vidi alcuni che si gloriavano delle menzogne che avevano detto, e per iscurrilità e per parlamento ozioso si studiavano di conducere altri a riso sconvenevole, e miserabilmente sterminavano quelle cose, per le quali gli uditori si conducessero al pianto, il quale era mestiere a loro. Quando le demonia veggiono che noi ci volemo partire e cessare dall'audito delle parole mondane, quasi da una pestilente infermità, facendo interrompere e cessare quel crudele parlamento, allora le demonia si sforzano d'ingannarci, acciò che non ci partiamo, con due cogitazioni: l'una cogitazione si è che non turbiamo colui che parla; l'altra cogitazione si è che non mostriamo d'essere più spirituali ed amatori di Dio, che gli altri che stanno a udire quello parlamento. Partiti tosto e non tardare, però che se stai a udire, nel tempo dell'orazione avrai le cogitazioni e le imaginazioni che ti moveranno a riso, la qual cosa è molto abominevole a Dio; e non solamente tu dèi fuggire, anzi ti studia di sconciare quel maligno concistoro, e proponi a loro la memoria della morte e del giudicio eternale, però che è meglio che per questo sii ripreso di un poco di vanagloria, essendo laudato, e sii cagione d'utilità e di profitto e frutto spirituale a tutti quelli, che stare e tacere. La ipocrisia è madre della menzogna e spesse fiate cagione; onde alcuni determinano, che la ipocrisia non è altro che cogitazione ed operazione di menzogna, avendo congiunto con seco il giuramento; quegli che possiede il timore di Dio, à ricevuto nel suo albergo la condennazione della menzogna; questi discaccia da sè le menzogne come cosa da sè aliena e strana, però ch'egli possiede in sè lo stimolo della propia conscienzia, quasi uno giudice crudele e implacabile e non accettatore di persone. Come in tutte l'altre passioni ed operazioni viziose conoscemo essere differenza di nocimenti, però che l'anima per essi può offendere più e meno secondo le circonstanzie e le cagioni e li modi; così è del mentire, però che altro peccato e giudicio incorre colui che mente per paura di pericolo, ed altro colui che mente sanza paura di nullo pericolo, ed altro colui che gli diletta di mentire, ed altro colui che mente per fare ridere gli uditori, ed altro colui che mente per male e per pericolo del prossimo e per affliggerlo. Per gli cruciati e tormenti che fanno li principi, si disfanno le menzogne e per la moltitudine delle lagrime perfettamente e al tutto si dispergono. Spesse fiate quegli che è operatore e componitore della menzogna, dice sè essere seguitatore di Raab per sua scusa, la quale Raab della menzogna che disse, fu lodata e premiata; e questi colla perdizione della propia anima dice sè acquistare la salute altrui. Quando perfettamente saremo purgati del mentire, d'allora innanzi con molto timore per tempo e per caso di necessità ci sottometteremo ad alcuno modo di mentire, commettendo alcuna duplicità di parola o di modo o di fatto, come fece Abraham e Samuel e David. Colui che è parvolo, non sa mentire; simigliantemente l'anima che è privata della malignità. Colui che è letificato dal vino, di tutte le cose non volontariamente dice il vero, e l'anima inebriata di compunzione non può mentire. Questo è il grado duodecimo, il quale chi l'à salito, il giudice delli beni possiede. Grado XIII Dell'Accidia Questo è uno degli rami e figliuoli del molto parlare, ed è lo primogenito spesse fiate, come detto fue; però gli diamo il luogo a sè convenevole in questa catena maligna. L'accidia è uno stancamento dell'anima e discioglimento della mente e pusillanimità d'esercitazione nel bene spirituale, ed odio della professione, e beatificatrice delle persone mondane e detrattrice di Dio, quasi come fosse crudele e sanza pietà e sanza benignità; e dicendo li salmi, stae attonita e fuori d'ogni buona memoria, ed è inferma nell'orazione, e forte come ferro nell'operazione; nell'opere delle mani non è pigra più che non fa mestieri, sollecita nell'obedienzia reprobata, però che ci perde ogni forza. Quegli che è suddito ed obediente, non sa che si sia accidia, e per gli esercizii sensuali e corporali pensa ed acquista le perfezioni e le virtù mentali. Il monasterio è uno luttatore contrario all'accidia, la quale accidia al solitario è una moglie perpetuale, però che dì e notte combatte con lui; innanzi la morte non si parte da lui, ed insino al partimento dell'anima non gli dà riposo. L'accidia vedendo la cella del monaco solitario sorrise, ed appressandosi allato ad essa, ficcoe la tenda sua. Il medico visita l'infermi suoi la mattina, e l'accidia quelli che si esercitano nel bene, visita nel mezzodì. L'accidia conforta e sollicita gl'oratori, che attendino all'opere dell'ospitalità, ed ammonisce e priegali che si studino all'opera delle mani per fare limosina; l'accidia prontamente gli ammonisce che visitino gli infermi, riducendo a memoria le parole che Cristo dice: Fui infermo e voi mi visitasti; ammonisceli che vadano a consolare gli afflitti e gli pusillanimi, secondo che dice san Paolo. Mentre che siamo in orazione, tutte le cose necessarie che avemo a fare, l'accidia ci riduce a memoria, e con ogni sottiglianza ed industria ci combatte essa sanza ragione, acciò che quasi con uno capestro ragionevole ne sottragga dalla orazione. Questo demonio dell'accidia ne conduce l'orrore e lo fastidio di tre ore, e conduce la disgrazia distemperanza del corpo, dolore di capo e rigore di febbre e torsione di ventre e prostemimenti; ed essendo venuta l'ora nona, fa menomare queste infermità predette, sicchè quando la mensa è posta, allora il monaco accidioso si leva del letto; ma quando riviene il tempo dell'orazione, il corpo diventa aggravato, e stando all'orazione, l'accidia il sommerge nel sonno, e cogl'importuni aprimenti di bocca, sbadigliando, gli toglie e rapisce il verso di bocca. Tutti gli altri vizii si distruggono catuno per la virtude contraria a sè, ma l'accidia poichè è abituata col monaco, è morte della mente sua, ma la forza dell'anima risuscitoe la mente morta. L'accidia e l'oziosità dispersero tutte le ricchezze delle virtudi, imperò che questo infra gli otto vizii principali è più forte. Facciamo la esaminazione d'esso come facemmo degli altri, ma questa parola ci giungo: non essendo presente la salmodia, l'accidia non appare, e compiuto l'ufficio, gli occhi sono aperti, però che 'l sonno è ito via. Nel tempo dell'accidia si conoscono i violenti, che rapiscono lo regno del cielo, e neuna cosa è che tanto faccia acquistare corone al monaco, quanto l'accidia, però che combatte più spesso con esso; onde considera che in ogni modo ti combatte. Se stai ritto in piedi, ti conforta che ti ponghi a sedere; da poi che siedi, ti conforta che ti richini al muro, e stando in piedi, ti ammonisce che ti appoggi alle pareti, acciò che facci suono e strepito coi piedi; ma quegli che piagne sè medesimo, non sa che si sia accidia. Sia legato questo tiranno dalla memoria de' peccati e dell'offensioni, e sia percosso e battuto dall'opera delle mani, e sia tratto e tirato dall'intenzione e dallo attento e sollecito pensiero de' beni eternali; ed essendo presentato davanti, sia domandato delle cose che a lui s'appartengono: « Di' a noi tu, remisso e dissoluto, chi è quella che male ti partorie, e qua' sono li tuoi primi geniti, e chi sono li tuoi impugnatori e chi è il tuo ucciditore? » Ed egli essendo sforzato, parve che rispondesse così: « Io apo quelli che sono obedienti veraci, non abbo ove il mio capo si riposi; ma in quelli che dimorano nella quiete solitaria, richino e riposo il mio capo e dimoro insieme con loro. Le mie genitrici son molte e diverse, imperò che mi ingenera la insensibilità dell'anima, ed alcuna fiata mi ingenera lo dimenticamento delle cose celestiali, ed alcuna fata m'ingenerano le soperchia fatiche corporali. Li miei primi geniti sono le transmutazioni de' luoghi. Le sorelle nate con meco sono la inobedienzia del padre spirituale e lo dimenticamento del giudicio, ed alcuna fiata lo lasciamento della professione fatta a Dio. Li miei avversarli sono quelli che mi tengono legata, cioè la salmodìa coll'opera delle mani; la impugnazione mia si è l'attenta meditazione della morte, ma quella cosa che perfettamente mi mortifica, è l'orazione colla ferma speranza de' beni eternali; e chi sia quegli che genera e partorisce questa predetta orazione, domandatene lei ». La fede efficace a Dio e la ferma speranza delle sue promissioni e la carità perfetta, queste sono quelle cose, che partoriscon l'orazione continua, essendo unite coll'astinenzia abituata. Questo grado decimoterzo è una vittoria tale, che chi essa possiede, veramente in ogni cosa bene è provato. Grado XIV Della famosissima regina gola Dovendo e volendo dire della gola e del ventre, proponemo quasi in tutte le cose parlare saviamente contra noi medesimi, però ch'io mi maraviglio, se alcuno sia liberato da essa gola, se non quelli che abitano nella sepoltura. La gola si è ipocrisia cioè falsa mostra del ventre, però che quando è satollato, dimostra che ancora abisogni; e quando è pieno e soprapieno, si richiama e dimostra avere fame. La gola è quella che fa apparecchiare i cibi dilicati e dilettevoli, ed essa è fonte e principio delle dilettazioni della libidine, però che se ài vota la vena della lussuria per l'osservanzia della castità, dall'altra parte, ovvero per la gola, è rientrata, e se ài otturata quella vena, dall'altra parte è riaperta, e se ài spenta la fiamma della libidine, dall'altra parte è risuscitata, ed avendo distratta l'una dall'altra parte, se' vinto. La gola è uno inganno degli occhi affabile e compiacevole, ed è una compassione ed una temperanza ed una umiliazione piacevole, la quale mette a vedere che tutte le cose insieme uno uomo debia divorare. La gola è sazietà de' cibi e padre dello fornicazione, e la tribulazione del ventre è operatrice della castità. Alcuna fiata lo leone per le lusinghe diventa mansueto, ma quegli che 'l corpo suo lusinga e tiene in grande cura, sempre lo tiene e lo fa diventare più selvatico all'opere spirituali. Lo giudeo si rallegra e fa festa il dì del sabato, ma il monaco goloso fa la festa e rallegrasi il sabato e la domenica; innanzi il tempo numera la Pasqua, e molti dì innanzi procura li cibi per la Pasqua. Pensa lo monaco che è servo del ventre, con qua' cibi faccia il dì della festa; ma quegli che è servo di Cristo, pensa quali grazie debbia acquistare in essa festa. Quando il monaco peregrino viene, il monaco goloso per essa gola tutto si commuove a fare con lui carità, e lo discioglimento della sua astinenzia estima consolazione del frate. Nello avvenimento d'alcuno, rompendo il suo costume, dinanzi pensa di trovare del vino, e pensando nascondere la virtù dell'astinenzia sua, diventa servo della passione della gola. Spesse volte la vanagloria è inimica della gola, e combattono insieme sopra il misero monaco, quasi sopra uno servo comperato; la gola combatte che interrompa e dissolva la sua astinenzia, la vanagloria combatte che dimostri la sua virtude per suo onore; ma il monaco savio fuggirà l'una e l'altra, cacciando l'una con l'altra nel propio tempo. Quando il fuoco della carne è vigoroso e cresce, affliggiamo e cruciamo essa carne, ed in ogni luogo e tempo serviamo la nostra astinenzia, ma quando esso fuoco è riposato, la qual cosa non credo che sia innanzi la sepoltura e la morte, allora nascondiamo la nostra operazione dell'astinenzia. Vidi monaci antichi in questa cosa ingannati dalle demonia, e vidi giovani che non s'erano ingannati, li quali nel bere del vino e nell'usare l'altre cose colla benedizione relassavano alcuna fiata la loro astinenza. Se essi monaci peregrini ànno nome e testimonio di singulare santità, per lo loro comandamento relassiamo la nostra astinenzia, ma temperatamente; ma se ellino sono negligenti, non curiamo di loro comandamento, specialmente se noi siamo nella battaglia del fuoco della carne. Uno degli antichi, il quale ebbe nome Evagrio, mandato da Dio, attento per sua prontezza e per suo senno di volere essere più savio de' savii, fu ingannato e mentie a sè medesimo il misero, e palesemente fu più stolto degli stolti in molte altre cose, e spezialmente in questo, però che disse così: « Quando l'anima desidera vani cibi, sia messa alla strettezza del pane e dell'acqua », la qual parola fu simile al comandamento, che fece uno al suo discepolo, quando disse che voleva che salisse tutta la scala a un passo; imperò noi abbattendo il suo detto, diciamo così, che quando l'anima desidera diversi cibi, ella desidera e cerca alcuna cosa propia della natura, e però ci conviene usare industria per sostenere la natura e resistere alla gola, la quale in molti modi è ingegnosa; e se non faremo così, gravissima battaglia farà contra di noi la natura, ovvero ci farà essere obbligati ai cadimenti corporali e spirituali. Adunque togliamo in prima al corpo li cibi che ingrassano, e poi li cibi che ardono, e poi li cibi che dilettano; e se è possibile, dà al ventre cibo che l'empia, che sia leggieri e vile e sottile, acciò che per lo riempimento saziamo la sua insaziabile dilettazione, e per lo sottile e vile e leggiere possiamo tosto respirare, ed essere liberati dal calore e dalla infiammazione, quasi dal flagello. Pogniamo mente e troveremo che molti cibi fatti delle cose che respirano, cioè degli animali, muovono e incitano in noi calori ovvero infiammazione di carne. Ridi e fatti beffe di quel demonio, che t'ammonisce che tu tardi la refezione del corpo, passata l'ora della cena, però che quegli che tarda la refezione dopo l'ora ordinata della nona, disconcia l'ordinazione comune, come colui che prende la refezione innanzi l'ora. Altra astinenzia è convenevole a quelli che sono innocenti, ed altra a quelli che sono nocenti, però che quegli che sono innocenti, ànno per segno il movimento del corpo, cioè lo riscaldamento della carne; ma quelli che sono nocenti, infino alla fine stanno fermi nell'astinenzia sanza consolazione e sanza cordoglio; li primi debbono e vogliono guardare la contemperanza e la complessione della mente sempre mai; li secondi per la spirituale tristizia e per la mortificazione placano Iddio. A quegli che è perfetto, il tempo della sua consolazione e letizia si è essere privato al tutto d'ogni sollicitudine, ed allo combattitore lo tempo buono è lo tempo della battaglia, ma il buono tempo del vizioso è la festa delle feste e la frequenzia delle frequenzie. Nel cuore de' golosi sempre ci vengono sogni di cibi e di mangiari, ma nelli coraggi de' piagnitori ovvero de' piagnenti vengono sogni di giudicii e di pene. Tieni e vinci il ventre, innanzi ch'egli tenghi e vinchi te, però che poi ti converrae fare astinenza con tua confusione. Questa cosa che è detta, ben la conoscono i caduti in quella fossa, che non è convenevole a nominare. Quelli uomini che sono eunichi, non ebboro sperienza di questa cosa; la intenta meditazione del fuoco circoncide il ventre, ma alcuni che obedirono al ventre, si mozzarono le membra loro e moriron di doppia morte. Cerchiamo e troverremo certamente, che questa gola per sè sola opera appo noi religiosi pericoli spirituali. La mente dell'astinente digiunatore ora vigilantemente e sobriamente, ma la mente di colui che non è astinente, si riempie d'immonde fantasie. La sazietà del ventre secca le fonti delle lagrime, ma seccato egli generò acque. Quegli che nutrica e sazia bene il ventre suo, e combatte per vincere lo spirito della fornicazione, è simigliante a colui che vuole spegnere il fuoco ardente coll'olio. Quando il ventre per fame è tribulato, lo cuore s'aumilia; ma quando il ventre è pieno e consolato, la cogitazione si leva in superbia, ed a provare questa cosa, palpa e cerca te medesimo nella prima ora del dì e nel mezzodì, e nella ultima ora innanzi che mangi; e per questo cercare da te medesimo potrai cognoscere l'utilitade del digiuno, imperò che la mattina s'appressa e levasi la cogitazione della carne, cioè li sentimenti e gli riscaldamenti, e quando viene l'ora della sesta, si abbassa un poco, ma appresso al tramontar del sole perfettamente è umiliata la cogitazione della carne. Affliggi il ventre per la fame, e al postutto chiuderai la bocca, tenendo silenzio, ma dalli molti cibi la lingua prende vigore e forza; però ti sforza di combattere contra esso ventre colla fame ed ancora col vegghiare; e se in questo digiunare e vegghiare riceverai un poco di pena e di fatica, il Signore incontanente ti farà grazia, aiutandoti a portare questa fatica. Gli otri mollificati tengono molto sopra misura, ma gli otri secchi non mollificati non tengono tanto; così quegli che sforza il ventre mangiando molto, sciampia ed allarga le 'nteriora; ma chi combatte contra il ventre, ristrigne le 'nteriora, le quali essendo ristrette, non abisogna l'uomo di tanto mangiare, e da indi innanzi diventa l'uomo naturalmente digiunatore. La sete spesse fiate fece cessare la sete ma volendo cacciare la fame colla fame patendola, questa è cosa crudele ed impossibile per natura; ma quando ti vince la fame, e ti conviene saziare la carne, e tu la doma colle fatiche; e se questo non si può fare per la infermità della carne, e tu combatti contra essa col vegghiare; e quando gli occhi sono aggravati dal sonno, prendi l'opere delle mani, ma quando non c'è il sonno, nel tempo dell'orazione non toccare l'opera delle mani. Non è possibile di dare la mente a Dio e all'opera delle mani insieme; imperò nel tempo dell'orazione non è convenevole di toccare nè di vedere l'opera delle mani. Pensa ed attendi a questo, che il demonio alcuna fiata siede sopra lo stomaco, e disponlo a non potersi saziare, s'egli mangiasse tutto l'Egitto, e bevesse il Nilo grande fiume, e perciò non si conviene saziare e seguitare quello appetito. Questo immondo demonio dopo il cibo si parte, da poi che ci ha fatto molto mangiare, e mandaci lo spirito della fomicazione, ed annunciali quello che ci à fatto, e dicagli: « Prendilo, prendilo e conturbalo, però che da poi che 'l ventre è pieno e gravato, con non molta fatica l'abbatterai », ed il demonio veggendo se ne rise, e schernillo, vedendo uno uomo così concio; e legandogli col sonno le mani ed i piedi, fece poi ogni cosa che volle, ed il corpo e l'anima sozzoe di fantasie e contaminazioni e polluzioni. Ed è gran maraviglia vedere la mente, che è cosa spirituale, essere sozzata ed ottenebrata dal corpo, ed anche poi essere fatta immateriale e purgata ed assottigliata per lo pianto. Se tu promettessi a Gesù Cristo d'andare per la via stretta ed angosciosa, ristrigni ed angustia il ventre, però che se il ventre è sciampiato, tu ài rotta la promissione che facesti. Pensa ed attendi ed odi il Signore che dice: Ampia e spaziosa è la via del ventre, la quale conduce alla perdizione della fornicazione, e molti ne vanno per essa, ed istretta ed angosciosa è la porta e la via del digiuno e dell'astinenzia, la qual mena alla letizia della castità e pochi entrano per essa. Lo Lucifero che cadde di cielo, principe delle demonia e principe di tutti li vizii, si è la gola e la ingluvie del ventre. Quando siedi a mensa a prender la refezione, reca alla mente tua la memoria della morte e del giudizio, ed appena potrai un poco impedimentire il vizio della gola, e quando prendi il bere, non cessare di ricordarti del fiele e dell'aceto, che fu dato al nostro Signore Gesù Cristo, e al postutto o tu t'asterrai, o tu sospirerai o tu ti terrai più vile. Non t'ingannare, che tu non potrai essere liberato da Faraone, e non vedrai la Pasqua spirituale, se non mangerai sempre le lattughe agreste col pane azimo. L'agreste lattughe sono la violenza del digiuno, la fatica e 'l dolore e la sofferenza de' mali; lo pane azimo è il sapere non superbo e non enfiato, cioè non tenersi buono. Alla tua memoria sempre sia congiunta la parola del profeta che dice: Mentre che le demonia mi faceano molestia, mi vestiva del cilicio ed umiliava l'anima mia col digiuno, e l'orazione non si partiva dal seno dell'anima mia. Lo digiuno è violenza della natura, e mozzamento della delettazione del gusto, e cessamento del calore della concupiscenza e mozzamento delle male cogitazioni ed intenzioni, e liberazione de' sogni e mondizia dell'orazione, lume dell'anima e custodia della mente e discioglimento della ciechità, porta della compunzione ed umile sospiro ed allegra contrizione ed istringimento del troppo parlare, e cagione di tranquillità e guardiano della ubidienzia, e votamento ed alleviazione del sonno e sanità del corpo, operatore e conducitore della impassibilità e remissione de' peccati, e porta e delizie del paradiso. Questo tiranno, cioè la ingluvia del ventre o vero gola, il quale è comandatore di tutti i nostri mali che c'impugnano, esso è porta de' vizi e cadimento d'Adamo e perdizione d'Esaù, morte del popolo d'Israel, disonestà di Noè, tradimento de' Gomorrei, vituperio dì Loth, esterminazione de' figli d' Eli sacerdote, conducitore delle contaminazioni e delle ree cogitazioni. Domandiamola primamente onde nasce, e quali sono i figliuoli che nascono da essa gola, e chi è quegli che l'abbatte, e chi è quegli che l'uccide al tutto: « Di' a noi, o mortale tiranno d'ogni uomo, che coll'oro della tua insaziabilità tutti noi ài comperati, onde intrasti in noi, e da poi che se' intrato, che parturisti e generi in noi, in qual modo ti parti e siamo da te liberati? » Ed ella dolendosi delle ingiurie, come una fiera rispuose a noi furiosamente e tirannicamente: « Perchè m'abbattete cogli improperii, voi che siete legati a me per debito, e come vi sollicitate di partir da me? Io son legata colla natura; la porta ondio entro, è la natura de' cibi, della mia insaziabilità l'usanza n'è cagione; l'uso dinanzi pigliato e lo non avere dolore dell'anima e lo dimenticamento della morte sono cagione della mia passione, quando assalisco l'anima. Ma però che addomandate di sapere le nomorà de' miei figli, se io gli vi vorrò annumerare, saranno più che l'arena del mare. Ma udite quali sono li miei diletti e primogeniti appellati: il mio figliuolo primogenito è lo ministro della fornicazione, ed il secondo dopo lui è la durizia del cuore, il terzo è il sonno; dopo questi è il mare delle cogitazioni sozze e l'onda delle tempestadi, le contaminazioni e lo profondo delle indicibili immondizie, che da me procedono. Le mie figliuole sono queste: l'oziosità, il molto parlare, la confidenza, lo riso, la scurrilità o parole da fare ridere, la contradizione, la cervicosa durizia, il non dare udienzia, l'insensibilità, la prigionia ovvero lo legamento del cuore, lo magnificarsi, la gloriazione, l'audacia, la presunzione, l'amore del mondo, il quale seguita l'orazione sozza, li rivolgimenti delle cogitazioni, e spezialmente spesse fiate cadimenti non aspettati, dopo li quali seguita alcuna fiata la disperazione, la quale è crudele sopra tutti li mali. Me impugna ma non vince la memoria dell'offensioni e de' peccati, ma lo attento pensiero della morte e del partimento dell'anima, questo è mio inimico al tutto; ma cosa che perfettamento mi cacci e distrugga, non si truova infra li uomini. Quegli che possiede lo Spirito Santo, lo 'nterpella contra me, e quello Spirito Santo essendo pregato, non mi lascia operare viziosamente, ma quelli che sono sanza il gusto d'esso Paradito, cioè Spirito Santo, al postutto cercano di consolarsi per me. Forte cosa è ad avere di questa gola vittoria; ma colui che l'abbatte e vince, manifestamente va e sale alla impassibilità ed alla soprasomma castità Grado XV Della incorruttibile e bene olente castità per sudori e fatiche acquistata Abiamo udito la insaziabile gola dicere che il suo figliuolo era la battaglia della carne, e non è meraviglia, però che questo conoscemmo nell'antico nostro padre Adamo, il quale se non fosse stato vinto dal ventre, non arebbe conosciuta la moglie per concupiscenzia disordinata; e però quelli che osservano il primo comandamento della virtuosa astinenzia, non cadono nella seconda transgressione per la concupiscenza carnale, ma permangono questi figliuoli d'Adamo, non cognoscendo che era Adamo, non partecipando il peccato della prevaricazione d'Adamo, essendo rigenerati in Cristo e per la castità assimigliati agli angeli, ma un poco minorati che gli angioli per lo stato della mortalitade, ed in questa minoranza per lo stato della mortalità gli à posti Iddio per loro bene, come dice S. Gregorio chiamato Teologo, il quale bene è questo, che per la carne mortale che portano, lo male, cioè il peccato, e 'l difetto loro non è immortale, che non possa venir meno, ma è remissibile e truova misericordia. La castità è propietà della natura incorporea; la castità è una amabile cosa e piacevole a Gesù Cristo, ed uno scudo del cuore sopra terreno; la castità è una sopranaturale e sopra gloriosa annegazione della natura, ed è veramente uno appressamento sopra mirabile del corpo mortale e corruttibile alle sustanzie sanza corpo, come sono gli angeli. Quegli è veramente casto, il quale coll'amore e col piacimento spirituale ripercuote e spegne l'amore della concupiscenzia carnale, e col fuoco spirituale spegne il fuoco carnale. La continenza è nome universale di tutte le virtudi, però che ogni virtù è continenza dal vizio suo contrario. Quegli è continente e casto, il quale eziandio negli sogni non sente movimento nè mutazione in sè medesimo dello stato che avea in prima vegghiando; quegli è continente e temperato, il quale sempre possiede perfetta insensibilità sopra la differenza delle corpora; questa è la regola della perfetta e castissima castità, igualmente essere inchinato per affetti di concupiscenzia carnale alle corpora animate, come a quelle che non sono animate, e tanto alle corpora umane, quanto alle corpora degli altri animali. Neuno di quelli che posseggono castità, la reputi o attribuisca a sè questa possessione, perciò che vincere la sua natura non è leggier cosa nè cosa accidentale, nè virtù di quelli che la ricevono; però che dove è fatta vittoria della natura, ivi ci si riconosce la virtù di colui ch'è sopra natura, però che a questo non si può contradire, che la cosa minore riceve grazia e benedizione dalla maggiore. Lo principio della virtù della castità è non consentire alle cogitazioni carnali; e pogniamo che per alcuno tempo riceva polluzioni dormendo, questa sia senza nulla laida fantasia; lo mezzo della virtù della castità è, che se avesse alcuna fiata li movimenti naturali della carne, questi movimenti sieno proceduti dal molto mangiare solamente sanza ogni laida imaginazione e sanza ogni polluzione; la fine e la perfezione di questa virtù è la mortificazione del corpo, essendo in prima morte le cogitazioni. Colui è veramente beato, il quale nella veduta d'ogni sustanzia e d'ogni colore e bellezza di corpo in ogni tempo possiede perfetta insensibilità; non è casto quegli che 'l loto, cioè il corpo suo terreno, guarda dalla sozzura, ma quegli è casto, il quale le membra del corpo suo perfettamente sottomette all'anima. Grande è quegli, che nel toccamento della carne altrui rimane impassibile, ma maggiore è colui, che nell'aspetto e nella veduta rimane non percosso, e non essendo vinto, vince l'aspetto del fuoco carnale coll'attento pensiero della bellezza delle cose celestiali. Quegli, il quale coll'orazione discaccia da sè il cane, ossia lo spirito della fornicazione, è assimigliato a colui che combatte col leone; ma quegli che contradicendogli lo fa fuggire adietro, è assimigliato a colui che non tanto ch'egli si difenda, ma egli perseguita il suo nimico, dal quale era assalito; ma quegli che al tutto dispregia lo assalimento di questo nemico, pogniamo ch'egli viva in carne, egli è resurresito dal monumento. Se questo è il segno della verace castità di non avere movimento contrario nella sua carne, sognando gli sogni carnali e laidi, al postutto questo è segno certo di tutta lussuria, cadere in polluzione di carne, vegghiando, per le sole cogitazioni. Quegli che combatte con questo avversario per sudori e fatiche corporali, è assimigliato a colui, il quale colla rombola discaccia e fa fuggire il suo nimico, ma quegli che combatte con l'astinenzia e colle vigilie, questi è assimigliato a colui, che assalisce il suo inimico colla mazza; ma quegli, il quale combatte con questo nimico per l'umilità e per la inirascibilità, cioè perfetta mansuetudine, e per la sete, ovvero per lo perfetto e verace desiderio di Dio, questo è assimigliato a colui, che uccise l'avversario che combattea con esso, e nascoselo sotto l'arena. Alcuno è il quale questo tiranno tiene legato per le fatiche, alcun altro che 'l tiene legato per l'umilità, ed alcuno che lo tiene legato per divina revelazione; ed il primo è assimigliato alla stella Diana, il secondo è assimigliato alla luna piena, il terzo è assimigliato al sole, e tutti ànno la conversazione in Cielo, e come dallo splendore dell'aurora nasce la luce, e dalla luce nasce il sole, così dalle fatiche nasce l'umilità, e dalla umilità nasce la divina revelazione, e dalla divina revelazione nasce la castità. Siccome la volpe alcuna fiata s'infigne di dormire per prendere gli uccegli, così alcun tempo il corpo e 'l demonio simulano e s'infingono d'avere la castità per pigliare l'anima. Non credere allo loto della carne in tutta la vita tua, quantunque dimostri castità, ed infino a tanto che tu abbia trovato Gesù Cristo, non ti confidare in essa, e non ti confidare di non potere cadere per astinenzia che tu faccia, però che quegli che già mai non mangia, fu gittate da cielo. Alcuni savii diffiniro bene l'astinenzia, che dissero che astinenzia era tenere nimistà al corpo e combattere contra il ventre. Li cadimenti della carne in quelli che cominciano a servire a Dio, naturalmente le più volte adivengono per lo mangiare dilicato, ma nelli proficienti adivengono per tenersi buoni, e questo adiviene ancora alli cominciatoci; ma in quelli che sono appressati alla perfezione, adivengono solamente per giudicare il prossimo. Alcuni tengono beati quelli, che per natura son nati eunichi, come persone liberate dalla tirannia del corpo; ma io beatifico li cotidiani eunichi quegli, i quali colle cogitazioni quasi con uno coltello mozzano le membra loro. Vidi alcuni che caddero, ma non volontariamente, e vidi alcuni che volontariamente voleano cadere e non poterono, li quali chiamai più miserabili, che quelli che cadeano cotidianamente, quasi uomini che poteano essere desiderati dalla dissuavità del fetore. Miserabile è quegli che cade, ma più miserabile è quegli che fa cadere altrui, però che porterà giudizio di due peccati e cadimenti, e della dilettazione e del piacimento altrui. Non volere ripercuotere e cacciare il demonio della fornicazione, contradicendogli con parole di giustizia, dicendogli: « Questo sarebbe peccato e dispiacere ne a Dio », però che in questo modo sarebbe forte di cacciarlo, però che esso molte fiate fa risposte molte ragionevoli, assegnando come questa cosa è naturale, e quello che è naturale, non dispiace a Dio, lo quale fece la natura. Quegli che da sè medesimo vuole vincere la sua carne, corre invano, però che se Dio non dissipa la casa della carne ed edifica la casa dell'anima, invano s'affatica quegli, che per digiunare e per vegliare la vuole dissipare; ma il modo propio e perfetto è questo: rappresenta e poni dinanzi da Dio la infermità della carne e della natura tua, e cognoscendo perfettamente la propia impotenzia, riceverai insensibilmente il dono della castità. È uno sentimento libidinoso d'una concupiscenzia carnale ( secondo che a me narrò uno che ne avea avuta la sperienza, da poi che ne fu liberato ), che è uno spirito isvergognato ed irreverente e crudele e inumano, il quale sanza reverenzia si pone al sentimento del cuore, e fa a colui ch'è impugnato, sentire un dolore di cuore corporale in simiglianza della fornace del fuoco, per lo quale perde il timore di Dio, e disprezza ed ae per niente la memoria della pena eternale, e l'orazione ae in abominazione, e pertanto ae la veduta delle reliquie delli morti quanto che la veduta delle pietre. Ed ancora questo predetto spirito quello uomo, a cui s'è posto adesso in quella operazione del peccato, gli fa perdere la mente ed il senno umano, e fallo essere inebriato di una continua concupiscenza delle corpora razionali e non razionali, li cui dì se non fossero abbreviati, non si salverebbe l'anima vestita di questo corpo composto e complessionato di sangue e di sozzo limo. E non è meraviglia, però che ogni cosa fatta desidera insaziabilmente la sua cognazione, il sangue lo sangue, e lo verme lo verme, e lo limo lo limo; e così la carne desidera carne, quantunque noi che siamo violentatori e sforzatori della natura, e desideratori del regno celestiale, con alcune circonvenzioni ed astuzie ci studiamo d'ingannare lo 'ngannatore. Beati quelli che non sono esperti di questa battaglia, e noi anche oriamo d'essere liberi pienamente da tale esperienza, però che quelli che caddero in questa fossa, essendo dilungati da quelli che salirò e discenderò in quella scala che vide Iacob, cioè degli angeli, molto pericolosamente sono caduti, ed a rilevarsi di tal cadimento abbisognano di dolori e d'afflizioni e di fame e di sopra somma penuria. Intendiamo come dalli nimici nostri spirituali, siccome nelle battaglie corporali, sono ordinate le schiere contra di noi, però che a ciascheduno è dato speciale ufficio, la qual cosa è da maravigliarsi. Puosimi a mente alli tentati, e vidi diversi cadimenti, de' quali alcuni erano più crudeli e più pericolosi degli altri. Chi à mente da udire, oda. Anno usanza le demonia massimamente contra gli combattitori e quelli che tengono vita monastica, che tutto il loro empito e sollicitudine ed industria ed astuzia e circonvenzione e cospirazione maggiormente e più spesse fiate pongono ad impugnare e far cadere nelli peccati che sono fuori di natura, più che in quelli peccati che sono secondo natura. Onde alcuni spesse fiate conversando e dimorando colle femine, al postutto non sono impugnati di concupiscenza, e non sono indutti nè in cogitazione nè in tentazione; per la qual cosa questi miserabili beatificano sè medesimi, non cognoscendo che ove è maggiore pericolo, ivi è mestieri maggior guardia; e penso io che per due cagioni questi micidiali e facinorosi nostri nimici impugnano più noi miseri per farci cadere negli peccati fuori di natura, che in quelli che sono secondo natura: l'una cagione è però che di questi cadimenti in ogni luogo si truova la materia; l'altra cagione è però che di questi peccati riceveremo maggior pena e punizione. Questa cosa che è detta, seppela e provolla quegli, che in prima addusse e fece essere dimestici gli asini salvatici, il quale infine fue pervertito ed ingannato miserabilmente dalli salvatichi demonii; simigliantemente questa cosa provoe quell'altro monaco, che in prima era notricato del pane celestiale, ultimamente fu privato di quel bene; e questa è più mirabile cosa, che da poi che quel primo fu pentuto di suo peccato dolendosi amaramente, il nostro maestro santo Antonio disse di lui agli monaci suoi; « Una grande colonna è caduta »; e nascose il savio Antonio la maniera del cadimento, però che sapea che la fomicazione corporale era sanza corpo altrui. È alcuna morte e perdizione di cadimento in noi, la qual sempre portiamo in noi e con noi, massimamente nella gioventù, la quale io non presumetti di scrivere, però che mi ritenne la mano mia quegli, cioè S. Paulo, che disse: Quelle cose che alcuni fanno secretamente, sono laide e vituperose a dicere e a scrivere e ad udire. Questa mia non mia carne inimica, santo Paulo l'appellò morte; ma santo Gregorio detto Teolago appellò essa carne libidinosa serva e notturna; ma per quale ragione questi santi appellaro la carne di questi nomi, io desiderava d'imparare; e se la carne, come è detto, è chiamata morte, adunque quegli che la vince, al postutto non morrà; e come dice il profeta nel salmo: E quale uomo viveva, che non veggia la morte della contaminazione della carne sua? Sopra questa materia è buono e convenevole di domandare e di fare questa quistione: Quale è maggiore, o quegli che muore e poi resurge, quegli il quale al postutto non muore? Quegli che beatificò il secondo fu ingannato, però che Cristo morie e risurressie e così conviene intendere spiritualmente che migliore è quegli che muore della morte del peccato, se egli risurge e rinnovasi per verace penitenzia, che quegli che non pare che sia caduto nella morte del peccato, però che in verità non è uomo, che viva e non pecchi; e questo Cristo è quegli che non vuole, che apo gli morienti come apo i cadenti sia niuna desperazione. Lo ismanioso nostro nimico preposto della fornicazione dice che Dio è benigno, ed ae molta indulgenzia sopra questa passione e sopra questo vizio, però che è naturale; ma se ci ponemo a mente gli ingegni suoi, troveremo che da poi che 'l peccato è fatto, dicono che Iddio sanza compassione giudica li peccatori siccome giusto giudice; quello primo diceano per inducere a peccare, questo secondo dicono per inducere a desperare. Quando la tristizia e la desperazione n'assalisce, allora non ci poterne chiamare miseri e vituperare noi medesimi, e prendere vendetta di noi per cagione del nostro cadimento, però che la desperazione nollo lascia fare, ed essendo tolta da noi la desperazione, succedegli e riceveci il demonio della benignità, cioè il demonio, il quale ne mette a vedere che Iddio è tutto benigno, sicchè non abbisogna di fare penitenzia de' nostri cadimenti. In quanto Iddio è incorruttibile ed incorporeo, in tanto si rallegra della castità e della incorruttibilità, e cosi per contrario il demonio si rallegra del contrario; onde dissono alcuni, che le demonia di niuna cosa tanto si rallegrano, quanto di quella puzza e di quello fetore della contaminazione del corpo. La castità è una propietà ed una somiglianza di Dio, secondo che è possibile agli uomini; madre della dolcezza su la terra è la rugiada, e madre della castità è la quiete solitaria coll'obedienza. La impassibilità del corpo, che è acquistata nella quiete solitaria, appressandosi al mondo fu concussa e percossa; ma quella impassibilità, la quale procedette e nacque dalla obedienzia, in ogni parte rimase provata ed immobile. Vidi alcuna fiata essere la superbia conducitrice dell'umilità, e ricordomi del detto di santo Paolo, quando dice: Chi conobbe il senno e la profonda sapienza di Domenedio. Quegli il quale colla gola e colla sazietà vuole vincere il demonio della fornicazione, è assimigliato a colui che vuole spegnere il fuoco ardente coll'olio; e quegli il quale colla sola astinenzia pensa di fare cessare questa battaglia, è assimigliato a quegli che nuota con una sola mano, e combatte per liberarsi del pelago; ma se vuogli scampare, all'astinenzia aggiugni l'umilità, però che sanza la seconda, cioè l'umilità, la prima, cioè l'astinenza, non ci basta. Quegli che si vede assediato da alcuno vizio, dinanzi ad ogni altra cosa e solamente si armi contra quel vizio, e massimamente contra il nemico dimestico della carne, però che se questo non è destrutto, neente andremo innanzi per la vittoria degli altri vizii; ma se noi percoteremo questo egizio, al postutto vedremo il Signore nel rubo dell'umilità. Io essendo tentato, sentii questo lupo, il quale facea all'anima per ingannarla un gaudio non ragionevole e consolazioni e lagrime, per la qual cosa a me che avea poco discernimento, parea che questo contenesse frutto e non corruzione. Se ogni peccato che l'uomo fa, è fuori del corpo, colui che fa la fornicazione, nel proprio corpo pecca, secondo che santo Paolo dice, per questa cagione, perchè nella corruzione contaminiamo la sustanzia d'essa carne, la qual cosa non si può fare in neuno altro peccato. Questa quistione muovo io, perchè gli uomini che offendono in qualunque altro peccato, chiamiamo peccatori; ma quando udiamo d'alcuno, e' abbia commessa fornicazione, dolendoci e lamentandoci diciamo: « Cotale è caduto ». Il pesce veloce fugge l'amo, e l'anima amatrice delle dilettazioni e delle concupiscenze fugge la quiete solitaria. Quando il demonio vuole legare insieme alcuni di laido e sozzo legame, in prima esamina l'una parte e l'altra, e da quello comincia a gittare lo fuoco, nel quale truova maggiore attitudine di riceverlo. Spesse fiate adiviene, che quelli che sono inchinevoli all'amore delle concupiscenze, naturalmente sono compassivi e misericordiosi ed amorevoli e contriti e devoti; ma quelli che ànno cura e studio della castità, non posseggono queste cose predette. Uno uomo pieno di conoscimento mi dimandò d'una terribile proposizione, e disse cosie: « Quale è il più grave peccato di tutti gli altri, ischiudendone il micidio e la negazione di Dio? » E dicendo io che era cadere in resia, mi disse quegli: « E come è che la santa madre Ecclesia catolica ricevendo gli eretici dopo la integra e pura abiurazione della prima eresia, gli fa degni di ricevere gli santi misteri del Corpo e del Sangue di Cristo? E ricevendo colui che è caduto in fornicazione dopo la confessione e lo cessamento dal peccato, lo fa cessare per tempo dalli misteri immaculati, secondo che è fermato nelle regole delli apostoli? » Ed io dubitando e stupendo sopra questa questione, il dubbio rimase non soluto. Cerchiamo e poniamci a cura, quale ò la delettazione della concupiscenza, la quale si fa in noi nel dire i salmi dal demonio della fornicazione, e quale è la delettazione che procede della cogitazione dello spirito, le quali sono con grazia e con virtù. O tu che se' giovane, non ti sia celato il fatto tuo. Io vidi alcuni, i quali ferventemente con tutta l'anima oravano per loro famigliari e diletti amici, ed essendo mossi dalla fornicazione, per questa cotal memoria si pensavano adempiere lo decreto e la legge della carità; e alcuna fiata è che per solo il tatto si contamina il corpo di lussuria, però che infra le sensora questo è quello che più gravemente contamina; però ti ricordi di colui, che si involse la mano col mantello, quando gli fu mestiere di toccare la mano della madre, così tu abbi addormentata la mano tua sopra le membra naturali, e sopra lo propio corpo e sopra l'altrui. Penso io che neuno veracemente debbia essere detto santo apo quello ch'è santissimo, cioè Iddio, se in prima questa terra del corpo egli non la trasforma in santificazione. Quando giacemo nel letto, allora verghiamo e siamo colla mente solliciti, però che la mente combatte allora colle demonia sanza esercizio corporale, e se l'anima è amatrice di concupiscenzia, volentieri diventa traditrice di sè medesima: però ti studia che la memoria della morte al postutto dorma teco insieme, e teco insieme si levi, e l'orazione sola di Gesù Cristo sia nella lingua tua, mentre che ti corichi e che ti levi, però che tu non troverai cose, che tanto ti giovino nel sonno, quanto queste due. Alcuni dissero ed insegnarono, che le battaglie della carne e le polluzioni solo da' cibi procedono; ed io vidi quelli che erano infermi infino alla stremità, e quelli che digiunavano, sommamente essere contaminati di queste medesime cose. Di queste cose dimandai una fiata un monaco perfetto discemitore e conoscitore, ed esso beato molto saviamente m'insegnò e disse così: « Alcuna fiata adiviene in sonno la polluzione per lo molto mangiare e per la molta quiete; alcuna fiata adiviene per la superbia, quando enfiamo nella mente per essere stati molti tempi sanza polluzione, ed alcuna fiata adiviene perchè giudichiamo il prossimo; delle quali polluzioni le due, la seconda e la terza, possono sopravenire all'infermi, ed ancora tutte e tre. Ma se alcuno da tutte queste predette cogitazioni si vedrà e sentirà essere purgato, e cadrà alcuna fiata in polluzione, patirà questo solamente per la 'nvidia delle demonia, permettendolo Iddio, acciò che per questo accidente sanza peccato sia fatto posseditore dell'altissima umilità ». Niuno le fantasie delle laide sognora si volga e rechi a memoria lo dì pensando in esse, però che la 'ntenzione del demonio è questa, che per le cose ch'egli ne fa sognare, ci contamini vegghiando. Udiamo un'altra astuzia degli nostri nimici, che come gli cibi che nociono al corpo, non incontanente ma dopo tempo generano la infermità, così adiviene spesse fiate nelle cagioni, le quali contaminano l'anima; ch'io vidi quelli che stavano in delizie ed in conviti, e non furono contaminati incontanente; e vidi quelli che dormiano e mangiavano colle femine, e non aveano niuna mala intenzione nè cogitazione; e per questa