L'azione

Indice

Gli elementi della conoscenza e la scienza soggettiva dell'azione

Capitolo III

Le scienze positive esistono solo grazie a un postulato immanente.

Esse hanno un continuo bisogno di ammettere che i sistemi intelligibili o organici da loro considerati sono distinti dagli elementi di cui sono formati, e che la sintesi e l'analisi non sono reciproche.

Perché, come abbiamo visto, non conoscendo il tutto di niente, noi non conosceremmo niente del tutto, se nel fenomeno dato non vi fosse che un complesso meccanico, e se la sintesi, costruita a priori o constatata a posteriori, non fosse un tutto distinto e una nuova unità.

Ciò significa che in qualsiasi verità scientifica e in qualsiasi realtà conosciuta bisogna supporre, perché sia conosciuta, un principio interno di unità, un centro di coesione impercettibile ai sensi o all'immaginazione matematica, un'operazione immanente alla diversità delle parti, un'idea organica, un'azione originale che sfugge alla conoscenza positiva proprio nel momento in cui la rende possibile, insomma una soggettività, per dirla con una parola che ha bisogno di essere precisata meglio.

Come definire questa incognita che è stata refrattaria alle spiegazioni delle scienze, ma la cui presenza è necessaria e feconda per esse?

Il problema è doppiamente delicato. Perché si tratta di precisare che cos'è il soggettivo visto dal di fuori,19 quale appare nell'oggetto della conoscenza, e che cos'è visto dal di dentro da parte del soggetto medesimo.

Ma c'è di più. Bisogna studiare il passaggio da questa interiorità oggettiva, se così si può dire, a questa interiorità soggettiva, al fine di indicare al tempo stesso come vi sia continuità dalla scienza dell'oggetto alla scienza del soggetto, e come l'originalità di questa scienza della coscienza rimanga integra.

Il difficile quindi è mantenere la relazione e l'indipendenza tra questi due ordini di conoscenze, pur mostrando che uno è subordinato all'altro e che entrambi procedono dallo stesso volere.

I.

La formula precisa cui è sospesa l'esistenza delle scienze positive suona così: « Il composto di molteplici elementi in quanto composto ha un'unità interna; il vincolo degli elementi ha una realtà distinta dagli elementi stessi ».

Infatti a quest'unica condizione è possibile e utile la sintesi matematica; a tale condizione anche la conoscenza sperimentale riesce ad aggrapparsi alle forme della realtà sensibile disposte su diversi piani, e infine a questa condizione si dà un fecondo commercio tra il calcolo e l'osservazione, che ritrovano l'unità nella molteplicità e la molteplicità nell'unità.

Ora l'unità di una sintesi non consiste altro che in una relazione interna delle parti; è la proiezione ideale dell'insieme in un centro di percezione.

Il vinculum è di natura intelligibile20 e, a dire il vero, soggettiva.

Ma se già questa unione indivisibile di una molteplicità inferiore a se stessa trascende il dominio delle scienze positive, nondimeno agli occhi dello scienziato essa costituisce il primo dei postulati.

Attingerlo significa essere risaliti al fatto dalla cui visuale si scopre un altro versante.

Quindi la cosa da considerare in questo momento è come i fenomeni si interiorizzano, come dalla stessa conoscenza oggettiva si è indotti a estrarre una nozione sempre più precisa del soggettivo.

- Considerando fin dal loro punto di partenza l'omogeneità di un tutto solidale per introdurvi la differenziazione astratta e le relazioni tra le parti, le scienze esatte riconoscono un principio di unità in seno alla solidarietà universale, e suppongono un vincolo invisibile nella molteplicità diffusa, perché senza questa unità non vi sarebbe né il tutto, né le parti, né la relazione, né conoscenza possibile.

Il tutto, per il fatto stesso di essere considerato come un tutto, è più della somma dei suoi elementi; perché esso non appare quello che appare se non ricondotto all'unità di un sistema.

La parte, per il semplice fatto di essere una parte, è più che una parte soltanto, perché esprime il suo rapporto con tutto il resto.

Se riflettiamo sullo sviluppo delle scienze esatte e sulla disposizione lungo diversi piani delle loro costruzioni astratte, scopriremo che esse immettono nelle loro sintesi successive un crescente carattere di idealità soggettiva.

Se d'altra parte è vero, come hanno riconosciuto le scienze della natura, che dal loro punto di vista ogni unità reale è sintetica e simbolica, allora persino nell'elemento più sottile che possa essere attinto nell'analisi sperimentale c'è l'affermazione implicita di un dentro, di un centro interno di proiezione al quale si rapporta una molteplicità virtuale.

E lungo tutta la gerarchia delle combinazioni e delle forme organiche l'unità sistematica si manifesta sempre di più, come il segno di un principio immanente di percezione e di organizzazione.

Così da un capo all'altro, nel campo delle costruzioni matematiche come nell'ambito delle produzioni viventi della natura, il fenomeno è tanto meglio percepito e tanto più intelligibile, sembra tanto più oggettivo, in quanto, esibendo un'organizzazione intrinseca più complessa, rivela una soggettività crescente.

Quello che per noi costituisce il principio della conoscenza che ne abbiamo, è proprio ciò che in esso sembra il principio della sua realtà sintetica e delle sue percezioni interne.

In un certo senso è conosciuto allo stesso modo in cui è; sembra essere in noi nella misura in cui è in se stesso.

