L'azione

Indice

Dallo sforzo intenzionale alla prima espansione esteriore dell'azione

Terza tappa

La crescita organica detrazione voluta

L'azione è l'intenzione che vive nell'organismo e modella le energie oscure da cui era emersa.

In effetti occorre che la libertà si esplichi e si incarni per conservarsi e svilupparsi.

Acclimatando la vita dello spirito nel determinismo bruto, essa ottiene dalla vita spontanea che produca motivi e movimenti sempre più conformi alle sue aspirazioni profonde.

Tutto il progresso della scienza e della coscienza proceda dall'azione, ma per tendere ancora all'azione, che sola l'alimenta e l'anima.

Pertanto in questa sede occorre determinare il contenuto vivente dell'operazione volontaria.

Perché l'azione voluta non è soltanto ciò che ne sappiamo in anticipo, come se fosse sufficiente essersi decisi per aver già operato.

La si è voluta esattamente per ciò che in essa deve oltrepassare la volontà attuale.

Non basta dunque decretarla, e neppure produrla; bisogna studiarne la produzione attraverso gli ostacoli o le resistenze, e il prodotto stesso con tutti i risultati dell'operazione, πράττειν, πράξιν, πράγμα.

Dopo averla posta in essere per una specie di sintesi a priori, non è possibile conoscerla davvero che per un'analisi a posteriori; perché apporta un insegnamento e un incremento.

Ma prima di passare oltre, ecco sorgere due difficoltà preliminari;

- Come spiegare, senza introdurre nella libera iniziativa del volere un elemento di disturbo inesplicabile, e senza rinnegare il metodo che fin qui è sembrato l'unico congrue, che vi siano lezioni dall'esterno, resistenza o passività organica?

- Inoltre come si potrà eliminare, nell'infinita diversità delle decisioni possibili, l'elemento variabile per costruire la scienza dell'azione?

Ecco la risposta ai due interrogativi.

I - Se esiste una sproporzione tra ciò che siamo e ciò che tendiamo a essere, ne consegue forse che essa sia definitiva, che noi subiamo una smentita perenne, intollerabile, e che il sentimento di questa « miseria da gran signore decaduto » giustifichi il pessimismo? No.

Ciò vuol dire che c'è in noi qualcosa da conquistare, che siamo ancora estranei a noi stessi, per una parte almeno, e invero per la migliore, e che dobbiamo trattarci non come un fine ma come uno strumento di conquista.

Siccome noi non siamo ancora che un mezzo, quasi un oggetto, in rapporto al soggetto che vogliamo essere, diventiamo passivi rispetto alla nostra propria attività.

Così i colpi dall'esterno, gli ostacoli, le stesse sofferenze possono rientrare nel piano volontario della nostra vita.

Ciò che sembra a posteriori nelle lezioni dell'esperienza si raccorda al movimento a priori della volontà più profonda, è la risposta sollecitata e provocata.

Infatti non agiamo se non perché l'azione apporta sempre qualche elemento nuovo, al di là o al di qua delle previsioni.

L'effetto non può mai essere dedotto dalla sua causa, né quello che saremo da ciò che vogliamo.

E non soltanto vi sono dei cali o delle plusvalenze su cui si può fare assegnamento come seguito dell'esercizio normale dell'attività, ma si incontrano disordini, irregolarità, uno strano disturbo, uno sconvolgimento nel gioco normale delle nostre forze condannate a sforzi, a una fatica, a sofferenze per così dire inintelligibili, quod operar non intellego.

Di solito ci si è arenati nella difficoltà speculativa che c'è nel collegare questi tre termini: conoscere, essere e fare.

Ma questa è una difficoltà insignificante in confronto a quella pratica di volere e fare ciò che conosciamo, di conoscere e fare ciò che vogliamo.

Ora se la nostra vita è attraversata da prove istruttive, anche se penose e oscure; se non basta più agire, ma bisogna lavorare, cioè produrre più che si può e sforzarsi; se dobbiamo raccogliere un insegnamento sia pure imprevisto, fare una scoperta forse sgradita e dolorosa, evitare un'illusione sulla nostra natura, è qui che la lezione viene a proposito.

Patire: si vede dunque come questa passività, questa sofferenza persino, è compresa nell'agire.

Siccome ha bisogno di svilupparsi e di estendersi, la volontà si ritira in un campo in cui sembra ancora straniera, per quanto vi porti con sé la sua intenzione di conquista e l'ambizione di regnare.