cagione essi essendo ingannati e confidandosi, e non avendo essi cura di sè medesimi, quando si pensavano avere pace e quiete nelle celle loro e stare nel sicuro, allora ricevettoro sommo esterminio e pericoloso cadimento. E qual sia lo sterminio e il pericoloso cadimento che adiviene a noi, essendo soli e dimorando solitariamente, quegli che n'è esperto, il sa; ma chi non è esperto, non à bisogno di saperlo. In quel tempo a noi è buono aiutorio il ciliccio, lo giacere in terra, stare tutta notte a vegghiare, patire fame e sete, stare alle sepulture de' morti, e sopra ogni cosa l'umilità del cuore; e se è possibile, avere per nostro aiutorio uno padre spirituale ovvero uno frate sollecito e vecchio di sapienzia spirituale. Io mi maraviglio, se uno uomo solo potrà salvare la nave del pelago. Questo medesimo cadimento cento cotanti è più pericoloso in uno che in un'altro per lo luogo e per lo modo e per quello che ne seguita, e per molte altre cagioni e circonstanzie. Uno narrò a me una soprasomma e sopra ogni opinione umana diffinizione e perfezione di castità, e disse che uno, il quale vedendo alcuna bellezza corporale della creatura, per quella bellezza magnificamente glorificoe il Creatore, ed essendo mosso solo da quello aspetto, spargea fonte di lagrime, e tutto era levato su nella carità di Dio, ed era uno stupore a vedere, come quello che ad alcuno è cagione di cadere, ad un'altro sopra natura era cagione di corona. Se quegli cotale sempre e in ogni luogo ed in tutte così fatte cose possiede questa operazione e questo sentimento, innanzi che vegna la comune resurrezione, egli è resurresito, essendo nel corpo corruttibile non corrotto. Questa medesima regola usiamo nelle melodie e negli inni e ne' cantici spirituali, e non è meraviglia, però che gli amatori di Dio ànno natura e condizione dalle cose che son di fuori, cioè dalle cose corporali, e dalle laudi e dalli cantici e dalle paroli spirituali d'esser mossi e condotti in allegrezza ed in carità ed in levamento mentale e gaudio divino ineffabile ed in lagrime; ma gli amatori delle concupiscenzie e delle delettazioni della carne patiscono il contrario. Secondo che di sopra detto fue, alcuni dimorando negli luoghi solitarii e di quiete sono molto più impugnati, e non è maraviglia, però che in quelli luoghi diserti e negli abissi essi demonii essendo discacciati dal nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo per la nostra salute, quegli che ivi amano d'abitare, essi ministri della malignità e demonia della fornicazione gl'impugnano più crudelmente, acciò che a loro paia che non sia utile a stare nel diserto, e per questa cagione si ritornino al mondo; ma quando noi dimoriamo nel mondo, esse demonia si dipartono da noi, cioè non tanto c'impugnano, acciò che non essendo impugnati, dimoriamo più volentieri cogli mondani, e non consideriamo che ove siamo impugnati, ivi al postutto duramente e crudelmente impugnamo il nemico; ma non essendo impugnato da noi, diventa nostro amico e non impugna noi. Ed è alcuna fiata, che dimorando noi nel mondo per alcuna necessità, siamo guardati dalla mano di Dio dalle impugnazioni della carne e per l'orazione del padre spirituale, acciò che non sia bestemmiato Iddio a nostra cagionei; ed è alcuna fiata, che non sentiamo le battaglie per la privazione del dolore, e perchè il nostro cuore è molto pieno ed occupato della esperienza delle cose, che facciamo ed udiamo e veggiamo, ovvero che le demonia volontariamente si partono da noi, acciò che lascino in noi lo luogo della superbia, la qua' compie tutti gli altri vizii, e fa tanto danno all'anima, quanto farebbono tutti gli altri vizii. Un' altra macchinazione ed astuzia udite di questo ingannatore, e guardatevi tutti voi, che elegeste di guardare e servare castità. Narrò a me uno, il quale avea avuta la esperienza di questo inganno, che spesse fiate questo demonio delle corpora si sottrae al tutto e perfettamente, che non dae neuna molestia, ed immette al monaco una somma religiosità e reverenzia ed onestà, e per alcun tempo gli dae fonte di lagrime; e da poi che l'ae indotto, che famigliarmente conversi e parli colle femine per ammonirle della onestà, della castità e della continenzia e della memoria della morte e del giudicio etemale, acciò che per lo suo parlamento e per la infetta religiosità corrano a esso lupo le persone miserabili, come corressero ad un pastore, da indi innanzi avendo contratta l'usanza e la famigliarità, ed essendo presa la sicurtà e la confidenzia, riceva e sostenga esso misero cadimento e ruina; e però fuggiamo, fuggiamo, e non vogliamo vedere nè udire quel frutto, del quale siamo posti e ordinati a non assaggiare mai; ed io mi maraviglio, se noi ci riputiamo d'esser più forti che David profeta, la qual cosa veramente è impossibile, però che la gloriosa laude della castità tanto è alta e grande, che alcuni delli santi Padri la chiamano impassibilità, ed alcuni dissero che era cosa impossibile, che alcuno fosse chiamato casto, da poi che avea assaggiato il peccato. Ma' io questo loro detto fuggo e disprezzo, e ditermino che è cosa possibile e diritta e leggiere a chi vuole innestare lo oleastro nella buona oliva, e se le chiavi del regno del cielo fossero date a quello apostolo, il quale era vergine del corpo, forse che li predetti parlatori avrebbono parlate cose giuste; ma se non furon date le chiavi al vergine, confondagli quegli che ebbe suocera e fu fatto casto, ed ebbe le chiavi della castità e del regno del cielo. Questo serpente delle corpora di molte forme si sforza a combattere, però che a quelli che non sono esperti del peccato, mette la tentazione che solamente ne prendano l'esperienza, e poi se ne cessino; ma quelli che ne sono esperti, egli misero incita e provoca per la memoria del peccato, che lo pruovino un'altra fiata. Molti de' primi per la ignoranzia del male non sono impugnati; li secondi avendo preso odio della esperienza del peccato, sostengono più le molestie e le battaglie; ma il contrario adiviene più spesso. Quando dal sonno noi ci leviamo buoni e soavi e pacefici, questo ricevemo secretamente dalli santi angeli per consolarci, e massimamente quando dopo molta orazione e vigilia dormiamo; ed è alcuna fiata, che ci rileviamo dal sonno buoni e soavi, e questo patiamo dalle maligne sognora e visioni. Vidi l'empio demonio sopra esaltato e levato come li cedri del Libano, e conturbato e furioso sopra me, che parea che tanto soprastesse all'anima, che non se ne potesse difendere; e passai per l'astinenza, ed ecco che non era il suo furore come in prima, e cercalo umiliando la mia cogitazione, e non si trovò più in me il luogo nè il vestigio suo. Qualunque ae vinto il corpo, questi ae vinto la sua natura, e quegli che vincola sua natura, al postutto è fatto sopra natura; questi così fatto poco è minore che gli angeli, non dico neente minore che gli angeli. Non è cosa maravigliosa di combattere quegli che è immateriale, colla cosa materiale; ma veramente è cosa mirabile, che quegli che è materiale, combattendo con questo nemico insidiante, isconfigga ed abbatta i nimici non materiali. Il buono nostro Signore per molta cura e providenzia che à della nostra salute, provedette in questo, che lo svergognamento della femina rinchiuse e reprimette col freno della vergogna, però che s'ella avesse avuta audacia d'innanzi correre ad invitare il maschio, non si sarebbe salva ogni carne. Li santi Padri conoscitori e discernitori dello cose che sono nell'anima, determinaro e dissero, che altro è l'assalimento che si fa all'anima delle laide representazioni, ed altro è il dimoramento, ed altro il consentimento, ed altro è la imprigionazione, ed altro è il combattimento, ed altro è quello che si chiama passione nell'anima. L'assalimento determinaro quelli beati, ch'era una picciola parola overo imagine di qualunque cosa che viene, o è portata o è presentata al cuore e novellamente ci apparisce; la dimoranza è il parlare della mente con quella cosa che c'è apparita, o vero che sia con inchinazione viziosa o no; lo consentimento è la piacevole inchinazione dell'anima a quella cosa che gli è apparita, ma la imprigionazione è un forte e non volontario rivoltamento ed una carcerazione del cuore, ovvero è una perseverante congiunzione del cuore a quella cosa che gli è avvenuta, la quale perseverante congiunzione estermina la costanzia e lo virtuoso stato dell'anima. Il combattimento è la resistenzia che fa l'anima contra 'l piacimento e la viziosa inclinazione, la quale alcuna fiata è perfetta ed alcuna fiata no; passione dicono che è quella cosa, che per lungo tempo viziosamente s'è annidiata nell'anima e quasi convertita in abito, sicchè da indi innanzi l'anima per l'usanza corre ad essa spontaneamente e famigliarmente. Di tutte queste cose il primo, cioè l'assalimento, è sanza peccato, il secondo non è altutto sanza peccato, il terzo è buono e rio secondo lo stato e la costanzia del combattitore, il combattimento è acquistativo o di corone o di pene; lo 'mpregionamento altrimenti è giudicato nel tempo dell'orazione, ed altrimenti nel tempo della non orazione, ed altrimenti nelle maligne cogitazioni, ed altrimenti nel mezzo; la passione ovvero ch'ella è quella che si purga per la penitenzia sufficiente e correspondente, ovvero che si sottomette alla pena; ma quegli che il primo, cioè l'assalimento, impassibilmente pensa, cioè che non ci prende pensiero vizioso, tutte l'altre cose dette insieme in una fiata si taglia. È apo gli padri suttilissimi della sapienzia spirituale uno attento pensiero e conoscimento più sottile che 'l sopradetto delle miserie dell'anima verso di questo vizio, però che considerano uno stimolo di questo vizio, il quale da alcuno è chiamato pigliamento innanzi della mente, lo quale è sanza tempo e sanza imaginazione precedente, per lo quale più agutamente sì dà ad intendere la passibilità e la miseria nostra a quegli che 'l pate, che infra le immissioni delli spiriti non se ne truova niuna più aguta e più subita e meno appariscente, che uno ricordamento sottile sanza dimoramento e sanza tempo, il quale si manifesta e viene nell'anima, non essendo dinanzi preveduto nè conosciuto; e se è alcuno che per lo pianto abbia potuto comprendere questa suttilità, questi ne potrà insegnare come con l'occhio solo e con una sottile piccola veduta e uno toccamento di mano e con uno audito di melodia, sanza ogni pensiero ed intenzione, puote l'anima viziosamente fomicare. Alcuni furono che dissero, che dalle cogitazioni del cuore il corpo perveniva nella passione della fornicazione, alcuni altri dissero il contrario, cioè che dalli sentimenti del corpo proveniano le maligne cogitazioni, e li primi dissero: se la mente non innanzi corre, non seguiterà il corpo; li secondi allegando la mala operazione del corpo, dissero che spesse fiate dalla veduta d'una bella e formosa faccia, e da uno toccamento di mano, e da una fragranzia d'uno soave odore, da uno audito d'una voce dilettevole le ree cogitazioni entrano nel cuore. Di queste cose chi ne può insegnare, per Dio ne insegni, però che la scienzia di queste cose è molto utile e necessaria a quelli, che seguitano la vita attiva. Ma a quelli operatori, i quali vivono in simplicità e dirittura di cuore, non è mestiere di queste cose fare parlamento niuno, però che ad ogni persona non è mestiere questa scienzia, ed ogni persona non a questa beata simplicità, la quale è una panziera contra gl'inganni de' maligni demonii; ed alla quistione mossa diciamo così, che alcune passioni cominciano dagli pensieri e pervengono al corpo, e sono alcune che si cominciano dalle sensora ed entrano nell'anima, e questo secondo ae più luogo in quelli che dimorano nel mondo, ma il primo ae più luogo in quelli che tengono vita monastica; e questo adiviene per la penuria e per lo partimento delle materie delle tentazioni. Ma finalmente dico sopra queste cose, che non se ne può prendere una ferma regola, però che se cerchi appo li maligni demonii prudenzia nè intelletto nè ordine, non ce 'l truovi. Quando noi combattendo molto contra 'l demonio della fornicazione, marito del loto, cioè della carne nostra, cruciandolo ed annullandolo colla pietra del digiuno e col coltello dell'umilitade, l'avremo cacciato fuori, allora questo miserabile demonio, ponendosi in alcuna parte del corpo come uno vermine per affliggerci, ci conduce in alcuni movimenti non lieti nè ragionevoli ed importuni e sconvenevoli per contaminazione e questa cosa massimamente sono usati di patire quelli, che danno udienza al demonio della superbia, li quali però che non pensano nel cuore loro spesse fiate le cogitazioni fornicarle, appressaronsi a quella passione ed a quella vanità; ed a provare che questo detto è sanza menzogna, quando questi ricevono alcuna quiete, disaminino e cerchino saviamente sè medesimi, ed al postutto nel profondo del cuore loro truoveranno una cogitazione come un vermine ovvero serpente, che giace nascosto nello sterco, la quale cogitazione gli mette a vedere, pensando principalmente l'opere loro, che essi per propia sollecitudine e prontezza s'abbiano acquistata la perfezione della cordiale castità, non intendendo li miseri quello che dice l'Apostolo: Che ài che non abbi ricevuto, ovvero da Dio, per grazia ovvero per aiutorio o per orazione altrui? Intendano adunque, e con ogni sollicitudine questo serpente, mortificandolo colla molta umilità, discaccino del cuor loro, acciò che essendo dilungati da esso, si possano particolarmente spogliare le gonnelle delle pelli, cioè il vestimento d'ogni malizia, e per la vittoria possano cantare al Signore Iddio lo trionfale inno di castità, siccome fanno alcuna fiata li parvoli casti, se si truovano spogliati della malizia, ma non nudi della loro innocenzia e naturale umilità. Questo demonio della fornicazione molto più che gli altri aspetta le vicende de' tempi, e quando non potemo orare corporalmente contro ad esso, allora massimamente si studia di impugnare questo immondo quelli, che non posseggono ancora verace orazione di cuore. Conviensi adunque che abiamo sforzo d'orazione corporale, cioè di stendere le mani, di percuotere il petto e di risguardare il cielo, sospirare per conturbazione di cuore, fare le molte genue, le qua' cose alcuna fiata non potendole fare per la presenzia altrui, allora massimamente le demonia mettono in noi le battaglie; e non potendo ancora per fortezza di mente e divina infusione e virtù invisibile d'orazione resistere alli nostri nimici, quasi per necessità ci lasciamo vincere. Cessati incontanente, se è possibile, incognitamente, nasconditi un poco, e se puoi, leva a Dio l'occhio della mente, e se non puoi, crocifiggi di fuori le mani immobilmente, acciò che per la figura della croce vinchi e confonda l'avversario; chiama a Dio che può salvare, non con parole ornate di sapienzia umana per dettato o per rima ma con parole di umilitade, cominciando così: Signore, misericordia, perciò ch'io sono infermo e non mi posso difendere; ed allora s'accenderà in te la virtù dell'Altissimo, ed invisibilmente per lo invisibile aiutorio perseguiterai gl'inimici invisibili. Quegli che in questo modo è usato di combattere, avaccio e colla sola anima potrà perseguitare li nemici. Questo secondo dono è dato da Dio alli combattitori per lo primo e giustamente; ed essendo io in uno monasterio, notai e puosimi a cura d'uno sollicito frate, il quale era molestato dalle maligne cogitazioni, il quale non trovando luogo atto, andò al luogo necessario, come intingendosi d'abbisognare di saddisfare alla necessità del venire, ed entrò a le latrine per orare, ed ivi per la fervente orazione combattei colli suoi impugnatori; e riprendendolo io della sconvenienzia ed inettezza del luogo, rispuose così: « Per la persecuzione delle immonde cogitazioni abbo orato in luogo immondo per essere della sozza cogitazione e sozzura mondato ». Tutte le demonia combattono per ottenebrare la nostra mente intellettuale, e cosi poi sommettono le cose, le quali essi amano, però che se la mente non si chiude e accieca in prima, non le si potrà torre il tesauro; ma il demonio della fornicazione ottenebra più la mente che tutti gli altri. Questi spesse fiate tanto ottenebra lo 'ntelletto, che l'anima dee guidare, che in presenzia degli uomini induce li miseri a far quelle cose, le quali soli quelli che ànno perduto il senno, le farebbono; onde svegliandosi poi la mente e ritornando a sobrietà, non solamente dinanzi a quelli, li quali ci videro, ma infra noi medesimi ci vergogniamo e ci confondiamo delli nostri disonesti atti e modi e parlamenti, ed isbigottendo della nostra prima cechità, dubitiamo di ricadere. Alcuni spesse fiate per questa discrezione si cessaro dal male. Cessati da quello inimico, il quale t'ae abbattuto, e da poi che t'à fatto fare il peccato, t' impedimentisce d'orare e di vegghiare e di laudare Iddio, ricordandoti del Signore, che dice nel Vangelio, che l'anima tirannizzata e violentata dalle sue male usanze, per le fatiche che si dà, per la molta molestia che dà ad esso Iddio, pregandolo sollicitamente, egli la vendicherà da tutti li suoi nemici demonii. Chi è quegli che vince il corpo? Qualunque ae il cuore contrito. E chi è che abia il cuore contrito? Quegli che perfettamente sè medesimo ae negato. Come non è contrito quegli ch'è morto alla sua volontà? È alcuno tanto vizioso, che essa confessione delle sue contaminazioni fa con viziosa delettazione e concupiscenza. Le sozze ed immonde cogitazioni che si fanno nel cuore, alcuna fiata ànno principio dal demonio della fornicazione ingannatore del cuore, le qua' medica e sana l'umile astinenzia, e falle per niente reputare. In che modo ed in che maniera io questo mio amico vizio carnale leghi e condanni, e domandi delle sue condizioni, come è fatto degli altri vizii, non so, però che innanzi ch'io il leghi, si scioglie, ed innanzi ch'io il condanni, mi rapacifico, ed innanzi ch'io il punisca gli mi rimetto sotto. Come vincerò colui ch'io amo per natura? Come sarò io libero da quegli, con cui in eterno sono colligato? Come distruggerò colui, che insieme con meco a me resiste? Come mi mostrerò incorruttibile, avendo ricevuta la natura corruttibile? Qual cosa ragionevole dirò contra quegli, che possiede cose ragionevoli per natura? Se io le legherò coll'astinenza, giudicando il prossimo, sono ancora renduto nelle sue mani, e s'io le vincerò cessando di giudicare, levandomi in superbia di cuore, gli sono rimesso sotto, ed in questa cosa egli è mio impugnatore ed aiutatore ed avversario e ricevitore ed insidiatone; s'egli è bene notricato e sovvenuto, combatte; s'egli è domato ed afflitto, viene meno ed esce di sè; s'egli è consolato, fa le cose fuor di modo; s'egli è abbattuto ed affaticato nollo sostiene; se 'l contristo, son pericolato; se 'l batto e tormento con piaghe, non abbo per cui acquisti le virtù, però che s'acquistano coll'opere corporali. Questo medesimo fuggo ed abbraccio. Che cosa è questa, che è avversa a me? Quale è la ragione della mia complessione? Come son fatto amico e nimico di me medesimo? « Dilmi tu, dilmi, o mio compagno, o mia natura, perciò ch'io non ó bisogno d'apparare d'altrui del fatto tuo, come da te possa permanere sanza fedita, come possa fuggire il pericolo naturale, però che per questo io promisi a Gesù Cristo di diventare tuo nemico. Come potrò io vincere la tua tirannia, però ch'io elessi d'essere tuo sforzatore? » Ed essa sensualità rispondendo alla sua anima, pare che dicesse così: « Io non ó chilo ti dica, che tu medesima nol conosca e sappi, se non quello che amendue insieme per naturale cognoscimento e per scienzia acquistata per esperienza tenemo. Io in me medesima per padre abbo l'amore, ed abbo una madre generale che mi nutrisce nell'anima, e infiamma il corpo di fuori, e questa si è lo riposo e la quiete nelle delizie; ma le cagioni della fiamma di fuori e della commozione delle rie cogitazioni, queste nascono dalla quiete dinanzi presa e dalle male operazioni fatte. Io quando sono conceputa, partorisco le inique ruine e li cadimenti, ed essi essendo generati per la disperazione, generano la morte eternale. Ma dicoti questo ed insegnoti, che se tu conoscerai manifestamente la mia e la tua profonda infermità, ài legate le mie mani, e se tu tormenterai la gola, ài legati li miei piedi, che non vadino al corpo; ma se ti congiugni all'obedienzia, se' disgiunta e disciolta da me; se possederai umilità, à'mi mozzo il capo ». Questo è il grado ed il salimento quintodecimo, ed è un palio di vittoria acquistato in carne, il quale quegli che lo riceve, è morto e resurresito, e da essa ora sente aguale premio della incorruttibilità dell'altra vita. Grado XVI Dell'avarizia, ed insieme con essa della povertade Molti de' savii maestri, trattando de' vizii, dopo li trattati delli predetti tiranni, cioè gola e lussuria, sono usati di porre il trattato del demonio di molti capi, cioè filargia ovvero amore di pecunia, ovvero d'avarizia; onde e noi, acciò che non mutiamo l'ordine posto dalli savii, vogliamo seguitare quello medesimo ordine, dicendo in prima poche cose della infermità, cioè del vizio dell'avarizia, e poi della sanità, cioè della virtù della povertà, brevi cose piglieremo. L'avarizia è adoramento degl'idoli, e da essa avarizia procede la infidelità, però che è chiamata sua madre. L'avaro per iscusare lo vizio dell'avarizia, e per volere mostrare che sia cosa ragionevole di tenere le cose soperchie, prende queste cose e cagioni non ragionevoli: in prima l'aspettamento della infermità, anche lo sopra avvenimento della vecchiezza, cioè credere invecchiare ed indivinare; ancora il comprendere del secco che debbia avvenire, ancora l'aspettare della fame che debbia seguitare. L'avaro è schernitore e volontario prevaricatore del Vangelio di Gesù Cristo. Quegli che possiede la carità, disperge la pecunia, ma quegli che dice di vivere colla carità e congrega pecunia, inganna sè medesimo e mente a sè stesso. Quegli che piagne sè medesimo, si ae negato il propio corpo, però che quando è mestiere, per via di penitenzia non gli perdona niente. Non dire che tu aduni per pietà de' poveri; quegli che ama la ospitalità, cioè di ricevere i poveri peregrini, e l'avaro si scontroro insieme, e l'avaro appellò indiscreto colui che riceveva i poveri. Quegli che à vinta la passione dell'avarizia, ricide le sollicitudini e cure soperchie, ma quegli che è da essa legato, giammai non può mondamente orare, però che sempre penserà come possa acquistare. Per cagione di fare la limosina a' poveri, comincerà alcuno ad essere avaro, prendendo superchia sollicitudine d'acquistare; ma da poi che avrà acquistato, sarà fatto avaro ed avrà in odio i poveri; mentre che acquista, è fatto misericordioso, ma incontanente che à ragunata la pecunia, strigne le mani. Vidi alcuni, li quali in prima erano poveri, essere arricchiti della pecunia data a loro, che la spendessero per le necessità de' poveri di spirito, li quali essendo fatti ricchi, si dimenticaro della loro propia povertà di prima. Lo monaco amatore della pecunia, è di lunge e libero dall'accidia per le molte sollecitudini che prende, ricordandosi sempre ad ogni ora della parola che dice santo Paolo: Quegli che è ozioso, non mangi il pane; ed ancora si ricorda di quello che santo Paolo dice di sè medesimo: Queste mie mani guadagnaro le spese a me ed a' compagni, li quali erano con meco. Questo dicono per scusa del vizio loro. Questa pugna dell'avarizia è una battaglia, la quale chi vince, o egli possiede carità, o egli ricide le sollicitudini. Grado XVII Della povertà La povertà per spirito è lasciamento della sollicitudine mondana, e privazione della cura della vita che trapassa e viene meno, ed è uno andare a Dio sanza impedimento, ed è alienazione della tristizia temporale, ed è fede, cioè fedele osservamento dei comandamenti di Dio, ed è uno fondamento di pace ed una via di mondizia. Il povero monaco è signore del mondo, avendo commessa a Dio la cura di sè, e per fede possedendo tutte le genti per suoi servi; non parlerà nè dirà a nessuno uomo di sua necessità, ma tutte le cose che gli verranno, riceverà quasi dalla mano di Dio, a cui à commesso la cura di sè, e prenderalle per estrema necessità. Lo povero operatore, cioè servo di Dio e figliuolo, dè non avere affetto a niuna cosa viziosamente. Tutte le cose che à e che gli vengono, reputa ed estima quasi che non fossero, e quando si partono da lui, le reputa tutte sì come stercora; ma s'elli si contrista di neuna cosa che perda, non è ancora fatto povero in verità. Quegli che è povero, in orazione ae la mente monda, ma quegli che ama di possedere, orando fa reverenzia ed adora le imagini delle cose che ama, e li dilettamenti che ne prende d'esse, però che queste cose gli stanno nella mente quando ora. Quelli che stanno contriti nella obedienzia, sono alieni e di lungi dall'avarizia, però che da poi che ànno data la propia volontà, non posseggono propio niente. In una cosa sono usati d'offendere questi cotali, cioè che sono molto leggieri ed apparecchiati a transmutare luoghi. Vidi in alcuno luogo cosa che generava materia di pazienzia agli monaci, cioè cosa d'alcuna tribulazione e pena; ed io beatificai più que' monaci, i quali per amore di Dio ci s'appressar, cioè che non si partirono, che quelli che si partiro. Quegli che à assaggiate le cose celestiali, leggiermente dispregia le cose terrene; ma chi noll'ae assaggiate, si rallegra nelle possessioni delle cose terrene. Quegli che indiscretamente e sanza ragionevole cagione è povero, da due parti è offeso e danneggiato, però che dalle cose di questo mondo è distratto, e delle cose buone dell'altra vita è privato. O monaci, non siamo più infedeli che gl'uccelli, li quali non sono solliciti e non ragunano, e il Creatore sì li pasce. Grande è quegli, il quale santamente disprezza la pecunia, ma quegli è santo, il quale lascia la propia volontà; il primo riceverà cento cotanti o temporalmente ovvero in grazie spirituali, ma questi possederà vita eterna. Non vengono meno l'onde al mare, nè all'avaro l'ira e la tristizia. Chi disprezza le cose materiali, sarà liberato dalla contradizione delle parole; ma quegli che ama di possedere, per uno ago combatte infino alla morte. La ferma fede mozza le cure soperchie, ma la memoria della morte fa dispregiare il corpo. Non era in Iob vistigio o segno d'avarizia, però che essendo privato di tutte le cose, non se ne turbò; ma l'avarizia è detta ed è radice di tutti i mali, però ch'ell'à fatto odii e furti e invidie e dissensioni e nimistadi e contradizioni e vendette e rancori ed incompassioni e crudeltadi e tradimenti ed omicidii. Con poco fuoco alcuni ànno arsa e consumata molta cosa, e con alcuna virtù alcuni ànno discacciati tutti li predetti vizii del tempo passato e presente, e questa virtù è appellata aprospatia, cioè di non amare neuna cosa viziosamente, e questa virtù nasce dal gusto di Dio e dalla esperienza e dalla scienzia di Dio, e dalla cura di sadisfare e di potere rendere ragione nel tempo della morte. Quegli che legge con intendimento, non è ignorante della parola di quella che è madre d'ogni male, cioè della gola, però che quando essa assegnò la maligna generazione de' suoi figliuoli, disse che 'l secondo suo figliuolo era la pietra della insensibilità; ma il serpente della idolatria de' molti capi, cioè l'avarizia, non mi lasciò porre nell'ordine suo, cioè nel secondo luogo, dopo essa gola sua madre; e non so come dagli santi Padri più discreti a questa avarizia fu dato il terzo ordine e grado nella catena degli otto vizii, ed avendola trapassata temperatamente, cioè con poco dire, disponemoci da qui innanzi di dire della insensibilità, come se fosse la terza, quantunque nella generazione sia la seconda, colla quale diremo del sonno e della vigilia, ed ancora diremo brievemente della paura feminile e puerile, le quali sono infermità de' cominciatori, e di quelli che debbono essere introdotti. Quegli che possiede il palio della vittoria di questa avarizia, come e' fosse immateriale, sì risale al cielo. Grado XVIII Della insensibilità, cioè della mortificazione dell'anima e morte della mente, innanzi che vegna la morte del corpo La insensibilità sì nello corpora sì nelli spiriti è uno mortificamento del sentimento, lo quale mortificamento rimane nelle corpora per molta lunga infermità, e nelli spiriti procede da molta lunga negligenzia. La privazione del dolore è una negligenzia qualificata, cioè compresa coll'anima, ed è una intenzione e deliberazione consopita, addormentata e ritardata in ben fare, la quale procede e nasce dall'audacia e dalla presunzione della misericordia di Dio; ed è uno prendimento di prontezza spirituale, per la quale entra poi la prontezza della carne, cioè li cadimenti carnali, ed è uno forte laccio e legame, del quale tardi l'anima si scioglie, ed è una stoltizia ed ignoranzia e mollezza di compunzione, ed è una intrata di disperazione, ed è madre di dimenticamento e discordamento della propia salute, e figliuola d'esso discordamento, però che da quello discordamento della salute dell'anima procede la durizia del cuore, ed è uno discacciamento di timore. Quello uomo che non si duole del pericolo della sua anima, è uno filosofo stolto, per altrui savio e per sè sciocco, ed è uno sponitore di scrittura giudicato da sè medesimo, ed è un parlatore contrario a sè medesimo, amando di studiarsi di ben parlare, ed essendo cieco, si fa maestro di vedere; disputa ed insegna in qual modo si sana la piaga dell'anima altrui, e la piaga dell'anima sua non cessa di percuotere e di farla più grande; parla contra li vizii, e non posa di fare quello che accresce li vizii; biastemmia e desidera male di sè medesimo per lo male che à fatto, ed incontanente rifà quello medesimo male; per la qual cosa s'adira contra sè medesimo, e non si vergogna delle parole che à dette. Contra a sè chiama e dice: « Misero a me, mal faccio », e prontamente fa peggio; òra contra 'l vizio colla bocca, e per esso vizio combatte col corpo; parla della morte saviamente, ed egli sta duro sanza paura, come s'egli fosse immortale. Del partimento dell'anima parlando sospira, e dorme per negligenza, come fosse eternale; dell'astinenzia parla ordinatamente, e per la gola combatte, e conturbasi se non a quello che gli diletta. Legge del giudicio quanto è terribile, e comincia a ridere; pensa nel leggere che paria della vanagloria, e nel pensiero di quella lezione si vanagloria, parendogli avere sottilmente parlato e pensato. Della vigilia parlando, dimostra quanto è utile, ed incontanente sè medesimo sommerge nel sonno; l'orazione leva in alto lodandola, e da essa come dal flagello fugge. La obedienzia molto beatifica, ed egli è il primo che la rompe; loda coloro che non amano le cose viziosamente, ed egli per uno ago e per un vile panno prende rancore e combatte e non si vergogna. Essendo adirato, si rammarica, e di quella amaritudine che à presa, un'altra fiata s'adira, e aggiungendo difetto sopra difetto e cadimento sopra cadimento, non si sente; mentre che è satollo, vuole fare penitenzia, ed andando un poco innanzi, si satolla ancora meglio. Del silenzio dice che è beato, e sì lo loda con molto parlare, ammaestra gli altri della mititade, ed in quella dottrina spesse fiate s'adira. Levando la mente in alto a pensare dello stato suo, dolendosi sospira, e rimutando il capo della mente da quello pensiero, un'altra fiata al vizio si rappressa. Vitupera e biasima il riso, e sorridendo ammaestra del pianto; sè medesimo vitupera e biasima d'alcuna cosa per essere lodato d'umilità, e per vituperio vuole a sè onore acquistare; raguarda in faccia viziosamente, e di castità e di continenzia grandemente parla. Loda li solitarii che stanno nella quiete, vivendo egli nel mondo, e non considera che confonde sè medesimo; glorifica quelli che sono misericordiosi, ed egli impropera e dice villania a' poveri; sempre mai è accusatore di sè medesimo, e in sentimento di sè non vuole venire ( non vo' dire che non possa ). Io vidi molti di questi cotali, che udendo parlare della morte e delli spaventosi giudicii, piangevano, e con lagrime negli occhi, con gran fretta andavano alla mensa, ed io di questa cosa mi feci grande maraviglia, pensando come questa morto, cioè la insensibilità, donna della vita de' miseri, essendo forte fortificata dalla molta privazione del dolore, potee avere vittoria del pianto sanza diliberazione. Secondo la mia piccola virtù e piccolo conoscimento abbo denudata e scoperta la pietra, cioè la durizia, e le fraude e gl'inganni e le piaghe di questa dura e smaniosa e pazza insensibilità. Insegnare più contra essa con parole, non me ne pate il cuore; ma qualunque è quegli, che per esperienzia con Dio abbia potenzia d'insegnare e dare medicine contra alle piaghe sue, non ci sia pigro nè tardo, però ch'io, non mi vergogno di confessare la mia impotenzia, siccome uomo da essa fortemente legato, e le sue fraude ed industrie non pote' da me medesimo comprendere; se non ch'io essa in alcuno luogo la presi, e per violenza la tenni e crucia'la col fragello del timore di Dio, e batté la colla incessabile orazione, e queste cose predette mi feci confessare, onde questa tirannia malefica fu a me avviso che dicesse così: « Li miei confederati, vedendo li morti, ridono; stando in orazione, tutti sono di pietra duri ed ottenebrati; mentre che veggiono la sagrata mensa, cioè l'altare, ed essendo infra le cose sagre, sono irriverenti ed insensibili. Quando prendono il dono della Eucarestia del corpo di Cristo, tale affetto ci ànno, come se assaggiassono o gustassono un poco di pane vile. Io, disse ella, vedendo questi miei confederati essere compunti, faccione scherne. Io, disse questa insensibilità, dal padre mio che m'ingenerò, apparai d'uccidere tutti li beni, che nascono della fortezza e del desiderio dell'anima; io sono madre del riso, io sono nutricatrice del sonno, io sono amica della satollezza e della sazietà; io essendo ripresa, non mi dolgo; io m'accosto e congiungo colla infinita irreligiosità ed irriverenza ». Io essendo isbigottito e pauroso delle parole di questa smaniata e furiosa, dimandai per volere sapere il nome del padre che la ingenerò, ed ella disse: « Io non abbo una sola genitura, però che la mia generazione è mescolata e varia e non stabile. Me fortifica la satollezza, me fece crescere lo lungo tempo; me ingenerò la maligna consuetudine, la quale chi ritiene, da me già mai libero non sarà. Persevera in molta vigilia; pensando lo giudicio eternale, forse per questo un poco allenteraggio. Cerca la cagione, per la quale in te sono nata, e contra essa combatti fortemente, però ch'io non aggio una medesima cagione in ogni persona. Ora spesse fiate nelle sepolture de' morti, e la imagine loro continuamente dipigni nel core tuo, però che se questa imagine non ci sarà dipinta e scritta collo stile del digiuno e colla penna della vigilia, giammai non mi vincerai ». Da questa lapidea insensibilità, la quale è mortificazione dell'anima e morte della mente innanzi alla morte corporale, ce ne liberi il nostro Signore Gesù Cristo per la sua passione; della quale chi è libero, possiede grado di virtù in santificazione di vita. Grado XIX Del sonno e dell'orazione e della salmodia delle congregazioni Il sonno è una parte del sentimento dell'anima e radunamento e ricoglimento delle virtudi sue, ed è una imagine di morte ed oziosità delle sensora. Essendo una cosa il sonno, ae molti principii e molte cagioni come la concupiscenzia, e in prima la sua cagione e principio è la natura comunemente; dopo sono le speciali cagioni di molto dormire: in alcuni a cagione dalla complessione corporale, in alcuni dalli cibi, in alcuni dalle demonia, in alcuni dal molto e smisurato digiuno, per lo quale essendo la carne estenuata ed infermata, si vuole ristorare per lo sonno. Siccome il molto bere si toglie per l'uso contrario, così il molto dormire; però dal principio del rinunziamento della vita mondana ci conviene di combattere contra il sonno, però ch'è forte cosa e dura di sanare una lunga e mala usanza. Poniamoci a mente, e troveremo che come sonando la tromba spirituale, cioè la campana all'ore, gli frati si ragunano visibilmente, cosi s'adunano le demonia invisibilmente contr'a loro, ed alcuni stanno al letto a combattere che non si lievino, e poi che ne siamo levati, ci sforzano che ci richiniamo ancora sopra lo letto. « Giacete, dicono, ancora infino che siano compiuti gli inni, che si dicono nel principio dell'ufficio, e poi intrerrete nella chiesa ». Alcuni altri, stando noi in orazione, ci sommergono nel sonno; alcuni altri disordinatamente fuori dell'usanza con dolori ci tormentano il corpo; alcuni altri ci ammoniscono che nel santo tempo e luogo d'orazione facciamo li parlamenti; alcuni altri sottraggono la mente nelle laide e sozze cogitazioni; alcuni altri ci confortano, che come deboli ed attenuati ci appoggiamo alle pareti, ed alcuni altri ci assaliscono ed assedianci cogli molti aprimenti di bocca e cogli molti prostendimenti; e sono alcuni di loro, che si studiano di trarci e di conducerci a riso con alcuni ricordamenti nel tempo dell'orazione, acciò che per quello riso provochiamo Iddio ad indegnazione contra di noi. Alcuni altri nel dire gli salmi ci sforzano di farci affrettare per negligenza; alcuni altri ci ammoniscono che noi gli diciamo molto morosamente per amore e per piacimento di vana delettazione, ed è alcuna fiata che si pongono alla bocca per farla stare chiusa, e perchè ci sia malagevole ad aprirla. Ma quegli che sta dinanzi a Dio in orazione ed in sentimento di cuore, come una colonna ferma si truova immobile, non essendo ingannato di niuna delle predette cose. Quegli che è verace obediente, stando in orazione, spesse fiate tutto diventa allegro e luminoso, però ch'egli era innanzi come buono combattitore infocato e riscaldato per legitima amministrazione dell'opere della santa obedienzia. Ad ogni persona d'ogni stato è possibile d'orare colla moltitudine, e a molti è convenevole d'orare con uno solo, il quale sia d'uno animo con lui; ma l'orazione singolare sanza sollazzo di compagnia, questa è di pochi. Cantando l'ufficio e li salmi colla moltitudine, non potrai orare immaterialmente. Non si conviene a neuno, stando in orazione, tenere in mano opera da lavorare, però che questo è prevaricazione; ancora è destruzione dell'orazione, secondo che l'angelo di Dio amaestroe il grande Antonio. Secondo che 'l camino disamina e prova l'oro, così lo stato dell'orazione dimostra la carità che ae il monaco a Dio, e la sollicitudine che à verso la salute dell'anima sua. Grado XX Della vigilia corporale, e come per essa viene la grazia nell'anima, ed in qual modo si conviene cercare di quella Agli re terreni alcuni gli stanno innanzi come immateriali e nudi, alcuni stanno tenendo le verghe quali maestri e soprastanti, alcuni stanno tenendo l'arme, ed è molta differenzia dalli primi agli altri sanza comparazione, però che gli primi sono parenti e della casa, e queste cose terrene sono così; ma lasciando questo cose, veggiamo noi medesimi come dobbiamo fare l'assistenzia dinanzi a Dio ed allo re nostro nella orazione la sera, il di e la notte; però che sono alcuni, che istanno in orazione la sera e la notte immateriali e nudi da ogni cura, in prieghi istendendo le mani a Dio; alcuni altri sono, che stanno in orazione con dire li salmi, alcuni altri intendono più allo leggere; alcuni altri sono, i quali per la infermità combattono contra il sonno fortemente coll'opere delle mani; alcuni altri sono, i quali sollicitamente intendono a pensare della morte, volendo per quello pensiero prendere compunzione. Di tutti questi li primi e gli ultimi intendono ad una pemottazione piacevole a Dio, li secondi orano monasticamente, li terzi vanno per una via più bassa; ma il Signore riceve i doni ed apprezzali secondo la intenzione e secondo la forza dell'operatore. L'occhio vegghiante monda la mente, e lo molto dormire accieca l'anima. Lo monaco vegghiante è nimico della fornicazione, ma il sonnolento sì gli è marito. La vigilazione è rompizione della fomicazione della carne e liberatrice delle laide sognora. L'occhio devoto e lagrimoso e lo cuore combattitore sono guardia delle ree cogitazioni e fornace che consuma li cibi, e discacciamento delle laide fantasie e domatrice delli vizii e raffrenamento della lingua. Lo monaco vegghiante, pescatore delle cogitazioni nella tranquillità della notte, ottimamente puote intendere sopra esse, e prendere ed uccidere quelle che sono pericolose. Lo monaco amatore di Dio, quando suona la campana a dire l'ore, tutto si rallegra e loda Iddio; ma il monaco negligente si lamenta e contristasi. L'apparecchiamento della mensa dimostra gli golosi, però che tutti s'allegrano, e l'operazione dell'orazione dimostra gli amatori di Dio, però che ci vanno lietamente. Lo molto sonno è conducitoro dello smemoramento, ma la vigilia purga la memoria. Agli lavoratori del campo s'acquistano le ricchezze nel tempo della mietitura e della vendemmia, agli monaci s'acquistano le scienzie e le grazie spirituali la sera e la notte, stando dinanzi a Dio nell'operazioni della mente. Il molto sonno è come la mala moglie, però che rapisce la metà della vita del negligente e anche più. Il negligente monaco a udire li parlamenti inutili è vegghiatore, ma vegnendo l'ora dell'orazione, incontanente gli si aggravano gli occhi. Lo monaco vagante nel molto parlare è pronto, ma essendoli posta innanzi la lezione santa, per lo molto sonno non la può vedere. Quando sonerà l'ultima tromba e chiamerà li morti, sarà fatta la resurrezione de' morti, e facendosi uno parlamento ozioso, incontanente è fatto lo svegliamento de' dormitori. Falso amico è lo tiranno sonno, il quale spesse fiate si parte quando siamo satolli, e quando siamo in fame ed in sete, fortemente c'impugna, ammonendoci di portare l'opera delle mani nel tempo dell'orazione, però che in altro modo non potrebbe sterminare l'orazione de' vegghiatori. Questo sonno è lo primo assalitore ed impugnatore di quelli che son cominciatori e debbono essere introdotti, acciò che dal principio gli faccia essere negligenti e pigri, ovvero per apparecchiare la via al demonio della fornicazione. Infino che da questo sonno siamo liberati, non ci ritraiamo da dire li salmi colla multitudine, però che molte fiate per la vergogna non dormiamo. Il cane è nimico alle lepri, e lo demonio della vanagloria al sonno. Lo venditore dopo lo dì siede la sera e compita lo guadagno, e così lo monaco operatore dopo li salmi siede, e pensa dello stato dell'anima sua; aspetta e persevera vegghiantemente in orazione, e vedrai l'empito delle demonia, quasi fossero impugnate da noi, e dopo l'orazione promuovano di fedirci con disoneste fantasie. Sta fermo ed attendi diligentemente, e vedrai quelle demonia che sono usate di rapirci le primizie dell'anima. Adiviene alcuna fiata, che per la frequentazione del meditare ne' salmi vegghiando, dormendo si truova pensare nelle parole de' salmi, ed è alcuna fiata, che questo medesimo ci addiviene per immissione delle demonia, acciò che ci facciano levare in superbia. La terza parola non volli dire, ma alcuno me ne sforzoe. Quella anima che continuamente il di pensa le parole di Dio, per l'amore ae natura di ritrovarsi pure in esse eziandio sognando, però che 'l secondo propiamente è remuneratore della mercè del primo contra l'avversità che fanno le demonia, immettendo le laide fantasie. Questo ventesimo grado quegli che ci è salito, ae ricevuto lo lume nel suo cuore. Grado XXI Della paura feminile e fanciullesca Quelli che vivono virtuosamente nelli monasterii e nelle congregazioni, non sono usati d'essere molto impugnati dalla paura, ma quelli che dimorano nelle luogora solitarie, combattono che non siano signoreggiati da questa paura, la quale nasce dalla vanagloria, ed è figliuola della infidelità. La paura è uno costume di fanciullo in anima vecchia vanagloriosa. La paura è uno mancamento di fede nel vedimento delle cose improvise o dispiacevoli; il timore è uno pericolo non dinanzi pensato; il timore è uno sentimento di cuore timoroso, il quale per gli avvenimenti incerti rompe ed abbatte l'anima col corpo; il timore è privazione di certezza e di sicurtà. L'anima superba è serva della paura, la quale si confida in sè medesima, e per divino giudicio è fatta timorosa dei suoni e dell'ombre delle creature. Li piagnitori e li disperati non ànno paura, ma li paurosi, cioè li vanagloriosi, molte