Fratel Teodoreto ( Prof. Giovanni Garberoglio )

Indice

Facciole bianche

Quando il Fratello delle Scuole Cristiane fece la sua comparsa nella Chiesa di Dio - e il fatto avvenne in Francia, sul finire del secolo XVII, il gran secolo, il secolo del Re Sole - esso parve a tutti « nuova creatura », non solo e non principalmente per la strana foggia del suo vestire...

Forse proprio in ragione di questa sua « novità », per approvare l'Istituto la Chiesa ricorse alla forma di solenne Bolla, data da Papa Benedetto XIII, l'unica concessa per mettere il sigillo canonico a una Congregazione Religiosa laicale.

Il domenicano Papa Orsini l'approvò esattamente secondo l'ideazione del fondatore S. Giovanni Battista de La Salle ( Reims, 1651 - Rouen, q719 ), come Istituto di Religiosi tutti laici, benché chiamati agli studi, con Regole astringenti assai, con voti perpetui riservati al Papa.

Ma perché non sacerdoti?

Oh, non certo perché il Santo stimasse insufficientemente lo stato sacerdotale, lui che l'aveva tanto onorato nella propria persona!

E neppure perché giudicasse i Fratelli incapaci di accedervi, avendo previsto per essi possibilità di studi e di lauree non meno difficili del « curriculum » seminaristico, senza che ne siano escluse neppure quella di Sacra Teologia e di altre scienze ecclesiastiche.

Un duplice concetto lo indusse a volere per i suoi « Fratelli » questa forma tipica di Insegnanti-Religiosi.non-Sacerdoti.

Da una parte, l'alta stima dell'apostolato educativo, ch'egli mise sul piano di ogni altro apostolato più esplicitamente sacro, e che gli pareva tale da dover bastare alla ambizione più smisurata e al più sconfinato zelo.

D'altra parte, la persuasione che l'impegno dell'educatore è così formidabile, e che l'uomo anche meglio dotato è così impari ad esso, da volere almeno questo: che nessun altro ministero, neppure quello santissimo dell'altare, venisse a contendergli tempo materiale o vagheggiamenti ideali.

Il « Fratello », conscio di questa realtà, accetta amorosamente, con tutte le altre rinunzie, anche questa delle gioie e della dignità sacerdotale, e se ne fa scala ad una più profonda umiltà e ad una santità più immolata!...

Per tale motivo il « Fratello », che approfondisce le ragioni ideali della sua vita così mal provveduta nella gerarchia ecclesiastica, non coltiva nostalgie vane e non consente a sterili rimpianti che svaluterebbero la sua primitiva offerta: la rinnova anzi quotidianamente, compiacendosene tanto più quanto meno la vede capita da quelli che guardano le cose con superficialità, sia pure a volte da eminenti posizioni sociali...

Il Fratello Teodoreto capì invece di primo acchito la bellezza della formula e il perché della « laicità » lasallina; la capì poi sempre meglio, a mano a mano che l'andò vivendo in profondità, e non desiderò mai di vederla mutata in altra apparentemente più ricca o piena, ma diversa da quella che lo spirito di Dio aveva ispirato al Santo Fondatore.

Aggiungiamo subito che l'essere all'ultimo posto nelle gerarchie sacre gli parve un immenso guadagno per l'anima; e fermamente credette che nell'eternità si applicherà anche al caso dei « Fratelli » la promessa di Gesù: « Gli ultimi saranno i primi ».

In tempo di noviziato si impegnò con tutto l'ardore allo studio della Regola e dello Spirito del suo Istituto: il duplice spirito di Fede e di Zelo.

durante l'intera vita continuerà questo studio, diventandone un esimio realizzatore, un pratico esemplare nella propria persona.

Forse allora non era in grado di apprezzare l'originalità dell'ascetica lasalliana, che, invece dell'Ufficio divino, della predicazione, dei digiuni e delle astinenze, proposte agli ordini antichi come mezzi di santificazione, proponeva l'esercizio dello studio e dell'insegnamento anche profano, reso però sacro dalla santità del fine e dallo spirito di preghiera in cui il santo Fondatore ebbe cura di immergerlo quotidianamente.

Ma, se non illustrò teoricamente quest'ascetica dal timbro così personale e moderno, la illustrò in modo anche più efficace, mostrando praticamente come essa risulti valida per condurre al alta perfezione!...