Prescindendo dunque da qualsiasi preoccupazione ontologica, il fenomeno è qualcosa di percipiente, né più né meno che qualcosa di percepito.

E da questo punto di vista l'antica formula di Parmenide è rigorosamente vera, la conoscenza è identica al suo oggetto.

- Ma questa è solo una maniera ancora esteriore di definire la presenza di un elemento soggettivo nel cuore di qualsiasi dato positivo.

Per riuscire, nella continuità del fenomeno universale, a determinare la relazione tra i fatti esterni e i fatti interni, il cui duplice processo irriducibile e solidale è sempre apparso un enigma, bisogna andare più avanti.

Solo analizzando la costituzione e la stessa formazione del fenomeno, cosi come le scienze lo hanno raccolto e valorizzato, si scopriranno le sorgenti inconsce della vita cosciente.

Perché si è visto che le scienze non si costituiscono e non si saldano, i loro principi, i loro metodi e i loro risultati non hanno coerenza ed efficacia, i fenomeni di cui esse fanno la materia dei loro studi non hanno consistenza e realtà, se non nella misura in cui un'azione mediatrice interviene all'inizio, nel corso e alla fine del loro sviluppo.

Non è dunque sufficiente, nel dettaglio di ciascuna verità scientifica, sceverare l'elemento soggettivo che vi si cela.

È necessario, nell'insieme delle conoscenze positive e nel sistema totale dei fenomeni, cogliere in atto lo stesso divenire della vita soggettiva.

In tal modo, dopo essere passati dal fatto esteriore e dall'oggetto delle scienze alla nozione di un interiore ovvero di un dentro, adesso dalla nozione del soggettivo penetriamo nella stessa coscienza del soggetto, a v'inculo perceptionis ad vinculum percipientis.21

Senza rompere con le scienze positive, vedremo dunque sorgere da esse quello che esse sembrano portate a negare o a escludere, il fatto psicologico.

- Per una specie di evoluzione interna la coscienza emerge dall'universo circostante da cui desume il proprio nutrimento.

- Ma essa non se ne distingue e non se ne libera; e perché?

- Perché, se è vero che essa compendia in sé tutto il resto, ciò avviene non come un prodotto, ma come una sintesi originale, la quale restituisce alle sue condizioni più di quanto ne mutua.

Siamo di fronte a una triplice relazione che è importante precisare, tentando di offrire un profilo dell'embriogenesi mentale.

II.

Considerare il fenomeno come un dato originario, dal quale si tratterebbe di ricavare la nozione di un elemento soggettivo, significherebbe invertire le relazioni più incontrovertibili.

In verità il fenomeno è ciò che è solo in funzione di un'attività che contribuisce a generarlo.

Esso viene percepito solo secondo l'ordine proprio della sua produzione.

Ivi è essenziale l'azione costituente del soggetto.

In effetti, se il fenomeno è concepito solo in relazione col determinismo universale, se ogni conoscenza scientifica si riconnette a una sintesi distinta dalle sue condizioni elementari, se la coesione necessaria delle scienze implica una mediazione che esse non spiegano, che cosa significa?

Significa che, anche dopo aver considerato il fatto più insignificante come l'espressione e il prodotto di tutti gli altri, rimane sempre un'eccedenza irriducibile, una specie di virtualità e una potenza, infinitesimale certo, ma grazie alla quale la sintesi operata avvolge e trascende tutto ciò da cui è formata.

Dunque non c'è fenomeno che, per sussistere come tale, non implichi un infinito, trascendente il fatto dell'intero universo.

E non è forse a condizione di supporto che il calcolo ha avuto successo proprio nella pratica?

Ogni oggetto conosciuto scientificamente è un'unità sintetica.

Ora ciascun oggetto è legato al sistema totale.

Se dunque la sintesi è qualcosa di più che la moltitudine sterminata delle sue condizioni, di sicuro occorre che in essa vi sia di che contenere e dominare questa stessa immensità.

Si tratta di un residuo che indubbiamente è prossimo al nulla, e di cui le scienze tengono conto solo per eliminarlo.

Ma proprio questo nulla, da un punto di vista interiore, è tutto, perché è il principio invisibile della sintesi, l'anima di ogni conoscenza positiva e di ogni operazione efficace.

Di fatto il più semplice colpetto22 pone e risolve un problema di cui nessuna astrazione renderà mai conto.

È così che sono risolte le antinomie di cui l'analisi dei procedimenti della scienza ha rivelato la presenza.

In ogni fatto positivo c'è una complessità che sfida qualsiasi numerazione.

E allo stesso tempo la produzione effettiva di un fenomeno qualsiasi esige che questa molteplicità senza numero sia compresa e dominata realmente.

Da una parte l'immaginazione è vinta dall'infinita ricchezza dei fenomeni concatenati su scala universale; dall'altra questo infinito del fenomeno totale è vinto dall'atto più insignificante che vi si inserisce, dal più insignificante dei suoi aspetti particolari.

C'è, se così si può dire, un infinito apparente che è la proiezione e l'espressione dell'infinito interno a qualsiasi operazione della natura o del pensiero.

Proprio quello che, al di fuori, appare immenso è veramente limitato; e proprio in quello che, al di dentro, sembra finito e particolare, come un essere o come un fatto particolare, risiede un infinito.

E questo dentro, da cui procede tutto il positivo, ha quindi come caratteristica quella di sfuggire alla conoscenza positiva, nel momento stesso in cui la rende possibile fornendole una materia.

