Gesù Cristo rivelazione dell'uomo

Indice

Capitolo sesto - III

III. L'isolamento o la cattiva solitudine

In sé, l'esperienza dell'indifferenza subita, dell'incomprensione, dell'abbandono vissuto, è una prova, ma non necessariamente un fallimento dell'esistenza.

Può sfociare in una solitudine feconda, così come può diventare isolamento o « cattiva » solitudine.

L'isolamento è alla solitudine ciò che il mutismo o il broncio sono al silenzio.

Tacere è poter parlare; essere solo è potersi incontrare.

Nella solitudine l'assenza dell'altro o degli altri è risentita, ma come momentanea.

È destinata a risolversi in un incontro.

Nell'isolamento, al contrario, l'allontanamento e il mutismo sono vissuti come una rottura minacciante.

Nella solitudine concepita come un momento privilegiato della nostra esistenza nel mondo, l'uomo scopre che può esistere solo, pur restando aperto agli altri.

L'isolamento invece diventa rapidamente morboso, patologico.

L'isolamento è una solitudine che si è inacidita invece di maturare.

Si incontra di frequente in uomini che hanno fallito presto nella loro vita, ma non lo hanno mai accettato, né superato.

Sono diventati amari, aggressivi verso tutto e verso tutti; la loro vita non ha più senso, perché hanno perso contatto con gli altri e con Dio.

A volte ricoprono la loro amarezza con una maschera di pseudo-saggezza, dichiarando che la vita, per chi l'ha conosciuta, non è che uno smaltitoio di scarti, lo scarto essendo un compromesso tra ciò che è stato e ciò che non sarà.

Questo tipo di isolamento attende di solito al varco l'uomo che invecchia e che vede le sue possibilità di successo diminuire, poi sparire.

« Ho dato quello che avevo da dare! Che si arrangino! ».

Una vita che poteva fruttificare, diventa sterile.

L'isolamento può coincidere con la follia, perché è innanzi tutto un atteggiamento interiore.

L'isolato è uno lasciato a se stesso, un abbandonato, un male-amato, che diventa male-amante, un disprezzato che risponde col disprezzo.

L'isolamento è uno stato di rottura con sé e con gli altri.

Non è raro che conduca al suicidio.

Il numero spaventoso dei divorziati, dei drammi di vita coniugale e familiare, rivela una forma tragica di questa solitudine.

Per ogni specie di motivi, due persone che non potevano vivere una senza l'altra, giungono a odiarsi, a fuggirsi.

Questa rottura, a sua volta, genera una spirale di rotture, di isolamenti: quella dei figli e dei genitori, quella dei figli in guerra contro una società che li riduce a non appartenere a nessuno.

Questo fenomeno delle « solitudini a catena » è una delle tristi caratteristiche del nostro tempo.

Gli ambienti cristiani non sono esenti da queste tensioni, non meno feroci che quelle delle colonie animali.

Se non si appartiene a tale collettività, a tale partito, a tale clan, si è esclusi da tutto, non soltanto dal potere, dai favori, ma ancora dall'ossigeno necessario per respirare.

Tali ambienti invece di sbocciare in carità, diventano inferni dove ciascuno si rinchiude, si protegge, si difende o attacca.

Se si incontrano gli altri è per urtarli o spezzarli.

Occorre infine dire una parola di quella forma estrema d'isolamento, di cattiva solitudine, che consiste nel prendere congedo da Dio come da un personaggio di leggenda.

Molti uomini, oggi, sono caduti più in basso di Nietzsche nell'allontanamento da Dio.

L'uomo contemporaneo non è neppure più toccato da Dio, che è una realtà assente dalla sua vita.

Si incontra ancora di peggio, cioè la rivolta appassionata, violenta, contro Dio, considerato solo responsabile di tutte le alienazioni.

I pagani dell'antichità servivano le divinità a modo loro: è il privilegio del nostro secolo di conoscere masse che fanno professione di ateismo e militano per le loro convinzioni.

L'uomo, ormai, monologa con se stesso e con le sue opere.

In verità l'uomo isolato è orribile: ha bisogno di essere salvato.

Indice