Fratel Teodoreto novizio ebbe la fortuna di trovare un formatore valorosissimo nel Maestro - o, come da noi si dice - nel Direttore del Noviziato, Fratello Natalius, che lasciò così profondo ricordo e rimpianto di sé.

Austero e cordiale, con qualche briciolo di non spiacevole fanciullesca originalità, aveva anche un dono di rara penetrazione psicologica dei vari spiriti e caratteri e nazionalità.

Capiva perfettamente gli Italiani per i quali aveva premure e attenzioni davvero materne, quasi a compenso del loro trovarsi in terra straniera.

C'è proprio da rimpiangere che a quei tempi il Noviziato non terminasse con l'emissione dei primi voti temporanei di un anno, come oggi avviene, preceduti dal Capitolo per l'ammissione.

Il processo verbale ci procurerebbe oggi la gioia di sentire l'apprezzamento che del Novizio Fratel Teodoreto davano i suoi Formatori e Superiori.

Né vi supplisce un diario personale, o un registro qualsiasi, sul quale il Direttore del Noviziato abbia consegnato in sintesi il suo giudizio su ogni soggetto passato fra le sue mani, anticipando magari qualche presagio sull'avvenire, sia pure con il facile rischio di essere poi dai posteri dichiarato un profeta da strapazzo!

invero sono tante le sorprese che arreca la vita a contrasto con gli indizi della giovinezza!

Purtroppo non risulta che il Fratello Natalius avesse l'abitudine di consegnare confidenze alla carta.

Per nostra somma fortuna è ancora vivo e vegeto di spirito il Fratello Andrea Bozzalla, il quale - finito il suo Noviziato nell'ottobre del 1887 - venne trattenuto a La Villette per aiutare i giovani aspiranti italiani, che vi giungessero senza possedere la lingua francese in modo sufficiente a seguire con frutto le quotidiane conferenze ed istruzioni.

Egli era quindi particolarmente ben situato per osservare i novizi italiani di quegli anni; e ricorda assai bene il nostro Fratel Teodoreto, del quale scrive testualmente:

"Spiccava su tutti gli altri per il buon carattere e per l'ottima condotta.

Subito i compagni lo tennero in concetto di un santarello.

Non che facesse qualche cosa di speciale; solo si applicava ad eseguire bene ogni esercizio portato dal Regolamento.

Era silenzioso, obbediente, studioso, pio, irreprensibile sotto ogni aspetto.

Non fa meraviglia che non si ricordino, a tanta distanza di tempo, cose e fatti che lo mettessero in uno speciale rilievo; tanto più che era così umile, così tranquillo!

Sempre sorridente, cercava di non emergere, ma di nascondersi e fare il meglio possibile senza attirare l'attenzione degli altri.

Si aveva, fin da quei tempi, il concetto comune che Fratel Teodoreto era già un santo, e che era venuto dalla famiglia così".

A conferma, ecco un'altra testimonianza di un connovizio, l'ultraottantenne ma sempre valido Fratel Elisio.

Son poche righe, scritte con pugno fermo e memoria sicura:

"Dal 1° novembre 1887 al 1° novembre 1888 il C. F. Teodoreto fu mio compagno di Noviziato a la Villette presso Chambéry.

In tutto il tempo lo vidi costantemente composto, esatto, servizievole in sommo grado.

Splendeva sempre un bel sorriso sul suo volto, né mai ho inteso dalle sue labbra il minimo biasimo sul conto di chicchessia.

Anche quando si lavorava per la costruzione della nuova casa di Noviziato, egli m'incoraggiava nella fatica, lavorando con allegrezza e per amore di Dio".

È da sapere che la formula benedettina dell'« ora et labora » trova una certa sua applicazione parziale nelle nostre case di formazione, con grande vantaggio fisico e spirituale, e anche un po' economico.

Sento dire con vero rincrescimento che in alcune Province nostre ( da noi si chiamano Distretti ) c'è tendenza a sopprimerlo, quasi si trattasse di cosa indegna da futuri educatori, od offensiva della personalità...

La personalità non ha proprio nulla da temere dal lavoro manuale che, se mai, contribuisce a formala e a mostrarla.

e il futuro educatore ha tutto da guadagnare per la completezza della sua formazione, se, invece di speculare solo astrattamente sui libri, si mette a diretto contatto con la realtà fisica.