Ecco perché il calcolo infinitesimale ha successo solo a condizione di adoperare in prima istanza la mediazione di questo infinito, senza il quale non perverrebbe alla realtà operativa e non avrebbe affatto efficacia.

Ma se esso lo suppone è per eliminarlo subito, perché il soggettivo non ha posto nell'ordine positivo.

O meglio il posto preciso di questo termine trascendente è questo luogo ambiguo che sembra essere ancora e non è più quello della scienza, l'intervallo tra la minima grandezza assegnabile e lo zero, che ne è il limite inaccessibile.

Vi è dunque un dentro solo là dove si manifesta non più l'assoggettamento di una parte al tutto, ma la vittoria di un punto sull'universo intero.

Il soggetto non è nella serie, ma vi è costantemente rappresentato; non appare nel determinismo totale, ma in ogni dettaglio è il principio della varietà e dell'azione.

Bisogna vedercelo.

Già nella concezione più astratta, in quella più meccanica e in qualche modo più esteriore che si possa avere delle cose, si manifesta qualcosa di un soggetto.

È una verità matematica e sperimentale al tempo stesso, che tutto è solidale: continuità deduttiva, concerto e collegamento cosmico.

Ora nella semplice idea, nel semplice fatto della solidarietà appare un'azione generale e intrinseca del sistema organico.

Infatti, fin dal momento in cui la presenza dell'universo si esprime in un punto, e in cui il punto si imprime in tutto l'universo, c'è una rottura di equilibrio nell'omogeneo, e una sproporzione tra la passione e l'azione propria di ciascuna parte del sistema generale: se si vuole, tanto per usare un paragone, è il termine medio tra il colpo ricevuto e il colpo dato, e come un riflesso meccanico.

In questo senso si può interpretare, senza ricorrere a nessuna metafisica, quell'espressione che Leibniz applicava alle monadi della materia semplice: « mentes momentaneae ».

Perché in seno al mondo quale ce lo presenta dapprima la conoscenza scientifica dei fenomeni, ossia come un insieme di movimenti determinati, ciò che dalla parte ritorna al tutto non è identico a ciò che dal tutto è venuto alla parte.

Questa reazione sempre peculiare è come un abbozzo di soggetto, una specie di mezzo rifrangente, un termine medio più o meno naturato, un dentro.

E ciò che in tal modo si nomina « interiore » è la presenza del tutto nella sua parte e della parte nel suo tutto, senza che vi sia simmetria esatta tra la passione e l'azione.

Così appare la forza.

La forza quindi implica un'azione propria che, derivata senza dubbio dal meccanismo universale, reagisce su di esso, e ha bisogno di essere considerata a parte come un impero in un impero.

In effetti nel suo contesto l'influenza diretta delle parti elementari tra loro è complicata dall'influsso della totalità sulla parte.

La reazione di una parte sulle altre non è uguale all'azione direttamente subita.

Compare una spontaneità dinamica.

Il modo nuovo, e per così dire imprevisto, con cui si risponde agli impulsi esteriori è propriamente l'agire ovvero l'essere scientifico del fenomeno soggettivo.

Da questa subordinazione naturale delle parti risulta che non vi sono solo elementi staccati, di fronte al tutto e agli altri elementi staccati: si formano dei centri di equilibrio parziale, dei raggruppamenti più o meno stabili, dei sistemi meglio atti a rappresentare con la loro unità molteplice l'unità e la molteplicità dell'insieme.

Ciascuno di questi centri di nutrizione o di percezione, se così si può dire, esprime e riflette dal suo punto di vista tutte le parti isolate, poi tutti i gruppi, poi tutte le rappresentazioni di questi sistemi particolari che si rinviano all'infinito le loro azioni e le loro prospettive, come cento specchi sferici incrocerebbero e sovrapporrebbero all'infinito la crescente complicazione delle loro immagini.

Ora dal momento in cui il concatenamento universale si manifesta non più solo con tutto l'insieme, non più in ciascun particolare, ma in queste aggregazioni solidali che diventano come un nuovo universo con la sua evoluzione propria e interna nel cuore del sistema totale, la vita compare con l'individualità.

La vita dunque è l'organizzazione di un piccolo mondo che riflette il grande mondo, e manifesta fin nella sua disposizione intima la dissimmetria e la varietà dell'universo.23

Comportandosi come un tutto in rapporto alle sue parti e come una parte nel tutto, essa suppone un duplice scambio da fuori a dentro e da dentro a fuori.

Ora nel sistema individuale da essa formato come interiorizza il sistema generale, se non tramite la sensibilità?

Ossia essa ritrova nella propria organizzazione il riflesso e il contraccolpo di tutte le forze che agiscono su di essa.

In tal modo vi è perenne duplicazione e autentica integrazione della vita, la quale si illumina e si ravviva, per così dire, riflettendosi di fuoco in fuoco.

Essa si nutre dell'intero universo; e ciascuna percezione è accompagnata da un aumento di energia.

Ogni azione spontanea suppone organizzazione interna dei movimenti, relazioni molteplici, eco e ripercussioni di forze.

In tal modo ovunque si manifesti una spontaneità naturale, c'è composizione e organismo; actiones et passiones sunt compositi.24

Il vivente appare così, nell'infinità diffusa delle sue condizioni determinanti, come un sistema concentrato di forze coordinate; e l'infinito del suo atto gli è più interiore che esteriore.

