Gesù Cristo rivelazione dell'uomo

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Capitolo secondo - IX

IX. La chiave del crittogramma umano: l'ipotesi cristiana

Il frammento sulla sproporzione dell'uomo nell'universo, come pure i frammenti sulla sproporzione interiore dell'uomo, mettono in luce una disarmonia obiettiva.

Costituiscono un inventario dei fatti.

La conclusione è che l'uomo è indecifrabile.

Pascal solleva allora la domanda: come sormontare e superare questa sproporzione accertata?

L'armonia esiste, ma in un ordine superiore.

La vera immagine di Dio nell'uomo si chiama Gesù Cristo: immagine che si disegna sullo sfondo dell'esistenza umana scordata, assurda, incomprensibile e mostruosa.

La descrizione della sproporzione dell'uomo costituisce la prima parte dell'Apologià di Pascal, che è la più curata.

L'uomo non può situarsi ne nello spazio, ne in se stesso, perché è finito nell'ordine dell'essere e del conoscere.

Se Pascal chiama l'uomo mostro, chimera, caos, prodigio, contraddizione, paraddosso, non è innanzitutto per dar risalto alla sua bruttezza morale, ma per dimostrare che la sua figura è indecifrabile.

Ogni tratto esposto ( giustizia, verità, felicità ) è subito messo in scacco, minacciato dal tratto opposto.

L'uomo è incomprensibile.

A meno di precipitare in una indigenza peggiore della follia, non può soddisfarsi di questo stato e aspettare tranquillamente la morte.

Deve cercare di spiegarsi, di decifrarsi.

Soprattutto deve cercare con sincerità.

Fin qui Pascal si è quindi preoccupato di inquietare l'uomo, di suscitare in lui la ricerca della verità.

Gli ha anche mostrato a quale condizione questa ricerca può riuscire: che l'uomo si disponga ad accogliere la verità, per sconcertante che sia, mediante la conversione del cuore.

Pascal si rivolge innanzitutto ai filosofi.

Ora questi si rivelano incapaci di illuminare veramente il mistero dell'uomo.

Gli stoici hanno optato per la grandezza e sono caduti nell'orgoglio; i pirroniani o scettici hanno optato per la miseria e sono caduti in una lamentevole indifferenza ( B525 C392 ).

I filosofi si contraddicono l'un l'altro e contraddicono se stessi: « O uomini, è inutile che cerchiate in voi stessi il rimedio per le vostre miserie.

Tutti i vostri lumi possono soltanto arrivare a conoscere che non in voi troverete la verità o il bene.

I filosofi ve l'hanno promesso, e non hanno potuto mantenerlo.

Essi non sanno ne qual è il vostro vero bene, ne qual è il vostro, vero stato » ( B430 C483 ).

Pascal non ha tuttavia la pretesa di squalificare la filosofia nella sua ricerca della verità.

Essa ha un ruolo nell'incamminare l'uomo verso Dio, a condizione tuttavia di non compiacersi del proprio discorso, ma di aprirsi, di accogliere dei fatti che la fede in seguito potrà illuminare.

Perché la filosofia è sempre tentata d'idolatria, di narcissismo.

Il voto di Pascal è che la speculazione diventi esperienza, la conoscenza comunione e che la filosofia si lasci completare dalla fede.

Perché Dio, secondo Pascal, è innanzitutto l'essere misterioso che non cessa di interpellare l'uomo.

Per accoglierlo si deve ricevere un nuovo modo di vedere: cioè una illuminazione della mente e del cuore con la fede.

Dio non è conosciuto se non viene a noi; ci trova ancora più che noi lo troviamo.

Si può dire che Pascal se la prende più con gli errori abituali « di fatto » della filosfia, che con la filosofia stessa.

L'errore dei filosofi è di voler trovare Dio senza Dio, come si trova una « cosa », evidentemente senza di essa, e non come una persona, che si rivela mediante la confidenza, se vi consente e se si consente di ascoltarla.

Per conoscere Dio le prove non potrebbero bastare: è necessario mettersi in ascolto, pregare e supplicare.

Non si trova la verità; si riceve come un dono: dono delle prime nozioni in matematica; dono dell'esperienza sensibile nelle scienze; dono dell'amore e della grazia, che è la rivelazione.48

Ciò che è impossibile ai filosofi, neppure le religioni dell'umanità lo possono fare.

Pascal interroga via via il buddismo, l'islamismo, la religione pagana, ma in pochi testi che sono delle allusioni più che reali sviluppi.

Una cosa è certa: il nostro stato di miseria e di grandezza è così lampante che la vera religione se esiste deve poterci illuminare su questo paradosso.

« Essa deve darci la spiegazione di questi stupefacenti contrasti …

Deve insegnarci i rimedi a queste incapacità e i mezzi per ottenere questi rimedi » ( B430 C483 ).