Ricordo che, io personalmente, giunto appena in casa di formazione dal nostro Collegio di Torino, invidiai i compagni addetti al carretto che portava via le spazzature, e ottenni di aggiornarmi in mezzo alle auspicate stanghe, tra le quali mi sentii felice più che non lo fossi tra i paradigmi della grammatica: né esse mi impedirono di imparare poi anche quelli, insieme con il vivere civile e secondo il galateo.

Si perdoni l'exusrsus e il ricordo personale!...

Il Fratel Teodoreto novizio, nel trasportare i pesanti massi della nuova costruzione di La Villette, pensava certamente a Gesù operaio ed era tanto contento di imitarlo; pensava che, mentre costruiva le mura esterne del Noviziato, innalzava pure in sé le strutture interne del « Fratello », che sa di non avvilirsi se all'occorrenza lucida i banchi della sua classe, spolvera la cattedra e scopa i pavimenti.

E diceva al suo compagno di fatica, quando il lavoro cominciava a diventare pesante: « Facciamolo per amor di nostro Signore! ».

Quante volte, anche più tardi in Comunità, Fratel Teodoreto cinse il grembiale per le bisogne della casa povera, o per imbandire una mensa più vistosa, o - meglio di tutto - per ornar di fiori l'altare e farlo rilucere di nitidezza dei giorni di maggior solennità...

E non pensò davvero mai che fosse un abbassarsi!

Dal tempo trascorso a La Villette Fratel Teodoreto serbò sempre il miglior ricordo.

Tanto è vero che, un anno prima della morte, essendo stati esposti in sala comune due album di fotografie di quella Casa, Egli indugiò a lungo nel rimirarli e chiese poi anzi di poterli trattenere.

Gli dovevano ricordare dolcissime cose della sua prima giovinezza religiosa e riuscire stimolo ad una sempre più fedele corrispondenza all'ideale allora intravisto, perché si decidesse a richiesta tanto insolita, anzi contraria al suo abituale spirito di spogliazione.

Questi album sono ora gelosamente custoditi con le altre cose che furono a di Lui servizio.

Ricordò anche qualche volta, in ricreazione, i deliziosi « qui pro quo » da lui presi nei primi tempi, quando ancora Fratel Andrea non lo aveva introdotto nei misteri dell'idioma gallico.

Certe strane assonanze con il dialetto piemontese chiamavano il sorriso sul suo labbro.

Tra l'altro citava l'interpretazione curiosa e tutt'altro che ortodossa che gli si presentava come prima allo spirito nell'udire le seguenti forme: « vous etês », ( vusett, vocina ), « grâce sanctifiante » ( gras en ti fianc, pinguedine nei fianchi )... che non vedeva bene come riferire all'argomento della conferenza!

Non c'è dubbio che Fratel Teodoreto pose al noviziato le basi sicure per una vita religiosa veramente seria, e s'innamorò talmente della propria vocazione di Fratello, da diventare presto una calamita per altri.

La sua prima conquista fu quella del nipote « Tamlìn ».

Costui, al partire di Giovanni per il Noviziato, aveva raggiunto i familiari trasferitisi a Buenos Ayres.

Ma presto la nostalgia li ricondusse tutti in Italia.

Nell'arrivare a Vinchio, la Provvidenza volle che vi si trovasse Fratel Teodoreto, andato al paese per la leva militare.

Scrive il nipote: « Provai una grandissima impressione nel vederlo in abito di Fratello.

Mi venne anzi il desiderio di seguirlo.

Espletare le pratiche, raggiunsi a Torino lo zio, che mi accompagnò al Piccolo Noviziato di Grugliasco, e in seguito mi sorresse con il consiglio, con la preghiera e con l'esempio, restando la mia guida sicura fino agli ultimi dei miei giorni ».

Così, per merito di Fratel Teodoreto, Bartolomeo Vercelli, detto familiarmente « Tamlìm », divenne Fratel Bonaventura.

E fu « buona ventura » davvero per tutte le comunità che lo possedettero, tanto seppe rendersi prezioso con ogni genere di servizi, ottenendo sovente da Uffici e da Autorità ciò che altri non osavano neppure chiedere.

Dalla sua « buona ventura » dubitarono solo, a volte, le donne del marcato genovese, che, al vederlo comparire, nascondevano le ceste di verdura e frutta, sapendo quanto difficilmente si poteva resistere alle perorazioni ch'egli faceva a favore dei poveri Artigianelli Montebruno, di cui era economo.

Ma nonostante la precauzione del nascondere la merce migliore, egli finiva sovente per portarsela via lo stesso, a prezzi di imbattibile concorrenza!