Perché gli influssi che subisce, invece di trascinarlo passivamente, si accumulano e si esprimono tramite funzioni speciali, tramite un adattamento progressivo dell'essere al suo ambiente e delle sue parti tra loro.

L'istinto, come l'organizzazione di cui è il principio interno, è una risposta assai condensata ed elaborata alla molteplicità degli stimoli esteriori, un caso particolare e una soluzione parziale del problema cosmico.

Il suo carattere ristretto non impedisce che dipenda dalle forme di vita più differenti rispetto a quelle in cui si muove; lo si vede bene dalle difficoltà dell'acclimatazione.

Quello che l'animale ha di attività psicologica è una proiezione ridotta e una concentrazione determinata del resto; e i suoi atti sono conclusioni particolari le cui premesse generali rimangono fuori di esso nell'ordinamento totale.

Infine la ragione si sviluppa nella misura in cui diventa più adeguata all'universo, e sa concentrare, comprendere, utilizzare una maggiore varietà di fenomeni.

È così che la cultura tende a eguagliare, arricchire e oltrepassare la natura da cui emerge.

Il campo del divenire è senza limiti assegnabili; e si aprirà sempre nuove prospettive, con nuove teorie che non esauriranno l'oggetto da conoscere, perché esse in parte lo costituiscono.

Quello che sembrava una pretesa chimerica diventa verità scientifica.

La stessa finalità esterna riacquista il carattere di certezza definita che solo la finalità interna possedeva.

L'uomo è un « microcosmo », summa mundi et compendium, il compendio di tutte le esperienze, di tutte le invenzioni e di tutte le ingegnosità della natura, estratto e prodotto originale di tutto l'insieme.

In lui l'universo raduna i suoi raggi.

La vita soggettiva è il sostituto e la sintesi di tutti gli altri fenomeni, quali che siano.

Ecco quindi come si costruisce a poco a poco il fatto di coscienza.

È palese la relazione del soggetto con le condizioni elementari di cui si alimenta, ma esso non può contenere e compendiare tutti i suoi antecedenti che dominandoli.

Ci resta da comprenderlo bene.

III.

Se è vero che i fenomeni esterni non sono di un'altra stoffa dai fenomeni interni,25 tuttavia c'è una differenza fondamentale: gli uni sono un aspetto particolare e una sorta di spezzone astratto del determinismo totale, gli altri sono una sorta di concentrazione dell'universo in un punto da cui procede ogni operazione concreta del pensiero o della natura.

Tra loro c'è di mezzo un infinito, non per dividerli ma per collegarli.

L'unità sintetica di ogni fatto reale avvolge e domina il mondo intero; perché esistendo in lui, essa lo veicola altresì in sé.

Allo stesso modo la nostra conoscenza, che ha come condizione una pluralità di rappresentazioni, grazie all'unità costituita si colloca al di sopra di questa pluralità.

Si libera del suo contenuto, perché lo contiene.

Da un capo all'altro il vincolo, vinculum percepii et percipientis,26 è di natura soggettiva.

Tra questi due ordini c'è solidarietà e c'è distinzione: relazione reciproca, ascendente e discendente, cui vale la pena prestare attenzione ancora un momento.

Il minimo barlume di organizzazione e di vita soggettiva presuppone una straordinaria integrazione di azioni e di reazioni elementari già sistematizzate e sempre più naturate, un intreccio di tutti i fili intessuti dalla necessità per formare la crescente complicazione delle forme, degli istinti e delle sensibilità.

Il fatto di coscienza è quindi il prodotto non soltanto dell'ultimo atto, ma di tutti quelli antecedenti, coscienti o inconsci, che convergono e si compendiano in esso.

Pertanto non è isolato dagli altri fenomeni, ma intrattiene con tutti gli altri questo duplice rapporto:

- da un lato il fatto soggettivo è la condizione di tutti i fenomeni che sono l'oggetto delle scienze positive; sicché la conoscenza di questi fenomeni dipende da esso, e non è possibile che grazie alla sua presenza inavvertita in qualsiasi intuizione sensibile e in qualsiasi affermazione scientifica;

- d'altra parte il fatto soggettivo ha come condizioni tutti questi stessi fenomeni; sicché la realtà medesima di questo fatto dipende da essi, e la coscienza, anche quella più oscura, porta in sé e rappresenta tutto il determinismo dei suoi antecedenti.

In tal modo si chiarisce la legge che abbiamo dovuto constatare, senza spiegarla, nel decorso di ogni scienza positiva: ciascuna sintesi è un'originalità irriducibile alle sue componenti; e proprio nella sua realtà soggettiva risiede la novità eminente di ciascun grado di composizione.

In questo ordine dei fenomeni il progresso dell'esistenza e la conoscenza sono solidali.

Laddove deriva questa duplice formula: - Gli elementi sono siffatti che il composto desume da essi la sua realtà, ed esiste solo grazie a essi.

Essi hanno un ruolo necessario, pur conservando nel composto il loro essere proprio, e pur partecipando alla solidarietà totale.

Omnia quanquam diversis gradibus animata sunt.27

Dunque una forma più complessa, in cui l'interiorità si manifesta maggiormente, è un riflesso delle forme subalterne che le sono servite come alimento.

E in questo senso il soggettivo è oggettivo concentrato.