Non ha forse la pretesa di essere dovunque in casa propria, e i nostri desideri non abbracciano il mondo?

Bisogna dunque seguire quest'espansione voluta studiando l'io, non quello che si concentra nell'analisi inferiore, ma quello che è creato dall'azione soltanto con la collaborazione o con l'antagonismo del suo termine di espansione.

II - Ma come ridurre all'unità necessaria della scienza l'infinita molteplicità degli insegnamenti empirici?

Sembra impossibile surrogare la pratica con la teoria.

Infatti non è solo la sperimentazione morale che ci permette di conoscere in noi ciò che non è ancora nostro?

Ma la difficoltà non sta tutta qui.

Perché se la risposta che riceviamo può variare all'infinito, anche la questione posta dall'iniziativa volontaria può differire all'infinito, proprio in ragione dell'inesauribile varietà delle decisioni libere.

Ma allora la scienza dell'azione non sembra minacciata di perdersi nel caos? No.

È a questo punto che appare con maggiore chiarezza il pregio dell'unico metodo che possieda un rigore scientifico per la soluzione del problema, perché esso consente di eliminare la variabile.

La sua forza è di riprendere, dopo la trafila del determinismo antecedente, la catena del determinismo conseguente alle azioni volute, e di studiarne la necessaria espansione.

Probabilmente sembrerà che tra queste due serie vi sia una lacuna, una sorta di buco.

Ma fare astrazione da questo interstizio non significa forse snaturare il problema, poiché la decisione arbitrale è un punto di convergenza unico cui tutto approda e da cui tutto si diparte?

- Non c'è da ingannarsi.

Tra queste due forme del determinismo si da una continuità certa.

Ed ecco gli anelli intermedi: c'è una necessità che sorga la riflessione; c'è poi una necessità che la libertà si eserciti; una necessità che la libertà non sia necessaria; una necessità infine che non sia necessario produrre atti determinati, e che questi atti una volta determinati liberamente abbiano conseguenze necessario.

Insomma anche in ciò che può essere violato, e che forse lo è, c'è sempre qualcosa che non lo è.

Tanto basta perché la scienza si fondi su questa stessa impossibilità.

Pertanto nell'atto di libertà e nella coscienza della legge morale occorre determinare non ciò che è mutevole e persino arbitrario, ma ciò il cui trionfo definitivo è prima o poi assicurato.

Sia nel caso che ci si sottragga al dovere sia invece nel caso che vi si sottometta c'è un elemento comune: occorre appigliarsi a questo termine fisso.

Perché attenersi, come si fa di solito, alle deviazioni provvisorie, alle smentite apparenti, alle menomazioni transitorie e superficiali che la volontà può infliggere agli obblighi pratici?

Non vediamo che qualunque cosa si faccia, non ci si affranca comunque del tutto, e si resta sempre in un certo ordine?

Anche il piacere egoista non può sempre impedire a se stesso di essere fecondo.

Se nelle condizioni antecedenti dell'azione c'è un determinismo che induce la volontà a conoscersi, nel seguito si ritrova un determinismo nuovo, che consente alla libera decisione di portare i suoi frutti naturali e disegna il quadro in cui essa si esplica.

Ciò che si pone in questo modo, per il solo fatto che vogliamo, non merita forse di essere studiato?

E probabilmente da questo solo fatto che vogliamo, l'analisi ricaverà a poco a poco ciò che vogliamo.

Perché, non bisogna dimenticarlo, l'ambizione permanente dell'uomo è quella di adeguare i suoi desideri.

Fin dall'inizio di questa indagine il solo patto stipulato è stato quello di non esigere dalla volontà alcuna concessione, di non raccogliere che le sue confessioni, di non registrare che i risultati della sua stessa iniziativa.

Ora, cosa c'è di più conforme a quest'intento se non il prescindere, nell'obbligazione morale, da tutto ciò che sembra esigere uno sforzo e un sacrificio, ossia da tutto ciò che si può trasgredire?

Non avremo qui davvero una morale senza obbligazione, la morale scientifica, quella che non deve più preoccuparsi delle indeterminabili fantasie della libertà, e che esclude questa variabile di cui non si potrebbe dare scienza?

In ciò che è libero essa non si appiglierà mai se non a ciò che è necessario, e per questo sarà una scienza senza cessare di essere una morale.