Proprio, da collocare in anima e corpo nei « fioretti » di S. Francesco, aspettando che siano pubblicati i fioretti lasalliani!

E quanti altri Fratelli devono al Fratel Teodoreto, in tutto o in parte, la vocazione?

Vorrei tentare di cominciare l'elenco, lasciando che lo finisca il Signore, che sa la segreta origine dei più santi impulsi: alfabeticamente ordinati, i Fratelli Abele, Arcangelo di v. m., Cecilio, Flavio, Fulgenzio, Gilberto, Giuseppe, Gustavo di M., Riccardo...

Qui giunto consideravo concluso il capitolo, quando la Provvidenza mi fece trovare le lettere scritte dal Fratel Teodoreto al nipote postulante, poi novizio e poi studente.

E poiché esse dicono chiaramente quanto il Nostro apprezzasse la grazia della vocazione, del noviziato, della perseveranza, mi pare non poterne defraudare il lettore, e doverle mettere proprio qui, ch'é il posto più adatto al loro contenuto.

La prima raggiunge il nipote a La Villete durante il periodo del postulantato.

Torino, 28 maggio 1893

"Caro Bartolomeo,

Quando io penso alla tua sorte, o Bartolomeo caro, quella cioè di incominciare il Noviziato, sento in me un desiderio grande di incominciarlo anch'io, se fosse possibile; ma ordinariamente il Noviziato si fa una volta sola e fortunato chi lo fa bene.

Oggi è il giorno della SS. Trinità ed i Fratelli rinnovano i Voti.

Quanto è bello vedere tante persone consacrate a Dio tutto tutto!...

Io, grazie a Dio e alla bontà dei Superiori, ho potuto rinnovarli, e tu fallo col desiderio e attendi con ansia il giorno in cui ti sarà concesso di fare i Voti.

Nella tua lettera hai detto che il Signore non ti poteva fare grazia maggiore di quella che ti fece chiamandoti alla vita religiosa e hai detto bene davvero.

Sì, Bartolomeo caro, procura di corrispondere a tanta grazia e mira a farti santo, perché Iddio ti vuole santo, questo è certo, e ti dà tutti i mezzi per divenirlo.

Sia la santità l'unico scopo; chiediamo a Dio le grazie e le virtù di cui abbiamo bisogno, siamo fervorosi e allora conosceremo quanto sia dolce e soave il servire a Dio nella santa religione".

Ma ecco che Tamlìn, cambiando il... pelo, ha pur cambiato nome: è ormai Fratello.

E tosto il santo Zio, a mettere chiari in carta i patti per la nuova parentela spirituale che li stringe, scrive:

Torino, 29 agosto 1893

"Caro Fratello Bonaventura,

D'ora innanzi non ci chiameremo più né zio né nipote, e quindi lungi da noi il voi ed il tu; ad essi sostituiremo il lei, per ubbidire alla nostra santa Regola.

Che fortuna ci è toccata! oh! quanto io godo di poterla chiamare Caro Fratello!

Spero che sarà sempre nei sentimenti che aveva quando mi lasciò per recarsi al Santo Ritiro nel quale ora si trova, cioè di lavorare con grande fervore a perfezionare in sé tutte le virtù e specialmente l'umiltà e la carità.

Questa speranza mi consola assai, anzi più di ogni altra cosa".

Chi aveva preparato così bene il nipotino alla Prima Comunione, sente gioia nel potergli ora suggerire santi pensieri perché profitti della grande grazia del Noviziato.

Sono pensieri e sentimenti per noi rivelatori...

Si comincia a notare qui quell'insistenza dei richiami all'umiltà che sarà nota costante nelle altre lettere al nipote...

Torino, 15 febbraio 1894

"Caro Fratello Bonaventura,

Ogni volta che penso a Lei, indubbiamente mi si affacciano alla mente due pensieri principali e sono: Il primo di contentezza e di gratitudine verso Dio che si degnò chiamarci nella sua casa e antiporta del Paradiso.

Il secondo è l'importanza di ciò che lei sta facendo, cioè del Noviziato; e qui la mia mente correndo ai giorni nei quali già si troverà nell'occupazione che la Provvidenza le destinerà, mi sembra sentirla dire: Ah! giorni di Noviziato non abbastanza conosciuti!

Io non so che ne sia degli altri, ma per conto mio l'assicuro che ( mi permetta l'espressione ) invidio la sua sorte.

Oh! quanto sarei felice se potessi rifare quell'anno di Noviziato che passò purtroppo come vento!