fiate patono eccesso di mente, e questo è ragionevolmente fatto, però che 'l giusto Signore giustamente lascia li superbi, acciò che per questo sieno corretti ed apparino di non levarsi in superbia. Tutti gli paurosi sono vanagloriosi, ma tutti quelli che non sono paurosi, non sono però umili, però che li ladroni e li furi, che vanno di notte a rompere le case, leggiermente non ànno paura por ogni accidente. Se vuogli contastare a questa passione, non sii negligente ad andare a quelle luogora, alle quali se' usato d'avere paura, ed ivi dimora di notte, però che se ti lascerai vincere a questa passione, a poco a poco invecchierà in te; ma quando tu vuogli andare a pernottare a quelle luogora, armati dell'orazione e distendi le mani a Gesù Cristo, e col nome di Gesù Cristo flagella l'impugnatori, però che non è più forte armatura in cielo e sopra la terra che questa; ed essendo liberato dalla infermità, rendi laude e grazie allo liberatore, e sempre ti difenderà. Così come giammai non potrai il ventre d'una sola cosa saziare, così la paura non potrai con una sola cosa vincere. Secondo la misura del pianto che à l'anima, cosi tosto questa infermità è vinta e partesi, e secondo il mancamento e difetto del pianto, così rimanerne paurosi. Elifaz, amico di Iob, volendo manifestare la versuzie del demonio, disse: Tutti s'arricciaro li peli della carne mia. Ma questa paura viene alcuna volta prima nell'anima, e dall'anima passa alla carne, ed alcuna fiata giugne prima nella carne, e dalla carne passa nell'anima; ma quando viene nella carne e non passa nell'anima, appresso sta la liberazione di questa infermità; ma quando per la molta contrizione del cuore prontamente aspettiamo tutte le cose improvise ed orribili e dispiacevoli, allora veramente siamo liberati dalla paura. Non viene dalla scurità de' luoghi e dalla solitudine, che le demonia ànno tanto valore sopra noi, ma viene e procede dalla sterilità dell'anima nostra, però che è sanza contrizione e sanza amore di Dio; ed alcuna fiata è che questa paura viene per divina dispensazione e per corrigimento ed ammaestramento dell'anima. Quegli che è fatto verace servo di Dio, non temerà se non propio lo Signore suo, ma quegli che non teme ancora Iddio, molte fiate teme l'ombra sua propia. Quando il demonio invisibile s'appressa, teme il corpo; ma quando s'appressa l'angelo, empiesi d'allegrezza e di gaudio l'umile anima; e però noi conoscendo per la efficacia e per l'operazione ch'è in noi, l'avvenimento suo, incontanente andiamo all'orazione, sappiendo che per questa cagione il buono nostro guardiano è venuto a noi. Grado XXII Della vanagloria colle molte forme e colle molte faccie Sono alcuni, che amano di diterminare la vanagloria sanza superbia, facendo propio e distinto parlamento di quella, e dicono che sono otto le cagioni della malizia e i vizii principali; ma santo Gregorio teologo ed alcuni altri maestri dissono, ch'erano solamente sette, ai quali io più obbedisco per questa cagione, però che niuno che abbia vinta la vanagloria, può possedere superbia, ma solo tanta differenzia ànno insieme, quanta dal fanciullo all'uomo compiuto che sono d'una natura, e quanta differenzia abbia dal pane al grano; e la prima è principio della seconda, e la seconda è fine della prima. Onde prima diremo del principio suo, e poi quando fia tempo, diremo brevemente della consumazione e fine delli vizii, cioè immonda superbia e levamento, però che quegli che molto latamente e sottilmente vuole parlare di queste cose, è assimigliato a quegli, che vanamente e curiosamente cerca come si possano pesare le ventora. La vanagloria secondo la sua specie è mutazione della natura, perversione de' costumi e conservazione di difetto, ma secondo la sua qualità la vanagloria è dispersione delle fatiche spirituali e perdimento de' sudori, insidie e tradizione del tesauro, figliuola dinfidelità e corriera della superbia, naufragio cioè spezzamento in porto, formica nell'area, la quale essendo cotanto piccola, a tutti li frutti delle nostre fatiche va insidiando. Aspetta la formica che 'l grano sia compiuto, e la vanagloria aspetta che le ricchezze spirituali sieno adunate, e la formica si rallegra per furare, la vanagloria per dispergere. Lo demonio della desperazione si rallegra, vedendo la malizia multiplicata, e lo demonio della vanagloria si rallegra, vedendo multiplicata la virtù. La porta della disperazione è la multitudine de' peccati, la porta della vanagloria è la multitudine delle fatiche spirituali. Ponti bene a cura, e troverai questa immonda vanagloria insino al monumento essere sempre fiorita in vestimenti ed in unguenti ed in andare pompatica, in spezie ed in tutte l'altre cose. Sopra tutte le cose copiosamente risplende il sole, e sopra tutte le buone operazioni si rallegra la vanagloria, imperò che s'io digiuno, io n'ò vanagloria; se io lascio il digiuno per non essere conosciuto, ancora come uomo prudente me ne vanaglorio; se sono vestito di panni nobili, me ne vanaglorio; se mi vesto di panni vili, anco me ne vanaglorio; se io parlo, vincemi, se taccio, anche mi vince, e ovunque tu getti questo acuto tribulo, sempre sta colla spina ritta. Il vanaglorioso è uno fedele coltivatore d'idoli, però che secondo apparenza adora Iddio, vogliendo piacere agli uomini e non a Dio. Vanaglorioso è ogni uomo, che si dimostra amante di dimostrarsi. Il digiuno del vanaglorioso è sanza mercede, e la sua orazione a Dio si è importuna, cioè dispiacevole, però che ogni una di queste cose opera per laude degli uomini. L'operatore vanaglorioso due danni riceve: in prima che consuma il corpo, e poi che non à mercé. Chi non farebbe derisione dell'operatore della vanagloria, il quale stando a dire i salmi e mosso da lei, ora ride e incontamente innanzi a l'uomini piagne? Lo Signore Iddio molte fiate dagli occhi nostri nasconde gli beni che possedemo, e l'uomo laudatore, anzi maggiormente ingannatore, per le laude apre gli occhi nostri, li quali essendo aperti, le nostre ricchezze disparirò. Quegli che è adulatore, è ministro del demonio, conducitore della superbia, dispergitore della compunzione, esterminatore delli beni, traitore fuori della diritta via, secondo che dice il profeta: Popolo mio, quelli che ti beatificano, sono quelli che t'ingannano. Operazione di grande anima si è di sopportare le 'ngiurie lietamente, ma operazione de' santi e de' degni si è di passare le laude sanza lesione ed offensione. Vidi alcuni piagnenti essere laudati, li quali per quelle laude molto s'adiraro e fecero quasi uno mercato, passione per passione cambiando, però che per non avere vanagloria presero l'ira, secondo che santo Paulo dice: Niuno può sapere quello che è nell'uomo, se non lo spirito che è in lui; però si confondano ed ammutiscano tutti quelli, che si studiano di lodare altrui in faccia. Quando tu udirai che 'l tuo prossimo ed amico dice male di te o in assenzia od in presenzia, allora dimostra la carità verso di lui, lodandolo. Grande cosa è cessare le laude degli uomini, ma più grande cosa è cessare le laude de' demonii. Non dimostra umilità quegli che vilifica sè medesimo, però che non è gran fatto sopportare sè medesimo; ma quando l'uomo è improperato da altrui e fattogli vergogna e vituperio, e non gli menoma l'amore, quegli dimostra umilità. Puosimi a mente che 'l demonio della vanagloria faceva questo inganno, che a uno frate mettea le cogitazioni in cuore, e all'altro frate le rivelava, ed ordinava che quello frate, a cui l'aveva revelate, dicesse a quell'altro quelle cogitazioni ch'erano nascoste nel cuore suo, acciò che da indi innanzi lo beatificasse e lodasse come profeta. Ancora questo maligno demonio ae natura di toccare le membra del corpo e di palpare e di fare in esso corpo alcuni movimenti ed allegrezza. Non ricevere e non credere a quel demonio, il quale ti mette a vedere, che sii sufficiente ad essere vescovo prelato o maestro de' frati, ma è fatica a cacciare questo cane dalla banca del macello, cioè dalla persona, nella quale sono manifeste e palesi sufficienzie, però che quando il demonio vede alcuno, che abbia alcuna cosa di stato pacifico e tranquillo e costante, incontanente l'ammonisce ch'esca del diserto e vada al mondo, e dicegli: « Va per la salute di quelle anime che si perdono ». Altra forma è quella degli egizii, cioè delli uomini neri, ed altra quella delle belle imagini dipinte; così altro modo di vanagloria è di quelli che dimorano ne' monasterii, dalla vanagloria di coloro, che dimorano nel diserto. L'operazioni della vanagloria di quelli che dimorano ne' monasterii, son queste che seguitano, che la venuta delli secolari al monasterio fae innanzi sapere, ed ammonisce quelli monaci che sono più leggieri o di corpo o di spirito, che escano loro incontro, e sì gli fa inginocchiare dinanzi da essi, e fagli enfiare dentro ed umiliare di fuori, empiendogli di superbia dentro; fa loro tenere modi reverenti e devoti, e fa loro sottigliare la voce, e fagli risguardare alle loro mani per ricevere limosina da essi, chiamandogli signori e padri e donatori della vita dopo Domenedio. Sedendo a mensa con loro, questo demonio gli ammonisce di fare astinenzia, e riprendere gli minori e sudditi sanza misericordia. Quelli che erano negligenti all'ufficio, gli fa essere solliciti, e quelli che non aveano buone voci, fece loro avere belle voci, e quelli ch'erano dormitori, gli fa essere vigilanti; lusinga quegli che è cantore, e pregalo che gli dea le prime antefane chiamalo padre e maestro insino al partimento de' forestieri; quelli che sono più onorati, gli fa essere superbi, e gli sprezzati empie di rancore. La vanagloria spesse fiate invece d'onore è fatta acquistatrice di vergogna, però che alli suoi discepoli, quando s'adirano, fa loro grande vergogna. La vanagloria quelli che sono adirosi, dinanzi dagli uomini gli fa mansueti; degli beni naturali grandemente si leva, e per queste cose gli miseri uomini spesse fiate abbatte. Vidi lo demonio, che contristava e perseguitava lo frate suo demonio in questo modo, che adirandosi uno frate, subitamente fece venire li secolari, e lo misero vendette la vanagloria per l'ira, però che insieme non poteva servire all'una ed all'altra. Quegli che si studia d'acquistare la vanità, doppia vita possiede, però che fra gli monaci dimora coll'abito e colla figura, ma fra li mondani sta col senno e con la cogitazione e col piacimento della mente. Se noi ci vogliamo sollicitare di piacere a Dio, la gloria celestiale c'ingegniamo d'assaggiare, però che assaggiando quella, ogni gloria terrena disprezzerai; e maravigliomi se alcuno l'abbia vinta ovver abbandonata questa terrena gloria, se in prima non assaggioe quella celestiale. Molte fiate quelli che sono stati derubati dalla vanagloria, convertendosi più gloriosamente la fuggono, che quelli che non furono derubati. Vidi alcune operazioni spirituali essere cominciate per vanagloria, ed avendo auto malo principio e laido fondamento, il fine è seguitato laudabile, imperò che la intenzione fu transmutata in bene. Quegli che si leva in alti de' beni e delle ricchezze naturali, giammai non participa gli beni che sono sopra natura. I beni e le ricchezze naturali son quelli, che sono in noi sanza fatica, come la sottigliezza dello intelletto e lo ingegno agevole ad imparare ben leggere e ben proferire, e la prontezza e nobilità e più altre cose, però che disse il Signore: Chi è infedele nel poco, sarà infedele e vanaglorioso nel molto. Molti affriggono vanamente le corpora loro con penitenzia per acquistare la somma impassibilità e le ricchezze delle grazie spirituali e per operare gli miracoli, e per potere dinanzi conoscere le cose venture; e non conoscono quelli miseri, come l'umilità è madre di queste cose e non le fatiche e i dolori. Quegli che per sue fatiche vuole questi doni acquistare, fallace fondamento à messo sotto lo suo edificio; ma quegli che sempre si reputa indegno debitore, subito riceverà ricchezze spirituali non aspettate. Non obbedire a quello demonio sterminatore, il quale t'ammonisce che sotto spezie d'utilità degli uditori manifesti le tue virtù, però che non è prefetto neuno all'uomo, se a tutto il mondo facesse utilità, facendo danno a sè medesimo. Neuna cosa è che tanto possa edificare quelli che veggiono ed odono, quanto che gli modi e gli costumi umili e sanza pigrizia, e la parola diritta e non infinta, imperò che questo sarà dimostramento di via agli altri di non levarsi giammai in superbia, la qual cosa è la più utile che sia. Uno contemplatore si puose a mente le sagacitadi delle demonia, e narrolle e disse così: « Sedendo io in una congregazione, vennero le demonia della vanagloria e della superbia, e puosonsi allato a me dalla mano diritta e dalla sinistra, ed uno di loro mi punse il lato col suo dito vanaglorioso, ed ammoniami che io dicessi una contemplazione ed una operazione, chilo avea fatta nel diserto; ed avendolo io cacciato, dicendo quel verso del Salmo che dice: Fuggano adietro e siano confusi quelli che pensano male contra a me, incontanente l'altro demonio, che stava dalla mano sinistra, si fece innanzi e diceami all'orecchie: « Bene abbi tu e bene facesti, e se' fatto grande, vincendo la mia madre, la quale è sanza ogni reverenzia »; allo quale io mi rivolsi, e saettando contra esso, dissi la parola che seguitava al predetto verso: Fuggano incontanente e sieno svergognati quelli che dicono a me: Bene aggi tu che bene facesti ». Domandando io questo contemplatore, come la vanagloria fosse madre della superbia, rispuose così: « Le laude esaltano ed enfiano; ed essendo l'anima esaltata, allora la superbia prendendola la lieva suso infino al cielo, e poi la getta giù infino nell'abisso ». È una gloria, la quale procede da Dio, onde egli dice: Io glorifico coloro che glorificano me; ed è un'altra gloria perseguitatrice, la quale a noi apparecchia il demonio, della quale disse il Signore: Guai a voi, quando gli uomini vi loderanno e diranno bene di voi; e la prima gloria conoscerai allora saviamente, quando tu con ogni industria la fuggirai, reputandola nocimento, e dovunque andrai, nasconderai la tua conversazione e lo tuo stato; ma la seconda gloria conoscerai in questo modo, quando facendo ed operando qualunque cosa a te s'appartenga di fare, sempre sarai ammonito da essa nel cuor tuo, che tu facci quella cosa per essere veduto dagli uomini, e sempre t'ammonirà questa sozza vanagloria che tenghi modi, per li quali dimostri essere in te quella virtude, la qual non è, e dice così: Fate risplendere lo lume vostro dinanzi dagli uomini, acciò che veggiano l'opere vostre buone. Molte fiate lo Signore alli vanagloriosi per la vergogna che a loro sopraviene, fa loro venire in odio la vanagloria. Lo principio della privazione della vanagloria è la guardia della bocca, non dicendo niuna cosa che appartenga a sua propia laude, e l'amore della vergogna; lo mezzo è lo mozzamento di tutte le intenzioni intellettuali di vanagloria; lo fine, se tanto è che lo abisso abbia fine, si è questo: cercare tutte le cose, le qua' s'appartengono a sua vergogna, e farle dinanzi alla moltitudine insensibilmente, cioè non sentendo pena di vergogna. Non nascondere la tua vergogna e la tua confusione per intendimento e rispetto di non dare impedimento e cagione di non offendere altrui. Qualunque ora noi chiamiamo a noi la gloria, lodandoci noi medesimi, e quando viene a noi non chiamata da noi, ma mandata d'altrui, cioè che altri ci loda, ovvero quando ci sforziamo di fare alcuna cosa ch'appartegna a vanagloria, ricordiamci del pianto nostro, che ci conviene avere per li nostri peccati, e ricordiamci del timoroso stare che ci conviene di fare dinanzi a Dio nel tempo dell'orazione, nel quale ci conviene dimorare sollicitamente; ed al postutto faremo cessare e vergognare questa procace, cioè pronta ed ardita vanagloria, se noi avemo studio e cura di verace orazione, ma se questo non l'aviamo, incontanente prendiamo attento e sollicito pensiero della morte nostra, e se non potiamo far questo, almeno temiamo la confusione e la vergogna, la quale seguita la gloria di questo mondo, secondo che dice il Signore: Chi si esalta, sarà umiliato, e non solamente nell'altra vita, ma al postutto nel tempo presente. Quando gl'ingannatori ci cominciano a lodare, incontanente ci studiamo di ricordarci delle nostre iniquità, ed al postutto ci troveremo indegni di quello che si dice e dell'onore che a noi si fa. Sono alcuni vanagloriosi, i quali Iddio vuole al postutto esaudire d'alcune loro petizioni, ed esso Iddio innanzi che dimandino, sì dà loro quelle cose, acciò che non le paia loro avere avute per orazione però che sarebbe loro pericolo, però che diventerebbero più superbi. Quelli che sono più semplici che altri, non sono usati di perire per questo vizio, però che la vanagloria è scacciamento di simplicità, ed è uno stato ed una conversazione infingarda; ed è alcuno vermine, il quale mentre ch'egli cresce, mette l'alie naturalmente e vola in alto, e la vanagloria consumata, cioè quando avrae presa compiutamente la deliberazione della mente, partorisce la superbia, la quale è radice e compimento d'ogni male; ma colui che da questa vanagloria non è preso, non cadrà nell'avversatrice nimica di Dio superbia sanza capo. Grado XXIII Della superbia acefala, cioè sanza capo La superbia è negazione di Dio; la superbia è uno trovamento delle demonia, però ch'elleno la cominciarono; la superbia è disprezzamento degli uomini, la superbia è madre del condennare e giudicare, la superbia è figliuola della laude, la superbia è segno di non far frutto la superbia è discacciamento dell'aiutorio di Dio; la superbia è precursore del perdimento della mente e della stoltizia; la superbia è operatrice delle ruine e de' cadimenti, la superbia è cagione de' difetti, la superbia è fonte di furore, la superbia è porta della ipocrisia, la superbia è fermezza delle demonia, la superbia è acquistamento e guardia dei peccati, la superbia è conduttrice della crudelità; la superbia è ignoranza di compassione, la superbia è uno amaro inquisitore e ponitore di ragione de' fatti altrui; la superbia è uno esattore e cognitore inumano e crudele; la superbia è uno combattitore contradio a Dio; la superbia è radice della bestemmia. Lo principio della superbia è il fine della vanagloria, il mezzo è il disprezzamento del prossimo e manifestamente delle propie fatiche e sudori sanza vergogna, e cordiale amore della lauda ed odio di reprensione; la fine è negamento dello aiutorio di Dio, ed estollenza della propia sollicitudine e costume di demoniaco. Tutti noi che volemo fuggire di non cadere in questa fossa, udiamo come questa passione spesse fiate ama di ricevere nutricamento dallo rendere la grazia a Dio, però che dal principio non à tanta irriverenzia, che ammonisca di negare Iddio. Vidi alcuno che colla bocca ringraziava Iddio, e col cuore magnificava sè medesimo e levavasi in alto per la propia prudenzia, e di questa cosa fa testimonianza quel fariseo che dicea: Grazie ti rendo, Iddio, secondo ch'è scritto nel Vangelio. Là ove è venuta la roina e 'l cadimento, ivi prima la superbia avea ficcato il padiglione, ma la seconda è diminuzione della prima, però che la ruina è menomamento della superbia. Io udii dire a uno, il quale è degno d'essere ricordato ed onorato, questa parola: « Se fossone dodici le passioni della ignominia, cioè li vizii capitali, ed una sola di quelle sia messa in cuore, cioè la superbia, essa riempie il luogo di tutti gli altri undici ». Il monaco coll'alto sapere e superbo, contradice fortemente al suo comandatore, ma il monaco umile non sa contradire, però che come lo cipresso si disdegna di giacere in terra, però che vuole ire pure in alti, così lo monaco superbo si disdegna di possedere ubbidienzia. L'uomo ch'è alto di cuore, desidera di principare e di soprastare, però che altrimenti non si potrebbe perdere al tutto, come ad esso si conviene, anzi non vuole. Se alli superbi Iddio risiste, secondo che la santa Scrittura dice, adunque chi potrae a loro fare misericordia? E se è immondo nel conspetto di Dio ogni uomo arrogante e superbo di cuore, secondo che la santa Scrittura dice, chi gli potrae mondare? La correzione e la disciplina de' superbi è la ruina e 'l cadimento, lo stimolo loro è il demonio che gli pugne; ma quello che finalmente li seguita, è lo perdimento della mente e la pazzia; e delle prime cose, cioè ruina e cadimento, gli uomini spesse fiate sono curati dagli uomini, ma l'ultimo è insanabile dagli uomini. Quegli che caccia da sè la reprensione, significa che abbia questa passione della superbia; ma quegli che corre alla reprensione questi si scioglie dalli rei legami. Se sanza niuna altra passione per questa sola alcuno cadde da cielo, da cercare è se per sola umilitade fosse possibile che alcuno salisse in cielo. La superbia è perdizione delle ricchezze e de' sudori. Dice il santo profeta d'alcuni: Chiamarono a Dio, ed Iddio nolli esaudì, però che la cagione della colpa, contra alla quale chiamavano, non mozzarono da sè. Uno antico frate, pieno di scienzia e di conoscimento, ammonì uno frate superbo per carità che lasciasse la superbia, e quello essendo acciecato, rispuose così: « Perdonami, padre, ch'io non son superbo »; e quello sapientissimo frate rispuose e disse: « Quale probazione ne potresti tu, figlio, dare della superbia tua maggiore che questa, dicendo: Non sono superbo? » A questi cotali si conviene al postutto l'obedienzia e la subiezione stretta, e lo stato vile di vergogna e non d'onore, e la lezione delle diritture e delle perfezioni de' santi padri, gli quali furono sopra natura; forse che in questo modo s'arebbe alcuna picciola speranza della salute della loro infermità. Confusione è all'uomo di levarsi in alto dell'ornamento altrui, e grandissima insipienzia è di fantasticare sopra le grazie di Dio. Tutte le perfezioni delle grazie che avesti innanzi che fossi generato, di quelle sole ti leva, però che quelle che ài avute dopo la generazione, t'à donate Iddio, come Egli ti donò la generazione, tutte le virtù che ài acquistate sanza la mente, queste solo sono tue, però che la mente ti donò Dio; tutte le vittorie che tu ài avute delle battaglie sanza il corpo, tutte queste sole sono fatte per tue sollicitudini, però che 'l corpo non è tuo, ma è fattura di Dio. Non ti confidare di stare bene, infino a tanto che abbi ricevuta la sentenzia, vedendo colui, del quale dice il santo Vangelio, che poi che fu chiamato e posto a sedere alle nozze, gli furono legate le mani e li piedi, e gittato nelle tenebre. Non volere essere arrogante e tenerti alcuna cosa, essendo di terra, però che molti ne furono gittati da cielo, essendo immateriali e santi, per l'arroganza e per volersi tenere alcuna cosa. Quando lo demonio prende luogo negli operatori suoi, allora apparendogli manifestamente per sogni o in visione o in figura d'alcuno santo angelo o martire, fa loro alcuna revelazione o gli dona alcuna grazia spirituale, acciò che essendo ingannati per le cose false, perfettamente faccia loro perdere il senno. Se mille morti avessimo patite per Cristo, ancora non avremmo fatto cosa che s'agguagliasse a quello che egli fece per noi, però che più alta cosa è il sangue di Cristo, che lo sangue de' suoi servi ( dico secondo la dignità, non secondo la essenzia ). Non cessiamo di cercare e d'esaminare noi medesimi, e di fare comparazione degli fatti nostri cogli fatti delli padri alluminati, che furono dinanzi da noi; e troveremo noi medesimi, che al postutto non entriamo ancora nella via della conversazione spirituale, ma stiamo ancora nello stato secolare. Monaco propiamente è uno occhio non levato in superbia, cioè che si veggia essere alcuna cosa, ed è uno umile sguardo dell'anima ed uno sentimento del corpo non commosso; monaco è detto quello, il quale fuggendo le demonia, da esso le provoca e conducete ad ira, come fa l'uomo agli cani e ad alcune altre bestie; monaco è incessabile tristizia e passamente di questa vita; monaco è quello che così è qualificato e compreso di virtù, come alcuno uomo possa essere preso da concupiscenza e dilettazioni viziose; monaco è quello che à lume incessabile negli occhi del cuore; monaco è uno abisso d'umilitade, la quale ogni spirito contrario abbatte ed affoga. Lo enfiamento della mente fa dimenticare i peccati, ma la memoria di quelli conduce l'umilità. La superbia è l'ultima penuria e povertà dell'anima, la quale s'imagina d'avere le ricchezze, ed istando in tenebre, arbitra e si pensa vedere lume, la quale non tanto che lasci ire e procedere l'anima innanzi, ma se l'anima avesse avuto alcuna cosa d'altezza di bene, a lunga la ne getta. La superbia si è come la carne, nella quale è la nascenzia o la postema, la quale è di fuori colorita e bella, e dentro è piena di feccia e d'omeri fracidi. Il monaco superbo non à bisogno di demonio, imperò ch'egli è fatto demonio ed impugnatore a sè medesimo. Aliene e strane sono le tenebre dal lume, e lo superbo è alieno e fuori d'ogni virtù. Nelli cuori de' superbi si fanno le parole della bestemmia, ma nell'anime degli umili si fanno da Dio le parole celestiali. Il furo ae in odio il sole, e lo superbo disprezza e tiene a vile gli mansueti. Molti delli superbi sono celati ( non so come ) a sè medesimi, pensando d'essere sanza vizio ed impassibili, ma al tempo della morte se n'avvedranno della loro povertà; quegli che è preso da questa superbia, non pregherà Iddio, però che è vana apo lui la salute degl'uomini. Presi in alcuno luogo l'errore e lo 'ngannamento della superbia sanza capo, il quale andava remigando nel cuor mio sopra le spalle della propia madre, le quali io legai col legame della ubidienzia, e flagellandole col flagello della viltade, con tormenti l'esaminai, e fecimi dire ond'ell'erano entrate in me; ed elle essendo flagellate, dissono cosi: « Noi non avemo principio nè generatura, ma siamo principio e generatrici di tutte l'altre passioni; ma impugnaci non poco la contrizione del cuore sotto l'obedienzia generata, ma non sostegnamo che altri sopra di noi abbia principato, però che in cielo fumo fatte principanti, ed indi apostatammo. Noi per dicerie in somma, siamo generatrici di tutte quelle cose, le quali contra l'umilità s'adoperano, e tutte quelle cose che sono aiutorio alla umilità, a noi sono per contrario opposte. Noi vincemo in cielo, e dove potrai tu fuggire dalla faccia nostra? Noi avemo natura di seguitare spesse fiate lo ricevimento delle vergogne, la obedienzia, la inirascibilità, lo dimenticamento delle ingiurie e lo fare de' servigi; le nostre figliuole sono le ruine e li cadimenti e l'ira e la detrazione, l'amaritudine e 'l furore, lo rancore e la bestemmia, la ipocrisia e l'odio e la invidia e la contradizione; la nostra regolazione è il piacimento della propia volontà, la impersuasibilità, cioè non ricevere ammonizione, nè volere attendere alle parole nè al consiglio altrui, e la inobedienzia. Una cosa è, sopra la quale non ci potemo sforzare, e questo diciamo per lo flagello: se tu starai dinanzi da Dio vituperando ed incolpando te medesimo interamente, tu ci reputerai come uno ragnatelo. Il cavallo della superbia, come tu vedi, è la vanagloria, sopra la quale sono cavalcata; ma la santa umilità, la quale incolpa e vitupera sè medesima, si farà derisione del cavallo e del cavaliere suo, e della vittoria canterà le laude e lo cantico dilettevole con melodia, dicendo: Cantiamo a Dio, però che gloriosamente è onorificato. Il cavallo e l cavalcatore abbattè nel mare e nell'abisso della umilità ». Quegli che à salito questo grado, è vincitore, se elio veramente poteo salire. Delle inesplicabili cogitazioni della superbia Abbiamo udito nelle sopradette parole, che della crudele radice e madre nasce la crudelissima figliuola, dico della contaminata superbia nasce la pessima figliuola bestemmia; però è cosa necessaria di produrcela in mezzo, cioè di parlare di quella, imperò che questo difetto non è cosa leggiere nè comune, ma sopra tutti gli altri è nimico ed impugnatore crudelissimo, e pertanto è più crudele, però che non si può leggiermente spiegare e confessare e manifestare al medico spirituale. Per la qual cosa a molti spesse fiate ae generata ostinazione e desperazione questo immondo nemico, consumando tutta la loro speranza, come il vermine che è nascosto nel legno, che lo rode e consuma tutto. Questo immondissimo ama di trovarsi nelle sante congregazioni, ed in quella timorosa ora, quando si debbono ricevere e vedere li santi misterii, parlare male di quelle cose sante che si trattano, e d'infamare lo Signore; per la qual cosa siamo amaestrati saviamente, che non è l'anima nostra quella che parla dentro da noi quelle parole ree e maligne, ma è lo demonio inimico di Dio, quegli che fu cacciato di cielo, però che ivi si pensò di biastemmiare Iddio. Se quelle parole disconvenevoli e disoneste che si parlano dentro dall'anima, fossero empie, come io ricevendolo l'adorerei? Come posso insieme maledicere e benedicere? Questo ingannatore e corrompitore dell'anime molti spesse fiate n'à menati in pazzia ed impedimento di mente, imperciò che niun'altra cogitazione è così forte a confessare come questa, però con molti è stata invecchiata, però che nulla è, che tanta potenzia dia alle demonia ed alli vizii contra noi, quanto che non confessarle e nasconderle nel cuore e notricarle. Neuno reputi sè medesimo essere cagione delle cogitazioni della bestemmia, e non dubiti d'essere giudicato da Dio per esse, però che Dio è cognoscitore de' cuori, e sa bene che quelle parole non sono nostre nè per nostro senno, anzi sono delli nostri nimici; ma quelli che ànno data la cagione a queste bestemmie per la loro superbia, saranno puniti della cagione che diedero, e siccome lo 'nebriarsi è cagione di cadere, così lo levarsi in superbia è cagione delle sconvenevoli cogitazioni. Neuno cade volontariamente, e però non è punito del cadere, ma al postutto sarà punito dello inebriare. Quando noi stiamo in orazione, allora quelle immonde e pessime cogitazioni levano il capo in noi, e compiuta l'orazione, incontanente si partono, però che queste demonia non sono usate di combattere se non con quelli che repugnano a essi, e non solamente bestemmiano Iddio e tutte le cose sue, ma immettono in noi parole laidissime e immonde e sconvenevoli, acciò che lasciamo l'orazione, noi ci desperiamo di noi medesimi; onde alcuni per questo modo fece cessare dalla orazione e da ricevere le sante sacramenta, e ad alcuni fece questo demonio consumare le corpora per la molta tristizia. Alcuni altri questo maligno e crudele tiranno per molto digiuno macerò in tanto, che non gli permise avere neuno riposo, non solamente a persone mondane, ma a persone religiose fece questo, facendo loro vedere che già mai non si poteano salvare, e che erano più miserabili che tutti li pagani o infedeli. Quegli che vuole essere liberato dallo spirito della bestemmia, essendo d'esso impugnato, cognosca diligentemente che l'anima sua non è cagione di quelle cotali cogitazioni, ma ene cagione lo maligno demonio, quegli che disse a Gesù Cristo: Tutte queste cose ti darò, se tu cadi e adorerà mi; e imperò noi disprezzandolo, ed avendo per neente le sue parole, diciamo a lui: Va adietro, Satanas; io adorerò lo mio Iddio e a lui solo servirò, ma la tua malizia si rivolterà sopra il capo tuo, e la tua bestemmia discenderà teco nell'Inferno in saecula saeculorum. Quegli che altrimenti vuole combattere contra il demonio della bestemmia, è simile a colui che pensa di tenere la corruscazione colle mani, cioè il baleno; come lo potrà prendere e ligare e combattere, come quello che subitamente viene in cuore, e così si parte ed ae minore stabilità che la parola? Tutti li combattitori stanno e combattono e dimorano ed ànno vicenda di tempo contro allo avversario; ma questi insiememente come apparisce, così si parte, e come ae parlato, così passa via. Spesse fiate questo demonio ama di dimorare nelle menti di quelli che sono più semplici, però che questi di questa cosa si conturbano più che gli altri, ne' quali dicemo che non aviene questo dalla loro superbia le più volte, ma aviene dalla invidia del demonio. Cessiamo di giudicare e di condennare il prossimo, e non temeremo le cogitazioni della bestemmia, però che 'l primo è cagione del secondo. Come l'uomo che sta rinchiuso in casa, ode le parole di quelli che passano per la via, non parlando con essi, così l'anima ode le parole della bestemmia, le quali parla lo demonio che passa da essa, e turbasi pensando che siano sue parole. Quegli che questo disprezza, conoscendo che questa non è sua opera, è liberato da questa passione; ma quegli che vuole stare a combattere con esso, infine ci verrà meno, però che quegli che vuole tenere lo spirito che non parli, è simile a colui che vuole legare e rinchiudere le ventora. Uno monaco molto sollecito essendo molestato da questo demonio venti anni, crucioe ed afflisse la carne sua con digiuni e vigilie, e non sentendone per questo niuna utilità, scrisse in una carta questa sua passione, ed andone ad uno santo uomo, e gittandosi in terra dinanzi a lui, dielli questa carta scritta, ed egli per la grande vergogna non era ardito di levare il capo e ragguardallo in faccia; e quegli avendo letta quella carta, sorrise, e levando suso quello frate, disse a lui: « Figliuolo, poni la mano tua sopra il collo mio »; e facendolo quel frate, disse quel santo: « Sopra il collo mio sia, fratello, tutto lo tuo peccato, ed ogni cosa che à fatto e farà in te, solo questo fa tu, che tu te ne curi neente ». Ed affermava quel frate, che innanzi che uscisse di quella cella di quel santo uomo, quello vizio fu esterminato, che non ci apparette più in esso; e quegli che ebbe questa esperienza, sì lo narrò a me, rendendone grazie a Dio. Quegli che à salito questo grado, è vincitore, se egli veramente l'à potuto salire. Grado XXIV Della mititade ovvero mansuetudine e simplicità, e della innocenzia acquistata per l'aiutorio della grazia divina col propio studio ed industria; e con essa insieme della malignità Come lo lume dell'aurora viene innanzi al sole, cosi innanzi a l'umilità viene la mansuetudine ovver mititade; e che sia così, udiamo lo lume Gesù Cristo, il quale cosi disse ed ordinoe, quando disse nel santo Vangelio: Imparate da me, imperò ch'io sono mansueto ed umile di cuore. Adunque è cosa possibile e licita, che come l'uomo in prima vede ed è alluminato dal lume dell'aurora innanzi che vegga il sole, e poi vede chiaramente il sole; così è cosa possibile e convenevole, che l'anima in prima abbia la mansuetudine, e poi riceva la santa umilità, e chi in prima non à questo lume, non può vedere il sole, come disse il verace maestro. La mansuetudine è uno stato della mente intransmutabile, però, che nelli onori e nelle vergogne tiene pure uno modo. La mansuetudine è di non sentire in sè mutazione ria, quando il prossimo si sforza di conturballo, ed è orare per lui con pieno cuore. La mansuetudine è come la pietra che sta sopra 'l mare, nella quale tutte l'onde si percuotono e rompensi, ed essa non si rompe. La mansuetudine è fermamente di pazienzia, ed è porta di caritade e maggiormente è madre ed acquistamento di discrezione, secondo che dice il profeta nel salmo; Dio insegnerae a mansueti le sue vie. La mansuetudine è conducitrice della remissione de' peccati, e confidenzia nell'orazione e luogo dello Spirito Santo, secondo che dice Iddio per lo profeta Isaia: Sopra cui si riposerà lo Spirito mio, se non sopita quegli ch'è mansueto ed umile? La mansuetudine è aiutatrice della ubidienzia e conducitrice e guidatrice della fraternità, e freno delli stolti e riparamento de' furiosi, è ministramento di gaudio e seguitamento di Cristo, è appropiazione degli angeli e legamento delle demonia e scudo contra l'amaritudine. Ne' cuori de' mansueti si riposa Iddio, ma l'anima conturbante e conturbata è sedia del demonio. Dice il profeta: I mansueti erediteranno la terra, anzi la signoreggeranno; ma gli uomini che si vogliono vendicare, saranno dispersi di terra. L'anima mansueta è riposo della simplicità, ma la mente iracunda e perversa è accrescitrice della malignità. L'anima mansueta riceverà ed ispargerà in altrui le parole della sapienzia, dicendo il profeta: Il Signore dirizzerà i mansueti in discrezione e in giudicio, cioè che darà loro descrezione per sapere reggere e giudicare gli fatti altrui. L'anima diritta è moglie della umilitade, ma l'anima maligna e torta è fancella della superbia. L'anime de' mansueti saranno ripiene di santità, ma la mente furiosa è abitazione delle tenebre e della stoltizia. Lo furioso e lo simulatore cioè ingannatore si scontrano insieme, e nel parlare loro non si truova parola diritta nè monda da malignità; se rivolterai e cercherai il cuore del primo, troverai pazzia, se cercherai il cuor del secondo, vedrai malignità. La simplicità è uno abito ed una disposizione d'anima sanza varietà, la quale non si muove a pensare male; la malignità è uno conoscimento, anzi maggiormente è disonestà e disformazione demoniaca e sterile e privata di virtù, e pensasi che molti nolla conoschino. La ipocrisia è uno stato d'anima e di corpo contrario tutto implicato e nutricato di presunzioni e di duplicitadi e di falsitadi, però che è uno stato contrario d'anima e di corpo, che altro è dentro nell'anima, e altro dimostra di fuori nel corpo. La innocenzia è uno stato dell'anima allegro e libero da ogni suspezione e da ogni malizia. La dirittura è avere la intenzione pura sanza curiosità, che non pone cura di volere piacere ad alcuno; ed è uno stato sanza pigrizia e sanza duplicità, ed avere lo parlamento non infinto e dinanzi apparecchiato e sanza malignità, e avere l'anima monda come fu creata, la quale ad ogni persona si dimostra e dà. La malignità è mutazione della dirittura, intenzione ingannata ed errante, dispensazione bugiarda e falsa giuramenti legati e congiunti di parole intrigate, profondità di cuore, abisso d'inganno, menzogna trasformata, superbia naturale, la quale da queste cose predette procede, combattitore contrario all'umilitade, ipocrisia di penitenzia, dilungamento di pianto, nimistà di confessione, operazione del propio albitrio, regola di propia volontà, acquistatrice di cadimento, contrarietà di resurrezione, sorrisione nelle ingiurie, ed è tristizia e vanità, religiosità intinta e corrotta e vita demoniaca. Lo maligno è compagno del demonio e suo consigliere e ragionatore, ed ae lo nome comune conesso, però che 'l demonio è chiamato maligno, secondo che Gesù Cristo insegnoe nel santo Vangelio, quando amaestroe i discepoli dell'orazione, nella quale dice: Liberaci dal maligno, cioè dal demonio. Fuggiamo dal vizio della ipocrisia e dalla malignità e dalla adulazione della lingua, udendo il profeta che dice nel salmo: Quelli che fanno la malignità, saranno esterminati. Questi cotali sono nutritori e pastori delle demonia; e secondo che Iddio è nominato carità, così è chiamato dirittura, secondo che 'l savio, parlando al cuor mondo, dice nella Cantica: La dirittura amate; ed ancora il suo padre David dice nel salmo: Iusto e diritto è lo Signore, ed ancora dice ch'egli fa salvi coloro che sono diritti di cuore; ancora dice la santa Scrittura: Dio vide la dirittura dell'anime, e visitoe quelle anime colla faccia sua. La prima propietà de' fanciulli è la simplicità non variata, la quale men're che l'ebbe Adamo, non vide la sua nudità, e non conosceva la disonestà della carne sua. Buona e beata è la simplicità naturale d'alcuni, ma non è così beata, come quella simplicità, la quale è dopo la malignità per dolori e per sudori inserta nell'anima, però che quella prima è difesa e guardata da molta malignità e da molti vizii, ma questa è acquistatrice della altissima umilitade e mansuetudine; e la mercè de' primi non è molta, ma la mercè de' secondi è sopra laudabile. Tutti noi che volemo inchinare e trare Iddio a noi, conviene che simplicemente e sanza infignimento e sanza malignitade e sanza varietà e sanza curiosità andiamo a lui, come vanno i fanciulli al maestro per imparare dottrina. Non vedrai già mai la simplicità strana ed aliena dalla umilità; il maligno è uno provveditore falso e menzognere, lo quale dalle parole e per li portamenti e per li modi delle persone va fantasticando di comprendere le cogitazioni del cuore. Vidi quelli ch'erano diritti, essere ammaestrati ed avere imparato da' maligni malignare, e maraviglia'mi come così avaccio potero perdere la propietade della natura e la sua prima condizione, e quanto leggiermente caddero quelli che sono diritti, cotanto è forte a conducersi e dirizzare quelli che sono maligni; ma la verace peregrinazione e la suggezione e la guardia della lingua molte fiate sono molto valute a queste cose, e quelle cose che parevano insanabili, maravigliosamente le sanaro e trasformaro. Se la scienzia, come santo Paulo dice, enfia molte anime, vedi se la santa rusticità e lo non essere atto a scienzia avrae naturalmente ad umiliare; e quantunque siano radi, pur sono alcuni, che della ignoranzia si levaro in alto. Lo efficace e manifesto dimostramento e figura della beata simplicità sia a noi Paulo semplice, tre fiate beato, che neuno vide mai nè udì nè potrà vedere sì grande profitto e accrescimento spirituale in brieve tempo, come fue il suo. Il monaco semplice è uno animale razionale, il quale obedisce non mettendolo per ragione, ma perfettamente pone lo 'ncarico suo sopra 'l suo conducitore. Non contradice l'animale a quello che lo lega, e l'anima simplice e diritta obbedisce al prelato, e al comandatore suo non gli contradice, ma seguita quegli che 'l trae com'egli vuole, ed infino alla morte non sa contradire. Forte cosa è, disse il Signore, che li ricchi entrino nel regno del cielo, e così è forte cosa che li savii non savii, cioè sanza timore di Dio, entrino nella beata simplicità. Il cadimento e la ruina spesse fiate fu cagione che quelli ch'erano incontinenti e duri, diventassero sobrii e continenti, e donoe loro la salute e la innocenzia non volontaria. Sforzati e combatti d'ingannare il tuo sapere e la tua prudenzia, e così facendo, troverai la salute e la giustizia in Gesù Cristo nostro Signore. Grado XXV Della altissima umilità, ch'è perdizione delli vizii, secondo che se ne può sentire e vedere Quegli il quale delle sante virtù, cioè della carità di Dio e della santa umilità e della santa castità e della certificazione del cuore sanza errore, e della manifesta illuminazione di Dio e del verace timore suo, per parole visibili vuole narrare propiamente e convenevolmente e veracemente, e il sentimento e la perfezione pensando di queste cose, per isposizione di parole illuminare quelli che giammai non ne assaggiare, fa come l'uomo, il quale per parole e per esempli vuole insegnare come è fatta la dolcezza del mele a coloro che già mai non l'assaggiaro; e lo secondo, cioè quegli che del mele ama di parlare invano, non voglio dire che ami oziosamente confabulare; ma il primo egli non è isperto di quello che narra, o egli agutamente è gabbato e schernito dalla vanagloria. Questo parlamento oe posto dinanzi agli uditori e leggitori come uno tesauro inchiuso nelle corpora fatte di terra per più sicurtà, acciò che non si possa torre e sforzare, il quale tesauro non si può conoscere per neuno parlamento, se non per sola iscrizione incomprensibile, la quale è posta sopra lui, lo quale tesauro a quelli che 'l vogliono cercare con parole, dà molta ed infinita fatica, però che è molta lunga cerca, e lo nome di questo tesauro è santa umilità. Tutti quelli che sono mossi e guidati dallo spirito di Dio, cioè che ànno fervente desiderio di cercare le cose spirituali, entrino con noi in questo intellettuale e sapientissimo collegio, portando le tavole della scienzia scritte da Dio colle mani intellettuali intellettualmente entrianci in questo sapientissimo collegio, e cerchiamo li detti loro, e traiamone la virtù di questa venerabile ed onorabile iscrizione. Alcuno di questi dottori disse che umilità era uno scordamento abituato ed attento d'ogni bene, che uomo avesse fatto; l'altro disse che umilità era lo reputarsi lo più vile uomo e lo più grande peccatore che fosse; l'altro disse che umilità era uno mentale conoscimento della propia impotenzia ed infermità; l'altro disse che umilità era quando il prossimo è concitato ad ira per anticiparlo, cioè in prima dicere sua colpa e perdonare e lasciare ogni indegnazione e furore; l'altro disse che umilità era lo conoscimento della