Nessuna vita nell'universo fa a meno delle condizioni elementari in cui è immerso l'organismo, e l'uomo rimane soggetto alle leggi della materia bruta.

- I composti sono tali che ciascuno è tutt'altro che i suoi componenti, e costituisce come un mondo nuovo con leggi proprie, un'energia, dei bisogni, delle risorse e un fine indipendente.

In un senso molto vero le componenti esistono solo per i composti, e addirittura non esistono che grazie ad essi.

Perché ovunque c'è sintesi, occorre un centro di percezione perché la sintesi si esprima nell'unità della sua composizione.

Il sensibile, il positivo, l'oggettivo, o comunque si voglia designare ciò che differisce dal fenomeno di coscienza, si sbriciolerebbe, per così dire, e andrebbe in dissoluzione, se non ci fosse una progressione simultanea della conoscenza soggettiva per sostenere e realizzare il progresso delle sue forme di esistenza.28

Risulta quindi fondato quello che ci proponevamo di stabilire: il soggetto è collegato scientificamente all'oggetto, e lo contiene, lo trascende.

I fatti di coscienza sono tanto reali quanto tutti gli altri, perché tutti gli altri comunicano loro e insieme mutuano da loro quel tanto di realtà che posseggono.

Rimangono distinti eppure sono solidali.

La cosa che ci resta da precisare è come questi fenomeni interni comportino una caratteristica scientifica.

IV.

Visto dal di fuori da parte dello scienziato, il soggettivo è esattamente ciò che non può essere conosciuto ne in funzione del calcolo, ne in funzione dell'osservazione scientifica, perché è ciò che costituisce il vincolo e che introduce l'unità in seno alla molteplicità.

Man mano che le scienze determinano con maggiore precisione le relazioni matematiche e le leggi sperimentali, definiscono al tempo stesso ciò che lasciano inspiegato.

Dal momento in cui i due termini estremi sono fissati con rigore, abbiamo che il termine intermedio comporta parimenti una determinazione, che per essere negativa non è meno precisa.

È questo un carattere secondo, ma già del tutto positivo.

Come partendo dall'intuizione sensibile siamo stati condotti alla scienza con una progressione inevitabile, allo stesso modo dalla scienza si sprigiona un fatto nuovo al quale sono sospesi tutti gli altri.

Se il soggettivo non è nulla dal punto di vista positivo, tuttavia è ciò senza cui lo stesso positivo non sarebbe nulla, il principio invisibile e presente di qualsiasi oggetto di conoscenza.

Ora ciò che è dato come unità molteplice, ciò che è tutto allo stesso tempo non potrebbe essere percepito che tramite un'intuizione interna.

E designare il fatto soggettivo come la percezione dell'indivisibile unità nella molteplicità irriducibile significa precisamente definirlo.

Pertanto anche quando si sa che vi sono delle condizioni indispensabili alla produzione della vita cosciente, rimane impossibile determinare questi elementi dell'atto che la costituisce; come già Aristotele aveva osservato prima di Leibniz, non si possono analizzare gli ingredienti dell'azione, τά στοιχεία τού ποιείν.29

È dunque accertato scientificamente che il fatto soggettivo, per quanto legato a tutte le sue condizioni oggettive tramite un determinismo rigoroso, non può essere definito sufficientemente tramite la conoscenza, sia pure completa, dei suoi antecedenti.

Perché in rapporto a questi esso costituisce una sintesi indeterminata, ed è percepito soltanto dal di dentro, o meglio è questo stesso dentro.

Anziché pretendere di surrogare con lo studio della facciata esterna dei fenomeni quello della loro facciata interna, è necessario prendere il fenomeno di coscienza in se stesso, astrarlo dalle rappresentazioni oggettive in cui si mescola e di cui è l'anima, e coglierlo in tutta la sua purezza.

Ma come riuscirvi? E una volta scartati dalla coscienza i fenomeni che fungono da materia per le scienze positive, che resta di propriamente soggettivo nel soggetto medesimo?

Ciò che rimane è quello che distingue il soggetto cosciente dagli elementi della sua coscienza e dagli oggetti che la nutrono, quello che gli permette di transustanziarli e di operarne la sintesi, quello che gli consente di rispondere al determinismo delle sue condizioni con reazioni originali.

Abbiamo mostrato che il soggettivo, visto dal di fuori, è esattamente ciò che, pur essendo indeterminato e inaccessibile alla conoscenza matematica o sensibile, tuttavia proprio con la sua azione costituisce la realtà particolare di ciascuna sintesi.

Dunque visto dal di dentro è ciò che è determinante, efficace, attivo, singolare, - la molla del dinamismo mentale.

Pertanto la vera scienza della coscienza non potrebbe essere che una scienza dell'azione.

In effetti bisogna mettere in guardia dal rappresentare il fenomeno di coscienza in funzione dei fenomeni oggettivi, e di ricondurre l'azione al fatto.

Questo significherebbe fare come il mugnaio che, per conoscere meglio il suo mulino e la forza che lo attiva, esaminasse a valle il corso del torrente.

In questo studio il rischio è sempre quello di oggettivare il soggettivo, per così dire, e di immaginare che la realtà cosciente è composta di elementi astratti e di dati generali simili alle nozioni universali e necessarie di cui si alimentano le scienze positive.

Perché i fatti interiori sono sempre singolari, sia allo sguardo della coscienza sia in se stessi.