Oh! quanto spesso accade che non si conosce il pregio delle cose, se non quando più non si hanno!

Lei ha ancora un po' di tempo, faccia sì che ciò non avvenga.

La speranza che lei diventi tutto di Gesù e che mi aiuti colle sue preghiere a diventar tale anch'io, mi inonda il cuore di ineffabile consolazione.

Ah! sì, Caro Fratello Bonaventura, i nostri cuori siano uniti nel SS. Cuore di Gesù e solo di santo affetto avvampino!

Il nostro unico intento sia piacere a Gesù e a Lui solo; la carità e l'umiltà, come le dissi altre volte, l'aiuteranno a far grandi progressi nella perfezione.

Ma che sto a dar tanti consigli? No, un solo voglio darne ed è di essere in tutto e per tutto sottomesso al suo buon Direttore; sia rispetto a Lui come il bambino con la mamma, e allora i giorni che ancora le rimangono di Noviziato saranno qual corona al suo primo anno di vita religiosa".

Finalmente il Fr. Bonaventura ha finito il Noviziato.

È tornato in Italia e si trova allo Scolasticato di Grugliasco.

S'indovina che ha scritto allo Zio la proposta di far la passeggiata regolare l'un verso l'altro, a quanto a quando, così da incontrarsi.. a Pozzo Strada o giù di là, e di scriversi un po' più spesso.

Ed ecco la risposta di Fratel Teodoreto, che è già tutto Lui, come lo abbiamo conosciuto anche noi molti anni dopo.

Quel « Viva Gesù nei nostri cuori » che conclude le sue lettere, così come le iniziali G.M.G. che le aprono sono ancora degli indici chiari che il suo pensiero e il suo affetto, ormai ch'è religioso, sono completamente volti alle « celesti cose! ».

G.M.G.

Torino, 18 luglio 1894

"Caro Fratello,

Ricevei la sua lettera e fui veramente contento che il Signore le dia buona volontà e ferma risoluzione di farsi un santo religioso.

Sì, caro Fratello, facciamoci santi, preghiamo il Signore che ci renda tali perché da noi possiamo solo fare il male.

Ah! sì, colla santità si trovano tutte le qualità, tutte le doti di cui ha bisogno un Fratello; pensiamo a farci santi e il Signore penserà al rimanente.

Potrei dire ancora altre cose ma il tempo mi manca, d'altronde ascolti i consigli di quelli che lo Spirito Santo ha messo a dirigerla e nella santità e nello studio.

In quanto all'incontrarci in passeggiata può capire quanto mi sarebbe gradito qualora si potesse; ma io penso che riguardo a questo sia meglio lasciare al Signore di disporre il tempo e la circostanza affinché allora le parole che si diranno possano essere migliori.

Riguardo al mandarci a salutare o mandar lettere, ecco ciò che penso: i saluti mandiamoceli tutti i giorni e anche più volte al giorno ma solamente per mezzo del SS.mo Cuore di Gesù, le lettere poi solo in caso di necessità.

Lei si raccomanda a me, ma con maggior ragione debbo io raccomandarmi a lei; pensi che lei è in mezzo al fuoco del fervore e che non può fare a meno di riscaldarsi; adunque io mi raccomando quanto so e posso a lei, preghi per me che ne ho un bisogno grandissimo.

La saluto con grandissimo affetto in G.M.G. e mi dico suo Fratello nella Santa famiglia del nostro Beato Padre.

Fratello Teodoreto

P.S. - Se scrive a suo Padre, lo saluti per me, e se scrive alla Nonna faccia lo stesso. Viva Gesù nei nostri cuori!

Del resto il Fratel Teodoreto continua, anche dopo gli anni di formazione, a seguire epistolarmente il suo degno nipote.

Ogni anno si rifà vivo per la festa di S. Bonaventura, e risponde agli auguri natalizi.

Ancora qualche stralcio, anzi qualche sua lettera al completo, perché non si saprebbe che cosa tralasciare, tanto sono legate, discrete, essenziali.

Torino, 20 dicembre 1894

"Caro Fratello Bonaventura,

Giacchè ho l'occasione di mandarle alcune righe le scrivo, ma la lettera sarà brevissima.

Mio caro Fratello Bonaventura, facciamo in modo che Gesù venga a nascere nel nostro cuore, vi cresca e diventi grande amore.

Che lezioni di umiltà ci dà il buon Gesù!