carità e della verità e della grazia e della compassione di Dio; l'altro disse che umilità era sentimento d'anima contrita e negazione della propia volontà. Ed io, udendo tutti quelli detti, pensandoci infra me ed isprimendoli sollicitamente, non potea apparare il beato intendimento suo; imperò io ultimo, cioè pur vile quasi uno cane, ripigliando e ricogliendo de' minuzzoli che caggiono della mensa di quelli sapientissimi e beatissimi padri, diffinendo dirò, che la umilità è una grazia dell'anima innominabile se non a quelli soli, che ànno ricevuta la sua esperienzia, ed è l'umilità ricchezza ineffabile e dono divino, secondo che Gesù Cristo dice nel santo Vangelio, quando disse: Imparate da me, non da angelo nè da uomo nè da libro, ma da me, cioè dalla mia inabitazione ed alluminazione ed operazione, che io sono mansueto ed umile di cuore e di cogitazione e di prudenzia, e troverete riposo delle battaglie ed alleviamento delle cogitazioni ree alle anime vostre. Come la vigna ae altro aspetto nel vemo ed altro nella primavera ed altro nella state, essendo pure una vigna, così la santa umilità ae altri segni ed altre operazioni nel principio, ed altre operazioni ae lo suo accrescimento, ed altre operazioni ae nella sua perfezione e compimento. Quando l'uva di questa santa umilità comincia a fiorire in noi, al postutto avemo in odio ogni umana gloria e fama, ma con fatica e con dolore, però che ancora non è liberata l'anima dalle vizia, ed isbandiamo da noi l'ira e la furia; ma crescendo nell'anima per etade spirituale questa regina delle virtudi, tutti li beni fatti ed operati da noi si reputano neente, anzi gli reputiamo abominazione, ed ogni dì ci pare ed estimiamo di prendere più incarico sopra noi, cioè d'essere più degni di giudicio per una dispersione non conosciuta; e l'abondanzia delle divine grazie posta in noi da Dio reputiamo uno diposito di più grave pena, e reputiamo che sia sopra ogni dignità, reputandoci indegni di quelle grazie; e però da indi innanzi la mente permane impassibile, cioè che non le si può tòrre neuno bene dal demonio della vanagloria, però ch'ella s'è rinchiusa nella taschetta della temperanza e della piccolezza, ed ivi sta sicura, e degli ladroni solamente n'ode gli romori e le minaccie, e non può essere tentata in neuna di queste cose, però che la temperanza è uno luogo chiuso e serrato e inespugnabile, contra lo quale non è cosa possibile di farci violenzia. Avemo detto del producimento de' fiori e del profitto ed utilità di questa picciola umilità, la quale sempitemalmente fruttifica, e questo dicere è stato con mancamento di parole, però che a parlare di queste sante cose non si truovano sufficienti vocabili. Ma qual sia il perfetto palio della vittoria di questa sacra scienzia, cioè qual sia la perfezione di questa virtù, voi che siete domestici del Signore, domandatene lui, però che per lingua umana non si può spiegare. Della quantità cioè grandezza di questa santa umilità dire non è possibile, anzi della sua qualità ovvero bontà parlare è più impossibile, ma della sua propietà ed operazione, di questo ci sforziamo di dire. La sollicita penitenzia e lo pianto, che santifica e lava l'anima da ogni macula, e la santissima umilità di quelli che debbono essere iti innanzi nella via di Dio, tanta differenza ànno l'una dall'altra, quanta differenza ànno l'acqua e la farina dal pane, però che l'anima si contrista ed assottigliasi per la penitenzia efficace, e quasi s'ammassa ed uniscesi a Dio per l'acqua del pianto verace; e poi essendo accesa del fuoco divino, fermasi e diventa uno pane sodo per l'azima e non enfiato per la beata umilità. Onde questa santissima trinità di queste tre dette cose è come una catena di tre anella insieme congiunte, e maggiormente ene uno arco celestiale di tre colori, che concorrono in una virtù, ed una operazione, e possiede propie operazioni e propietadi; e quello che dirai che sia segno dell'una, troverai che è fatto notificazione dell'altra. Questo modo ci studiamo dimostrallo brevemente, però che la prima e propia propietà di questa bella e buona e degna e mirabile trinità è lo ricevimento allegrissimo e spontaneo della vergogna presa ed abbracciata colle mansuete ed espanse mani dell'anima, come cosa che fa cessare li grandi peccati ed arde le infermitadi dell'anima; questa è la propietà della penitenzia. La seconda propietà si è il perdimento d'ogni furore e la temperanza nell'addormentamento di questo furore; questa seconda propietà è del pianto. La terza propietà ovvero terzo grado bellissimo è fedele infedeltà delli propii beni, cioè che perfettamente abbia perduto la fede d'ogni suo bene, ed è continuo ed indeficiente desiderio di essere ammaestrato e guidato da altrui; questa è la propietà dell'umilità, secondo che santo Paulo dice: La fine della legge e de' profeti è Cristo in giustizia e salute d'ogni uomo che in lui crede; e la fine delli immondi vizii si è la vanagloria e la superbia ad ogni uomo che non attende a sè medesimo, delli quali vizii essendo distruggitrice ed ucciditrice questa santa umilità, come la cervia uccide li serpenti, guarda l'anima, nella quale vive, e non le lascia ricevere niuno tosco mortale. Come potrà apparire in essa tosco d'ipocrisia tosco di detrazione? E come neuno serpente ci si potrà nascondere e farci nidio nell'anima umile, che non maggiormente sia gittate fuori del cuore, ed espiuvicato per la confessione e mortificato? Non ci può essere nell'anima, a cui è congiunta l'umilità, apparenzia d'odio nè specie di contradizione nè odore d'infidelità, se non parola fedele unita con essa, come la sposa collo sposo. Questa fa l'anima avere la parola e lo costume mansueto e dolce, ben compunto, devoto e compassibile, sopra ogni cosa tranquillo, allegro, chiaro, obediente, infrenabile, fervente sanza tristizia, vegghiante sanza pigrizia; e che mestiere è più dire, se non ch'è impassibile, cioè fuori delle passioni delle vizia, però che come dice il profeta nel salmo: Lo Signore nella nostra umilità si ricordoe di noi e liberocci dalli nimici nostri, cioè dalle contaminazioni e dagli vizii. Lo monaco umile non cerca curiosamente di volere sapere le cose segrete di Dio, ma il monaco superbo curiosamente vuole cercare i giudici i di Dio. Ad uno frate molto pieno di scienzia e di conoscimento vennero le demonia, e palesemente e chiaramente lo beatificaro, e quello santissimo disse a quelle demonia: « Se voi cessate di lodarmi con queste cogitazioni che m'immettete nell'anima, io per lo vostro partimento mi terrò grande; ma se voi non cessate di lodarmi, io per le vostre laude comprenderoe la mia immondizia, però che come dice la santa Scrittura: Egli è immondo nel conspetto di Dio ogni uomo, il quale è alto di cuore. Adunque o voi vi partite, ed io mi terrò grande, o voi mi laudate, ed io per questo mi terrò vile »; e le demonia, meravigliandosi di questa questione, incontanente si partirono. Non sia l'anima tua lago, il quale produca questa vivificante acqua alcuna fiata e contengala, ed alcuna fiata per la calura della superbia e della vanagloria ne sia secco, ma sia l'anima tua una fonte indeficiente d'umilità, la quale sempiternalmente produca di sè uno fiume di povertà. O amatore, attendi e conosci che le valli abbondano di molto frutto spirituale. La valle è l'anima umiliata, la quale stae nel mezzo de' monti delle fatiche, delle virtù e delle buone operazioni, sempre ferma e sanza paura e non commossa. Non disse il profeta: « Io digiunai, ed io vegghiai, ed io m'affaticai », ma solo disse: Io m'aumiliai, ed incontanente disse: Il Signore mi salvoe. La penitenzia rilieva l'anima, lo pianto le fa toccare il cielo, e la santa umilità sì glielo apre, ed io dico ed adoro la trinità nell'unità, e l'unità nella trinità. Tutte le cose che si veggiono, illumina il sole, e tutte le cose fatte ragionevolmente le fortifica e mantiene l'umilità; non essendo presente il lume, tutte le cose sono oscure, e non essendo l'umilità nell'anima, tutte le nostre operazioni sono vane ed inutili. Uno luogo è infra tutte le creature, che solo una fiata vide il sole; ed una cogitazione alcuna fiata partorì umilità. Uno solo fue il dì che tutto il mondo si rallegro; ed una è la virtù della umilità, la quale le demonia non possono seguitare. Altro è levarsi, ed altro non levarsi, ed altro umiliarsi; il primo giudica e disprezza ogni die, cioè ogni cognoscimento e coscienzia altrui, il secondo non giudica altri, ma quasi giudica sè medesimo; il terzo, cioè quegli che si umilia, non essendo condennato da Dio, sempre condanna sè medesimo. Altro è umiliarsi, ed altro combattere per umiliarsi, ed altro laudare colui che è umile; e lo primo è delli perfetti, il secondo è di quelli che sono veramente soggetti, il terzo è di tutti li fedeli. Quegli che è umiliato dentro nel cuore, non patirà furto della lingua sua, però che la porta della bocca non proferisce quello tesauro, che non è nella casa della conscienzia. Lo cavallo disolato, cioè straccato, molte fiate si pensa correre, ma quando è raccolta la sua potenzia, allora riconosce la sua lentezza; così la mente dissipata e sparta si pensa bene stare, ma la mente in sè raccolta conosce li suoi difetti. Quando la cogitazione non si lieva nè si tiene grande per le grazie e doni naturali, questo è segno del principio della sanità e della umilità, ma perfino a tanto che sente quello fetore dispiacevole a Dio, non sentirà l'odore dell'unguento della umilitade. Dice la santa umilità: « Lo mio amatore non si adirerà, non riprenderà, non contenderà, non griderrà, non farà niuna cosa sofisticamente e con duplicità per mostrarsi, infino a tanto che sia congiunto a me, e da poi che è congiunto a me, non gli è imposta legge » Ad uno combattitore, lo quale si sollicitava di pervenire a questa beata umilità, le maligne demonia gli seminarono le laude nel cuor suo, ed egli per divina dispensazione pensò di vincere la loro malignità con uno santo ingannamento in questo modo, che scrisse nel muro della cella sua le propietadi delle altissime virtù, cioè della perfetta carità, della angelica umilità, della monda orazione e della illibata e incorruttibile castità, e dell'altre simili virtù; e quando le cogitazioni lo cominciavano a laudare, dicea cosi a sè: « Andiamo alla reprensione », e veniva e leggeva quelle propietadi delle virtudi, e chiamava contra sè medesimo e diceva: « Quando avrai possedute queste virtudi, pensa e conosci che ancora se' di lungi da Dio, però che tu se' uno servo inutile a Dio; quello che tu ài fatto, è uno debito che lui dèi rendere, e non n'è da guadagnare grazia; ma se non avrai queste virtù, di lungi se' da quelli comandamenti di Dio ». Che cosa sia la sustanzia e la virtù di questo sole umilità, nollo potemo pienamente dicere; ma delle operazioni e propietadi sue per alcun modo apprendiamo, e manifestiamo la sustanzia ch'è in essa. La umilità è una divina protezione e guardia, che ci copre gli occhi e privaci della visione delle propie perfezioni; l'umilità è uno abisso di viltà, contro la quale tutti li ladroni demonia non possono soprastare nè vincere; l'umilità è una torre di fortezza contro la faccia dello nimico, che 'l nimico non vi può acquistare niente contra essa, e lo figliuolo, anzi maggiormente la cogitazione della iniquità non si farà innanzi a nuocere da essa, ma ella ucciderà li suoi nimici collo sguardo suo, e farà fuggire tutti quelli, che essa ànno in odio. Cerca diligentemente di tutte le manifeste propietadi delle sue ricchezze, le quali sono nell'anima di questo grande posseditore e mercatante, e vedi come tutte sono significative di ricchezze e di grande stato spirituale a quelli che le veggiono, salvo una, e questa è l'amore della viltà, per lo quale colui che è umile, ama d'essere tenuto vile e d'essere sprezzato. Quando ti pare avere in te questa sustanzia dell'umilità per multitudine di lume segreto e per grandissimo amore d'orazione che ti pare avere, se non vuogli di questa cosa essere ingannato, convienti di conoscere questo, che innanzi che l'anima riceva le predette cose, in verità convienle avere lo cuore non maldicente nè indegnante nelle offensioni altrui, e lo corriere che va innanzi a questa propietà e a questo bene, è l'odio d'ogni vanagloria. Quegli che conosce sè medesimo con perfetto sentimento dell'anima, ae seminato sopra la terra per ricogliere l'umilità, e chi cosi non semina, non fiorirà in lui l'umilità, però che quegli che conosce sè medesimo al modo predetto, ae ricevuto attento pensiero del timore di Dio, per lo quale andando perviene alla porta della carità. La porta del regno della carità è l'umilità, la quale mette dentro in questo regno tutti quelli, che ad essa s'appressano. Di questa penso io che dicesse il Signore noi santo Vangelio, quando disse: Chi vorrà, enterrae ed uscirae sanza timore di questa vita, e truoverà la Pasqua in paradiso. Tutti coloro che vennero per altra porta in qualunque abito e qualunque figura, cioè modo di vivere, questi sono furi e ladroni della vita loro. Se noi volemo comprendere l'altezza dell'umilità, non cessiamo di conoscere noi medesimi per trovare le miserie nostre, e sempre abbiamo appresso la misericordia in sentimento di cuore, e sempre pensiamo in ogni luogo, che il prossimo abbia più bene spirituale che noi. Impossibile cosa è che dalla neve venga la fiamma, ma più impossibile cosa è che sia umilità in neuna anima, che cerchi d'essere onorata da qualunque persona. L'umilità è perfezione degli fedeli devoti, e di quelli che sono dalli vizii mondati; ma questa umilità non sta in parole, però che molti son quelli, e quasi la maggior parte della gente, che dicono di sè medesimi che sono peccatori, e tengonsi d'essere peccatori; ma per questo non si conosce se sono umili di cuore, ma la vergogna proverà e mostrerà se 'l cuore è umile, però che quegli che è umile, non si turba quando gli è detta o fatta vergogna. Quegli che intende di pervenire a questo tranquillo porto dell'umilità, non cessa di pensare, operandoci modi e costumi e parole ed intenzioni e spirazioni ed opinioni e domandamenti e inquisizioni e contristazioni ed industrie ed orazioni e desiderii sempre più umili e vili, infino a tanto che per lo divino aiutorio e per le informazioni più umili e più vili liberi la nave della propia anima dal mare della elazione e della superbia, dalla quale superbia quegli che n'è fatto libero, di tutti gli altri suoi peccati leggiermente ne sarà scusato, come il publicano. Alcuni per potersi umiliare tennero questo modo, che continuamente portavano nella memoria loro tutti i mali che avevano commessi, non pensando neente della remissione a lor fatta, acciò che per questi ricordamenti percotessero la vana estollenzia della superbia; alcuni altri, per lo ricordamento della passione di Cristo, reputarono sè medesimi essere sempitemalmente debitori a lui; alcuni altri vilipendono sè medesimi per li cotidiani difetti che in sè veggiono; alcuni altri per le tentazioni che a loro avvengono, e per le infermità e per le offensioni ripercossero la superbia; alcuni altri per intendimento di ricevere grazie da Dio si fecero famigliare la madre delle grazie umilità. E sono alcuni ( i quali se sono ora sopra terra, nol dico ), gli quali per quelli doni di Dio umiliando sè medesimi, quante più ne ricevono di queste ricchezze spirituali, tanto più se ne riputano indegni, e così dimorano quasi del continuo come crescesse lo debito de' peccati loro; e questa è l'umilità, questa è la beatitudine, questo è il perfetto palio della vittoria. Quando tu udirai vedrai, che alcuno sia fatto posseditore della altissima impassibilità in pochi anni, non pensiamo che sia andato per altra via, se non per questa via breve e beata. Santa compagnia è carità ed umilità, e però l'una esalta l'altra, cioè l'umilità, l'altra la tiene, da poi che è esaltata, che non saggia. Altra cosa è contrizione, ed altra cosa è conoscimento, ed altra cosa è umilità. La contrizione è figliuola del cadimento, però che l'uomo che cade, diventa contrito, e sanza propia confidenzia stae in orazione con laudabile vergogna, appoggiato al bastone della speranza della misericordia di Dio, e con questo bastone caccia il cane demonio della disperazione. Lo conoscimento è certa comprensione delle propie miserie degli stati dell'anime loro, e continua memoria delle sottili offensioni. L'umilità è una dottrina intellettuale di Cristo, la quale fae il suo talamo ossia la sua camera nel cubicolo, cioè nel segreto luogo dell'anima, alla quale non si può andare con parole sensibili, però che le parole sensibili non possono spiegare lo stato suo. Quegli che dice di sentire in sè perfettamente l'odore di questo unguento, cioè dell'umilità, e nel tempo delle laude, cioè quando è lodato, lo suo cuore si muove pur un poco in letizia, ovvero che conosca la virtù delle parole delle laude, cioè che intenda che importano quelle parole, questi non s'inganni, ch'è ingannato, cioè a dire conoscasi essere ingannato. Odi il profeta, che in sentimento d'anima disse a Dio nel salmo: Signore, non dare a noi gloria nè onore in questo mondo, se non solo al tuo nome, però ch'egli conoscea che la nostra natura al postutto non potea rimanere sanza danno, onde dicea a Dio nel salmo: Appresso di te sia la laude della ecclesia grande, cioè nell'altra vita, però che innanzi a quel tempo nolla posso ricevere sanza pericolo. Questo è il termine e il modo dell'ultima superbia, che la persona quelle virtù che non à, simuli d'avere per essere onorata e magnificata. Adunque questo è segno di profondissima umilità, che le cagioni delle colpe che non sono in noi, in alcune cose le mostriamo d'avere per essere tenuti vili. Così fece quello solitario, che prese lo pane e 'l caso in mano, quando il signore della provincia andò a vederlo con grande fede per fargli reverenzia; e così fece quel solitario, che si spoglioe del vestimento suo, e cominciò a lavallo, quando la gente andava a lui per vederlo con grande fede; e così fece quel santo Efrem, che andava cercando le case della città, nelle quali stavano le meretrici, per convertille. Non si curano questi cotali della molta umana offensione, cioè che altri non ne prenda scandalo di questi loro modi, però ch'egli ànno invisibilmente ricevuta virtù da Dio per orazione di certificare tutti coloro che gli veggiono. Quegli che à paura del primo, cioè che altri non ne prenda scandolo, dà ad intendere che non ae il secondo, cioè che non à ricevuta quella virtù. Ove Iddio è apparecchiato ad esaudire la nostra petizione, tutte le cose potemo fare virtuosamente, quando la virtù ci muove; ma pognamo che alcuno se ne turbasse; meglio è contristare gli uomini che Iddio, però che Iddio se ne rallegra, quando vede che noi attendiamo a ricevere le vergogne per tribulare e percuotere e distruggere la vana superbia. La somma e perfetta peregrinazione è vincitrice di queste battaglie, però che questa è opera di grandi anime, patire d'essere schernito da' suoi domestici e famigliari. Non ti maravigliare nè conturbare delle cose predette, però che neuno potee giammai in uno passo salire la scala. In questo conoscerà ogni gente, che noi siamo discepoli di Cristo, non perciò che le demonia a noi obediscono, ma però che le nomora nostre sono scritte nel cielo della umilitade. Gli albori che si chiamano cedri, ànno questa natura, che gli rami suoi che sono levati in alto, sono sterili e sanza frutto, e quelli che sono richinati verso la terra, sono fruttiferi. Chi è savio intenderà questa cosa saviamente. Questa santa umilità nel conspetto di Dio possiede molti gradi, degli quali alcuna anima salirae infino agli trenta, alcuna salirae insino alli quaranta, alcuna salirae insino alli cento. A questo ultimo pervengono gl'impassibili; al mezzo pervengono quelli che sono virili, cioè forti e solliciti; al primo può pervenire ogni gente. Quegli che conosce sè medesimo, giammai non sarà gabbato in questo, ch'egli si sforzi a quelle cose che sono sopra lo stato suo, ma ferma il piè suo sopra il trebbio di questa santa umilitude. Gli uccelli temono l'aspetto del falcone, e gli operatori della umilità temono il suono della contradizione. Sanza essere profeta e sanza fare segni e miracoli, e sanza illuminazioni, molti si sono salvati, ma sanza umilità niuno entrerà dentro allo sposo celestiale. Questa umilità è guardiana delle predette grazie, ma queste grazie in quelli che sono più leggieri, spesse volte uccidono l'umilità. Il Signore Iddio ae dispensato ed ordinato questo in noi, che non ci volemo umiliare, che non è niuno che possa vedere le piaghe sue medesime, come che 'l prossimo; però è mestieri che quegli che vuole essere sanato, non riceva da sè la sanità, ma ricevala da Dio e dal prossimo. Quegli che è umile di cuore, sempre ae in abominazione la sua volontà come ingannatrice ed errante, e nelle sue petizioni che fa a Dio con fermissima fede, ae natura d'imparare ed obbedire in quelle cose e' appartengono a lui, non attendendo alla conversazione de' suoi maestri, ma gittando in Dio la cura sua, il quale per l'asina di Balaam insegnò al popolo le cose convenevoli. Questo cotale operatore, quantunque tutte le cose faccia e pensi e parli secondo Iddio, ancora non si dae a seguitare la volontà sua e non crede al senno suo, però che a quegli che è umile, gli è stimolo e grave peso fermarsi nel suo conoscimento e nella sua propia volontà, siccome al superbo è stimolo e peso intollerabile d'accostarsi d'ubidire agli detti altrui. A me pare che sia stato d'angelo non patire furto dalli difetti, però che io udii l'angelo terreno santo Paulo, che disse: La mia coscienzia non mi riprende e non mi rimorde d'alcuno peccato ma pertanto non sono però giustificato, però che Dio è quegli che mi deve giudicare, il quale vede in noi quelli difetti, li quali non vedemo noi; e però continuamente dovemo giudicare e vituperare noi medesimi, acciò che per la volontaria viltà cacciamo da noi li peccati non volontarii; e se così non faremo, nel tempo della morte al postutto per quelli saremo crudelmente esaminati, e converraccene rendere ragione. Quegli che fa le petizioni a Dio, e domanda meno che non è degno, al postutto riceverà più che quello di ch'era degno, e di questo fa testimonianza il publicano, il quale dimandoe la rimessione e riportoe la giustizia; lo ladrone solamente domandò a Cristo che nel regno suo avesse memoria di lui, e tutto lo regno ereditoe. Non si può nella creatura fuoco grande e piccolo vedere naturalmente, e nella umilità spezie e maniera d'amore terreno non può rimanere, però che la perfetta umilità non ama niuna cosa viziosamente; ma infino a tanto che volontariamente offendiamo, questa umilità non è in noi, e questo è segno del suo avvenimento, quando cessiamo d'offendere volontariamente. Conoscendo il Signore, che allo stato ed all'abito di fuori si configura la vita dell'anima, prendendo e cignendosi il linteo e lavando i piedi ai discepoli, dimostrò a noi la via della umilità, però che all'opere si risomiglia l'anima, e conformasi e figurasi a quelle cose che opera e fa; così il principato che fu dato all'angelo, gli fu cagione d'arroganzia e di superbia, ma non acquistò quello che superbamente presumette. Altro affetto possiede colui che siede in sulla sedia regale, ed altro colui che siede in terra ed in sterquilino; onde quello grande giusto Iob sedendo nello sterquilino, e possedendo allora perfetta umilità, disse in sentimento d'anima: Io medesimo mi riprendo, e reputomi cenere e favilla e terra e polvere. Io truovo quello Manasse re di Giudea grande peccatore come niuno altro uomo, lo quale il tempio di Dio contaminò cogl'idoli, ed ogni religione ed onore divino pervertie, per lo quale se tutto il mondo avesse digiunato, non sarebbe condegnamente bastato ad acquistarli grazia; ma vincette l'umilità, e quelle cose ch'erano insanabili, sanoe in lui. Disse David a Dio: Se tu avessi voluto sacrificio per li miei peccati, avrei fatto; ma se tutte le corpora fossero accese e consumate per digiuno, non ti diletterebbono; ma il sacrificio che a Dio piace, è lo spirito contribolato, e lo cuore contrito ed umiliato Iddio non dispregia. Peccoe David, e questa umilità chiamoe a Dio per lo avolterio e per l'omicidio, ed incontanente gli fu riposto: Dio t'à levato il tuo peccato. Li santi padri, degni della sempiterna memoria, dissero e determinaro, che le fatiche corporali erano via e cagione di pervenire ad umilità; ma io dico che la via della umilità è l'obedienzia e dirittura del cuore, e tutte quelle cose, le quali sono contrarie alla superbia ed alla propia reputazione. Se la superbia fece d'alcuni angeli demonia, al postutto essa umilità de' demonii può fare angeli però quelli che caggiono, confidinsi e non si disperino. Sollicitiamoci e combattiamo con tutta la nostra virtù di salire alla sommità ed al capo di questa umilità; e se al capo non potemo pervenire, almeno combattiamo d'essere portati alle spalle sue, e se questo per poca fede è a noi fatica, almeno non caggiamo dalle braccia sue, però che quegli che ne cade, maravigliomi se sarà partefice d'alcuno dono eternale. Le vie e li nervi di questa umilità, ma non segni, sono queste cose: povertà, peregrinazione non apparente ( cioè quella che è dentro nell'anima ), lo nascimento della sapienzia, proferire le parole simplicemente e puramente, non facendo rivolgimenti e duplicitadi, e non studiando di fare ornamento di parole, lo domandare la limosina, il nascondimento della nobilità, lo isbandimento della confidenza, cioè non ponere confidanza in parenti nè in amici nè in neuna cosa terrena, se non in Gesù Cristo, lo dilungamento del molto parlare. Ma non è niuna cosa che tanto possa alcuna fiata umiliare l'anima, quanto il povero stato e la dieta delli mendicanti; allora si dimostra l'amore nostro che avemo alla sapienza dell'umilità, e l'amore che avemo a Dio, quando potendo essere esattati, fuggiamo l'onore e l'altezza sanza rivolgimento adietro. Se alcuna fiata t'armerai contra qualunque vizio, menaci ed abbi teco questa combattitrice umilità, e anderai sopra l'aspido e lo basalischio, ed abbatterai ed ucciderai il leone e 'l dragone, cioè sopra 'l peccato e sopra la disperazione e sopra 'l diavolo e sopra 'l dragone del corpo. L'umilità è come quel vento, ch'è chiamato voltumo, il quale viene da alto, e prende le cose leggieri di terra e portale in alti; così l'umilità viene da cielo, e prende e leva l'anima dall'abisso de' peccati, e portala al cielo. Fue uno, il quale vide alcuna fiata la bellezza di questa umilità nel cuor suo, ed essendo stupefatto, domandolla che voleva sapere il nome di colui, che l'avea partorita e generata, ed ella allegramente e tranquillamente sorridendo, disse a lui: « Come domandi di sapere il nome di colui che mi generò? Egli è sanza nome, e noi ti dirò infino a tanto che tu vedrai Iddio e 'l nostro Signore Gesù Cristo; a lui sia gloria in saecula saeculorum ». Della fonte è madre l'abisso, e della discrezione è madre l'umilità. Grado XXVI Della discrezione, cioè discernimento delle cogitazioni e delle vizia e delle virtudi La discrezione in quelli che sono cominciatori, e deono essere introdotti ed informati, è lo verace conoscimento di quelle cose, che appartengono a loro medesimi. La discrezione in quelli che sono in mezzo e proficienti, è uno sentimento intellettuale, il quale discerne propiamente il bene della grazia dal bene naturale e dal contrario, cioè dal vizio. La discrezione in quelli che son perfetti, è vera scienzia ed uno sentimento posto in loro per divina illuminazione, per lo quale quelle cose che sono oscure in altrui, possono illuminare colla lucerna loro; ovvero universalmente parlando, la discrezione è detta ed è certo comprendimento della divina volontade in ogni tempo e in ogni luogo ed in ogni cosa, la quale è in soli quelli, che sono mondi di cuore e di lingua e di corpo, però che quegli ch'ae abbattute e vinte le tre vizia, insieme con esse ae distrutti gli altri cinque vizii; ma quegli ch'è negligente a combattere co' tre, neuno ne vincerà. La discrezione è una conscienzia non contaminata ed un sentimento mondo. Neuno che ode o vede nella vita monastica alcuna cosa sopra natura, si lasci cadere per insipienzia in infidelità ed indiscredenzia, però che là ove Iddio è, che è sopra natura, si fanno molte cose sopra natura. Tutte le battaglie che 'l nimico fa contra di noi, in questi tre modi generalissimi avvegnono, però che esse vengono per nostra negligenzia o elle vengono per nostra superbia o elle ànno principio dalla sola invidia del demonio. Lo primo è miserabile, lo secondo è più misero, ma il terzo è beato; e noi per nostra regola a dirizzare l'intenzione e la mente nostra, dinanzi ad ogni cosa colla invocazione di Dio usiamo senno ed industria in questo modo, che ci studiamo di conoscere la cagione onde viene il vento della tentazione, come fanno li marinai; ed onde viene il vento, da quella parte estendiamo le vele della resistenzia. In tutte l'opere nostre, che sono secondo Iddio, le demonia ci parano tre fosse innanzi gli piè, acciò che cadiamo in alcuna di quelle; e la prima è che combattono che non facciamo quel bene, e se perdono questa battaglia, parano la seconda fossa, che combattono che 'l facciamo in tal modo, che non piaccia a Dio, mescolandoci alcun vizio; se questa seconda intenzione non possono asseguire, questi furoni parano la terza fossa, che stanno allato all'anima, e sì ci beatificano, sì come persone che in tutte le cose conversino secondo Iddio. E contro alla prima battaglia si è la sollicitudine e l'aspettare della morte brievemente; contro alla seconda battaglia si è la subiezione e l'ubidienzia e il disprezzamento di noi medesimi; contro alla terza battaglia è sempre accusare ed incolpare noi medesimi, riguardando pure alli nostri difetti. Questa fatica e questo dolore e questo sforzo dee essere in noi, ed a questo dovemo intendere del continuo, infino a tanto che nel nostro santuario della mente entri il fuoco divino, però che da poi non ci stanno appresso le presunzioni, imperò che lo Iddio nostro è fuoco, il quale consuma ogni infocazione e movimento e presunzione e cechità e tenebra dentro e di fuori, visibile ed intellettuale. Ma le demonia ànno natura e propietade di fare tutte cose contrarie a queste che son dette, che fa Iddio nell'anima, però che quando circondano e prendono l'anima, e pervertono il lume della mente, d'allora innanzi in noi miseri non sarà vigilia, non sobrietà, non discrezione, non conoscimento, non vergogna, non reverenzia, se non privazione di dolore e di contrizione, insensibilità ed indiscrezione e privazione di conoscimento delli veraci beni. Queste predette cose lo conoscono troppo più chiaramente quelli, che ritornano dalla fornicazione, e sottraggonsi dalla superbia della propia confidenzia, e dalla irreverenzia e dallo sfacciamento rivegnono in sentimento di sè medesimi, come dopo la sobrietà e lo svegliamento della mente, anzi di po' lo scioglimento della loro cechità, si vergognano di sè medesimi secondo la mente di quelle cose, che in prima parlavano ed operavano, mentre che viveano in quella cechità; e se non si oscurasse ed ottenebrasse in prima lo lume e lo dì dell'anima, le demonia non furerebbono, nè matterebbono, nè perderebbono. Il furto è perdimento della sustanzia dell'anima e del suo stato; furto è operare il non bene come che 'l bene; furto è esser presa l'anima, non avvedendosene; la mattazione è la morte dell'anima razionale, quando cade nelle cose disoneste e sconvenevoli; la perdizione è dopo la iniquità operata cadere in desperazione. Niuno alleghi impossibilità ne' comandamenti del Vangelio, però che sono alcune anime, che fecioro sopra quello che comanda il Vangelo; e questo ti faccia intendere quegli che amoe il prossimo più che sè, la qual cosa non contiene il comandamento di Cristo. Più santi uomini fecioro questo, secondo che le storie narrano. Confidinsi li viziosi umiliati, però che pogniamo che siano caduti in tutti i vizii e fosse, e lacciati in tutti i lacci ed infermati in ogni infermità; dopo la loro reversione alla sanità saranno fatti medici e lumiere e lucerne e governatori ad ogni gente, ammaestrando gli modi d'ogni infermità, e salvando per la propia esperienza coloro ch'erano disposti a cadere; e se alcuni di questi sono ancora tirannezzati e sforzati dalle infermità mortali, e dalli vizii e dalle passioni operate ed usate, questi possono insegnare colla sola parola, i quali pogniamo che insegnino, non reggano altri e non siano prelati, che forse insegnando per alcun tempo, si vergogneranno delle propie parole e cominceranno ad operare; ed adiverrà loro come vidi adivenire ad alcuni, i quali erano caduti nel luto, i quali giacendo fitti nei luto, narravano a quelli che passavano per quella via, il modo come erano caduti, acciò ch'eglino non cadessero in quel viaggio; e perch'elli si sollicitarono della salute altrui, Dio onnipotente liberò loro da quel luto. Ma se quelli viziosi volontariamente si sommergono nelle concupiscenze e nelle delettazioni viziose, la loro dottrina sia il silenzio, attendendo a colui che disse, che Gesù Cristo incominciò prima a fare e poi ad ammaestrare. Umili monaci, pensate che noi avemo a trapassare uno pelago veramente crudele e duro e pieno di molte ventora e di molte sozzure e di molte rivolte e d'aspri scogli e di bestie e di corsari e di soffiamenti e di grandi onde. Per la sozzura dell'anima intendiamo lo furore subito e ferale come di fiera; per le oscure rivolte dell'acqua intendiamo la disperazione, la quale circonda l'anima e poi la sommerge nel profondo; per l'asperità degli scogli intendiamo la ignoranza, la quale tiene quello che è male, come fosse bene; per le bestie intendiamo questo nostro corpo grave e salvatico colle sue animalitadi; per li corsari intendiamo li ministri della vanagloria, li qua' rapiscon le nostre fatiche delle opere spirituali; per l'onde intendiamo il ventre pieno ed enfiato, il quale col suo propio empito ci manda alla bestia; per lo soffiamento intendiamo la superbia precipitata e gittata da cielo, la quale leva suso l'anima, e poi la dimerge infino nell'abisso. A tutti quelli che son bene adottrinati di lettera, è manifesto che altre dottrine sono quelle, che imparano coloro che incominciano a leggere, ed altre sono quelle che imparano coloro che già sono introdotti, ed altre dottrine sono, nelle quali si esercitano gli maestri; e così è nella vita e conversazione spirituale, però che sono diversi li stati e l'esercizii de' cominciatori e de' proficienti e de' perfetti; però attendiamo saviamente, che essendo lungo tempo dimorati nella conversazione spirituale, non ci esercitiamo pur nell'opere de' cominciatori, però che come nell'imparare della lettera è grande vergogna ad andare i vecchi alla scuola de' fanciulli, così è grande offensione e danno fare il simile nella vita spirituale!. Il perfetto alfabeto spirituale degl'incominciatori è questo: obedienzia, digiuno, ciliccio, cenere, cioè giacere in terra, lagrime, confessione e silenzio, umilità, vigilie, fortezza, freddo, nudità, fame, sete, fatiche, dolori, infermità, miseria, disprezzamento, contrizione, non rendere male per male, dimenticarsi delle 'ngiurie, amore di fraternità, mansuetudine, fede semplice e ferma sanza curiosità di questioni, privazione delle cure di questo secolo e della sollicitudine del mondo e della cura della carne, odio sanza odio, cioè perfetto e sanza vizio, degli parenti e della propia contrada e delle luogora deliziose, non avere affetto vizioso nè a sè nè a neuno domestico nè a neuna cosa; simplicità con innocenzia, mortificazione di volontà e amore di viltà. Il numero e lo riposo de' proficienti è questo: privazione di vanagloria, essere sanza ira e sanza furore, buona speranza e dolce riposo, discrezione, fissa memoria dello giudicio eternale, dolce affetto e compassione, amore d'ospitalità, ammonizione commensurata, orazione monda e sanza mescolanza ed inseducibile, cioè che non possa ricevere inganno, impassibile si che non li possa essere rapita, modi ed affetti sanza avarizia. Questa è la determinazione e il sermone e la legge delli spiriti e corpi perfetti in carne: avere cuore inimprigionevole, che non si possa legare nè imprigionare da neuna cosa terrena, perfetta carità e fonte d'umilità, levamento della mente a Dio, avere ricevuto Cristo e vestitosi di lui, impredabilità di lume e d'orazione, ovvero che non li possa essere tolto nè lume nè orazione, soprabondanza di soprasustanziale illuminazione di Dio, desiderio e piacimento di morte, odio di vita, fuga del corpo, interpellatore ed intercessore del mondo, sforzatore di Dio, compagno degli angeli nelli ministerii della salute dell'anime, abisso di scienzia spirituale, casa de' misterii, guardiano delle cose segrete di Dio, salvatore degli uomini per Gesù Cristo, Dio delle demonia, signore delle vizia, signoreggiatore e re del corpo e della mente, difensore della natura, libero ed alieno del peccato, casa d'impassibilità, seguitatore del Signore per l'aiutorio di Dio. Non abisognamo di poca vigilia mentale quando il corpo inferma, però che le demonia veggendoci giacere a terra, e che non potiamo usare virtuosa esercitazione contra di loro, allora si sforzano dimpugnarci crudelmente. Contra di quelli che stanno nel mondo, s'esercita lo demonio del furore e dell'ira, e alcuna fiata lo demonio della bestemmia; ma in quelli che sono fuori del mondo, se essi possono avere le cose necessarie, leggiermente esercitasi contra loro il demonio della gola e della fornicazione; ma se stanno in luoghi remoti e privati di consolazioni corporali, combatte il tiranno dell'accidia e della 'ngratitudine. Puosimi a mente del lupo della fornicazione, che a quegli ch'era affaticato della infermità, aggiungea loro dolore e tristizia, però che in quelle fatiche e tristizie facea loro patire movimenti di carne e polluzioni; ed era stupore vedere la carne infra li dolori ed affrizioni bollire per dilettazione di concupiscenzia e di lussuria, e furiosamente essere vessata e stimolata; e tornando per visitarli, vidili giacere oranti e consolati, condutti a ciò dall'operazione divina e dalla compunzione; e non era maraviglia, però che per la infermità, quasi per una correzione di Dio, erano liberati da quella passione viziosa, e per la consolazione divina ripercossero l'affrizioni e dolori in tanto, che d'allora innanzi non voleano essere liberi dalla infermità; ed io vedendo questo, glorificai Iddio, il quale per lo luto della infermità corporale monda e purga lo luto della concupiscenza carnale dell'anima. La mente intellettuale al postutto cuopre e veste un senso intellettuale, il quale essendo in noi e non in noi, non cessiamo di cercarlo, però che apparendo quello, quelle cose che sono di fuori, al postutto cesseranno d'operare le propie opere per volontà; e questo è quello che uno savio conoscendolo disse: « Tu troverai in te uno senso divino ». La vita monastica dee essere fatta in sentimento di cuore, in opere, in parole, in cogitazioni ed in movimenti, e se non è così, già non sarà monastica, non tanto che sia angelica. Altra cosa è la providenzia di Dio, ed altra cosa è l'aiutorio, ed altro è la custodia, ed altro è la misericordia di Dio, ed altro è la consolazione: il primo è in ogni natura, il secondo in solo li fedeli, il terzo è in quelli, che fedelmente e veramente son fedeli, lo quarto è in quelli che li servono, l'ultimo si dimostra e manifesta in coloro che l'amano. Alcuna fiata quello che ad alcuno è medicina, ad alcuno altro è tosco mortale, e ad uno medesimo quello che ad alcuno tempo gli è medicina, ad altro tempo gli sarebbe beveraggio di morte. Vidi un medico aspro, il quale uno infermo conquassato importunamente e gravemente lo ingiurioe, ed in quel modo non lo recoe ad altro che a disperazione; e vidi il medico, il quale dicendo allo 'nfermo vergogne opportunamente e piacevolmente, medicee il cuore superbo ed infiato, ed ogni puzzo e veleno ne votò e trasse da lui; e vidi questo infermo medesimo, che per la purgazione della sozzura alcuna fiata bevea la medicina dell'obedienza, e sollicitamente andava attorno servendo, e non dormiva e non posava; e vidi questo medesimo infermo alcuna fiata, che avea turbato l'occhio dell'anima, e posavasi e perseverava in silenzio e non dormia. Chi à orecchi da udire, oda. Sono alcuni, li quali quasi naturalmente anno inclinazione ed attitudine a continenzia, ovvero ad astinenzia, ovver a stare remoti e tranquilli, ovvero a castità, ovvero a non essere presunziosi e pronti, ovvero a mansuetudine, ovvero a compunzione; ma onde abiano queste cose, nol conosco, però che io non imparai di volere cercare curiosamente con superbia gli doni di Dio; e sono alcuni altri, i quali ànno la natura quasi contraria e resistente a queste cose predette, ma secondo la lor potenzia si fanno violenzia a sè medesimi, li quali pogniamo che alcuna fiata sieno vinti, io accetto più loro che li primi, come uomini che si sforzano a fare violenzia alla natura loro. O tu, uomo, che ài la natura tanto atta a bene, non te ne tenere grande e non te ne levare in alto delle ricchezze che ài sanza fatica e sanza dolore, però che lo Signore datore de' doni, conoscendo dinanzi la tua molta infermità dell'anima, per la quale tu eri apparecchiato alla perdizione, volleti prevenire con le sue ricchezze, le qua' sono sanza tuo merito, acciò che in questo modo avessi parte nella salvazione; e non tanto la rea natura ne resiste ed è contraria, quando volemo crescere in virtù e nella conversazione monastica, ma ancora ne sono contrarie le dottrine non buone e li nutricamenti e li studii e li modi, che prendemmo nella piccolezza. Lo lume delli monaci sono gli angeli, e lo lume di tutti gli altri uomini è la conversazione monastica; e però si debbono sforzare d'essere buona forma e buono esempio a tutte le genti in tutte cose che parlano ed operano, acciò che non deano a niuno cagione d'offensione in alcuna cosa, imperò che se lo lume intenebrisce, quanto diventeranno ottenebrati quelli che conversano secondo il mondo? Adunque so mi volete ubidire, dicovi che è buona cosa non variare noi medesimi, e non partire nè dividere la nostra miserabile anima a combattere con mille migliaia e dieci volte dieci milia di nemici, però che noi non potemo tutte le loro malignità ed astuzie conoscere nè perfettamente trovare; e però si conviene, che con l'aiutorio della santa Trinità noi ci armiamo di tre virtudi contra le tre vizia principali, le qua' sono le radici, delle quali nascono tutte l'altre, e queste sono gola, vanagloria ed avarizia, le qna' si vincono con queste tre virtudi, cioè astinenzia, umilità, carità; perciò ci conviene d'esserne armati, e se così non faremo, molte fatiche a noi acquisteremo; ma se sarà con noi quegli che convertì il mare in terra secca, lo nostro Israel, cioè la mente, per la quale si vede Iddio, passerà questo mare sanza tempestade, e nell'acqua delle lagrime vedrae gli egizii suffocati; ma se quello non viene in noi, chi potrà sostenere i suoni dell'onde sue e di questa carne? Se lo Signore si leverà in noi per l'attiva vita, saranno dispersi in noi li suoi nimici, e se per la contemplazione ci appresseremo a lui, fuggiranno quelli che ànno in odio noi e lui dalla faccia sua e dalla nostra. Ma sollicitiamoci d'imparare le cose spirituali e divine non pur coll'udire e collo leggere, ma maggiormente con sudori e con fatiche e con dolori, però che nel tempo della morte ci conviene di mostrare opere e non parole; e prendiamo esempio delle cose temporali, che quelli che odono che in alcuno luogo è nascosto tesauro, per molta fatica lo vanno cercando per trovare, e poi che l'ànno trovato, con fatica e con dolore lo guardano, però che quelli che sanza fatica arricchiscono, leggiermente lo dispergono. Grande cosa e malagevole è che le male usanze e gli ma' modi che aviamo presi, sopravinciamo, ma quelli che non cessano d'aggiugnercene più, o elli sono disperati della salute, o elli della obedienzia e della subiezione non megliorano; ma io so che Iddio può fare ogni cosa, e niuna cosa a lui è impossibile. Alcuni mi domandarono d'una parola di Dio, la quale è grave a discernere, e secondo lo mio parere trapassa ogni persona, e non si contiene in niuno libro che a me sia pervenuto, però che diceano così: « Dell'otto cogitazioni della malizia qua' sono propiamente e distintamente le figliuole? Ovvero delle tre principali quale è generatrice di ciascuna