Fratel Teodoreto Prof. Giovanni Garberoglio

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Maestro e Superiore

Dopo d'aver spigolato qua e là ed esserci edificati agli esempi di virtù di Fratel Teodoreto, soffermiamoci ancora brevemente a esaminare la sua vita di insegnante e di Direttore di scuola.

La cattedra è l'altare su cui ogni Fratello delle Scuole Cristiane quotidianamente immola a Dio la sua vita.

È un umile altare privo dei bianchi lini e dei lucenti candelabri; polveroso, forse, e con su incisi i segni di generazioni passate, ma ugualmente sacro e prezioso per la Chiesa di Dio.

Quante generazioni di figli di S. Giovanni Battista de La Salle hanno salito i gradini di questo altare e non per lo spazio di una breve mezz'ora, ma per lunghe e faticose ore di immolazione, partecipi di quella grande missione data da Gesù Cristo ai suoi Apostoli, allorché disse loro: " Ite et docete!... ".

Fratel Teodoreto incominciò il suo insegnamento a Torino nella scuola gratuita di S. Pelagia: fu contento di trovarsi tra i poveri che egli sempre amò in modo tutto particolare; ed è per merito suo se questa scuola poté superare le non lievi difficoltà in cui per alcuni anni venne a trovarsi e continuare la sua opera di bene già più che secolare.

In essa egli passò quasi tutta la sua vita sia come semplice Fratello, che come Ispettore Didattico e Direttore, e da essa trasse numerose e valide vocazioni religiose per il suo Istituto.

Tutti quelli che gli vissero accanto, alunni e confratelli, parlano di lui con uguale ammirazione e riverenza.

Sempre calmo e sereno, sorridente e buono; ecco un breve ritratto tracciato da un suo alunno: " Lo ricordo quando, durante l'ingresso e l'uscita della scuola, passeggiava in corridoio, dignitosamente avvolto nel suo mantello; non aveva bisogno di parlare o di intervenire: la sua grave figura e il rispetto che avevamo per Lui erano sufficienti a mantenere l'ordine.

Quando lo avvicinavamo per parlargli, notavamo che sotto al mantello stava sgranando la corona.

Il suo sorriso, la sua parola calma e dolce ci rendevano più buoni per tutto il giorno.

Era sempre uguale a se stesso, sempre sereno e affabile ".

Quale elogio più bello si potrebbe desiderare per esaltare la figura di un educatore religioso?

Per gli alunni era un piacere quando egli passava a visitare le classi e si intratteneva a conversare con loro: per tutti aveva parole buone di incoraggiamento e di esortazione; anche le scolaresche più vivaci e abitualmente poco attente si trasformavano alla sua presenza, soggiogate da quella particolare aura di soprannaturale che traspariva da tutta la sua persona.

E anche quando, divenuti adulti, avevano lasciato la scuola, egli non li perdeva di vista; un grande affetto lo univa ai suoi antichi allievi ormai padri di famiglia: li ricordava con simpatia, contento se poteva dire qualche buona parola ai loro figlioli.

Partecipava alle loro gioie e ai loro lutti con vero cuore paterno.

Quanti suoi ex-alunni o loro familiari ambivano incontrarsi con lui per scambiare qualche buona parola, venire a contatto con la sua bell'anima.

Preoccupazioni e cure non meno grandi egli ebbe per i Fratelli che vennero via via a trovarsi sotto la sua direzione.

Accoglieva sempre tutti col suo aperto sorriso e con la più paterna cordialità.

Ad un Fratello che gli aveva domandato se realmente fosse stato assegnato alla sua comunità, egli scriveva: " Ella è veramente destinato a S. Pelagia, e io con mia grande consolazione l'aspetto in questa villa ( S. Genesio ), con suo comodo, però ".

Risposta piena di bontà, che trasforma un ordine di trasferimento in un invito cordiale e paterno.

Abituato a stimarsi l'ultimo, era sempre pronto a dimenticare che egli era il Direttore, per mettersi al servizio di tutti.

Si trattava di assegnare la camera ai Fratelli della Comunità?

Egli invariabilmente sceglieva la più scomoda e disadorna, pronto a cedere anche quella, qualora una improvvisa necessità lo avesse richiesto.

Un giorno giunse in Comunità un nuovo Confratello. Come sistemarlo?

Pareva impossibile; eppure la sua carità e spirito di abnegazione gli fecero trovare subito una soluzione.

Tutte le sere si vedeva Fratel Teodoreto - che era il Direttore - recarsi a bussare alla porta della sua ex-cameretta; prelevava da un cantuccio le lenzuola e le coperte, e tacito, sereno, con una naturalezza veramente ammirabile, andava nel minuscolo parlatorietto, si faceva il letto sul sofà, e... credo che colà dormisse i suoi sonni migliori!

Possiamo proprio affermare che prima ancora che con le parole e i consigli, Fratel Teodoreto guidava e governava la sua Comunità con l'esempio.

Certo egli sentì profondamente la sua responsabilità, quasi da averne sgomento: accettò la carica di Direttore solo per ubbidienza e la portò fidando completamente in Dio.

Scriveva a un suo Superiore: "Quando vedo Lei o un suo scritto, mi sento un non so che di consolante che mi infonde animo e coraggio.

Il peso impostami dall'obbedienza non è piccolo, ma vedo che non sono solo a portarlo, anzi Gesù porta tutto Lui ".

Animato da questi sentimenti, egli si fece scrupolo di compiere esattamente tutti i suoi doveri specifici, senza mai risparmiarsi.

All'occasione seppe anche essere energico e risoluto, pur di evitare abusi o infrazioni alle Regole.

E se talora gli pareva di avere esagerato in severità, non esitava a recarsi dal Confratello per chiedergli umilmente perdono.

Fratel Teodoreto ebbe, insomma, tutte le caratteristiche del " buon pastore " che, dimentico completamente di sé, pensa solo a salvare e conservare le anime che gli sono state affidate.

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