Fratello caro, auguro a Lei ed a me un'umiltà profonda, senza della quale non si può dare virtù vera, un grandissimo amore a Gesù, a Maria a S. Giuseppe e al nostro Beato Padre e un fervore ardente di imitare continuamente sì grandi modelli.

Dica al Carissimo Fratello Egidio che gli faccio gli stessi auguri.

Viva Gesù nei nostri cuori!

Fratello Teodoreto

Torino, 25 ottobre 1895

"Caro Fratello Bonaventura, La letterina che mi ha scritto mi fece molto piacere e ringrazio Gesù del favore che le fece.

Sì, caro Fratello Bonaventura, il Signore ha cura di noi purché da parte nostra facciamo tutto il possibile per servirlo perfettamente.

Io non mancherò mai di pregare per lei e lei non manchi di raccomandarmi al buon Gesù perché ne ho molto bisogno nella scuola e a casa.

Ricordiamoci a vicenda la risoluzione presa di andare sempre avanti nella perfezione.

Iddio ci vuol santi! Che importa a noi l'aver lasciato il mondo se non ci facciamo santi?

Fratello Bonaventura, al giorno del Giudizio si vedrà ciò che avremo fatto.

La saluto con grandissimo affetto in G.M.G.

Fratello Teodoreto"

Nella lettera che segue sono ripresi, con maggiore sviluppo gli stessi argomenti del diventar umili e del farsi santi.

Eccola:

Torino, 13 luglio 1899

"Carissimo Fratello Bonaventura,

Evviva S. Bonaventura!

S'immagini se voglio lasciar passare la sua festa senza scriverle due righe; dirò magari le cose solite, ma qualcosa voglio dirla.

Bonaventura carissimo, se non ci facciamo santi siamo i più grandi minchioni che esistano sulla terra.

Perché non abbiamo sempre gli occhi rivolti alla nostra santificazione?

Perché non approfittiamo delle circostanze più critiche e più umilianti per far nuovi passi nella via della perfezione?

Vogliamo sì o no farci santi? Se vogliamo possiamo, e se ancora non siamo santi è perché non l'abbiamo voluto.

L'altro giorno ci siamo dati la parola di metterci con ferrea volontà nella via della perfezione; ora sta a noi il mantenere la parola data.

Scrivo queste cose con un po' di forza prima per me e poi per Lei, perché al fin dei conti sarebbe tempo di non più contentarci di parole ma di venire ai fatti.

Chiediamo al Signore, per mezzo di S. Bonaventura che era tanto umile, la virtù che è base indispensabile della vera sanità, e mettiamoci a praticarla in tutte le circostanze anche impreviste, giacché il chiederla senza praticarla è un burlarsi di Dio e un ingannare se stesso.

Buona festa adunque, carissimo Fratello Bonaventura. Dica un Memorare a Maria SS. per me affinché io metta in pratica ciò che ho scritto su questo foglio; le prometto di dirne due per Lei.

Suo affezionatissimo in G.M.G.

Fratello Teodoreto"

Mi piace concludere l'excursus sulla corrispondenza di Fratel Teodoreto con la sua prima conquista lasalliana, riportando la letera scritta in occasione delle Nozze d'Argento di Professione religiosa del nipote.

Lo stile è naturalmente festivo, ma ha come sempre la massima spontaneità e la minima anzi la nessuna ricerca di fare effetto!

Per questo ci piace, nella sua interiore legge di aurea semplicaità

Torino, 19 settembre 1929

"Viva Gesù nei nostri cuori! Sempre.

Mio sempre carissimo Fratello Bonaventura,

Nella ricorrenza del suo venticinquesimo anno di Professione religiosa il mio cuore esulta di gioia ricordando la serie commovente delle circostanze provvidenziali che prepararono la mia e la sua vocazione religiosa sotto la guida della impareggiabile e indimenticabile Nonna sua e Mamma mia carissima.

È quindi con tutto il cuore che mi unisco agli ottimi Fratelli della Comunità degli Artigianelli per festeggiare un sì lieto avvenimento e per implorare da Dio le grazie e le benedizioni più elette su di Lei e su tutta la Comunità che oggi La circonda di affetto e di gioia.

L'abbraccio di gran cuore!

Suo sempre affezionatissimo Fratello Teodoreto"

Avremo da citare ancora brani di lettere del nostro Servo di Dio: tutte ci consentono uno sguardo nel paesaggio della sua anima, che sempre riposa e ristora, anche quando non stupisce.

Indice