delle altre cinque? » Ed io allegando la ignoranza di questa laudabile interrogazione, quelli cautissimi uomini parlarono così: «Madre della fornicazione è la gola; dell'accidia si è madre l'avarizia e la vanagloria; la tristizia è figliuola della gola e della vanagloria e dell'avarizia siccome l'ira; ancora la vanagloria è madre della superbia ». E pregai ancora questi santi, degni d'essere ricordati, che mi dicessero delle figliuole di questi otto vizii, quale è la figliuola propiamente di ciascuno; e quelli mondi da vizii ed impassibili molto benignamente m'insegnaro, dicendo che non c'era ordine nell'imprudenti ed insensati, se non disordinazione ed inganno; e misermi a vedere quelli beati con piacevoli esempli alcune dimostrazioni, delle quali alcune ne scriveremo in questo sermone, acciò che da quelle siamo alluminati dell'altre. Lo riso importuno e fastidioso alcuna volta nasce dalla fornicazione e dal troppo mangiare e bere; alcuna fiata dalla vanagloria, quando alcuno intra sè medesimo per istoltizia e vana letizia si leva in alto; alcuna fiata dalle delizie e dalli vani parlamenti e dalla malignità; alcuna fiata viene dalle demonia. Lo molto sonno alcuna fiata nasce dal ben mangiare e dalla satollezza, alcune fiate dal digiuno, massimamente quando gli digiunatori si levano in superbia, alcuna fiata viene dall'accidia, ed alcuna fiata dalla complessione naturale. Lo molto parlare alcuna volta viene dalla vanagloria, alcuna fiata dalla satollezza, alcuna fiata da stoltizia ed alienazione di mente, alcuna fiata dal movimento delle demonia. L'accidia alcuna fiata nasce dalle delizie de' cibi, alcuna volta dalla privazione del timore di Dio, alcuna fiata dalla quiete ed alcuna volta dal molto parlare. La biastemmia è propiamente figlia della superbia, e molte fiate viene però che non ci guardiamo di giudicare il prossimo di quello medesimo, ed alcuna fiata viene dalla importuna invidia del demonio. La durizia del cuore alcuna volta viene dalla sazietà, ma più spesso nasce dalla insensibilità, però che amiamo alcuna cosa viziosamente. L'amare alcuna cosa viziosamente alcuna fiata è dalla fomicazione o dalla vanagloria o dall'avarizia o dalla gola, o da molte altre cagioni. La malignità è dalla propia reputazione e dalla superbia e dalla confidenza di sè e dal furore e dall'ira. La ipocrisia è dall'arroganza e dal desiderio di piacere agl'uomini, e dalla regolazione e dalla compiacenzia della propia volontà, e dall'amore delle laude e del nome di santità. Le cose contrarie a queste nascono dalle contrarie, e per non dicere molto, però che ci verrebbe meno il tempo, chi volesse singularmente dire, di tutte queste predette vizia n'è ucciditrice l'umilità, la quale chi possiede, ogni vizio à vinto. Le genitrici di tutti li mali sono la delettazione della concupiscenza e la malignità, le quali chi possiede, non vedrà Iddio, e non basterà lasciare la prima, se non lascerà la seconda. L'esempio del timore di Dio alcuno il prese dallo timore delli principi del mondo e dal timore delle bestie; ma l'esempio dell'amore e del desiderio di Dio ti sia l'amore corporale, però che non si vieta prendere dalle cose contrarie li esempli delle virtù. Questa generazione si maligna gravemente, e tutta è piena di superbia e di vanità e d'ipocrisia; e però dimostrando d'avere le fatiche corporali della penitenzia, secondo ch'ebbono li nostri antichi padri, non è fatta degna d'avere le grazie loro spirituali, che io mi penso che giammai la natura umana non fu tanto povera di grazie spirituali quanto aguale, e giustamente questo patiamo, però che Dio non appare e non si manifesta alle fatiche, se non ad umilità e a simplicità, e se la virtù nella 'nfermità si fa perfetta, Iddio non discaccerà l'operatore umile. Quando noi vedemo alcuno degli combattitori di Gesù Cristo essere corporalmente afflitto, non ci vogliamo studiare di conoscere il giudicio della sua infermità per malignità che crediamo essere in loro, ma maggiormente ricevendolo in simplice carità sanza malignità come nostro propio membro e come cavaliere ferito in battaglia, curiamolo colla compassione e con ogni consolazione, però che Iddio non manda le 'nfermità ai servi suoi pur per malignità che sia in loro, ma alcuna fiata la 'nfermità è mandata da Dio per purgazione delle offensioni, ed alcuna fiata è mandata per umiliare il sapere della prudenzia nostra. Lo buono e ottimo e sempre buon re e Signore, quando vedrà alcuni essere oziosi e più pigri all'esercizio dell'opere virtuose, da indi innanzi umilia spesse fiate, per infermità la carne loro, acciò che per essa, quasi per una esercitazione e battaglia più remessa e più leggiere, si salvino; ed è alcuna fiata che Dio monda l'anima per le maligne cogitazioni e per li vizii, i quali ci assaliscono; però che per queste cose l'anima che giaceva in terra addormentata per la negligenzia, essendo punta e stimolata, si sveglia e sollicitasi all'orazione ed all'altre buone operazioni per non essere dannata. Tutte le cose che ci adivengono, visibili o invisibili, le potemo ricevere bene e viziosamente e di mezzo modo. Io vidi tre frati, li quali ricevettero danno, e l'uno di loro indignoe, l'altro non ricevette tristizia, l'altro si rallegrò molto. Vidi più uomini lavoratori di campi, li qua' tutti seminavano d'uno seme, e ciascuno avea in questo suo seminare sua propia intenzione diversa dagli altri; ed uno seminava per pagare gli debiti suoi, l'altro per acquistare più ricchezze, l'altro per donare ed onorare il re, l'altro seminava per essere lodato da coloro che passavano, della sua operazione, l'altro seminava per astio del suo nimico, l'altro seminava per non essere improperato siccome ozioso. Questo seme predetto è chiamato lo digiuno, l'astinenzia, la vigilia, fare le limosine, fare gli servigi agli infermi ed a' poveri, fare le peregrinazioni e l'altre buone opere. Adiviene più fiate, se facendo li frati le buone operazioni a diritta intenzione per piacere a Dio, ci si mescola il vizio segretamente, siccome quando l'uomo trae l'acqua della fonte, insieme coll'acqua ci trae la rana nella secchia, e non se ne accorge; e così operando le virtù, molte volte insieme con esse segretamente ci operiamo le malizie, verbi grazia quando facciamo l'ospitalità, ci si mescola la gola, colla carità del prossimo alcuna fiata ci si mescola la famigliarità e li parlamenti nocivi e l'amore carnale; alla discrezione ci si mescola l'astuzia, la reputazione della propia sufficienzia e le duplicitadi; alla prudenzia ci si mescola la malignità, alla mansuetudine ci si mescola la pigrizia, l'adulazione della lingua, l'oziosità e la gravità; al zelo della giustizia ci si mescola la contradizione e lo piacimento della propia volontà, la propia regolazione e durizia, e non dare ad altrui udienzia; allo silenzio ci si mescola lo tumore d'insegnare, lo giudicio e lo dispiacimento de' parlatori, la insofferenzia ed amaritudine ed indiscrezione; al gaudio dello spirito si mescola la superbia, la giattanza e la propia reputazione; alla speranza si mescola la pigrizia e la negligenzia e la tepiditade della contrizione e della penitenzia; alla carità si mescola ancora lo giudicare, alla remozione solitaria si mescola l'accidia e l'oziosità e l'esercizio inutile e sconvenevole; alla castità si mescola l'arroganzia e l'amaritudine, all'umilità si mescola il silenzio sconvenevole; quando la giustizia è conculcata, e la propia confidenza. A tutte le virtù predette siccome comune collirio, anzi come lo beveraggio mortale, si mescola la vanagloria. Non ci contristiamo domandando noi a Dio alcuna buona cosa, e non essendo esauditi per lunghi tempi, però ch'egli vorrebbe che tutti fossimo mondi dai vizii in uno momento di tempo. Tutti quelli che dimandano a Dio cosa buona e non la riportano, al postutto adivione per una di queste cagioni, la prima delle quali è che dimandiamo innanzi al tempo convenevole; la seconda ragione è che dimandiamo le cose spirituali indegnamente e vanagloriosamente; la terza cagione è però che se quella cosa che dimandiamo, ci fosse data, ci leveremmo in superbia, e sarebbe cagione a noi di pericolo dell'anima; la quarta cagione è però che se quella cosa ricevessimo, diventeremmo negligenti, che le demonia e le vizia si partino da l'anima o per alcun tempo o per sempre. Niuno credo che di ciò dubiti, ma in quanti modi sia lo lor partimento da noi, pochi lo sanno. Partironsi le vizia da alcuni, non solamente dagli fedeli, ma dagl'infedeli, salvo uno vizio, il quale adempie il luogo di tutti li altri vizii, esso solo rimagnendo, però ch'egli tiene il principato tra gli mali, però che fae si grande danno, che fue da cielo gittate. Lo primo modo del partimento delle vizia si è che si consuma la materia, quando entra nell'anima il fuoco divino, come si consumano le legna, quando ci è messo di sotto il fuoco, ed essendo la selva diradicata e l'anima purgata, dormonsi poi le vizia, se noi in alcuno luogo non le ritraemo a noi per conversazione lotosa d'affetti carnali e materiali. Le demonia si partono da noi volontariamente, acciò che non essendo noi impugnati, viviamo sanza sollicitudine, sicuri e sanza cautela e sanza studio spirituale; e sopravegnendo essi subitamente, rapiscano la misera anima nostra. L'altro modo del loro partimento è questo, che da poi che ànno l'anima fatta essere usata perfettamente agli rei costumi, e qualificata sommamente e confettata dalle vizia, vedendo l'anima già essere fatta insidiatrice di sè per sè medesima, e da indi innanzi essere fatta impugnatrice di sè medesima, allora eglino si partono; e di questa cosa ne sono esempio li parvoli, li quali avendo presa la lunga usanza di succiare la poppa, non avendo la poppa, succiano poi li propii diti. Conosco quanta impassibilità è nell'anima per la molta simplicità e laudabile purità; è però questi cotali giustamente sono aiutati da Dio, il quale, come dice il profeta, fa salvi coloro che sono diritti di cuore, e insensibilmente li libera da' mali, cioè da' vizii, però che sono come gli parvoli nudi e spogliati, e non molto conoscono. La malizia ovvero vizio non è naturalmente nell'anima, però che Dio non è creatore de' vizii, ma molte virtù sono fatte in noi naturali da lui, delle quali queste son manifeste, cioè la misericordia, però che quelli che non parlano, son compassivi; l'amore, perciò che non solamente gli uomini, ma gli animali sanza ragione ànno in sè amore, il quale si dimostra in questo, che più fiate lagrimano, quando l'uno è privato dell'altro; la fede, però che da noi medesimi la parturiamo e producemo; la speranza, però che quando comperiamo, e quando prestiamo, e quando navichiamo, e quando seminiamo, sempre speriamo d'avere cose megliorate. Adunque come mostrato è, la carità è naturale virtù in noi, e essa è legame della perfezione e plenitudine della legge; adunque le virtudi non sono di lungi dalla natura; vergogninsi dunque quelli, che allegano la impotenzia dell'opere delle virtudi. Le virtù e le grazie sopranaturali son queste: la castità, la inirascibilità, l'umilità, l'orazione, le vigilie, il digiuno, la compunzione incessabile; d'alcune di queste sono maestri gli uomini, d'alcune son maestri gli angeli, d'altre esso Iddio, verbo e maestro e dottore. Quando siamo raccolti infra due mali, dovemo eleggere quello che è più leggiere. Più fiate stando noi in orazione, vengono li frati per parlare, ed è mestieri di fare una delle due cose, lasciare l'orazione, o turbare il frate, non rispondendogli: maggiore è la carità che l'orazione, però che l'orazione è virtù particulare, e la carità comprende tutte le virtù. Ancora quando già io era giovane, stando una fiata in villa e sedendo a mensa insieme, fui compreso dalle cogitazioni della gola e della vanagloria: le cogitazioni della gola sollicitavano ch'io mangiassi bene, le cogitazioni della vanagloria ammoniano che dimostrassi astinenza; ed io temendo lo stolto figliuolo della gola, lascia'mi vincere alla vanagloria, però che cognosco che nelli giovani è cosa ragionevole, che 'l vizio del demonio della vanagloria vinca lo demonio della gola, però che apo quelli che stanno nel mondo, la radice di tutti i mali è l'avarizia, apo gli monaci è la gola. Nelle persone spirituali spesse volte alcuni minimi vizii, gli qua' son sanza peccato, dispensativamente sono lasciati da Dio, acciò che per quelli minimi vizii, i quali sono sanza peccato, cioè sanza lasciamento della carità, vituperando molto sè medesimi, posseggano le impredabili ricchezze della verace umilità. Quegli che non sta sotto obedienzia in subiezione, non può in principio possedere umilità, però che ogni persona che vuole imparare arte da sua industria e per l'albitrio della sua propia volontà, è mestieri che fantastichi. Li padri santi diterminaro ragionevolmente, che la vita attiva si contenea in due generalissime virtù, cioè nella umile astinenza e nella semplice obedienzia, però che l'una uccide le delettazioni e concupiscenzie, e l'altra armando l'anima d'umilità, sì fa certa la uccisione; ed ancora per la verace umilità, la qual procede da obedienzia, discacciansi tutte le malignità. Operazione dell'anime piatose è di dare a qualunque persona gli domanda, ma dare a chi non domanda, conoscendo la sua necessità, questa è operazione d'anime più piatose; ma non radomandare in giudicio la cosa che è tolta, potendola acconciamente radomandare, questa è operazione de' perfetti. Cercando noi medesimi, in qualunque vizio ed in qualunque virtù siamo, non cessiamo d'esaminare se siamo nel principio o nel mezzo o nella finege. Tutte le battaglie delle demonia contra noi da una di tre cagioni procedono, cioè o d'amore di concupiscenzia delle cose delettevoli, o da superbia, o dalla loro invidia, e gli ultimi sono beati, ma li primi sono sempre inutili; coloro di mezzo in tutto son miseri, però che non ànno neuna scusa. È uno sentimento, e più propiamente parlando, è un'affezione ed uno abito e disposizione mentale, che è detto amatore e rapportatore di dolori, dal quale quello che n'è preso, non avrà paura e non si cesserà da neuno dolore. Di questo sentimento furono prese l'anime degli marteri, però portarono dolcemente tutti i tormenti. Altra cosa è la custodia delle cogitazioni ree, non lasciandole entrare, ed altra cosa è la conservazione della mente, combattendo di scacciare le ree cogitazioni che sono intrate, acciò che la mente non si contamini per esse, e quanta distanzia ae da oriente a occidente, tanto è più alta la prima che la seconda. Altra cosa è orare contra le cogitazioni ree, ed altra cosa è incontra rispondere e parlare ad esse, ed altra è disprezzarle e soprastarle. Il primo è delli comincianti, lo secondo de' proficienti, lo terzo è de' perfetti; ed al primo dà testimonanza la parola del Salmista, quando dice: Dio, intendi nel mio adiutorio, ed altre parole simili a queste; al secondo dà testimonanza, quando dice: Io risponderò a' miei avversarli parola contraditoria; e quando dice: Signore, àmi posto in contradizione agli nostri nimici; al terzo dà testimonianza, quando dice: Io amutolii e non apersi la bocca mia; ed ancora dice: Io puosi la guardia alla bocca mia, mentre che stava il peccatore contra di me; ed ancora dice: Li superbi andavano d'intorno a me pur malignando, e dalla tua contemplazione io non cessava. Il secondo spesse fiate usa il primo modo, però che non è sempre apparecchiato ad usare lo secondo modo, ma il primo non può collo secondo modo discacciare gli nemici suoi; ma il terzo al tutto ae abbattute le demonia. Impossibile cosa è che la sustanzia incorporale dal corpo sia terminata, ma a Dio creatore d'ogni cosa è possibile. Siccome gli uomini che ànno il buono odorato sentono le cose odorifere che altri porta secretamente, così l'anima monda sente la soavità e 'l buono odore delle grazie de' prossimi, le quali grazie ella ae già ricevute da Dio e possedute; ed ancora aguale sente il fetore delli vizii che sono in altrui, de' quali essa è liberata, non sentendole queste cose l'altre persone. Non è cosa possibile che ogni anima diventi e sia fatta impassibile, ma che ogni anima si salvi e riconcilisi con Dio, questo è possibile. Coloro li quali le secrete ed ineffabili dispensazioni e visioni di Dio fatte nell'anime curiosamente vogliono cercare ed investigare, e segretamente nel cuore loro dicono che Dio è accettatore di persone, questi son figliuoli della propia reputazione, della superbia e dell'arroganza. Il demonio dell'avarizia alcuna volta dimostra umilità, e lo demonio della vanagloria ammonisce di fare la limosina publicamente nel conspetto altrui; ma se saremo mondati da questi due vizii, non cessiamo di fare misericordia in ogni luogo. Alcuni dissono che le demonia fuggono le demonia, e per paura davano luogo l'uno all'altro; ma io conosco che tutti cercano la perdizione nostra. Ad ogni operazione spirituale visibile ed invisibile ed intellettuale è mestieri che gli vada innanzi lo proponimento propio e lo desiderio virtuoso fatto coll'operazione di Dio; e se queste cose non gli vanno innanzi, l'operazione non sarà spirituale, e se secondo che dice Salomone, ogni cosa ch'è sotto il cielo, ae propio tempo, maggiormente le cose spirituali deono avere propio tempo; e se tutti i fatti della monastica religione sono santi, conviensi in tutti cercare lo propio tempo, ed a questo è mestiere d'intendere, acciò che non cerchiamo neuna cosa innanzi al suo tempo, però ch'è tempo di libertade e di mondazione di vizii, cioè impassibilità, in quelli che combattono legittimamente; ed è tempo di passibilità e di battaglia de' vizii per la piccolezza de' combattitori; tempo di lagrime e tempo d'indurazione di cuore, tempo di subiezione e d'obedienzia, e tempo di comandare ed ordinare altrui; tempo da digiuno e tempo da refezione, tempo di battaglia col nimico corpo, e tempo di morte della 'nfocazione e del riscaldamento carnale; tempo di vemo dell'anima e tempo di quiete di mente; tempo di tristizia cordiale e tempo di gaudio spirituale; tempo di dottrinare e tempo d'altrui imparare; tempo di contaminazione per la superbia e per la propia reputazione, e tempo di purgazione e di mondizia per la umiliazione; tempo di battaglia e di punga e tempo di quiete certa; tempo di tranquilla remozione, e tempo di non occupante occupazione; tempo d'orare sanza intermissione, e tempo di servire sanza simulazione ed infignimento. Adunque le cose d'un tempo non le cerchiamo innanzi a quel tempo, essendo ingannati dalla superba prontezza; non cerchiamo di vemo quelle cose che sono di state; non cerchiamo nel tempo del seminare quelle cose, che sono nel tempo della mietitura, però che altro tempo è di seminare le fatiche ed i dolori, ed altro tempo di mietere le grazie ineffabili e segrete; e se non faremo così, non avremo nel tempo quello ch'è suo propio. Alcuni sono, che ricevono da Dio secondo la sua segreta dispensazione le sante remunerazioni delle propie fatiche innanzi che si affatichino; alcuni le ricevono nel tempo che si affaticano, alcuni le ricevono di po' la fatica, alcuni le ricevono nel tempo della morte. È da cercare qual di questi sia più umile, e la verità è che gli ultimi sono più umili. Alcuna fiata procede la disperazione dalla multitudine de' peccati e dal peso della conscienzia e dalla importabile tristizia, però che l'anima si sommerge dalla smisurata multitudine delle piaghe, e dal pondo loro s'assorbisce nel profondo della desperazione; ed alcuna fiata proviene la disperazione dalla superbia e dal levamento, quando ci reputiamo quasi indegni di quel cadimento che ne adiviene. Chi si pone a mente questa cosa, troverà la propietà in ciascuna, che colui si dà ad una insofferenza ostinata, questo altro prende la cagione della desperazione dalla sua virtuosa esercitazione, la qual cosa non è convenevole, quegli si medica per l'astinenza e per la fiducia della buona speranza, questo altro si medica e sanasi per l'umilità e per lo non giudicare neuno. Non ci conviene che ci turbiamo nè fuggiamo, quando vedemo che quelli che fanno l'opere maligne, dicono le parole buone, però che in paradiso la superbia e la prudenzia della propia reputazione esaltando quel serpente, lo fece dannare. In tutte le cose che ti studi di fare, che ti sieno commesse d'altrui, ed in tutte tue conversazioni o comandate d'altrui o non comandate, visibili od intellettuali, se tu vuoi conoscere se l'arai fatte secondo il piacere di Dio, questo sia forma e regola, che se noi da poi che avremo fatta quella cosa, non riceveremo più umilità nell'anima, che quella che noi in prima possedevamo, non pare a me che quella abbiamo fatta secondo il piacere di Dio, o grande o piccola cosa che sia stata; e questa è la certificazione del piacimento divino in noi, che siamo più piccoli. In quelli che sono nello stato del mezzo, è lo segno del piacimento divino lo cessamento degl'impugnatori e delle battaglie; ma in quelli che sono perfetti, la certificazione della divina volontà è lo diposito e l'accrescimento e la soprabondanzia del lume divino. Quelle cose che son picciole apo gli grandi, non sono al tutto picciolo, ma quelle che sono grandi apo gli piccoli, non sono al postutto perfette. L'aire purgato dimostra il sole chiaro, e l'anima liberata dalle sue presunzioni e fatta degna della remissione de' peccati, al postutto vide lo lume divino. Altra cosa è il peccato, ed altra cosa è la negligenzia, ed altra cosa è l'oziosità, ed altra cosa è il vizio, ed altra cosa è il cadimento; chi queste differenzie può cercare, per Dio cerchile saviamente. Sono alcuni, i quali sopra ogni cosa beatificano l'operazione de' miracoli e l'altre grazie spirituali, le quali si veggiono palesemente, non conoscendo che sieno altre grazie spirituali molto più grandi, le qua' sono occulte, e però non si possono perdere. Quegli che perfettamente è mondato, vede l'anima del prossimo in che cose è inchinata, ed in che ae posto l'affetto suo, quantunque non veggia essa anima sustanzialmente; ma colui che è proficiente e non è ancora perfetto, conosce conjetturando dell'essere dell'anima del prossimo per lo corpo, cioè per alcuni atti e modi corporali, e non perfettamente. Molte fiate uno piccolo fuoco purga molta materia, cioè molto pattume, siccome uno piccolo forame fae perdere tutto quello ch'era stato acquistato con molta fatica, e così è spiritualmente, che uno picciolo incendio della carità di Dio ch'entra nell'anima, consuma molta immondizia; ed uno picciolo vizio, al quale l'anima non resiste, la conduce in perdimento d'ogni grazia che avea. È uno riposo dalle impugnazioni carnali, che Dio dà ad alcune persone, il quale fa svegliare la virtù della mente; simigliantemente sono stimoli ed impugnazioni carnali date a quegli che l'ànno in odio, per lo quale odio fanno molta macerazione alla carne loro, acciò che non ci confidiamo in noi ne in nostra penitenzia, se non in Dio, il quale incognitamente mortifica la nostra viva carne. Quando noi vedemo che alcune persone amano noi secondo Iddio, studiamci d'avere ad essi grandissima reverenzia, e fugiamo d'avere inverso di loro audacia e fiducia di presunzione, però che non è niuna cosa che tanto discioglia l'amore e rechi lo dispiacimento e l'odio, quanto la presuntuosa confidenzia ed audacia. L'ottimo sguardo dell'anima è molto intellettuale sanza imaginazione e fantasia, e dopo lo isguardo delle sustanzie sanza corpo, cioè degli angeli, trapassa ogni altro sguardo imaginario; e però spesse fiate li viziosi li sentimenti che sono nell'anime altrui, poterono conoscere per lo molto amore che avevano ad essi, e spezialmente e maggiormente quando non erano sommersi sotto lo loto dell'amor camale, e se nulla cosa è che tanto s'opponga e resista alla natura immateriale, come la mente e lo 'ntelletto, quanto che la cosa materiale, chi legge intenda. Ponere cura in queste cose, che appaiono sensualmente nelli mondani, resiste alla divina providenzia, ma in noi monaci resiste alla intellettuale scienzia, e questi cotali infermi dell'anima essendo, riconoscono la superna visitazione di Dio inverso di loro per li pericoli corporali e per le tentazioni di fuori, ma li perfetti la riconoscono per lo spirito e per lo accrescimento delle grazie spirituali. Quando ci ponemo a giacere, è uno demonio che viene a noi, e colle maligne e sozze ricordazioni ci saetta, acciò che noi essendo tenuti dalla pigrizia, non ci leviamo ad adorare e non ci armiamo contra esso, ma adormentandoci ne' sozzi pensieri, veggiamo i sozzi sogni; ed è un'altro demonio, chiamato corriere delli spiriti maligni, il quale essendo noi svegliati, incontanente ci voca, anzi ci comprende, e lo primo pensiero della mente nostra contamina; e però ti sforza di dare a Dio le primizie del tuo dì, cioè li primi pensieri, però che 'l di sarà di quegli, che prima il prende. Uno virtuoso operatore disse a me una parola degna d'essere udita, che disse così: « Da essa mattina conosco tutto il corso del dì mio ». Molti sono li viaggi della salute e di piacere a Dio, e simigliantemente della perdizione, però che spesse volte adiviene, che alcuna cosa ad uno sarà pericolosa e contraria alla salute, la quale ad un'altro sarà prospera e convenevole, e la 'ntenzione di ciascuno sarà piacevole a Dio. Combattono con noi le demonia, che nelle tentazioni che a noi vegnono, facciamo o diciamo alcuna cosa sconvenevole, e se di questo non ci possono vincere, induconci che di quella vittoria che avemo di quelle tentazioni, ne rendiamo grazie a Dio superbamente, cioè che non l'attribuiamo tutta a Dio. Quelli i quali per virtù e per scienzia sanno le cose superne, essendo partite l'anime dalle corpora, ritornano suso alle cose superne, che amarono e desiderarono; e quelli i quali colla mente e coll'affetto sanno le cose terrene di sotto, se ne vanno alle luogora delle pene, e nullo mezzo è dato dopo lo partimento dell'anime. Una delle cose create ricevette l'essere in altra cosa e non in sè ed è cosa miracolosa, come ella ae natura di poter sussistere sanza 'l corpo, nel quale ricevette l'essere. Sono le sante figliuole virtudi parturite dalle madri virtudi, le qua' madri Dio solo generò, donandole; ed usare questa medesima regola nelli contrarii delle virtudi, cioè nelle vizia, non è insipienziaze. Moisè, anzi esso Dio, comandò nella legge che l'uomo che fosse troppo pauroso, non intrasse in battaglia, acciò che l'ultimo errore dell'anima non sia peggiore che il primo cadimento del corpo, e ragionevolmente. Della bene discreta discrezione Come lo cerbio molto riscaldato desidera le fonti dell'acque, cosi è desiderato dalli monaci lo comprendimento della volontà di Dio sopra quelle cose, che al loro stato s'appartiene, e non solamente di quello che a Dio piace, ma eziandio del contrario e di quello che è di mezzo modo; delle qua' cose ci è mestiere di fare lungo parlamento e forte ad interpretare, e non è maraviglia, però che voler sapere qua' sono le cose che a noi appartengono, le quali sanza dimoranza e sanza tardanza ci conviene di fare, secondo quella parola della santa Scrittura, che dice: Guai a quegli che indugia di di in di e di tempo in tempo; e qua' son le cose che ci convegna di fare molto mansuetamente e con gravità e circonspezione, secondo l'altra parola della Scrittura santa, che dice: La battaglia si vuole fare con molto senno; ed anche dice: Tutte le vostre opere sieno fatte onestamente ed ordinatamente; queste cose e le simiglianti, che sono gravi a discernere ed a conoscere subito, e bene e chiaramente e discretamente, non è opera di persona di comune stato, però che David, che avea Dio in sè e lo Spirito Santo che parlava in lui, spesse fiate di questo pregava Iddio, secondo che appare nelle parole che disse ne' salmi, che alcuna fiata disse: Signore, insegnami di fare la volontà tua, però che tu se' lo Dio mio; ed anche disse: Signore, dirizzami nella verità tua; ed anco disse: Signore, manifestami la via, per la quale io debba andare, però ch'io ae posposta ogni cura ed ogni sollicitudine e vizio, ed abbo levata a te l'anima mia. Tutti quelli, i quali sopra quelle cose che ànno a fare, vogliono conoscere la volontà di Dio e quello che a lui piace, debbono in prima mortificare li piacimenti e le volontà loro, e con fede e con simplicità pregare l'anime de' padri spirituali ovvero delli frati, e con umilità di cuore e sanza nulla dubitazione di pensieri dimandando, riceveranno quelle cose che essi consigliano, quasi fossero dette dalla bocca di Dio, quantunque le cose dette e consigliate da loro sieno contrarie al senno ed alla intenzione ed al piacimento loro, avvegna Iddio che quelli che sono domandati ed interrogati, non siano al tutto spirituali, però che non è ingiusto Iddio che inganni l'anime, le quali umiliandosi con fede e con innocenzia, si commettono al giudicio ed al consiglio del prossimo, però che se quelli che sono in questo modo interrogati, fossero inrazionali, quegli che parla in essi, è immateriale ed invisibile. Di molta umilità furono pieni quelli, li quali sanza dubitazione secondo questa regola sono andati, e se al profeta nel sonare del saltero li fue aperto e manifesto quello, che s'avea posto in cuore di sapere, dovemo pensare quanta differenza sia dalla mente razionale e dall'anima intellettuale al suono della cosa non animata. Molti sono, i quali non possendo andare per questo viaggio perfetto ed agevole per l'arroganza del cuor loro e per lo compiacimento di sè medesimi, volendosi studiare di comprendere in sè medesimi lo piacimento di Dio, indussero molte e varie autoritadi, e trovarono più modi, per li quali questa cosa venisse fatta. Alcuni di loro tennero questo modo, che la volontà e cogitazione loro fecero cessare da ogni affetto vizioso sopra quella cosa che voleano sapere, cioè che non si curavano più del sì che del no, ed offerendo a Dio la volontà loro nuda da ogni propio affetto, in certi dì participaro il conoscimento della divina volontà in uno di questi modi, ovvero che la mente intellettuale, come è l'angelo, parlava intellettualmente alla mente loro, ovvero che l'una delle due intenzioni perfettamente era stricata dell'anima, o l'affermativa o la negativa. Alcuni altri per la tribulazione che sopravenne e dissipoe tutto lo sforzo loro, che aveano messo per fare alcuna cosa, compresero che non era volontà di Dio che quella cosa fosse fatta, secondo le parole che santo Paolo scrisse alla chiesa di Tessalonica, dicendo: Volendo io venire a voi una fiata e due, impedimentimene Satanas. Alcuni altri per contrario per l'aiutorio non espettato, che sopravenne in questa cosa che voleano fare, compresone che fosse piacimento di Dio, secondo la parola che santo Paolo dice: Dio dà lo suo aiutorio a ogni uomo, che elegge ed ama di ben fare. Quegli il quale per illuminazione possiede Iddio in sè medesimo nelle cose sopra include e non espettate, non se ne vuole in questo secondo modo certificare, però che dubitare ne' giudicii delle cose e permanere sanza certificazione, le più fiate è segno d'anima non alluminata, ma amatrice di vanagloria, però che Iddio non è ingiusto, che ischiuda e cacci da sè quelle anime, le quali con umilità dimandano. La diritta intenzione debbono dimandare li uomini a Dio in quello che è da fare ed in quello che è da ritardare, però che tutte le cose monde da affetto vizioso e da ogni contaminazione, fatte propiamente per piacere a Dio e non per altro, pogniamo che non fossero al tutto in sè buone, a noi saranno imputate per buone, però che la 'nquisizione e 'l cercamento delle cose che sono sopra noi, non possiede sicuro fine, però che il giudicio di Dio de' fatti nostri è segreto ed ineffabile, però che spesse fiate dispensativamente, cioè per nostra utilità, vuole Iddio che ci sia nascosta la volontà sua, però ch'egli sa che se la sapessimo, non la ubidiremmo, anzi la discacceremmo e riceveremmone più battiture. Lo cuore diritto e libero dalla varietà delle cose, navicando nella nave della innocenza, sanza pericolo dell'anima navica. Sono alcune anime virili e forti, le quali per lo divino amore con umilità di cuore si sforzano di fare opere sopra loro potenzia, e sono alcuni coraggiosi superbi, che fanno questo medesimo; ma la intenzione de' nostri nimici si è d'induceme a far cose, che siano sopra la nostra virtù per farsi derisione di noi. Vidi alcuni che aveano inferme l'anime e le corpora, li quali per la multitudine dell'offensioni si sforzavano di fare nella conversazione dello stato loro quelle cose, ch'erano sopra la potenzia loro, alli quali io dissi che apo Dio la penitenzia era estimata secondo la quantità della umilità, e non secondo la quantità delle fatiche. Alcuna fiata lo nutricamento ch'è fatto della persona dal principio, gli è cagione degli ultimi mali; alcuna fiata ci è cagione la conversazione e la compagnia colla quale dimoriamo, ma spesse fiate l'anima perversa basta alla perdizione di sè medesima. Quegli che si parte e cessa dalle due prime cagioni, sarà libero dalla terza, ma chi avrà la terza, in ogni luogo sarà cattivo, però che niuno uomo è più fermo e più puro che 'l cielo. Da quelli che sono infedeli, e da quelli che non tengono la diritta fede, dopo la prima e seconda ammonizione cessiamoci; ma a quelli che vogliono imparare la verità, non cessiamo di bene fare insino in eterno, e l'uno e l'altro di questo facciamo a conservazione del cuore nostro. Molto è fuori di ragione quell'uomo, il quale udendo le virtù sopra natura che furono nelli santi, si dispera e perde sè medesimo; maggiormente per questo si dovrebbe correggere e recarsi ad una di queste due cose, che ovvero si dovrebbe sollicitare a seguitare li santi, confidandosi della santa fortezza di Dio, ovvero che dovrebbe inducersi a molta condennazione di sè medesimo, ed a conoscimento della infermità e fragilità che è con esso, per la tre fiate santa umilità. Sono alcuni demonii più maligni che i maligni, i quali non solamente ci consigliano che operiamo il peccato, ma induconci che ci traiamo altrui per farci meritare più gran pene. Vidi alcuno che apparò da un'altro una maligna usanza, e quegli da cui imparò, ritornando al senno, cominciò a fare penitenzia e cessossi dal male, ma per l'operazioni ree del suo discepolo, la sua penitenzia fu sanza fortezza. Molta è veracemente la malignità delli spiriti e da pochi visibile, e credo io che a quelli pochi non sia visibile tutta, siccome quando vivemo in dilizie e siamo satolli, spesse fiate vegghiamo meglio molto, e digiunando ed indebiliti miserabilmente siamo sommersi dal sonno; stando remoti e tacendo, avemo il cuore indurato, e colla compagnia siamo compunti, stando affamati ed attenuati per l'astinenzia, siamo dal sonno tentati, ed essendo satolli non semo tentati; stando in indigenzia e penuria, diventiamo scuri di mente e aridi e indevoti, e bevendo il vino, semo allegri e devoti e apparecchiati a compunzione; di queste cose, chi può, per Dio allumini coloro che sono sanza lume, però che noi di queste cotali cose ne siamo sanza lume; ma dicemoci questo, che questa cotale permutazione non è sempre dalle demonia, però che alcuna fiata è dalla complessione corporale. Di questa concidenzia delle cose predette, la quale è grave a discernere, preghiamo Iddio umilemente e puramente che la ne tolga; e se avendo fatta questa deprecazione per tempi a Dio, n'adiviene pur a quel modo che prima, conosciamo che questa cosa non è da demonio al postutto, ma è da natura, ma più fiate questa cosa è fatta in noi per divina dispensazione, imperò che Iddio per la benignità sua ne vuole visitare noi ingrati, quando stiamo entro nelle cose contrarie alla sua visitazione ovver volontà; e questo per torre a noi al postutto la superbia e la propia reputazione, però che non ci potemo gloriare che Dio ci vicitasse per nostro ben fare. Dura cosa e crudele è ricercare curiosamente il profondo de' giudici i di Dio, e veramente i curiosi navicano nel mare dell'arroganza e della superbia, e per la infermità di molti è da dirne alcuna cosa. Domandò alcuno ( uno di quelli che ànno occhi da vedere ) e disse: « Per che è che Iddio conoscendo innanzi il cadimento e 'l perdimento di alcuni, alcuna fiata gli adorna di grazie spirituali e di miracoli? » E quegli disse: « Acciò che tutti gli altri spirituali armasse di certezza e fermassegli in verità ». La legge antica siccome imperfetta comandò che l'uomo attenda a sè medesimo, ma lo nostro Signore Gesù Cristo siccome sopra perfetto comandò la cura e l'aiutorio del frate, quando disse nel santo Evangelio: Se peccherà in te il fratello tuo, e l'altre cose che seguitano. Se la tua correzione, anzi maggiormente lo reducimento a memoria, sarà monda da vizio ed umilemente fatta, non ti cessare di fare quello che Cristo disse, e spezialmente verso quelli che 'l ricevono; ma se a questo non se' pervenuto, almeno fa quello che dice la legge: Abbi cura di te, e non ti maravigliare, vedendo li tuoi amici diventare tuoi nimici quando gli riprendi, però che quelli che sono più vacui di timore e leggieri di senno, sono strumenti dell'opere delle demonia, massimamente contra coloro che sono nemici e riprenditori delle vizia loro. In una cosa che è in noi, a me viene maggior ammirazione, come è questo, che nell'opere delle virtudi avendo Iddio per aiutatore e li santi angeli, e nel contrario avendo solo il nimico demonio, noi c'inchiniamo più tosto alli vizii; ed io a queste cose cercare e trovare diligentemente, dicere non voglio e non posso. Se tutte le cose create servassero lo stato, nel quale furon poste nella creazione, l'uomo che è fatto alla imagine di Dio, come s'è accostato col loto, come dice santo Gregorions? E se alcuna cosa delle cose create è fatta altro ch'ella non fue creata, al postutto ciascuna cosa desidera la sua generazione; ma però che 'l Figliuolo di Dio venne a salvare la imagine sua e la carne fare immortale, ed acci data podestà d'essere fatti figliuoli di Dio, con ogni studio e con ogni industria ci doviamo sforzare di vincere col divino aiutorio le nostre concupiscenzie, acciò che lo loto della carne nostra riduciamo insieme coll'anima al conspetto di Dio; e chi a questo non prende studio, non à cagione di scusa, da poi che la via e la porta è aperta per lo merito della passione di Cristo. L'udito delle virtudi e delle perfezioni degli padri spirituali isveglia la mente e l'anima degli uditori a desiderio di seguitargli; ma l'udito delle dottrine loro ae natura di conducere quelli che ne sono desiderosi a seguitamento. La discrezione è lucerna delle tenebre, ed è riducimento a via di coloro, che ne sono errati, e illuminazione di coloro che palpano per la cechità. Quegli che è discreto, è trovatore della sanità e mondatore delle infermitadi. Secondo due modi suole adivenire, quando alcuni si meravigliano delle piccole cose, però che o egli n'è cagione la molta ignoranzia nella quale son posti, o egli è per cagione d'umilità che è in loro, però che quelli che sono umili, sempre magnificano ed esaltano li beni del prossimo. Studiamoci ed isforziamoci non solamente di combattere colle demonia, ma eziandio di soprastarli, però che colui che combatte, alcuna fiata sospigne, alcuna fiata è sospinto; ma quegli che soprasta, sempre perseguita il nimico. Quegli che vince le vizia, piaga le demonia, ma quegli che simulasi vizioso, questi per questa cosa inganna gl'inimici, e permane non impugnato da essi. Ad uno frate fu detta vergogna, e quegli non essendo turbato niente, anzi orando colla mente, cominciossi poi a lamentare di quella vergogna, che gli era detta, nascondendo la sua impassibilità per quella infinita passibilità. Un'altro frate, non avendo al postutto appetito di prelazione, se ne mostrò molto oppresso da quello desiderio. Come potroe parlare della castità di colui, che mostrò d'entrare nel luogo delle meretrici per cagione di peccato, e trasse la fomicazione a studio di virtù? Uno che dimorava in solitudine, essendogli portata una mattina per tempo una uva matura, incontanente che fue partito quegli che l'avea apportata, con grande empito la divoroe, non avendo di ciò niuno appetito, per dimostrarsi alle demonia ch'egli era goloso. Un'altro avendo perduto poche fronde di palma, tutto il dì s'infinse d'esserne dolente. Molto studio è mestieri a questi cotali, che volendo ingannare li demonii, non inducano in inganno sè medesimi. Veracemente questi son quegli, de' quali dice san Paulo: Come ingannatori sono reputati, ma sono veraci. Quegli che vuole offerere a Gesù Cristo il corpo casto e dimostrargli il cuore mondo, dee guardare bene sè medesimo con inirascibilità e con astinenzia, però che sanza queste due cose ogni nostra fatica è inutile. Come sono negli uomini diversi e differenti gli lumi degli occhi, così sono molte e differenti le obumbrazioni che si fanno nell'anima dal sole intellettuale, però che alcuna si fa per lagrime corporali, alcuna per lagrime intellettuali, alcuna per l'audito delle parole, alcuna per lo gaudio e per l'allegrezza mossa nell'anima, alcuna dalla remozione e dalla quiete, alcuna dalla obedienzia. Dopo queste è quest'altra: quando l'anima per lo ratto del proprio modo offera la mente a Cristo secretamente ed ineffabilmente nel lume intellettuale. Sono le virtudi e sono le madri delle virtudi. Chi à prudenza, combatte maggiormente a possedere le madri; delle madri solo Iddio n'è maestro colla sua propia operazione, ma delle figliuole molti ne sono maestri. Attendiamo a noi di questo, che l'astinenzia del cibo non ristoriamo per sonnolenzia, però che questo è opera degli stolti, ma il contrario è opera de' savii. Vidi alcuni operatori, che per alcuna circonstanzia condescendettono un poco al ventre, ed incontanente essi uomini virili e forti affrissoro e cruciaro la misera carne col vegghiare tutta la notte, istando in orazione, e da indi innanzi con gaudio si corressero, fuggendo la sazietà. Combatte acutamente il demonio dell'avarizia colli professori della povertà, e se non gli vince, allotta sì ci adduce, per cagione di poterli vincere, la cura e la pietà de' poveri, ed in questo modo quelli che erano, fatti immateriali, cioè fuori dell'impacci del mondo, gli volle fare essere materiali. Quando siamo contristati delli nostri peccati, acciò che 'l demonio non ci possa conducere in desperazione, ricordianci del comandamento che fece Cristo a san Piero, che perdonasse al peccatore sette volte settanta, e quello ch'egli à comandato ad altri che faccia, maggiormente lo ci farà egli; ma quando semo superbi, ricordianci della parola che dice santo Iacobo: Chi peccherà in una cosa, cioè in superbia, è fatto reo in prevaricazione di tutte le comandamenta di Dio per la inobedienza. Sono alcuni inganni degli maligni spiriti invidiosi, i quali volontariamente si partono dalli santi, acciò che non gli sieno cagione d'acquistare corone, avendoli molestati, ed essendo vinti da essi. Beati sono li pacifici, e niuno il contradice, ed io vidi essere beati quelli che operavano le nimistadi, però che due essendo legati insieme con affetto d'amore fomicario, uno diacono dottore di scienzia probatissimo ci seminoe tra loro odio, accusando l'uno all'altro, come fossero detrattori e maldicenti l'uno dell'altro, ed in questo modo questo sapientissimo con umana astuzia confuse la malizia del demonio, mettendo l'odio ed isciogliendo il legame fornicario. È alcuno, il quale lascia d'osservare uno comandamento per adempiere l'altro comandamento. Vidi due giovani legati insieme per affetto di carità secondo Dio, ma per non offendere la conscienzia altrui, si dilungaro l'uno dall'altro a tempo, certificandosi insieme della propia cagione. Come sono contrarie le nozze agli lamenti, così si discordano in sè medesime la disperazione colla superbia, ma amendue insieme sono dallo inganno delle demonia, accordati in uno animo contra noi. Sono alcuni de' maligni demoni, li quali immettono in noi la interpretazione ovvero esposizione delle divine Scritture, e questa cosa amano di fare ne' coraggi de' vanagloriosi, spezialmente di quelli che sono esercitati in dottrinare altrui, acciò che a poco a poco ingannandoli nelle resie e nelle biastemmie di Dio si grinducano, che dalla conturbazione che riceve l'anima, cioè quando non è ricevuta quella esposizione della Scrittura che pare all'uomo, intendimento che pare all'uomo avere ricevuto in sè medesimo dalla santa Scrittura sanza altro dottore, a queste cose dovemo conoscere che quella teologia, anzi machilogia overo vanilogia fu da demonia e non da Dio, però che li doni che sono da Dio, danno pace alla mente ed