Indubbiamente grazie al suo stesso progresso l'azione volontaria è portata a incontrare resistenze, a subire lezioni e prove.

Ma non se ne parlerà in prima istanza che nella misura in cui riusciamo a esserne vittoriosi, a porvi rimedio, a trame profitto.

Probabilmente con la fermezza, l'intelligenza e la bontà l'uomo arriverà a soddisfare la sua aspirazione e a compiere il suo destino.

Forse potrà fare da solo quello che fa, guarire da solo quello che soffre, disfare da solo quello che ha fatto male.

Chissà se le contraddizioni in apparenza più lancinanti non gli riveleranno il senso originario e la forma perfetta della sua volontà?

Chissà se questa sperimentazione spesso costosa non sarà per lui il vero mezzo per guadagnare o riconquistare l'intera coesione del volere, dell'essere e del fare?

Non può darsi che alla fine l'azione sia, in virtù propria, mediatrice e unificatrice, redentrice e perfezionatrice?

- E quando avremo gettato nell'abisso aperto del volere tutta la grandezza e la generosità degli atti, delle opere e delle sofferenze umane, lo avremo forse colmato?

Sarà questo il problema decisivo.

Sia sufficiente allora abbandonarsi alla corrente del determinismo, poiché porta l'azione voluta ai suoi fini naturali.

Abbandoniamoci a questa corrente, come se non ci fossero né libertà da esercitare, né obbligo da rispettare, né rappresaglie da temere.

In tal modo si svilupperà la serie dei mezzi necessari suscitati dalla volontà in cerca di se stessa e desiderosa di possedersi pienamente.

Il sole risplende per i malvagi come per i buoni.

Voglio dire che la vita sembra imporre a tutti degli obblighi equivalenti.

Bisogna dunque vedere come queste condizioni comuni si organizzano naturalmente.

Le relazioni morali non rimangono per aria: innanzitutto è importante provvedere a disegnare il quadro in cui si costituiscono.

L'intenzione ha bisogno di realizzarsi per mezzo dell'azione, e l'azione la arricchisce.

Orbene bisogna studiare la natura e il progresso di questo arricchimento.

Andando a operare nell'inconscio indubbiamente la volontà eleva al proprio livello ciò che modella; ma innanzitutto essa vi si abbandona.

La vita soggettiva non si espande nell'oggetto che per completar visi; essa dona e riceve.

Nemo agit qui non agatur.

Così il problema del valore oggettivo delle nostre idee è ricondotto al suo senso scientifico.

- Da una prima visuale il fenomeno dell'idea, sintesi mentale, è diverso e qualcosa di più di ciò che rappresenta.

Il soggettivo è più reale dei fatti positivi di cui le scienze ci rivelano le leggi generali, perché li implica e li eccede.

- Ma da una visuale superiore l'atto di coscienza, prendendo corpo nell'azione, penetra l'oggetto e gli inocula la propria realtà, per formare una sintesi originale del tutto.

È questo il principio della solidità delle conoscenze pratiche.

Noi sappiamo bene solo ciò che abbiamo fatto.

Infatti portiamo la luce là dove agiamo.

Ma questa luce non è solo in noi, ne soltanto nelle cose; bisogna andare avanti perché essa risplenda.

La vita interiore, che poco fa sembrava assorbire tutto l'alimento della sua conoscenza, si ritrova incompleta e morta se non si spende e non si espande.

Mentre trascende l'universo dei fatti, essa è trascesa da un ignoto in cui solo l'azione le consente di penetrare.

Vi si impegna con tutte le sue forze.

E se un segreto istinto la porta a farlo, ciò avviene per illuminare questo lato oscuro delle cose rischiarando se stessa.

Qui facit veritatem venit ad lucem. ( Gv 3,21 )

Il primo campo in cui si esplica l'intenzione è l'organismo.

Come appare nella coscienza il corpo?

Come questa stessa resistenza rientra nello sviluppo del volere?

Come derivano da cause soggettive la passività, la passione e la fatica organica?

È questo il triplice oggetto di studio che occorre intraprendere, rinnovando l'analisi dello sforzo muscolare per scoprirne il vero significato.

Così saranno reintegrate nella scienza dell'azione, fino a essere comprese nella serie dei mezzi subordinati alla ricerca del nostro destino, tutte le forme attive o passive della vita corporea, nella misura in cui questa vita organica si mescola alla coscienza dell'operazione voluta e compiuta.

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