Non sono il risultato di una somma, non sono una possibilità permanente ne un mero estratto delle rappresentazioni che popolano la scena della coscienza.

Non sono neppure il risultato o l'espressione di una sintesi; perché sono ciò che costituisce questa sintesi vivente di elementi a loro volta viventi.

Quindi nella vita propriamente soggettiva non c'è nulla che non sia come un'iniziativa individuale e come un caso unico, άπαξλεγόμενον; niente che non sia un atto.

Ecco dunque che cominciamo a entrare nella verità intima dell'azione, e a distinguerla radicalmente da ciò che è fenomeno rappresentato, prodotto staccato dalla sua causa, fatto percepito e subito.

In questo senso il minimo atto ha una realtà, un'importanza, una dignità, se così si può dire, infinitamente superiore ai fatto dell'universo intero.

È ciò che spiega nell'adolescente, nello scienziato o nel filosofo la prima ebbrezza o l'orgoglio ostinato del pensiero: chi comincia ad alimentarsi alla propria riflessione, immagina di scoprire quello che non era noto in precedenza; un nuovo sole gli risplende.

È quello che provoca in tutti la formidabile illusione dell'egoismo: la chiarezza interiore più fugace ha più valore e più fascino di tutto l'irraggiamento al di fuori.

Il più esile sentimento personale, che ci rivela a noi stessi quasi con una carezza intima, è più dolce e più forte di tutto ciò che ci viene dal mondo.

Dunque il soggettivo autentico non è soltanto ciò che è cosciente e conosciuto dal di dentro ( beninteso qualsiasi fenomeno è tale ), ma è ciò che fa esistere il fatto di coscienza, è l'atto interno e sempre singolare del pensiero.

Una scienza del soggettivo sarà per forza di cose una dinamica mentale.

V.

Ma come fare scienza intorno a ciò che è così singolare e indeterminabile, di ciò che sfugge a ogni misura e a ogni rappresentazione, di ciò che è in divenire?

Come determinare ciò che non ha né quantità né qualità, non potendone analizzare gli elementi e neppure considerarne l'insieme complesso come una unità definita, perché il carattere di ciascuno si forma e si modifica con ogni stato successivo?

Quest'aporia probabilmente nasce da una confusione e da un abuso dell'analogia.

Essendo prevenuto e pervaso dall'idea che si fa abitualmente dei metodi della scienza positiva come unico tipo di un metodo veramente scientifico, lo psicologo è spinto ad applicare i loro procedimenti alla scienza soggettiva, senza rendersi conto che si tratta di una scienza distinta solo in quanto ha un metodo diverso.

Cimentandosi nel lavoro che designa come analisi psicologiche, discutendo circa la possibilità e l'uso della sintesi ovvero dell'esperimento mentale, egli stravolge il senso delle parole, e riesce ad abbozzare unicamente una pseudo-scienza, perché nell'esercizio stesso del suo « metodo soggettivo » considera il soggettivo come fatto e non come atto, lo deforma, col pretesto di studiarlo.

Perché ne penetriamo la realtà vivente unicamente collocandoci non dal punto di vista statico dell'intelletto, ma dal punto di vista dinamico della volontà.

Non bisogna tentare di immaginare l'azione, perché essa è esattamente quello che crea i simboli e il mondo dell'immaginazione.

L'autentica scienza del soggetto è quella che, considerando fin dal punto di partenza l'atto di coscienza come un atto, in forza di un progresso continuo ne scopre l'inevitabile espansione.

Essa va in cerca dell'equazione dell'azione.

In altri termini il suo intento è di svilupparne tutto il contenuto, con lo scopo di determinare qual è il suo termine necessario in base alla stessa forza del movimento iniziale da cui procede l'atto, la quale forza si manifesta a ogni conato del suo sviluppo.

Dunque la legge e il fine del volere si devono rivelare esattamente nell'opera della volontà.

Perché anche là dove l'uomo sembra soggetto a necessità antecedenti o susseguenti, queste condizioni sono ancora soltanto dei mezzi subordinati al suo desiderio segreto.

Senza dubbio, a causa del carattere intimo e sempre singolare dell'atto, la scienza soggettiva dapprima non sembra avere la generalità astratta e impersonale delle altre.

Perché suppone un'iniziativa e un'esperienza proprie a ognuno di quelli che la creano dal nuovo per se stessi, da cui nessun artificio espositivo potrebbe esonerarli.

E tuttavia questa scienza ha un carattere di universalità e di precisione superiore all'esattezza e alla generalità di qualsiasi altra.

Infatti non c'è nessuno che non sia soggetto alla necessità della sperimentazione pratica; nessun atto che non contenga nella sua trama un concatenamento segreto, un rigore e una logica superiori a quelli dei ragionamenti più acuti.

Sicché è approssimativa e realmente indeterminata proprio la formula o il fatto come tentano di definirlo le scienze positive, necessariamente parziali e astratte; mentre l'azione, gravida delle sue conseguenze e solidale con esse, è completa, sistematica, precisa, viva.

In effetti è vera scienza quella in cui nulla è comunicato dal di fuori, tutto cresce dal di dentro, quella in cui conosciamo ciò che facciamo essere, le conseguenze sono dedotte con sicurezza infallibile dalle premesse affidate al lavoro della vita, e la necessità rigorosa delle conclusioni non fa altro che partorire il frutto della pristina iniziativa.