una allegrezza dentro piena di timore. Le cose fatte ricevono ordine e principio dal fattore, ed alcune ricevono il fine, ma la virtù possiede fine infinito, onde dice David, il quale fece gl'inni e li cantici de' salmi: D'ogni consumazione vidi la fine, ma ampio ed infinito molto è il tuo comandamento. Alcuni buoni operatori della virtù attiva andaron nella via della contemplazione, e se la carità non verrà meno, e il Signore guardi l'entrata del tuo timore e l'uscimento della carità tua, la possessione del fine suo veramente è infinita, nella quale crescendo noi, giammai non cesseremo nè in questo presente secolo nè nell'altro di prendere ed accrescere lume a lume e scienzia a scienzia, quantunque questo detto ad alcuni paia peregrino; ma pertanto io così dico, o beato. E non direi io che le sustanzie intellettuali, cioè gli angeli, fossero sanza profitto, ancora maggiormente determino di quelle, che sempitemalmente ricevono gloria e scienzia sopra scienza. Non ti maravigliare se alcuna fiata le demonia immettano gli buoni sentimenti, ed a questi sentimenti spiritualmente ci contradicano, imperò che la loro intenzione è per queste cose volere conoscere le intenzioni e le cogitazioni che sono nascoste nel cuore. Non volere essere amaro giudice di quelli, i quali con parole magnificamente amaestrano altri, vedendo essi, che ad operare sono più pigri, però che spesse fiate lo difetto dell'opera s'adempie per l'utilità della parola, però che non possedemo tutte le cose tutti noi igualmente, però che in alcuni abondano più l'opere che le parole, ma in alcuni abondano più le parole che l'opere. Il Signore non fece e non creò il male, però furono ingannati alcuni, che dissero che alcuni vizii erano naturali nell'anima, non cognoscendo che le propietadi poste nella natura sin da principio, e l'altre che vegnono dopo tempo, noi l'avemo trasportate in opere viziose; verbi grazia: il seme generativo fu posto in noi per la generazione de' figliuoli, e noi l'abbiamo trasportato in fomicazione e lussuria e concupiscenzia; lo furore irascibile è in noi contro agli serpenti e contro le vizia, e noi l'usiamo contra 'l prossimo; lo zelo è in noi per seguitare ed amare le virtii, e noi l'usiamo in male. Naturale è all'anima desiderare onore e gloria, ma la supema; per natura è superbire, ma contro alle demonia; simigliantemente è il gaudio, ma in Dio e per Dominedio e per le buone opere del prossimo. Abiamo ricevuto lo ricordamento delle ingiurie e lo desiderio delle vendette, ma contro all'inimici dell'anima; abiamo ricevuto il desiderio del cibo, ma non di divorazione e di lussuria e di troppo mangiare ed ebbrietà. L'anima ch'è sanza pigrizia, esercita contra sè le demonia, ma essendo moltiplicate le battaglie, sono moltiplicate le corone, e chi non sarà ferito dagli impugnatori, non sarà coronato. Quello che non si contrista e non si affatica sopra gli casi che gli occorrono, per la molta prontezza dello spirito, questo come legittimo combattitore sarà glorificato dagli angeli. Tre notti fece uno sanza vita in terra, cioè Cristo, e quegli che vincerà tre ore, non morrà, verrà alla eternale vita. Secondo la dispensativa correzione dopo il nascimento del sole in noi conobbe esso sole il suo tramontare, al postutto puose la tenebra nell'anima per lo nascondimento suo, e fu fatta la notte; ed in quella notte gli salvatichi catelli de' leoni trapassarono venendo a noi e partendosi la mattina, e tutte le bestie della selva, cioè li spinosi vizii, mugghiando per rapire da noi la speranza dell'aiutorio e della diliberazione, e dimandando a Dio l'esca loro; ma rinacque un'altra fiata il sole in noi della grazia per la oscura umilità, e le bestie sì ragunarono a sè medesime, e si sono ricollocate ne' letti loro nelli coraggi degli amatori delle concupiscenzie e non in noi. Allora diranno intra sè le demonia: « Iddio à rifatta grande misericordia con loro », e noi diremo ad essi: « Dio à fatta grande misericordia con noi, e siamo fatti allegri, perseguitando voi »; e poi sarà adempiuta in noi la profezia d'Isaia, quando disse: Ecco che 'l Signore sedrà sopra una nuvola leggiera, cioè in ogni anima levata da tutta concupiscenza terrena, e verrae nel cuore egiziaco, cioè prima tenebroso, e saranno levati tutti l'idoli manufattine. Se Gesù Cristo essendo onnipotente, fuggì corporalmente da Erode, correggansi gli audaci presuntuosi, che non mettano sè medesimi fra le cagioni delle tentazioni. Per questo intendimento disse il profeta nel salmo: Non dare in commozione il piè tuo, e non dormirà l'angelo che ti guarda. Alla fortezza sì ci si appicca il tumore, come s'appicca una spina al cipresso. Opera perpetuale sia a noi questa, che con una sottile intenzione della mente non cogitiamo possedere niuno bene, ma cerchiamo diligentemente la propietà di qualunque bene ci paresse d'avere, se ella è in noi; ed allora al postutto vedremo noi essere di lunge e strani da quel bene. Simigliantemente cerchiamo li segni delli vizii, e vedremo esserne molti in noi, perchè essendo noi infermi d'ogni infermità, non poterne conoscere noi medesimi nè fare quelli beni, i quali sarebbono a noi agevoli a fare. Questo adiviene o per la molta infermità o per lo profondo relassamento, o che l'uomo è molto abbandonato da Dio. Il nostro Signore Iddio giudica l'anime secondo il proponimento del cuor loro; ma quelle cose che sono fatte secondo la propia virtù ed operazione, ricerca benignamente. Grande è quegli, che niuna cosa minuisce nè lascia del bene, ch'egli può fare secondo la sua virtù, ma maggiore è quegli, il quale con umilità si sforza di fare que' beni, i quali sono sopra la sua virtù; ma lo demonio spesse fiate ne vieta col suo consiglio e suggestione, che non facciamo quelle cose che sono più leggieri, ed a noi sono convenevoli a fare, ed ammonisce che prendiamo a fare cose gravi ed inutili. Truovo io Iosep figlio di Iacob patriarca essere beatificato, però che fuggì il peccato, non per dimostramento della impassibilità. È utile a cercare in quali e in quanti peccati la fuga possegga la corona; però altra cosa è fuggire e schifare la malizia, ed altra cosa e più alta è correre e farsi innanzi al sole della giustizia. La oscurazione è cagione d'offendere e d'incappare, lo incappare è cagione di cadere, lo cadere è cagione di morire. Quelli che sono ottenebrati dal vino, sobriamente si svegliano coll'acqua, e quelli che sono ottenebrati dalle vizia, si svegliano colle lagrime. La ignoranzia oscura, la concupiscenzia fa dentro peccare, la delettazione fa cadere, lo consentimento deliberato fa morire, l'opera coll'uso fa putire. Altra cosa è la conturbazione della mente, ed altra cosa è la diffusione cioè dispargimento, altra cosa è la cechità; e la prima sana l'astinenzia umile, la seconda sana la remozione quieta e la orazione, la terza sana la obedienzia, e Cristo che fu fatto obediente infino alla morte. La concupiscenzia conturba, la soperchia sollicitudine scialacqua e disperge, la propia volontade accieca la mente. Noi estimiamo che sieno due purgazioni di quelli, che conoscono e desiderano le cose superne, come sono due purgazioni delle cose di terra. Allo lavare è assimigliato il monasterio che vive secondo Iddio, però che in quello si purgano e lavano le sozzure e la abitudine e la grassezza e la deformità dell'anima; al tignere è assimigliata la vita solitaria di quelli, che ànno posta giù la lussuria e la gola e lo rancore e lo furore, e dal monisterio trapassano alla quiete della solitudine. Alcuni dicono che ricadere in quelli medesimi peccati, de' quali fu uomo pentuto e confessato, addiviene però che non fece la penitenzia convenevole e condegna, e fecela, diminuta, la quale diminuzione resiste all'anima, che non li lascia far mondamento degli primi mali; ma è da cercare se è degnamente pentuto quegli che non ricade in quelli medesimi peccati, ma ricade in altri. Alcuni perciò ricaddoro, che li primi cadimenti erano seppelliti nel profondo dello scordamento, cioè ch'erano al tutto scordati, ovvero che per amore della concupiscenzia sospicaro che Iddio fosse tanto benigno, che non ci facesse punizione, e però che ànno rinunziato la salute loro; e se a me non fosse posto in difetto, io direi che d'allora innanzi questo inimico non possono legare, vincendo e facendo loro violenza la tirannia della consuetudine. Da cercare è quale è la cagione, che l'anima non può vedere le sustanzie spirituali secondo la natura che ànno, quando vegnono ad essa, essendo essa anima spirituale e non corporale; e la cagione potrebbe essere lo legamento, lo quale ae col corpo, il quale legamento solo lo legatore conosce. Dimandommi uno di quelli che ànno intendimento, e disse: « Insegnami che voglio imparare quali spiriti sono quelli, che ànno natura di umiliare, e quali sono quelli, che ànno natura di levare la mente de' peccatori »; ed affermando me essere di questa questione ignorante, quegli che voleva da me imparare, in poche parole insegnò a me e disse: « Io ti doe il fermamento della discrezione; da indi innanzi faticosamente cerca dell'altre. Lo spirito della fornicazione del corpo e dell'ira e della gola e dell'accidia e del sonno non levano in alto al tutto il corno della mente, ma lo spirito dell'avarizia e dell'amore del principare e della vanità e del molto parlare, e più altri sono usati d'aggiugnere male a male, cioè la superbia sopra quelli difetti che fanno operare, e lo spirito del giudizio sta appresso a questi ». Qualunque monaco andoe alle persone mondane, ovvero che le ricevesse, e della loro partita dopo ora e dopo dì ne ricevette saetta di tristizia e non maggiormente allegrezza, siccome persona liberata da impedimento ovvero da uno laccio, questi è gabbato ovvero schernito dal demonio della vanagloria ovvero della malignità. Dinanzi da ogni cosa cerchiamo onde viene il vento della tentazione, acciò che non estendiamo le vele da quella parte, onde non è mestiere. Priega li vecchi operatori per carità, li quali ànno affritto le corpora loro nella santa esercitazione quasi del continovo con poco intervallo, e sforza li giovani a fare astinenzia, li quali ànno consumate l'anime loro nei peccati, narrando loro la memoria delle pene etemali. Non è possibile a tutti da principio di purgare la gola e la vanagloria, ma impertanto incontanente non vogliamo per le delizie e per li conviti cacciare e vincere la vanagloria, però che questa vittoria della vanagloria partorisce pur vanagloria; ma dico delli cominciatori, che ànno bisogno d'essere ammaestrati maggiormente; adunque maggiormente per indigenzia e povertà orando interpelliamo contro ad essa, però che verrà ora, e già è a quelli che vogliono, che Iddio la metterà sotto i piè nostri, e la ci farà vincere e conculcare. Non sono impugnati i giovani di quelli propii vizii, de' quali sono impugnati i vecchi, ma ispesse volte ànno infermitadi contrarie al tutto; però beata, beata, beata l'umilitade, però che essa è certa e vera e ferma medicina alli giovani ed alli vecchi contro ogni infermitade. Non ti turbare di questa cosa, che aguale ti diroe. Rade sono l'anime diritte e sanza malignitade liberate della malizia, della ipocrisia e dell'avolteria, alle quali è contrario il conversare con gli uomini, li quali stando con uno che sappia guidare, quasi da uno porto di quiete solitaria possono intrare in cielo, e non abbisognano di sopportare le turbazioni de' rumori e degli scandali, che sono nelle congregazioni delle monasteria, ma abbisognano di non provarle; li lussuriosi possono essere sanati dagli uomini, li maligni dagli angeli, li superbi da Dio. Quasi una specie di carità alcuna fiata pare lasciare fare al prossimo che viene a noi, tutto quello che vuole, dimostrando noi di ciò tutta allegrezza; ma è da cercare se la penitenzia è discioglitiva delli beni come delli mali, in qual modo e quanto e quando. Molta discrezione ci conviene avere, acciò che sappiamo quando è da stare fermi a contastare ed in qua' cose, ed infino a qua' cose dovemo combattere colle materie delle vizia, e quando dovemo ristare, però che alcuna fiata è buono fuggire innanzi che vegna la battaglia per la nostra infermità, acciò che non periamo nella battaglia. Attendiamo e guardiamo in qual tempo ed in qual modo il fiele potremo votare e trarre del cuor nostro per l'amaritudine, e la superbia per le riprensioni, e qua' demoni son quelli che esaltano, e qua' son quelli che umiliano, e qua' son quelli che indurano, e qua' son quelli che consolano, e qua' son quelli che ottenebrano, e qua' son quelli che si mostrano d'alluminare, e qua' sono quelli che fanno diventare altrui pigri, e qua' son quelli che son maliziosi e qua' son quelli che ci contristano, e qua' son quelli che ci allegrano. Quando dal principio, essendo intrati in vita religiosa, ci vedremo essere più viziosi, che non eravamo nella nostra conversazione mondana, non ci sbigottiamo, però che è mestieri che in prima si rimuovano tutte le cagioni delle materie delle vizia, e da poi venire la perfetta sanità; ma infino a quel tempo le bestie stavano nascoste e non si poteano vedere. Quelli che sono appressati alla perfezione, se alcuna fiata per alcuno accidente in alcuna piccola cosa son vinti dalle demonia, con ogni industria si studino di rapire incontanente cento tanti ad essi, cioè di fare molto meglio che prima. Secondo che le ventora alcuna fiata conturbano la parte di sopra del mare per lo tranquillo soffiare, ed alcuna fiata conturbano il profondo per la forte importunitade così pare a me che sia delle oscure e tenebrose ventora della malignità, però che 'l sentimento del cuore delli viziosi tutto il fanno tempestare, ma di quelli che sono proficienti, turbano la superficie della mente; però questi la propia tranquillità sentono essere ferma sanza essere contaminata. Propia cosa delli perfetti è conoscere sempre nell'anima, quale è la cogitazione e la intenzione della coscienzia, e quale è la immissione di Dio, e quale è la immissione delle demonia, non mettendo da principio tutte cose contrarie. Qui finisce il capitolo della discrezione, il cui lume addirizza l'anima alle cose celestiali, e conducela suso senza ruina e cadimento. Ancora del grado ventesimo sesto Questo seguente capitolo è una recapitulazione breve delle cose sopradette della discrezione. La fede ferma è madre dello abrenunziamento delle cose mondane, e lo contrario è manifesto. La certa speranza è porta di non avere affetto di neuna cosa nè amore viziosamente, e lo contrario è manifesto. La carità di Dio fa l'anima essere peregrina a questo mondo, e lo contrario è manifesto. La obedienzia e la subiezione nasce dalla negazione e dalla condennazione di sè medesimo, e dall'appetito della sanità spirituale. La madre dell'astinenzia è lo attento pensiero della morte, e la fissa memoria del fiele e dell'aceto del nostro Signore Gesù Cristo. Aiutatrice della continenzia è la tranquillità e l'orazione e lo stare remoto; la impugnazione della infiammazione della carne è lo digiuno umile, la combattitrice e la repugnatrice delle laide e sozze cogitazioni è la contrizione della mente, la fede e la peregrinazione son morte dell'avarizia, la compassione e la carità derono il corpo, la devota orazione è morte dell'accidia, la memoria del giudizio è operatrice della prontezza a ben fare, la medicina del furore è l'amore delle vergogne e lo canto consolato deglinni della chiesa. La compassione e la povertà sono soffocamento dell'ira e della tristizia, la contemplazione delle cose intellettuali è temperamento de' diletti sensuali, lo silenzio e la quiete sono espugnatori della vanagloria; ma se tu stai nello stato di mezzo degli proficienti, cerca la vergogna e sì la seguita. La superbia visibile si la medicano gli contrarti e contristanti accidenti, ma la invisibile medica solo Iddio invisibile. Delle bestie sensibili intoscate lo cerbio sì n'è ucciditore, ma di tutte le intelligibili l'umilità. Una delle cose che sono sensibili colle propietadi che sono secondo la sua natura, efficacemente e manifestamente dà ad intendere le cose intelligibili. Come è impossibile che il serpente si spogli del cuoio vecchio, s'egli non entra per lo forame stretto, così noi non gitteremo le nostre antiche male usanze e lo vestimento dell'uomo vecchio e i modi viziosi, se non andiamo ed intriamo per la via stretta ed angosciosa del digiuno e della mortificazione delle sensora e della propia volontà e delle vergogne. Siccome alcuni animali volatili, però che ànno molta carne, non possono volare in cielo, così adiviene a coloro, che la carne loro notricano in delizie ed in dilettanze. Come lo loto secco non dà dilettanza alli porci, così la carne mortificata non dà quiete alle demonia. Come la moltitudine delle legne umide fa molto fummo, e spesse fiate affoga e ispegne la fiamma del fuoco, così la tristizia sopra misura molte fiate fa l'anima piena di fummo e tenebrosa, e disecca l'acqua delle lagrime. Come il cieco è reprobo saettatore, così il discepolo che contradice e litiga, sarà perduto. Come il ferro provato può arrotare il ferro molle, così lo frate sollecito spesse volte fa salvare lo frate negligente. Come l'uova messe sotto al letame ovvero stabbio fanno li pulcini, così le ree cogitazioni non manifestate prorompono e pervegnono nell'opere. Come li cavalli correndo insieme, è sollicitato l'uno dall'altro e confortato, così la congregazione e la buona compagnia sè medesima sollicita a ogni ben fare. Come le nuvole nascondono il sole, così le maligne intenzioni oscurano e fanno perdere la mente. Come l'uomo che è sentenziato e va a ricevere la morte, non parla degli spettacoli, cioè delle cose belle che pendono per la via, così l'uomo che veramente piange, non si curerà giammai del ventre suo. Come li poveri, vedendo gli tesori degli re riconoscono più la povertà loro, così l'anima udendo e leggendo le virtù grandi delli padri santi, al postutto si umilia più, tenendosi più vile. Come il ferro va alla calamita non volendo, ed obbedisce, però che è tratto dalla secreta virtù della natura, così coloro, che sono qualificati e compresi dagli vizii e dagli modi ed usanze ne, le quali aveano seguitate per la propia volontà, sono tirannizzati e sforzati da essi. Come l'olio non volendo fa diventare lo mare mansueto e placabile, così il digiuno spegne le infiammazioni del corpo, che non sono volontarie. Come l'acqua essendo messa nelli condotti stretti corre in alto, così l'anima molte fiate essendo stretta per li pericoli, sale a Dio per penitenzia e salvasi. Come quello che porta le spezie odorifere, non volendo egli, è conosciuto dagli altri per l'odore, così quegli che ae lo spirito di Dio, per l'opere e per l'umilità si fa manifesto. Come il vento conturba l'abisso, così il furore sopra tutti gli altri vizii conturba la diliberazione della mente. Come le cose, le quali l'uomo non vede cogli occhi, per lo solo audito non le desidera molto d'assaggiare, così quelli che sono casti e vergini del corpo, ànno molto leggieri tentazioni di carne. Come li furi non entrano leggiermente a furare in quella casa, là dove veggiono poste l'armi reali, così quegli che congiugne l'orazione al cuor suo, formandola secondo la necessità che a sè sente, non patisce leggiermente depredazione dalli ladroni intellettuali. Come la neve non produce fiamma, così quegli che cerca onore in questa vita presente, non goderà dell'onore dell'altro secolo. Come uria favilla di fuoco spesse fiate arde molta materia di selva, così si truova uno bene che può estricare moltitudine di grandi offensioni. Siccome non si può uccidere una forte bestia sanza l'arme, così sanza l'umilità non si può possedere la inirascibilità. Come secondo natura non si può vivere sanza cibo, così infino alla morte non si conviene essere negligente chi si vuole salvare. Siccome gli raggi del sole, entrando per la finestra in casa, ci alluminano, sì che ci vedi allora volare la sottilissima polvere, così quando lo timore di Dio viene al cuore, tutti li peccati e difetti suoi li dimostra. Come quelli pesci che si chiamano granchi, non si possono sforzare d'andare velocemente, però che alcuna fiata vanno innanzi, ed alcuna fiata tornano adietro, e però leggiermente si prendono, così l'anima che alcuna fiata ride ed alcuna fiata piagne, ed alcuna fiata, usa le dilizie, ed alcuna fiata s'affrigge colle penitenzie, non può andare innanzi neente. Come quegli che dormono, agevolmente son rubati, così quegli che allato al mondo operano le virtù e fanno vita religiosa, patono il simigliante. Come quegli che combatte col leone, se rivolge gli occhi in altra parte, al postutto perde; così adiviene a quegli che ae a combatter colla carne sua, s'egli la vuole nutricare e quietare. Come quegli che sale nella scala fracida e vecchia e tarlata perisce, così sotto gli onori e la gloria e le prelazioni e la fama perisce quegli che l'ama, però che l'amore di queste cose è contrario alla verace umilità, e colui che ae questo amore, è mestiere che caggia in pericolo. Come è impossibile che l'uomo affamato non abbia memoria del pane, così è impossibile non ricordarsi della morte e del giudizio quegli che è sollecito della salute dell'anima. Come l'acqua estrica e consuma le lettere, così la grazia delle lagrime può estricare e distruggere l'offensioni e le colpe. Come sono alcune lettere, che non si possono spegnere coll'acqua, ma distruggonsi per altro modo, così sono alcune anime, le quali non posson lagrimare nè piangere, ma per la tristizia e per l'amaritudine e per la molta contrizione e 'l dolore e li sospiri lavano e stricano li peccati. Come la moltitudine delle stercora genera la moltitudine di vermini, così la moltitudine de' cibi genera la moltitudine di cadimenti e di maligne cogitazioni e di sogni. Come quegli che à legati i piè, non può acconciamente andare, così quegli che tesaurizza la pecunia, in cielo non può entrare. Come la piaga recente e calda leggiermente si medica e sana, così le piaghe vecchie di molto tempo patiscono il contrario, e sono forti a sanare, avendoci la cura della medicina. Come non è possibile che l'uomo morendo vada, così chi si dispera è impossibile che si salvi. Quegli che ae la fede dritta ed opera gli peccati, è assimigliato a quegli che ae il volto sanza occhi, ma quegli che non ae la fede e fa alcune buone opere, è assimigliato a colui che mette l'acqua nel vaso forato. Come la nave che à buono governatore, sanza pericolo entra in porto, così l'anima che à buono pastore, quantunque abbia commessi molti mali, leggiermente entra in cielo. Come quegli che non à guida, quantunque sia savio, leggiermente erra nella via, così quegli che per sua volontà e propio arbitrio presume di seguitare vita monastica, se avesse tutta la sapienzia del mondo, leggiermente si perde. Quegli ch'è infermo del corpo, ed ae operate crudeli offensioni, vadasi per li viaggi della umilità, però che in altro modo non si può salvare. Come quegli che è infermo di lunga infermità, non può in uno battere d'occhio ricevere e possedere sanità, così lo 'nfermo delle passioni delle vizia non può subitamente soprastare e vincere le vizia. D'ogni vizio e d'ogni virtude abbi il segno della sua quantità, cioè del principio e del mezzo e del fine, ed in questo mezzo conoscerai il tuo profitto, cioè quanto se' proceduto in bene o in male. Come quelli che cambiano l'oro allo loto, patiranno il danno, così quelli che narrano e manifestano le cose spirituali per le temporali. La remissione de' peccati molti ricevettono subitamente, ma la impassibilità niuno la può subitamente possedere, però che si richiede molto tempo e desiderio coll'operazione di Dio e l'aiutorio della grazia. Cerchiamo quali sono le bestie ovvero uccelli, che li nostri frutti assediano mentre seminiamo, e quali mentre che sono in erba, e quali nel tempo della mietitura, acciò che sappiamo porre li lacci convenevoli por prenderli. Come non è convenevole che quegli che ae la febbre, uccida sè medesimo colle propie mani, così non è convenevole che infino alla morte l'uomo si disperi. Come che l'uomo ritornando da seppellire il padre, se va alle nozze è svergognato, così è cosa sconvenevole che quelli che ànno a piagnere i peccati loro, cerchino di prelazione e onore e riposo e gloria in questo mondo dagli uomini. Siccome altre sono l'abitazioni degli cittadini ed altre quelle degli contadini, così al postutto conviene che sia diverso lo stato e 'l modo di vivere di quelli, che piangono li peccati loro, per li quali sono obligati a pena, da quelli dell'innocenti. Come lo re non fa cacciare della cavalleria quello cavaliere, che ae ricevute le crudeli ferite in faccia nella battaglia, anzi più l'esalta, così lo monaco che à patito molti pericoli dalle demonia, lo re celestiale lo incoronerà. Lo sentimento dell'anima è la sua propietà, ma il peccato percuote il suo sentimento. La sensificazione, cioè l'operazione del sentimento, genera la cessazione ovvero la diminuzione del male, ed essa sensificazione nasce dalla conscienzia. La conscienzia è parola e ragione e reprensione del nostro custode angelo dato a noi nel battesimo; e però è che quelli che non ànno la illuminazione del battesimo, non sono tanto ripresi nè percossi nella mente del male che fanno, ma molto più oscuramente. Lo menimamento del male genera abrenunciamento del male, e questo è principio di penitenzia; il principio della penitenzia è principio di salute, il principio di salute è il proponimento buono; il proponimento buono è portatore delle fatiche e de' dolori, e questo è principio delle virtudi; il principio delle virtù è lo fiore, ed elli è principio delle operazioni. La pullulazione delle virtù è l'attenzione e continuazione dell'opera, ma lo frutto dell'attenzione è continuata meditazione e l'abito; lo figlio dell'abito è la qualificazione del bene, ed essa è generatrice di timore. Lo timore partorisce l'osservanza dei comandamenti di Dio, la custodia de' comandamenti è segno di carità, il principio della carità è moltitudine d'umilità, la moltitudine dell'umilità è pullulazione d'impassibilità, la sua possessione è pienitudine di carità, la quale è perfetta inabitazione di Dio in coloro, che per la impassibilità son mondi di cuore, però ch'essi vedranno Iddio. A lui sia onore e gloria col Figliuolo unigenito e vivificante Spirito Paraclito ora e sempre e in saecula saeculorum. Amen. Grado XXVII Della quiete dell'anima e del corpo Noi, li quali siamo quasi servi perpetuali e servi ricomperati dalle immonde vizia, per questi infrascritti modi conoscemo particularmente le fraude e gli inganni e i modi e le comandamenta e l'astuzie degli spiriti, li quali ingiuriano la nostra misera anima. Alcuni sono, li quali per operazione dello Spirito Santo essendo alluminati, e per la liberazione da esse vizia che aveano ricercata, compresono le machinazioni e le 'ndustrie d'essi spiriti, ed è alcuno, che per lo dolore che è nella infermità delle vizia, albitra e comprende lo riposo della sanità e libertà d'esse vizia; ed è alcuno, il quale da buono animo e da buona disposizione della sanità mentale che ae in sè, comprende l'affezione della tristizia e l'ansietà, ch'è nella infermità delle vizia. Noi adunque come infermi avemo pavento ora in questo sermone del porto della quiete altamente parlare, sappiendo che uno cane, cioè una demonio, sempre sta dinanzi alla mensa della buona conversazione, cioè della buona disposizione ch'è nell'anima, del volere bene operare; il quale, come sapete, si studia e pruova di rapire di questa mensa il pane, cioè l'anima, lo quale pane avendolo preso con bocca, va correndo per mangiarlo in quiete; ed acciò che noi per lo nostro parlare della bellezza della quiete non diamo luogo a questo cane, e non diamo cagione di male a quelli che la cercano, estimiamo di non essere licito di far parlamento e disputazione di pace a quelli combattitori dello re nostro, gli quali con buono animo stanno nella battaglia nello stato della obedienzia, ma solo questa parola a loro diciamo, che a quelli che combattono bene e diligentemente, sono riposte di pace e di tranquillità doppie corone; ma se a voi pare; per modo di discrezione diremo alcune poche cose di questa quiete, acciò che alcuni non si contristino, se in mezzo di questo libro lasciamo di fare non esercitato ed ignudo parlamento e trattato di questa materia. La quiete del corpo è uno stato fisso ed ordinato de' costumi e de' sensi fatto scientemente; la quiete dell'anima è scienzia delle cogitazioni. L'amico della quiete è una virile e forte e dura cogitazione, la quale sta nella porta del cuore vegghiante e non dormente, e tutte le cogitazioni contrarie discaccia ed uccide. Quegli che è quiescente in sentimento di cuore, conosce la detta parola; ma quegli che ancora è parvolo, non à gusto nè notizia di questa cosa. Lo quiescente intellettuale non abbisogna di parole per suo maestro, però che per l'opere sue riceve più lume e magisterio che non riceverebbe per le parole altrui. Lo principio della quiete è discacciare con umile orazione gli strepiti e gli fragori, che gli spiriti maligni operano per impaurire, li quali quasi conturbano lo profondo della mente, ma la fine e la perfezione d'essa quiete è non temere gli tumulti, ma soprastare ad essi come non gli sentisse. Quegli che è amatore di quiete, se esce fuori di cella, non esce fuori di silenzio per parlamento, però che è tutto mansueto e casa piena di carità, ed è forte cosa a muoverlo a parlare, ed è immobile a furore naturalmente, e lo contrario è manifesto in quegli che non è amatore di quiete. Quiescente è quegli, lo quale la cosa che è incorporea, siccome la mente e l'anima, combatte di circonterminare e concludere nella casa corporale, chiudendogli le porte delle sensora, la qual cosa è sopragloriosa. La gatta pigliatrice fa l'agguato per prendere il topo; così la 'ntenzione del quiescente sta attenta per potere prendere in sè le immessioni del sorcio intellettuale, cioè del demonio. Non avere per vile questo esempio, però che se questo non cognosci, non cognosci ancora la quiete. Il monaco solitario corporalmente sarà così monaco, come lo monaco che è attendente e stante congiunto al monaco compagno corporalmente ed a Dio mentalmente, però che lo monaco solitario per le molte e continue e forti battaglie che pate degli maligni spiriti, abbisogna di molta sobrietà e vigilia e di continua orazione, e d'avere la mente sanza ogni elazione, le qua' cose non s'acquistano leggiermente; ed allo primo monaco spesse frate è stato bisogno e aiutorio l'altro monaco, ed al secondo à dato aiutorio l'angelo. Le virtù intellettuali ministrano ed amano d'abitare nello quiescente spirituale sopradetto, ma lo contrario taceroe. L'altezza delle divine Scritture è uno pelago profondissimo, e la mente del quiescente sanza pericolo non salterà in esse. Non è cosa sicura col vestimento nel pelago notare, e così non è cosa sicura l'uomo che à lo vizio, la teologia toccare. Lo corpo del quiescente è circonscritto e determinato nella cella sua, ma dentro da sè è la casa della sua scienzia, e quello che è infermo delle vizia spirituali, e studiasi d'andare alla quiete solitaria, lasciando lo monasterio, è assimigliato a quello, che della nave si getta nel pelago, pensando con una tavola sanza pericolo venire alla terra. Quelli, li qua' vincono le propie volontadi, e combattono valentemente contro lo loto della carne, a questi nel propio tempo verrà la quiete, avendo essi conduttore che li regga, però che a loro bisogna d'essere disolati della fortezza angelica; e parlo de' veraci quiescenti dello spirito. Lo quiescente negligente parlerà e dicerà menzogna, però che darà ad intendere ad altrui per certi atti oscuri, che esso intenda alla quiete, la qual cosa non fa; e lasciando la cella, ne incolpa le demonia, e non conosce che s'è fatto demonio a sè medesimo. Io vidi li veraci quiescenti, li quali per la molta quiete lo infiammato desiderio loro verso Iddio insaziabilmente riempievano, accrescendo e partorendo fuoco a fuoco ed amore ad amore e desiderio a desiderio. Lo quiescente verace è una imagine e una representazione d'uno angelo terreno, però che essere desolato, cioè sanza consolazione d'alcuno, bisogna che l'uomo abbia fortezza d'angelo; seguitandolo quanto è possibile ad esso, lo quale colla carta del desiderio e colle lettere della sollicitudine libera la sua orazione dalla pusillanimità e dalla negligenzia. Quiescente è quegli, lo quale coll'opere manifestamente ed efficacemente chiama: Apparecchiato è lo cuor mio, Signor mio, apparecchiato è lo cuor mio. Lo quiescente è quegli che dice: Io dormo, e lo cuor mio vegghia; chiude la porta della cella al corpo, e la porta del parlamento alla lingua, e la porta dentro alli spiriti. La tranquillità del mare e l'ardore del sole nel mezzo die prova la pazienzia del marinaio, e la penuria delle cose necessarie dimostra la quiete dello quiescente, però che 'l marinaio ansiato dalla tristizia, poichè non può navicare in quel tempo, gittasi nell'acqua a notare; e lo quiescente insofferente per accidia, scrollato quando ae la penuria, si confonde e mettesi tra la moltitudine delle genti. Non temere li strepiti nè li giuochi delli tumulti e delli fragori dei suoni, però che l'anima che à lo pianto, non si conturba e non à paura. Quegli la cui mente veracemente ae imparato d'orare, questi essendo fatti dinanzi a Dio, parlano con esso, come quelli che parlano all'orecchie al re, ma quegli la cui bocca ora, sono assimigliati a quelli, li quali innanzi a tutta la corte slnginocchiano dinanzi al re. Quelli che vivono o conversano nel mondo, sono come coloro che priegano il re in mezzo del tumulto e in mezzo di tutto il popolo. Se tu ài imparata l'arte d'orare saviamente e regolarmente, non sarai ignorante di questo che è detto. Tu, solitario, sedendo in alto luogo, cioè avendo levata la mente dalle cose terrene, raguarda in te medesimo, se tu lo sai fare; ed allora vedrai come e quando ed onde e quanti e qua' sono li furoni, che vegnono a furare i frutti dell'anima: e quando la mente e la intenzione sarà faticata in questi pensieri a cercare le 'nsidie e le diversitadi delle malizie, che li demoni ordinano contro all'anima, allora si levi a stare in orazione; di po' l'orazione, sedendo, ripigli virilmente l'operazione prima di pensare le sue miserie. Alcuno ch'ebbe la sperienza di queste cose, inquirendo e diligentemente e sottilmente, ne volle parlare, ma temette, acciò che gli operatori che sono atti ad affaticare lo corpo nell'orazione, non gli facesse diventare negligenti, e quelli che avenno intenzione d'eleggere quello stato, non gli abbattesse col suono e collo strepito delle parole. Quegli che della quiete saviamente e sottilmente narra ed esponendo notifica, fa le demonia surgere e levare contra sè, però che nullo altro può manifestare le loro laidezze e le loro sconvenienze come questi. Quegli che perfettamente è pervenuto alla quiete, questi conosce l'abisso e la profondità de' divini misterii, ed a questo conoscimento non perviene, se in prima li tumulti delle battaglie e le ventora delli spiriti, cioè le immessioni delle demonia, non vide nè udì nè senti sopra sè. Questa cosa, cioè il conoscimento de' divini misterii, santo Paulo apostolo chiama il ratto, però che se non fosse intrato in paradiso, quasi nella quiete della mente, non arebbe udite l'arcane segrete parole. L'orecchio della quiete riceve cose grandi, che trapassano le sensora; e però essa sapientissima quiete dice nel Iob: Quando è che lo mio orecchio non riceva da Dio cose grandi e trapassanti? Quiescente è quegli che fugge la conversazione d'ogni persona sanza odio, come quegli che è negligente, si trae innanzi a conversare prontamente, non volendo ricevere il mozzamento della divina dolcezza. Va e dispergi tutte le cose che tu ài, però che 'l vendere ricerca tempo, e dà agli poveri e infermi e bisognosi monaci e alle persone vergognose, acciò che con l'orazione t'aiutino per venire alla quiete, e togli la croce tua portandola per obedienza, e sostieni fortemente lo mozzamento della tua volontà, e poi vieni e seguita me all'adattamento della beatissima quiete, ed insegnerotti la visibile operazione e conversazione delle virtudi intellettuali. Queste virtù intellettuali non si saziano in saecula saeculorum di laudare sempitemalmente lo Creatore, così quegli ch'entra nel cielo della quiete simigliantemente; e come quelli immateriali non sono solliciti delle cose materiali, cosi questi, cioè li quiescenti, li quali essendo materiali per sustanzia ed immateriali per l'affetto, non saranno solliciti delli cibi corporali; e come quelli primi, cioè gli angeli prima nominati, non mangiano cibo corporale, così li secondi cioè li quiescenti, non abisognano della richiesta di niuno uomo. Quelli primi non saranno solleciti di possessioni nè di pecunia, nè questi quiescenti non si curano dell'afflizioni delli spiriti maligni. Non è in quelli celestiali desiderio di visibili creature, nè in questi terreni non è desiderio d'aspetto di bellezza sensibile. Giammai quelli proficienti dalla carità cesseranno, nè questi cesseranno di volersi ad essi continuamente accostare. Non sono apo quelli celate le ricchezze del profitto e dell'accrescimento, nè a questi sarà celato l'amore di salire a Dio, e non poseranno li quiescenti infino a tanto che vegnano alli serafini, e non cesseranno d'affaticarsi infino a tanto che sieno fatti angeli. Beato quegli che questo spera; tra tanti beato chi a ciò si studia, angelo chi lo comprende. Della differenzia che è infra li quieti Manifesto è ad ogni persona discreta, che negli stati di tutte le scienzie e de' modi e dell'oppenioni e deliberazioni e delli consigli sono le differenzie, però che ogni persona non a tutte le cose perfette per lo difetto dello studio e della sollicitudine e per la poca e debile virtù; e così è in questo stato della quiete, però che sono alcuni, i quali in questo porto della quiete e maggiormente pelago e profondo entrano per curare le 'nfermità della bocca loro e le male consuetudini del corpo loro. Alcuni altri prendono questo stato per la incontinenza che ànno del furore, dal quale essi miserabili, stando tra la moltitudine, non si possono contenere; alcuni altri entrano in questo stato per lo piacimento e regolazione della propia volontà e per la confidenzia di sè, e maggiormente perchè vogliono navicare, essendo superbi per loro propio senno. Alcuni altri prendono questo stato, però che in mezzo della materia stando, non si possono astenere dalle materie. Alcuni altri prendono questa vita per diventare più solliciti a' fatti dell'anima loro, stando remoti e solitarii. Alcuni altri prendono questo stato per fare segretamente penitenzia delli peccati loro; e sono alcuni, i quali prendono questo stato per acquistare più gloria e onore, e sono altri, dei quali forse che ne sono alcuni, li quali venendo lo Figliuolo di Dio truovi sopra la terra, che per desiderio di Dio e per dilettamente della carità e della santa dolcezza di Dio si sono congiunti ed apparecchiati a questa santa quiete, e questo non fecioro, se prima non dierono lo libello del repudio quasi ad ogni accidia, però che l'accidia è reputata fornicazione apo la perfetta quiete. Secondo la imperfetta e picciola mia scienzia, come maestro poco savio abbo fabricata e posta questa scala di questi gradi a salire alla perfetta quiete; però ciascuno pensi e veggia in quale grado della quiete sta. Li gradi detti distintamente e brevemente parlando son questi, repetendoli: per piacimento della propia volontà e reputazione della propia fiducia, per essere lodato dalle genti, per la 'nfermità della lingua, per la incontinenzia del furore, per la molta mala usanza d'avere l'affetto vizioso alle persone ed alle cose, per fare segreta penitenzia e punizione de' propii peccati, per esser più sollicito alle cose spirituali, per prendere più fervore della divina carità. Li primi di questi gradi saranno gli ultimi, cioè più vili, e gli ultimi saranno primi, cioè più degni. Li sette gradi sono l'operazioni di questo secolo, delli quali alcuni sono accetti appo Dio, ed alcuni no, ma l'ottavo manifestamente è significativo dell'altro secolo beato. O monaco desolato e solitario, ponti a mente le ore delle bestie demoniali, le quali in diverse ore tentano di diversi vizii, altrimenti non potrai ponere contra esse li lacci, cioè le resistenzie convenevoli, se perfettamente è partita da te quella che à ricevuto lo libello del repudio, l'accidia soperchia e l'operazioni delle mani; ma se ella presuntuosamente e arditamente t'assalisce, non conosco che abbi quiete. Qual fu la cagione che non furono tante luminarie, cioè tante anime alluminate, appo gli Tabescioniti, gli quali faceano pur monasteri e grandi congregazioni di monaci, quante furono appo quelli di Sciti, li quali non faceano grandi congregazioni, e non si costrignevano per obedienzia visibile? Chi lo intende, intendalo, però ch'io non posso dire la ragione, e maggiormente non voglio. Di quelli che dimorano in questo profondo stato della quiete, alcuni si studiano di menomare le vizia sue, considerandole con dolore o proponimento di lasciarle; altri si studiano di dire salmi, ed in questo modo ci perseverano; altri attendono alla contemplazione. Questa proposizione sia cercata per modo di scala. Chi à da Dio grazia di comprenderlo, comprendalo. Sono alcune anime negligenti, che dimorano nelle monasteria, le quali trovando leggiermente in esse le materie della loro negligenzia, per essa vennero in perfetta e compiuta desperazione; e furono alcuni altri negligenti, i quali per l'esempio delle conversazioni de' solleciti, lasciarono la negligenzia loro; e questa cosa alcune fiate è avvenuta non solamente alli negligenti, ma è venuta alli solliciti. Questa medesima regola potemo usare parlando della quiete, e diremo che la quiete ne ricevette molti buoni, li quali riprovoe; e questo avvenne per la complacenzia della propia volontà e per la reputazione della propia sufficienza, dimostrando ch'erano amatori della concupiscenza. Alcuni altri ne ricevette, li quali fece diventare solliciti e ferventi per paura di non portare giudicio e sentenzia di negligenzia, stando in luogo e stato tanto atto a ben fare. Neuno che stimolato sia da ira o da furore o da propia reputazione e da elazione e da ipocresia e da rancore, presuma di ragguardare a viaggio e segno di quiete, acciò che non ci acquisti solamente vessazione di demonia e pazzia; ma quegli ch'è mondato dalle predette vizia, esso da indi innanzi conoscerà quello che gli è mestiere, cioè di prendere stato di quiete o no; e questo non conoscerà, se non à perfetto e sollecito studio dell'osservanza, de' comandamenti di Dio e di vivere virtuosamente. Li segni e le pruove di quelli, li quali ragionevolmente seguitano ed operano lo stato della quiete, sono questi, cioè avere lo 'ntelletto non elato in superbia, pensandosi molto intendere; avere la mente non dormitante nè arrogante, avere la intenzione santificata, avere lo ratto della mente a Dio, combattere di dare pena a sè per seguitare la vita di Cristo, nella qual cosa mostra che è morto a sè; avere l'orazione incessabile e la custodia di sè impredabile. La mortificazione della fomicazione, la ignoranza d'avere affetto vizioso, la morte del mondo, cioè dell'avarizia, essere privato dell'avidità, della gola e dell'appetito di tutte cose golose, avere avuto il senso di parlare delle cose divine, e la fonte della discrezione, e lo sacrificio delle lagrime, ed il perdimento del molto parlare, essendo morta in esso ogni quistione ed ogni contenzione e lite ed ogni parlamento, per lo quale la comune gente ama di contendere insieme. Ma i segni e le pruove di quelli, li quali questo stato della quiete non seguitano dirittamente, sono questi: imprima la penuria e la carenzia di queste ricchezze e grazie sopradette, anche l'accrescimento dell'ira, avere l'animo pieno di vendetta e di rancore, ed il menimamento della carità, e l'accrescimento della superbia, e quello che da questo seguita, taceroe. E però che a queste cose che sono ora dette della quiete, pare che debbia seguitare alcuno trattato di quelli che stanno sotto l'obedienzia, massimamente però che a loro si scrive questo libro, specialmente dicemo ad essi così: che di quelli, che a questo bello stato e ornato della obedienzia si sono congiunti e ristretti legittimamente sanza adulterazione e contaminazione, li segni diterminati dalli santi padri sono questi infrascritti, li qua' segni