Gesù Cristo rivelazione dell'uomo

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Capitolo settimo

Alterità e comunione

Non si sfugge al problema « degli altri » o dell'attenta, così come non si sfugge a quello della solitudine.

A parte i casi molto rari, nel passato, di bambini selvaggi allevati da animali, o, nel futuro, di eventuali robots, « gli altri » sono sempre là: simpatici, accoglienti o temibili.

Nei paesi dove la popolazione è particolarmente densa, come la Cina, si dice che non è possibile muoversi, persino esistere, senza essere sotto la mira di sguardi convergenti.

Per il meglio o per il peggio, la maggior parte delle nostre giornate le passiamo con « gli altri ».

Li abbiamo ai talloni o noi pestiamo loro i piedi.

Sono affascinanti e noi cerchiamo la loro compagnia, oppure ci innervosiscono e noi li fuggiamo.

Non si sfugge alla vita di gruppo, come non si sfugge alla solitudine.

Si ha un bel dire tutto il male che si vorrà della società, senza di essa che saremmo noi?

Non potremmo neppure maledirla, perché l'uomo non impara a parlare che mediante la società.

D'altra parte le nostre possibilita di riuscita nella vita « con gli altri » non sono più numerose che nella vita « solitària ».

Il problema evidentemente si pone in modo diverso, secondo il tipo di società al quale noi apparteniamo, benché a dir vero, noi siamo tutti presi in un reticolato di mini o di macro-società, di diversi livelli e di tessuti differenti.

Parleremo qui soltanto dei nostri rapporti di base, dall'uno all'altro, a livello di persone.

Anche a questo livello, si deve riconoscerlo, l'estrema mobilità e fluidità della vita contemporanea rendono difficile lo stabilirsi di rapporti in profondità.

Si moltipllcano gli incontri occasionali, effimeri, tra due sessioni di lavoro, tra due caffè, ma la pressione degli avvenimenti e dei compiti da svolgere ci impediscono di conoscere veramente gli altri, di « comunicare » veramente.

Perciò i rischi frequenti di malintesi, di urti, che finiscono per imporre rapporti « neutri ».

Si vive in parallelo, come convogli di una metropolitana che si incontrano, ma sempre a uguale distanza.

È anche vero che i nostri rapporti con gli altri, soprattutto coi nostri compagni di lavoro, possono raggiungere un coefficiente di riuscita sempre più elevato.

Come cristiani, noi vogliamo vivere la carità di Dio, nei nostri rapporti con gli altri.

Il problema è di realizzare questo tipo di esistenza nelle condizioni concrete che sono le nostre, di afferrare « sperimentalmente », se posso dire così, la presenza di Dio nel volto di coloro che ho a fianco, di essere effettivamente portato verso di loro dallo spirito di Cristo.

Non si tratta quindi di fermarsi a una semplice fenomenologia dell'incontro, benché sia illuminante, ma di portare sull'uomo uno sguardo tale che ci consenta di scoprirlo nella sua verità.

Ora, questa verità, una volta ancora, non si trova che in Gesù-Cristo.

Lui solo ci permette di capire « gli altri » in profondità.

La loro verità profonda è Cristo in loro.

Tutti gli altri sguardi sull'uomo restano superficiali o falsi.

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