L'azione

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Il fenomeno dell'azione

Parte III

Si cerca di definire l'azione con la sola scienza e di circoscriverla nell'ordine naturale

C'è qualcosa. Questo dato che ammettono persino coloro che concedono il meno possibile, questo riconoscimento dell'esperienza ingenua non mi è imposto mio malgrado: ho voluto che ci fosse qualcosa.1

Mentre infatti si aveva la pretesa di sfuggire all'inquietudine del problema morale, si poneva questo stesso problema con un segreto movimento della volontà.

Mentre si aveva la pretesa di scoprire nel nulla una soluzione certa e una risorsa sicura, ci si approntava una duplice via di uscita.

Si è optato per qualche cosa che è sentito, conosciuto, desiderato immediatamente da tutti, che presenta all'attività umana un campo immenso che lo stesso progresso delle scienze positive, pare, non consente più di negare o di temere.

Lo si è fatto per spirito di diffidenza per l'altra alternativa che si era ventilata, e la cui ombra di ignoto è sembrata gravida di conturbanti superstizioni.

Io resterò fedele a questo disegno; e con l'aiuto di tutti i mezzi che i sensi, la scienza e la coscienza mi forniscono, costruirò su questo semplice fondamento tutto ciò che esso potrà sostenere.

Può essere che l'edificio risulti soddisfacente; può essere che senza uscire dal fenomeno, e considerandolo come tutto ciò che è, io abbia un'idea completa della mia azione e una soluzione soddisfacente del problema della vita.

Se l'uomo sorge interamente dalla natura, se i suoi atti non sono altro che sistemi di fatti come gli altri, se il movimento della sua volontà è circoscritto negli stessi limiti della scienza positiva, non avremo il diritto di esorcizzare per sempre il fantasma dell'essere nascosto?

Fare entrare nel campo della conoscenza e del potere umano tutto ciò che ci sembra in prima istanza almeno accessibile ( energie della natura, forze occulte, persino miracoli apparenti ), fondare la vita individuale o sociale sulla Scienza soltanto, bastare a sé: è di sicuro questa l'ambizione dello spirito moderno.

Nel suo desiderio di conquista universale egli vuole che il fenomeno sia, e sia tale quale lo conosce e ne dispone.

Egli ammette che constatare i fatti e la loro concatenazione significa spiegarli completamente; considera quasi provata ogni ipotesi che gli consenta di evitare l'intervento di ciò che si chiama la Causa Prima.

Il timore della metafisica non è forse l'inizio della sapiaenza?

Egli si adopera a determinare la « genesi » dell'uomo, l'origine della coscienza e tutta l'evoluzione dell'attività morale con il medesimo rigore dei movimenti astronomici, perché ai suoi occhi il mondo intero costituisce un solo e unico problema, e perché a quanto pare nel metodo scientifico c'è unità e continuità.

La pretesa è affascinante. Ma è giustificata?

E la volontà dichiarata di circoscrivere e di contenere l'uomo nell'ordine naturale dei fatti, quali che siano, concorda con la volontà più profonda da cui procedono, come si vedrà, l'intero movimento della sua conoscenza e l'intera sua attività intellettuale?

Sono questioni decisive, che bisogna risolvere a ogni costo prima di essere legittimati a pronunciarsi con una competenza scientifica sulla portata dell'azione e sul senso del destino umano.

Ma se la difficoltà è grande, il metodo per risolverla è estremamente semplice.

Consideriamo dunque, partendo dal primo dato sensibile, come ci sforziamo di conferire al fenomeno tutta la consistenza e la sufficienza possibile, e come viceversa, fallendo sempre in questo sforzo, saremo forse trascinati senza fine più lontano di quanto, non dico si volesse, ma si immaginasse di volere.

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1 Mette conto di prevenire qualsiasi malinteso.
Non è la volontà che fa essere ciò che è; al contrario, per il fatto di volere essa implica qualcosa che non fa, vuole essere ciò che non è ancora.
Non si tratta dunque di considerare questo qualcosa ne come esterno ne come interno ovvero riducibile alla rappresentazione che ne abbiamo.
Si tratta di analizzare il contenuto dell'azione voluta, in modo da vedere inglobata in essa tutta la varietà degli oggetti che sembrano essere fini estranei, ma che in realtà sono soltanto mezzi per colmare l'intervallo tra ciò che siamo e ciò che vogliamo essere [nda].