da principio sono imperfetti, ma continuamente estendendosi crescono e ricevono prefetto, cioè il crescimento dell'umilità secondo i comandamenti, lo menomamento del furore, però che votato lo fiele, le tenebre vengon meno; ricevimento di carità, alienazione delle vizia, ricomperazione dell'odio, perdimento d'amore carnale per la reprensione, ignoranza d'accidia, accrescimento di sollicitudine, amore di compassione, dilungamento da superbia, la qual cosa è uno acquisto da molti desiderato, ma da pochi posseduto. Quando l'acqua non è nella fonte, impropio è lo suo nome, e chi à intelletto, conosce che non propiamente è detto monaco chi non à le virtù del monaco. La giovincella che non serva fede al suo marito, contamina il suo corpo, e lo monaco che non serva la sua professione, contamina il suo spirito; a quella seguitano lo vituperio, l'odio, i flagelli, il dipartimento del marito, che è miserabile sopra tutti, ma al monaco seguitano contaminazioni, scordamento della morte, insaziabilità del ventre, incontinenza d'occhi, operazioni di vanagloria, insaziabilità di sonno, durizia di cuore, insensibilità, bottega di cogitazioni inutili, diposito di ragionamenti tempestosi, accrescimento di diversi consentimenti, prigionia di cuore, operazione di conturbazione, contradizione, isfrenabilità, inobedienzia, infidelità, avere lo cuore privato di certificazione di fede, lo molto parlare, essere legato con affetto vizioso alle cose, la confidenza a sè medesimo, la propia reputazione più crudele di tutti, e quello che è miserabile sopra ogni cosa, di non avere lo cuore a compunzione ed a contrizione; per la quale cosa seguita la privazione del dolore a quelli, che non attendono a sè medesimi, però che la carenzia del dolore è madre di tutte le ruine e cadimenti delli spiriti. Dell'otto malizie le cinque combattono contra li quiescenti: ira, tristizia, accidia, superbia, vanagloria, e le tre combattono contra li ubbidienti, cioè gola, avarizia e lussuria. Lo quiescente che al tutto non à cacciato l'accidia, ma sta a combattere con essa, spesso riceve danno, però che 'l tempo della orazione e contemplazione consuma nelle battaglie contro ad essa. Uno tempo stando io nella cella con tanta negligenzia, che quasi pensava di lasciarla, sopravennoro alcuni uomini, li quali mi cominciarono a laudare e beatificare come perfetto quiescente. Incontanente la cogitazione della negligenzia si parti, essendo scacciata dalla vanagloria, e maraviglia'mi come questo tribolo della vanagloria è contrario a tutti gli altri spiriti. Tu, quiescente, attendi a tutte l'ore di questa tua moglie accidia, li levamenti ed innanzi rizzamenti e l'inchinamenti e le spesse alterazioni, come ed in qual parte s'inchina e possiede lo suo assentimento, solo quegli che possiede tranquillità e lo Spirito Santo, non è ignorante di questa parola di Dio; quegli che non possiede libertà dalla sollicitudine, come è possibile d'avere cura della orazione ed accendimento di cuore? L'operazione di quiete è privazione di sollicitudine innanzi posta a tutte le cose ed a tutti i fatti ragionevoli e non ragionevoli, però che chi ammette e riceve le cure ragionevoli, cadrà al postutto nelle cure non ragionevoli. Anche operazione di quiete è operazione di cuore impredabile. Impossibile cosa è che quegli che non imparoe lettera, naturalmente possa meditare nei libri, ma più impossibile cosa è che quelli che non posseggono la prima delle tre cose predette, cioè libertà dalle sollicitudini, possano operare l'altre due ragionevolmente. Eseguendo uno l'orazione vigilante sanza intermissione o pigrizia, la qual cosa è lo mezzo di tre operazioni sopradette della quiete, fu posto nel mezzo, cioè nelli ordini angelici ed intellettuali, i quali sono lo mezzo di Dio e degli uomini, e fu alluminato sopranaturalmente; e ritrovandosi la mente in quelle soprasustanziali immissioni divine e nella contemplazione d'esso Iddio, non si potea levare ed estendersi a Cristo Iddio, principio di ogni creatura per la luce inaccessibile, e contemplare quello che desiderava; e domandoe del verbo divino innanzi la assunzione dell'umana natura, dal quale domandamento essendo schiuso, anche domandoe come stae ora, ed uditte dall'angelo principe di queste visioni: « Sta nelle cose propie e non in queste »; ed anche domandò e disse: « Quale è lo stato e la sedia della mano diritta? » Ed udie la risposta: « Impossibile è queste cose insognare per orecchia ». Anche essendo tratto dal desiderio, pregoe d'essere perdutto a quel tempo della perfezione, nel quale veggia lo verbo divino siccome è; e fue ad esso risposto, che questa cosa ricevere ed intendere non era d'uomo viatore, infino a tanto che 'l corpo mortale non era assorto dalla vita, e la imperfezione della nostra corruzione fosse fatta perfetta dal fuoco dello Spirito Santo, che consuma ogni miseria. Dura cosa è nel tempo della state cacciare il sonno di mezzo dì, perù solo in quel tempo insieme coll'orazione non è da discacciare l'opera delle mani per vincere lo sonno. Io so che 'l demonio dell'accidia apparecchia la via allo spirito della fornicazione, però che fortemente risolvendo lo corpo e sommergendolo nel sonno, quasi manifestamente opera nei quiescenti contaminazione di carne; e se resisterai ad essi fortemente, combatteranno contra te potentemente, acciò che ti facciano recessare dalla battaglia, quasi non potendo avere per essa vittoria. Ma non è nulla cosa che tanto manifesti quando le demonia sono vinte da noi, come la crudele e dura battaglia loro contra di noi. Studiati di guardare col silenzio quelle grazie, che ài acquistate nello stato della quiete solitaria, però che come gli uccegli rinchiusi nella gabbia si conservano, ed essendo aperta la gabbia si volano e perdono, così è delle virtù che esaltano la mente a Dio, aprendo la bocca vanamente ed indiscretamente si perdono e dispaiono. Della tranquilla quiete non troverai niuno perfetto. Uno picciolo pelo conturba l'occhio, ed una picciola sollicitudine esterminerà la quiete. La quiete è lasciamento d'intendimenti mentali e sensuali, ed annegamento delle cure ben ragionevoli; e quegli che veramente prende la quiete, eziandio della carne sua non si curerà, però che quegli che promise d'avere cura di noi, non può mentire. Quegli che vuole offerire a Cristo la mente monda, e dassi alle sollicitudini ed alle cure, è assimigliato all'uomo che si lega fortemente li piedi, e pruova se può correre velocemente. Radi son quelli che la filosofia mondana sommamente abbiano imparata, ed io dico che sono più radi quegli, che la filosofia della quiete secondo Iddio perfettamente sappiano. Quegli che non conosce Iddio, non sarà atto a quiete, e molti pericoli sosterrà, però che la quiete soffocoe quelli, che non erano esperti e gl'indotti. Quelli che sono sanza il gusto della divina dolcezza, consumano lo tempo loro in prigione di cuore e furti e ansietadi e accidie e reclinazioni. Quegli che toccò la bellezza dell'orazione, fuggirà la turba come l'onagro, cioè l'asino salvatico, però che non è nulla altra cosa, che tanto diparta lo quiescente da ogni compagnia e faccia libero, come questa. Quegli ch'è circondato da' vizii e dimora in solitudine, attenda a quella esercitazione, la quale un santo padre insegnò ( questo santo fue santo Giorgio Arzellaita, lo quale tu, venerabile padre, conoscesti ); questi alcuna fiata ponendo cura ad alcuna anima rozza, per condurcela alla quiete, disse così: « Aggiorni posto a mente, che la mattina vanno comunemente a tentare le demonia della vanagloria e della concupiscenzia carnale, e infra 'l mezzo di vanno le demonia dell'accidia e dell'ira e della tristizia, ma appresso vespro vanno le demonia amatori delle stercora e li tiranni del misero ventre ». Meglio è uno suddito povero, che uno quiescente occupato nella cura delle cose. Quegli che ragionevolmente esercita lo stato nella quiete, e non ne vede ogni dì profetto, questi dalla elazione della mente pate furto. La quiete è incessabile adorazione di Dio ed assistenzia dinanzi a Dio. La memoria di Gesù sia unita al fiato ed alla respirazione tua, ed allora conoscerai l'utilità della quiete. Lo cadimento dell'obediente è ripigliamento della propia volontà, e 'l cadimento del quiescente si è lo recessamento dalla orazione. Se tu ti allegri dell'avvenimento de' frati alla cella tua, conosci che tu non attendi a Dio, ma attendi all'accidia colla mente tua. L'esempio delia perseveranza dell'orazione sia a te quella femina offesa dal suo avversario della quale parla Cristo nel suo Vangelio; esempio della quiete sia a te quello grande quiescente eguale agli angeli, Arsenio. Ricorditi della conversazione di questo angelo quiescente nella solitaria mansione, e pensa come alcune fiate alcuni che andavano ad esso, cacciava e non gli voleva parlare, acciò che non perdesse quello ch'era maggiore bene, però ch'egli conosceva come gli demoni delli girovagi inducono loro sanza cagione ragionevole, quasi fosse ragionevole spesse fiate a visitare gli operatori per dargli un poco d'impedimento: e tu come questo Arsenio ponti a mente questi negligenti, e non ti dispiaccia di contristrarli, però che forse per la tristizia cesseranno di gire a torno; ma guardati che per questa intenzione tu non turbi quella anima, la quale per sete viene a te per bere l'acqua della spirituale dottrina; onde in tutte le cose è mestiere avere la lucerna della discrezione. La vita de' quiescenti e maggiormente dei monaci dee essere fatta secondo conscienzia e secondo sentimento. Quegli che vive ragionevolmente, tutte le cose che a Dio appartengono, e i desiderii e i parlamenti, e le cogitazioni e gli andamenti e li movimenti opera in sentimento d'anima nel conspetto di Dio, ma se ci pate furto, non conversa ancora virtuosamente. Disse uno, cioè il profeta: Apriraggio nel salterio la proposizione mia e 'l consiglio mio; e questo disse per lo difetto della discrezione; ma io per l'orazione manifesto a Dio la volontà mia, e per essa ricevo la certificazione. La fede è l'alia dell'orazione, però che se questa alia non avrò, un'altra volta tornerà nel seno della mente mia. La fede è uno stato d'anima non dubitante, da niuna contrarietà rotta nè conturbata. Fedele non è quegli che crede che Dio può fare ogni cosa, ma quegli che crede di tutte le cose essere partefice, cioè che crede che Dio tutte le cose faccia per sua utilità e per suo bene. La fede è operatrice di quelli beni che l'anima non spera, e questo si mostra nel ladrone della croce. Madre della fede è la grazia, la fatigazione e 'l cuore diritto, e la fatigazione fa l'anima costante, e la dirittura nello cuore cresce la constanzia; la fede è madre de' quiescenti, però che quegli che non crede, come poserà? Quegli che giace legato nella prigione, ae paura del punitore; ma il timore del Signore lo quiescente entro la cella lo partorìe. Non teme tanto lo primo gli tormenti de' giudici temporali, quanto teme lo secondo de' giudicii del giudice eternale. O mirabile quiescente, molto timore a te è mestiere, però che nulla cosa potè tanto perseguitare, quanto l'accidia. Quello prigione che è sentenziato, sempre riguarda quando lo giudice venga alla carcere; ma quello quiescente die è verace operatore, sempre desidera che vegna quegli che lo tragga di prigione. Col primo è legato il pondo della tristizia, col secondo la fonte della lagrime. Se tu, quiescente, terrai sempre la verga della pazienzia, li cani dell'accidia e della tristizia non verranno a stare con teco. La pazienzia è uno dolore ed una fatica dell'anima, la quale non si può percuotere nè vincere nè muovere eziandio dalli ragionevoli tumulti; la pazienzia si è uno comandamento di ricevere tribulazione continuamente espettato e ricevuto; lo paziente è uno operatore sanza tribulazione e sanza cadimento, il quale per gli cadimenti e per le turbazioni acquista vittoria; la pazienzia è mozzamento delle cagioni de' cadimenti e delle tribulazioni, e propia accessione, cioè volontariamente appressarsi. Non à bisogno tanto del cibo suo corporale il quiescente, quanto abisogna della pazienzia, però che per lo difetto del cibo corporale acquisterà corona, ma per difetto di pazienzia riporterà pericolo. Lo paziente anzi lo sepolcro è morto, facendosi della cella sepoltura; la pazienzia partorie speranza e pianto, però che quegli ch'è sanza questi due, sì è servo dell'accidia. Quegli che è combattitore per Gesù Cristo, conviene che conosca qua' nimici perseguiti da lunga, e qua' si lasci appressare a battagliare con seco, però che la battaglia acquista corona, ed alcuna fiata lo schifare della giostra fece diventare vile. Queste cose non si possono insegnare per parole, però che tutti non sono qualificati e disposti igualmente. Uno delli spiriti ti poni a mente con maggiore vigilia, però ch'esso è quegli che continuamente t'impugna sì nello stare e nel transmutare e nel sedere e ne' movimenti e 'ndinazioni e nell'orazione e nel sonno; questo è l'accidia. Di quelli che si esercitano nella via della quiete, alcuni sempre in sè medesimi contengono l'operazione di quella parola del salmo che dice: Io sempre provvedea lo Signore nel cospetto della mente mia, però che li pani dell'alimento celestiale non sono tutti uniformi in operazioni: alcuni di essi contengono in sé l'operazione delle parole di Cristo che disse: Nella pazienzia vostra possederete l'anima vostra; alcuni altri pensano nella parola di Cristo: Vegghiate ed orate; alcuni altri in quella che disse: Apparecchiati di rendere ragione dell'opere tue nel fine; alcuni di quella parola del salmo: Umilia'mi ed Iddio mi salvoe; alcuni la parola dell'apostolo che dice: Non sono condegne le passioni di questo tempo alla futura gloria; alcuni sempre intendono alla parola del salmo che dice: Acciò che 'l demonio non rapisca l'anima, e non sia chi gliela tragga di mano; tutti costoro corrono per lo buono viaggio, ma uno prende lo palio sanza fatica. Non solamente vegghiando, ma eziandio dormendo opera quello che è proficiente, onde alcuni ne' sogni le demonia che sono andati a loro, gli ànno cacciati con vergogna, e le femmine disoneste amoniscono di castità. Per quelli che vegnono a te alla cella, non aspettare e non t'apparecchiare, però che tutto vuole essere semplice e sanza piega e sanza legame lo stato della quiete. Neuno volendo edificare torre ovvero cella di quiete, si studii di cominciare, se prima non siede per l'orazione, e pensi e cerchi, se ae le propietà e le condizioni necessarie a quello stato seguitare perfettamente; e se altrimenti cominciasse, farebbe fare derisione di sè a' nemici suoi demonia, e darebbe impedimento agli altri operatori, che volessero prendere quello stato, vedendo ch'esso ci peggioroe, onde arebbono in sospetto lo stato della quiete. Intendi e vedi, o quiescente, che la soavità, la quale viene peregrinando in te, cioè sanza cagione e principii ragionevoli, non sia confetta dagli amari medici, anco dagl'insidiatori dolosamente, e di notte dà più tempo a l'orazione e meno tempo alla salmodia, e di di ancora a questo medesimo ti apparecchia secondo la virtù tua, però che è più atta la notte all'orazione mentale che 'l tempo del die. La lezione delle sante Scritture à natura e virtude non poca d'alluminare e ragunare la mente, però che sono parole di Spirito Santo, e regolano quelli che le vogliono seguitare, e però a te, che se' operatore, quelle parole che leggi, siano inducimento ad adoperare, però che l'operazione di esse a te basta, e fa a te essere superchia la lezione dell'altre scritture. Basta a l'anima tanto leggere, quanto può operare; ma con fatiche e con dolori, non con libri, cerca d'essere alluminato dalle parole della sanità. Le parole che possono avvelenare la mente, non le udire nè leggere, innanzi che abbi la virtù spirituale, cioè la mente solidata nella verità della fede, però che essendo parole di tenebre, oscurano la mente inferma. Una guastada di vino assaggiata fa conoscere tutto 'l vino della botte, ed una parola del quiescente dà ad intendere tutto lo stato suo e l'operazione interiore a quelli che ànno lo gusto esercitato. Tu, quiescente, studiati d'avere sempre aperto l'occhio dell'anima contra la elazione della mente, però che infra li furti non è nullo che più stermini lo stato tuo che essa. Perdona alla linguae, però che essa lingua parlando, leggiermente e tosto sparge quello, che ae acquistato con molte fatiche. Lo stato tuo esercita sanza curiosità, però che la curiosità contamina lo stato tuo quanto nulla altra cosa. A quelli che vengono a te, pone innanzi le cose necessarie al corpo ed allo spirito colla piacevole carità, e se essi sono più savii di noi, dimostriamo lo' per lo silenzio l'amore della sapienzia, però che lo savio ode più volentieri che non parla; ma s'elli sono nostri pari d'uno stato, temperatamente apriamo ad essi la porta del nostro parlamento, parlando per loro consolazione poche parole e buone; ma ancora è più utile cosa e buona estimare che ogni persona sia più innanzi che noi. Voleva io vietare le speziali fatiche e penitenzie nelle congregazioni a quelli ch'erano parvoli, ma tennemi da questo l'esempio di quegli che l'arena portoe nel mantello, e tutta notte in questo vegghioe. Come nella santa Scrittura, quelle cose che parlano dell'adoranda ed increata Trinità, ànno opposizione a quelle che parlano della dispensazione della Incarnazione di quello, ch'è uno della sopra laudabile Trinità, però che quelle cose che in quello sono plurali, in questo sono singulari, e quelle che in questo sono singulari, in quello sono plurali, così altri studii sono convenevoli allo stato della quiete, altri allo stato della obedienzia. Lo divino Apostolo dice: Chi conobbe il senso di Dio? Ed io dico: Chi conosce la mente dell'uomo quiescente in corpo ed in spirito? Allo re celestiale fortezza, ricchezza, imperio, ed al quiescente moltitudine d'orazione. Grado XXVIII Della santa e beata orazione, madre delle virtudi, e della intellettuale e sensibile assistenzia che è in essa La orazione, secondo la sua qualità, è congiunzione ed unione dell'anima con Dio, ma secondo la sua operazione e li frutti che procedono da essa, è stato del mondo prendimento di ornato ( però che in esso prende l'anima lo suo ornamento ), ponte a passare le tentazioni, reconciliazione con Dio, madre e figliuola di lagrime, propiziazione dei peccati, muro fra l'anima e la tribulazione, vincimento delle battaglie, operazione d'angeli, cibo di tutte le sustanzie incorporali, giocondità futura, operazione infinita, fonte di virtude, acquistatrice di grazie, profitto invisibile, delizie dell'anima, illuminazione di mente, scure di disperazione, dimostrazione di speranza, discioglimento di tristizia, ricchezza de' monaci, tesauro de' quiescenti, minuimento di furore, specchio di profetto, dichiarazione delle miserie, manifestazione del buono stato, revelazione delle cose future, significazione di demenzia. L'oraziore a quegli che bene ora, è una corte di sentenzia e di condennazione, e uno auditorio di giudicii, e uno tribunale del Signore. Innanzi a l'ultimo tribunale levandone, noi udiamo questa santa regina delle virtudi, la quale con sottile voce ci chiama e dice: Venite a me tutti voi che siete affaticati e caricati, ed io vi darò refezione. Togliete lo giogo mio sopra voi, e troverete riposo a l'anime vostre, e sanità alle piaghe vostre, però che lo giogo mio è soave e medicativo e sanativo delle grandi piaghe. Tutti noi che volemo andare a stare dinanzi a Dio e parlare con esso, non ci andiamo se non siamo apparecchiati, a ciò che vedendone egli da lungi, non avendo arme nè vestimento da stare dinanzi al re, non comandi alli suoi ministri demonia e imaginazioni e fantasie, che ne facciano stare legati in alcuno luogo di lungi della faccia sua, e le nostre petizioni squartato ce le faccia gittare in faccia. Tu che vuogli andare a stare dinanzi a Dio, lo tuo vestimento sia tutto tessuto di filo, anche d'esterminio di vendetta e di rancore, ed altrimenti di tua orazione non avrai profitto. Tutta la tessitura di tua orazione sia sanza varietà di parole, però che in una parola si riconciliarono con Dio lo publicano e lo impudico David. Essendo uno lo stato dell'orazione, possiede molte varietà e differenzie, però che alcuni interpellano lo re e lo Signore come amico per aiutorio altrui, non per sè medesimi, offerendoli laude e supplicazioni; alcuni gli domandano ricchezze e maggior gloria e confidenzia; alcuni dimandano infine d'essere perfettamente liberati dal suo avversario; alcuni dimandano di ricevere alcuna dignità, alcuni dimandano d'essere perfettamente sciolti dalla sollicitudine del debito loro, altri dimandano d'essere liberati dalla carcere, altri dimandano d'essere sciolti dalle accusazioni: ma noi innanzi ad ogni cosa nella carta della nostra orazione ordiniamo e poniamo sincero rendimento di grazie; nel secondo verso ponemo confessione e contrizione d'anima in sentimento, e poi notificheremo la nostra orazione allo rege universale, però che questo modo d'orazione è perfetto, secondo che fu manifestato a uno frate da l'angelo di Dio. Se tu stessi dinanzi ad alcuno giudice visibile, che t'avesse a condennare come malfattore, tu non abisognerai d'altro esempio ricevere del modo pauroso che ti conviene avere, mentre che stai in orazione; ma se in questo non fosti, o che non vedesti menare malfattore a ricevere le pene, prendi l'esempio di stare dinanzi a Cristo in orazione dalla supplicazione che fanno gl'infermi dinanzi alli medici, quando debbono essere cotti o tagliati da loro. Non volere essere molto savio di parole nella tua orazione, però che spesso fiate le parole semplici e sanza varietà delli pueri balbettatori placarono lo padre loro del cielo; e non ti sforzare di molto parlare nell'orazione, acciò che la mente tua non si dissipi a trovare parole; una parola del publicano inchinoe Iddio a misericordia e fecelo essere propizio, ed una parola fedele fece salvo lo ladrone. Lo molto parlare nell'orazione sparge la mente e falla essere fantastica, ma lo poco parlare à natura d'adunare la mente. Se tu in una parola dell'orazione se' condutto in delettazione spirituale ovvero in compunzione, in quella parola ti permani, mentre che dura, però che allora lo nostro custodo angelo è presente ed ora con noi. Non ti confidare nè avere fiducia in te medesimo, pogniamo che abbi mundizia, ma appressati alla molta umilità, e verratti migliore fiducia: e pogniamo che avessi salita la scala di tutte le virtù, priega pure Iddio che ti perdoni li peccati. Odi santo Paulo, che dice sè essere lo primo de' peccatori. Lo sale e l'olio ae natura di condire li pescerelli, e le lagrime e la castità fanno l'orazione essere pennata. Se tu arai ottenuta perfetta inirascibilità e mansuetudine, sanza molta fatica arai libera dalle prigionie la mente tua. Infino a tanto che non possederemo orazione attiva ed efficace, semo assimigliati a quelli, che al principio sollicitano gli fanciulli ad andare. Combatti di levare suso la mente, e maggiormente di richiuderla nelle parole dell'orazione; e se cade, però ch'è ancora picciola, la rilieva suso, però ch'è propio della mente non essere stabile, ma in Dio è da potere ogni cosa stabilire. Se tu combatterai continuamente a rilevare la mente, verrà in te colui, che puose termine al mare, e terminerà la mente tua, e dirae ad essa nell'orazione tua: « Infino a qui vieni, e non procedere più oltre ». Impossibile cosa è a legare lo spirito, ma ove è lo spirito creatore, ogni cosa è suggetta. Se tu vedessi 'l sole quanto è mestiere, tu gli potrai parlare convenevolmente; ma se non, come quello che non vedesti, sanza vergogna porrai interpellare? Lo principio dell'orazione è questo: gli assalimenti che riceve la mente, poterli cacciare da esso principio con la sola parola ragionevolmente; il mezzo dell'orazione è questo: avere la mente libera a quello che dice e che pensa; la fine dell'orazione è avere la mente rapita in Dio. Altro è la esultazione che viene nel cuore a quelli che stanno nelle congregazioni, ed altra è quella che viene a quelli che orano nella quiete solitaria, però che la prima pate un poco le imaginazioni apparenti, ma la seconda tutta si riempie d'umilità. Se tu ti studierai di non allungare la mente da Dio, eziandio alla mensa appresso di te starà; ma se tu lasci errare la mente sanza vietamente, giammai non permarrà. Lo grande santo Paulo, operatore della grande orazione, disse così: Maggiormente voglio dire al mio sentimento cinque parole, che dire dieci mille parole nella lingua. Questa orazione è aliena da quelli che sono più piccioli, però che noi come imperfetti oriamo con moltitudine e grande quantità di parole, e di questa orazione imperfetta quelli che con buono animo la continovano, pervegnono ad orazione perfetta, secondo che dice la santa Scrittura: Dà l'orazione monda e sanza pigrizia a quegli, che ora oppressamente e sozzamente. Altro è la sozzura della orazione, ed altro è esterminazione, altro è furto ed altro è querela. La sozzura dell'orazione è stare dinanzi a Dio e imaginare le sconvenevoli imaginazioni; la esterminazione dell'orazione è esterminare la mente, ed imprigionarla nelle cure inutili; lo furto dell'orazione è inchinare la mente insensibilmente in quello che non si conviene; querela è qualunque assalimento rioevemo, mentre che oriamo. Se noi lo tempo della orazione non stiamo solitarii, riformiamo dentro da noi la figura della nostra supplicazione; ma se altri oratori non sono con noi, collo modo di fuori formiamo la nostra simplice orazione, però che spesse fiate in quelli che non sono perfetti, la mente si configura agli atti di fuori dal corpo. A tutti abbisogna contrizione; maggiormente bisogna a quelli, che vanno innanzi allo rege a ricevere remissione del debito, e se semo ancora nella carcere, udiamo quegli che disse a san Piero: « Cigniti lo lenzuolo della ubidienzia, e spogliati delle volontadi tue, e così va a Dio nell'orazione tua, invocando solo la volontà sua, e allora riceverai Iddio per tuo gubernatore, e sanza alcuno pericolo ti governerà ». Tu che vuogli perfettamente orare, rilevati dell'amore del mondo e dell'amore delle delettazioni e concupiscenzie; getta da te le cure, e ispoglia le cogitazioni e le 'ntenzioni della mente tua ed anniega lo corpo, però che non è altro orazione, se non alienazione dal mondo visibile ed invisibile; però dicea lo profeta a Dio: Signore, che ti dimando io in cielo? Neente; che voglio da te sopra la terra? Neente, se non che voglio sanza altra occupazione eternalmente stare in orazione accostato a te. Altri desidera ricchezze, altri onore e gloria, altri vuole possessioni, ma lo bene mio non è altro, se non essere accostato a Dio, e lo desiderio mio è ponere in esso la speranza della impassibilità mia. La fede fece avere l'alie all'orazione, però che sanza esse non puote volare in cielo. Noi che siamo viziosi e passibili, preghiamo Iddio perseverantemente, però che tutti quelli che sono mondi da' vizii e fatti impassibili dalla impassibilità, profecero nella impassibilità e nella mondizia. Come quello giudice che non temea Iddio, fece vendetta alla vedova per la molta molestia, così lo nostro Signore Iddio a l'anima che 'l molesta per la molta orazione la quale per lo peccato è vedovata da lui, farà vendetta dell'avversario corpo suo e degli spiriti impugnatori. Lo buono nostro negoziatore quelle anime che sono ragionevoli e savie, per esaudire tosto le loro petizioni, le trae alla carità sua; ma quelle anime che non sono savie, per non esaudire ratto le loro petizioni, continovo le si fa stare innanzi coll'orazione affamate di quello che dimandano, a modo che fa lo cane dinanzi all'uomo che mangia, infino a tanto ch'egli à mangiato, poi gli gitta del pane, però che lo cane inutile, ricevuto che ae lo pane, si parte e va via; e così fae l'anima imprudente. Non dicere quanto più tempo sarai perseverato in orazione, non avendo ricevuto quello che ài addimandato, che non abbi acquistato cavelle, però che ài acquistato, però che 'l più alto bene che sia, si è di stare accostato a Dio colla mente e continuo perseverare apo lui nell'orazione. Non teme tanto quegli che è condennato, la sentenzia della pena sua, come teme quegli che è studioso dell'orazione, di stare dinanzi a Dio in orazione; onde se alcuno fosse savio e d'aguto intendimento, per quella memoria si potrebbe guardare e cessare da ogni rio parlamento e da ira e da soperchia sollicitudine e vagazione e tribulazione e sazietà e tentazione e mala cogitazione; però ti studia d'apparecchiare te medesimo per la continua orazione nell'anima tua a quello stare che ti conviene di fare dinanzi a Dio, ed in questo modo crescerà l'anima tua. Vidi alcuni nello stato dell'obedienzia risprendienti, e secondo la mente con tutta la loro virtù alla memoria di Dio non erano negligenti, li quali quando si davano all'orazione, incontanente le loro lagrime fondeano, e la mente loro trapassava, però ch'erano innanzi apparecchiati per la santa obedienza. La salmodia che si fa colla moltitudine, la perseguitano le pregionie e vanitadi e reclinazioni della mente, ma quella che si fa da una sola persona, è perseguitata dall'accidia, ma aiutata dal fervore e dalla prontezza. L'amore del cavaliere allo rege si dimostra nel tempo della battaglia; ma la carità che 'l monaco ae a Dio, si dimostra nell'orazione e nello stare presente dinanzi ad esso. Lo stato tuo, quale è, la tua orazione il ti mostrerà, però che gli teolagi dissero che l'orazione era lo specchio del monaco. Qualunque opera fa il monaco, e sopravenendo l'ora dell'orazione, non la lascia, questi è ingannato dalle demonia. La intenzione de' ladroni si è di furare ora per ora. Non cessare d'orare per ogni anima che te ne priega, quantunque tu non possegghi orazione, però che spesse fiate la fede di colui che priega, salvoe colui che oroe per esso con contrizione; e non ti estollere, quando tu orando per altrui, sarai esaudito, però che la fede loro prevalette e fu esaudita. Di ogni sapienzia che averà adimparata lo discepolo dal maestro, sempre ne sarà esaminato da esso, e la mente ogni virtù che à ricevuta da Dio in ogni orazione, giustamente gli sarà ricercata; però ti conviene d'attendere, che quanto più sollicitamente arai orato, più tosto sarai impugnato dall'ira, però che questo è uno sforzo che fanno gli nimici nostri. Ogni opera virtuosa si conviene che si faccia con molto sentimento, ma maggiormente l'orazione; allora l'anima ora in sentimento, quando bene soprasta al furore ed all'ira. Quelle cose che s'acquistano con molte supplicazioni e con molte fatiche, in molti tempi sono ferme e permanenti. Quegli che possiede Iddio nell'orazione, d'allora innanzi non si narrerà la fabula a sè medesimo, e non inducerà nella orazione sua la 'ntenzione del suo pensiero nè della sua meditazione, però che allora lo Spirito Santo interpella per esso con pianti inenarrabili. Non ricevere nell'orazione ogni sensibile fantasia, acciò che non perdi la mente, ed essendo fatto fantastico, caggi dalla diritta regola e gloria della fede, la quale è credere quello che non vedi. La consumazione e certificazione d'ogni petizione nell'orazione si manifesta; la certificazione è liberazione della dubitazione; la certificazione è una certa ed incommutabile manifestazione di quello che era incerto. Tu che vuogli essere studioso ed avere cura d'orazione, studiati d'essere molto misericordioso, però che in essa li monaci ricevettono cento cotanti sì di grazie, le quali per orazioni si danno al monaco in questa vita, sì eziandio dopo questa vita gli beni incommutabili e la vita beata. Lo fuoco della divina carità suscitoe nell'anima l'orazione, che s'era dilungata da essa, ed essendo suscitata e ricevuta, nel cenacolo dell'anima fu fatto lo discendimento del fuoco, cioè l'accendimento d'amore verso Iddio. Dicono alcuni che l'orazione è più utile che la memoria della morte, ed io laudo due sustanzie in una persona. Lo cavallo provato, quanto più si muove, tanto più si scalda e tanto più corre. Lo corso chiamo io lo laudare e l'orare a Dio; lo cavallo chiamo la mente virile, la quale è come lo buono cavallo, lo quale da lungi gli viene l'odore della battaglia, per lo quale si fortifica. Crudele cosa è di rapire l'acqua di bocca a colui che à sete, ma più crudele cosa è, che quando l'anima ora con contrizione, innanzi la fine e la terminazione dell'orazione privi sè medesima di quello piacevole e desideroso stato. Non ti cessare di quella orazione, infine che non vedi partire e cessare l'acqua e lo fuoco, cioè la devozione della mente e l'acqua delle lagrime, però che forse non avrai tale tempo a remissione de' peccati tuoi in tutto il tempo della vita tua. Quegli che à gustata l'orazione, spesse fiate ad una parola che gli venga nella mente, gli si contamina lo 'ntelletto, e stando in orazione, non ritruova quello desiderato che desidera, e che è usato di trovare. Altro è spesse fiate essere visitato nel cuore, altro è visitare lo cuore per la mente principante e per lo principe pontifico, lo quale offera l'ostie razionali a Cristo. Questi primi, come dice santo Gregorio teolago, lo santo e sopra celestiale fuoco che viene in essi, gl'infiamma per lo difetto della purgazione, ma questi secondi illumina per la misura della perfezione, e non è maraviglia di questa diversa operazione, però che Dio è nominato nella santa Scrittura fuoco consumante e luce illuminante; onde alcuni uscendo da l'orazione, escono quasi da uno camino di fuoco, sentendosi essere alleviati da una sozzura e da una feccia; alcuni escono dall'orazione come da una luce alluminati, vestiti d'uno vestimento d'allegrezza e d'umilità; e quelli li quali sanza una di queste due operazioni escono dell'orazione, non orano spiritualmente ma corporalmente, non voglio dire giudaicamente, però che se uno corpo unito coll'altro diventa alienato dalla sua operazione, come non diventerà alienato colui, il quale colle mani innocenti si congiungerà al corpo di Dio? Secondo la similitudine del re terreno, così poterne vedere lo buono e soprabuono nostro re, che alcuna fiata dà gli doni agli suoi cavalieri per sè medesimo, alcuna fiata per l'amico, alcuna fiata per lo servo, alcuna fiata incognitamente, e questa diversità diviene dalla diversa misura dell'umilità che si trova in noi. Come è abominevole allo rege terreno quegli, che stando dinanzi ad esso, gli rivolta la faccia e parla coll'inimici di esso re, così è abominevole a Dio quegli, che stando in orazione riceve le immonde cogitazioni. Lo cane che viene a te nel tempo della orazione, perseguitalo coll'arme, e quante fiate viene, non gli dare luogo. Domanda per pianto, cerca per obedienza, bussa por longanimitade. Chi in questo modo domanda, riceve, e chi cerca, sì truova, e chi bussa, gli è aperto. Guardati che indifferentemente non ori per la femina, acciò che per via di carità non sii depredato. Non volere l'opere de' peccati carnali confessare a Dio nell'orazione particolarmente, acciò che volontariamente non sii fatto insidiatore a te medesimo. Non sia a te lo tempo dell'orazione tempo di provedere quello che ài a fare, nè tempo di ricercare gli fatti tuoi necessari nè temporali nè spirituali, però che in questo modo perderesti quello che è più utile. Quegli che continuamente tiene lo bastone dell'orazione, non cadrà, e se avvenisse che cadesse, non cadrà in fine, però che si rileverà. L'orazione è uno santo tiranno di Dio, però che Dio si lascia essere sforzato da essa. La sua utilità conoscerai nell'ore del tempo dagl'impedimenti, che ci danno li demonii, però che se non fosse molto utile, li nostri nemici non ci darebbono tanti impedimenti; ma lo frutto dell'orazione conosciamo dalla vittoria del nemico, secondo che dice a Dio lo profeta nel salmo: In questo conobbi, Signore, che tu mi volesti, però che lo inimico mio non si rallegrerà nel tempo della battaglia sopra me. Chiamai a Dio, dice il profeta, con tutto il cuor mio, cioè colla bocca, coll'anima e collo spirito, però che dove sono li due ultimi adunati, quivi è Dio in mezzo di loro. Tutte le cose non sono simiglianti in ogni persona, nè secondo il corpo nè secondo lo spirito, però che ad alcuno nel dire de' salmi viene la consolazione brieve e veloce, ad alcuno viene rado e tardi, però che quelli primi dicono di combattere contro gl'impregionamenti del cuore, questi secondi contro alla indisciplinabilità della mente. Se tu continuamente interpellerai allo rege contro gli tuoi nemici, quando vengono contra di te, confidati che non molto t'affaticherai, però che da sè medesimi si partiranno velocemente, però che non vogliono essi maligni farci acquistare corone per l'orazione, combattendo contra loro, però che da questi fuggiranno quasi gastigati e flagellati quasi dal fuoco dell'orazione. Possiedi perfetta fortezza nell'orazione, e avrai Iddio per maestro nella tua orazione, però che come lo vedere non si insegna per parole, ma è una propietà di natura, così la bellezza dell'orazione non s'impara per dottrina altrui, però che essa ae Iddio per suo maestro, il quale insegna la scienza a l'uomo, e dà l'orazione all'oratore, e benedice l'anime de' giusti. Amen. Grado XXIX Del cielo terreno, impassibilità e perfezione segnitativa di Dio, e resurrezione dell'anima innanzi alla comune resurrezione Ecco da qui innanzi noi, che siamo posti nel lago della profondissima ignoranzia e nelle tenebrose vizia e nell'ombra della morte di questo corpo, cominciamo per audacia altamente parlare del cielo terreno. Lo fermamento del cielo ae per sua bellezza le stelle, ma la impassibilità ae per sua bellezza le virtudi, ed io non comprendo essere altro la impassibilità, se non uno cielo cordate di mente, lo quale pensa ed arbitra da indi innanzi l'astuzia delle demonia essere giuocora. Adunque quello è propiamente impassibile, che la carne ae fatta incorruttibile, e la mente ae esaltata dalle creature, sottomettendole tutte le sensora, presentando l'anima al volto di Dio, e sempiternalmente la stende ad esso sopra le sue virtudi. Alcuni determinaro la impassibilità essere resurrezione dell'anima anzi la resurrezione del corpo, altri dissono ch'era perfetto conoscimento di Dio presso a quello degli angeli. Questa è adunque la perfetta perfezione degl'imperfetti, cioè viatori, ne' quali non è perfetta giustizia a tutto, secondo che mi narrò uno che fu fatto gustatore di quella. Quando dopo lo lasciamento del porto celestiale la mente da indi innanzi è fatta santificata e stratta dalle materie, la più parte della vita che ae in carne, è fatta stupida, cioè ratta, però che la contemplazione la estolle e porta sopra lo cielo; della quale cosa colui che ne avea avuta la esperienza, nel salmo ne parlò molto bello, quando ne disse: Gli dei forti della terra fortemente ne sono levati. Di questi cotali conoscemo essere quello egizio santo Titois, lo quale quando orava con altrui, estendendo le mani molto, non le poteva abbassare. Alcuno è impassibile, e alcuno è impassibile più che gli altri, e quello primo fortemente ae per male le cose maligne, ma questo insaziabilmente arricca di virtudi, e la castità è detta impassibilità e convenevolmente, però che è principio della comune resurrezione e della incorruttibilità de' corruttibili. La impassibilità dimostrò quegli che disse: Io posseggo lo sentimento di Cristo. La impassibilità dimostrò quello egizio santo Antonio, che disse che non temea lo Signore Iddio, ma amavalo. La impassibilità dimostrò quegli che pregò Iddio, che gli rimandasse le passioni e le tentazioni che lo avevano lasciato ( santo Efrem ), che innanzi la futura chiarità fu fatto così degno della impassibilità, come questo sino di Siria, però che David tanto famoso fra gli profeti pregava Iddio che gli facesse cessare le battaglie per potere refrigerare innanzi la morte; e questo combattitore pregava che gli togliesse la grazia della pace. La impassibilità à quella anima, la quale è così qualificata di virtudi, come gli viziosi sono qualificati di concupiscenzia; se questa è la determinazione della gola, che sanza appetito l'uomo si faccia forza all'opere della gola, questa sarà al postutto la determinazione dell'astinenzia, che essendo l'uomo affamato ed assetato, s'astenga sanza nocimento della natura. Se questa è la diffinizione della lussuria, d'essere l'uomo vessato verso gli animali bruti e verso le corpora non animate, questa sarà la diffinizione della castità, verso tutte le corpora essere sanza sentimento di carne, come che verso le corpora non animate e insensibili. Se questo è lo termine dell'avarizia, di mai non cessare d'adunare e non potersi saziare, questo sarà lo termine della povertà, non perdonare al propio corpo, ma avere in odio sè medesimo, e nelle necessitadi non curare di sè neente. Se questo è lo termine dell'accidia, essendo in ogni riposo, essere agitato e conquassato dimpazienzia, e non possedere pazienzia in nulla cosa, questo sarà il termine della pazienzia, che essendo in ogni tribulazione, si pensi avere riposo. Se questo è lo pelago dell'ira, non essendo presente nullo che induca ad ira, turbarsi come una fiera, questo sarà lo porto della longanimità, essendo assente presente quegli che ne dice male, essere pacifico ed in tutte cose possedere tranquillità. Se questa è l'altezza della vanagloria, che non essendo presente nullo che possa laudare, non cessare di infingere e figurare di fare opere di vanagloria e d'ipocrisia, questa sarà al postutto la spezie della privazione della vanagloria, che mai nell'avvenimento e nella presenzia di quelli che ci laudano, la intenzione e la mente non ci sia rinchinata. Se questa è la spezie della perdizione della superbia, in vile e dispetto abito ed in figura estollersi, questo sarà segno della salutare umilità, nell'alte commissioni e nell'alte operazioni e profetti sempre avere lo sapere umile. Se questo è segno di tutta viziosità, d'ubidire velocemente a tutte le cose che sono seminate dalle demonia, io percepo questo essere la notificazione della santa mondizia e della impassibilità, di potere manifestare ed efficacemente dire: Lo maligno demonio che si cessava da me, non lo conosceva, nè come venne, nè per qual cagione, nè come si perde, ma tutto son fatto insensibile a tutte queste cose, essendo tutto congiunto a Dio, e con esso sarò sempre. Questi che è fatto degno di questo stato, essendo ancora in carne, in tutte le parole ed opere e intendimenti ed intenzioni e diliberazioni sempre ae da presso Iddio abitatore e gubematore; onde da indi innanzi riceve dentro da sè per illuminazione uno aiutorio, quasi una voce del divino consiglio e beneplacito, ed essendo fatto alto sopra ogni umana dottrina, e' dice: Quando verrò ed apparirò dinanzi dalla faccia di Dio, però ch'io non posso più sofferire l'operazione e l'efficacia del desiderio e concupiscenzia eternale, ma dimando quella bellezza eternale, la quale bene attamente desti a me anzi lo pianto del peccato? E che mestiere è molto dicere? Quegli che è impassibile, vive egli, ma non egli, ma vive Cristo in lui, come dice quegli che combattè la buona battaglia, ed il corso consumò e la fede servò. Non è la corona dello rege d'una sola pietra preziosa, nè la impassibilità non è perfetta, se saremo negligenti ad una minima virtù. Lo palazzo dello re celestiale intendi la impassibilità; le molte mansioni sono l'abitazioni, che sono dentro alla città; lo muro di questa città Ierusalem è la remissione delle offensioni. Corriamo, frati, corriamo, che entriamo a lo sposo dentro allo palazzo; ma se per alcuno vizio o alcuno peso di mala usanza, per alcuno accadimento siamo presi e detenuti, almeno ne sforziamo d'acquistare alcuna mansione appresso alla contrada dello sposo; e se questo n'è fatica e dubitazione e semo rimessi, almeno ne studiamo al postutto d'essere dentro al muro, però che colui che innanzi la fine non ci sarà entrato, anco maggiormente trapassato, dimorrae nella solitudine de' vizii e delle demonia; però orava lo profeta e diceva: Nello Iddio mio trapasserò il muro; e l'altro profeta dicea: Li peccati vostri ànno diviso intra voi e lo Iddio vostro. O amici, sconciamo e rompiamo questa parete di mezzo, la quale per la inobedienzia male edificammo; riceviamo l'assoluzione del debito nostro, però che nello inferno non si perdonano i peccati. Intendiamo dunque, frati, e studiamone in ciò, imperò che così n'avemo lo nome, e non ci scusa per cadimento, che abbiamo fatto, nè per poco tempo, nè per peso che abbiamo