Ora, dice Pascal, si possono esaminare tutte le religioni del mondo: nessuna offre una risposta veramente decisiva al mistero dell'uomo e del suo destino.

Esse lasciano tutte l'uomo insoddisfatto e non propongono alcun vero rimedio alla sua miseria.

Fra queste religioni ve n'è una tuttavia che attira particolarmente l'attenzione: è la religione ebraica.

A differenza degli altri popoli il popolo ebreo adora un solo Dio, che dice essere l'unico e vero Dio.

Riceve da lui la sua morale, fondata sull'Alleanza.

La Sacra Scrittura, mediante la quale questo popolo si governa, più si medita, più si rivela fonte inesauribile di luce.

Passata nelle mani del cristianesimo, questa Sacra Scrittua si è diffusa in tutto l'universo.

Solo il cristianesimo, erede della tradizione ebraica, spiega tutto l'uomo, la sua grandezza e la sua miseria; solo il cristianesimo lo salva dalla sua miseria.

Esso rimane misterioso, ma nello stesso tempo fonte zampillante di luce.

L'ultima parola sull'enigma dell'uomo non può essere dedotta filosoficamente, ma ricevuta come un dono, come la rivelazione di un mistero: quello del peccato originale.

La verità sull'uomo non sgorga dopo tutto che da una sorgente di cui non si può forzare l'entrata.

« Certamente, dice Pascal, nulla ci urta più brutalmente di questa dottrina; e intanto senza questo mistero, che è il più incomprensibile di tutti, siamo incomprensibili a noi stessi.

Il nodo della nostra condizione s'attoreiglia e si intreccia in questo abisso, così che l'uomo è più inconcepibile senza questo mistero di quanto questo mistero non sia inconcepibile all'uomo » ( B434 C438 ).

La verità dell'uomo sta in queste due verità: « la prima, che l'uomo nello stato di creazione e in quello di grazia è elevato al di sopra di tutta la natura, quasi simile a Dio e partecipe della sua divinità; la seconda, che nello stato di corruzione e di peccato è decaduto da quella condizione e reso simile alle bestie » ( B434 C438 ).

La chiave della nostra condizione si trova in questi due stati e in queste due nature.

La spiegazione cristiana è che l'uomo, nel suo stato attuale, non può essere capito che a partire da se stesso.

« Imparate che l'uomo supera infinitamente l'uomo » ( B434 C438 ), cioè che l'uomo, mediante la sua partecipazione gratuita a Dio, nello stato primitivo, poi nella redenzione e nella glorificazione in Gesù Cristo, è elevato al di sopra dell'uomo e di conseguenza non può essere capito che mediante questa trascendenza.

L'uomo non si capisce, alla fin fine, che attraverso il superamento al quale è chiamato.

La sua prima vocazione era quella di una vita in Dio: era la sua prima « naturalità ».

Col peccato si è rotta questa unione con Dio.

Il risultato è che l'uomo è caduto al di sotto di se stesso.

Il dilemma per l'uomo è di essere elevato al di sopra della sua natura o di essere caduto al di sotto della sua natura.

Tutto questo è spiegato nel discorso tenuto da Pascal a Port-Royal, e quando fa dire alla Sapienza: « Voi adesso non siete più nello stato in cui vi ho formati.

Io ho creato l'uomo santo, innocente e perfetto ».

Ma l'uomo « ha voluto farsi centro di se stesso » e indipendente da Dio, che l'ha abbandonato al suo peccato.

« Questo è lo stato in cui si trovano oggi gli uomini.

Resta loro qualche impotente istinto di felicità della loro primitiva natura, e sono immersi nella miseria del loro accecamento e della loro concupiscenza, la quale è diventata la loro seconda natura » ( B430 C483 ).

Gli uomini sono « incapaci di arrivare a Dio » e « se Dio non viene a loro, essi non possono avere nessuna comunicazione con Dio ».

Perciò « Dio si è fatto uomo per unirsi a noi » ( B286 C837 ).

Così il dogma del peccato originale è l'ipotesi che illumina e decifra la condizione umana.

Non è tuttavia l'ultima e più potente luce sull'uomo.

Il dogma del peccato originale deve essere anch'esso illuminato dal dogma dell'incarnazione e della redenzione.

Il peccato originale illumina negativamente, per così dire, la distanza che ci separa dalla nostra vera natura di figli di Dio, come una realtà perduta.

Ma solo Cristo restaura la somiglianzà con Dio, alterata dal peccato: mediante la sua vita, la sua passione e la sua morte, ci conferisce e ci fa vedere una vita di figli.

È il nuovo Adamo.

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48 J. RUSSIER, « L'expérience du Mémorial et la conception pascalienne de la connaissance », in Blaise Pascal. L'homme et l'oeuvre, Crfliers de Royaumont, Philosophie, n. 1, Paris, 1956, pp. 238-239.