Perché si tratta di determinare non ciò che è al di fuori della volontà come un oggetto più o meno fittizio, ma ciò che è in essa, ciò che essa è già per il solo fatto di volere, non per ciò che vuole.

Riflettiamo sul cammino percorso in questa prima tappa dal punto in cui abbiamo voluto che ci fosse qualcosa.

Dalla prima intuizione sensibile, la quale sembra semplice perché è confusa e rimane necessariamente inconsistente, è nato il bisogno scientifico.

Ma la scienza positiva non trova in se stessa l'unità e la coesione di cui si avvale senza spiegarla.

Come nella sensazione bruta c'è già il risveglio di una curiosità senza la quale non vi sarebbe neppure una sensazione, così ogni verità positiva esige la mediazione di un atto, la presenza di un soggetto senza il quale non vi sarebbe affatto una verità positiva.

Abbiamo mostrato come questo soggetto emerge dai fenomeni che ne sono le condizioni, e come se ne distingue totalmente.

Il soggettivo è collegato con un vincolo costante ai suoi antecedenti.

Proprio scoprendo questo rapporto scientifico si intravvede al tempo stesso l'originalità irriducibile dell'atto interno.

Dall'unità ancora esteriore della realtà percepita siamo passati all'unità intima del soggetto percipiente, e abbiamo restituito al fenomeno soggettivo il suo autentico carattere di atto.

Ma definendo le sue relazioni con gli altri fatti, mantenendo ferma la sua indipendenza relativa, abbiamo legittimato questa conclusione: lungi dall'essere un semplice epifenomeno o un duplicato dei fenomeni fisici o fisiologici, l'atto di coscienza cela e concentra in sé tutto l'ambiente cui si è alimentato, - è una recettività universale.

Esso ha un grado di realtà e di precisione superiore agli oggetti delle scienze positive, che senza di lui non esisterebbero, - è un'originalità radicale.

Perché il fatto esiste soltanto grazie all'atto, e senza il fenomeno soggettivo non vi sarebbero altri fenomeni.

Chi dunque pone qualcosa, esige il soggetto.

Le scienze positive convergono verso una scienza dell'azione.

Pertanto la coscienza drena e concentra tutte le forze della natura.

Tramite ciò che rappresenta essa domina tutto ciò che è rappresentato in lei.

In tal modo, studiando le condizioni della conoscenza soggettiva, abbiamo determinato al tempo stesso le condizioni antecedenti dell'azione, ma liberandola dal determinismo scientifico, e mostrando che le condizioni medesime rientrano nella serie dei mezzi con cui la volontà si mette in azione.

Non è più il caso di stigmatizzare la scienza soggettiva come speculazione vuota e del tutto chimerica, quasi che tutto l'essenziale dei fenomeni interni fosse di competenza della fisiologia cerebrale, o che l'autentico equivalente del pensiero fosse la funzione nervosa.

Ormai abbiamo il diritto di considerare l'atto di coscienza come una realtà altrettanto positiva, definita, precisa, e persino più ricca di qualsiasi altro fenomeno.

La strada del mondo interiore si è aperta alla scienza.