per nullo impaccio, però che a tutti quelli che ànno ricevuto lo Signore per la grazia del santo battesimo, ae data podestà d'essere figliuoli di Dio, dicendo: Intendete e vedete e conoscete che io sono Iddio impassibile e da' vizii libertade; ad esso sia onore e gloria in saecula saeculorum. Amen. La beata impassibilità, la quale è libertade da tutti i vizii, suscita dalla terra la mente povera e dalle sozzure delle vizia, e la mondizia del cuore leva in alto lo povero; ma la sopra laudabile carità sì lo alluoga cogli principi del popolo di Dio, e fallo sedere colli principi angeli. Grado XXX Della congiunzione della Santa Trinitade, cioè fede e speranza e carità Da poi tutte le cose predette resta a dire di queste tre cose, fede, speranza e carità, le qua' tengono e congiungono tutte l'altre virtudi; ma la maggiore fra queste tre è la carità, però che è nominata Iddio, e la prima pare a me come raggio, la seconda lume, la terza cerchio, ma tutte tre sono uno splendore ed una chiarità; e la prima poteo fare tutte le cose, la seconda contiene in sè la divina misericordia, e non lascia venire in confusione l'anima che la possiede, la terza non cade mai nè cessa di correre e non lascia posare il cuore, lo quale in questa beata insania, cioè santa pazzia, è piagato. Quegli che vuole dire della caritade di Dio, vuole dire d'esso Iddio. Di Dio fare narrazione con parole, è cosa dubitosa e pericolosa a quelli che non ci attendono. Lo parlamento della carità è manifesto agli angeli, secondo che ne sono da Dio alluminati. Quegli che parlando vuole fare determinazione della carità, essendo cieco, vuole misurare l'arena dell'abisso. La carità secondo la sua qualità è simiglianza di Dio, quanto è possibile all'uomo; secondo la sua operazione è ebbrietà dell'anima, secondo la sua propietà è fonte della fede, abisso di longanimità, mare d'umilitade. La carità è perfetto lasciamento d'ogni contraria intenzione e meditazione, però che la carità non pensa male. La carità è la 'mpassibilità e l'adozione de' figliuoli di Dio, però sono distinte per li soli nomi, come lo lume e lo fuoco e la fiamma concorrono in una operazione; così intendo io in queste cose. Lo timore è nell'anima secondo la misura del difetto ovvero della illuminazione, però che quegli che è sanza timore, o egli è pieno di carità, o egli à l'anima morta; ma dalla perfetta carità nasce lo santo e verace timore di Dio, e del santo timore di Dio nasce poi l'amore. Non è cosa sconvenevole dalle cose umane prendere imagini e similitudini del desiderio e del timore, della sollicitudine e del zelo e della servitù e dell'amore di Dio. Beato è quello che à tale amore a Dio, come lo stolto amatore all'amica sua. Beati coloro che così temono Iddio, come gli malfattori degni di morte temono lo giudice che dee condennare, e beato quegli ch'è tanto sollecito nelle buone sollicitudini spirituali, come gli prudenti servitori sono solliciti a servire le loro signore. Beati coloro che sono così zelanti a conservare le virtù, come sono gli gelosi zelanti a guardare le mogli loro; beato quegli che così sta in orazione dinanzi a Dio, come stanno gli ministri dinanzi allo rege; beato quegli che così si studia di piacere a Dio, com'egli si studia di piacere agli uomini. Non s'accosta tanto la madre allo figlio a cui dà lo latte, come lo figliuolo della carità à natura d'accostarsi a Dio, perchè quegli che veramente ama, sempre imagina la faccia del diletto, e con molta delettazione l'abbraccia dentro da sè. Questo cotale eziandio nel sonno non puote posare dal piacimento del desiderato, ma con piacimento s'esercita con esso; così avviene nell'amore corporale e nello spirituale. Di questa saetta era piagato quegli che dicea di sè medesimo quella parola, della quale sì m'ammiro: Io dormo per necessità della natura, e lo core mio vegghia per la moltitudine dell'amore. E ponti a mente, o fedele e ammirabile, che dopo la morte delle bestie vizia l'anima fatta cerbia umile, allora desidera e quasi viene meno per lo foco della carità che à a Dio, come da saetta fosse saettata. L'operazione della fame non è rappresentativa di questa cosa, ma la sete di questa cosa è manifestativa, però che è significativa di fiamma; però dicea quegli che desiderava Iddio: L'anima mia è assetata di venire a te, Iddio, fonte viva. Se la faccia d'uno nostro diletto tutti ne transmuta e fanne diventare chiari e allegri, come non lo farà la faccia di Dio e Signore nostro, quando viene ed alberga nell'anima monda? Lo timore quando viene nell'anima in sentimento, ae natura di nettare l'anima e di votare le sozzure, secondo che dice il profeta: Conficca, Signore, col timore tuo le carni mie; ma la santa carità alcuni ae usati di ferire e piagare, secondo quegli che disse nella Cantica: Ferito e piagato ài lo cuor mio; alcuno altro fae esultare e chiarificali ed illustrali, secondo che dice il profeta: In esso ae sperato lo cuor mio, e sono stato aiutato, e rifiorìo la carne mia, però che quando lo cuore stae in gaudio e letizie, la faccia si schiara ed allegra. Dunque quando uomo tutto quasi è congiunto e compreso colla carità di Dio, allora di fuori nel corpo quasi in uno specchio si dimostra la chiarità dell'anima, ed in questo modo fu chiarificato quel contemplatore di Dio Moisè. Quelli che ricevono questo grado eguale agli angeli, molte volte si scordano, cioè si dimenticano del cibo corporale, e pensomi che non lo appetiscono molte fiate, e non è meraviglia, però che se la contraria concupiscenzia toglie spesse fiate l'appetito del cibo, estimo io che quegli ch'è gustatore delle cose incorruttibili e fatto sopra natura, non indifferentemente, come è usanza, per lo non prendere cibo corporale, lo corpo non se ne infermi e leda, però che lo corpo è santificato e fatto quasi incorruttibile per la fiamma della carità, la quale ricide la fiamma del calore dello stomaco; e pensomi io che quello cibo che prendono, non lo prendono con delettazione, però che come l'acqua ae a notricare le radici delle piante che stanno sotto terra, così l'anime loro a notricare lo fuoco celestiale. L'accrescimento del timore è principio di carità, ma il fine e la perfezione della castità è principio e conducimento di teologia. Quegli che ae uniti a Dio perfettamente li suoi sentimenti, li suoi parlari che discendono da cielo, spiritualmente sono insegnati, ma se li sentimenti non sono uniti a Dio, dura e pericolosa cosa è fare disputazione e parlamento di Dio. Lo verbo di Dio ch'è una sustanzia col padre, per lo suo avvenimento nell'anima fa perfetta la castità, mortificando la morte, la quale essendo mortificata, lo discepolo della teologia diventa alluminato. Lo casto verbo di Dio permane in saecula saeculorum amen. Quegli che non conosce Iddio, congetturando parla di Dio quello non conosce e non sa. La castità fece discepolo di Cristo santo Ioanni teolago, affermando per esso la dottrina della santa Trinità. Quegli che ama Iddio, amoe prima lo frate suo, però ch'è dimostramento del primo il secondo. Chi ama il prossimo, mostra che ami Iddio. Quegli che ama il prossimo, non potrà patire li detrattori, ma fuggirà da essi come da fuoco. Quegli che s'adira col prossimo, e dice sè amare Iddio, è assimigliato a quegli che sogna di correre. Lo 'mperio della carità è la speranza, però che per essa speranza aspettiamo la mercede della carità, e riceviamo in pace le tribulazioni. La speranza è uno arricchimento di ricchezze incerte ed occulte; la speranza è uno tesoro sanza dubitazione innanzi al tesoro, ella è riposo nelle fatiche e porta della carità, essa uccide la disperazione, ella è imagine de' beni assenti. Lo difetto della speranza è esterminazione di caritade. La illuminazione della speranza è manifestazione della carità; con questa speranza si legano i dolori, con questa s'appendono le fatiche; questa è girata e circondata dalla misericordia. Lo monaco che à ferma speranza, è ucciditore d'accidia, e nel gaudio suo ae d'essa vittoria. La sperienza de' doni di Dio partorisce la speranza, però che quegli che non è sporto, non permane sanza dubitazione. Lo furore disperge la speranza, ed essa non confonde, ma l'uomo furioso non sarà onesto. La carità è manifestazione della profezia, la carità è operatrice de' miracoli, la carità è abisso d'illuminazione, la carità è fonte di fuoco, la quale quanto più cresce, tanto l'ascendimento più cresceràm. La carità è madre di pace, fonte di sapienza e radice d'immortalità e di gloria; la carità è stato degli angeli e profitto del secolo. Annunziane a noi, o bella fra le virtudi, ove pasci le tue pecore, ove abiti nel mezzodì, illuminane, saziane e conducine, però che noi vogliamo salire a te, però che tu signoreggi ogni cosa; ed ora coralmente ài saettata l'anima mia, e non posso più contenere la fiamma tua. Onde andrò io laudando te? Tu signoreggi le podestadi del mare, tu mitighi e mortifichi il movimento dell'onde sue. Tu umiliasti come ferita ed abbattuta la cogitazione superba, e nel braccio della virtù tua dispergesti l'inimici tuoi, e sanza battaglia ed impugnazione gli fai essere tuoi amadori. Adunque sono venuto ad imparare, come Iacob ti vide appoggiata ed affermata sopra la scala, e priegoti che dichi a me amatore, che è questa figura di questa via di ritornare al cielo, cioè della scala, e dirami quale è il modo della construzione e della composizione di quelli gradi, li quali come salimenti lo tuo amadore dispose nel suo cuore; ed aggio desiderio di sapere lo numero di questi gradi, e quanto è il tempo del corso, però che quegli che imparoe la tua lotta, Iacob, ed ebbe la tua visione, annunziò li conducitori, cioè gli angeli, che discendeano e salivano, ma nulla altra cosa ne volle manifestare o non poteo; ed essa per dicere più propio, apparendo come una regina da cielo, mi si mostrò, e parlando per unione all'anima mia, così disse: « O amatore, se tu discordandoti non ti disciogli da l'ebetudine della mente e dalla grassezza della insipienzia, qual sia la mia visione e il mio aspetto, tu non potrai apparare; ma la scala t'insegni la constituzione e composizione spirituale delle virtù, ed in capo d'essa io sto appoggiata ed affermata, secondo che 'l mio grande dottore disse: Ora permangono fede, speranza e carità, queste tre, e la maggiore di queste è la carità ». La esortazione alli salimeriti della Scala Salite, frati, salite prontamente, disponendo li salimenti nel cuore vostro, udendo il profeta che dice: Saliamo al monte del Signore ed alla casa di Dio nostro, lo quale farà li piè nostri come quelli de' cerbi e faranne salire alle cose alte, acciò che vegniamo nella via sua. Corriamo, pregovi con santo Paulo, che dice a Filemone: Infine a tanto che vegniamo in unità di fede e conoscimento del figliuolo di Dio, ed in uno stato d'uomo perfetto e nella misura dell'etade della plenitudine di Cristo, lo quale nell'età visibile fu battezzato nell'etade di trenta anni; ed in questa spirituale Scala è soprallogato nel trentesimo grado, però che Dio è carità, lo quale è Cristo, a cui sia lode ed imperio e fortezza, però ch'egli è cagione di tutti i beni, e fue e sarà sempre per tutti i secoli mai sempre. Amen. Qui si finiscono e si compiono li trenta gradi di questa celestiale Scala ed intellettuale di santo Iovanni Climaco, abbate del monte Sinai. Questo è il sermone di santo Jovanni al pastore In questo libro materiale, o ammirabile, io t'aggio posto ed ordinato ultimo, ma nello celestiale e divino son certo che passi innanzi a tutti noi, se è verace quegli che disse, che gli ultimi di prudenzia saranno i primi in dignità. Quegli è verace pastore, il quale le pecore razionali per malizia perdute, per sua propia orazione e sollicitudine le può ricercare e nella buona via dirizzare. Gubernatore intellettuale è quegli, lo quale ae ricevuta la virtù intellettuale da Dio per le propie fatiche e dolori, per la quale non solamente può liberare l'anima dalla implicazione e conturbazione, ma da esso abisso la potè trarre e scampare. Medico è quegli, che possiede l'anima e 'l corpo sanza infermità, e non ci abbisogna di impiastro sopra esso, però che è libero dalle vizia carnali e spirituali. Dottore e maestro veracemente è quegli, lo quale ae ricevuto da Dio lo libro spirituale della scienzia scritto col dito suo, cioè coll'operazione della illuminazione sua, e non à bisogno d'altri libri. Cosa sconvenevole alli maestri è degli esempli antichi insegnare dottrina, come agli dipintori dipignere colle scede altrui. Tu che ammaestri quelli che sono sotto te, di sopra e da alto gli ammaestra, ed insegna agli altri con dottrina sensibile ed abito e figura, che si conosca in tutte le cose parevoli, come la dottrina è celestiale e non terrena. Non ti scordare di quegli che disse: Io non ricevetti dottrina da uomo nè per uomo, e non sono ammaestrato nè ammaestro, però che non ànno natura quelli che vegnono di sopra, curarsi delle cose terrene. Lo buono governatore salverà la nave, e lo buono pastore sanerà e vivificherà le inferme pecore, e in quanto le 'ritenne pecore continuo migliorano, e con piena fede seguitano lo pastore, in tanto lo pastore sarà tenuto di rendere ragione per esse allo padre della famiglia. Quegli che è pastore, lapidi colla parola quella pecora, la quale per oziosità e per pigrizia e per golosità rimane dietro all'altre, però che questo è segno di buono pastore. Quando le pecore per la fiamma dell'ardura della carne cominciano a dormire secondo l'anima, allora lo pastore raguardi al cielo, e sollicitamente vegghii per esse, però che nel tempo di quella ardura molte ne sogliono essere divorate da' lupi; e secondo che nelle pecore visibili appare, che nel tempo di quella ardura inchinano il capo in terra, così le pecore ragionevoli nel tempo di quella ardura peggiore inchinano la mente a terra, secondo lo profeta che dice: Lo cuore contrito ed umiliato Iddio non lo disprezzerà. Quando le tenebre e la notte delle vizia sopraviene alle greggie, poni lo cane immobile dinanzi a Dio alla custodia della notte, e lo cane è la mente tua ucciditrice delle bestie e delle fiere. Lo nostro buono Signore questa propietà à data alla natura, che lo 'nfermo s'allegri della veduta del medico, quantunque in quel tempo non riceva alcuna utilità da lui. O tu, ammirabile, a te si conviene di possedere impiastri, rasoi, collirii, pozioni, spugne, sagitte, cauterii ed unzioni e sperimenti da fare dormire, coltelli, legature, rimedii da tollere la nausea. Se di tutte queste cose aremo penuria, e non l'avremo in nostra podestà, come dimosterremo la scienzia? Non mai, però che le mercedi si danno all'opere e non alle parole. Lo 'mpiastro è la sanazione e la maturazione delle passioni visibili, cioè de' vizii corporali; la pozione si è sanazione delle passioni delle vizia, e votamento della sozzura invisibile. Lo rasoio è la vergogna mordente, la quale purga lo fracidume della superbia. Lo collirio è la reprensione, la qual prima conturba e poi cura. La saetta è la subita evacuazione del fiele e del fetore non apparente per la correzione; anche la saettura si è propiamente la dura imperativa correzione, fatta per la salute delli infermi. La spugna si è dopo la sagitta la curazione e rifrigerazione dello infermo fatta per le affabili e mansuete e dolci parole del medico. Lo cauterio è la sentenzia e la determinazione e la reprensione data per tempi in penitenzia benignamente e umanamente. L'unzione dopo lo cauterio è una placazione fatta allo 'nfermo per parola e per dolce consolazione. La medicina da fare dormire è di ricevere lo 'ncarico dell'obediente sopra sè, e per la subiezione dare allo 'nfermo riposo ed uno sonno sanza sonno, e una santa cechità, acciò che non veggia li beni suoi. Le legature sono coll'ammonizioni e colla pazienzia quelli che sono risoluti per vanagloria e diventati vacui, istrignere e fermare insino alla morte in odio di sè ed in amore delle virtudi. Lo coltello è la fine di tutte le cose, però ch'è la terminazione e la sentenzia a tagliare spiritualmente lo membro mortificato ed infracidato nel corpo, acciò che non gitti all'altre membra la scabbia sua, e non le possa inficere colla pestilenzia del morbo corrumpente. La beata remediazione privativa della nausea negli prelati e negli medici è la impassibilità, e però quelli che in ogni dissoavità di fetore non nausano, sforzinsi a curare altri sanza ogni oziosità e pigrizia, però ch'essi ogni anima morta risuscitare potranno; e questa sia una delle orazioni che faccia a Dio quello ch'è prelato, ch'esso Iddio gli dea grazia d'avere compassione a tutti gli suoi sudditi, ed affezione secondo la loro dignità, acciò che non offenda lo diletto e li coetanei e li compagni, secondo che Iacob ebbe studio di non fare fatigare la gente sua che conducea, più che non era la potenzia loro; la quale cosa suole intervenire a quelli che non ànno esercitato le sensora a discernimento del bene e del male e del mezzo. Molta confusione è allo prelato quando ora, che sia dato al discepolo quello ch'egli ancora non possiede. Come quelli che veggiono la faccia del re, ed ànnoselo fatto intimamente amico con tutti li suoi ministri e quelli che non gli sono cogniti, eziandio gl'inimici, posson, se vogliono, riconciliare allo rege e revocarli alla visione dell'aspetto suo, e farli essere nella giocundità della gloria sua; così pare a me de' santi e veraci amici di Dio, però che gli amici obediscono agli amici e fanno loro reverenzia, e lasciansi sforzare da loro. Buona cosa è avere amici, ma amici intellettuali, però che nullo altro tanto ne può aiutare ad avere virtù, quanto l'amico intellettuale. Narrò a me uno degli amici di Dio, come sempre lo Signore, e massimamente nelle solennità sue, remunera e dae doni agli serviziali suoi. Perfettamente lo medico dee essere spogliato delle passioni delle vizia, acciò che in alcuno tempo ne possa simulare alcuno, e principalmente lo furore, però che se non è perfettamente mondo, non le potrae impassibilmente mostrare. Vidi lo cavallo menato sotto lo freno andare quietamente, lo quale non era ancora perfettamente domato, ed essendogli un poco lasciato lo freno, dolosamente insidiava lo propio signore. Sopra due demonia questa proposizione naturalmente suole adivenire; quegli che questo vogliono cercare, cerchinlo con fatica. Allora conoscerà lo medico la sapienzia data ad esso da Dio, quando le vizia che sono state incurabili da molti, potrà curare egli. Non è mirabile quello maestro, lo quale fa diventare savi quelli fanciulli, li quali sono molto atti ad imparare, ma quegli è mirabile, che mena a perfezione quelli che sono indisciplinabili ed insipienti. Allora si dimostra e lauda la prodezza dei cavalieri, quando colli rei cavalli vincono e fanno salvi li cavalli. Se tu ài ricevuto occhio da prevedere le tempestadi, dille dinanzi a quelli che sono nella nave, saviamente e manifestamente, e se non, tu sarai trovato cagione del naufragio, però che la gubernazlone, la quale è commessa a te più che agli altri, tu non te ne curi per tua negligenzia. Vidi li medici, li quali le cagioni delle infemiitadi non dinunziarono agl'infermi, per la qual cosa a sè medesimi ed agl'infermi diedero molta fatica e tribulazione; e in quanto quello che è innanzi, vedrà che gli obedienti, e quelli che sono di fuori e dalla lunga, aranno molta fede verso di sè, in tanto d'allora innanzi si dee custodire con somma custodia in tutte cose che opera e paria, sappiendo che tutti raguardano in esso, come in una imagine di prenderne esempio, e tutte le cose che sono fatte e dette da esso, sono reputate per legge. Lo verace pastore la carità lo dimostra, però che il verace pastore per la carità fu crocifisso. Con ragione e con parole appropia a te quelle cose che sono in altri, ed entro da te trasformandoti ad essere simile ad essi, non temerai dalla molta reverenzia. Contrista lo 'nfermo per alcuno tempo, mostrandoli lo suo difetto, acciò che non languisca molto tempo, e muora per lo tuo silenzio maladetto. Molti per lo silenzio del gubematore si pensano bene navicare, infino a tanto che essi percuotano nelli scogli. Udiamo lo grande santo Paulo, come scrive a Timoteo: Sii sollicito a riprendere opportunamente ed importunamente: opportunamente, quando quelli che sono ripresi, volontieri ricevono la riprensione; importunamente, quando gli ripresi si conturbano, ma la buona fonte sempre dà l'acqua, quantunque alcuna fiata non sia chi abbia sete. Alcuna fiata quelli che sono prelati, per via di reverenzia e di umilità tacciono e non dicono all'obediente le cose utili e proficue, la quale umilità non è accetta, e però essi non si tardino di fare quello che si pertiene alli maestri, d'ammaestrare le cose necessarie, e per conservare umilità nel conspetto de' discepoli, quello che dicono e comandano ad essi, studinsi di significarlo dalla santa Scrittura. Udiamo la divina Scrittura che dice d'alcuni: Tagliala, perchè occupa inutilmente la terra; ed anche dice: Cacciate lo male da voi; ed anche dice: Non volere orare per questo popolo, e di Saul dice simili parole. Tutte queste cose conoscere dee il pastore, ed in cui e come e quando si debbano fare, però che nulla cosa è più verace che Iddio, il quale queste cose comanda. Quello che essendo ripreso in segreto, non si confonde nè vergogna, questo in presenzia della moltitudine la riprensione gli sarà cagione di vergogna, ed ispontaneamente avrà in odio la sua salute. Pensa quella cosa ch'io vidi fare a molti infermi prudenti, che sappiendo essi la infermità e la debilità loro, pregarono i medici, li quali non voleano, che li legassono, e per una violenzia volontaria gli medicassero, però che lo spirito è pronto per la buona speranza, ma la carne è inferma per le innanzi prese male usanze; ed io vedendo questo, pregai li medici che acconsentissoro loro. Quegli che è guidatore, non dee dire a tutti quelli che ad esso vegnono, come la via è stretta ed angusta e non dee dire a tutti come lo giogo di Cristo è leggiero e soave, ma dee considerare la condizione delle persone; ed a quelli che sono di duri ed aggravati peccati, e leggiermente s'inchinano a disperazione, dicano lo secondo, ma a quelli che sono levati all'alto sapere e reputansi cavelle, lo primo è convenevole medicina. Alcuni che debbono fare uno lungo viaggio, non sappiendo la via, dimandarono d'essa ed udirò che una via era diritta e sanza pericolo; avviandosi, essendo ammaestrati per lo solo audito, e nel mezzo della via trovandosi ingannati, era mestieri o che perissono o tornassero a rietro, non trovandosi apparecchiati alle tribulazioni. Come di quelli che vanno col buono conducitore, e di quelli che vanno col reo conducitore, adiviene corporalmente, così pare a me che adivegna spiritualmente. Ove l'amore divino ae toccato il cuore, quivi non può essere timore di parole; ove la paura dello 'nfemo è apparuta, quivi è la pazienzia di tutte le fatiche; ove la speranza del cielo è dimostrata, quivi è fermato lo disprezzamento di tutte le cose terrene. Lo buono conduttore della milizia conviene che chiaramente conosca lo stato e le condizioni di tutti quelli, che sono sotto lo principato suo, però che forse fra la multitudine di quelli che sono con lui, ci sono alcuni singulari combattitori, li quali sarebbero atti a sedere in quiete sopra gli altri cavalieri. Non può solo lo gubernatore salvare la nave sanza l'aiutorio de' marinari, nè il medico può sanare lo 'nfermo languente, se forse non sia pregato da esso, e col manifestamente della piaga, con tutta fede si converta ad esso. Quegli che si vergognarono di manifestare la piaga al medico, la feciono infracidare, e molti spesse fiate ne furo morti. Mentre che le pecore pascono, lo pastore non cessi di sonare lo strumento della voce, e massimamente quando vanno a dormire, però che nulla cosa tanto teme il lupo, quanto lo suono dello strumento del pastore. Quegli che è prelato, non si dee sempre umiliare sanza ragione, nè stoltamente sempre esaltarsi, vedendo santo Paolo quando fare l'uno e quando l'altro. Lo Signore Iddio in alcuni difetti del prelato veloe l'occhio de' sudditi, che non gli veggiano, lo quale prelato manifestandoli, generò infermità nell'anime loro. Vidi alcuno prelato, il quale per somma umilità consigliava gli suoi figliuoli, e vidi l'altro, lo quale la sua sapienzia sanza sapienzia per superbia la volea manifestare ad essi, proponendola contra loro ironicamente. Radissima fiata ma per uno accadimento vidi li viziosi essere prelati de' non viziosi, li quali a poco a poco vergognandosi dei sudditi loro, recisoro le propie viziora; credo che questo operoe in loro lo merito de' sudditi, e la commissione delle viziosità, e lo sforzo fu fatto in essi occasione della impassibilità. Ed è da attendere, che quello che è nel porto, non dispergano nel pelago. Questo conoscano quelli, che procedono alli tumulti ed alle conturbazioni di fuori, non essendo a ciò esercitati; ed a dire il vero, grande cosa è di sostenere virilmente e con buon animo l'ardura e la pusillanimitade e la tranquillità della quiete, e non cercare fuori della nave della cella le elazioni e le consolazioni, come fanno gli pusillanimi e negligenti navicatori nel tempo della carenzia de' venti, che non possono navicare, che si gittano nell'acqua a notare; ma sanza comparazione è più grande cosa a non temere li tumulti, e nelli romori e nelle querele permanere immobile e sanza turbazione di cuore, e di stare con gli uomini di fuori col corpo, e con la mente dimorare con Dio. O ammirabile, lo stato di quelli che sono di fuori più giusti, sia a te esempio degli nostri, però che alcuno venne alla nostra veramente giudicarla corte colpevole e dannato, ed alcuno innocente e sanza colpa venne all'opera ed al servigio di Dio, ed al postutto sono contrarii li loro avvenimenti, e così abbisognano d'altri stati e d'altri ammaestramenti. Adunque per due ragioni segretamente dinanzi ad ogni cosa sia domandato quegli che è nocente, qua' furono l'opere sue specificatamente, acciò che essendo per la confessione purgato e lavato, permagna sempre sanza confidenza di estollenzia e di fiducia, e conosca di qua' piaghe siamo stati ricevitori, e continuo sia suscitato alla nostra carità. E non ti sia celato, o onorabile, come non t'è celato ( absit ), e dico io che debbono essere distinti e la vita e la conversazione e gli abiti di quelli che sono innocenti appo Dio, però che posseggono molta varietà e differenzia; e che alcune fiate alcuno è più infermo di ree operazioni, e truovasi più umile di cuore, però dee essere più leggiermente punito da' giudici spirituali, e lo contrario è manifesto. Non è cosa convenevole che lo leone pasca le pecore, e non è cosa sicura che quegli che è ancora vizioso, pasca quelli non viziosi. Ridicola cosa è a vedere la volpe fra le galline, ma non c'è più ridicolosa cosa e sconvenevole, che lo pastore iracondo, però che quella conturba e perde le galline, ma costui conturba e perde l'anime razionali. Guardati che non sii distretto esquisitore ed esattore delle cose minute, e non essere in questo imitatore di Dio. Abbi tu Iddio per dispensatore e giudicatore di tutte le cose tue dentro e di fuori, come uno gubernatore perfetto, e per esso reciderai la sollicitudine tua e la volontà tua, e sarai fatto sanza sollicitudine e sanza cura, e condotto per lo solo senno tuo. Cercare si vuole questa cosa, non solo da te, ma da tutte genti, come per la fede di quelli che vengono a noi, e non per nostra mondizia, la grazia dispensa che molte grandi cose siano per noi operate, però che molti viziosi in questo modo li miracoli ànno operati, e se è vero quello che Cristo disse nel Vangelo: In quello di verranno molti dicendo: Signore, non profetammo noi e non facemmo molti miracoli nel nome tuo? non è incredibile lo detto capitolo. Quegli che veramente ae placato Iddio, invisibilmente poteo aiutare quelli, che patono le tribulazioni; per la qual cosa due grandi beni adopera, sì che sè medesimo conserva dalla vanagloria, quasi dalla rubigine, e quelli che ricevono la misericordia, al solo Iddio apparecchia di rendere le grazie. A quelli che nel corso delle buone operazioni al postutto perfettamente si ringiovaniscono, apparecchia li cibi, cioè le dottrine migliori e più alte, ma a quelli che vanno indietro o per costumi o per albitrio o per diliberazione o per usanza, come a parvoli dà lo latte, però che è tempo d'ogni consolazione. Spesse fiate uno medesimo cibo ad alcuni dà prontezza, e ad alcuni dà debilezza. Attendere si conviene per quelli che sono presenti, a transmutare lo seme della dottrina, ed è da attendere alla successione di quelli che debbono succedere, ed allo ricevimento nel tempo e nella persona e nella qualità e nella quantità. Alcuni reputando per niente lo giudicio, che è nel ricevimento della prelazione, si sono sforzati di reggere al proprio albitrio sanza nulla ragione. Questi avendo prima molte ricchezze, colle mani vacue migrano di questo secolo, distribuendole ad altri per la subiezione, che non ragionevole volse da'sudditi. Secondo che sono li figliuoli, alcuni propii e legittimi, alcuni altri di bigamia ed alcuni dell'ancelle, ed alcuni nati di fornicazione colle meretrici, così nelle recezioni e nelle presidenzie ci sono molte cose simili a questo de' figliuoli. Lo ricevimento della prelazione si è di dare l'anima sua per l'anima del prossimo in tutto e per tutto, ed è alcuno che riceve sopra sè lo pondo de' peccati fatti anzi la conversione tanto, ed alcuno che riceve sopra sè li peccati commessi dopo la conversione tanto, ed alcuni che ricevono lo pondo solo de' peccati commessi contro ai propii comandamenti suoi, e questo è per la indigenzia della virtù spirituale, e per la impotenzia e per la penuria della impassibilità; ma in essa prima e perfetta resezione portiamo lo pondo secondo lo mozzamento della propia volontade de' sudditi. Lo nobile figliuolo si conosce nella assenzia del padre. Lo prelato vegghi e pongasi a mente quelli che li contradicono e resistono, ed in conspetto de' più maggiori ed antichi sì li riprenda di gravissima riprensione, acciò che per le riprensioni e vergogne sentano rimordimento, però che è meglio che per la pena d'uno molti ne diventino sobri e gastigati. Sono alcuni, i quali per carità spirituale ricevono li pesi altrui sopra la loro virtù, ricordandosi di quella parola di colui che disse: Maggiore carità non si truova, che porre l'anima sua per gli amici suoi; e sono alcuni, li quali quantunque quasi abbiano ricevuta da Dio virtù di potere aiutare altrui, non volentieri prendono incarico per la salute altrui; ma io dico che questi cotali sono miserabili, come uomini sanza carità; ma de' primi trovai scritto nel libro d'Isaia profeta: Se trarrai lo prezioso dal vile, sarai quasi la bocca mia; ed anch'è scritto; Come tu ài fatto ad altri, cosi sarà fatto a te. Ed intendi a questo, pregatene, che spesse fiate lo peccato del pensiero del prelato è peggiore del peccato dell'operazione del suddito, però che è più leggiere lo peccato del cavaliere, che 'l mal consiglio del capitano. Ammonisci gli ubidienti, che tutti li loro peccati dì e notte si riducano a memoria, ma li peccati della lussuria non si riducano a memoria specificatamente. Quelli che sono semplici, fagli stare insieme ed insieme esercitarsi, e te medesimo dà per forma ed esempio d'ogni bene ai sudditi tuoi, ma quelli che pare loro essere molto savi, falli esercitare ai demoni colle forti battaglie. Non ti sia celata la 'ntenzione e 'l pensiero di tutti i tuoi sudditi, acciò che tu conoschi come sono inchinati sopra gli affetti loro, però che la intenzione de' lupi si è per li negligenti disciogliere quelli che sono pronti e solliciti. Non indugiare di pregare Iddio per ogni negligente, quando te ne priega, e non pregare Iddio che gli abbia misericordia, però che quello è allora impossibile, non operandoci esso, ma priega Iddio che lo risusciti in sollicitudine virtuosa. Quelli che sono infermi di mente e di fede, non mangino cogli eretici, secondo ch'è scritto nelle regole de' padri, ma quelli che sono potenti in Dio, se ne sono piegati dagl'infedeli, e vogliono andare ad ammonirli, vadanvi per gloria ed onore di Dio. Non ti pensare di potere scusare per ignoranza, però che quegli che è ignorante, facendo cose degne di battiture, sarà battuto, però che non imparoe. Confusione è al pastore temere la morte, però che l'obedienzia è diffinita privazione di timore di morte. Cerca la obedienzia, sanza la quale virtù nullo vedrà Iddio, e questa cerca e serva alli tuoi figliuoli; al postutto gli guarda dall'aspetto pulito simile all'aspetto feminile, e mortifica la loro volontà, e fermali nell'amore dell'umilitade e della viltade, ed a tutti quelli che sono sotto noi, per timore di Dio secondo le loro corporali etadi sieno differenti li statuti loro e gli stati e l'abitazioni, però che non è cosa convenevole rimandare nullo dal porto. Innanzi la providenzia e la legittima esperienza delle cose mondane, a neuno poniamo la mano per tenderlo, acciò che non ci avvegna questo, che essendo alcune delle pecore introdutte sanza scienzia, da poi essendo fatte in scienzia, e non possendo sostenere l'ardura e 'l pondo della religione, correndo ritornino al secolo, la qual cosa non può essere sanza gran pericolo in quelli che furono ricevuti, ed in quelli che li ricevettono. Quale esso è tale dispensatore dato da Dio, lo quale non abbisogni di suoi pianti nè di sue fatiche? Ma usile appo Dio constantemente a purgazione altrui, e non cessare l'anime e le corpora sozzate di purgare, acciò che con fiducia possi adimandare a Gesù Cristo buono ordinatore delle battaglie le corone non solo della propia anima, ma eziandio dell'anima altrui. Vidi lo 'infermo, lo quale per fede curava la 'nfermitade dell'altro infermo, usando appo Dio uno svergognamento per quello, e con umilità tanto poneva l'anima sua per l'anima dello 'nfermo, ed ultimamente per la sanità di quello sanoe sè medesimo; e vidi l'altro, lo quale per elazione di cuore fece lo simile, e con reprensione udie quella parola che dice: Medico, cura te stesso. Alcuna volta si può cessare un bene per un'altro maggior bene, come feciono coloro che fuggiro lo martiro, non per paura, se non per utilità di quelli che si salvavano sotto loro, ed alcuno che dannò sè alle vergogne per onore d'altrui, lo quale da molti è reputato amatore di concupiscenza e di delettazione e seduttore, ma egli è verace. Se quegli che la parola della verità e dell'utilità ritiene, e non la comunica con altri copiosamente, non sarà sanza punizione, quanto pensi, amico, che riceveranno e pericolo e danno quelli, che per esercizio d'opere possono consolare gli afflitti, e non ci si vogliono affaticare? Libera tu, che da Dio se' fatto liberatore, salva tu, che se' fatto da Cristo salvatore, quelli che si menano alla morte; non cessare di ricomperare quelli che dalle demonia si conducono a morte spirituale, però che questa battaglia è grande nel conspetto di Dio sopra ogni altra operazione e contemplazione d'uomini e d'angeli, di mostrare te medesimo come cooperatore delle virtù intellettuali e delle sustanzie incorporali, però che per la mondizia data da Dio purghi le sozzure altrui, e di quelli che sono nelle macule, offeri a Dio doni immacolati, la quale opera è solo de' sempiternali ministri divini, come dice lo salmo: Tutti voi che state d'intorno a Dio, offerete ad esso doni d'anime. E non è nulla cosa che tanto dimostri la bontà e la benignità di quegli, che ne creoe, verso noi, come lasciare le novantanove pecore, e cercare una smarrita. Adunque attendi tu, o ammirabile, ed ogni tua carità, sollicitudine, fervore e studio e supplicazione appo Dio dimostra verso quelli che sono errati e contriti, però che ove sono le grandi piaghe ed infermitadi, quivi si danno le grandi retribuzioni ai medici. Facciamo, osserviamo, attendiamo quando è che lo prelato dee giudicare quello che è giusto, però che non sempre dee giudicare quello che è giusto per la infermitade. Vidi due giudicati da uno sapientissimo giudice, lo quale quello che era ingiusto, quasi più leggiero pronunzioe per giusto, e quello ch'era giusto, come fedele e di buono animo condannò quasi ingiusto, acciò che per cagione di giustizia non si facesse maggiore scisma, ma da parte ed in segreto a ciascuno disse lo propio e quello ch'era convenevole, e massimamente a quello ch'era infermo nell'anima. Lo campo del fieno si conviene alla pecora, e la dottrina della croce di Cristo e l'ammonizione della morte è atta e fruttifera a tutte le pecore razionali, la quale potè sanare ogni scabbia. Quando visiti quelli che sono di buono animo, in presenzia degl'infermi sanza cagione gli di' e fa vergogna, acciò che la medicina dell'uno curi la piaga dell'altro, ed ammaestri d'essere stabili quelli che sono deboli. Giammai non si truova che Iddio, udendo la confessione, la divolgasse, acciò che per lo manifestare quelli ch'erano confessati, non li facesse ricessare dalla confessione, e per questo diventassero infermi insanabilmente; e se noi sapessimo da Dio li peccati altrui, pertanto non innanti diciamo a quelli che offendono, le colpe loro, ma per esempli gl'induciamo a confessione, però che per la confessione che fanno appo noi, non picciola indulgenzia ricevono da Dio; e poi che sono confessati, maggiore confidenzia diamo loro di noi che in prima, e maggiore cura avemo di loro, però che per questo magnificamente cresceranno in fede ed in carità verso di noi, ai quali siamo tenuti di mostrare forma di somma umilità, ed ammaestriamoli d'avere timore di Dio e di noi. Guardati che la tua umilità non sia sopra quello che è necessario, però che questo è sopra lo capo dei tuoi figliuoli adunare carboni di fuoco. In tutte le cose ti conviene essere sofferente, ma in quelle cose che sono dette inobbedienzie, si conviene di sopra intendere, acciò che nel campo tuo non sieno arbori, li quali occupino la terra, e nel campo altrui forse che potrebbono far frutto, li quali per carità e per consiglio al postutto non cessiamo di traspiantare. È alcuna fiata che lo prelato sanza pericolo opera virtù in quelli luoghi che paiono disconvenevoli, come sono li luoghi presso alle cittadi e dilettevoli. Intenda dunque sopra la successione e lo profitto delle pecore, però che Cristo non piacque a sè, però che ogni ricessamento non è vietato da Dio, ma lo medico potè leggiermente seguitare la quiete, ma non à bisogno di quiete corporale, volendo proseguitare la cura degli infermi; ma chi non è sporto del primo, usi il secondo, ma de' doni che l'anima può fare a Dio, nullo è tanto piacevole ed accetto, quanto offerirgli per penitenzia l'anime razionali. Tutto il mondo non si può agguagliare ad una anima, però che questo passa, ma l'anima permane incorruttibile. Adunque, o beato, non beatificare quelli che offerano a Dio la pecunia, ma quelli che offerano a Cristo l'offerta delle pecore razionali, ma questa è la cosa che fa lo olocausto essere immacolato, quando te medesimo ài per neente, secondo che disse il Signore: Mestiere è che sia tradito il figliuolo dell'uomo, ma guai a colui, per lo quale sarà tradito; così mi pare del contrario, però che è mestieri che molti preeletti e predestinati si salvino, ma quelli li quali appo Dio si salvano, sarà data la mercede. O onorabile. La virtù spirituale innanzi a tutte le cose a noi è necessaria, acciò che a quelli che ne sforziamo a mettere in sancta sanctorum, prendiamo studio di dimostrarli, come Cristo si riposa sopra la spirituale ed occulta mensa, massimamente mentre che stanno nelle piazze dell'entrata; e quando li vediamo angustiati e tribulati dalla turba che gli vuole impedimentire, prendiamo la mano loro come degli parvoli, e liberiamoli dalla turba delle cogitazioni; ma se alcuni di loro al tutto sono parvoli ed infermi, questi è mestiere che gli portiamo sopra le spalle nostre, infino a tanto che trapassino la porta della molta stretta entrata, però chivi è usato di fare ogni angustia ed ogni allogamento, e perciò d'essa entrata disse lo profeta: Questa è la mia fatica, infino che io entri nel santuario del mio Iddio. Detto è da noi di sopra, o padre de' padri, di quello padre de' padri e dottore de' dottori quale era, però che della sapienzia, che è di suso, tutto s'era vestito sanza ipocrisia, non infinto riprenditore, discreto, temperato, amatore, continente, casto, condescensivo, soave, preclaro dell'anima e giocondo; e quello che è più mirabile, quegli che vedea che si voleano salvare, quegli ammaestrava con maggiore diligenzia, e più distrettamente gli correggeva; e quegli che vedea che volessono o che amassono alcuna cosa viziosamente, così ne gli privava da ogni cosa che viziosamente affettassono, che d'allora innanzi si guardavano di non mostrare loro volontade di nulla cosa, alla quale avessono affetto; e dicea quello sempre perpetuale, che veramente è più utile cosa di cacciare lo frate del monasterio, che di lasciargli fare la propia volontade, però che quello che è cacciato, alcuna volta diventa più umile e impara di non voler seguitare la propia volontà; ma a colui, lo quale vuole fare le propie volontadi, ed egli per modo di benignità gli condiscende e perdona, nel tempo della morte si fa da loro miserabilmente maladicere, come colui che lo 'ngannoe e non gli fece utilità; e compiute l'orazioni della sera, era a vedere quello grande abbate come uno re, sedendo sopra la sedia de' legni, tutto pieno dentro di grazie spirituali, al quale sedeva alli piedi quello buono collegio e quella santa congregazione, come gli savi api, ed udivano e ubidivano gli suoi comandamenti come parola di Dio; lo quale ad alcuni comandava cinquanta salmi, ad alcuno trenta, ad alcuno cento, anzi che dormissero, ad altro altrettante genue, all'altro che dormisse sedendo, all'altro una lezione determinata, all'altro stare in orazione cotanto tempo. Anche ordinoa due de' frati visitatori, che visitassero e facessero ricessare li parlamenti e l'oziositadi, e la notte facea fare vigilie sterminate, le quali non è mestiere di scrivere, e non solamente del vegghiare e dell'orare, ma del cibo distribuiva questo padre propio ordine; onde la loro dieta non era una nè simile, ma a ciascuno distribuiva secondo lo stato suo, ad alcuni più secca ed arida, ad alcuno lo buono dispensatore la concedeva più remessa ed inferma. Ed era cosa meravigliosa, che quello ch'egli comandava ed ordinava, cosi era fatto sanza mormorazione, come fosse proceduto propio della bocca di Dio; ed una badia avea sotto sè questo santo, nella quale faceva stare quelli monaci del monasterio, ch'erano atti a quiete, essendo egli perfetto in tutte le cose. Non variare quelli, pregoti, che sono più semplici, nelle astuzie delle cogitazioni; maggiormente anche, se è cosa possibile, quelli che sono vari, trasmuta in simplicitade, la qual cosa è sopra oppinione. Quegli che è sommamente mondato, come uno divino giudice per la somma impassibilitade userae distrignezza in giudicando, però che lo difetto della impassibilitade percuote il cuore del giudicatore, e non gli lascia punire e purgare le imperfezioni, secondo che si conviene. Innanzi a tutte le cose lascia a' tuoi figliuoli la ereditade della fede catolica e delle sante Scritture, acciò che non solamente i tuoi figliuoli, ma eziandio tutta la tua progenie conduchi a Dio per la via della diritta fede. A quelli che sono sani e giovani del corpo, non perdonare che non gli mortifichi e non gli domi, acciò che nel tempo della loro morte ti laudino e benedicano. Lo grande Moisè di questo sia a te esempio, perciò che non poteva liberare quello popolo da Faraone, quantunque l'obbedissoro, infino a tanto che non mangiarono l'azzimo colle lattughe agreste. L'azzimo si è l'anima, che non ae la presunzione della propia volontade, e non si sae enfiare ed estollere, però che l'azzimo sempre s'aumilia; le lattughe agreste intendiamo la durizia e la fragilitade, la quale alcuna fiata seguita la suggezione e l'amaritudine, che alcuna fiata procede dalla fatica del digiuno. Ed io, padre de padri, mandando a te queste cose, temetti, udendo quegli che disse: Come ammaestri altrui, e non ammaestri te stesso? E ora in questa sola parola compieraggio questo sermone: l'anima, la quale per mundizia è unita a Dio, non abbisogna di parole altrui per sua dottrina, avendo lo Verbo sempitemale, che spiritualmente l'ammaestra e conduce, e portando essa beata la illuminazione e la perfezione di sè medesima. Deo gratias. Amen. Compiuto è il sermone di santo Ioanni al Pastore.