L'azione

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L'essere necessario dell'azione

Parte IV

I termini del problema del destino umano sono posti per forza di cose e volontariamente

Invano si tenta di restringere l'azione volontaria a ciò che dipende dalla volontà stessa.

Lo sterminato ordine dei fenomeni in cui si espande la vita dell'uomo risulta esaurito, e il volere umano non lo è affatto.

La pretesa di quest'ultimo di essere autosufficiente subisce uno scacco, ma non per penuria.

Subisce uno scacco perché nel campo di ciò che si è voluto e fatto finora colui che vuole e che agisce rimane sempre superiore a ciò che è voluto e fatto.

Ma da questa constatazione precisamente non vedete nascere un singolare conflitto, anzi quasi una sorta di antibolia?1

L'uomo aveva la pretesa di arrangiarsi da solo, e di trovare nell'ordine naturale l'autosufficienza e il suo tutto.

Ma non vi riesce. Non riesce né ad attestarsi né ad andare oltre.

Ma neppure può tornare indietro, perché il minimo di ciò che ha potuto volere è quest'ordine naturale dei fenomeni, questo qualcosa in cui scopre puramente e semplicemente non una ragione di non volere, ma una ragione perentoria di volere di più.

Qual è il senso o l'effetto necessario di questa crisi, la quale, in una forma o nell'altra, segretamente si produce in ogni coscienza umana?

- In ogni coscienza umana per forza di cose nasce il sentimento che la volontà non è né il proprio principio, né la propria norma, né il proprio fine.

E vi sono molte strade che conducono l'uomo ad accorgersene, non foss'altro che l'impotenza in cui versa di essere autosufficiente e di sottrarsi alla necessità di volere.

Era venuto in chiaro che l'uomo non può essere suo malgrado.

Ed ecco invece che egli sente, fino all'angoscia, di non essere autore e padrone di sé.

Per lui il punto non è di accettare lo splendido ordinamento dell'universo o di sancire il determinismo delle proprie azioni, ma è indispensabile altresì che accetti se stesso.

È indispensabile che voglia non tanto ciò che vuole, non tanto la vita e l'uso che ne fa, ma quello che in lui la produce, la critica e la giudica.

Sarà allora possibile spiegare e giustificare questa tirannia apparente, risolvere il conflitto e offrire alla volontà un'alternativa necessaria, ma un'alternativa tale che, su qualunque dei lati si fissi l'opzione, non venga mai più smentita?

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1 La parola antibolia, che significa " urto tra due cose ", in questo contesto esprime il movimento, in apparenza duplice e inconciliabile, della volontà umana.
Quello che il termine antinomia designa dal punto di vista statico dell'intelletto, dal punto di vista dinamico dell'azione viene compendiato nel termine antibolia.
Tuttavia in questa stessa analogia emergono differenze essenziali. Le antinomie sono risolte di fatto; e siccome non si tratta d'altro che di fenomeni eterogenei e solidali, i termini, in apparenza incompatibili sotto il profilo dell'intelletto, in realtà sono correlativi e simultanei.
Qui invece non sarà la stessa cosa. I termini dell'alternativa, pur essendo intelligibili simultaneamente, di fatto si escludono, perché ormai si tratta non di ciò che appare, ma di ciò che è.
In altri termini, saremo indotti per forza di cose ad affermare l'essere, a porre un'alternativa di fronte all'essere, a optare tra due decisioni, di cui ciascuna esclude radicalmente l'altra [nda]