Indice

19 Parlare in questo modo significa adattarsi alle abitudini correnti del linguaggio e del pensiero. Ma in verità si può dire, con eguale correttezza, o che il fatto interno è una concentrazione e un'espressione di tutto l'esterno, o che il fenomeno, qualunque esso sia, è interamente interno alla coscienza; infatti le verità scientifiche, i fatti psicologici, le asserzioni metafisiche costituiscono tutti in primo luogo uno stato soggettivo.
Quindi, invece di cercare come estrarre la nozione di un soggetto dalle conoscenze positive, si potrebbe mostrare come all'interno stesso siamo indotti a distinguere un di dentro e un di fuori. In quest'ultima forma, che forse è più precisa ma più paradossale, il problema appena discusso si riduce a quest'altro: in qualsiasi stato di coscienza come è possibile separare ciò che è rappresentazione oggettiva da ciò che è atto soggettivo?
Come separare e definire, accanto ai fatti positivi, questo atto interno che ingloba qualsiasi fenomeno?
- In questo modo, il fatto che si possa invertire o combinare, senza danno, le due forme, quella realistica o quella idealistica, del problema dimostra che di fatto viene accantonato ogni pregiudizio metafisico o critico.
Lo stesso Kant è rimasto a metà strada: l'idealismo trascendentale ovvero soggettivo non potrebbe mai essere altro che un realismo rovesciato, perché a motivo della rivoluzione tentata a livello di pensiero esso cerca ancora un centro di gravitazione; quello che toglie a uno dei termini a livello di valore lo attribuisce all'altro.
Pertanto, anziché preoccuparsi della confusione necessaria in cui questo capitolo si mantiene, bisogna riconoscere in essa l'unico modo semplice e corretto di descrivere e di adattare i due aspetti del fenomeno universale, senza aggiungervi nessun sottinteso. Del resto è proprio di un sistema organico che le parti sussistano le une per le altre e persino le une per mezzo delle altre.
E questa è anche l'organizzazione dei fenomeni nella coscienza.
È quanto si ha la pretesa di dimostrare, facendo vedere in questa sede che l'azione (non il fatto, ma l'azione), condizione scientifica delle scienze, diventa essa stessa materia di scienza [nda].
20 È qui richiamata una tesi leibniziana fondamentale, la quale è stata fatto oggetto di considerazione, da un'angolatura specifica, anche nella tesi latina dedicata al vinculum substantiaie, laddove va rilevato opportunamente che si istituisce la reciprocità di sostanza e soggetto, ma lo si fa con una argomentazione che aderisce all'argomento leibniziano, e viceversa si mantiene a distanza da quello hegeliano.
In Hegel l'identità di sostanza e soggetto si richiama prevalentemente a Spinoza, e ha una valenza teoretica differente.
21 Qui, come nella maggior parte dei casi nel corso di questo testo, le formule latine adoperate, talvolta in forma di assiomi, sono coniate dallo stesso Blondel, sia ricalcando il linguaggio scolastico in uso soprattutto nello studio della filosofia, sia riproducendo espressioni di classici deformate dall'uso divenuto quasi gnomico.
22 Si allude forse all'ironica critica rivolta da Pascal, nei Pensieri, a Cartesió a proposito della funzione assolta da Dio nel suo sistema, che poi sarebbe unicamente quella di " dare un colpetto " per avviare il gigantesco meccanismo del meccanicismo della materia.
Cfr. Pensées, ed. Brunschvicg, n. 77 (tr. it. di G. Auletta, Milano, Edizioni Paoline, p. 147)
23 Questa dissimmetria forse non è sempre la condizione necessaria e sufficiente che consente di definire il vivente, e di determinare il criterio oggettivo del biologico. Nondimeno essa denota, sia pure nel caso dei corpi bruti, la sua rappresentazione e l'influsso particolare dell'ordinamento generale in un sistema chiuso [nda].
24 L'adagio, assai usato nella Scolastica, è di derivazione aristotelica, e intende chiarire originariamente che il referente delle due categorie in questione, azione e passione, è il sinolo. Nell'adagio scolastico (in uso soprattutto nel dibattito cristo-logico in relazione al rapporto tra natura e persona) ricorre però il termine suppositi invece di composili.
25 Ma riconoscendo ciò, bisogna guardarsi da un triplice errore: anzitutto, non bisogna dimenticare che il problema ontologico è messo da parte, e in questa sede sarebbe prematuro; ora lo si dimentica, se dal rapporto definito tra questi due ordini di fenomeni si ricava una qualsiasi conclusione, idealistica o materialistica che sia.
- In secondo luogo, non bisogna rovesciare l'ordine delle relazioni, così come è stato determinato dall'analisi; infatti il soggettivo è risultato come una sintesi superiore, e persino come una condizione antecedente dei fenomeni da cui è stato estratto.
- Infine, non sarebbe sufficiente riconoscere il rapporto tra due processi paralleli, un « adattamento progressivo dell'interno all'esterno », né tantomeno aggiungere, con la nuova scuola della psicologia scientifica, che « il referente psichico costituisce esattamente l'adattamento dell'organismo, in quanto intero, al suo ambiente »; infatti contrapponendo quella che chiamiamo facciata esterna della realtà alla sua facciata interna, siamo portati a dire che la loro relazione è inaccessibile alla scienza, e a prendere i fenomeni studiati dalle scienze positive come un equivalente dei fatti soggettivi; di conseguenza questi fatti « psichici » non risulterebbero essere altro che un'eccedenza inesplicabile e un lusso inutile [nda].
26 L'espressione è di ascendenza leibniziana; essa ricorre già nel primo foglio del progetto di tesi che segna la genesi di questo testo blondeliano; segno che ha colpito profondamente l'intelligenza di Blonde!.
Di fatto da tale intuizione scaturisce la problematica della tesi come quella del vinculum substantiale.
27 L'assioma, in forma leggermente diversa, ricorre in Spinoza prima e poi in Leibniz, ed esprime uno dei principi basilari della sua monadologia.
Blondel quasi certamente lo ha desunto dal libro di A. Bertrand, L'apperception du corps hu-main par la conscience, Paris 1891, in cui il motto compariva come esergo ( con l'avversativa ciuainvis … tainen ).
28 Dunque l'idealismo e il realismo sono parimenti inconsistenti l'uno senza l'altro, e parimenti fondati entrambi, se invece di considerarli due concezioni metafisiche incompatibili, li si considera come l'espressione di due ordini di fatti cospiranti.
Allo stesso modo, anche la dottrina dell'evoluzione, di cui si è esibito il carattere allegorico e romanzesco, nella misura in cui si presenta come la storia reale degli esseri, recupera un senso preciso e una nuova legittimità: in effetti le forme più complesse derivano da quelle inferiori grazie a un determinismo continuo. Ma la discontinuità dei fenomeni non è meno scientifica di questa stessa continuità.
Ogni sintesi configura un grado che presuppone quelli precedenti, ma cela una soggettività irriducibile.
Il superiore porta in sé e rappresenta da solo tutti gli antecedenti, senza che il grado inferiore, a fianco, al di sotto o al di dentro, cessi di conservare la propria natura e il proprio posto. In tal modo l'uomo, secondo un'espressione di Pascal, è " tutto natura ", ma non tutta la natura è elevata, ne è adatta alla vita e alla coscienza. Ciò che è conosciuto non è adeguato a quello che conosce.
Perché conoscere una cosa significa essere quella cosa, essere attraverso quella cosa, essere in un certo senso più di quella cosa [nda]
29 L'espressione è aristotelica. Come è noto Aristotele da al termine
στοιχείον un significato tecnico ben definito, e con lui il suo uso diventa assai ricorrente. Cfr. Metafisica, A, 3, 1014